Immobile Scuola - Maragliano Roberto

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Saggio di R. Maragliano sulla scuola

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Immobile scuola. Alcuneosservazioni per una

discussioneRoberto Maragliano

ISBN: 9788863990720

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Immobile scuolaAlcune osservazioni per unadiscussione

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ISBN 978-88-6399-072-0

Direttore editoriale: antonio zoppettiProgetto grafico: marco negroniRealizzazione epub e redazione: luciamezzottoniImmagine di copertina: Fotografia diB us ko , Bored@School, Flickr 2007(Concessa sotto licenza CreativeCommons Attribuzione 2.0 Generico)

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Prefazione

Panta rei, era il motto diEraclito. Tutto scorre. Eppure lascuola italiana e la culturaaccademica, come fossero unmotore immobile, per giocareancora con le citazioni dellafilosofia greca, continuano aoperare e a formare le persone coni paradigmi del secolo scorso, senon addirittura dell’Ottocento. Oforse peggio. Perché i due modellidistinti di scuola di matriceottocentesca – quella di popolo che

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dovrebbe insegnare a leggere escrivere, e quella d’élite chedovrebbe formare la classedirigente – sono ai nostri tempimescolati e confusi, con ilpreoccupante risultato di nonriuscire a rispondere in modoadeguato a nessuna delle dueesigenze. Soprattutto la scuola sitrova sempre più “in distonia con ilmondo che cambia”, anzi che è giàcambiato, da almeno un trentennio.L’uomo del primo Novecento equello di oggi, sono tra lorodiversissimi. A dividerli c’è ilcinema, la radio, il telefono, latelevisione, prima ancora del

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digitale e di Internet. Ma alle spallehanno lo stesso modello di scuola!

Già le avanguardie di primoNovecento, Futurismo in testa,polemizzarono con la cultura staticae stantia delle biblioteche e deimusei, facendo irrompere la graficanel testo, scardinando le logicherazionali e sequenziali della parolascritta e inneggiando al mito delmovimento. Un secolo più tardi ilmondo è cambiato radicalmente. Lacultura non può più coincidere solocon la parola scritta e la stampa. Ilmondo accademico e della scuola,al contrario, ha rifiutato il ben più

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complesso approccio multimedialee si è arroccato nella difesa di unmodello chiuso che stride conquello che sta avvenendo ed èavvenuto nella società. La favolache risale agli anni Sessanta eSettanta della cultura della scuolain contrapposizione a quella dellatv, commerciale e portatricedell’effimero, non regge più. Tv,multimedialità, web, non sonoelementi distraenti, sono il nuovoparadigma culturale del presente edel futuro.Queste sono le polemicheosservazioni di RobertoMaragliano che si occupa di questi

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temi da sempre. Sui suoi libri,come il Manuale di didatticamultimediale (Laterza 1994) unagenerazione di studenti e insegnantiha imparato concetti fondamentalicome appunto la potenzadell’audiovisione e dellamultimedialità, la differenza traapprendimento immersivo eapprendimento per astrazione, ladidattica con le nuove tecnologie.

Perché, allora, la rivoluzionedi digitale e Internet non hacoinvolto la scuola se nonmarginalmente? È ancora possibiletrattare i saperi contemporanei che

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sono multimediali, complessi eaperti con rigidi schemimanualistici? Che cosa possonofare i singoli insegnanti in questoscenario ingessato da ragionipolitiche ed economiche che lisovrastano?

Le numerose domande,talvolta retoriche, che con metodomaieutico Maragliano si pone epone ai lettori hanno lo scopo digenerare un dialogo, più chetrasmettere soluzioni dall’alto albasso. Questo pamphlet inedito, quiproposto in forma di eBook gratuitoin modo che le idee possano

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circolare liberamente, contieneinfatti delle riflessioni che servonoper generare una discussione, comerecita il sottotitolo. E anche lesoluzioni proposte sono allo stessomodo aperte e sviluppabili con ilcontributo di tutti. Per esempioapprofondendo le questioni,partecipando al dibattito ocontattando l’autore e il suo gruppodi ricerca attraverso il sito delLaboratorio di TecnologieAudiovisive:http://LTAonline.uniroma3.it e lasua pagina Facebook:www.facebook.com/LTAonline.Anche così, forse, con il contributo

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di tutti e in particolare di figurenuove, non solo degli insegnanti, sipuò provare a cambiare paradigmae a smuovere un po’ l’ Immobilescuola.

Antonio Zoppetti

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LO SPIAZZAMENTODELLA CULTURA

ACCADEMICA E DELLEISTITUZIONI DI FRONTE

ALL’IRRUZIONE DELDIGITALE E DI INTERNET

Stiamo vivendo tempi turbolenti,non c’è dubbio. Si direbbe chedagli anni Ottanta del secolo scorsoil mondo s’è trovato all’interno diun vortice di cui tuttora, a distanzadi tre decenni, non è dato diconoscere la reale dinamica, né itempi, i modi e gli esiti di un suo

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eventuale esaurimento. Una cosacomunque è certa, ed è il fatto chealla base delle turbolenze,economiche o politiche che siano,c’è, tra gli altri aspetti, l’impetuosoaffermarsi dei nuovi regimi dellacomunicazione sociale. Lo si vogliaaccettare o no, è indubbio che lanostra percezione e pure la nostrapratica di mondo stanno cambiandoda che esistono il digitale e Internete che tra i primi effetti di tutto ciòc’è l’ampliamento delle categoriedi soggetti che includiamo in questo“noi” (per esempio quelli checontinuiamo a chiamare “minori”,ma che tali sono solo in termini di

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età, e quelli che tuttora etichettiamocome “extracomunitari”, anche sefanno pienamente parte della“nostra” comunità dicomunicazione).

Sarebbero anche soltantopensabili gli scenari attuali dellaglobalizzazioneeconomico/finanziaria e pure diquella politica (senza escludere iltema del terrorismo internazionale)se a dare loro forma e praticabilitànon ci fossero i livelli così elevatidi accessibilità, efficacia,generosità, istantaneità delconoscere, del comunicare e del

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condividere che il digitale eInternet hanno reso possibili?

Si tratta, com’è evidente, di unadomanda retorica. A posterioripossiamo sostenere che molto dellacultura del digitale e della rete erapresente in certe posizioni delleavanguardie artistiche del primoNovecento o individuare nella crisidei fondamenti della scienzapositiva maturata tra fine Ottocentoe primo Novecento una sorta diprefigurazione delle logiche oggiimperanti, ma si tratta tutt’al più diun esercizio scolastico: di fatto èdifficile negare che un simile

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vortice ci ha preso alla sprovvista eche tuttora sussistono tra di noinotevoli ostacoli, di tipo culturale epsicologico, rispetto all’obiettivodi conquistare una consapevolezzacondivisa di quanto è avvenuto econtinua ad avvenire, non soloattorno, ma pure dentro di noi.

Non deve sorprendere dunque se,in questa situazione, la culturaaccademica italiana (uso questaespressione complessiva perindicare i comuni riferimenti disapere delle istituzioni scolastichee universitarie) mostra non pocariottosità rispetto all’esigenza, che

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è in primo luogo una faccendapolitica, di prendere atto delcarattere radicale e irreversibiledella turbolenza in atto nelle formecollettive dell’esperire, delconoscere e del comunicare. Delresto, si trova, in questo, in buonacompagnia: un’occhiata alle pagineculturali e sociali dei gazzettini astampa o pochi minuti di tele oradiogiornali sono sufficienti aprovare che il sentimento piùdiffuso e condiviso è quello delsentirsi vittime di un’invasionebarbarica, non essendoci brutturadell’uomo che non vengaautomaticamente associata alla

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malefica azione della rete. Ma senon deve sorprendere, ciò nonsignifica che lo stato diinsensibilità di buona parte dellacultura educativa ufficiale neiconfronti del problema non debbafarci preoccupare, sia per noi stessie quel che ci riserva il futuro, sia esoprattutto per il futuro delleistituzioni educative.

Conviene essere realisti, aquesto proposito, e chiedersi: comepuò vivere, o meglio in checondizioni può sopravvivere unorganismo come quello scolasticoche si sente costantemente

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accerchiato dal mondo e vede esente minati i fondamenti stessidella sua identità? O, espresso informa più esplicita, che senso hacullarsi nell’illusione che la cadutadi interesse per l’istruzione, cosìvisibile non solo nelcomportamento dei giovani maanche negli orientamenti dellapolitica, dipenda da fattori di“distrazione” e, in sostanza, dallanatura corruttrice dei nuovi media?

Altre domande retoriche. Non hanessun valore abbandonarsi a similipensieri, al di fuori di quello che neviene sul piano consolatorio e

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assolutorio. Dobbiamo invecepreoccuparci. E molto. E anchereagire. Con coraggio. Sono dunquenecessarie e ormai assolutamenteurgenti reazioni e conseguentiazioni di sapere, che mettano lacultura educativa, tutta, masoprattutto quella che fa capo agliapparati istituzionali, nellecondizioni di fronteggiare ilpresente e programmare il futuro,fuoriuscendo dal ricattatoriorimpianto di un mondo che ormainon c’è più (e che è impossibilericostituire: fortunatamente,aggiungo, e penso ai costi umani esociali che comportava la scuola

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d’élite).

LA NECESSITÀ DIFORGIARE NUOVE ARMIPER L’INTERPRETAZIONE

DEL MONDO

A questo impegno possiamo farfronte misurandoci seriamente,senza pregiudizi di sorta e senzaconcessioni di deleghe, con duetematiche che toccano l’identitàstessa del sapere accademico, cioè

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del modo più diffuso, tra di noi, didefinire e praticare i compitidell’istituzione scolastica: la formapolitica e la forma logica di talesapere. Senza deleghe, hospecificato, intendendo con questoche di un simile compito devesentirsi investito ogni docente,amministratore, genitore e cittadino.

Provo a chiarire la questione conun esempio. E chiedo: che senso hadare tramite la scuola così pochistrumenti perché chi è destinato avivere il (e nel) futuro possacomprendere gli universidell’economia o quelli della

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comunicazione (cioè le matricifondanti, rispettivamente, delleculture materiali del XIX e diquella del XX secolo)?

E poi: è possibile includeredentro i confini della scuola questedue aree cruciali senza che nerisultino scompigliati non solol’intero quadro dei saperi propostima anche la loro stessaintelaiatura?

Possono essere, economia ecomunicazione, dei regimi diconoscenza da rendere edisciplinare secondo rigidi schemi

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manualistici o, affrontandoli eincludendoli a scuola per quel chesono, cioè saperi aperti e dinamici,non equivale a fare i conti con altremodalità, altre forme di resa eorganizzazione del sapere, quellestesse che il digitale e Internetmaterializzano?

E questo non significa anche chemisurarsi con il rilievo che tali areedi sapere hanno assunto nel mondoè come intaccare la rigidità dellefrontiere che fin qui ci siamoimpegnati a tracciare e presidiareper distinguere il sapere formale daquello materiale, la razionalità

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dall’intuizione, la teoria dallapratica?

Paradossalmente, non sono gliesperti di economia o dicomunicazione – soprattutto seappartengono alla culturaaccademica data – a garantire unapresa di coscienza di questo tipo, èpiù facile che la radicalità di unsimile passaggio la possano vederee toccare meglio un sempliceinsegnante o un semplice genitore,sempre che intendano fare i contilucidamente sull’avvenire che siprefigura per i loro figli e i loroallievi. Ed ecco allora che la

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rinuncia alla delega (al politico,all’esperto) non può noncomportare contemporaneamenteuna rinuncia nei confronti di ognipregiudizio, di ogni schemainterpretativo automatico erassicurante: per capire e giudicarequel che è in atto nel mondo ecapire in che direzione dovrebbemarciare un sapere educativocapace di essere all’altezza deitempi occorre accettare discontrarsi con la realtà, prendereatto delle ferite narcisistiche cheessa produce nell’intaccare ilbagaglio delle nostre più intimeconvinzioni e impegnarsi a forgiare

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nuove (o sapientemente rinnovate)armi per l’interpretazione delmondo.

Capisco che non è facile aderirea una simile prospettiva, che è piùcomodo e provvisoriamenterassicurante adagiarsi nel rimpiantodi un passato inteso come mitica etàdell’oro, quello in cui la scuolafunzionava, i ragazzi imparavano,c’era rispetto per insegnanti ededucatori. Ma converrete con meche così argomentando (e ammessoche quelle che ho sintetizzato sianoargomentazioni!) ci si conferma econtemporaneamente ci si nasconde

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il proprio stato di paralisi.

E allora, che fare? In chedirezione muoversi, una volta che sisia iniziato a delegittimare laveridicità dei segni dei sentieri finqui battuti?

Ho indicato prima due direzioni:quella che ci porta a fronteggiare laforma politica della culturascolastica e quella che ci porta afronteggiarne la forma logica.Provo a chiarire il passaggio, che èpoi la sostanza di quanto stosostenendo qui.

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LA FORMA POLITICA

L’idea di scuola tuttora in auge,non solo in Italia ma in generalenell’area economicamente epoliticamente più evolutadell’Europa, è legata alla suaorigine ottocentesca, che la faintendere come apparato statualepreposto allo svolgimento di duecompiti sostanziali: quello primariodell’alfabetizzazione popolare equello secondario della formazionedella classe dirigente, dove peròl’ordine in termini di importanza

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delle funzioni va inteso in modocontrario a quel che è indicato neitermini, essendo politicamenteprimaria, nell’intenzione di quantoè e fa scuola, almeno in tale assetto,la funzione di selezionare la classedirigente.

A dare unità ideologica emateriale a questo duplice impegnoc’è un ordine culturale che trova lasua ragion d’essere nellaformazione dell’identità nazionale,per come è intesa all’interno degliapparati di cultura della secondametà del diciannovesimo secolo,centrata cioè soprattutto sui saperi

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scrittorii (le letterature e le storie).Da una parte, dunque, un sapereminimo ed essenzialmente praticoda mettere a disposizionetendenzialmente di tutti (il “leggere,scrivere, far di conto”), dall’altraun sapere astratto econcettualizzante, capace diindividuare e marcare l’aristocraziaintellettuale destinata a compitidirigenziali, sia nei confronti delpopolo minimamente alfabetizzatosia nei confronti di quadri formati(da un indirizzo “minore” dellascuola secondaria) a mansioni ditipo tecnico/professionale. Èimportante sottolineare che tra le

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due funzioni non è prevista, nellaforma politica pura di tale sistema,una reale continuità: scuola dipopolo e scuola di aristocraziavivono e danno vita ciascuna a unsuo proprio mondo. Coerentementecon questa impostazione, ilpassaggio dal primo al secondolivello non è automaticamentegarantito, ma subordinato alsuperamento di impegnative provedi ammissione, che tali sono sia intermini materiali sia in terminiideologici (di qui la formulacostituzionale dei “capaci emeritevoli”). Questa era la formapolitica di ciò che generalmente

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chiamiamo “scuola d’élite”.

A distanza di un secolo e mezzole cose sono decisamente cambiate,ma, si direbbe, solo sul pianomateriale. La nostra non è piùscuola d’élite, è diventata di massa,e sono venuti meno gli sbarramentimateriali e ideali tra il livelloprimario e quello secondario. Mala continuità tra i due livelli ètutt’altro che garantita: non a caso,l’unico comparto su cui si èintervenuti nel passato con unariforma di carattere strutturale,quella che nel 1962 ha introdotto lascuola media unica e obbligatoria,

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è il settore su cui si concentrano lemaggiori sofferenze del sistema nelsuo complesso, in ragione del suocarattere tuttora ambiguo e irrisoltoche la fa essere a un tempoalfabetizzante ed elitaria. Tuttoquesto ovviamente è il riflessodell’intero sistema e si riflette su diesso. Detto con una formula tantochiara quanto preoccupante,abbiamo oggi a che fare, nelcomplesso, con una scuola elitariadi massa, incapace di svolgerepositivamente sia il compito dialfabetizzazione di base sia quellodella formazioneselettivo/culturale. Ciò che vado

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sostenendo è che la crisi di unsimile modello sta nella sua stessanatura: la sua sopravvivenza forzataè ormai in netta distonia con ilmondo, con i percorsi che esso hada tempo intrapreso. Ma tant’è:aprire gli occhi su tutto questo costafatica, ed è doloroso accettare diriconoscere che è in atto,indipendentemente dalle sceltepolitiche, un processo di“descolarizzazione strisciante”,cioè di progressiva perdita dicentralità e significatività dellaquestione scuola, e che tutto questoè inscritto nella matrice stessadell’istituzione. Dunque, quegli

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occhi sarà meglio tenerli chiusi ecullarsi in sogni e illusioni. Non c’èallora chi non dica che se i giovaniescono dalla scuola senza sapereleggere né scrivere laresponsabilità di ciò va attribuitaall’azione distraente di televisione,videogiochi e web o alla pigriziaprofessionale dei docenti. Ilproblema, come dovrebbe risultareevidente se si fanno i conti con lastoria e l’attualità, va affrontato daun’altra prospettiva, riconoscendoprima di tutto che rispetto a ieri lasostanza delle cose è cambiata dipoco: quanti escono da questascuola di massa sapendo leggere e

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scrivere sono pressappoco glistessi di quelli che ne uscivanoquando l’istituzione erapropriamente d’élite, la differenzatra l’ieri e l’oggi risiede nel fattoche i contemporanei hannoconvissuto a scuola con tanti cheprima non avevano diritto aentrarvi. Ma il fatto stesso diaccogliere questa idea come ipotesidi lavoro è inteso comedestabilizzante: meglio, moltomeglio prendere parte da spettatorialle rituali gare indette dallericerche comparative, la cuimaggiore funzione rassicurante stanella proposta di parametri di

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confronto assunti comeincontrovertibili (credere in queirisultati, indipendentemente dallapropria collocazione nellegraduatorie, è come cementare laconvinzione che esista un modellosolido e univoco di scuola).

Prendiamone atto, dentro unapparato immobilizzato dalla suastessa natura “politica” ognicambiamento è inteso comeanomalia o aberrazione, ciò cheviene accettato è quanto non mettein discussione quella natura. Il fattoche sia cambiato ben poco nelregime culturale dell’istituzione,

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rispetto alla sua matriceottocentesca, e l’esigenza di capireil perché di tale mancatoadeguamento al mondo che nelfrattempo ha cambiato pelle esostanza invitano a passaredall’analisi della rigidità dellaforma politica del sapereaccademico all’analisi della paririgidità interente alla sua formalogica.

LA FORMA LOGICA

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Alla base del sapere accademicoper come ancora lo pensiamo epratichiamo c’è l’idea didisciplina: in forza di questoimpianto insegnare e apprenderecorrispondono al proporre eacquisire conoscenze secondol’ordine stabilito dai competenti inmateria (o meglio, nelladivulgazione della materia), ilquale ordine è quello stesso che negarantisce lariproduzione/esposizione, anche senon sempre corrisponde all’ordineche, storicamente, ne ha segnato laproduzione. Ne viene che, in sededi presentazione come di

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acquisizione, il significato daattribuire a ciascun singoloelemento di conoscenza è inscrittonella sua collocazione all’internodella disciplina cui appartiene (eche gli pertiene), quindi nel postoche l’ordine fissato gli riserva. Gliordinamenti cui si fa generalmenteriferimento possono essere diversie di fatto lo sono a seconda dellanatura della disciplina che siprende in considerazione: cosìl’ordinamento interno delladisciplina scolastica matematicarivela una forma logica diversa daquella dell’ordinamento delladisciplina scolastica letteratura

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italiana. Ma, riandando a quantodetto sopra a proposito dellamatrice politica della scuolanazionale, non si può evitare diriconoscere che l’ordinamentoconsiderato “principe”, nellacultura scolastica italiana, proprioper le ragioni ideologiche cui si èfatto riferimento, è quello storico;di conseguenza, più nobilirisulteranno la discipline che inlinea di principio riflettonol’ordinamento fornito dallaricostruzione delle dinamiche dellevicende umane, come è il casodelle letterature e della filosofia, emeno nobili saranno invece intese

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le discipline che, come le scienze ola matematica, privilegiano unordinamento tecnico, legato alledinamiche degli usi del sapere,materiali o intellettuali che possanoessere.

Non basta. Un altro aspetto che silega all’idea di disciplina e che nerinforza il carattere di strumentoper l’organizzazione ordinata delsapere, è quello della pertinenza,cui ho già fatto cenno: ogni area diconoscenza appartiene (e pertiene)alla disciplina che a essasovraintende, e ogni disciplina hauna sua specifica identità, non

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uniformabile a quella di altre. Èevidente come tutto ciò contribuiscaa semplificare (e industrializzare)l’organizzazione del lavoroscolastico: a ogni disciplinasovraintende un docente, cheinsegna quella cosa lì soltantonell’orario che gli è riservato; eogni docente assolve al suocompito uniformandosi e facendouniformare i suoi allievi alpercorso inscritto nell’ordinamento(temporale o logico) delladisciplina stessa. Divisione tecnicadel lavoro e sequenzialità, ovveromodello tayloristico e strutturazionedel sapere in forma manualistica si

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rinforzano vicendevolmente.

Tutto ciò è perfettamentecoerente con il modello originariodi scuola, ottocentesco, come hochiarito. E tanto più lo è con lasocietà da cui il modello traelegittimità, quella che, in termini distoria sociale della comunicazione,corrisponde all’egemonia piena eincontrastata del medium stampa. Èin quel contesto, infatti, che si èformata l’idea di scuola tuttora inauge, anzi è quel contesto che aessa ha dato forma. Maquell’universo mediale, che nonvede alternative di livello alla

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forma che i saperi ricevono dalmedium stampa, ormai non c’è più:e la sua scomparsa non data tredecenni fa, come sarebbe giustosostenere se a giustificare il suovenir meno chiamassimo in causa icosiddetti nuovi mediadell’universo digitale e telematico,ma è vecchia più di un secolo, se,come è più corretto, facciamoriferimento all’avvento dei mediadella riproduzione audio e video ea quelli della comunicazionereticolare. La crisi della formascritturale del mondo, anticipatadall’arte letteraria e figurativa, maanche dalla filosofia, comincia a

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essere evidente quando fotografia,cinema, grammofono, radio,telegrafo e telefono irrompono nelmondo, tra fine Ottocento e inizioNovecento: impiantando esviluppando nuove modalità per lacomunicazione privata e pubblica,sonorizzano quel mondo, lorivestono/travestono e, ampliandogli spazi dell’immaginariocollettivo, lo fanno più grande ericco di dimensioni. Ma, ciò chepiù importa sottolineare qui,portano un duro attaccoall’egemonia della cultura scritta,fino ad allora incontrastata, e allacoincidenza tra cultura e

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alfabetismo, caposaldo dell’azionescolastica.

Se con occhio disincantatoripercorriamo ciò che è avvenutonel XX secolo in termini di crescitaculturale delle genti, e se a questotermine riconosciamo il significatoche gli attribuisce il sapereantropologico, richiamandol’insieme delle sensazioni, delleconvinzioni, delle abitudinicondivise da gruppi e popolazioni,non sarà improprio riconoscere ilradicale salto di qualità e quantitàche intercorre tra il patrimonio diesperienza/conoscenza dell’uomo

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del primo Novecento e ilpatrimonio diesperienza/conoscenza dell’uomodi questo nuovo inizio di secolo. Ècome avere a che fare con dueantropologie diverse. Eppure, sial’uno che l’altro individuo, vivendoin contesti materiali e culturali cosìincommensurabilmente differenti,sono portatori di un’esperienza e diun’immagine di scuolasostanzialmente simili.

Come si spiega il fatto chetrasformazioni così radicali comequelle indotte dall’ormai secolaresocietà della multimedialità, che

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pur hanno contribuitomassicciamente al processo diincivilimento dei costumiindividuali e collettivi, fornendouna base sostanziale alla crescita diconsapevolezza di ciò che èdestinato a diventare evidente intermini di diritti, doveri e piaceridell’uomo, hanno toccato soltantomarginalmente e intaccato quasi pernulla l’immagine dominante discuola?

Come darci ragione di tempi emodi diversi come quelli che hannocaratterizzato l’avvento dellesocietà di massa e quelli delle

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scuole di massa?

Perché il primo fenomeno è statoletto e interpretato secondo lalogica della discontinuità e ilsecondo quella della continuità?

Perché, se ricostruiamo lavicenda novecentesca della nostrasocietà politica ci serviamo di dateche utilizziamo come riferimentistabili (1915 inizio della primaguerra mondiale, 1922 marcia suRoma, 1945 fine della secondaguerra mondiale, 1989 crollo delmuro di Berlino...) e invece sericostruiamo la vicenda della nostra

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società scolastica e universitarianessuna significativa data ci sirende disponibile?

Molte risposte sono possibili, mauna, io credo, vada esplorata, ed èquella che si misura con i problemiche pone una presa di coscienza delcarattere aperto, composito esostanzialmente complesso deiprocessi della comunicazionemultimediale novecentesca. Nonbasta ammettere che il sapereaccademico, pure nelle sue formepiù evolute, è stato incapace diconfrontarsi con simili novità:occorre andare oltre e riconoscere

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che esso ha deliberatamenterifiutato questo confronto e cheforse, per la sua stessa naturaepistemologica (è la forma logicadi cui sto dicendo), non avrebbepotuto sostenerlo senza mettere indiscussione la stessa sua natura (e,con essa, la natura di quel modellodi scuola che a quel modello disapere garantisce legittimità eriproduzione). Alludo, con ilriferimento al carattere aperto,composito e complesso deiprocessi, al carattere“indisciplinato” e scientificamente“anarchico” dei fenomeni dellacomunicazione e

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dell’intercomunicazione socialecollegati all’azione dei mediamultimediali non scrittorii: il fatto,appunto, che dalla loro natura distrumentazioni centrate sul suono el’immagine e svincolate daltradizionale regime di sudditanzarispetto alla parola scritta estampata, sia venuta una (non dettama massicciamente praticata)messa in discussione del caratterecentrale ed esclusivo del codicescritto e, con esso, del paradigmatestuale che ha, per così dire,delegittimato e dunque annullatol’impegno di analisi e diinterpretazione da parte di un

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sapere che proprio nel rivendicarela superiorità ed esclusività delcodice scrittorio e della forma astampa confermava la sua piùnobile e universalmentericonosciuta legittimazione. Lateoria dei “mezzi di comunicazionedi massa” e della loro azionecentralizzata, illusoria e distraentenei confronti di una popolazioneinerme in quanto “analfabeta”, èstato il suggello di questaautocondanna alla paralisi. Ed èsignificativo, per un verso, che alprevalere dell’istanza politica dellacondanna su quella conoscitivadell’analisi e dell’interpretazione,

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che è proprio di una tale teoria, siastato riconosciuto e sia tuttoraattribuito tanto successo, anchenell’ambito della culturadell’educazione e della scuola (viho fatto cenno prima, parlando delvalore illusorio e assolutorioattribuito allo “strapotere” deimedia di massa).

Parimenti significativo, per altroverso, è il fatto che tale teoria,diventata egemonica nell’età delpiù pronunciato sviluppo delmedium televisivo, presenti duemacroscopiche limitazioni:l’esclusione della stampa dal

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novero dei mezzi dellacomunicazione di massa e lamancata inclusione al loro internodel medium telefono. Non si trattadi disattenzioni, ma di omissioniintenzionali, io credo. Lo spiega ilfatto che la prima limitazione haconsentito al sapere accademicoscrittorio di mantenere, sia pureartificialmente, lo scettro deldominio, mentre la seconda l’hamessa al riparo dall’esigenza disviluppare un confronto con lalogica della comunicazionereticolare e decentrata, così diversadalla logica centralizzata dei mezzidi comunicazione di massa.

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La mia idea è che questo assettodi idee/rifugio e idee/rimozione nonpossa più reggere, a fronte di quelliche forse non troppoimpropriamente (almeno per leragioni che ho introdotto qui) sonoetichettati come “nuovi media”. Senuovi, il digitale e la rete, non losono, o meglio non lo sono più intermini cronologici e materiali,certo continuano a esserlo per iltipo di problemi che solleva la lorointerpretazione, una volta che siprenda atto dell’assolutainutilizzabilità nei loro confrontidella formula della “comunicazionedi massa” e si faccia giustizia delle

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resistenze interposte in propositoda parte del sapere accademico.

DIGITALE E INTERNET:LE INFRASTRUTTURE E IL

NUOVO ALFABETO PERMETTERE IN MOTO

L’IMMOBILE SCUOLA

L’esigenza di individuare nuoveo adeguatamente rinnovate corniciinterpretative, tramite le quali darconto di digitale e rete, nasce da

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due constatazioni cui sarebbe arduonegare l’importanza: non siamo inpresenza di mezzi di comunicazionedi massa, il che è pacifico, manemmeno, e questo è menoevidente, abbiamo a che fare conmedia. Più propriamente, digitale erete vanno intesi come condizioniper l’esercizio di media a un temponuovi e antichi, in quanto a questiforniscono le irrinunciabiliinfrastrutture. Rendiamocene conto.Venendo meno il digitale, oggisaremmo costretti a rinunciare nonsolo ai computer ma anche allatelevisione, all’universo dellamusica riprodotta e a buona parte

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del cinema fruibile non solo neglispazi domestici ma anche in sala.Venendo meno la rete la vita deinostri computer risulterebbefortemente ridimensionata, il chesarebbe già abbastanza grave, ma,quel ch’è più serio, buona partedell’economia mondiale e deglistrumenti che la veicolanofermerebbe la loro marcia. Inquanto infrastrutture, il digitale staai media di nuovo o vecchio coniocome l’alfabeto sta alla scritturadei testi, e Internet sta ai nuovimedia esattamente come la retestradale sta ai veicoli su gomma.Senza alfabeto nessuna scrittura

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permanente e leggibilesussisterebbe, almeno nel vecchiomondo occidentale, e senza stradenessuna auto sarebbe in grado dimuoversi e farci muovereadeguatamente. Esattamente comeavviene per l’alfabeto e per lestrade, che restano e funzionanoanche nei confronti di chi non se neserve direttamente (posso farmileggere da altri, e da altri farmiaccompagnare in macchina: maquesto sarebbe impossibile se nonci fossero alfabeto e strade), ildigitale e la rete svolgono la lorofunzione di infrastrutture anche perchi non le utilizza in modo diretto

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(è sufficiente che tu compri unpacchetto di caramelle e “sei inrete”, nel senso che sei “servitodalla rete”).

Se tutto questo è vero, risulta adir poco impressionante lariottosità del sapere accademiconostrano nei confronti dell’esigenzadi misurarsi seriamente conl’indotto mentale e ideologico,davvero di massa (anche se non nelsenso dell’espressione primacriticata), delle pratiche d’uso,dirette o indirette, di taliinfrastrutture. Sembrerebbe di potersostenere che oggi non c’è mondo

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che non sia per una qualche partecoincidente con il mondo deldigitale e della rete. Qualsiasi ideasi abbia in proposito, è indubitabileche i processi che stiamo vivendosono irreversibili e che non si dàidea di futuro (così come non la sidà di presente) che non rechi in séuno spazio adeguato per questedimensioni. Ma c’è di più. Seprima, indubbiamente forzando lecose e facendosene unarappresentazione di comodo, eraconsiderato legittimo spaccare indue il mondo del sapere,distinguendo quello della serietà edell’elevazione da quello

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dell’intrattenimento consumistico e,dunque, attribuendo la paternitàdella parte positiva ai media dellalingua scritta e stampata e lapaternità della parte negativa ai“mass media”, questo non è piùpossibile con digitale e rete che, inquanto cornici infrastrutturali,accolgono e ospitanoindifferentemente e altrettantoindifferentemente mescolanoelevazione e illusione, nobiltàintellettuale e intrattenimentosensuale.

Quella favola non funziona più.Né tantomeno può essere

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legittimamente riproposta al mondopedagogico, anche se il desiderioda parte di questo di sentirselaraccontare non tende a scemare (ese c’è chi costruisce le sue fortunesu tali improprie e fraudolenteaffabulazioni).

Insomma, c’è stato un terremoto,e di lungo periodo, ma noi, purabitando il territorio che ne èsortito e per come ne è sortito,continuiamo a vedere in piedil’immobile scuola, non intendendoprendere coscienza del fatto che difronte a noi stanno solo scheletro efantasma dell’antico fabbricato.

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Tentiamo talora qualche opera diricostruzione, ma con esiti pocopositivi, e dunque, per non vedere(non vederlo e non vederci in esso),ci collochiamo davanti impalcatureo drappi o cartelloni pubblicitari.Ma chi ci sta dentro soffre (iragazzi in primo luogo) perché,appunto, si sente preda e ostaggiodi una terribile finzione. E soffronopure i custodi e le vestali di talirovine.

Il meno che si possa dire è che cisarebbe meno lutto se, tutti assieme,provassimo a individuare idee,spazi e materiale con cui progettare

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ed edificare il nuovo edificio.

OSSERVAZIONIAGGIUNTIVE

Capisco, quello che ho propostoqui è un ragionamentodestabilizzante e inquietante. Pensoperò che sia necessario chequalcuno lo faccia. Chi non locondivide, com’è giusto cheavvenga, è invitato a controbatterecon argomenti pertinenti econvincenti, e non con semplici

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petizioni di principio. Certo, ilproblema più drammatico che vienefuori da questo tipo di analisi èquello personale. Il singoloinsegnante, a questo punto, e standocosì le cose, che può fare? Tira iremi in barca? Lascia che le cosefatalmente vadano come di fattostanno andando? Qual è il suospazio di reazione e azione?

Provo a dare due risposte, chepoi sono le stesse che orientano ladifficile e contrastata azione, mia edel mio gruppo, nel campo delladidattica e della ricercauniversitarie (per una

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documentazione in proposito rinvioal sito del Laboratorio diTecnologie Audiovisive:http://LTAonline.uniroma3.it).

Prima risposta: acquisire, se giànon la si detiene, una cittadinanzapiena e consapevole,principalmente sul piano personalee solo successivamente su quelloprofessionale, dentro i territoriprodotti e segnati dalleinfrastrutture del digitale e dellarete.

Seconda risposta: provare aintrodurre gradualmente, accanto

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alle attuali figure del saperescolastico, figure totalmentediverse, che nell’articolazionereticolare e multimediale e a-disciplinare dei saperi propostimostrino coerenza con la natura ditali territori.

Insomma, si tratta di andarecontrocorrente, sapendo di crearedisagio, a volte anche aggressivo,in colleghi e amministratori,addirittura negli stessi allievi.Costa fatica, ma quel che se nericava, per poco che sia, e nonfosse altro per il fatto che se nepossa ricavare qualcosa, garantisce

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soddisfazione. Provare per credere.

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L'autore

Roberto Maragliano, genovese di nascita e diformazione scolastica, vive a Roma.

Ha insegnato materie pedagogiche e didattichepresso le Università di Sassari, Firenze e Lecce.Dopo essere stato professore a La Sapienza, ènell’organico dell’Università Roma Tre fin dallasua costituzione. Qui attualmente insegna“Tecnologie per la formazione degli adulti” e“Comunicazione di rete per l’apprendimento”.

In ambito di Dipartimento, è promotore eanimatore del gruppo di ricerca, formazione,produzione che fa capo al Laboratorio diTecnologie Audiovisive:http://LTAonline.uniroma3.it.In ambito di Ateneo, è responsabile scientificodelle attività della Piazza Telematica:http://host.uniroma3.it/laboratori/piazzatelematica.

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Al centro del suo impegno di indagine esperimentazione c’è il rapporto fra le forme dellacomunicazione (dalla stampa al digitale e allarete, passando per l’audiovisione), i modidell’organizzazione dei saperi e le pratichedell’intervento educativo.

Tra le sue pubblicazioni: La scuola dei tre no ,Roma-Bari, Laterza, 2003; Parlare leimmagini. Punti di vista, Milano, Apogeo, 2008;Educare e comunicare. Spazi e azioni deimedia (cura con Alberto Abruzzese), Milano,Mondadori Education, 2008; Adottare l’e-learning a scuola, Roma-Torino, Garamond-Bookliners, 2011.

È ideatore della collana di eBook per insegnanti"5 COSE SU": http://ltaonline.uniroma3.it/5-cose-su.html.

L’indirizzo email di Roberto Maragliano è:[email protected]

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Edizioni CastelloVolante

Abbate G., Di Fazio E., Lezioni sul domani,2011

Magno A.M., Bastarde senza gloria. Storie didonne a Venezia dal Medioevo a PattyPravo, 2011Palumbo V., La divina suocera. Storia diMatidia che fece di Adriano un grandeimperatore, 2011

Pinardi D., Ritorno di Vasco e altri raccontidal carcere (Il), 2011

Free epub

Collana I fiori del web

AA.VV, e-perQuenau [esercizi di stile], 2011

AA.VV, Ti faccio un thriller [mini-gialli da

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una pagina a un tweet], 2011

AA.VV, Opere da tre clic [antologia dellablogosfera], 2011

AA.VV, Vite da precari [tra creatività efollia], 2011

Adolgiso A., Il resto è silenzio, 2011

Collana Semper | Grande Narrativa

Aretino P., Sonetti Lussuriosi e DubbiAmorosi, 2011

Ariosto L., Orlando Furioso, 2010

Boccaccio G., Decamerone (Il), 2010

Cervantes M., Don Chisciotte della Mancia,2011

Page 80: Immobile Scuola - Maragliano Roberto

Manzoni A., Promessi Sposi (I), 2011

Platone, Apologia di Socrate, 2010

Pirandello L., Fu Mattia Pascal (Il), 2011

Pirandello L., Novelle per un anno, 2011

Pirandello L., Uno nessuno centomila, 2011

Polo M., Milione (Il), 2010

Rabelais F., Gargantua e Pantagruel, 2011

San Francesco d'Assisi, Fioretti e Cantico ,2010

Svevo I., Coscienza di Zeno (La), 2011

Tolstoj L., Anna Karenina, 2011

Voltaire F.M.A., Candido (Il), 2010

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Collana Pensiero Fossile | Prima della storia

Formìggini A.F., Dizionarietto rompitascabiledegli editori italiani, 2011

Garibardi G., Mille (I), 2010

Serao M., Ventre di Napoli (Il), 2011

Valera P., Mussolini, 2010

Collana RosaLimone | Le città

De Marchi E., Cappello del prete (Il), 2010

De Marchi E., Demetrio Pianelli, 2010

Invernizio C., Misteri delle Soffitte (I), 2010

Invernizio C., Trovatella di Milano (La), 2010

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Svevo I., Assassinio di via Belpoggio (L'),2010

Vassallo L., Guerra in tempo di Bagni, 2010

Zuccoli L., Farfui, 2010

Collana Reincontri | Steampunk

Depero F., Prospettive fiabesche di macchinerare, 2011

Drigo P., Fine d'Anno, 2010

Drigo P., Maria Zef, 2010

Ghislanzoni A., Abracadabra, 2011

Sacchetti R., Entusiasmi, 2011

Salgari E., Meraviglie del Duemila (Le), 2011

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Tarchetti U., Racconti, 2010

Collana Ragazzi per Sempre

Anonimo, Mille e una Notte (Le), 2010

Barrie J.M, Peter Pan nei giardini diKensington, 2011

Carroll L., Alice nel paese delle meraviglie,2011

Carroll L., Alice attraverso lo specchio, 2011

Collodi C., Avventure di Pinocchio (Le), 2011

Dickens C., Canto di Natale, 2010

Invernizio C., Sette capelli d'oro della fataGusmara (I), 2011

Kipling R., Storie proprio così, 2010

Page 84: Immobile Scuola - Maragliano Roberto

Salgari E., Corsaro Nero (Il), 2010

Salgari E., Regina dei Caraibi (La), 2010

Salgari E., Jolanda, la figlia del corsaroNero, 2011

Salgari E., Misteri della jungla nera (I), 2011

Salgari E., Tigri di Monpracem (Le), 2011

Salgari E., Pirati della Malesia (I), 2011

Salgari E., Due Tigri (Le), 2011

Viscunu' S., Panciatantra, 2010

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Table of ContentsPrefazioneexlibrisLO SPIAZZAMENTO DELLA

CULTURA ACCADEMICA EDELLE ISTITUZIONI DIFRONTE ALL’IRRUZIONEDEL DIGITALE E DIINTERNET

LA NECESSITÀ DI FORGIARENUOVE ARMI PERL’INTERPRETAZIONE DELMONDO

LA FORMA POLITICALA FORMA LOGICA

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DIGITALE E INTERNET: LEINFRASTRUTTURE E ILNUOVO ALFABETO PERMETTERE IN MOTOL’IMMOBILE SCUOLA

OSSERVAZIONI AGGIUNTIVEL'autore