Il problema di questa città è il traffico

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1 Marco De Mitri Il problema di questa città è il traffico Perché siamo arrivati a questo? Come ne usciamo?

Transcript of Il problema di questa città è il traffico

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Marco De Mitri

Il problema di questa città è il

traffico

Perché siamo arrivati a questo?

Come ne usciamo?

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Con i preziosi ed esclusivi contributi di: Enrico Bonfatti, Andrea Bottazzi,

Sabino Cannone, Cosimo Chiffi, Valeria Di Blasio, Gloria Gelmi, Ester

Giusto, Daniele Invernizzi, Andrea Marella, Marco Menonna, Giampiero

Mucciaccio, Luca Pascotto, Paolo Pinzuti, Corrado Poli, Raimondo Polidoro,

Luca Santiccioli, Laura Tamburini, Daniel Tarozzi, Pasquale Vaira.

Per contattare l’autore: www.marcodemitri.it

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Indice

INTRODUZIONE 7

IL CONTESTO 13

1. I PROBLEMI DEL MUOVERSI IN CITTÀ 15

2. MA POSSIAMO DAVVERO FARE A MENO DELL’AUTO? 22

3. TRAFFICO E CITTÀ: UN NUOVO APPROCCIO 26

4. TRAFFICO, INQUINAMENTO ED EFFETTO SERRA 29

5. AUTOMOBILI E VELOCITÀ: UN MITO COSTRUITO A NOSTRO USO E CONSUMO 32

RENDERE SOSTENIBILE LA MOBILITÀ 35

6. IL RITORNO DELLE BICICLETTE 37

7. MUOVERSI IN BICI: DIFFICOLTÀ E PROSPETTIVE 40

8. I CICLISTI FANNO DA SOLI: LA CAMPAGNA #SALVAICICLISTI 43

9. IL BIKE SHARING: BICI E INNOVAZIONE 47

10. AUTO, MOTO, BICI E BUS ELETTRICI: A CHE PUNTO SIAMO? 52

11. L’AUTO ELETTRICA: IL PRESENTE E LE PROSPETTIVE FUTURE 57

12. IL RETROFIT ELETTRICO: STESSA AUTO, NUOVO MOTORE 62

13. IL CAR SHARING: CONDIVIDERE L’AUTO SENZA POSSEDERLA 66

14. L’INFOMOBILITÀ: MUOVERSI CON L’AIUTO DELLA TECNOLOGIA 70

15. IL MOBILITY MANAGER: CHI È COSTUI? 72

16. LA CITTÀ “VIVE”: I TEMPI, GLI ORARI, LA LOGISTICA 75

RENDERE CONDIVISA LA MOBILITÀ 79

17. IL TRASPORTO PUBBLICO OGGI: STATO ATTUALE E PROSPETTIVE 81

18. I MIGLIORI SISTEMI DI TRASPORTO PUBBLICO PER LE NOSTRE CITTÀ 84

19. IL TRASPORTO PUBBLICO FLESSIBILE 89

20. COM’È BELLO IL TRASPORTO PUBBLICO ALL’ESTERO! 94

21. USARE L’AUTO IN GRUPPO: IL CAR-POOLING 97

22. UN PO’ CAR POOLING, UN PO’ AUTOSTOP: ALLA SCOPERTA DI JUNGO! 101

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23. IL PIEDIBUS: ACCOMPAGNARE I BAMBINI A SCUOLA IN SICUREZZA 104

RENDERE SICURA LA MOBILITÀ 107

24. LA SICUREZZA STRADALE MIGLIORA, MA… 109

25. LE AVVENTURE QUOTIDIANE DEI PEDONI (ED I LORO RISCHI) 114

26. MIGLIORIAMO LA SICUREZZA DI CHI CAMMINA PER LE STRADE 118

27. "QUANDO UN UOMO CON LA BICICLETTA INCONTRA UN UOMO CON

L'AUTOMOBILE..." 121

28. LA SICUREZZA STRADALE 2.0 124

29. LA PSICOLOGIA DEL TRAFFICO E DELLA SICUREZZA VIARIA 128

30. SICUREZZA ED EDUCAZIONE STRADALE A SCUOLA 132

31. EDUCAZIONE STRADALE: IL PROGETTO SICURAMENTE 134

32. IL TEATRO PER L’EDUCAZIONE STRADALE 140

RIFLESSIONI 145

33. GESTIRE IL TRAFFICO CON LA PIANIFICAZIONE 147

34. QUALI SONO LE VERE “GRANDI OPERE”? 149

35. IL PROBLEMA DELLO STRETTO DI MESSINA È IL TRAFFICO… O FORSE NO. 152

36. LA VAL DI SUSA ED IL TUNNEL FERROVIARIO 154

37. LA CRISI, LE AZIONI, LE PROPOSTE 157

38. I QUARTIERI SENZ’AUTO ED IL MOVIMENTO CAR-FREE 161

39. E QUINDI... COSA FARE? 166

40. INFINE, UN RACCONTO… 172

CONCLUSIONI 177

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A Rossella

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Introduzione

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“Signor Dante, noi abbiamo molto lavoro. Lei non è di Palermo.”

- “No.” -

“Qui abbiamo problemi molto grossi.”

- “Lo so. C'è molto traffico.” -

(dal film “Johnny Stecchino”, 1991)

“Io sono un automobilista,

e in quanto automobilista sono sempre, costantemente

inc....to come una bestia”

(Gioele Dix)

Dante, l’inconsapevole sosia di Johnny Stecchino, era stato indotto a

credere che il grande problema di Palermo fosse “il traffico”, con tutte

le sue conseguenze e degenerazioni. Questa idea gli era stata indotta

per distogliere la sua attenzione da ben più gravi problemi che

purtroppo opprimono la splendida città siciliana (e non solo quella…).

Tuttavia, la dirompente presenza degli ingorghi di auto nelle strade e

l’assordante valanga sonora dei clacson lo avevano facilmente

convinto che, in effetti, il problema più grave fosse quello.

In fondo, non era così lontano dalla realtà. E non solo nel caso di

Palermo.

Pensiamoci: se siamo in auto e cerchiamo di andare in un

qualunque posto ci troviamo spesso bloccati nel traffico, ed arriviamo

a destinazione in tempi biblici e con un non indifferente livello di

stress, in tempo tuttavia per affrontare la splendida avventura della

ricerca di un inesistente parcheggio!

Se invece ci muoviamo in bicicletta la nostra impresa è molto più

movimentata: si fa la corsa tra le auto e gli autobus nella nuvola dei

gas di scarico, c’è lo slalom tra le pericolosissime buche nelle strade,

poi la giostra infernale delle rotonde e degli incroci dove non di rado

rischiamo di incontrare il Creatore ed infine, al momento

dell’insperato arrivo a destinazione, girovaghiamo disorientati per

assicurare la bici ad un palo libero (se esiste), sperando al ritorno di

ritrovarla (possibilmente integra e con tutti i pezzi al loro posto).

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Se ci muoviamo in autobus in teoria dovremmo essere più rilassati,

visto che non dobbiamo fare altro che aspettare alla fermata, salire a

bordo, metterci seduti e scendere a destinazione, senza avere problemi

di parcheggio o di trovare il famoso palo per la bici. In effetti è proprio

così, se non fosse per alcuni dettagli come le interminabili attese sotto

il sole ardente o la pioggia battente in fermate prive di pensiline

(magari con l’autobus che ritarda perché incastrato tra le auto), le volte

che l’autobus ci passa davanti di un soffio (e l’imperturbabile autista

non apre le porte, neanche se il mezzo è fermo al semaforo), le volte

che il posto a sedere è un’ipotesi remota e quello in piedi un girone

dantesco, le volte che c’è sciopero, le volte che un imbecille parcheggia

fuori posto il suo SUV bloccando la strada, eccetera.

A questo punto potremmo andare a piedi e non dovremmo avere

nessun problema, a parte i trascurabilissimi particolari della distanza

da percorrere (che non sempre si può coprire in dieci minuti), degli

incroci da attraversare (rischiando di andare all’altro mondo insieme a

quelli che vanno in bici), dello smog inalato in quantità termali ed

infine del rischio di essere investiti da un’auto, uno scooter o un

autobus che sfrecciano nervosi in uno dei rari momenti in cui

incontrano in città un tratto di strada libero.

E non è finita. I bambini che vanno a scuola a piedi non riescono

neanche a vedere cosa succede appena dietro il fuoristrada

parcheggiato sulle strisce pedonali o davanti all’incrocio. Gli anziani

hanno i loro seri problemi a percorrere in 10” netti gli attraversamenti

pedonali durante il tempo di verde che generosamente è loro concesso

prima di lasciare campo libero agli emuli di Fernando Alonso e

Valentino Rossi, che già rombano nervosi e adrenalinici dietro la linea

del via, fissando la loro attenzione non certo su di loro che

attraversano la strada (fateci caso!) ma sulla luce del semaforo, in

attesa del verde liberatorio. Se poi pensiamo a come è difficile

muoversi per chi ha perso in parte o del tutto l’uso della vista,

dell’udito o delle gambe, beh… lasciamo stare.

Ecco perché il traffico è un problema di ognuno di noi, qualunque

sia il mezzo di trasporto che usa (o che non usa). Ma muoverci è una

delle cose più belle della nostra vita, perchè ci consente di andare là

dove abbiamo bisogno o voglia di essere, per stare vicino ai nostri

affetti, per sbrigare le nostre commissioni, per seguire i nostri studi o

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fare il nostro lavoro, per poterci divertire, per conoscere altri posti ed

altre persone. Per quale motivo dobbiamo stressarci nelle code o

correre il rischio di farci male durante il semplice spostamento che

facciamo per andare in un qualsiasi posto (o per tornare a casa)? Non

ha assolutamente senso! Eppure, è esattamente quello che succede.

Possiamo porre rimedio a tutto questo, e non occorrono né spese

enormi, né tempi lunghi. Bastano investimenti contenuti ma mirati, e si

possono realizzare innumerevoli miglioramenti per rendere rapido,

gradevole e sicuro ogni spostamento che facciamo, sia esso in auto, in

bici, in autobus o a piedi.

E fare così contento il nostro amico Dante!

Marco De Mitri

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Il contesto

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Muoversi in modo sostenibile, efficiente, sicuro ed economico. Infinite pagine

vengono scritte di continuo su questi argomenti (sui libri, sulle riviste e sul

web), vista l'importanza e la vastità della materia. Anche in questo piccolo

spazio approfondiremo alcuni aspetti relativi a questa materia, incontrando

molti amici ed esperti con cui confrontarci e da cui imparare cose nuove.

Parleremo di metodi e tecniche di mobilità sostenibile, in termini di misure

organizzative, tecnologie innovative ed iniziative in grado di migliorare i

trasporti e la mobilità.

Viaggeremo in treno ed in autobus, per conoscere il mondo del trasporto

pubblico, principale misura di facilitazione degli spostamenti delle persone e

strumento al momento ancora poco sfruttato, nonostante le sue enormi

potenzialità.

Dedicheremo inoltre particolare attenzione al problema della sicurezza

stradale, troppo spesso trascurata dai mezzi di informazione o affrontata in

modo superficiale e poco obiettivo, ed impareremo quali sono le misure più

efficaci per spostarci con tranquillità.

Faremo infine alcune riflessioni relative alla necessità di investire il nostro

(poco) denaro in opere più o meno imponenti e più o meno importanti,

chiedendoci quali sono le infrastrutture che possono davvero dare risposta ai

problemi di mobilità del nostro Paese.

Ma prima di tutto questo, occorre capire perché ci troviamo in questa

situazione. Come siamo arrivati a questo?

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1. I problemi del muoversi in città

colloquio con Valeria Di Blasio

Il nostro stile di vita, frenetico o rilassato che sia, è strettamente

legato a come ci muoviamo per svolgere le nostre attività: andare a

lavorare, a scuola, a svolgere commissioni, o anche semplicemente

uscire per divertirsi con amici. A noi italiani l’auto piace molto e la

usiamo tanto, spesso anche quando non ce n’è un reale bisogno. L’uso

dell’auto ha in effetti alcuni lati positivi (l’autonomia in primis), che

però, soprattutto negli spostamenti urbani, sono spesso superati da

altri ed importanti elementi negativi, subiti in prima persona da chi

guida (tempo perso in coda, difficoltà e costi di parcheggio, ecc.), per

non parlare dei crescenti costi di gestione.

Esistono però anche conseguenze negative subite dal resto dei

cittadini, che magari si muovono senza usare l’auto, o addirittura non

si spostano affatto, per scelta o per necessità. Essi subiscono in pieno

gli impatti dannosi del traffico automobilistico, pur senza avere il

beneficio di effettuare alcuno spostamento in auto. Queste persone

risentono cioè dei cosiddetti “costi esterni”, effetti negativi che sono

generati solo da chi usa il sistema di trasporto automobilistico, ma

sono paradossalmente subiti da tutti gli altri cittadini (anche da chi

non possiede neppure l’automobile).

Siamo alla ricerca di un difficile equilibrio. Da un lato occorre

garantire il diritto alla mobilità di ognuno di noi. Dall’altro lato

bisogna far sì che la nostra qualità della vita non sia danneggiata dagli

impatti del traffico (specialmente per colori i quali non contribuiscono

neanche generarlo). La ricerca di questo equilibrio però spesso si

scontra con vincoli che appaiono insuperabili, anche se le cause sono

ben conosciute.

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Parliamo di questi problemi e delle possibili soluzioni con Valeria

Di Blasio, urbanista ed esperta dell’argomento.

***

Che impatto ha sulla vita delle persone il traffico stradale?

I danni generati dall’attuale modello di mobilità, basato sull’uso

indiscriminato dell’auto privata e sulla motorizzazione di massa, sono

sotto gli occhi di tutti: le nostre città sono sempre più invivibili, e ad

affermarlo non sono soltanto gli esperti, ma gli stessi cittadini italiani,

che considerano la congestione del traffico come il principale problema

che li affligge, seguito dall’inquinamento dell’aria e dalla difficoltà di

trovare parcheggio.

Se l’auto una volta costituiva un simbolo di libertà, velocità e

progresso, oggi non è più così. Il traffico è ormai parte integrante della

vita urbana, condiziona le nostre abitudini, sottrae tempo alle relazioni

sociali e agli affetti, causa stress, nuoce alla salute. Ogni giorno in

media 10 persone muoiono in incidenti. L’inquinamento prodotto

dalle auto miete migliaia di vittime ogni anno nell’indifferenza di

molte amministrazioni locali, che per legge sono responsabili del

controllo delle emissioni. In quasi tutte le grandi città infatti i limiti di

PM10 imposti dalla direttiva sulla qualità dell’aria non vengono

rispettati e le polveri sottili provocano il 9%dei decessi tra le persone

sopra i 30 anni.

Oltre ai danni sociali ed ambientali bisogna ricordare infine i costi

economici legati al possesso ed alla manutenzione dei veicoli privati:

ogni famiglia italiana spende in media, per l’auto, circa 5.000 Euro

l’anno; inoltre, secondo una ricerca dell’ACI, 40 miliardi di euro l’anno

è il valore economico complessivo del tempo perso nel traffico.

Le alternative all’uso dell’auto, però, sono spesso poco appetibili. Il

trasporto pubblico urbano e la mobilità in bicicletta spesso non hanno dagli

amministratori l’attenzione che meritano. Approfondiamo questi aspetti.

In assenza di valide alternative l’automobile resta il mezzo preferito

dagli italiani, nonostante la grande maggioranza, ben l’86%, dichiari

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(secondo una ricerca Isfort) che, a parità di tempi di percorrenza,

sarebbe disposta ad utilizzare i mezzi pubblici.

In realtà oggi la quota di spostamenti con mezzi pubblici è del tutto

marginale (intorno al 13%), soprattutto a causa di scarso comfort di

viaggio, coincidenze non ottimali e collegamenti saltuari e poco

frequenti. A differenza di molte realtà europee, la situazione delle città

italiane risente di un pesante deficit di trasporto collettivo, soprattutto

su ferro (cioè tram e treni locali). Le misure adottate finora sia dallo

Stato che dalle Regioni a favore del trasporto collettivo locale e

regionale sono del tutto insufficienti a garantire un servizio adeguato,

sia in qualità che in quantità.

La bicicletta, che potrebbe rappresentare un vero e proprio mezzo

di trasporto in città per le brevi distanze (il 44% degli spostamenti in

auto è inferiore a 5 km), non riesce ad affermarsi in Italia soprattutto a

causa della mancanza di condizioni di sicurezza sulle strade, mentre in

altri Paesi europei come l’Olanda la percentuale di spostamenti in bici

arriva quasi al 30%.

In questo contesto appare chiaro come la pianificazione urbanistica

dovrebbe ricoprire un ruolo rilevante. Cosa si può dire a proposito dei

programmi e dello sviluppo urbano che hanno caratterizzato le città in questi

ultimi anni?

Nell’attuale situazione di crisi complessiva del sistema della

mobilità non si può fare a meno di attribuire delle responsabilità alla

cattiva pianificazione urbanistica, che non ha tenuto sufficientemente

conto del legame stretto che sussiste tra territorio e trasporti. La

motorizzazione di massa ha indotto la dispersione della densità

insediativa con effetti nefasti sull’ambiente e sul consumo di territorio,

ed è venuto a mancare il presupposto fondamentale della città intesa

come luogo privilegiato di relazioni e di scambio di beni e servizi.

Purtroppo, da decenni in Italia si registra uno “scollamento” tra

politiche del territorio, pianificazione urbana e politiche dei trasporti e

delle infrastrutture. Negli anni Novanta attraverso i Piani Urbani del

Traffico si è tentato di adottare provvedimenti di regolazione del

traffico privato, di rilancio del trasporto collettivo, di innovazione

tecnologica e di servizio. Il Piano Urbano della Mobilità, introdotto

invece nel 2000, avrebbe dovuto permettere di fare un ulteriore passo

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avanti. Tuttavia questo strumento, a parte alcune eccezioni, non è mai

decollato, anche causa della mancata istituzione di un fondo statale per

i finanziamenti.

Nell’ultimo periodo, inoltre, la domanda complessiva di mobilità è

ulteriormente cresciuta in seguito ai fenomeni di espansione e

"metropolizzazione" delle città, con conseguente allungamento delle

distanze degli spostamenti casa-lavoro e con l’aumento dei tempi di

percorrenza.

A seguito della particolare trasformazione che hanno seguito le nostre città

le auto sono quindi diventate elementi fondamentali e per certi versi

insostituibili. Si è creato un circolo vizioso generato dallo spostamento delle

residenze dei cittadini verso le periferie, che ha generato da un lato un effetto

discriminante (chi ha un reddito più basso è costretto ad allontanarsi dal

centro) e dall’altro la necessità dell’uso dell’auto per qualsiasi spostamento.

Come si spiega la relazione tra questi fenomeni?

A causa dell’incremento del costo delle case, una quota significativa

di cittadini dalle grandi aree urbane si è spostata nelle periferie, che

sono “esplose” fino a saldarsi in alcuni punti con i comuni limitrofi,

dove si sono trasferite migliaia di persone. Di contro, il trasporto

ferroviario regionale non si è adeguato alla crescita della domanda, e

ha visto moltiplicarsi i disagi per gli utenti.

È proprio tra le fasce più deboli della popolazione, nelle periferie,

che troviamo gli “schiavi dell’automobile”, coloro cioè che, non

trovando un’adeguata offerta di servizi alternativi, devono

necessariamente ricorrere quotidianamente all’auto. I nuovi

insediamenti residenziali ed i poli di consumo e di intrattenimento (i

cosiddetti “superluoghi”) sono progettati per essere raggiungibili

quasi esclusivamente con il mezzo privato.

Per definizione, la città è un sistema il cui buon funzionamento

dipende dalla reciproca relazione tra le sue componenti fisiche e

sociali; progettare parti di città significa anche progettare lo spazio

della mobilità e garantire buone condizioni di accessibilità a tutti i

cittadini (compresi quelli che non possiedono un’automobile). La

difficoltà di movimento e di accesso ai beni e ai servizi genera invece

nuove forme di marginalità, iniquità e disagio sociale.

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Come si esce da questa situazione? Sappiamo che l’Unione Europea è

molto attiva sul tema, ma questo non è sufficiente. Occorre lavorare sul

potenziamento del trasporto pubblico, sul miglioramento della pianificazione,

ecc. Cosa possiamo dire in proposito?

Prima di tutto bisogna superare la separazione e tra infrastrutture,

trasporti, ambiente, città e territorio, attraverso una progettazione

integrata e multidisciplinare, avendo come obiettivo la qualità

dell’ambiente urbano. Dall’Unione Europea provengono numerosi

segnali in questo senso. La Strategia Tematica dell’Ambiente Urbano

evidenzia la necessità di una pianificazione che tenga conto di tutte le

componenti del territorio; in particolare la mobilità sostenibile deve

essere considerata una priorità per i singoli Stati e amministrazioni

locali.

Bisogna che si diffonda la consapevolezza che il cambiamento

dell’attuale sistema di mobilità è indispensabile e urgente per

migliorare la qualità di vita nelle città. L’urbanistica può svolgere in

questo senso un ruolo importante: bisogna privilegiare un modello di

città compatta, più efficiente dal punto di vista del tempo e

dell’energia risparmiati negli spostamenti e più sostenibile grazie al

minor consumo di suolo. Lo sviluppo urbano deve avvenire attorno

alle linee di forza del trasporto pubblico su ferro, favorendo processi di

densificazione urbana nei nodi ad alta accessibilità.

Bisogna ripensare e valorizzare lo spazio pubblico, anche con

interventi che possono essere realizzati a costo zero, ad esempio

incentivando gli spostamenti a piedi e in bicicletta (soprattutto per

raggiungere i servizi pubblici come le scuole) e cercando di accrescere

le condizioni di sicurezza sulle strade limitando la velocità dei veicoli,

ad esempio con l’introduzione delle “Zone 30”.

Occorre inoltre rilanciare i Piani Urbani della Mobilità, non solo su

scala comunale, ma anche provinciale e regionale, rendendoli

indispensabili (ad esempio ai fini dell’ottenimento dei finanziamenti),

e vincolanti anche rispetto agli altri strumenti di pianificazione (Piani

Territoriali Provinciali, Piani Urbanistici Comunali, Piani Energetici,

Piani Per Il Miglioramento Della Qualità Dell’Aria, etc.).

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L’approccio da seguire è quindi da studiare con cura. Quali sono i punti su

cui occorre insistere? E quali sono invece le misure da evitare perché

inefficaci?

Le alternative all’attuale modello di mobilità sono note e già

largamente diffuse in altri Paesi; esse riguardano principalmente il

potenziamento di tutte le forme del trasporto collettivo pubblico

locale, la diffusione del trasporto condiviso (autobus a domanda, taxi

collettivi, car e bike sharing, ecc.), la facilitazione degli spostamenti a

piedi e in bicicletta, e la riorganizzazione del trasporto merci con

l’adozione di progetti di “city logistics”.

È assolutamente necessario ribaltare l’agenda nazionale ed europea

della politica dei trasporti: non più solo grandi opere e collegamenti

internazionali, ma più attenzione al trasporto pubblico locale. In Italia

soprattutto servirebbe un investimento massiccio per un netto

miglioramento dei servizi. Occorre un approccio “di sistema” per

incidere efficacemente sulla disastrosa situazione attuale: non bastano i

pochi esempi di buone pratiche che pur esistono, come lo stop

episodico ai veicoli con bassi standard di emissioni inquinanti, o i

provvedimenti di limitazione come le targhe alterne.

Altra strada intrapresa da alcune amministrazioni riguarda

l’introduzione di “ticket” sull’uso del motore privato in città o nelle vie

più trafficate, come nel caso di Milano. Si tratta però di misure che

vanno studiate con cura, analizzando sia l’efficacia (sono strumenti che

servono a raggiungere lo scopo?) che l’equità (in che modo colpiscono

le diverse fasce di reddito? Tali misure potrebbero essere inique perché

si colpiscono i comportamenti a prescindere dal reddito di chi li mette

in atto, quindi con un implicito vantaggio per i più ricchi).

Che indirizzo si può dare ai soggetti responsabili della pianificazione e

della programmazione urbana? Proviamo ad indicare quali sono le strade, le

prospettive da seguire e le idee da applicare per invertire la rotta e portare le

nostre città al livello già raggiunto da molte altre città in ambito europeo e

mondiale.

Per progettare un nuovo sistema di mobilità ed elaborare soluzioni

all’altezza dei problemi non si può che iniziare dalla conoscenza e

consapevolezza dello stato di fatto, dalla trasparenza delle decisioni e

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dalla chiarezza degli obiettivi. Sarebbe necessario che ciascuna

amministrazione si dotasse di un Bilancio Ambientale e Sociale della

Mobilità, che contenesse tutti i dati inerenti la situazione della

mobilità e i danni da essa generati (inquinamento ambientale ed

acustico, incidentalità, costi sanitari indotti, consumo di energia del

settore, congestione, costi economici) per avere chiaro il quadro di

partenza, visualizzare i problemi nel loro insieme (e nel moltiplicarsi

degli effetti negativi) e poter pianificare e stabilire correttamente gli

obiettivi da raggiungere.

Inoltre, il ricorso a procedure strutturate di partecipazione è

fondamentale per consentire ai cittadini di stabilire le priorità degli

obiettivi e monitorare l’attuazione e l’efficacia delle misure adottate.

Per affermare il diritto a una mobilità più sicura, equa e sostenibile

serve una larga mobilitazione, e per creare la “massa critica” è

necessaria una rivoluzione prima di tutto “culturale”: l’automobile

oggi non rappresenta semplicemente un mezzo di trasporto, ma fa

parte dell’immaginario collettivo e individuale. Per questo bisogna

sviluppare, in alternativa, servizi di mobilità urbana innovativi che

vadano oltre il tradizionale trasporto pubblico e che siano più

personalizzati, flessibili, comodi, veloci. In futuro si andrà sempre più

verso una mobilità come servizio, in sostituzione del regime di

proprietà dell’auto. Bisogna però che qualcuno inizi a far “apparire”

queste soluzioni, per farle diventare conosciute e desiderabili, dal

momento che la richiesta esiste, anche se oggi è ancora nascosta.

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2. Ma possiamo davvero fare a meno

dell’auto?

Come vado oggi in ufficio? Prendo la macchina o il treno?

Bella domanda… ma si tratta davvero di una “scelta” nel senso

vero e proprio del termine (cioè di una alternativa tra tante), oppure

abbiamo a che fare con una decisione obbligata (cioè una “non

scelta”)?

Molti di noi la vivono come esperienza personale: spesso è difficile

scegliere come muoversi (in treno, auto, in bicicletta, ecc.), a causa

delle condizioni esterne, che risultano decisive. Innanzitutto influisce

la distanza tra la propria residenza ed il luogo di lavoro (o di studio),

poi ci sono le infrastrutture (strade, ferrovie), i mezzi (auto, bicicletta)

ed i servizi (treni, autobus) che si hanno a disposizione per effettuare

lo spostamento. Chi ha la possibilità di scegliere davvero tra diverse

alternative, trova alla fine trova la migliore soluzione per la propria

specifica situazione. Questo, tuttavia, non vuol dire che il sistema della

mobilità (nel suo complesso) funzioni nel modo più efficiente. Ad

esempio, è frequente che sia chi si muove in auto che chi si muove in

treno lamenti disagi e cattiva efficienza del sistema di trasporto che

usa (strada o ferrovia), e soprattutto negli spostamenti verso le grandi

città. Occorre quindi intervenire.

Non si tratta solo di decidere se destinare le risorse economiche

pubbliche per nuove strade o per nuove ferrovie. Il problema deriva

anche dalla gestione del territorio a livello urbanistico ed economico.

La causa, in particolare per le le grandi città ed il loro hinterland,

deriva dalla persistenza di politiche ed interessi che, negli anni, hanno

modificato le funzioni del territorio separandole fisicamente e

distanziandole in misura notevole.

Ampie zone delle città sono state trasformate in luoghi aventi solo

funzione di lavoro (o di commercio), e parallelamente sono stati

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“raggruppati” gli spazi di residenza e portati fuori dai centri vitali

delle città stesse, fino a trasformare i piccoli paesi che circondano le

grandi città (i quali, fino a pochi anni fa, erano ancora a misura

d’uomo) in appendici delle città stesse, aventi spesso connotazione di

quartiere dormitorio. Questo, manco a dirlo, genera necessariamente

spostamenti di distanza tale da poter essere coperti solo con la mobilità

motorizzata (auto o mezzi pubblici).

Nonostante i buoni propositi e la presa di coscienza degli enormi

problemi generati dall’uso intensivo delle auto, molte persone sono

quindi materialmente impossibilitate a farne a meno.

Vediamo in particolare il caso delle periferie delle aree

metropolitane, in cui molti di noi vivono e, volenti o nolenti, non

possono fare a meno dell’auto.

Numerose metropoli, in tutto il mondo, hanno vissuto negli anni

uno sviluppo urbanistico apparentemente ordinato e regolare, che ha

portato alla nascita di estese periferie nelle quali è possibile riconoscere

alcuni tratti comuni. Come è possibile osservare anche in alcune

grandi città italiane, molte periferie sono caratterizzate da diversi

ambiti ben distinti.

Ci sono innanzitutto le zone residenziali, costituite da palazzoni

circondati da aree verdi (in genere poco fruibili) o, al contrario, da

villette indipendenti e dotate ognuna di un proprio giardinetto (spesso

usato solo come posto auto). In entrambi i casi però queste zone sono

prive di molte delle funzioni tipiche delle necessità di tutti i giorni (es.

piccoli esercizi alimentari, edicole, bar, farmacie, ecc.).

Ci sono poi le aree commerciali, ben separate da quelle residenziali,

nelle quali si concentrano esercizi di notevoli dimensioni (i cosiddetti

megastore di varie catene commerciali), specializzati in differenti

categorie merceologiche (abbigliamento, alimentari, elettronica, ecc.), e

presi d’assalto nelle giornate non lavorative, compresa la domenica!

Infine gli uffici, a loro volta concentrati in palazzoni appositamente

dedicati, che non ospitano altre attività e che “vivono” seguendo gli

orari lavorativi. Si spengono, letteralmente, al termine dell’orario di

lavoro e nei giorni festivi.

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Ed analoga tendenza stanno mostrando le scuole, con la

concentrazione degli istituti in poli scolastici multifunzionali e la

chiusura di quelli più piccoli.

Le diverse funzioni (residenze, commercio, uffici, studio, persino i

luoghi di svago come i cinema) vengono quindi fisicamente separate

una dall’altra e collocate in aree indipendenti e distanti: zone

residenziali, zone commerciali, zone uffici, poli scolastici. Ad una

prima impressione questo può sembrare un approccio che razionalizza

l’uso dello spazio e delle risorse. In realtà,

la separazione fisica delle aree per funzioni obbliga a compiere

spostamenti di media lunghezza anche per ogni piccola necessità

quotidiane (come compare il pane), imponendo nei fatti un massiccio

ed esclusivo ricorso all’automobile.

Queste zone sono peraltro spesso caratterizzate da grandi assi di

scorrimento (anche a 2 e 3 corsie per senso di marcia), che di fatto

impediscono anche l’uso della bicicletta, persino nei pochi casi in cui la

distanza potrebbe consentirlo. La risposta non può che essere quindi

l’uso massiccio dell’auto, anche considerando il fatto che in tali zone il

trasporto pubblico, se esiste, è caratterizzato solo da linee a bassa

frequenza dirette unicamente al centro città.

Questa condizione, derivante da decenni di scelte urbanistiche

sbagliate, viene in alcuni casi definita di “città diffusa” (il cosiddetto

sprawl urbano). È facile comprendere però che alla fine lo spazio

utilizzato è ben maggiore – a parità di residenti – rispetto a quello

tipico dei centri cittadini, dove però coesistono le varie funzioni

(residenze, negozi, uffici, scuole, svago, ecc.) e dove è in effetti più

facile rinunciare all’auto per via delle distanze ridotte e delle strade

percorribili anche a piedi o in bicicletta. In definitiva, si perviene ad

una situazione caratterizzata da bassa densità abitativa ed alto

consumo di suolo, contrariamente a quanto potrebbe apparire a

seguito di una riflessione affrettata.

25

Dispersione (sprawl) suburbano – Florida, USA

L’inutile consumo di suolo e la distanza tra le residenze e le zone di

attività (uffici, negozi, ecc.) sono inoltre causa di barriere e difficoltà di

relazione, che peggiorano enormemente la qualità della vita delle

persone che abitano in queste aree. Sono infatti del tutto assenti centri

naturali di aggregazione come piazze, circoli, ecc. Quindi,

la causa dell’uso intensivo delle auto è spesso da ricercare al di

fuori delle preferenze personali,

e può derivare, come nel caso delle periferie metropolitane, da

situazioni che ne obbligano l’uso, e che scaturiscono da scelte (o forse è

meglio dire “non scelte”?) sbagliate rispetto alle esigenze ed ai bisogni

veri delle persone (come quello di avere una adeguata qualità della

vita). In questi casi quindi i responsabili dell’overdose di automobili

non sono certo i singoli cittadini, ma gli amministratori che hanno

consentito ed inseguito la nascita e la diffusione di questo modo di

gestire il territorio.

26

3. Traffico e città: un nuovo approccio

Intervista a Corrado Poli1

***

In tutta Europa, quanto nel resto del mondo, sono ormai da tempo chiari i

problemi derivanti da un eccessivo uso dell’auto privata nelle città

(inquinamento, congestione, incidenti, ecc.) e la conseguente necessità di un

cambiamento nel modo di muoverci. Sono ugualmente note da tempo anche le

tante misure che si possono prendere per risolvere il problema. Eppure gli

interventi messi in atto risultano spesso poco incisivi… Allora dov’è il

problema?

Chiaramente va ridotto il numero di vetture circolanti. Le auto non

inquinano solo quando marciano, ma anche stando ferme: infatti

occupano spazio, e si deve sempre pensare al loro smaltimento quando

saranno vecchie. Ma anche il trasporto pubblico ha elevati impatti

ambientali che non vanno sottovalutati. Io credo che sia necessario

studiare politiche urbane basate sul contenimento della necessità di

muoversi e non più sulla crescita indefinita di una mobilità esagerata,

folle e sprecona. Viaggiare deve e può essere un piacere – anche in

auto eventualmente – ma non possiamo identificare il progresso come

lo spreco di costringere milioni di persone a spostarsi quotidianamente

su percorsi sempre più lunghi. L’idea di costringere la gente a

muoversi continuamente è vecchia, soprattutto nell’era delle

telecomunicazioni. Viene tenuta in vita solo perché ci sono lobby che

su questo – auto private, ma anche infrastrutture di trasporto pubblico

1 Studioso e ricercatore sociale esperto in politiche urbane e ambientali, autore di

numerosi saggi e monografie, tra cui il recente Mobility and Environment - Humanists versus Engineers in Urban Policy and Professional Education.

27

– hanno creato un sistema economico difficile da sradicare e cambiare.

Con la gradualità adeguata è però necessario affrontare i problemi in

modo radicalmente nuovo. Proseguendo sulla strada attuale non si

arriva da nessuna parte.

La situazione di numerose città è problematica da molti punti di vista: il

traffico e la congestione sono forse solo un sintomo di un problema più

complesso, che ha tra i suoi effetti anche i danni all’ambiente, lo spreco di

risorse, ecc. Evidentemente non si tratta solo di una questione

“ingegneristica”, ma che investe anche altri aspetti (sociali, culturali, ecc.).

Approfondiamo questo punto.

Gli esseri umani non sono molecole di fluido: si muovono nell’una

o nell’altra direzione, con l’uno o l’altro mezzo, e infine nel momento

in cui decidono perché fanno delle scelte. Occorre rendere disponibili

quante più scelte possibili a una società che è sempre più variegata e

non è più costituita da una massa con le stesse preferenze. Va da sé,

quindi, che un esame dei comportamenti e delle preferenze dei

cittadini consumatori di mobilità potrebbe facilitare l’offerta di

soluzioni alternative al movimento attuale e agli attuali piani del

traffico.

Per affrontare i temi ambientali, economici e sociali di questo difficile

periodo si parla e si pensa in termini di “sviluppo sostenibile”, sottintendendo

quindi (giustamente) che al momento questa sostenibilità non esiste. Ma al di

là della questione “sostenibilità”, cosa possiamo dire riguardo al concetto di

“sviluppo” ed alle teorie che vi ruotano intorno?

La parola “sostenibile” non fa parte del mio vocabolario: è un

concetto vuoto e abusato. Lo sviluppo non ha bisogno di aggettivi

perché è buono di per sé. E se vogliamo sviluppo vero dobbiamo

pensare a un progresso che risponda alle esigenze dei cittadini di oggi,

non a quelli di ieri (i quali pensavano che la materialità della crescita

fosse l’unico obiettivo valido). Siamo un popolo ricco ed evoluto: i beni

superiori che generano lo sviluppo futuro non possono che essere

legati a una migliore qualità della vita, della salute e a un impegno

morale nel rispetto della natura e dell’ambiente.

28

Esistono comunque in giro per il mondo esempi innovativi e buone

pratiche. Quali sono le esperienze più significative in merito? E cosa possiamo

dire riguardo alle città italiane?

Esistono numerosi esempi ormai di buone pratiche in tutto il

mondo e anche in Italia. Ho visitato decine di centri europei e

americani dove sono state introdotte interessanti tecnologie: ci sono le

comunità de-motorizzate, esempi efficienti di trasporto pubblico,

tecnologie per auto non inquinanti, ecc. Ma non mi sono mai

entusiasmato troppo: non credo che il problema siano le singole

tecniche applicate qua e là. Piuttosto va sviluppata una nuova

tecnologia e vanno create le condizioni politiche e ideologiche perché

venga concesso spazio a modelli di organizzazione urbana alternativa

a prescindere dalla mobilità e dal trasporto. Si tratta di una cruciale

questione democratica e politica: rispondere alla domanda crescente di

tutela della salute e di potere vivere secondo modelli diversi da quelli

standard da parte di una quota crescente delle popolazioni occidentali.

Il mio auspicio è che oggi, più che di pianificazione, si debba

parlare di innovazione e creatività. Le burocrazie e i governi

dovrebbero riuscire a elaborare nuove idee e introdurre il mutamento.

Nei paesi più competitivi questo già si fa. In Italia scontiamo un grave

ritardo e continuiamo a credere che un ulteriore aumento dell’offerta

di trasporto sia la soluzione a tutte le disfunzioni urbane.

Io non lo credo.

***

29

4. Traffico, inquinamento ed effetto serra

Intervista a Daniel Tarozzi2

***

Il settore dei trasporti e della mobilità è uno dei più importanti (insieme

all’energia, all’industria, all’agricoltura) nel contribuire alle emissioni di gas

serra dovute alle attività umane, responsabili dei mutamenti climatici in atto.

Quali sono gli scenari che si prospettano per il clima del pianeta?

Non sono in grado di dipingere scenari futuri. Quello che è certo è

che nel nostro presente i danni dovuti all’inquinamento e alle

emissioni sono evidenti. I problemi più grandi li vivono come al solito

i paesi meno coperti dai mass media: le isole in mezzo all’Oceano, i

paesi africani, quelli asiatici. Si scherza sempre sul fatto che “non

esistono più le mezze stagioni”, ma è anche vero che a Roma ormai

assistiamo ad un fenomeno che richiama i monsoni indiani tra maggio

e giugno… Possiamo continuare a far finta di niente, ma il risveglio

sarà poi più doloroso… Inoltre, non dobbiamo mai dimenticare che il

problema mobilità non ha solo risvolti ecologici o ambientali. Il vero

dramma della mobilità basata sull’automobile è la disgregazione

sociale, la rabbia, la frustrazione, che questo sistema genera ogni

giorno in milioni, forse miliardi di persone. Malattie, incidenti,

omicidi, stress, infarti…

Si parla molto di Protocollo di Kyoto, strategia 20-20-20 ed altre attività

avviate in questi anni. Sono sufficienti le iniziative prese dagli organi di

governo nazionali ed internazionali per far fronte ai cambiamenti climatici?

2 Direttore responsabile del progetto editoriale Il Cambiamento, importate testata nel

panorama dell’informazione indipendente.

30

Difficile valutare l’efficacia di queste strategie in un Paese come

l’Italia che sta facendo poco o niente per cambiare le cose. In linea di

massima credo che queste strategie siano necessarie, ma non

sufficienti.

Riflettiamo sul trasporto su strada, ed in particolare sul trasporto privato

in auto. Ci sono diverse tecniche e metodologie che si possono utilizzare per

ridurne gli effetti negativi (favorire il trasporto pubblico, la mobilità ciclabile,

ecc.), ma si fa fatica a metterle in pratica. Si tratta forse di un “problema

culturale”?

Assolutamente sì. Tutti si lamentano ma nessuno è disposto a

cambiare le proprie abitudini o a rinunciare alla presunta comodità

dell’automobile privata. Vorrei poi capire in cosa consista questa

comodità. Nel girare anche un’ora e mezzo per trovare un parcheggio?

Nel pagare le multe sempre più salate per parcheggio in doppia fila?

Nell’accelerare e inchiodare a ogni semaforo? Io non uso più l’auto da

anni, ma ricordo ancora i pianti e lo sconforto di alcune nottate passate

a cercare un posto… Si vive meglio senz’auto. Si risparmiano un sacco

di soldi, che si possono reinvestire in taxi, car sharing, mezzi pubblici,

bicicletta, motorino. Certo, ci vorrebbe una rete di mezzi pubblici

molto più efficiente. Ma cominciamo ad abbandonare l’auto. E poi

potremo andare dai nostri politici e pretendere una mobilità diversa.

Uno dei principali problemi legati alla mobilità è dato dal consumo di

risorse energetiche, in primis di combustibili fossili. La questione della

strategia energetica nazionale, soprattutto in questo periodo, è molto

dibattuta. Quale dovrebbero essere le linee di intervento da seguire per

garantire ad ognuno il soddisfacimento dei propri bisogni nel rispetto e nella

salvaguardia dell’ambiente (cioè della nostra qualità della vita)?

Ridurre gli sprechi, ridurre i consumi e poi chiedersi quale energia

utilizzare. Il dibattito sulle rinnovabili è un falso dibattito. Finché non

si punta seriamente all’efficienza e al risparmio energetico non c’è

energia alternativa che tenga. Paradossalmente, è molto più ecologica

un auto a benzina che fa 100 chilometri con un litro che non un auto

elettrica… Tutti pensano che l’auto elettrica sia la soluzione… Ma non

ci si rende conto che si sposta solo il problema, se l’energia continua ad

31

essere prodotta con fonti fossili (e magari nucleare). E c’è comunque da

chiedersi se ci potranno mai essere abbastanza pannelli solari da poter

far circolare centinaia di milioni di automobili…

Io credo che se si abita in città e non si hanno problemi motori

l’automobile secondo me va eliminata. Ma se si abita in campagna è

ovvio che questo mezzo si rende necessario. Un’auto poco inquinante è

meglio di un’auto più inquinante, ma non dimentichiamoci che ogni

volta che cambiamo automobile, contribuiamo all’inquinamento

dovuto alla produzione della stessa oltre che allo smaltimento della

precedente. Insomma, non ci sono soluzioni valide per tutti. Il mio

invito è sempre lo stesso: riprendiamoci il senso delle cose,

domandiamoci cosa si nasconda dietro ogni oggetto, dalla sua

produzione, al suo smaltimento, e poi decidiamo quale sia la nostra

soglia di compromesso.

***

32

5. Automobili e velocità: un mito costruito a

nostro uso e consumo

Provate a contare quanti spot sono dedicati alle auto durante ogni

interruzione pubblicitaria in televisione!

Farete una scoperta incredibile. La quantità di spot dedicata alle

auto è enorme, ormai ne siamo totalmente assuefatti. E tutti, fateci

caso, mostrano le auto che corrono libere lungo paesaggi da cartolina,

e non immerse negli ingorghi urbani, come invece avviene ogni

giorno.

Avessi mai visto uno spot che invita ad andare in bicicletta o in

autobus... Ovvio, è la regola del mercato: gli spazi pubblicitari sono

venduti a chi fa il prezzo migliore, e difficilmente potrà esserlo un

produttore di biciclette, rispetto ai grandi marchi automobilistici. Ma è

giusto che sia così, al di là delle regole di mercato? La pubblicità delle

auto può essere regolata?

Ovvia naturalmente la posizione di chi ha un punto di vista

prettamente “economico” e finanziario, che sottolinea l’importanza

della pubblicità e la sua influenza nel sostenere il “sistema” dell’auto.

D’altra parte, c’è chi, soprattutto tra i gruppi come Amici della Terra,

evidenzia il mancato rispetto delle norme di legge europee sulla

pubblicità delle auto e sull’informazione al consumatore. Secondo essi,

la violazione sistematica della direttiva 1999/94/CE 3 nega al

consumatore il diritto a un immediato riconoscimento delle

diseconomie d’uso e ambientali associate al modello pubblicizzato.

Altre associazioni fanno invece riferimento anche ad altre norme

già esistenti in materia, come quelle sulla sicurezza previste dal Codice

di autodisciplina pubblicitaria ed alcune delle segnalazioni

3 relativa alla disponibilità di informazioni sul risparmio di carburante e sulle

emissioni di CO2.

33

(riguardanti spot che incentivavano comportamenti di guida pericolosi

o scorretti) sono state effettivamente accolte.

Ci sono inoltre le norme generali sulla pubblicità ingannevole, su

cui dovrebbe vigilare l’Autorità garante della concorrenza e del

mercato (Antitrust). Anche su questo aspetto, in passato,

sono state già avanzate segnalazioni per le pubblicità che

associano alle automobili termini come “verde”, “ecologico”,

“rispettoso dell’ambiente”, che alludono a benefici ambientali che le

automobili non possono generare.

Resta invece da valutare se sia questo il caso anche degli spot che

presentano le automobili in contesti che non sono quelli correnti d’uso

(deserti, laghi salati, strade di isolate, ecc.). In Francia questo genere di

spot è stato vietato dall’Autorità di regolazione professionale della

pubblicità.

Ci si chiede se non sia opportuno promuovere la creazione un

fondo monetario, grazie ad una quota della spesa pubblicitaria del

settore automobilistico, per la promozione della mobilità alternativa

all’automobile (a piedi, in bicicletta, con i mezzi pubblici) e per

l’informazione sui danni provocati dall’automobile (ambientali,

sanitari, sociali, economici).

E che dire dei tanti messaggi pubblicitari che hanno slogan tipo “ho

davanti una strada e tanta voglia di possederla”, che inneggiano al

senso di potenza o alle emozioni di una guida spericolata? Per non

parlare del mito della velocità, come ad esempio l’idea, ricorrente, di

innalzare il limite di velocità a 150 km/h in autostrada. Questa

proposta, da più parti ed in più riprese rilanciata, trova molte più

critiche che approvazioni. In effetti è sufficiente considerare che la

maggior parte delle morti negli incidenti avviene per eccesso di

velocità per comprendere come un innalzamento del limite non

farebbe altro che innalzare anche il numero delle vittime. Ed in ogni

caso, c’è da chiedersi come sia possibile che vengano omologati veicoli

che vanno a 300 all’ora se i limiti autostradali sono di gran lunga

inferiori.

Insomma, ci sono molte osservazioni che si possono fare a questo

proposito. Ad esempio, a cosa serve l’Antitrust se poi sono i cittadini a

dover fare le segnalazioni? Il mercato deve essere limitato o lasciato

34

“libero”? Il tutto è parte di un tema più generale, che investe la

discussione in corso sul capitalismo e la mercificazione di consumi e

stili di vita. In tutto questo

il ruolo fondamentale della pubblicità tende a proporre stili di vita

non sempre sostenibili a livello personale e collettivo.

35

Rendere sostenibile la mobilità

36

Cosa si intende esattamente quando si parla di “mobilità sostenibile”?

Si tratta della necessità di realizzare un sistema di mobilità (urbana, ma non

solo) che, pur consentendo ad ognuno di potersi muovere secondo le proprie

esigenze ed i propri desideri, sia tale da rendere minimi problemi e disagi al

resto dei cittadini (emissioni di sostanze inquinanti e di gas serra, rumore,

congestione stradale, incidenti, problemi per la salute, consumo di suolo, ecc.).

Per affrontare il problema esistono molte tecniche e diverse iniziative, alcune

nate negli ultimi anni, altre invece sviluppatesi da più tempo.

In questo capitolo impareremo a conoscere alcune tra le migliori iniziative

messe in pratica, e scopriremo molti strumenti utili per muoverci meglio nelle

nostre città (compresi alcuni forse già noti, ma frettolosamente accantonati).

37

6. Il ritorno delle biciclette

Cresce in Italia il movimento nel mondo della mobilità ciclistica, e

aumenta l’interesse delle città italiane per la riscoperta di questo

semplice ma efficientissimo mezzo di trasporto, anche grazie ad

iniziative come le Critical Mass, movimenti come #salvaiciclisti o i

sistemi di bike sharing in via di rapida diffusione.

Vale la pena a questo punto riflettere su quanto scrive Lester Brown

a proposito del ritorno delle biciclette, nel suo libro “Piano B 4.0″4.

Sappiamo già che la bicicletta alleggerisce la congestione stradale, non

provoca l’inquinamento atmosferico, riduce l’obesità, migliora la

forma fisica, non produce emissioni di anidride carbonica e ha un

prezzo davvero molto accessibile. Inoltre, le biciclette riducono il

traffico e l’occupazione di suolo, dato che nello spazio occupato da

un’auto possono essere parcheggiate fino a 20 biciclette.

Brown osserva che molti governi hanno previsto una serie di

incentivi per incoraggiare l’uso di biciclette onde diminuire traffico e

smog. Il paese che ne ha di più è la Cina (con oltre 430 milioni), ma in

rapporto alla popolazione le percentuali di possesso sono più alte in

Europa, ed in particolare in Olanda, in Danimarca ed in Germania

(dove c’è in pratica una bici per ogni abitante).

Brown osserva poi che “la bicicletta è un capolavoro di efficienza

ingegneristica, dato che l’utilizzo di 10 chilogrammi di metallo e

gomma incrementa di tre volte la mobilità individuale”. Inoltre,

“per percorrere 12 chilometri in bici si consuma una quantità di

energia equivalente a quella fornita da una patata. Un’autovettura,

che necessita di almeno una tonnellata di materiale per trasportare

una persona, è in confronto straordinariamente inefficiente”.

4 Fonte: www.indipendenzaenergetica.it. Piano B 4.0 è edito da Edizioni Ambiente.

38

Curiosamente, si osserva poi che in alcuni casi anche la sicurezza

urbana ne trae vantaggio. Ad esempio, prosegue Brown, negli Stati

Uniti, quasi il 75% dei dipartimenti di polizia dei centri con almeno 50

mila abitanti dispongono di pattuglie di sorveglianza in bicicletta, che

ottengono ottimi risultati nella loro attività di prevenzione dei crimini.

Brown ricorda inoltre come negli Stati Uniti anche i college e le

università si stanno convertendo alla bici, soprattutto con nuovi

sistemi di bike sharing gratuiti, nei quali gli studenti usano le tessere

identificative universitarie anziché le carte di credito. In alcuni casi si è

addirittura deciso che è più conveniente fornire una bici a ogni

matricola, se questi accetta di lasciare a casa l’auto.

E non è solo il caso dei campus universitari: anche le consegne delle

merci sono sempre più effettuate in bicicletta (almeno per il tratto

finale): i servizi postali in bicicletta sono comuni nelle più grandi città

del mondo perché consegnano i piccoli plichi in modo rapido ed

economico, e questo diventa tanto più importante quanto più aumenta

il commercio elettronico, in quanto per le aziende che vendono su

internet è importante che le consegne siano rapide per avere più

clienti.

Aggiunge ancora Brown: “la chiave per sviluppare il potenziale

delle biciclette è la creazione di un sistema di trasporti compatibile con

esse. Ciò significa sia la realizzazione di rastrelliere per il parcheggio

sia la costruzione di piste ciclabili. I paesi leader nella progettazione di

sistemi di trasporto ciclabile sono l’Olanda, dove il 27% di tutti i

tragitti viene percorso in bici, la Danimarca con il 18% e la Germania

con il 10%. Al contrario, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono fermi

entrambi all’1%.

Uno studio di John Pucher e Ralph Buehler della Rutgers

University analizza le ragioni di queste disparità. I due autori notano

che

“l’uso estensivo della bicicletta in Olanda, Danimarca e Germania

è coadiuvato da ampi parcheggi, piena integrazione col trasporto

pubblico, educazione al traffico e training degli automobilisti e dei

ciclisti”.

Questi paesi scoraggiano l’uso dell’auto attraverso un sistema di

tasse e restrizioni sulla proprietà e il parcheggio. “È l’implementazione

39

coordinata di queste politiche multifattoriali che spiega il successo di

questi tre paesi nel promuovere la bicicletta. Ed è la carenza di queste

politiche che spiega la marginalità della bicicletta in Inghilterra e negli

Stati Uniti”. Ed, aggiungiamo noi, anche in Italia.

Ed ecco infine alcuni dei punti chiave per favorire la mobilità

ciclabile. Scrive Brown: “In Olanda, è stato implementato un Bicycle

Master Plan che, oltre a creare piste ciclabili e rastrelliere in tutte le

città, concede ai ciclisti la precedenza sulle auto nelle strade e ai

semafori. Alcuni segnali stradali permettono ai ciclisti di passare prima

delle automobili. Nel 2007, Amsterdam è diventata la prima città

occidentale industrializzata in cui il numero di spostamenti in

bicicletta ha superato quelli in automobile”.

Occorre anche sottolineare che in Olanda (come peraltro anche in

Giappone), è stato portato avanti uno sforzo di integrazione tra

bicicletta e servizi ferroviari per pendolari, mettendo a disposizione

parcheggi per bici alle stazioni e rendendo così più semplice ai ciclisti

recarsi al lavoro con il treno. In Giappone alcune stazioni hanno

addirittura investito in parcheggi multipiano verticali solo per

biciclette, esattamente come si fa per le auto.

I buoni esempi dunque non mancano. Perché non imitarli?

40

7. Muoversi in bici: difficoltà e prospettive

Ogni giorno sulle strade italiano muore un ciclista, e circa 40

restano feriti.

La percentuale di vittime in bicicletta (rispetto al totale dei morti

per incidenti stradali) negli ultimi anni è in costante aumento.

Il numero più alto di incidenti mortali si conta tra gli over 65, ma

non mancano vittime anche tra i giovanissimi

In effetti, non solo i cittadini, ma anche i Comuni dovrebbero

intervenire con più convinzione e maggiori investimenti nel settore

della mobilità ciclabile. Sappiamo bene infatti che in numerosi contesti

urbani molti spostamenti, seppur fattibili a piedi o in bicicletta per via

della breve distanza da percorrere, vengono effettuati con veicoli a

motore privati (auto, scooter, ecc.). Occorre capire come si può

intervenire con efficacia (e in un periodo di crisi esonomica e scarsità

di risorse) per rendere le strade urbane più adatte agli spostamenti in

bicicletta. Consideriamo infatti che, per le brevi distanze (fino a 5 km),

la bicicletta è proprio il mezzo di trasporto più rapido e flessibile, in

quanto con essa si può modificare il percorso a proprio piacimento,

evitando per quanto possibile gli ingorghi del traffico e riducendo

notevolmente il problema della ricerca di parcheggio.

In questi ultimi anni, non solo nelle città piccole e pianeggianti, ma

anche nei centri più grandi (meno adatti ad essere utilizzati dalle

biciclette), sono stati creati spazi per la mobilità ciclabile. Piste e

percorsi ciclabili, come anche interventi di limitazione alla circolazione

delle automobili, favoriscono sicuramente la mobilità ciclistica, ma

questo non basta: è fondamentale promuovere una nuova cultura di

mobilità, che favorisca le possibili alternative all’uso dell’auto privata.

41

L’Italia è dotata di 7mila km di piste ciclabili5. Il dato risulta indicativo

se paragonato a quello della Germania, che ne ha 35mila.

Ad esempio,

è importante che i Comuni istituiscano un apposito ufficio

dedicato alla mobilità ciclabile, e che partecipino ad iniziative a

livello nazionale per la promozione della mobilità lenta

(come Bimbimbici, che coinvolge i ragazzi delle scuole in una

pedalata cittadina, occasione di divertimento e di sensibilizzazione al

tema dell’uso della bicicletta per gli spostamenti quotidiani ed in

particolare per quelli casa – scuola).

Non è da dimenticare inoltre il “Bicibus”, un’iniziativa che

coinvolge gruppi organizzati di bambini che raggiungono la scuola in

bicicletta sotto la supervisione di adulti (genitori, nonni, volontari) che

li seguono su un percorso predeterminato e protetto.

Ma anche la tecnologia aiuta l’evoluzione di questo mezzo di

trasporto, che pure ha origini lontane. Anche in campo ciclistico la

ricerca e l’innovazione sulla mobilità elettrica stanno raggiungendo

traguardi sempre più ambiziosi. Le biciclette elettriche, in via di

diffusione sempre maggiore (anche grazie all’aumento della rete di

colonnine di ricarica nelle città e dei nuovi servizi di bike sharing),

costituiscono una delle frontiere della ricerca tecnologica nel settore.

Scrive Lester Brown su Piano B 4.0:

“Le vendite di biciclette elettriche, un genere relativamente nuovo

di veicolo, sono decollate. Questi mezzi sono simili alle auto elettriche,

ma la doppia propulsione in questo caso è rappresentata dalla forza

muscolare e dalle batterie che possono essere ricaricate alla rete

elettrica quando serve. (....)

Contrariamente alle auto plug-in, le biciclette elettriche non usano

direttamente alcun combustibile fossile. Se riusciremo ad attuare la

transizione dall’energia prodotta dalle centrali a carbone a quella

5 In tema di piste ciclabili è interessante l’esperienza della piattaforma piste-

ciclabili.com. Chiunque, senza obbligo di registrarsi, può disegnare su una mappa i propri itinerari preferiti (condividendoli con i visitatori del sito), oppure cercare informazioni sugli itinerari già pubblicati. Ad oggi la community conta oltre 35.000 utenti e sono stati mappati oltre 60.000 km di itinerari. Ogni giorno nuove persone suggeriscono nuovi itinerari e arricchiscono quelli presenti con foto e video.

42

eolica, solare e geotermica, allora anche le bici elettriche saranno

completamente indipendenti dai combustibili fossili. L’integrazione di

vie pedonali e piste ciclabili nei sistemi di trasporto urbano rende una

città di gran lunga più vivibile rispetto a quella che conta soltanto sulla

mobilità privata. Si riducono il rumore, l’inquinamento, il traffico, la

frustrazione, e il pianeta e i suoi abitanti ne guadagnano in salute.”

La tecnologia al momento maggiormente diffusa nel campo delle

biciclette elettriche prevede l’utilizzo di sistemi di pedalata assistita,

costituiti da un pacco batterie che si ricarica direttamente dalla rete

elettrica (anche grazie ad innovative pensiline dotate di pannelli solari

fotovoltaici) e che aiuta i ciclisti nel movimento rendendo la pedalata

meno faticosa. Ed ora si è raggiunto un nuovo traguardo: si è riusciti a

trasferire la tecnologia ibrida dalle auto alle bici, con un sistema

innovativo che riesce a riutilizzare in frenata l’energia cinetica della

bici per ricaricare la batteria.

Non è ovviamente sufficiente l’innovazione tecnologica per riuscire

a rendere appetibile la mobilità ciclabile per tutti, in quanto occorrono

anche adeguate infrastrutture (piste ciclabili, aree di sosta e

parcheggio, colonnine di ricarica) ed un chiaro quadro normativo-

legislativo (con sconti, incentivi, detrazioni, ecc.) tale da invogliare

l’acquisto e l’uso di questi mezzi estremamente efficienti nel traffico

urbano. La strada è ancora lunga, ma i passi avanti che continuamente

si susseguono sono molto incoraggianti.

43

8. I ciclisti fanno da soli: la campagna

#salvaiciclisti

Intervista a Paolo Pinzuti

Grande successo e scalpore ha avuto la campagna di

sensibilizzazione #salvaiciclisti, diretta a mettere in luce l’importanza

della mobilità in bicicletta nelle città. Muoversi in bici in sicurezza non

è solo un diritto di ogni cittadino (che lo faccia per hobby o per precisa

scelta di mobilità), ma costituisce anche uno dei pilastri su cui si fonda

il miglioramento della qualità di vita delle città.

Ne parliamo con Paolo Pinzuti, coordinatore della campagna

#salvaiciclisti.

***

Iniziamo dalla campagna #salvaiciclisti, e dall’enorme successo che ha

avuto. Come è nata questa iniziativa?

#salvaiciclisti nasce come diretta evoluzione della campagna “Cities

fit for cyclists” lanciata dal Times il 2 febbraio 2012. In Italia è arrivata

una settimana dopo grazie a 38 bike blogger che hanno deciso di

sottoporre all’attenzione dei grandi media italiani la sconcertante

realtà: il numero dei morti in bici in Italia è il doppio di quello

registrato nel Regno Unito. 2.556 in 10 anni per l’esattezza.

La campagna si è evoluta fino a diventare un movimento che ha

avuto il suo culmine il 28 aprile 2012, quando, in contemporanea con

Londra, Parigi ed Edimburgo, Roma è stata invasa da 50 mila cittadini

in bicicletta per chiedere alla politica città a misura di ciclista e di

pedone e non più di automobile. Da quel momento sono nati numerosi

44

gruppi locali di #salvaiciclisti distribuiti su tutto il territorio nazionale,

che svolgono iniziative di pressione sui propri amministratori affinché

la ciclabilità diventi un tema di rilievo per chi progetta e gestisce le

città italiane.

Quali sono stati i successi e gli insuccessi della campagna durante i primi

mesi?

Il più grande successo della campagna è stato indubbiamente aver

imposto un dibattito all’interno dei media italiani riguardanti il tema

della ciclabilità e della sicurezza di chi va in bicicletta. A parte questo,

ci sono molti risultati che il movimento ha ottenuto. Tra gli altri,

l’approvazione del piano quadro della ciclabilità a Roma;

l’instaurazione di un tavolo permanente delle ciclabilità a Milano e, a

Catania, la possibilità di circolare in bici nelle corsie preferenziali.

Riguardo agli insuccessi, io credo che #salvaiciclisti sia stato una

specie di miracolo, abbiamo superato le nostre stesse aspettative, non

me la sento di dire che alcune cose avrebbero potuto andare meglio.

Oltre alle azioni “dimostrative” avete fatto anche varie proposte a diversi

soggetti istituzionali (in ambito politico, amministrativo, ecc.). Avete avuto

risposte positive inaspettate, sulle quali in cuor vostro non ci speravate? E

quali sono state invece le delusioni più cocenti?

Non ci aspettavamo che le nostre proposte potessero arrivare in

Parlamento dopo appena 10 giorni di campagna, è stata una grande

sorpresa. In generale posso dire che la politica ci ha sempre ascoltato

molto anche se è sul piano delle azioni concrete che ha lasciato

ampiamente a desiderare. Però i nostri politici sanno che molte

persone hanno l’attenzione rivolta alle politiche della mobilità urbana.

Li attendiamo al varco in occasione delle varie elezioni.

C’è stata una accesa polemica con la rivista Quattroruote in merito

all’obbligatorietà del casco per i ciclisti. Quale è la vostra posizione su questo

punto?

#salvaiciclisti è un movimento che si occupa di politiche della

mobilità applicate alla sicurezza di chi decide di usare la bicicletta.

45

Quando si parla di sicurezza, bisogna sempre distinguere tra sicurezza

attiva e sicurezza passiva. Agire sulla sicurezza attiva significa operare

per ridurre la possibilità che si verifichi un incidente. Agire sulla

sicurezza passiva significa concentrarsi sulla riduzione del danno una

volta che l’incidente si è già verificato. Il casco è uno strumento di

sicurezza passiva.

Il movimento #salvaiciclisti è ovviamente favorevole all’utilizzo del

casco, però pensiamo che concentrarsi sulla riduzione dei danni senza

prima essere intervenuti per la riduzione degli incidenti sia un modo

facile e populista per pulirsi la coscienza ribaltando la responsabilità

sulle vittime. È per questo che siamo contrari all’obbligo.

Guardiamo all’Europa ed ai nostri vicini. Quali sono i passi che dobbiamo

fare per raggiungere i Paesi più virtuosi? E su cosa invece possiamo dire di

essere, anche noi in Italia, tra i migliori?

Quello che serve all’Italia in questo momento è un cambiamento

culturale: abbiamo bisogno che la politica intervenga promuovendo

l’uso della bicicletta nelle città e disincentivando l’uso delle

automobili. Il cambiamento non può avvenire da solo, ma deve essere

stimolato attraverso opportune scelte amministrative e opportune

campagne di comunicazione e di sensibilizzazione. Gli esempi su come

fare stanno già tutti lì a portata di mano al di là delle Alpi. Basta

copiare.

Il grande vantaggio per l’Italia da questo punto di vista è il clima:

rispetto ai paesi del nord Europa abbiamo delle condizioni

meteorologiche favorevolissime all’uso della bicicletta. Tanto sole e

poca pioggia o neve. È un peccato che invece di usare la bici molti

preferiscano ancora trascorrere ore dentro a scatole di lamiera che

sotto il sole diventano dei veri e propri forni.

Sta cambiando davvero qualcosa?

#salvaicicisti è un movimento che ha dimostrato che anche un tema

apparentemente marginale come può essere considerato quello della

ciclabilità in un paese afflitto da mille problemi può essere portato al

centro del dibattito politico, a condizione che ci sia la voglia e la

disponibilità ad impegnarsi da parte dei cittadini. La nostra classe

46

politica è schiava del consenso e in Italia per creare cambiamento

occorre mostrare in che direzione va il consenso affinché i politici si

interessino.

Io mi auguro che #salvaiciclisti possa essere l’inizio di un momento

storico in cui gli Italiani riscoprano la voglia e il piacere di fare politica,

di occuparsi della cosa pubblica in prima persona e di farlo tutti i

giorni e non soltanto all’interno del seggio elettorale.

#salvaiciclisti sta dimostrando che il cambiamento basta volerlo,

però bisogna volerlo sempre e con forza.

***

47

9. Il bike sharing: bici e innovazione

Con il contributo di Marco Menonna

Il bike sharing è uno dei principali strumenti a disposizione dei

Comuni che intendono ridurre i problemi derivanti dalla congestione

stradale ed il conseguente inquinamento. Consiste nella messa a

disposizione dei cittadini di una flotta di biciclette pubbliche, dislocate

in diverse aree della città, che i cittadini possono utilizzare per i propri

spostamenti.

Chi usa il bike sharing non è il proprietario della bici, ed ha il

vantaggio che è qualcun altro a doversi preoccupare della custodia

delle biciclette, della manutenzione, della pulizia e dell’assistenza.

I sistemi tradizionali sono di tipo meccanico: ogni utente può

prendere solo una data bicicletta di una data ciclostazione (gli viene

infatti consegnata una chiave per lo sblocco), ed ha il vincolo di

riportarla nello stesso posto al termine dell’utilizzo. Invece, nei sistemi

di ultima generazione (utilizzati soprattutto nelle grandi città), gli

utenti hanno una tessera elettronica, grazie alla quale possono

prendere qualsiasi bicicletta e lasciarla al termine del proprio

spostamento anche in una ciclostazione diversa da quella di partenza.

In tal modo si usa la bici prendendola giusto il tempo che serve e

lasciandola poi a disposizione degli altri utenti, facendo in modo che

ogni bici, utilizzo dopo utilizzo, sia impiegata per gran parte della

giornata.

Il bike sharing è ormai conosciuto in tutte le principali città italiane,

anche se in molte è ancora assente (e si stima che il 20% dei cittadini

delle città senza il servizio lo utilizzerebb non appena venisse

48

introdotto). Nel 2008 è stato costituito il “Club delle città per il Bike

Sharing”, che registra una crescita continua anno dopo anno.

I prezzi sono davvero convenienti, soprattutto se lo spostamento è

breve. In genere si paga una quota annule di pochi euro, e per quanto

riguarda l’utilizzo la corsa è gratis se si lascia la bici entro un certo

periodo di tempo (es. 30 minuti, nella maggior parte delle città),

consentendo quasi sempre di compiere il proprio spostamento senza

pagare niente.

Esistono comunque molte variazioni sul tema. In alcuni casi il bike

sharing è abbinato agli spostamenti effettuati in treno. In altre

esperienze esiste un servizio che copre diversi comuni confinanti. In

altre città invece, magari quelle non perfettamente in piano e con molte

strade in salita, il bike sharing offre biciclette a pedalata assistita.

All’estero esistono molte esperienze di grande successo, come ad

esempio in Francia, dove Parigi e Lione hanno implementato sistemi

con migliaia di biciclette sparse per la città a costi bassissimi,

ottenendo una notevole riduzione degli spostamenti motorizzati.

Anche altre importanti metropoli come Londra e Barcellona hanno

fatto del bike sharing quasi un simbolo della città.

La gestione informatizzata del bike sharing va poi a nozze con l’uso

dei social network (come Twitter, Facebook, ecc.), attraverso i quali gli

utenti condividono informazioni relative al servizio di cui sono

utilizzatori. Alla condivisione dei mezzi si aggiunge dunque quella

delle informazioni sullo stato degli stessi, e questo porta ad un

notevole potenziamento del servizio stesso, oltre che ad una positiva

aggregazione di persone con un interesse comune. In altre parole, si

favoriscono attivamente la socializzazione e lo spirito cooperativo.

Riporto a questo proposito quanto dichiara Marco Menonna6.

***

#tobike è stata l’hashtag (etichetta) con la quale alcuni utenti di

Twitter hanno, a partire dal mese di giugno 2010, cominciato a marcare

i messaggi sul nuovo sistema di bike sharing torinese Il percorso non è

stato affatto facile. Nonostante tutto, pare che i torinesi apprezzino le

6 Piemontese, profondo conoscitore del panorama italiano ed internazionale del bike

sharing e studioso delle sue potenzialità a livello sociale.

49

biciclette pubbliche, e l’entusiasmo con il quale si sono abbonati al

servizio lo dimostra: dopo circa un mese erano già un migliaio ad aver

attivato l’abbonamento annuale. Ma non solo: il servizio, per via della

sua natura indissolubilmente legata alla condivisione, ha aiutato e sta

tuttora aiutando i cittadini torinesi a riconoscersi in comunità di utenti.

All’interno delle comunità, che forse sarebbe più esatto chiamare di

utilizzatori piuttosto che di utenti, il consumo collaborativo (così come

descritto da Rachel Botsman e Roo Rogers nel loro libro “What’s Mine

is Yours: The Rise of Collaborative Consumption”) trova il terreno ideale

per diffondersi, autoalimentando un ciclo di fiducia e di condivisione.

Nel cuore di una società tipicamente caratterizzata da un iper-

consumo e da relazioni basate su contratti e possesso, stanno

nascendo, grazie anche alla diffusione delle tecnologie informatiche,

comunità informali di nuovi consumatori che basano le proprie

relazioni sulla fiducia e sulla libertà di accesso “organizzando la

condivisione, lo scambio, il dono, l’affitto e il baratto per ottenere gli

stessi benefici della proprietà ma con una riduzione di costi e

responsabilità personali e un impatto ambientale più basso”.

Dunque,

La creazione di una comunità informale per un servizio di

condivisione “puro” come il bike sharing è indispensabile perché il

sistema stesso possa ben funzionare.

Gli utenti lo sanno, e sono state molte le proposte che hanno tra gli

obiettivi quello di aumentare l’efficienza dei sistemi di bike sharing e

dunque rispondere meglio anche ai bisogni di mobilità degli utenti

stessi.

Ad esempio, a Parigi si è diffusa l’abitudine, poi ripresa anche in

altre città europee, di girare al contrario i sellini delle biciclette che

hanno ruote sgonfie o altri problemi che ne pregiudicano le possibilità

di utilizzo. Un modo semplice ed intuitivo per trasferire

l’informazione (“bicicletta rotta”) a manutentori ed altri utenti del

servizio.

A Bruxelles gli utenti si sono organizzati ed hanno fatto nascere un

sito internet che fornisce un quadro delle ciclostazioni che più spesso

creano disagi e arrabbiature, perché non hanno stalli liberi da biciclette

o, al contrario, non hanno biciclette prelevabili. Il sito, che si chiama

50

“Where’s my Villo?” ed il cui slogan recita “Bruxelles bike sharing should

be better” non si limita ad un’analisi statistica, ma elenca anche tutti i

punti sui quali il servizio di JCDecaux (la società che lo gestisce) è

carente ed ha delle precise richieste verso il gestore proponendo delle

soluzioni innovative per la rimovimentazione dei mezzi. Gli utenti

cercano dunque non solo un dialogo con JCDecaux, ma anche di avere

una voce in capitolo per le decisioni relative al servizio che vive grazie

a loro. Ed il gestore non è totalmente insensibile a questo tipo di

osservazioni.

Tornano a Parigi, il Comune e JCDecaux hanno favorito la nascita

di un comitato di venti rappresentanti di utenti, con i quali

organizzano incontri periodici per discutere del servizio e di possibili

innovazioni e miglioramenti.

A Londra invece Transport for London, l’ente responsabile dei

trasporti pubblici londinesi, e dunque anche dell’appalto per il bike

sharing, ha tolto le restrizioni per l’uso commerciale dei dati contenuti

in London Datastore (archivio che fornisce a chiunque sia interessato

delle informazioni pubbliche sotto forma di dati). Le informazioni

rappresentano una ricchezza e non sono molte le istituzioni che

decidono spontaneamente di regalarla. L’accessibilità è alla base della

filosofia “open data”, e Transport for London ha voluto sperimentarla

con successo. La possibilità fornita a ciascun individuo di accedere ai

dati consente da un lato l’accrescimento di conoscenza ed intelligenza

collettiva, e dall’altro, più semplicemente, lo sviluppo di applicazioni

mobili per servizi di bike sharing. Permettere che queste applicazioni

siano vendibili su di un mercato il cui accesso è finalmente libero è uno

stimolo per l’abbassamento dei prezzi ed il miglioramento della

qualità dei prodotti.

L’orizzontalità dei rapporti e l’uso delle tecnologie informatiche

sono principi necessari per la diffusione di una cultura fondata sullo

sharing e sull’accessibilità: ecco perché i messaggi che gli utenti

torinesi marcano con #tobike e scrivono su Twitter non possono essere

completamente ignorati.

Dall’altra parte dell’oceano, i cittadini di Toronto hanno

recentemente marcato le loro conversazioni con l’hashtag opposta a

quello di dei torinesi: #biketo. Ad alcuni è sembrato bizzarro, ma

51

molte sottoscrizioni al servizio sono giunte da AutoShare, la società

che gestisce il car-sharing di Toronto.

Le buone idee, in Italia come all’estero, non mancano.

Comprendere la logica dell’accessibilità e dell’orizzontalità dei

rapporti che sta alla base di abitudini di consumo dettate dalla

condivisone, piuttosto che dal possesso, è importante per chi vuol

promuovere un sistema di bike sharing.

Cogliere queste importanti innovazioni è forse ancor più utile di

buone intenzioni e proclami dettati da una presunta coscienza

ambientalista, perché accontentandosi dei pochi facili risultati che si

hanno mettendo delle biciclette per strada, si rischia di perdere un

treno importante, che potrebbe rivoluzionare una buona parte del

paesaggio e della mobilità urbana.

***

52

10. Auto, moto, bici e bus elettrici: a che

punto siamo?

Intervista al team di eWheel.it

La crisi economica degli ultimi anni e l’aumento dei prezzi dei

carburanti hanno fatto aumentare l’interesse sui veicoli elettrici. Molti

pensano a come convertire la propria auto in un veicolo elettrico o a

quale modello di automobile elettrica (ibrida, pura, ecc.) sia migliore

per le proprie esigenze.

Apriamo una finestra sullo sullo stato dell’arte della mobilità

elettrica avvalendoci delle risposte del team di Ewheel.it.

***

Molte volte negli ultimi anni è stato detto che la diffusione delle auto

elettriche era sul punto di “decollare”, e non solo per i veicoli ibridi, ma anche

per quelli con motore puramente elettrico. Quale è la situazione attuale?

In effetti nella storia dell’auto elettrica ci sono stati momenti

favorevoli ad una sua affermazione sul mercato (come ad esempio

nell’800), ma finora l’ha sempre spuntata l’auto con motore a scoppio.

A parte qualche sparuto tentativo di riportare in auge l’elettrica,

non si è mosso quasi nulla fino agli anni ’90 del secolo scorso. Nel 1996

comparve la prima generazione della EV1, coupè elettrica della

General Motors. Dopo due evoluzioni e sette anni di esperienza, il

progetto venne chiuso dalla GM (e le auto ritirate) perché dichiarato

antieconomico. Dato però il successo che l’auto aveva avuto tra il

pubblico, una tale fine del progetto suscitò polemiche e discussioni

53

sulle reali cause che portarono la GM a terminare la produzione. Una

delle ipotesi fatte è che le lobby dei petrolieri si siano opposte ad una

tecnologia che avrebbe minato il loro business.

Venendo ai giorni d’oggi, ci sono da rilevare una serie di elementi

che fanno pensare ad un’imminente “decollo” delle auto elettriche (e

forse dei veicoli elettrici in generale).

Innanzitutto, sono massicci gli investimenti delle principali case

automobilistiche del mercato europeo, tanto più in un momento di

crisi generale nelle vendite del settore auto. Nell’elettrica sono riposte

le speranze di stimolare il mercato altrimenti stagnante.

Dal lato delle infrastrutture, c’è poi fermento nella ricerca e

innovazione da parte di molti produttori per rendere la ricarica facile e

veloce come un pieno di benzina. Inoltre, lo sviluppo nel campo delle

batterie per dispositivi portatili di piccole dimensioni ha prodotto dei

benefici anche nel campo delle batterie per auto, per cui è ragionevole

aspettarsi di avere a breve batterie con buona autonomia, vita utile

paragonabile a quella dell’auto e sempre meno costose.

Anche a livello italiano si registrano alcune iniziative per così dire

“istituzionali”. Citiamo in particolare la possibilità di ricaricare i

veicoli elettrici a casa propria con tariffa e contatore dedicati. In

conclusione, le proiezioni più ottimistiche (ma a nostro giudizio poco

realistiche) parlano di quote di mercato intorno al 20% entro il 2020,

mentre quelle più pessimistiche stimano una penetrazione inferiore al

10% nel 2030.

Quali sono i sistemi tecnologici ed i modelli di auto che si sono

maggiormente diffusi in questi anni? E quali sono le novità nel settore scooter

e motociclette?

Per quanto riguarda le auto, una prima distinzione è quella tra auto

cosiddette “ibride”, cioè per metà elettriche e per metà a benzina, e

quelle completamente elettriche.

Le auto ibride hanno due motori, uno elettrico e uno a scoppio.

Nella maggior parte dei modelli di auto ibride, il motore elettrico viene

utilizzato a basse velocità e per le fasi di partenza, perché a bassi

regimi è più efficiente del motore a benzina. Quando invece si procede

a velocità più sostenute e con una andatura più regolare, entra in

funzione il motore a benzina. Nelle auto ibride attualmente in

54

commercio, l’elettricità usata dal motore elettrico è prodotta dal

motore a benzina e poi immagazzinata in batterie, per cui il

rifornimento può essere fatto esclusivamente dal benzinaio. Le nuove

ibride “plug-in” sono però dotate di presa per la ricarica come le

elettriche pure.

Le elettriche pure hanno invece solamente un motore elettrico, e a

quello si affidano in qualsiasi regime di guida e a qualsiasi velocità.

Possiamo dire che gli ibridi rappresentano il primo passo verso la

transizione all’auto elettrica, in attesa che si sviluppino le

infrastrutture e le tecnologie necessarie ad una diffusione di massa di

queste ultime: ai vantaggi della “pure electric”, le ibride associano la

praticità di rifornimento e l’autonomia tipiche delle auto a benzina.

Le ibride in commercio sono auto di medie e grandi dimensioni, e

possono annoverare tra le loro fila persino dei SUV (Tuareg della

Volkswagen e Cayenne della Porsche). Le elettriche invece, complice

anche la modesta autonomia, sono prevalentemente di dimensioni

medio-piccole. Qualche produttore ha persino scommesso su un

segmento di mercato ancora praticamente inesplorato, cioè quello delle

vetture “micro” a due posti, studiate per superare in maniera

intelligente e sostenibile il traffico urbano. E’ il caso ad esempio del

Birò (Estrima), piuttosto che del Twizy della Renault o della stessa

Smart.

Anche il settore delle moto e degli scooter elettrici da alcuni segni

incoraggianti. Il comparto degli scooter a nostro giudizio si

presterebbe molto bene alla conversione elettrica, in quanto il tragitto

medio giornaliero ha una lunghezza assolutamente compatibile con

l’autonomia delle batterie (60-80 km).

Un capitolo a parte meritano le biciclette a pedalata assistita, impiegate

anche in alcuni sistemi di bike sharing. Cosa si può dire riguardo a questo

settore?

Crediamo che le bici a pedalata assistita (cosiddette pedelec) siano

una delle espressioni più evidenti di mobilità sostenibile, dove la

sostenibilità è intesa a 360 gradi: riducendo lo sforzo fisico necessario,

mettono la bicicletta a portata di anziani e ne ampliano l’utilizzo anche

a città con rilevanti saliscendi. E’ il caso di Genova, dove il servizio di

55

bike sharing è dotato di pedelec, per via della conformazione della

città.

Ma la “bici elettrica”, come da molti è chiamata, a nostro parere

dovrebbe essere confrontata non con una bici, ma piuttosto con uno

scooter 50 cc, se non altro nei tragitti urbani. Se è vero infatti che è più

lenta (max 25 km/h per poter essere considerata alla stregua di una

bici, per il codice della strada), ha numerosi altri vantaggi, primo tra

tutti quello economico. Costa molto meno sia in fase di acquisto che

soprattutto in fase di gestione: non si paga né bollo né assicurazione e

si spende meno di 20 centesimi di euro per fare più di 100 km, alla

faccia degli aumenti della benzina! Altri vantaggi: il rifornimento non

è vincolato ai benzinai (dato che la batteria si sfila agilmente e si può

ricaricare in qualsiasi presa elettrica, a casa, al lavoro,…), e anche se si

dovesse restare a secco…ci sono i pedali!

Per incentivare l’uso dei veicoli elettrici in ambito urbano appare molto

importante l’aspetto legato alla ricarica per chi non dispone di un box auto

con presa elettrica domestica. In alcune città esistono diverse colonnine

pubbliche. Quale è lo stato attuale delle stazioni di ricarica in termini di

diffusione, modalità di utilizzo, compatibilità con i diversi veicoli e costi per

l’utenza?

Purtroppo il panorama non è dei migliori. Sono prevalentemente

pubbliche, ma il loro effettivo utilizzo è purtroppo ancora dubbio, un

po’ perché molte non sono ancora attive, un po’ perché le auto

elettriche in circolazione sono ancora effettivamente molto poche.

Bisognerebbe favorire la diffusione delle colonnine di ricarica

(rapida, possibilmente) anche in realtà private come parcheggi di

supermercati e grandi aziende, in modo da facilitare la ricarica anche

mentre si va a fare la spesa o si sta lavorando. Ma per fare questo c’è

ancora molto da fare, sia dal punto di vista tecnologico (ricarica

rapida) che normativo, e le realtà virtuose scarseggiano. Al momento,

in ogni caso, sembra impensabile poter possedere ed utilizzare un’auto

elettrica senza avere la possibilità di ricaricarla a casa.

Sempre con riferimento alla questione ricarica, si parla spesso di utilizzare

a tale scopo energia fotovoltaica, ad esempio sfruttando pannelli solari da

installare su pensiline o parcheggi. Esistono sistemi di questo tipo

56

effettivamente in uso nelle nostre città? Che particolarità presentano dal

punto di vista di funzionamento e dei costi?

Abbinare energia elettrica da fonte rinnovabile alla ricarica di auto

elettriche è sicuramente una buona cosa. Non dimentichiamo però che

l’energia elettrica è ancora prevalentemente prodotta da fonti fossili, il

che significa che l’auto elettrica di per sè non risolve al 100% i

problemi ambientali ed energetici legati alla mobilità. Tutto dipende

da come si produce l’energia.

Per quanto riguarda i pannelli fotovoltaici su pensiline o parcheggi,

c’è da fare una distinzione sul piano del funzionamento: in alcuni casi

la pensilina è scelta come struttura di sostegno per l’installazione di

pannelli fotovoltaici solo perché ben esposta e perché permette

un’integrazione architettonica dei moduli, ma nella pensilina non sono

presenti prese per la ricarica. In altri casi invece il sistema è integrato e

comprende anche la ricarica, ed è studiato per poter ricarica anche

direttamente il veicolo elettrico, senza passare dalla rete

elettrica. Purtroppo però, di sistemi come quest’ultimo se ne vedono

ancora pochi in Italia.

Abbiamo dato uno sguardo al panorama italiano nel campo della mobilità

elettrica. Cosa avviene invece in campo internazionale? Quali sono le

esperienze più innovative in merito e le linee di ricerca su cui si lavora?

A livello internazionale c’è molto fermento su diversi

fronti. Fioriscono nuovi modelli di auto elettriche di case

automobilistiche più o meno conosciute e c’è molta attenzione sulle

prestazioni, non solo delle batterie ma anche del motore in termini di

massima velocità raggiungibile. In Giappone è da rilevare il

diffusissimo utilizzo di bici elettriche, con una multinazionale come la

Panasonic che ha un catalogo invidiabile di mezzi, e anche negli Stati

Uniti e in Europa le bici elettriche si stanno diffondendo sempre più. I

sistemi di rifornimento (sia ricarica che sostituzione delle batterie)

sono oggetto di ricerca anche universitaria. Su tutte, le ricerche sulla

ricarica wireless del MIT e dell’università di Stanford.

***

57

11. L’auto elettrica: il presente e le

prospettive future

La mobilità elettrica costituisce uno dei punti di forza delle

iniziative di mobilità sostenibile, grazie al fatto che offre la possibilità

di muoversi senza produrre emissioni di sostanze inquinanti e di gas

serra, e generando rumore scarso o del tutto assente. È tuttavia

importante osservare che, per avere un ciclo di produzione e consumo

dell’elettricità utilizzata per i veicoli che sia effettivamente ad impatto

zero, occorre che l’elettricità stessa sia prodotta da fonti rinnovabili

(mentre oggi l’energia elettrica utilizzata in Italia è prodotta

utilizzando soprattutto combustibili fossili). L’uso di veicoli elettrici

per gli spostamenti in ambito urbano consente in ogni caso di tenere

lontane dalle città le emissioni eventualmente generate presso i siti di

produzione dell’elettricità stessa, a differenza dei veicoli tradizionali

(le cui emissioni sono riversate direttamente nelle città).

L’uso di auto elettriche invece di auto a benzina non risolve il

problema del traffico in termuni di congestione stradale, ma riduce i

consumi di energia e le emissioni inquinanti e di gas serra.

Le auto elettriche hanno ormai raggiunto prestazioni di tutto

rispetto7.

Le auto possono essere ricaricate attraverso la rete domestica o

dalle apposite colonnine impiegando la tecnologia alla base dei

contatori elettronici dell’energia elettrica in uso in Italia. Gli

7 Ecco ad esempio le prestazioni della Nissan Leaf, L'autonomia dichiarata è intorno

ai 160 km. La ricarica dura circa 7 ore da una normale presa domestica, mentre avendo la possibilità di usufruire di una stazione di ricarica rapida, bastano 30 minuti per raggiungere l'80% della sua capacità totale. La velocità massima è autolimitata a 145 km/h e il passaggio da 0 a 100 km/h avviene in 11,9 secondi.

58

automobilisti possono informarsi in tempo reale (via internet) su quali

sono i punti di ricarica liberi.

In alcune sperimentazioni (Berlino) è stata inoltre realizzata

un’unità di bordo che, comunicando con la stazione di ricarica,

contribuisce a ricaricare la batteria automaticamente ad un prezzo

conveniente quando la rete non è sovraccarica (ad esempio negli orari

di minore consumo energetico). In molti casi è possibile inoltre

utilizzare esclusivamente elettricità prodotta da fonti rinnovabili.

In diverse regioni italiane sono stati avviati progetti per nuove reti

di ricarica per auto elettriche, con punti di ricarica sia su suolo

pubblico che in ambito privato (come condomini, box e parcheggi

aziendali).

Diverse sono le linee di ricerca. Una di esse prevede ad esempio la

sostituzione rapida delle batterie scariche nelle auto elettriche,

offrendo una valida alternativa alla ricarica veloce (che stressa

notevolmente le batterie, siano esse al Litio o al Ni-Mh). L’utilizzo di

questo sistema consentirebbe di effettuare la ricarica delle batterie nel

periodo notturno ed in modalità lenta, sfruttando i punti di assistenza

dislocati sul territorio per la ricarica veloce o la sostituzione delle

batterie stesse. La sostituzione, in particolare, è una operazione che

potrebbe essere eseguibile in appena 3 minuti.

Un altro filone di ricerca riguarda la realizzazione di parcheggi con

celle solari per ricaricare l’auto nelle soste. L’idea è convertire delle

semplicissime pensiline in parcheggi auto-ricaricanti. Ad esempio,

durante la giornata lavorativa, nelle 6-8 ore in cui l’auto rimane ferma

al parcheggio, la si potrebbe ricaricare a costo zero. Le spese di

installazione, per quanto contenute, potrebbero comunque essere

condivise dagli utenti o sovvenzionate dalle amministrazioni. In un

anno ogni parcheggio potrebbe arrivare a generare fino a 1.100 kwh,

con valori di picco di 1,5 kW.

Ma quali sono le criticità legate all’uso di auto elettriche?

Una delle più importanti riguarda il modo di produrre l’elettricità

utilizzata: se essa fosse generata da fonti fossili (carbone, petrolio, gas

o combustibile nucleare), quali sarebbero i reali benefici nell’uso dei

veicoli elettrici? In effetti, la produzione da fonti fossili di elettricità da

usare per il movimento dei veicoli provocherebbe più emissioni di

59

CO2 (anidride carbonica) rispetto a quelle generate dall’uso dei

tradizionali motori a benzina o gasolio.

La vera mobilità “pulita” (a emissioni zero) con i veicoli elettrici si

ottiene solo utilizzando energia prodotta da fonti rinnovabili.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario però un grande

sforzo congiunto da parte dei governi nazionali, responsabili della

pianificazione energetica e delle misure di tutela ambientale.

Secondo alcune stime, il fabbisogno di elettricità necessario per

soddisfare i consumi delle nuove auto elettriche sarà relativamente

basso (es. con 30 milioni di veicoli elettrici o ibridi plug-in in

circolazione nell’Unione Europea, l’aumento della domanda di

elettricità sarebbe solo del 3% rispetto a quella attuale). Il problema

sarà quello di gestire correttamente questa domanda aggiuntiva di

elettricità, per evitare che il maggior fabbisogno possa provocare un

aumento della produzione di elettricità da combustibili fossili.

Una possibilità tecnologica potrebbe essere offerta dall’installazione

nelle nuove auto elettriche di “contatori intelligenti”, che siano in

grado di mettere in carica le batterie dei veicoli solo in caso di

eccedenza di energia nella rete. Questo accorgimento tecnico

richiederà però un’adeguata standardizzazione di tecnologie e

processi, e l’introduzione sul larga scala dello stesso in tutta Europa.

Occorre peraltro ricordare che gli stati membri dell’Unione Europea

hanno l’obiettivo di raggiungere nel settore dei trasporti la quota del

10% di energia prodotta da fonti rinnovabili (comprendendo in esse

anche i biocarburanti, che tuttavia hanno altre controindicazioni,

relative soprattutto al consumo di suolo e di risorse agricole a scopi

non alimentari).

In ogni caso il dibattito sull’argomento è molto acceso. Alcuni studi

prefigurano una prossima impennata nella diffusione delle auto

elettriche, motivata da una serie di considerazioni. In primo luogo

l’introduzione, soprattutto nelle città, di limiti di emissione e

circolazione sempre più stringenti. Poi, la diffusione di accordi

industriali tra i produttori di automobili che, per abbattere i costi e

coprire tutti i segmenti, condividono numerose componenti, motori

inclusi. Si aggiunga il continuo miglioramento di batterie e tecnologie

60

correlate, che consente un aumento dell’autonomia ed una progressiva

riduzione di pesi, consumi e costi. Infine, l’esperienza fin qui maturata

grazie alla ricerca, allo sviluppo ed alla produzione di veicoli ibridi.

Per quanto riguarda la rete elettrica, occorre osservare come le

nuove auto elettriche potrebbero costituire un importante elemento del

sistema energetico. Le auto possono essere viste proprio come una

risorsa per l’accumulo di energia elettrica, visto che verranno

prevalentemente ricaricate nelle ore notturne (quando il carico sulla

rete è basso) ed utilizzate di giorno (consumando l’energia già

immagazzinata, senza andare ad aumentare il carico elettrico diurno

sulla rete). Si prefigura quindi un interessante elemento di

ottimizzazione del carico e della capacità elettrica a livello di sistema

nazionale, ma anche a livello di sottosistemi locali grazie allo sviluppo

ed utilizzo delle “reti intelligenti” (Smart Grids), moderna ed

innovativa tecnologia di distribuzione dell’elettricità.

Le posizioni rispetto a questi scenari sono numerose ed interessanti.

Gli scettici evidenziano ad esempio il costo ancora alto dei veicoli a

fronte del comfort (lontano da quello delle auto tradizionali), il

probabile aumento di tassazione che interesserà l’energia elettrica (per

compensare i cali di introito fiscale sulla benzina) ed infine

l’insufficienza della rete elettrica in caso di massiccia diffusione dei

veicoli elettrici.

I favorevoli ricordano l’effettiva utilità della diffusione delle auto

elettriche come risposta al problema della crescente congestione

stradale, osservando però come esse possano risultare utili solo in

città, e peraltro in aggiunta a sostanziali interventi di

gestione/inibizione del traffico privato e di potenziamento del

trasporto pubblico. Si ritiene importante inoltre attuare una politica

nazionale di sostegno economico al settore della mobilità elettrica,

accompagnata da una adeguata politica energetica (che favorisca ad

esempio le fonti rinnovabili), e tenendo presente che le prestazioni

legate ad autonomia e comfort sono in continuo miglioramento.

Sarebbe inoltre particolarmente utile, almeno in una fase iniziale,

il coinvolgimento degli Enti Locali a livello di acquisizione di mezzi

elettrici per il proprio parco vetture.

61

Numerosissimi servizi pubblici infatti sono caratterizzati da

impiego dei mezzi continuativo e costante, le cui caratteristiche sono

conosciute e facilmente programmabili e monitorabili (es. ore di

utilizzo, km da percorrere giornalmente, punti di ricovero, programmi

delle manutenzioni periodiche, ecc.). Sarebbe quindi opportuno che le

amministrazioni imponessero l’uso di veicoli elettrici per tutti i servizi

da esse effettuati in ambito urbano a mezzo automobile (es. servizi

postali, ispezioni periodiche della rete stradale, manutenzione, ecc.), in

quanto si potrebbe creare un buon volano per l’industria dei veicoli e

delle infrastrutture di rete. Si spera che la volontà politica di

supportare la diffusione di auto elettriche possa essere superiore alle

pressioni che, inevitabilmente, arriveranno in senso contrario.

62

12. Il retrofit elettrico: stessa auto, nuovo

motore

intervista a Daniele Invernizzi

Una delle prospettive più promettenti per la diffusione dei mezzi

elettrici è data dal cosiddetto retrofit¸ cioè dalla conversione delle auto

tradizionali in auto elettriche, molto più economica rispetto

all’acquisto di una auto elettrica nuova. Tra i principali operatori in

tema di retrofit c’è Ecars-now!, della quale ci parla uno dei fondatori

Daniele Invernizzi.

***

Presentiamo eCars-Now! Chi siete, cosa fate, e soprattutto… perche?

Ecarsnow è un’associazione nata e ripresa da un’iniziativa

finlandese. L’obiettivo comune è la mobilità elettrica, e nello specifico

il retrofit elettrico, che è il passaggio più semplice per arrivare ad avere

mezzi elettrici nelle nostre strade, alla portata di tutti. Il messaggio è

chiaro: il retrofit analizza delle vetture che già esistono e non devono

essere fabbricate appositamente, le modifica togliendo il vecchio

motore termico in ragione di un moderno ed efficiente motore elettrico

con tutta l’elettronica di contorno ed, ovviamente, le batterie. Il retrofit

reinventa le auto in chiave ecologica ed economica.

Parliamo dell’efficienza energetica e del risparmio economico che si può

ottenere sostituendo i motori tradizionali con i motori elettrici. Una questione

di importanza notevole, specie in tempi di crisi.

63

Il motore delle auto normali, anche le più moderne, si chiama

“termico” e con la parola “termico” i tecnici hanno riassunto quello che

rappresenta il motore a benzina: una caldaia, che ci fa anche muovere,

ma che principalmente produce calore. In parole povere, ipotizzando

di introdurre “100 unità” di carburante, lui ci restituirà circa ”20

unità” di energia meccanica per muoverci, mentre il resto diventerà

calore (assieme agli scarti, ovvero i fumi e le polveri sottili).

Attualmente nel motore elettrico a fronte di 100 unità riceveremo circa

65 unità di energia meccanica, questo si traduce in circa 150 km

percorsi con circa 1,90 euro di energia elettrica e quasi zero

manutenzione, perché non ci sono cambi olio, filtri, candele, marmitte.

John Ford, visionario creatore della nota casa automobilistica, era

solito dire che “più cose si muovono in un’auto, più sarà facile che

questa si guasti.

Si dice che le auto elettriche consentano anche di ridurre l’emissione di

sostanze inquinanti e soprattutto dei gas serra, responsabili dei cambiamenti

climatici in atto (ormai impossibili da contestare). E’ davvero così?

Le auto elettriche sono ZEV: Zero Emission Vehicles, il che significa

che non emettono nemmeno un grammo della famigerata anidride

carbonica, la CO2, e nemmeno perdono olio (lo si trascura, ma un

motore termico che gocciola olio inquina in maniera considerevole).

C’è un’altro aspetto importante da ricordare in favore

dell’abbattimento di emissioni di CO2: il retrofit recupera auto per le

quali l’ambiente “ha già pagato un prezzo”, in termini di energia usata

per fabbricarle e CO2 versata nell’atmosfera durante la loro “vecchia

vita termica”.

L’uso di motori elettrici ci consentirebbe di ridurre la nostra dipendenza

dal petrolio. Producendo inoltre elettricità da fonti rinnovabili potremmo

ridurre anche la dipendenza da altre fonti fossili (come gas e carbone).

Approfondiamo questi aspetti legati alla strategia energetica nazionale.

Se domani dovessimo tutti convertire le nostre auto e trasformarle

in elettriche, le centrali energetiche potrebbero sopperire

tranquillamente a questa richiesta, e comunque di norma la maggiore

richiesta di energia per le ricariche avverrà di notte, quando i consumi

64

tradizionali sono più ridotti. Aggiungiamo a questo l’energia

risparmiata per la produzione, il trasporto e la commercializzazione

dei combustibili fossili!

La produzione da rinnovabili aumenta costantemente, e comunque

non dimentichiamo che l’auto elettrica non sposta il problema

dell’inquinamento dalle città alle centrali elettriche: la rete elettrica, in

termini di energia prodotta, rende più di un motore termico, le

emissioni sono molto più controllate e la produzione sempre più

rinnovabile. Privati e aziende possono scegliere di acquistare energia

verde, incentivandone sempre di più la produzione. Da non

dimenticare infine che è già possibile generarsi da soli l’energia, e in

futuro sarà sempre più semplice ed economico.

Da quanto abbiamo detto pare che la mobilità elettrica sia una vera e

propria rivoluzione energetica, economica ed ambientale, e che peraltro

sarebbe stata già pronta a manifestarsi da tempo. Perchè allora sta arrivando

solo ora? E’ vero che c’è chi ha avuto l’interesse a contrastare lo sviluppo dei

veicoli elettrici?

L’auto elettrica è nata assieme, se non prima, all’auto termica.

Come tutte le grandi rivoluzioni, quella della mobilità portava con se

vantaggi e svantaggi. All’inizio le batterie non erano vantaggiose,

anche se il rendimento delle auto elettriche era notevole, la loro

manutenzione più economica etc… Investendo nell’auto a benzina,

poi, si sono creati interessi enormi: in primis il petrolio ma anche

ricambi, manutenzione, fine vita etc…

Negli anni i motori elettrici si sono sviluppati molto più di quelli

termici e sono stati inseriti con successo nell’industria ed in altri

settori, ma molto meno nei trasporti. Anche le batterie si sono

sviluppate, diventando sempre migliori. I motori termici invece non

sono cambiati molto, ed hanno avvelenato il mondo che conosciamo.

Ma hanno arricchito e creato enormi interessi, superiori a quelli legati

all’ambiente o al risparmio dell’utente finale: perché mai l’industria

avrebbe dovuto privarsene? Non si tratta di segreti industriali,

complotti o piani segreti, ma principalmente di affari: ciò che è molto

conveniente per l’acquirente lo è poco per l’industria. È una legge

dell’economia.

65

Negli ultimi anni però è cambiato il nostro modo di comunicare, di

essere critici, di valutare e paragonare, è cambiata la sensibilità

ambientale ed economica, per questo l’auto elettrica sarà il nostro

nuovo modo di muoverci, anche se si qualcuno farà di tutto perché

questo avvenga il più tardi possibile.

Ecco infine uno spazio a vostra disposizione: fate il vostro appello a chi

volete (cittadini, potenziali collaboratori, istituzioni, ecc.).

Alle istituzioni rivolgiamo un appello, che si unisce a quello di

molte altre realtà: snellire le pratiche burocratiche per la re-

immatricolazione dei veicoli elettrici, incentivandoli. Creare

finanziamenti e incentivi mirati alla conversione trascina dietro di se

una serie di vantaggi enormi che non possono più essere dimenticati in

favore di altri interessi: il primo vantaggio è quello ambientale, che

viaggia di pari passo con quello economico.

Voglio utilizzare la frase ascoltata durante un workshop molto

importante dal rappresentante di una importantissima casa

automobilistica: “se cento anni fa avessimo scelto l’auto elettrica ed

oggi qualcuno venisse a proporci di cambiarla con il miglior modello

di auto a benzina che vi possa venire in mente, lo guarderemmo come

un pazzo. Oggi invece ci sentiamo dei pazzi a guidare una caldaia”.

***

66

13. Il Car Sharing: condividere l’auto senza

possederla

Quanti di voi hanno mai sentito parlare dei servizi di Car Sharing?

Siete a conoscenza di tutti i vantaggi che offre?

Eccone alcuni: accesso libero alle zone a traffico limitato;

parcheggio gratuito sulle strisce blu; accesso alle corsie preferenziali

dei taxi e degli autobus; nessuna limitazione a causa di blocchi del

traffico, targhe alterne e provvedimenti analoghi; veicoli sempre

disponibili in aree di sosta riservata; prenotazione telefonica o via web;

nessun costo aggiuntivo (anche il carburante è compreso nel prezzo

del servizio); auto nuove e costantemente revisionate; interoperabilità

totale con i servizi di car sharing di altre città.

E potrei continuare ancora. Molti però non sono a conoscenza del

servizio, che consente a chi fa un uso sporadico dell'auto (o magari ne

ha due e una la usa poco) di liberarsene, risparmiando una gran

quantità di denaro legata ai costi fissi (assicurazioni, tagliandi, ecc.) e

risolvendo una volta per tutte il problema della mancanza del

parcheggio. In Italia i servizi aderenti al circuito nazionale contano

diverse migliaia di iscritti, per una media di oltre 30 utenti per ogni

auto.

Anche le aziende si rivolgono sempre più spesso ai servizi car

sharing. Da una ricerca sul settore, realizzata dal circuito nazionale

Iniziativa car sharing8 (ICS), emerge infatti che ad essere abbonate al car

sharing sono in prevalenza aziende private (92%) e che poco meno

della metà di queste (il 40%) non ha un’auto di proprietà. Si tratta

nell’assoluta maggioranza di aziende piccole, con meno di 15

dipendenti, e che sono situate nel 40% dei casi all’interno di zone a

traffico limitato (ZTL) o in aree che prevedono il pagamento della sosta

8 www.icscarsharing.it

67

in strada. Per quanto riguarda invece le aziende della pubblica

amministrazione, solo l’8% di esse ricorre al car sharing, ma la quota è

in aumento.

La continua evoluzione dei sistemi di car sharing porta con sé

interessanti iniziative, come ad esempio la possibilità di integrare i

servizi di car sharing con quelli di bike sharing. Questi sistemi ben si

prestano infatti ad essere integrati nell’ambito dell’offerta di mobilità

urbana delle città. Sono state avviate anche in Italia alcune valide

esperienze di integrazione, che fanno leva su agevolazioni tariffarie e

di servizio offerte a chi aderisce ad entrambe le iniziative.

In Italia il settore è in crescita ininterrotta fin dall’avvio delle prime

esperienze, che risalgono al 2001. Secondo le indagini di soddisfazione

dei clienti realizzate dal circuito nazionale Iniziativa Car Sharing (ICS),

l’utente che sceglie il car sharing ha generalmente problemi di

parcheggio (perché non possiede un box per il ricovero dell’auto o

perché la sosta su strada è tariffata), e questo spiega il fatto che la

scelta di rinunciare all’auto di proprietà per passare al car sharing sia

più spontanea e frequente nelle grandi città.

Ma è importante capire anche cosa avviene negli altri Paesi.

Le esperienze che giungono dall’estero consentono di capire bene

quali sono le potenzialità dei servizi di car sharing e le innovazioni

allo studio in questo importante ed innovativo settore.

Parigi costituisce uno dei migliori esempi in Europa per le iniziative

di car sharing, grazie al progetto Autolib, con una flotta di centinaia di

auto elettriche disponibili 24 ore su 24 in numerose stazioni di

noleggio, distribuite nella capitale e nella sua periferia. Le vetture

elettriche possono inoltre essere ricaricate gratuitamente grazie ad

apposite colonne distribuite sia nelle zone centrali che in quelle

periferiche.

Anche in Gran Bretagna il car sharing è molto diffuso, grazie a

tante iniziative ben studiate. Si passa dal coinvolgimento delle autorità

locali (enti pubblici, università, ecc.) alla sperimentazione di vetture

elettriche, al lancio di campagne promozionali per la rottamazione

delle auto di proprietà. Non mancano le iniziative legate all’utilizzo

delle vetture di proprietà dei membri (ad esempio, Commonwheels ha

messo a punto uno schema che include le auto di proprietà dei membri

68

in cambio di tempo gratuito di utilizzo) e, soprattutto, alla

sperimentazione degli spostamenti di sola andata. In Gran Bretagna

i car club sono in effetti dei catalizzatori che favoriscono cambiamenti

di comportamento e la nascita di altre iniziative. Le autorità locali che

hanno adottato i car club come parte integrante di una più ampia

strategia dei trasporti sono state infatti in grado di inserire la

progettazione dei car club stessi nei nuovi insediamenti abitativi, nelle

nuove aree di parcheggio e nelle nuove infrastrutture di trasporto.

Anche in in Canada e in Nord America il car sharing conta ottimi

numeri, soprattutto grazie al successo di Communauto9 e Zipcar10. A

Toronto le autorità cittadine hanno lavorato molto sul tema dei

parcheggi: i gestori del car sharing hanno infatti tratto vantaggio dalle

compensazioni garantite ai costruttori di nuovi condomini che

destinavano dei posti auto al car sharing negli edifici di loro

costruzione. Non mancano innovazioni come l’utilizzo di cellulari di

ultima generazione per l’accesso alle vetture. E grazie al progresso

tecnologico,

i sistemi di car sharing sono in costante evoluzione, con

innovazioni continue nel servizio e nell’organizzazione che li rendono

sempre più attrattivi.

Uno dei più riusciti sistemi innovativi di car sharing è il progetto

Car2go11, diffuso in diverse città in Europa ed in Nord America. L’idea

di Car2go costituisce una innovazione del tradizionale servizio di car-

sharing: gli iscritti possono prenotare on-line un’automobile, ritirarla

nel punto della città più vicino e riportarla in un qualsiasi altro

parcheggio pubblico presente nel territorio coperto dal servizio. Si

supera quindi uno dei principali problemi del car-sharing, e cioè

quello di essere vincolati a restituire l’auto nello stesso punto in cui la

si è presa. Inoltre, la grande flessibilità consente anche utilizzi di pochi

minuti, come pure la possibilità di noleggiare l’auto sul momento

invece che prenotarla con anticipo.

Come funziona il servizio? Sulla patente di guida del cliente viene

applicato un sigillo elettronico che consente di aprire le Smart ed

9 www.communauto.com 10 www.zipcar.com 11 www.car2go.com

69

accedere al servizio. Chiunque avesse bisogno di un’auto può

noleggiarla salendo direttamente a bordo di una delle vetture

disponibili (accedendo a qualsiasi auto libera, grazie ad un lettore di

smart card applicato dietro il parabrezza), oppure può prenotarla con

il cellulare o su Internet. Il prezzo è di pochi centesimi di euro al

minuto, comprensivi di carburante, bollo e assicurazione, e non ci sono

limiti di tempo. Tutte le vetture sono collegate ad un centro operativo

e geolocalizzabili in tempo reale. Nelle soste intermedie, ad esempio

per fare acquisti, la vettura rimane a disposizione dell’utente. Ed è

sempre possibile trovare un’auto libera entro un raggio di pochi

minuti a piedi.

Molti sono i vantaggi rispetto al car-sharing tradizionale: oltre al

già ricordato punto di forza di fare spostamenti di sola andata

(lasciando l’auto in un punto diverso da quello di partenza), il progetto

prevede anche l’impiego di un addetto per il pieno: se l’auto

parcheggiata ha una quantità di carburante minima, la centrale

operativa invia un addetto che si occuperà del pieno, del lavaggio e del

ripristino di eventuali danni.

Un ulteriore passo avanti è dato dai cosiddetti sistemi di car

sharing peer-to-peer, che prevedono l’uso di vetture di proprietà degli

stessi utenti.

In questo modo, chi non vuole rinunciare all’auto di proprietà ha

però la possibilità di monetizzare il tempo in cui non la usa,

concedendone l’uso agli altri utenti. Ricordiamo sempre che ogni auto

è praticamente ferma 23 ore su 24 ogni giorno.

Indipendentemente dal tipo di sistema (chiuso o aperto,

tradizionale o peer-to peer, ecc.), quello che risalta è la progressiva

diffusione dell’idea che un’auto la si può usare anche senza

necessariamente possederla, cosa che nel nostro Paese, per molti anni,

risultava semplicemente inconcepibile. La condivisione di un mezzo, e

non il suo semplice, banale, costoso (e spesso inutile) possesso, è una

delle soluzioni al problema della congestione stradale e dei costi ad

essa correlati.

70

14. L’infomobilità: muoversi con l’aiuto

della tecnologia

Ognuno di noi, che si muova in auto, a piedi, o in qualsiasi altro

modo, è ben felice di poter utilizzare informazioni precise e puntuali di

supporto al suo spostamento.

La possibilità di inviare, raccogliere e scambiare dati ed

informazioni per chi si muove (ad esempio con l’aiuto di un navigatore

satellitare o con informazioni relative alle zone a traffico limitato) o per

gestire servizi legati alla mobilità è attuabile per mezzo di una serie di

strumenti e tecniche in rapida e continua diffusione. Conoscere in

anticipo la situazione della viabilità permette ad esempio una migliore

pianificazione dei propri spostamenti, riducendo sensibilmente il

problema delle code e dei conseguenti disagi (stress, inquinamento,

ecc.). Numerose città usano le tecnologie di infomobilità a questo

scopo.

Ma cos’è l’infomobilità?

La parola infomobilità indica l’insieme di procedure, sistemi e

strumenti basati sui sistemi intelligenti di trasporto (“ITS”), che

permettono di migliorare la mobilità di persone e merci grazie alla

raccolta, elaborazione e distribuzione di informazioni12.

I progressi dei servizi di infomobilità seguono gli sviluppi della

tecnologia dell’informazione. Le applicazioni possono essere utilizzate

sia dagli operatori della mobilità, sia dagli utenti dei servizi.

I servizi di infomobilità costituiscono un supporto per la gestione

dinamica del trasporto pubblico, del traffico stradale, delle flotte di

veicoli, delle infrastrutture di trasporto, ecc. grazie alla disponibilità di

informazioni in tempo reale. Sono stati sviluppati sistemi informativi

12 Definizione del gruppo “Intelligent Energy” della Commissione Europea

71

integrati dedicati al trasporto, dove tutti gli elementi sono

reciprocamente interconnessi allo scopo di far funzionare la rete dei

trasporti in modo più efficiente, diminuendo i tempi di percorrenza ed

i consumi energetici.

Ma quali sono i reali vantaggi offerti dai servizi di infomobilità?

Ai viaggiatori si facilita la scelta tra diversi modi di trasporto,

grazie ad un’ampia gamma di informazioni preziose, in particolare

sulla situazione in tempo reale (come ad esempio sui flussi di traffico o

sui passaggi degli autobus). Di conseguenza, questi servizi permettono

ai cittadini di pianificare i loro spostamenti da casa (prima di partire) e,

in qualche caso, anche di modificarli durante il viaggio stesso.

Agli Enti Locali si permette di gestire informazioni provenienti dal

territorio per distribuirle ai cittadini tramite appositi servizi allo scopo

di aumentare la sicurezza, razionalizzare gli spostamenti, e far

funzionare meglio la città (ad esempio, in situazioni di emergenza).

Agli operatori del trasporto si offre la possibilità di gestire più

efficacemente le operazioni grazie alla disponibilità di un gran numero

di informazioni. Analogamente, per i gestori di flotte è possibile avere

costantemente sotto controllo, oltre ad informazioni di carattere

generale, la localizzazione ed il percorso di mezzi e merci. In entrambi

i casi si possono conseguire forti recuperi di efficienza e risparmi

economici.

La diffusione degli smarthpone ha poi consentito la nascita di

numerose applicazioni di infomobilità, che ogni cittadino puà

utilizzare per facilitare i propri spostamenti. Da quelle che informano

sui passaggi in tempo reale degli autobus in ogni città, a quelle che

consentono di seguire l’andamento dei treni. Ed ancora: esistono

applicazioni che aiutano a localizzare sulla mappa la dislocazione delle

colonnine elettriche o delle ciclostazioni di bike sharing, ma anche

navigatori evoluti che consentono di condividere informazioni in

tempo reale tra gli automobilisti e di segnalare autovelox, indicenti e

problemi vari (come Waze o iCoyote).

In definitiva, lo sviluppo tecnologico viene in aiuto dei cittadini in

movimento con piccole ma significative facilitazioni agli spostamenti

di ognuno. Almeno da questo punto di vista, si può stare sicuri che in

futuro la situazione potrà solo migliorare.

72

15. Il Mobility Manager: chi è costui?

Quella del mobility manager è una vera e propria figura

professionale, che propone una serie di alternative all’uso dell’auto

privata immediatamente disponibili ed a basso costo. Come previsto

dalla legge13, gli enti pubblici con più di 300 dipendenti per “unità

locale” e le imprese con complessivamente oltre 800 dipendenti,

devono individuare un responsabile della mobilità del personale,

definito, per l’appunto, Mobility Manager.

A distanza di diversi anni dall’introduzione di questa figura nel

quadro legislativo nazionale, esistono tuttavia ancora molte

amministrazioni ed aziende che, pur soggette all’obbligo di nomina,

non hanno provveduto ad individuare il responsabile della mobilità

dei loro dipendenti. D’altra parte, ci sono interessanti esperienze

relative alla nomina di mobility manager con riferimento ad un intero

distretto industriale (superando quindi la semplice dimensione

aziendale).

La legge individua due possibili figure: il Mobility Manager di

azienda ed il Mobility Manager di area.

Il Mobility Manager di azienda ha l’incarico di ottimizzare gli

spostamenti sistematici dei dipendenti.

Egli ha l’obiettivo di ridurre l’uso dell’auto privata adottando, tra

l’altro, strumenti come il Piano spostamenti casa-lavoro (PSCL), con cui si

favoriscono soluzioni di trasporto alternativo a ridotto impatto

ambientale (car pooling, car sharing, bike sharing, trasporto a

chiamata, navette dedicate, facilitazione degli spostamenti ciclabili,

ecc.).

13 Cfr. Decreto interministeriale Mobilità sostenibile nelle aree urbane del

27/03/1998

73

Gli obiettivi riguardano in generale la riduzione del traffico

veicolare privato e delle sue conseguenze nocive: consumo di energia;

inquinamento atmosferico ed acustico; emissioni di gas serra;

congestione ed incidentalità stradale.

Dal 2000 la normativa nazionale ha introdotto il Mobility

Manager di area, figura di supporto e coordinamento dei responsabili

della mobilità aziendale,

istituita presso l’Ufficio Tecnico del Traffico dei Comuni di media e

grande dimensione. Egli è adibito a mantenere i collegamenti con le

strutture comunali e le aziende di trasporto locale, a promuovere le

iniziative di mobilità di area, a monitorare gli effetti delle misure

adottate e coordinare i piani spostamento casa-lavoro delle aziende.

Ogni azienda deve comunicare la nomina del Mobility Manager

aziendale al Mobility Manager di area del Comune.

Sono molte le iniziative che possono essere adottate dai mobility

manager per favorire un minor uso del mezzo privato a favore del

trasporto pubblico. Un’interessante iniziativa riguarda ad esempio

l’adozione del Ticket Mobilità. Si tratta di un voucher (analogo ai buoni

pasto aziendali) che consente l’acquisto di beni e servizi legati alla

mobilità a basso impatto. I ticket, che possono avere valori

differenziati, consentono ai dipendenti delle aziende aderenti di

acquistare presso gli esercizi convenzionati beni (auto bifuel, impianti

metano/gpl per auto, biciclette tradizionali ed a pedalata assistita) e

servizi (es. titoli di viaggio per il trasporto pubblico o crediti per l’uso

del car-sharing). I dipendenti possono inoltre acquistare veicoli a

trazione elettrica, carburante a basso impatto ambientale e ticket per la

sosta di veicoli elettrici o ibridi.

Questa iniziativa merita di avere larga diffusione. Si tratta di una

forma di reddito a destinazione d’uso vincolata: il dipendente riceve

una parte del suo stipendio sotto forma di buoni per la mobilità, che

può spendere in modo differente, ma sempre nell’ambito di beni o

servizi legati alla mobilità a basso impatto ambientale. Specie in tempi

di crisi economica, favorire per i propri dipendenti l’uso di forme di

mobilità più sostenibili ed economiche dell’auto privata può rivelarsi

per le aziende una buona forma di sostegno ai lavoratori.

74

Altra interessante novità è la sperimentazione di Genova in tema di

crediti di mobilità. Si tratta di un modello innovativo per razionalizzare

e migliorare il traffico generato dalla distribuzione delle merci,

garantendo al contempo le esigenze di rifornimento e consegna degli

operatori economici della ZTL. Il sistema funziona attraverso lo

scambio di una moneta virtuale (i crediti di mobilità, appunto) che

vengono spesi in funzione sia del numero che dei mezzi utilizzati per il

rifornimento e la consegna delle merci.

Molte altre iniziative possono essere prese dai mobility manager

per aiutarci a muoverci in modo più facile e più economico: occorre

però spingere aziende ed Enti a fare la loro parte, avvalendosi di

queste figure come previsto dalla legge e dalle normative.

75

16. La città “vive”: i tempi, gli orari, la

logistica

Esattamente come nel caso di mille altri sistemi (meccanici e non)

con cui abbiamo a che fare in ogni momento della nostra giornata,

anche

nel caso della mobilità di una città si può parlare di “sistema

dinamico”.

Esistono infatti numerose componenti fisse (strade, edifici, ecc.) e

molte altre mobili (veicoli, persone, ecc.) che interagiscono tra loro,

influenzate da fattori esterni spesso ingovernabili (es. condizioni

meteo). Il tutto fa sì che venga a costituirsi, appunto, un sistema

dinamico. Perché tutto funzioni, e cioè perché le condizioni di

circolazione e di sicurezza siano ottimali, è necessario che l’interazione

tra persone, veicoli e rete stradale sia tale da funzionare in modo

efficiente. Quando questo non succede, iniziano i problemi:

congestione stradale, tempi di percorrenza che saltano, scarsa

sicurezza.

Come migliorare questa situazione? Qui siamo nel campo della

pianificazione urbana dei trasporti. Si tratta di intervenire in questo

sistema, per quanto possibile e compatibilmente con i poteri a

disposizione dei pianificatori comunali, per cercare di governare

efficacemente la mobilità cittadina. Bisogna intervenire con regole e

vincoli, ma lasciando tuttavia a chi si deve muovere un certo grado di

libertà nel farlo con i modi ed i tempi che preferisce.

A questo proposito, esistono un paio di strumenti molto efficaci ma

purtroppo ancora poco usati, che possono consentire a chi ha in carico

di gestire il sistema della mobilità di una città di evitare situazioni

inaccettabili (come i fenomeni di congestione da traffico). Si tratta del

76

Piano dei Tempi e degli Orari e del Piano della Logistica Urbana.

Vediamo di cosa si tratta.

Con il Piano dei Tempi e degli Orari si calibrano gli orari relativi

alle attività cittadine tenendo presente gli impatti che hanno sul

traffico.

Ingresso e uscita di uffici e scuole, orari di distribuzione delle

merci, tanto per fare degli esempi, sono definiti congiuntamente allo

scopo di ridurre i fenomeni locali di congestione che si generano in

concomitanza delle ore di punta. Si tratta, in pratica, di uno strumento

di indirizzo strategico, che consente il coordinamento dei tempi e degli

orari della città al fine di migliorare la qualità della vita dei cittadini.

Il Piano dei Tempi e degli Orari è promosso dalle amministrazioni

locali per armonizzare gli orari e l’accessibilità dei servizi e dei

pubblici esercizi, semplificare i rapporti tra cittadini e pubblica

amministrazione e migliorare il sistema della mobilità cittadina,

partendo dagli spostamenti casa/lavoro e casa/scuola. Può essere

applicato solo attraverso la concertazione e il confronto con le parti

sociali – imprese, rappresentanti dei lavoratori e dei consumatori,

gestori di servizi pubblici, ecc. – in modo da conciliare esigenze e

interessi differenti.

Piani di questo tipo possono ridurre efficacemente la congestione

stradale, ma è necessaria la condivisione degli obiettivi e degli

strumenti da parte di tutti i soggetti coinvolti (a partire, naturalmente,

dall’amministrazione comunale e dalle principali sedi scolastiche e

lavorative dislocate sul territorio).

L’impostazione del progetto deve essere orientata in primo luogo

sull’organizzazione dei tempi della città, individuando i servizi

pubblici la cui erogazione spesso non si concilia con gli orari di lavoro

delle aziende. In secondo luogo occorre intervenire sul contesto

aziendale, promuovendo delle tecniche di gestione flessibile dell’orario

di lavoro. Occorre in definitiva puntare a definire un possibile

approccio all’armonizzazione tra tempo lavorativo e tempo di vita,

nella piena consapevolezza che tale aspetto è una questione che

riguarda tutti i cittadini.

La parte dedicata alla comunicazione ha poi un ruolo importante

all’interno del progetto, perché il coinvolgimento preliminare delle

77

parti sociali e dei cittadini, attraverso il dialogo, è fondamentale per la

riuscita del piano, che non può essere imposto dall’alto, ma deve

essere necessariamente frutto di un processo partecipativo. Occorre

sensibilizzare la cittadinanza rispetto ai benefici che possono derivare

dall’armonizzazione dei tempi sulla loro vita di tutti i giorni, ma anche

far comprendere i vantaggi in termini produttivi che derivano

dall’applicazione di una maggiore flessibilità negli orari di lavoro.

Ci sono buoni esempi in cui le amministrazioni hanno formulato un

piano e stipulato accordi con il Provveditorato agli studi, con gli enti di

gestione dei servizi pubblici e con le imprese. Hanno inoltre sviluppato

progetti per l’uso della bicicletta, incentivato la nascita di banche del

tempo, modificato gli orari, ampliato la gamma dei servizi pubblici e

favorito l’uso di spazi scolastici in orari extra-curricolari. La crescente

diffusione dei Mobility Manager all’interno delle pubbliche

amministrazioni e delle grandi imprese dimostra una crescente

sensibilità rispetto a queste tematiche, ma c’è ancora molta strada da

fare, anche a causa della scarsità di fondi dedicati a questi progetti che

costringono spesso le amministrazioni pubbliche a rinunciare a queste

importanti misure.

Ma come dicevamo, non è solo questione di organizzare tempi ed

orari, ma anche di progettare le migliori tecniche per la distribuzione

delle merci, attraverso l’organizzazione, l’uso e la condivisione di

mezzi a basso impatto e la ricerca dell’efficienza su carichi e percorsi.

Partiamo dall’inizio. Perché trasportiamo le merci, visto l’enorme

impatto ambientale che ne deriva? La risposta sembra banale e

scontata:

non tutto quello di cui ognuno di noi ha (realmente!) bisogno è

disponibile a due passi da casa propria. In una certa misura, quindi, il

trasporto delle merci è necessario ed inevitabile.

Il problema è che esso genera enormi impatti ambientali e sociali

(consumo di combustibili fossili, emissioni inquinanti e di gas serra,

rumore, congestione). Come se ne esce? La domanda giusta da porsi

non è perché trasportiamo le merci, ma in che modo trasportiamo le merci?

Occorre insistere soprattutto sul miglioramento della distribuzione

urbana delle merci (ambito in cui si concentra la maggior quantità di

emissioni), con riferimento ai mezzi che lavorano in conto proprio, su

78

distanze brevi (in media 4-5 km) e quasi sempre con ritorni a vuoto. Si

tratta quindi di approntare un Piano di Logistica Urbana.

Questi piani, incentivano gli operatori ad utilizzare i propri mezzi

in modo più efficiente o a sostituirli con altri meno inquinanti. Nei casi

migliori si realizzano veri e propri “Centri di Distribuzione Urbana”,

attraverso i quali la distribuzione delle merci viene affidata ad un

unico operatore (generalmente pubblico). I risultati possono essere

davvero notevoli, specie se alla riduzione dei viaggi ottenuta

attraverso una programmazione delle consegne si accompagna

l’utilizzo di mezzi a basso impatto ambientale.

Ci sono inoltre progetti interessanti come quelli di Van Sharing,

espressione con cui si intende la condivisione di una flotta di veicoli

commerciali da utilizzare per il trasporto delle merci, in modo analogo

ai già noti sistemi di car sharing. Per poter funzionare al meglio, un

sistema di van sharing deve avvalersi di una piattaforma tecnologica e

dell’utilizzo di mezzi ecocompatibili, che possano inoltre servirsi, per

la sosta nella ZTL, di aree prenotabili appositamente destinate al

carico-scarico delle merci. Come nel caso del car sharing, è opportuno

concedere agli utilizzatori del servizio una serie di agevolazioni per

favorire l’accessibilità alle zone centrali della città (sosta gratuita nelle

zone blu e nei parcheggi comunali, libero accesso alla ZTL ed alle

corsie e vie riservate, libera circolazione in caso di targhe alterne, ecc.),

oltre che l’utilizzo dei veicoli dello stesso servizio car sharing (se

presente). Anche la struttura tariffaria dovrebbe essere analoga a

quella del car sharing: una quota fissa annuale, un costo orario di

utilizzo ed un costo chilometrico di utilizzo (con carburante compreso

nel prezzo).

Infine, ma non in ordine di importanza, non vanno dimenticati i

progetti di consegna urbana delle merci effettuata su biciclette o bici-

cargo. In alcune città (Firenze e Milano su tutte) esistono opeatori che

effettuano consegne di merci in bicicletta. Ovviamente si tratta di

consegne di pacchi piccoli e poco ingombranti, ma la velocità e l’agilità

delle due ruote in ambito urbano consentono tempi di consegna molto

inferiori rispetto agli spostamenti effettuati in furgone.

79

Rendere condivisa la mobilità

80

Cosa ci impedisce di usare il trasporto pubblico per i nostri spostamenti?

È un problema di orari, percorsi, disponibilità delle corse?

È un problema di pulizia, comfort, accessibilità?

È un problema legato alla necessità di autonomia?

O, semplicemente, non lo prendiamo neanche in considerazione come

alternativa al mezzo privato?

Sicuramente, molti di questi aspetti (orari, flessibilità, comfort) influiscono

negativamente sulla scelta, eppure molto spesso l'alternativa del mezzo

pubblico sarebbe più che preferibile a quella del mezzo privato. Ad esempio,

perché costa poco e consente di andare in centro città senza avere problemi di

accesso e di parcheggio.

Negli ultimi anni il trasporto pubblico locale ha fatto grandi passi avanti in

direzione dell'innovazione e della modernizzazione. Sistemi di bigliettazione

elettronica, monitoraggio satellitare dei veicoli, utilizzo di carburanti a basso

impatto, adozione di sistemi ibridi ed elettrici: sono solo alcune delle novità

recenti che stanno portando il trasporto pubblico locale ad una nuova stagione

di grande utilizzo.

Ma non è tutto qui. Cerchiamo di capirne di più…

81

17. Il trasporto pubblico oggi: stato attuale

e prospettive

Partiamo innanzitutto da una riflessione: quanto siamo soddisfatti

del trasporto pubblico di oggi? Studi ed indagini ripetute ogni anno ci

confermano che i risultati in termini di soddisfazione non sono buoni,

ma allo stesso tempo si nota che,

nonostante i tagli ai servizi effettuati negli ultimi anni per effetto

della crisi economica, l’uso del trasporto pubblico è aumentato!

Occorre riflettere sulle cause di questa situazione, analizzando con

attenzione il contesto. Ad esempio, occorre considerare che spesso la

lentezza degli autobus è dovuta alla congestione stradale generata

dalle auto, per cui è paradossale che chi non usa il mezzo pubblico

perché pensa: “con la macchina faccio prima”, alla fine è lui stesso

concausa della lentezza degli autobus. In realtà, la velocità dei mezzi

pubblici si garantisce con corsie preferenziali e con sistemi di priorità

semaforica, ed in questo è fondamentale che i Comuni facciano la loro

parte.

Vediamo alcuni numeri14, a partire dal tempo e dalla spesa che

sosteniamo: ognuno di noi perde mediamente in coda circa 227 ore

ogni anno, mentre ogni famiglia sopporta una spesa per l’automobile

che varia tra 2.000 e 5.000 euro all’anno. Le automobili sono veri e

propri beni di consumo: il tasso di motorizzazione italiano è tra i più

alti al mondo (oltre 600 auto ogni 1000 abitanti), ed il tempo di

sostituzione delle automobili è sceso da circa 8-10 anni a circa 3-4 anni.

Il trasporto pubblico in Italia invece è poco sviluppato rispetto al

panorama europeo: la somma di tutte le metropolitane italiane

ammonta a poco più di 160 km (Parigi e Madrid superano da sole i 200

14 Fonte: indagine Altroconsumo

82

km, Londra supera i 400). Inoltre, solo il 12-13% degli spostamenti in

città è effettuato con il trasporto pubblico (si arriva al 50% circa a

Milano ed al 30% circa a Roma, ma si è lontani da Parigi, Madrid e

Barcellona, che superano tutte il 60%). E, paradossalmente, il 30% di

chi usa i mezzi pubblici, dichiara di usarli perché “mancano i

parcheggi per le auto”.

Nelle indagini emerge anche una bassa soddisfazione per chi usa i

mezzi pubblici, che come si è visto deriva da diverse cause. Peraltro,

non è difficile immaginare una situazione diversa e migliore: basta

seguire gli esempi delle città più virtuose, che in Europa non mancano.

Ad esempio, a Friburgo (220.000 abitanti) sono in vigore da anni

politiche di forte restrizione del centro al traffico privato. Il 90% dei

residenti vive in zone a traffico ridotto; il 70% degli spostamenti

avviene a piedi, in bici o con i mezzi pubblici, e ci sono 400 km di piste

ciclabili ed oltre 4.600 parcheggi per i ciclisti.

A Malmoe (280.000 abitanti), invece, esiste un quartiere dove

circolano solo pedoni, bici ed autobus (che peraltro sono alimentati a

biogas prodotto da rifiuti organici, quindi senza bruciare una sola

goccia di combustibili fossili – petrolio o metano), e solo il 35% delle

famiglie possiede un’auto (le altre ne fanno a meno o usano il car

sharing).

Anche in una metropoli come Parigi si è riusciti a ridurre il traffico

del 20% in appena due anni, realizzando un sistema di trasporti

integrato costituito da autobus, metro, treni, car sharing e bike

sharing15.

Forse non tutti sanno che il trasporto pubblico locale (autobus,

metropolitane e tram, ma anche i treni regionali usati dai pendolari) è

finanziato per i 2/3 con risorse pubbliche (derivanti dallo Stato o dalle

Regioni) e per il restante 1/3 dagli introiti derivanti da biglietti ed

abbonamenti. In altre parole, i soldi che servono per far funzionare il

trasporto pubblico (stipendi dei dipendenti, costo dei mezzi,

carburante, ecc.) non sono raccolti tutti tramite i titoli di viaggio

(pagati da chi usa i mezzi), ma sono per la maggior parte forniti dalle

amministrazioni pubbliche, con una parte del denaro raccolto

15 Servizio con 1.360 stazioni ed oltre 20.000 bici, sempre disponibile.

83

attraverso le tasse, e quindi con denaro di tutti i cittadini, compresi

quelli che non usano il sistema.

Questo accade in quanto si ritiene, giustamente, che

il trasporto pubblico è un servizio di tipo “sociale”, e quindi deve

essere fornito ai cittadini (al pari di istruzione, sanità, sicurezza, ecc.)

indipendentemente dalla sua pura e semplice remuneratività

economica.

Semplicemente, le persone devono essere messe in condizione di

potersi muovere anche se non possono dotarsi di un’automobile.

Peraltro, anche chi non usa il servizio di trasporto pubblico (ma lo

paga indirettamente con le proprie tasse) ne trae indirettamente

beneficio grazie alla riduzione di inquinamento, rumore e congestione

consentita da chi lo usa.

D’altra parte, occorre che il sistema sia sovvenzionato con

convinzione da parte delle amministrazioni pubbliche, per consentire

ai gestori di effettuare investimenti in mezzi e personale, e fornire un

servizio migliore.

I tagli agli enti pubblici che i governi fanno in tempi di crisi non

dovrebbero quindi assolutamente colpire il settore del trasporto

pubblico, che anzi dovrebbe essere maggiormente irrobustito proprio

per aiutare chi non può permettersi la spesa per un mezzo privato.

La strada verso il miglioramento della mobilità urbana quindi esiste

ed è percorribile. Basta avere la volontà di seguirla.

84

18. I migliori sistemi di trasporto pubblico

per le nostre città

Intervista ad Andrea Bottazzi

Negli ultimi anni il mondo del trasporto pubblico ha vissuto

momenti di incertezza e disorientamento come non accadeva da anni.

La crisi economica porta i governi, con poca lungimiranza, a tagliare i

trasferimenti alle Regioni per il normale e legittimo sovvenzionamento

del trasporto locale. Meno risorse al trasporto pubblico significa meno

servizi per i cittadini, per un settore che è già normalmente

sottodimensionato rispetto alle effettive necessità delle città e rispetto

al potenziale che potrebbe esprimere se ben sostenuto.

In tutto questo, comunque, prosegue l’evoluzione di mezzi,

infrastrutture e modelli organizzativi, consentendoci di individuare le

strade migliori da percorrere non solo in un’ottica di breve periodo

(per uscire dalla crisi attuale), ma anche in una prospettiva di medio e

lungo termine. Le esperienze e le migliori pratiche osservate in

numerose città di tutto il mondo consentono ormai di poter definire

con buona attendibilità un ventaglio di differenti soluzioni progettuali,

adatte ai diversi tipi di città. Ne parliamo con Andrea Bottazzi16.

***

Analizziamo innanzitutto il momento attuale del sistema del trasporto

pubblico in Italia: l’adeguatezza delle risorse a disposizione, il quadro delle

necessità, le urgenze da risolvere.

16 ingegnere di TPer (importante azienda di trasporto pubblico in Emilia-Romagna)

ed esperto del tema.

85

Le risorse sono insufficienti, ma questo deriva dai soliti problemi:

inefficienza delle aziende; tariffe inadeguate; mancanza di

investimenti; mancanza di politiche per la mobilità.Vediamoli in

dettaglio.

Per quanto riguarda le aziende, la situazione non è omogenea, ma

“a pelle di leopardo”: mentre alcune regioni hanno costi medi

comparabili con i costi europei, altre presentano situazioni non

gestibili secondo una logica “industriale”. Lee riforme del settore su

questo terreno non hanno di fatto provocato effetti omogenei. Peraltro,

devono anche essere valutati gli effetti sociali di eventuali

armonizzazioni, e deve inoltre diventare un imperativo il meccanismo

delle aggregazioni, poiché è l’unico che può dare dimensioni

industrialmente efficienti e ridurre i costi integrando i processi

secondari (amministrazione, logistica, gestione del personale, ecc.)

In merito ai finanziamenti occorre dire che fondi regionali e tariffe

definite in sede locale hanno portato il TPL a situazioni quasi ridicole,

con mancato adeguamento delle tariffe anche per diversi anni. Non c’è

una tariffa che non venga adeguata ogni anno: autostrade, gas, energia

elettrica, ecc. Perché solo le tariffe del TPL non vengono adeguate? È

perché si spera sempre in provvedimenti governativi che ripianino i

deficit all’ultimo momento (per anni è stata una prassi). Questa

situazione ridicola chiarisce come il settore non sia gestito in modo

industriale neppure dai soci delle aziende locali, cioè gli enti locali

stessi.

Inoltre, la cronica mancanza di infrastrutture si somma negli ultimi

anni e in modo ciclico al blocco delle risorse per il rinnovo delle flotte

di veicoli. È certo che le aziende devono produrre denaro per investire,

ma è anche certo che con le tariffe attuali gli investimenti devono

essere in parte coperti da fondi pubblici vincolati al rinnovo delle

flotte.

Infine, salvo qualche esempio positivo, si nota ancora un “effetto

sistema” molto limitato su priorità mezzi pubblici e su facilitazioni

all’esercizio del trasporto (ad esempio in termini di priorità

semaforiche e corsie riservate). Questi interventi ovviamente

avrebbero un effetto virtuoso sulla ripartizione modale del TPL, e di

conseguenza anche in termini di riduzione della congestione e

dell’inquinamento. Nelle politiche di mobilità rientrano ovviamente

86

anche altre tecniche (parcheggi scambiatori, car sharing, ecc.), che

devono confluire in un sistema integrato, senza restare nicchie per

pochi utilizzatori.

La crisi attuale impone di ridurre la portata temporale ed economica degli

investimenti. Tuttavia, anche in situazioni di prosperità economica, è possibile

che investimenti di portata ridotta e rapida realizzazione siano da preferire a

progetti di opere che entrano in esercizio dopo molti anni e che hanno un

tempo di rientro dell’investimento ancora maggiore. Cosa si può dire a questo

proposito? E’ possibile fare un confronto tra costi, tempi di realizzazione,

rischi e benefici delle principali tipologie di intervento sul trasporto pubblico

urbano? Quali sono le migliori strategie di sostenibilità di lungo periodo?

La questione breve/lungo periodo per i trasporti è drammatica: si

può perdere la possibilità di intervenire nel breve periodo in attesa del

completamento degli interventi di lungo periodo, che però non arriva

mai perché tali interventi sono molto costosi in termini infrastrutturali.

In effetti, sistemi come il Bus Rapid Transit (BRT) hanno avuto un

grande successo nel mondo (e, purtroppo, ancora non in Italia). Certo,

la conformazione storica dei nostri centri urbani non aiuta; ma il

problema vero è la volontà politica: nessuno vuole fare scelte che

vadano contro alcune nicchie di consenso.

Ed una nicchia che esiste purtroppo in tutte le città italiane è quella

di coloro che vogliono ad ogni costo andare in centro in macchina, e

queste persone che hanno purtroppo sempre molto “peso politico” e

appartengono a classi agiate riescono ad essere importanti nella

discussione politica di ognuna delle nostre città ed influenzarne le

scelte anche a livello di mobilità. E questo nonostante sia stato da più

parti osservato che chi va in centro in auto spesso non compra nulla, e

che anzi nei centri europei pedonalizzati le attività commerciali ne

hanno tratto importanti benefici in termini di aumento degli affari.

Spesso si parla di progetti imponenti (come metropolitane, ad esempio) con

riferimento a città di dimensione media e piccola, i cui problemi potrebbero

essere affrontati più agevolmente con sistemi più “leggeri” e dalla

realizzazione più rapida. Il successo della prima linea della tramvia realizzata

a Firenze è molto indicativo in proposito. Si tratta in ogni caso di decidere

come potenziare la “semplice” rete degli autobus con interventi più o meno

87

“pesanti”. Possiamo individuare un approccio che ci consenta di scegliere il

miglior tipo di sistema (metropolitana, tram, filobus, people mover, ecc.) in

base alle caratteristiche demografiche e territoriali della città?

Il realtà, ogni sistema e adatto a servire una certa domanda di

trasporto ed è caratterizzato da differenti costi e impatti sullo sviluppo

urbanistico della città. Le metropolitane andrebbero progettate prima

di realizzare l’urbanizzazione, e costruite contestualmente ad essa. I

sistemi più leggeri – filobus e altro – si possono contestualizzare

ovunque, basta che ci sia una volontà politica vera. Il tram è un sistema

intermedio a tutti gli effetti, sia come offerta di trasporto sia come

impatti, e quindi deve essere valutato con attenzione. I Bus Rapid

Transit sono paragonabili a tram senza le rotaie, anche se i tram (per

definizione) sono veicoli a zero emissioni, e quindi hanno più pregio.

Parliamo appunto del Bus Rapid Transit (BRT), un sistema di trasporto

pubblico di superficie su gomma “potenziato” in termini di infrastrutture,

mezzi e servizio rispetto al sistema tradizionale. All’estero ci sono numerose

esperienze di successo (come ad esempio nelle città di Curitiba o Bogotà, in

Sud America). Quali sono i punti di forza di questi sistemi? Quali invece le

difficoltà di realizzazione? Sarebbe immaginabile una soluzione di questo tipo

per qualche città italiana?

I punti di forza sono: la velocità di realizzazione, l’adattabilità a

sistemi viari ed urbani esistenti e la flessibilità di tracciato. Le difficoltà

sono invece gli investimenti minori, ma comunque da realizzare (sede

propria, nuovi mezzi dedicati, infrastrutture alle fermate) e la volontà

politica vera di attuare progetti del genere. Sarebbe realizzabile

praticamente in tutte le città con domanda di trasporto superiore ad

una bus-via ed inferiore ad una metropolitana, adeguando i veicoli 1

(12m) o 2 (18m – 20m) o 3 casse (24m), sempre su gomma, a seconda

della domanda di trasporto da servire.

Quali sono le tendenze del momento in termini di nuove soluzioni pulite

per la trazione degli autobus (a livello di alimentazione, tecnologie, ecc.)?

88

Al momento lo standard Euro V per i veicoli a gasolio e

l’alimentazione a metano sono i sistemi più rispettosi dell’ambiente

per le motorizzazioni tradizionali.

I filobus sono “ZEV” (veicoli a zero emissioni) se alimentati dalla

linea elettrica, cosi come i veicoli elettrici a batteria (questi ultimi però

non potranno mai essere una soluzione di rete, perché al massimo

possono arrivare a 9,5 m di lunghezza, altrimenti si corre il rischio di

“trasportare più batterie che passeggeri”). Chiaramente dovrà essere

prodotta sia per i filobus che per gli elettrici energia elettrica apposita

per alimentarli.

I veicoli ibridi riducono le emissioni nocive e l’emissione di CO2,

con prestazioni migliorative rispetto agli autobus con motorizzazioni

tradizionali.

Si rileva inoltre che in Italia non sono ancora sviluppate politiche

statali sui biocarburanti di origine non vegetale.

Le tue impressioni ed il tuo auspicio per il futuro.

Credo che il TPL possa essere una risposta importante per la

mobilità sostenibile del futuro. È necessario che da fenomeno

importante ma non strategico venga considerato, qual è, un aspetto

strategico dei tessuti urbani. Si pensi che un aumento della velocità

commerciale lungo le linee porterebbe una grande riduzione di

emissioni lungo le linee stesse.

Le tecnologie basate sull’idrogeno si sono dimostrate invece molto

lontane dal lancio effettivo sul mercato. Sul mercato USA, le

ripercussioni più evidenti della nuova politica ambientale hanno fatto

riconsiderare l’utilizzo del metano per grandi flotte, che peraltro

esistevano già, e rimandato più in là lo sviluppo della trazione con

alimentazione a idrogeno. Tutti i costruttori più importanti hanno

annunciato la produzione in serie di autobus ibridi.

Nell’ambito dei risparmi energetici, infine, deve essere

riconsiderato il ruolo del personale viaggiante (cioè dei conducenti), il

cui stile di guida può incidere sino al 20% sui consumi del veicolo.

***

89

19. Il trasporto pubblico flessibile

colloquio con Luca Santiccioli

Il trasporto pubblico locale, nelle cosiddette aree a “domanda

debole” (cioè con poche abitazioni, uffici, scuole, ecc.) è spesso assente

o poco frequente, e quindi poco appetibile. Tuttavia, le innovazioni

organizzative e tecnologiche degli ultimi anni consentono di ovviare a

questo probema grazie a servizi di tipo flessibile, appositamente

studiati per questi contesti.

Il trasporto a chiamata funziona grazie ad una flotta di piccoli

autobus, organizzati in modo da far effettuare spostamenti

personalizzati a seconda dei desideri dei cittadini (con origine e

destinazione scelte volta per volta), aggregando gli utenti e

impostando i percorsi con una maggiore o minore flessibilità, in modo

da soddisfare tutte le richieste.

Il sistema di trasporto a chiamata è in grado di pianificare il

percorso di ogni veicolo in base alle richieste. I modelli operativi

utilizzati per gestire tali sistemi sono peraltro analoghi a quelli usati

per il trasporto delle merci.

In generale, si cerca di ridurre il più possibile i costi del servizio

(che sono tanto più alti quanto maggiore è la flessibilità dei percorsi) e

allo stesso tempo di massimizzare il livello del servizio offerto (che

deve essere caratterizzato da tempi di spostamento ragionevoli). Per

gestire tali sistemi si utilizzano specifici software per la pianificazione

e la gestione del servizio, sistemi di navigazione satellitare, sistemi di

telecomunicazione, sistemi informativi territoriali (GIS).

Incontriamo a questo proposito Luca Santiccioli17, che ci illustra

caratteristiche, punti di forza e criticità del trasporto flessibile.

17 Ingegnere dei trasporti ed esperto di sistemi di trasporto a chiamata.

90

***

Quanto sono diffuse le modalità di trasporto pubblico “flessibile” in Italia?

Le prime esperienze risalgono alla fine degli anni ‘90. In

quest’ultimo decennio, grazie alla diffusione delle tecnologie dedicate

alla gestione dei DRTS (Demand Responsive Transport Systems) e al

successo di alcuni servizi “pilota”, si è avuta un’impennata nel numero

delle applicazioni di trasporto flessibile, tanto che oggi si annoverano

parecchie decine di servizi a chiamata attivi in gran parte delle regioni

italiane.

La flessibilità nel servizio di trasporto (come ad esempio nel caso del bus a

chiamata) è un aspetto che comporta costi superiori a quelli del servizio

tradizionale. Dal punto di vista dei cittadini, come viene valutata la maggior

flessibilità in relazione al maggior costo? Si riescono a bilanciare costi e tariffe

in modo da rendere il servizio effettivamente attrattivo?

È doverosa una premessa: la maggiore flessibilità, e di conseguenza

il maggior livello qualitativo del servizio, dovrebbero comportare un

incremento tariffario. Purtroppo questo principio viene spesso

disatteso dalle Aziende o dalle Pubbliche Amministrazioni che

promuovono il servizio flessibile, le quali solitamente optano per il

mantenimento del livello tariffario del TPL tradizionale; ciò avviene

quasi sempre qualora il servizio flessibile sia sostitutivo di un servizio

esistente, ma molto spesso pure se il servizio flessibile ha funzione

integrativa. E anche laddove viene applicata una maggiorazione

tariffaria, quasi mai la stessa è posta in relazione all’eventuale aggravio

di costo per l’operatore di trasporto.

Detto questo, nei casi in cui il servizio flessibile preveda una tariffa

superiore a quella del TPL, il cittadino solitamente dimostra di

apprezzare la maggior qualità del servizio e il suo elevato livello di

personalizzazione, e quindi accetta di pagare di più.

Anche dal punto di vista del gestore del servizio o dell’Ente regolatore,

l’erogazione di servizi flessibili comporta costi aggiuntivi. Come si concilia

questa situazione in un contesto di scarsità di risorse?

91

Da ormai diversi anni il principale ambito di applicazione dei

servizi flessibili è la sostituzione di servizi esistenti. Ciò testimonia la

volontà, da parte degli operatori di trasporto, di trovare nuove

soluzioni capaci di migliorare il bilancio fra costi di esercizio e ricavi

del TPL tradizionale, o in subordine, a parità di bilancio costi – ricavi,

di incrementare l’attrattività del trasporto pubblico, quindi variare la

ripartizione modale a favore del mezzo pubblico e conseguire in

definitiva i benefici sociali e ambientali ad esso collegati.

Sicuramente i servizi flessibili implicano un costo - quello del

call/dispatch center - aggiuntivo rispetto ai servizi tradizionali; è però

altrettanto vero che l’ottimizzazione delle percorrenze e/o la drastica

riduzione delle corse a vuoto, perseguibile mediante un buon sistema

di gestione di servizi flessibili, consentono un contenimento dei costi

relativi alla produzione del servizio.

Ciò che determina se e quanto un servizio flessibile si traduca in un

costo o un risparmio per l’operatore di trasporto è ovviamente la

struttura del contratto di servizio fra il gestore e la Pubblica

Amministrazione competente. Questo approccio tipicamente aziendale

al problema non deve far dimenticare alle Pubbliche Amministrazioni

la valenza sociale dei servizi a chiamata: nella quasi totalità dei casi il

servizio flessibile garantisce al TPL un incremento (spesso molto

sensibile) di utenza.

I servizi di trasporto pubblico flessibile possono avere differenti modalità di

implementazione e di utilizzo. Si può fare una panoramica sui diversi modelli

di servizio?

Sotto la definizione di servizio bus a chiamata possono essere

ricompresi servizi profondamente differenti per qualità e complessità.

Il modello di servizio più semplice è la linea fissa a prenotazione:

percorsi e orari sono predeterminati, ma le corse vengono effettuate

solo qualora sia giunta alla centrale almeno una prenotazione. Si tratta

di una soluzione sicuramente poco accattivante per l’utenza, ma in

realtà, se applicata in determinati contesti extraurbani a bassissima

domanda, può garantire un servizio pubblico minimale laddove un

servizio più strutturato non sarebbe economicamente sostenibile.

Interessante evoluzione del precedente modello è la linea fissa con

deviazioni: sulle corse fisse programmate lungo una direttrice di una

92

certa importanza (ad esempio il fondovalle di una zona montana)

possono inserirsi alcune deviazioni “a chiamata” verso fermate della

rete di servizio (ad esempio piccoli centri sulle alture) che non

vengono serviti se non prenotati anticipatamente.

Il modello “many to one” introduce la reale flessibilità spazio-

temporale: in questo caso infatti si tratta di organizzare un servizio che

in maniera “intelligente” prelevi l’utenza prenotata presso le fermate

sparse sulla rete di servizio e la conduca nei tempi prefissati alla

destinazione del servizio, tipicamente rappresentata da un polo

attrattore di mobilità (un ospedale, una scuola, un centro commerciale,

ecc.).

Il più alto grado di flessibilità per un servizio TPL è associato al

modello “many to many”, in cui il programma di servizio non ha

vincoli di percorso ed orario, ma è determinato unicamente sulla base

delle richieste degli utenti, i quali possono prenotare una corsa fra due

qualunque delle fermate contemplate dalla rete di servizio all’ora più

gradita.

Ovviamente al crescere della complessità del modello di servizio

diventa via via più indispensabile un adeguato supporto tecnologico

per la programmazione e la gestione del servizio.

In quali contesti territoriali le iniziative di trasporto flessibile hanno

maggior valenza e possibilità di successo (piccoli comuni da 20-30.000

abitanti, zone collinari, periferie suburbane, ecc.)?

I servizi flessibili trovano il loro ideale ambito di applicazione in

tutti i contesti territoriali caratterizzati da domanda debole. Pertanto

possono costituire valide soluzioni di TPL per le Comunità Montane

come per i piccoli Comuni di provincia, per le aree periferiche o le

zone collinari delle grandi città come per i servizi urbani serali.

Ferma restando la domanda debole, ciò che sancisce il successo di

un servizio flessibile non è tanto il contesto quanto l’accuratezza della

progettazione, l’efficacia del modello di servizio prescelto,

l’adeguatezza delle modalità di prenotazione, l’attenzione dedicata

alla formazione del personale di centrale e di bordo, la capillarità della

comunicazione.

93

Infine, parliamo del taxi collettivo. In via teorica, consentirebbe una buona

flessibilità ed un notevole abbattimento dei costi di utilizzo da parte degli

utenti. Perché allora è così poco diffuso?

È chiaro a tutti (tassisti compresi) che il taxi collettivo ha enormi

potenzialità di incrementare considerevolmente il bacino di utenza del

taxi. È però altrettanto chiaro che il servizio risulta attrattivo per il

cittadino solo se questi ha la (ragionevole) certezza di risparmiare

rispetto al servizio taxi tradizionale. Ciò si può garantire in 2 maniere.

La prima è assicurare al cittadino tariffe scontate fisse, note a priori,

a prescindere dal tempo impiegato e dal numero degli utenti presenti

in vettura. Questa soluzione è solitamente osteggiata dai tassisti, che la

ammettono solo in taluni casi limitati e circoscritti (ad esempio sulla

direttrice aeroporto – centro città), non certo per un’applicazione

estensiva al servizio taxi cittadino. La seconda è applicare alla tariffa

tassametrica uno sconto per chi usa il taxi collettivo (la formula più

condivisibile è quella delle percentuali di sconto crescenti

all’aumentare del numero dei passeggeri a bordo); in questo caso però

il risparmio per il cittadino è garantito solo se il servizio è utilizzato da

un numero sufficientemente grande di utenti da rendere molto

probabile l’abbinamento di 2 o più richieste in modo da formare un

equipaggio.

Ovviamente, per conseguire questa dimensione della domanda è

indispensabile che i cittadini siano incentivati ad utilizzare il servizio,

tipicamente mediante tariffe fortemente scontate; e qui ci si scontra

nuovamente con l’opposizione dei tassisti, poco propensi a rischiare

minori incassi al fine di acquisire nuova utenza (o, per dirla in altre

parole, poco allettati dalla prospettiva di guadagnare meno sulla

singola corsa, anche se probabilmente guadagnerebbero di più sul

maggior numero di corse effettuate).

In assenza di una politica tariffaria davvero accattivante per i

cittadini, al taxi collettivo manca quella spinta che ne potrebbe fare un

sistema di trasporto capace di catturare quella fascia di potenziale

utenza che si colloca a metà fra il TPL e l’auto privata.

***

94

20. Com’è bello il trasporto pubblico

all’estero!

Quando siamo all’estero, a meno di non recarci in luoghi sperduti e

deserti, siamo sempre notevolmente affascinati dall’efficienza dei

trasporti pubblici delle città. Ci stupiamo di come sono puntuali i

mezzi, di come sono chiare le indicazioni, di come sono puliti i veicoli

e di come è facile accedere ai servizi. Certo, ci meravigliamo anche dei

prezzi molto alti che si pagano (pensate alla metropolitana di Londra),

ma in fin dei conti le tariffe pensate per i pendolari e per chi usa i

servizi ogni giorno non sono poi così insostenibili. E poi consentono

l’uso congiunto anche di altre forme di trasporto alternative

all’automobile (car sharing e bike sharing in primis).

Quindi? È solo una questione di tariffa e di prezzo?

Sarebbe sufficiente (per modo di dire) aumentare in modo

esorbitante le tariffe del trasporto pubblico per portarlo a livelli

“europei”?

Non si tratta solo di questo. È anche una questione di

organizzazione delle città, in senso del tutto generale. Urbanistica,

ingegneria del traffico, pianificazione territoriale, dislocazione delle

attività produttive, ricreative, sanitarie, scolastiche, ecc. Tutto in una

città è strettamente intrecciato, e di questo va tenuto conto quando

occorre ragionare ed agire (e spendere del denaro) su come consentire

ai cittadini di muoversi.

Certo, le città europee non sono state progettate da zero sui tavoli

delle università, ma sono il risultato di secoli di storia, fatta di tante

diverse vicende e situazioni (conquiste, distruzioni, periodi di

sviluppo o di declino, guerre, ecc.). Dunque, non possiamo pensare che

95

le città estere fosserò già “di per sè” adatte ad ospitare treni, tram e

metropolitane.

Eppure, a Parigi, Londra, Berlino o Madrid ci si muove senza auto

molto più facilmente che a Roma o a Milano.

Ma non è solo con le grandi metropoli europee che il confronto ci

vede sconfitti. In Sudamerica, ad esempio, metropoli caotiche come

Bogotà (capitale della Colombia) hanno migliorato enormemente il

loro sistema di trasporto pubblico in pochi anni. Per non parlare della

città di Curitiba, in Brasile, diventata ormai un punto di riferimento

per tutto il mondo per il suo sistema di trasporto veloce su bus (il Bus

Rapid Transit – BRT), praticamente una metropolitana su gomma vera e

propria, con mezzi ad alta capacità e linee lunghe e di frequenza pari a

quella delle metropolitane sotterranee su ferro. E con fermate che sono

quasi delle stazioni vere e proprie, con accessi controllati e presidiati,

distanziate di diverse centinaia di metri una dall’altra. Ed ancora,

corsie ad uso esclusivo e sistemi di priorità semaforica18.

Si tratta di sistemi relativamente poco costosi. Non occorre scavare:

si risparmiano quantità enormi di tempo, di denaro, e di una lunga

lista di problemi legati alle interferenze nel sottosuolo (condutture,

falde aquifere, reperti archeologici, ecc.).

Certo, occorre avere viali larghi e diritti, cosa non sempre presente

nelle nostre città, per quanto dicevamo sopra. Almeno a prima vista. In

realtà, tutte le città dispongono di un nuon numero di viali di tipo

“radiale”, che collegano le periferie al centro (o almeno alle sue

immediate vicinanze). Attraverso essi si consentirebbe un accesso in

prossimità del centro (se non proprio al suo interno) a grandi masse di

persone provenienti dalle periferie collocate intorno alle città stesse.

Ma non è questo il punto. Il problema fondamentale è che

molte amministrazioni non hanno il coraggio di recuperare, tra le

strade delle città, lo spazio che servirebbe per realizzare sistemi

potenti di trasporto pubblico (come i BRT o i tram), in quanto questo

spazio sarebbe sottratto alla circolazione stradale.

18 il semaforo diventa verde quando arriva l’autobus, aumentando notevolmente la

velocità di percorrenza.

96

E le proteste, veementi quanto ideologiche, sarebbero per loro

insostenibili.

Ma chi ha coraggio, ottiene risultati per i quali passa poi alla storia,

come nel caso del sindaco di Curitiba (appunto), o di quello che

qualche anno fa, a Seoul (capitale della Corea del Sud), ha eliminato

una mega autostrada che attraversava la città per riportare alla luce il

corso d’acqua che correva originariamente lungo lo stesso percorso.

Lungo i margini del fiume, ora liberato, si sono sviluppati fiorenti

attività commerciali, turistiche e culturali, facendo dello stesso il fiore

all’occhiello della città, che ha ricevuto per questo riconoscimenti dal

mondo intero (mentre a Milano, per dire, i navigli ricordano e sperano

tempi migliori).

Questa breve divagazione non è casuale. Cosa hanno in comune i

sistemi innovativi di trasporto pubblico di superficie e la

valorizzazione dei corpi d’acqua nelle città? Hanno in comune il fatto

di “sottrarre “ spazio alle auto. Ma a pensarci bene, lo spazio non è

“delle auto”. È semplicemente che, nel corso degli anni, si è deciso di

destinare alle automobili gran parte (se non tutto) dello spazio

disponibile nelle città, fino a comportare, in alcuni casi, scelte estreme

come la chiusura dei corsi d’acqua.

È questo il vero tabù che deve essere superato dai cittadini (e

quindi dai loro rappresentanti nelle istituzioni): la limitazione dello

spazio cittadino concesso alle automobili. Ovviamente va fatta nel

modo migliore, con una adeguata progettazione della circolazione,

della sosta, ecc.; ma tutto parte da qui.

Dopo di che possiamo parlare, e realizzare rapidamente, sistemi

adeguati e moderni di trasporto pubblico di massa. E anche se il

biglietto dovesse costare tanto, rispetto alle tariffe di oggi, dubito

seriamente che i mezzi resterebbero vuoti.

97

21. Usare l’auto in gruppo: il Car-Pooling

Avete mai provato ad osservare le auto che ogni mattina

congestionano le strade delle città nell’ora di punta? È un esercizio

molto interessante, potete farlo se siete fermi ad un semaforo a piedi o

in bicicletta, o anche se siete al volante della vostra auto. Provate a

contare quante sono le auto con almeno una persona a bordo oltre al

conducente. Il risultato è sconvolgente:

in città la maggior parte delle auto porta solo una persona (il

conducente!), nonostante ogni automobile abbia spazio per

trasportare 4-5 persone!

Il numero di persone che mediamente sono a bordo di un’auto in

ambito urbano, definito “coefficiente di occupazione”, è pari a circa

1,2. Se siete in fila al semaforo, e beccate due volte il rosso perché

davanti avete 10 auto, sappiate che si tratta in totale di appena 12

persone, che occupano ciascuna – stando in auto – uno spazio

enormemente più grande di chi si muove a piedi, in bici, in scooter o in

autobus.

Si parla spesso degli strumenti alternativi all’uso dell’auto privata,

che consentono di conseguire riduzioni a livello di spesa monetaria e

di consumi di carburante. Ma anche chi non avesse a disposizione

mezzi diversi dalla propria auto per muoversi potrebbe comunque

organizzarsi per gestire al meglio la propria mobilità motorizzata.

Il car-pooling riguarda proprio questo aspetto. Banalmente, si tratta

della condivisione dell’auto tra più persone. O, meglio, della

condivisione “del viaggio”, utilizzando una sola auto (magari facendo

a turno tra i proprietari) da parte di più persone che devono andare

verso la stessa destinazione.

Si tratta di una pratica che negli scorsi anni era forse più spontanea

e più usata… ora l’individualismo esasperato e la percezione (errata)

98

di sostenere costi bassi per l’uso dell’auto hanno portato alla grottesca

situazione che ogni mattina riscontriamo mentre siamo in coda al

famoso semaforo (si va al lavoro tutti alla stessa ora, ma con una

persona per ogni auto…).

Dicevamo dei costi di utilizzo delle automobili. Si tratta di benzina,

parcheggio, pedaggi urbani ed autostradali, manutenzione, ecc.. (e non

parliamo dei costi fissi: assicurazione, rate di acquisto, ecc.).

Non sarebbe forse più furbo dividere i costi di uso con 2 o 3

compagni di viaggio, se andiamo tutti nella stessa direzione e alla

stessa ora?

Ci sono diversi fattori che ostacolano o impediscono questo tipo di

“utilizzo” dell’auto. Fattori oggettivi, come differenza di orari,

distanza tra i luoghi di partenza, esigenze dello spostamento. Ma

anche fattori soggettivi, come la diffidenza reciproca (nel caso di

sconosciuti) e la volontà di “starsene per i fatti propri”.

Per facilitare il superamento della diffidenza – legittima,

naturalmente – rispetto all’idea di condividere il viaggio con uno

sconosciuto, che però magari fa esattamente il nostro stesso

spostamento, ci viene incontro una modalità innovativa di conoscenza

ed aggregazione delle persone: si tratta delle piattaforme web per il car-

pooling. Ci si può mettere in contatto con altre persone anche non

conoscendosi: ogni persona ha un proprio profilo personale sul web

che consente di offrire informazioni importanti ai potenziali compagni

di viaggio (es. fumatore o meno, amante della musica, ecc.), e

soprattutto sul proprio comportamento in occasione dei precedenti

viaggi, grazie ad un sistema di feedback (commenti sull’esperienza

avuta in occasione di spostamenti precedenti) rilasciati dagli altri

compagni di viaggio. Si supera così il principale motivo di diffidenza,

e si riesce a facilitare l’incontro di più persone, che magari abitano

vicino e fanno esattamente lo stesso spostamento ogni giorno,

consentendo a tutti di ridurre i costi di utilizzo della propria

automobile.

Esistono numerose piattaforme web per il car-pooling. Molti sono i

punti in comune a tutte, ma numerose sono anche le peculiarità

associate al singolo servizio. Vediamo alcune caratteristiche di queste

piattaforme.

99

Innanzitutto si tratta di siti web ad uso gratuito, la maggior parte

dei quali offre un modo semplice per offrire e richiedere passaggi in

auto, sia occasionali che per pendolari. È possibile inoltre accordarsi

per andare insieme ad un evento, risparmiando, inquinando meno e

socializzando. I siti si rivolgono sia ai pendolari (che percorrono

regolarmente lo stesso tragitto), sia a chi viaggia per lavoro (es. agenti

di commercio e liberi professionisti), sia a chi effettua viaggi saltuari

(es. chi rientra a casa per le vacanze o il weekend).

Un efficace sistema di feedback e l’integrazione con Google Maps

sono inoltre fattori importanti che facilitano la scelta dei compagni di

viaggio.

Non va trascurata inoltre la sicurezza grazie all’obbligo di

registrazione, al feedback e all’indicazione del numero della targa. In

alcuni casi ogni utente, dopo essersi registrato, ha la possibilità di

caricare la propria foto e quella della sua automobile. Spesso inoltre è

possibile richiedere un viaggio per sole donne.

In alcuni casi è possibile utilizzare degli avatar, che “descrivono” gli

utenti nel loro modo di vestire, nell’acconciatura ecc. Questo aiuta ad

avere un colpo d’occhio migliore sulle tipologie di utenti nel momento

in cui si consulta la mappa e si cerca un compagno di viaggio. Le varie

piattaforme sono inoltre accompagnate da applicazioni per

smartphone e da gruppi di utenti registrati sui principali social

network.

Alcuni siti offrono diversi livelli di servizio a seconda che gli utenti

siano aziende o privati cittadini. Nel caso delle aziende, si possono

anche definire delle destinazioni per gli eventi a cui partecipare

(convention, corsi, missioni, ecc.), oppure per la promozione di eventi

pubblici organizzati dall’azienda ma aperti ai suoi utenti/consumatori.

In altri siti, a differenza delle tradizionali piattaforme web per il

car-pooling, autista e passeggero hanno motivazioni differenti per

effettuare lo spostamento. In particolare, l’autista può sfruttare il suo

tempo e la sua auto come una vera e propria opportunità di guadagno,

mettendosi a disposizione per accompagnare chiunque abbia bisogno

di effettuare un trasferimento per medi e brevi tratti. Chi vuole

richiedere un passaggio si registra in modo rapido e, dopo aver

completato il profilo (che prevede anche l’inserimento di indirizzo e

100

cellulare, in modo da dare maggiori garanzie sia al passeggero che

all’autista), definisce il percorso, che viene immediatamente

visualizzato su Google Maps. Può inoltre indicare se trasporta un

bagaglio o se ha altre particolari esigenze. Vengono così visualizzati i

km da percorrere e la spesa consigliata per lo spostamento.

Non riporto qui il lungo e mutevole elenco delle piattaforme web

usate per il car pooling: come detto, ce ne sono per tutti i gusti e per

tutte le esigenze. Vi invito però a tenerle in considerazione ed a

provare ad usarle, per cercare o offrire un passaggio in auto,

superando la diffidenza di fare un viaggio con persone che (ancora)

non si conoscono.

La condivisione dei viaggi (e delle esperienze) è anche questo.

101

22. Un po’ car pooling, un po’ autostop: alla

scoperta di Jungo!

Colloquio con Gloria Gelmi

Mai come di questi tempi ci rendiamo conto di quanto sia

sconveniente affidare la nostra possibilità di muoverci alla

disponibilità di combustibili fossili che non abbiamo (!) e che

dobbiamo comprare da altri Paesi, spesso peraltro governati da gente

ignobile e con cui non sarebbe opportuno neanche prendere un caffè.

Al di là delle motivazioni di carattere politico ed ambientale che

impongono una urgente rivoluzione nella strategia energetica

nazionale, il perdurare della situazione esistente spinge molti a ridurre

l’uso dell’auto semplicemente a causa del prezzo di benzina e gasolio.

D’altra parte, chi non può fare a meno di usarla avrebbe molto

piacere nel tentare di contenerne i costi, magari attraverso una

compartecipazione al viaggio (ed alle spese) effettuata da altre

persone. In questo contesto si inserisce la proposta di Jungo, un

sistema per la mobilità sostenibile altamente innovativo, che abbina la

flessibilità dell’autostop ai vantaggi del car pooling. Gloria Gelmi19, ci

illustra il suo funzionamento.

***

Cosa è Jungo? Come funziona? In cosa si differenzia dai sistemi di car-

pooling tradizionali?

Jungo è un modo nuovo di spostarsi, che sfrutta l’enorme quantità

di sedili vuoti in costante movimento sulle strade. Abbina la grande

19 Mobility manager di area della Provincia di Bergamo.

102

flessibilità dell’autostop ai vantaggi che potrebbe offrire un carpooling

organizzato: garanzie di sicurezza, tornaconto economico reciproco

(con rimborso spese standardizzato per il guidatore), opportunità di

socializzazione, riduzione del numero di veicoli in circolazione. E’

partito in Trentino, con un’esperienza pilota prima al mondo, per

iniziativa dell’omonima associazione. Anche la Provincia di Bergamo

l’ha lanciato sul proprio territorio, e diverse altre amministrazioni sono

intenzionate a seguirne l’esempio.

L’idea di Jungo è semplice: se introduciamo dispositivi “blindati”di

sicurezza reciproca, e l’opportunità di un vantaggio economico anche

per l’automobilista, dare e ricevere passaggi diventa molto più facile e

piacevole. Aumenta la “propensione all’imbarco” e i tempi di attesa si

riducono, si attirano nuovi partecipanti, si innesca un meccanismo

virtuoso.

Gli iscritti a Jungo possono chiedere un passaggio semplicemente

mostrando la propria tessera (al posto del pollice usato per l’autostop):

gli automobilisti membri di Jungo – o che comunque conoscono il

sistema – sanno che quel gesto identifica un autostoppista sicuro e

pagante, con cui potrà essere piacevole (oltre che economicamente

vantaggioso) condividere un tratto di strada.

Si può “jungare” su qualsiasi strada e a qualsiasi ora, anche se

ovviamente le probabilità di ottenere un passaggio sono direttamente

proporzionali al traffico presente e alla conoscenza di Jungo in un certo

territorio. Senza contare il vantaggio della sicurezza reciproca,

mancante nell’autostop.

Come in tutti i progetti in cui si cerca di aggregare persone che non si

conoscono, la questione della sicurezza e della fiducia reciproca è

fondamentale. Quali sono gli strumenti che ha Jungo per facilitare la

condivisione dei viaggi tra sconosciuti?

Esibendo la propria card, lo “jungonauta” garantisce che non ha

precedenti penali, non è stato escluso da Jungo (l’esclusione per

malcomportamento avviene a seguito di una complessa ed esclusiva

procedura attivata dalle segnalazioni) ed infine che è “tracciabile”, al

momento dell’imbarco, con un SMS contenente il nome utente.

Analogamente, è tracciabile il guidatore, anche se non iscritto a Jungo

(tramite targa o patente). Le donne, se vogliono sentirsi ancora più

103

sicure, possono segnalare che la loro richiesta di imbarco è rivolta solo

ad altre donne: basta esibire insieme alla card il nastrino rosa

(recapitato con la card).

L’aspetto cooperativo ed il senso di comunità che sta dietro questa

iniziativa appare un forte fattore di successo. Tuttavia, non è da dimenticare il

risparmio/guadagno economico percepito da tutti i soggetti coinvolti (autisti e

passeggeri). Che tariffe hanno e come sono regolati i pagamenti?

E’ previsto per ogni passaggio offerto un “rimborso spese” di

10cent/km (5cent/Km per viaggi oltre i 20 Km) + 20cent di “fisso”, che

lo “jungonauta” versa in contanti al guidatore. Sul sito www.jungo.it è

facilmente calcolabile il risparmio annuo ottenibile da chi offre e da chi

riceve i passaggi. Un iscritto che imbarca regolarmente passeggeri

Jungo, per percorrenze cumulate di 20.000 km. annui, suddivisi in

2.000 tratte, e che spenderebbe in benzina circa 4.000 euro, può

recuperare circa 2.400 euro. Nell’esperienza trentina si è visto però che

spesso l’automobilista rifiuta il compenso. L’iscrizione a Jungo costa 15

euro all’anno.

In quali situazioni occorre intervenire secondo te con più urgenza per

migliorare le condizioni della nostra mobilità? Chi ha la responsabilità di

queste azioni?

Siamo tutti responsabili, ogni volta che non ci domandiamo

nemmeno se salire in auto sia evitabile. Ovviamente, però, politici e

amministratori pubblici potrebbero avere gli strumenti per orientare i

comportamenti dei cittadini, se lo volessero. Ma sarebbero

provvedimenti considerati impopolari, e quindi temutissimi.

Cito un proverbio cinese: “Molte piccole cose, fatte da molta piccola

gente, in molti piccoli luoghi, possono cambiare la faccia della terra”.

Invito a fare responsabilmente la propria parte senza delegare o

attendere gli altri, ad agire coerentemente coi propri ideali senza

timore di andare controcorrente e di apparire utopisti. Non importa se

all’inizio si è in pochi. Col tempo, gradualmente e impercettibilmente,

ogni cultura dominante si modifica, e a volte arriva a sgretolarsi.

***

104

23. Il Piedibus: accompagnare i bambini a

scuola in sicurezza

Muoversi a piedi è spesso la soluzione migliore per gli spostamenti

brevi per andare a scuola o in ufficio, o per fare piccole spese e

commissioni. Per quanto possa sembrare banale, favorire gli

spostamenti pedonali costituisce una delle principali misure di

mobilità sostenibile. Non si tratta solo di usare di meno i mezzi

motorizzati, con ovvi vantaggi in termini di risparmio di spesa, ma

anche di star meglio in salute: infatti,

fare una passeggiata di venti minuti al giorno contribuisce a

migliorare l’umore e aiuta a mantenere sano il cuore.

Per gli spostamenti casa-scuola dei bambini occorre incentivare la

diffusione del Piedibus. Vediamo di cosa si tratta.

Il Piedibus20 è un progetto nato in Danimarca diversi anni fa con lo

scopo di promuovere l’esercizio fisico nei bambini. È ormai diffuso nel

Nord Europa e negli Stati Uniti, ed anche in Italia è in rapida crescita.

Il progetto è nato con lo specifico scopo di combattere il crescente

fenomeno dell’obesità infantile, ma si è rivelato utile anche per

promuovere la socializzazione e l’autostima dei bambini e per ridurre

il traffico veicolare nei pressi delle scuole.

I bambini, anziché prendere l’autobus o lo scuolabus, alla “fermata”

del Piedibus (segnalata da un cartello apposito) si aggregano ad una

comitiva guidata da alcuni addetti fino a scuola, e viceversa per il

ritorno a casa. Il Piedibus è organizzato come un vero autobus, con

linee, fermate, orari, e regolamento: “trasporta” i bambini in modo

sicuro, ecologico e salutare. I bambini vengono accompagnati da due

20 http://it.wikipedia.org/wiki/Piedibus

105

responsabili adulti, un “autista” davanti ed un “controllore” che

chiude la fila.

L’organizzazione dei Piedibus è curata da comuni, ASL, scuole o

associazioni, ed è generalmente affidata a volontari (compresi i

genitori o i nonni degli stessi alunni ed il personale comunale) che

assicurano il servizio.

Questo sistema consente di evitare il traffico cittadino mattutino

che si crea attorno agli istituti scolastici, favorire la conoscenza del

territorio da parte dei bambini e promuovere un comportamento

salutare. Tali iniziative portano inoltre un notevole risparmio di tempo

ai genitori, che possono lasciare i loro bambini alle fermate del

Piedibus autorizzate e opportunamente presidiate nei punti più vicini

a casa, contribuendo alla creazione di una zona veramente sicura per i

bambini.

Come si organizza un progetto di Piedibus?

Occorre innanzitutto organizzare una serie di incontri che possano

coinvolgere l’amministrazione comunale, le forze dell’ordine, le

associazioni, gli insegnanti e le famiglie (genitori e bambini stessi).

È poi di fondamentale importanza l’analisi dei percorsi casa-scuola

(da effettuarsi grazie all’aiuto di un mobility manager), e l’effettuazione

di sopralluoghi che consentano di rilevare le criticità presentate dai

percorsi stessi, in modo da poter individuare, con il contributo di

insegnanti, genitori e forze dell’ordine, le misure necessarie per

metterli in sicurezza.

Dopo aver individuato i tragitti del Piedibus, occorre evidenziarli

attraverso la stampa (su asfalto e marciapiedi) di impronte colorate in

modo diverso a seconda dei percorsi, che consentano ai bambini di

individuare e seguire il percorso in modo facile e divertente. Inoltre,

per rendere ancora più comprensibile al bambino il percorso da

compiere ed i pericoli da evitare, occorre predisporre appropriati

segnali in corrispondenza degli attraversamenti pedonali e delle

svolte, riportanti anche suggerimenti per il comportamento da tenere.

Durante le fasi di sperimentazione è opportuno che anche genitori

ed insegnanti accompagnino i piccoli (oltre agli accompagnatori

“ufficiali”), magari con l’aiuto di artisti e teatranti che facciano

106

percepire meglio ai bambini il divertimento che deriva dal camminare

insieme. Per facilitare la riconoscibilità dei bambini è utile inoltre

dotarli di giubbini ad alta visibilità.

Risulta fondamentale, per la gestione dell’organizzazione e dello

svolgimento dell’attività, anche il coinvolgimento attivo delle forze

dell’ordine ed il loro confronto con gli insegnanti e con le famiglie

degli alunni: la loro conoscenza dell’ambiente cittadino anche in

funzione di necessità e problematiche quotidiane costituisce un valore

aggiunto imprescindibile nella definizione di efficaci strategie per lo

sviluppo (anche sociale) dei territori.

E il miglioramento della sicurezza stradale, specie per i più giovani,

rappresenta sicuramente una delle vie attraverso cui passa lo sviluppo

di un territorio21.

21 Le informazioni riporrtate sono tratte dal progetto realizzato in Puglia dallo studio

ElaborAzioni (www.elaborazioni.org).

107

Rendere sicura la mobilità

108

Quanto è importante la sicurezza stradale? Perché non si riesce ad eliminare

la piaga delle migliaia di persone che ogni anno restano vittime degli incidenti

stradali?

In Italia ogni giorno circa 10 persone muoiono a causa di incidenti stradali, e

molte altre restano ferite (spesso con danni permanenti). Ed il maggior

numero di incidenti si verifica nelle aree urbane, coinvolgendo soprattutto

pedoni e ciclisti, in un contesto che non dovrebbe certo essere pericoloso.

Gli sforzi per ridurre numero e gravità degli incidenti sono sempre maggiori

(e cominciano, in effetti, a portare qualche beneficio), ma ancora siamo lontani

dall’aver risolto il problema. Anzi.

Vediamo nelle prossime pagine come si può abbassare la soglia del pericolo

nelle città e come è possibile aiutare tutti (compresi i più deboli) a muoversi

evitando i pericoli della strada.

109

24. La sicurezza stradale migliora, ma…

Con il contributo di Andrea Marella

Come procede l’attività di potenziamento della sicurezza stradale

in Italia? Sono realmente in diminuzione gli incidenti ed il numero di

morti e feriti? Nel complesso, la situazione sta lentamente

migliorando, ma non mancano aspetti contraddittori.

Nel 2011 si sono registrati in Italia 205.638 incidenti stradali con

lesioni a persone. Il numero dei morti (entro il 30° giorno) è stato di

3.860, quello dei feriti ammonta a 292.019. Rispetto al 2010, si riscontra

una diminuzione del numero degli incidenti (-2,7%) e dei feriti (-3,5%)

e un calo più consistente del numero dei morti (-5,6%). Ciò significa

che ogni giorno si sono verificati mediamente 563 incidenti stradali che

hanno comportato lesioni alle persone (precisamente la morte di 10

persone ed il ferimento di altre 800).

Negli ultimi anni il numero di incidenti, morti e feriti è calato

sensibilmente, anche se l’Italia non è riuscita a centrare l’obiettivo

europeo di dimezzamento del numero dei morti nel periodo 2000-2010

(pur avvicinandosi molto).

Nei grafici che riporto di seguito sono evidenziati gli andamenti dei

principali indicatori degli incidenti stradali22.

***

22 Mie elaborazioni sui dati ufficiali ACI-Istat

110

***

***

111

***

***

112

Fin qui i numeri. Vale però la pena riportare un breve estratto di un

articolo comparso, in occasione dell’uscita del rapporto Aci-Istat nel

novembre 2012, sul blog Bicisnob 23 , che mette in evidenza aspetti

contraddittori relativi ai dati ufficiali:

“Fortunatamente i morti scendono, e questo è vero, ma non si tratta

della conseguenza di politiche virtuose. Piuttosto sono diventati più

efficaci i sistemi di sicurezza attiva e passiva delle auto e sono

migliorate le tecniche della chirurgia d’urgenza che trasformano un

morto di ieri in un invalido o un ferito grave di oggi. E la conferma

arriva dagli incidenti che coinvolgono chi va a piedi o pedala che non

se ne fa nulla di air bag e roll bar e continua perciò a morire come e più

di prima: i ciclisti uccisi da un impatto con un veicolo a motore sono

aumentati del 7,2% nell’ultimo anno”.

La problematica dunque è complessa: non ci si può fermare

all’analisi dei soli numeri complessivi. Stiamo davvero facendo dei

progressi o dobbiamo essere preoccupati? Ci risponde Andrea

Marella24.

***

La situazione è disordinata e senza pianificazione. Disordinata,

perché ognuno fa quello che può e, molto spesso, solo quello che

vuole: pubbliche amministrazioni più o meno sensibili fanno interventi

di “messa in sicurezza”, che molto spesso non sono altro che

manutenzioni ordinarie, un fiorire di associazioni no profit che non

possono che portare ad un abbassamento culturale e di ricerca sul

tema, tecnici sempre più condizionati dalle scelte dei decisori locali.

Senza pianificazione, perché il Piano Nazionale della Sicurezza

Stradale (PNSS) è del 2001: mancano un aggiornamento, e soprattutto

una pianificazione a 360°, dal Governo alle realtà locali. In questo

marasma generale ognuno pubblica e si plaude da solo di aver trovato

la panacea del male sicurezza stradale. Non vorrei passare per

pessimista, ma la strada è ancora lunga.

23 http://bicisnob.wordpress.com 24 Ingegnere, esperto in ingegneria del traffico e sicurezza stradale.

113

In merito alla normativa europea recente è importante il pacchetto

sicurezza definito in Commissione Trasporti. Ci sono articoli che

introducono obblighi nei confronti degli enti proprietari e

concessionari delle strade, e degli enti locali competenti, con la finalità

di elevare i livelli di sicurezza della circolazione, con specifico

riferimento alle strade ove si registrano i più alti tassi di incidentalità.

Sono stati inoltre fissati – finalmente – i termini e le modalità per la

trasmissione, in via telematica, dei dati relativi all’incidentalità stradale

da parte delle Forze dell’ordine e degli enti locali al Dipartimento per i

trasporti. Solo così finalmente potremo vedere la reale situazione della

nostra povera Italia. Non c’è molto da commentare, se non auspicare

che queste norme siano presti cogenti e che per una volta tanto fatta la

legge non si trovi l’inganno.

Il quadro europeo è molto diverso da quello italiano. È decisamente

meglio organizzato e più concreto sul tema. Una buona esperienza è

data da “Vision Zero”, che è un programma di pianificazione e

programmazione sulla sicurezza stradale adottato dalla Svezia e

ripreso di recente anche dalla Svizzera con Via Sicura, e si basa su un

concetto semplice:

occorre concepire la sicurezza stradale alla pari della sicurezza

nello spazio aereo, dove qualsiasi azione, progetto e attività sono

studiate per annullare il rischio di incidente.

Credo che se passasse questo concetto anche in Italia potremmo

avere davvero un’effettiva pianificazione della sicurezza stradale, per

attuare poi tutte quelle attività di progettazione, comunicazione ed

informazione nel campo della moderazione del traffico, nella mobilità

sicura e sostenibile e in generale nell’ecologia urbana.

***

114

25. Le avventure quotidiane dei pedoni (ed

i loro rischi)

colloquio con Giampiero Mucciaccio

Ognuno di noi, anche chi fa un uso smodato ed eccessivo dell’auto,

si trova in numerosi momenti della giornata a muoversi a piedi per le

strade. Provate a contare quante volte attraversate la strada in una

giornata qualsiasi, impegnando uno spazio che dovrebbe essere

condiviso da tutti (pedoni, ciclisti, auto, autobus, ecc.), ma che invece è

spesso tale da impedire i movimenti a chi va a piedi (o addirittura in

carrozzina, se disabile). Il rischio di incidente stradale durante ogni

attraversamento può essere alto, e le conseguenze sono tutte a danno

del pedone.

Ne parliamo con Giampiero Mucciaccio, del Centro Antartide25,

cercando di comprendere la grandezza del fenomeno e le misure di

sicurezza da mettere in atto.

***

Sappiamo bene che non basta trovarsi sulle strisce pedonali per essere al

sicuro: molti incidenti avvengono anche quando il comportamento dei pedoni

è corretto (attesa del verde al semaforo, attraversamento sulle strisce). Quali

sono le principali cause della scarsa sicurezza dei pedoni?

È vero che anche i pedoni non rispettano le regole della strada. E

questo è forse il fattore che più contribuisce alla rimozione collettiva

delle tragedie stradali, che, sebbene molti passi avanti siano stati fatti,

25 http://www.centroantartide.it

115

non generano ancora sufficiente allarme sociale. Il problema è infatti

che, a differenza di altri casi di cronaca nera, le tragedie della strada

non possono essere facilmente addebitate ad una categoria particolare,

magari percepita come “diversa” per il colore della pelle, il paese o la

regione di provenienza o la religione. Sulla strada siamo tutti

contemporaneamente potenziali vittime e potenziali carnefici.

All’obiezione che la colpa è anche dei pedoni, che non rispettano le

regole della strada, rispondiamo comunque che quasi il 30% dei

pedoni morti è stato investito mentre attraversava la strada sulle

strisce. La principale causa della scarsa sicurezza dei pedoni è quindi

proprio la scarsa considerazione che ne hanno gli altri utenti della

strada, automobilisti e motociclisti/scooteristi in primis.

I pedoni si muovono sulla strada con un ritmo diverso rispetto ai

mezzi motorizzati, soprattutto se sono anziani. E questo li rende sia

invisi che invisibili ai conducenti. Ma dobbiamo capire che non si può

chiedere ai pedoni di adeguarsi alle prestazioni dei mezzi a motore.

Non può che essere il contrario. E quando alla guida della nostra auto

ci capita di sbuffare nell’attesa che un pedone attraversi la strada,

ricordiamoci che, come recita il titolo di una nostra campagna, “siamo

tutti pedoni”. Anche noi, quando scenderemo dall’auto, torneremo ad

essere pedoni.

Non tutti i pedoni sono uguali: gli anziani ed i bambini sono più esposti

degli altri ai rischi ed alle conseguenze degli incidenti. Quali sono i pericoli

principali che corrono i bambini? E quali sono quelli che corrono gli anziani?

Sicuramente tra i più colpiti ci sono gli anziani: la maggior parte dei

pedoni morti ha più di 60 anni. Tra i bambini ci sono meno vittime, ma

solo perché i genitori impediscono loro tout court di muoversi da soli

per strada. Per entrambe le categorie quindi, a parte gli ovvi rischi per

l’incolumità fisica, il problema più grande è la limitazione alla libertà

di muoversi, che per gli anziani si traduce spesso anche in isolamento

sociale.

Per quanto riguarda la causa dei problemi, negli anziani è da

addebitarsi ad una minore prestanza fisica e sensoriale rispetto alle

persone adulte. Nei bambini il problema principale è invece la scarsa

percezione del pericolo e la difficoltà a percepire correttamente

l’ambiente che li circonda nella sua complessità. Per un bambino che

116

gioca per strada è normale concentrarsi nell’inseguimento del pallone,

senza prestare attenzione se in quel momento stia arrivando un’auto o

meno.

Cosa si dovrebbe fare a livello normativo e legislativo per porre un freno al

fenomeno dell’incidentalità stradale che coinvolge i pedoni? Che tipo di

misure dovrebbero essere introdotte dalle nostre amministrazioni nazionali e

locali?

In realtà il passo più grande dal punto di vista normativo è già stato

fatto. Forse non tutti sanno che, fino all’ultima revisione del codice

della strada, l’Italia era tra i pochissimi paesi europei a prevedere

l’obbligo per i conducenti di fermarsi solamente quando un pedone

stava già passando sulle strisce. In pratica per la legge italiana uno

doveva buttarsi sulle strisce e solo allora gli automobilisti erano tenuti

a farlo passare. Nei paesi più attenti alle esigenze di tutti l’obbligo per i

conducenti è invece di fermarsi anche solo quando vedono una

persona che manifesti l’intenzione di attraversare.

Anche da qui deriva la scena che ci vede sempre protagonisti

all’estero quando ci stupiamo di come gli automobilisti si fermino

anche quando siamo solo in prossimità delle strisce, senza che si stia

attraversando. Con le modifiche al codice della strada del luglio 2010,

anche in Italia è finalmente obbligatorio fermarsi anche quando si veda

un pedone che intende attraversare. Naturalmente non è solo un

problema di leggi, ma alle leggi deve seguire il formarsi di una cultura,

per cui certi atteggiamenti diventino semplicemente senso comune, e

proprio questa è la nostra sfida.

Per quanto riguarda le amministrazioni locali il tema è invece

quello del far rispettare le regole della strada a tutti i livelli tramite una

presenza ed un’azione continua della polizia municipale, che deve

essere percepita come sempre presente e sempre pronta a reprimere gli

abusi e non sguinzagliata solo una volta ogni tanto, magari “a

tradimento”, quanto il Comune deve fare cassa.

Quali sono infine le migliori pratiche a livello internazionale in materia di

protezione degli utenti deboli della strada? E’ possibile “importare” anche in

Italia le misure più efficaci per la salvaguardia della salute dei pedoni?

117

La migliore pratica, che è senza dubbio possibile importare anche

da noi, è la costruzione di una cultura di rispetto del pedone, realizzata

con azioni di educazione, informazione e sensibilizzazione, ma anche

di repressione. Senza questo passaggio non si va da nessuna parte.

Infine, occorre mettere mano a tutti quegli interventi infrastrutturali

volti a migliorare la sicurezza dei pedoni, dai marciapiedi (se ci fate

caso tantissime strade, anche di grande importanza, ne sono

sprovviste) agli interventi di traffic calming, ovvero di riduzione della

velocità del traffico veicolare per renderlo compatibile con pedoni e

ciclisti, come ad esempio le isole di sicurezza al centro delle

carreggiate, il controllo elettronico della velocità e la temporizzazione

intelligente dei semafori.

***

118

26. Miglioriamo la sicurezza di chi

cammina per le strade

600 persone vengono uccise ogni anno sulle strade mentre

camminano a piedi, e ben il 30% di esse durante un attraversamento

della strada sulle strisce pedonali.

I pedoni feriti sono oltre 20.000, in buona parte anziani.

È una strage nascosta, di cui non si parla, che causa molti più lutti

di altre questioni su cui il martellamento mediatico è ben maggiore

(come è stato ad esempio per le varie influenze aviaria, suina, ecc.). E

tutto accade durante l’atto apparentemente più naturale ed innocuo

che possano compiere le persone: camminare. Occorre prendere

coscienza di questa seria situazione, ed intervenire a tutti i livelli per

porre fine a questa mattanza. Amministratori, educatori, automobilisti

e gli stessi pedoni devono quindi fare ognuno la propria parte per

raggiungere l’obiettivo.

Segnalo a questo proposito l’ottimo lavoro svolto da ACI e dagli

altri Automobile Club europei, che già dal 2008 realizzano una

accurata indagine riguardante i pericoli connessi agli attraversamenti

pedonali nelle nostre città. Si tratta del programma European Pedestrian

Crossing Assessment (EPCA)26.

Luca Pascotto 27 fornisce a questo proposito alcune importanti

raccomandazioni.

***

La mobilità dei pedoni dovrebbe essere sempre oggetto di una

specifica attività di pianificazione e progettazione finalizzata ad

26 www.eurotestmobility.com 27 coordinatore per l’ACI della ricerca ( www.lucapascotto.it).

119

individuare soluzioni in grado di soddisfare le esigenze di sicurezza

dei pedoni, tenendo conto di tutte le interazioni con le altre

componenti di mobilità (motorizzate e non).

La visibilità degli attraversamenti pedonali dovrebbe costituire uno

dei più rilevanti criteri progettuali. A questo proposito, gli

attraversamenti pedonali dovrebbero essere progettati evitando la

presenza di ostacoli alla visuale reciproca tra pedoni e conducenti. In

particolare, dovrebbe essere incoraggiato l’utilizzo di marciapiedi

avanzati rispetto agli spazi di sosta.

L’introduzione di linee di arresto prima degli attraversamenti è

ugualmente importante. Se collocate ad una distanza di 6-15 metri, non

solo favorisce l’arresto dei veicoli in prossimità degli attraversamenti,

ma migliora anche la visibilità tra pedoni e veicoli in avvicinamento su

tutte le corsie di marcia.

Nelle intersezioni è necessario evitare soluzioni progettuali che

limitino la visibilità reciproca tra pedoni e veicoli in svolta, liberando da

ostacoli gli spigoli delle stesse.

Nelle situazioni maggiormente a rischio per i pedoni, andrebbe

valutata la possibilità di introdurre isole salvagente, in grado di

proteggere i pedoni in attraversamento.

Occorrerebbe poi favorire l’utilizzo di segnaletica orizzontale ad

elevate prestazioni di rifrangenza. L’introduzione di misure aggiuntive

per migliorare la visibilità specialmente nelle ore notturne andrebbe

incoraggiata: luci lampeggianti, elementi luminosi di arredo urbano,

impianti semaforici a portale, ecc. possono fare la differenza in termini

di sicurezza.

La manutenzione degli attraversamenti pedonali dovrebbe essere

effettuata con particolare cura e sistematicità, garantendo livelli

prestazionali sempre ottimi. In particolare, le pavimentazioni stradali

in approccio agli attraversamenti andrebbero mantenute in modo da

garantire livelli di aderenza sempre ottimali (pavimentazioni ruvide

sono da preferirsi a materiali a bassa aderenza, per una migliore

prestazione in caso di frenata).

Gli attraversamenti pedonali dovrebbero essere oggetto di vere e

proprie “safety review”, allo scopo di individuare a livello puntuale gli

interventi da mettere in atto per la messa in sicurezza degli stessi.

120

Negli attraversamenti pedonali semaforizzati, le singole fasi devono

essere dimensionate in modo tale da garantire sempre un

attraversamento sicuro alle persone. Nei casi di fasi pedonali non

esclusive, l’introduzione di apposite lampade supplementari

lampeggianti può servire ad avvertire i conducenti della presenza

contemporanea di pedoni in attraversamento.

L’accessibilità agli attraversamenti pedonali va garantita anche alle

utenze in carrozzina: è necessario prevedere soluzioni di accesso a raso,

ovvero rampe di accesso aventi pendenze mai superiori all’8%.

Per le utenze ipo/non vedenti, l’introduzione di percorsi tattili,

dispositivi acustici o tattili ai semafori ed uno spazio di accesso

separato rispetto alle rampe (gradino o normale marciapiede) migliora

notevolmente la sicurezza. Per tali utenze, la diffusa pratica di

introdurre dei paletti metallici molto bassi come dissuasori della sosta

veicolare, è da ritenere pericolosa e quindi non raccomandabile.

L’introduzione di segnaletica orizzontale supplementare per

l’indicazione della provenienza del traffico veicolare (del tipo “look right”) è

da ritenersi di grande aiuto anche (e non solo) per i non udenti.

Particolare cura va riservata alla gestione dei conflitti con le altre

componenti della viabilità, in particolare con quella ciclistica e con i tram,

evitando soluzioni potenzialmente pericolose persino nelle situazioni

di pedoni in attesa di attraversare (tram troppo vicini al marciapiede,

piste ciclabili in conflitto con rampe per disabili).

Alcune soluzioni tecnologiche sono in grado di prevenire incidenti tra

veicoli e pedoni. È auspicabile una sempre maggiore diffusione di tali

dispositivi (ad esempio, sensori in grado di rilevare la presenza di

pedoni in approccio e di allertare visivamente i conducenti in arrivo).

La maggior parte dei semafori pedonali dovrebbe essere dotata di

dispositivi con il conto alla rovescia, che lasciano alla consapevolezza

del pedone la decisione riguardo all’avvio o meno

dell’attraversamento, in relazione anche alle proprie condizioni fisiche

(velocità di andatura). L’introduzione di semafori con tecnologia LED

dovrebbe essere, quindi, incoraggiata il più possibile in tutti i Paesi

europei, dal momento che hanno mostrato migliori performance

soprattutto per quanto riguarda la visibilità notturna.

***

121

27. "Quando un uomo con la bicicletta

incontra un uomo con l'automobile..."

“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la

pistola è un uomo morto!” Era quello che veniva detto a Clint Eastwood

(che era Joe, l’uomo con la pistola) nel film “Per un pugno di dollari”.

Il duello si risolse poi a favore di Joe… ma questa è un’altra storia.

Facciamo ora un paragone con altri luoghi, altri contesti ed altri

possibili incontri.

Cosa succede quando un uomo con la bicicletta incontra un uomo

con l’automobile?

Ovviamente solo in pochissime occasioni si ha un esito

drammatico come quello che abbiamo evocato, pur tuttavia il

problema della sicurezza esiste, ed è innegabile che in caso di incidente

tra un automobilista ed un ciclista chi rischi la vita sia il secondo.

Riporto a questo proposito consigli e suggerimenti a ciclisti ed

automobilisti per migliorare ognuno il proprio comportamento e

ridurre il rischio di incorrere in un incidente stradale e le relative

conseguenze28.

***

Che cosa i ciclisti vorrebbero che che gli automobilisti sapessero

I ciclisti sono ovviamente più vulnerabili, e dunque i conducenti

dovrebbero avere un maggior riguardo soprattutto in mancanza di

corsie dedicate o piste ciclabili. Inoltre, i ciclisti si sentono minacciati

da una guida non prudente o poco attenta soprattutto in alcune

28 Con il contributo di Luca Pascotto.

122

situazioni ad alto rischio (guida nelle rotonde, strade a più corsie, ed in

generale, ogni qualvolta un’auto può cambiare direzione e velocità).

Occorre poi aggiungere che i ciclisti possono dover evitare ostacoli

(buche, scarichi, detriti, auto in doppia fila) e quindi possono invadere

parte della carreggiata riservata alle auto. Infine, bisogna considerare

che i fari abbaglianti, ovviamente, danno fastidio anche ai ciclisti, come

del resto a tutti gli utenti della strada.

Quindi, se sei un automobilista, considera quanto segue. Pensa che

potresti incontrare una bicicletta. Non sei in Olanda o a Copenhagen,

dove sai per certo che ci sono ciclisti. Per cui serve una maggiore

attenzione. Inoltre, guida lentamente nelle zone urbane rispettando i

limiti e facendo attenzione soprattutto nel cambiare direzione e nelle

intersezioni verso destra.

Ancora: tieni presente che un ciclista possa cambiare direzione a

causa di una buca, di un ostacolo o, in casi di brutto tempo, a causa del

vento. Infine, considera che le curve a sinistra per un ciclista

richiedono più spazio e più tempo: prevedi questi momenti. Quando

lasci l’auto in sosta sulla carreggiata accertati prima di aprire la

portiera che non ci sia un ciclista in arrivo. Usa lo specchietto,

ovviamente non fa rumore.

Che cosa gli automobilisti vorrebbero che i ciclisti sapessero

Per un automobilista è seccante incontrare di notte un ciclista senza

fari, che passa col rosso e che non rispetta le principali norme di

circolazione. Peraltro, un’auto ha una velocità più elevata di una

bicicletta e i tempi di reazione, anche a velocità contenute, sono molto

più elevati. Inoltre, i ciclisti dovrebbero rendersi più visibili,

indossando ad esempio un giubbetto riflettente. E’ molto più facile per

un’automobilista considerare i movimenti dell’utente più vulnerabile.

Occorre ricordare inoltre che un’automobilista si trova a disagio se

il ciclista ha una andamento indeciso o dimostra poca attenzione

magari ascoltando della musica in cuffia. Allo stesso modo

un’automobilista non ha la stessa percezione della strada che può

avere un ciclista (presenza di buche pozzanghere, tombini, ostacoli

ecc.)

123

Se sei un ciclista quindi fai attenzione ai suggerimenti che seguono.

Segui ovviamente le regole del codice della strada. Non passare con il

rosso, e non attraversare la strada in diagonale se non in presenza di

una situazione protetta. Usa le piste ciclabili, se sono presenti, anche se

avessero un percorso più lungo: sono più sicure e limitato i possibili

punti di conflitto. Attento nelle aree pedonali: sei un’utente debole, ma

i pedoni sono ancora più vulnerabili in caso di urto con una bicicletta.

E comunque, attraversa la strada sulle strisce pedonali se presenti.

Cerca inoltre di anticipare il comportamento di un’automobile, se

di fronte a te. Renditi visibile, non ti vergognare delle bretelle o del

giubbetto riflettente. Preferisci gli abiti chiari e usa sempre le luci,

possibilmente anche di giorno (ti rendono più visibile!). Poi, mostra

per tempo i movimenti che intendi fare (es. avambraccio a sinistra per

indicare l’intenzione di svoltare a sinistra), e spostati quando è sicuro e

conveniente. Infine, se viaggi in compagnia di altri ciclisti rimanete

uno dietro l’altro se mancano le piste ciclabili: se viaggiate affiancati i

rischi aumentano.

***

124

28. La sicurezza stradale 2.0

Con il contributo di Raimondo Polidoro

L’avanzata delle nuove tecnologie e la diffusione di dispositivi

mobili evoluti (smartphone, tablet, ecc.) consente di raggiungere

obiettivi ritenuti inimmaginabili solo fino a qualche tempo fa, e questo

a beneficio di tutti, in innumerevoli contesti e situazioni. Uno dei punti

fondamentali è che ognuno di noi, da utente o fruitore di un qualsiasi

servizio, può contribuire al miglioramento del servizio stesso,

semplicemente comunicando informazioni e dati raccolti in un

qualsiasi momento della giornata, a seconda del contesto in cui ci si

trova e delle proprie specifiche esigenze personali.

E qui veniamo a noi ed al nostro spazio di osservazione.

Cosa hanno a che fare i cellulari e la sicurezza stradale?

Possiamo subito rispondere che con la diffusione dei cellulari si è

avuto un enorme contributo alla sicurezza stradale, dato dal fatto che è

diventato possibile segnalare tempestivamente alle forze dell’ordine il

verificarsi di un incidente che coinvolge se stessi o altri, consentendo

così un intervento rapido da parte dei soccorsi. Occorre però

aggiungere che l’uso del cellulare alla guida è diventato,

paradossalmente, una delle stesse cause degli incidenti stradali, per

colpa della disattenzione degli automobilisti che sottovalutano la

distrazione che ne consegue… ma questa è un’altra storia.

Tornando alla questione sicurezza, quello che oggi è possibile fare

con uno smartphone a favore della sicurezza sulle strade è molto di

più che inviare una semplice (per quanto importantissima)

segnalazione a seguito di un incidente. Oggi è infatti possibile

implementare sistemi grazie ai quali i cellulari vengono usati per

125

raccogliere informazioni (generate ed inviate da parte degli utenti)

sullo stato delle strade, e distribuirle in tempo reale agli altri utenti ed

alle forze dell’ordine e di sicurezza coinvolte.

Ecco un contributo sul tema da parte di Raimondo Polidoro29.

***

La visione da Safety Auditor al problema della sicurezza stradale ci

ha permesso di allargare la prospettiva e immaginare un servizio di

immediata attuazione, che potesse mettere i gestori in grado di avere

una disponibilità di dati georiferiti in modo rapido e a costo contenuto,

e nel contempo interagire con gli utenti per condividere con essi

preziose informazioni sulla localizzazione e sui livelli di percezione del

rischio di incidente sulla rete stradale.

La nostra convinzione è che l’utente è ancora estraneo al processo

di miglioramento, pur essendo colui che ne paga la totalità delle

conseguenze. Per una strategia efficace di sicurezza stradale oggi

l’utente va posto al centro delle decisioni, va restituito al vero

protagonista il ruolo e la capacità di generare sicurezza stradale.

Lo sviluppo dei social network, attraverso cui nascono e si

sviluppano modelli di business creati dal cliente, è fatto potente e di

grande interesse anche per la sicurezza stradale. La produzione è

diventata co-produzione: il cliente partecipa alla creazione e talvolta

alla produzione di ciò che desidera consumare.

La sicurezza stradale può cogliere vantaggi competitivi, offrendo

agli utenti la possibilità di diventare una tribù digitale che voglia

“coprodurre” sicurezza stradale.

Utenti che possono partecipare a un modello di sicurezza stradale

senza mediatori in cui condividere sensazioni; opinioni reali su dove è

localizzato e come si presenta il rischio di subire un incidente stradale.

Consideriamo inoltre che la spinta emozionale conferisce all’utente

doti di eccezionale critica, e che l’utente è il migliore controllore: critico

e severo. Inoltre, l’utente condivide percezioni, e quindi ha una misura

29 ingegnere esperto in sicurezza stradale ed in applicazioni per la mobilità.

126

reale del rischio percepito, facilmente compresa da altri utenti e tale da

incidere sul loro comportamento.

Un utente che potrà usare adeguati mezzi sarà stimolato nell’azione

di controllo, diventerà un utente partecipe, si orienterà egli stesso nella

scelta e perfezionamento di strategie di comportamento più sicure.

Accedendo ad informazioni di sicurezza nel luogo e nel momento

precisi in cui servono, gli utenti determineranno nuovi atteggiamenti

d’uso dell’ambiente stradale più attenti e sicuri.

I vantaggi sono molteplici e articolati. Gli utenti possono scambiare

dati e informazioni su siti a rischio, possono raggrupparsi e

suddividersi in tipologie differenti e quindi scambiare informazioni di

specifico interesse per ogni singola tipologia. Ad esempio, le

segnalazioni effettuate da pedoni potranno essere etichettate come tali

ed essere distribuite ai soli pedoni. In questo modo, l’utente che

viaggia su un veicolo potrà automaticamente decidere di non ricevere

informazioni di sicurezza relative ai percorsi pedonali (potrà

ovviamente continuare a ricevere quelle di suo interesse legate ad

esempio ai punti di conflitto tra utenza pedonale e utenza veicolare).

Un gestore che realizzi la propria specifica piattaforma può

ottenere in tempo reale dagli utenti informazioni precise su situazioni

percepite come rischi. Può quindi trattare e integrare questa base dati e

restituirla attraverso una esperienza comunicativa unica e

personalizzata per ogni singolo utente: selettiva in base a molteplici

parametri caratteristici (la selezione può essere fatta per tipo di utente,

per posizione geografica, per orario, e in ogni modalità possibile).

Ogni gestore può così moderare un sistema di infomobilità

altamente personalizzato che sfrutta pienamente i pregi della “realtà

aumentata”, sovrapponendo alla realtà percepita durante la sua

permanenza nell’ambiente stradale livelli di informazione aggiuntivi

che trasmettono informazioni capaci di migliorare la percezione dello

stesso ambiente nell’ottica del miglioramento della sicurezza. Un

esempio: in ogni punto del nostro itinerario autostradale ci saranno

presentate informazioni specifiche relative alla immediatezza del

nostro itinerario in termini di traffico e infrastruttura (code, lavori, …)

ma anche sulle condizioni di rischio di punti del nostro itinerario

quando ad essi stiamo approcciando.

127

La georeferenziazione dell’intero database rende possibile

l’integrazione dinamica con altre basi dati web (posizioni di pronto

soccorso, informazioni su limitazioni, infomobilità classica, ecc.).

L’obiettivo è quello di rendere gli utenti partecipi del processo di

miglioramento della sicurezza in una esperienza unica di realtà

aumentata generata e condivisa dagli stessi utenti.

Questa potenza comunicativa e selettiva va condivisa e posta a

beneficio di tutti gli utenti per il miglioramento della sicurezza

stradale e della sicurezza in generale.

Qui si apre un discorso indiretto di sensibilizzazione degli utenti

alla sicurezza stradale: la condivisione delle informazioni raccolte dal

basso e distribuite attraverso uno strumento adeguato va a beneficio di

tutti. Siamo convinti che l’utente partecipe sia la chiave di volta per far

ripartire il modo di pensare al futuro, e che il futuro sarà sempre meno

possesso di hardware e sempre più condivisione del software. Penso e

spero che il valore dell’efficienza di un sistema di sicurezza sarà non

tanto nella tecnologia che lo gestisce ma nella qualità, quantità e

capillarità dell’informazione che lo arricchisce. E per la sicurezza, se ci

pensiamo un attimo, è sempre stato così.

***

128

29. La psicologia del traffico e della

sicurezza viaria

intervista a Sabino Cannone

La guida di un veicolo richiede attenzione, concentrazione e

capacità di dominare le emozioni. La sfera razionale e quella emotiva

di ogni guidatore sono quindi sollecitate in modo intenso e continuo, e

rivestono notevole importanza nella sicurezza della marcia. La

psicologia è dunque fondamentale nella ricerca della sicurezza

stradale. Ne parliamo con il dottor Sabino Cannone30.

***

Cos’è la Psicologia del Traffico? Quali sono i suoi campi ed i suoi metodi

di applicazione?

La psicologia del traffico studia il comportamento alla guida e tutti

gli effetti ad esso collegati. La guida fa parte di un sistema complesso:

non si può analizzare il comportamento alla guida senza tener conto

del “sistema traffico” nella sua totalità. Fanno parte di questo sistema

diversi fattori: l’interazione tra gli utenti della strada; le strutture

(strade, segnaletica, ecc.); le leggi; i veicoli e la loro progettazione

(ergonomia); le caratteristiche individuali, ecc.

La comprensione del comportamento ed il tentativo di influenzarlo

in modo positivo, non possono prescindere dalla collaborazione con

30 Sabino Cannone è membro della Commissione “Psicologia scolastica e viaria”,

istituita all’interno dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia. È attivo nel campo della formazione e della supervisione del lavoro dei formatori nelle scuole, nonché nella collaborazione con ingegneri del traffico ed architetti urbanisti.

129

altre figure che lavorano nell’ambito del traffico e che si occupano in

diversa misura della progettazione di veicoli, della legiferazione, della

progettazione e costruzione delle strade, della segnaletica, del livello

politico, ecc. Lo psicologo deve lavorare in modo interdisciplinare,

trasmettendo conoscenze del comportamento umano utili ad altre

figure che operano in questo settore.

In quest’ottica possiamo individuare molteplici campi di intervento

della psicologia del traffico: dall’attività diagnostica al miglioramento

della guida, dalla riabilitazione e terapia all’ergonomia, dalla

progettazione di veicoli e infrastrutture all’educazione stradale. Ed

ancora, si puà intervenire nella consulenza nello sviluppo di leggi,

nelle campagne di marketing e prevenzione, nella formazione di

esperti e nello sviluppo di interventi di sicurezza stradale e mobilità.

Per quanto riguarda i metodi di applicazione, l’idea di base è che

non esistano teorie universali che possono spiegare il comportamento

in tutte le situazioni, bensì modelli che, secondo l’argomento di studio,

si adattano meglio all’analisi della situazione e ne costituiscono la base

teorica più consona sia per la spiegazione sia per gli interventi da

attuare.

Come rientra la psicologia della sicurezza viaria nella stima degli impatti

di una nuova infrastruttura?

Rientra in modo “tecnico”, integrando le conoscenze tecniche

dell’ingegnere del traffico o dell’architetto urbanista; ma rientra anche

in modo “ermeneutico”, cioè decifrandone il significato per valutarne

la coerenza con il contesto simbolico di riferimento. Non

dimentichiamoci che, una volta realizzate le nuove infrastrutture, chi

ne usufruirà saranno pur sempre degli esseri umani.

Nella realtà dell’ambiente stradale convivono due universi: quello

probabilistico/ingegneristico, orientato alla massima funzionalità ed

efficienza e quello socio/relazionale, orientato alla ricerca di senso.

Esiste un “cosa fare” ed un “perché fare una data cosa”.

Un’infrastruttura è comunque anche un oggetto simbolico, che

veicola con la sua stessa presenza delle informazioni su sé stessa, sul

suo contesto culturale e simbolico di riferimento ed il senso del suo

essere lì. L’esempio delle rotatorie è illuminante. Se fatte bene, sono

130

indubbiamente molto utili ed efficaci nel fluidificare il traffico e nel

diminuire il numero di incidenti e la loro gravità. Ma bisogna capire

che spesso non c’è coerenza tra il significato simbolico, orizzontale –

cioè di comunicazione diretta e paritetica tra gli automobilisti – delle

rotatorie ed il significato simbolico, verticale – cioè un rapporto

gerarchico tra l’istituzione ed il singolo automobilista – del resto delle

infrastrutture, a cominciare dai semafori. L’effetto che ne risulta è

molto simile, secondo me, a quello di una parola straniera inserita

nella propria lingua.

Sicurezza stradale, numero di morti e feriti, incidenti più o meno gravi.

Concetti e numeri continuamente diffusi su tutti i mezzi di comunicazione,

per informare e sensibilizzare – giustamente – i cittadini sui pericoli della

strada. I rimedi sono tanti e diversificati (miglioramento dei veicoli,

imposizione di divieti e vincoli, ecc.). Sulle strade però i rischi ed i pericoli

restano. Occorre iniziare a ragionare considerando anche il comportamento

degli automobilisti, ed il loro “approccio” alla guida.

Si parla della sicurezza stradale nei termini della

riduzione/eliminazione degli incidenti stradali. La sicurezza stradale

verrà realizzata compiutamente quando si arriverà al dato statistico

“incidenti, morti, feriti: zero!”. È il concetto di “Vision Zero” che sta

spopolando nel nord Europa. Ma della qualità non si parla. Che tipo di

vita si vive, a prescindere dall’incidente? Il discrimine non può essere

semplicemente tra un prima ed un dopo l’incidente. Il fulcro del nostro

interesse non può essere l’incidente, ma la qualità della vita del singolo

e della collettività.

Il problema è dato dal fatto che le statistiche misurano solo gli

incidenti e non ci dicono niente di ciò che avviene al di sotto di questa

soglia, del quasi-incidente; dei gesti compiuti durante la guida, gesti

che si propongano per imitazione; dell’inquinamento emotivo

immesso nel sistema durante la guida; oppure dell’acquisizione di una

capacità di trasformazione dello stress della guida nel traffico in

un’occasione di crescita individuale e collettiva; del valore aggiunto, in

termini di manutenzione e benessere delle relazioni sociali, che alla

fine di una giornata è stato creato, oppure no.

131

Muoversi in una rete stradale, interagendo di continuo con altre persone,

ognuna all’interno di un veicolo comandato meccanicamente. Variabilità

repentina delle condizioni al contorno. Una continua gestione delle

informazioni che arrivano. La reazione di chi guida deve essere fredda e

razionale: non proprio un compito facile…

Quella dell’ambiente strada è la migliore immagine che io conosca –

la metafora stessa – del concetto di complessità, quindi imprevedibile

per definizione. Questo perché le variabili in gioco sono davvero tante,

troppe per poterle tenere tutte sotto controllo e soprattutto per tenere

sotto controllo la loro interazione.

Questa è la strada: un ambiente ibrido, umano e non umano allo

stesso tempo. Un concetto che il sociologo John Urry, nella sua

relazione “Inhabiting the Car” 31 , esemplifica con l’espressione

“automobility”, condensando in essa sia un aspetto di libertà ed

autonomia, che un aspetto di coercizione ed automatismo.

***

31 Unesco International Conference, Universidade Candido Mendes, Rio de Janeiro,

May 2000.

132

30. Sicurezza ed educazione stradale a

scuola

Quando io andavo a scuola (parliamo degli anni ’80 e primi anni

’90), l’educazione stradale era semplicemente una non-materia. O

meglio, era una materia sulla quale io e i miei coetanei siamo stati degli

autodidatti: abbiamo imparato a “stare attenti alle macchine” andando

a scuola a piedi o girando il pomeriggio in bicicletta per le strade. È

anche vero che le auto erano condotte forse in modo più attento dai

conducenti; non c’erano SUV minacciosi in circolazione, e i

comportamenti di tutti erano responsabili. Ma forse questa è solo una

mia impressione.

In ogni caso, i primi “insegnamenti” veri e propri di educazione

stradale sono arrivati solo con l’inizio della scuola guida, a 17 anni (per

quanto i “motorini” e la Vespa erano abbondantemente usati già dai

ragazzi di 15 anni e anche meno).

Oggi le cose vanno meglio: a scuola si fa effettivamente educazione

stradale, anche se in modo disomogeneo e sicuramente migliorabile.

Nelle scuole francesi, ad esempio è in vigore da più di 20 anni un

vero e proprio programma scolastico di educazione stradale, molto

ben studiato. Secondo il programma francese, alle elementari si

istruiscono i bambini su come si devono comportare da pedoni, alle

medie su come si devono comportare con il motorino e a 16 anni su

come dovrebbero comportarsi da automobilisti.

L’educazione stradale è alla base della sicurezza stradale. I ragazzi

delle scuole devono essere profondamente coinvolti nello studio delle

regole e dei rischi della strada, a partire dalle scuole elementari e

durante l’intero ciclo di studi32.

32 Ecco alcuni tra i più interessanti siti italiani dedicati all’educazione stradale, con

interessanti risorse per i docenti e stimolanti esercitazioni per i ragazzi. • www.educazionestradale.net, ottimo per ragazzi di elementari e medie;

133

Ma è importante anche studiare adeguate misure di

sensibilizzazione dei giovani, ad esempio facendo sì che siano essi

stessi i soggetti che producono e diffondono i messaggi, magari

usando mezzi come social network e siti multimediali (come YouTube)

per aumentare l’efficacia del messaggio rivolto ai loro coetanei. Questo

tipo di attività è in effetti ben fattibile con i ragazzi della scuola

secondaria, che possono essere ad esempio coinvolti nella

realizzazione di una serie di prodotti video con la tecnica del

cosiddetto “marketing virale”.

Anche per chi usa lo scooter o la moto i progetti oggi non mancano.

Spesso consistono in corsi di prove pratiche di guida, e coinvolgono

ragazzi e ragazze delle scuole medie inferiori e superiori, in età

prossima all’acquisizione del cosiddetto “Patentino”, indispensabile

per la guida di un ciclomotore. Queste iniziative vengono sostenute

anche da enti pubblici e da associazioni ed aziende del settore, che

effettuano un’attenta verifica sugli effetti dei corsi di guida sicura nei

confronti degli utenti.

Sono molto utili anche i progetti rivolti a tutti i giovani che stanno

per prendere la patente, che consistono in corsi appositi, organizzati

direttamente nelle autoscuole convenzionate, in cui illustrare tutte le

tecniche e i comportamenti corretti alla guida nell’ottica di

sensibilizzare gli allievi riguardo la delicata questione del rispetto

ambientale. Ai futuri guidatori viene illustrata l’importanza di guidare

cercando sempre di tenere un comportamento che tenga conto del

contenimento dei consumi e delle emissioni, e vengono date lezioni

tecniche sul funzionamento di vari sistemi elettronici (ad esempio

come lo Start&Stop, che spegne e riavvia il propulsore quando ci si

trova in sosta).

In ogni caso, che si tratti di materia di normale insegnamento

scolastico o di iniziative prese dai singoli istituti, occorre procedere a

sensibilizzare i ragazzi quanto più è possibile in merito a come ci si

deve comportare sulla strada. Anche questo rientra nei compito

principale della scuola: quello di formare cittadini.

• www.educazione-stradale.org, con risorse per tutti (dalle materne alle

superiori); • www.educazionestradale.it, adatto a chi è alle prese con la patente ed agli

adulti.

134

31. Educazione stradale: il progetto

SicuraMENTE

Intervista a Laura Tamburini

L’insegnamento dell’educazione stradale nelle scuole costituisce

una delle misure più efficaci per combattere ed arginare il problema

degli incidenti. Le forme attraverso cui questo insegnamento può

esplicarsi sono tante e diverse, ed alcune risultano essere

particolarmente in grado di suscitare l’interesse dei ragazzi e di

favorire quindi l’apprendimento dei principi della materia.

Laura Tamburini, nel ruolo di coordinatore di progetto per l’Ufficio

Scolastico Regionale per il Friuli Venezia Giulia, ci illustra

caratteristiche e potenzialità del progetto di educazione stradale

“SicuraMENTE”.

***

L’educazione stradale nelle scuole costituisce innegabilmente un

importante elemento di formazione dei ragazzi, non solo per quanto riguarda

la sicurezza in strada (propria ed altrui), ma anche per la loro crescita sociale.

Il vostro progetto introduce nell’ambito della formazione sull’educazione

stradale molti elementi innovativi, prendendo spunto dalle esperienze olandesi

(progetto PLON). Quale è stata la genesi del progetto? In cosa consiste

l’innovazione introdotta dal progetto PLON?

Nel 2008, come Ufficio Scolastico Regionale per il Friuli Venezia

Giulia, abbiamo pensato di realizzare un progetto di educazione alla

sicurezza stradale che fosse veramente diverso dai soliti interventi

riguardanti le classiche regole del Codice della strada, e che potesse

interessare e coinvolgere i docenti (e quindi i loro alunni) proprio

135

perché basato su un approccio originale. In questo siamo stati

coadiuvati dall’Unità di Ricerca in Didattica della Fisica dell’Università

degli Studi di Udine.

Nella progettazione di questo intervento pluri-disciplinare ci siamo

ispirati al progetto olandese PLON 33 , approdato negli anni 90 ad

Utrecht quando si ricercavano forme innovative per l’insegnamento

delle scienze fisiche (disciplina che risentiva di una caduta d’interesse),

e si è occupato dello sviluppo di unità didattiche in fisica attraverso lo

studio di questioni tecnologiche e sociali. Esso nasce come proposta

inserita nella linea dei progetti formativi che la ricerca didattica, a

partire da quegli anni, ha sviluppato utilizzando strategie innovative

che integrano tecnologia e scienza.

Il progetto PLON fu appoggiato dall’allora ministero olandese per

l’educazione, e fu pubblicato in 31 unità didattiche adottate a partire

dal 1990 nell’ambito delle istituzioni scolastiche olandesi. Tra le unità

didattiche che costituiscono la sua struttura compare in particolare

il modulo Traffic and Safety, dedicato all’analisi di problematiche

scientifiche correlate al traffico e anche alla sicurezza stradale.

La novità pregnante del nostro progetto, che abbiamo chiamato

“Educazione stradale come educazione alla cittadinanza e alla cultura

scientifica”, è infatti proprio la trasversalità disciplinare: abbiamo

trattato tematiche di educazione stradale e gli argomenti di fisica

collegati a queste, ma anche quelli di psicologia, come la percezione e

l’attenzione e, più in generale, le regole sociali di cittadinanza.

Con questo progetto abbiamo quindi cercato di rispondere alla

necessità di diffondere, fin dalla scuola del primo ciclo, le importanti

nozioni inerenti l’educazione stradale, riproponendoci però nel

contempo di sviluppare negli alunni quel senso civico che deve

accompagnare il cives durante l’intero arco della vita e in tutti gli

ambiti d’azione, tramite l’individuazione di quelle competenze

trasversali di cittadinanza che fanno parte di una cultura della salute

nella sua accezione più ampia, cioè intesa in senso fisico, psichico e

relazionale/sociale.

Quali sono le caratteristiche generali del vostro progetto (attori coinvolti,

moduli didattici, esperienze di laboratorio, ecc.)?

33 Lijnse, Hooymayers 1988.

136

L’obiettivo principale del progetto è stato ed è quello di

sperimentare momenti di formazione che, in un articolato e variegato

percorso di ricerca-azione, assieme alla riflessione su aspetti

psicologici, sociali e culturali e ad attività laboratoriali basate

sull’esplorazione fenomenologica, ha condotto alla redazione di

proposte didattiche modulari pre-sperimentate nelle classi.

Il progetto è stato rivolto nella sua fase pilota agli insegnanti delle

scuole primarie e secondarie della provincia di Trieste. Abbiamo

inoltre inserito un percorso di peer education tra alunni delle medie e

della primaria. Il nostro progetto infatti è stato integrato all’interno di

un più ampio progetto triennale di educazione alla sicurezza stradale

denominato “SicuraMENTE”, che l’Ufficio Scolastico Regionale,

assieme alla Regione Friuli Venezia Giulia, propone alle scuole di ogni

ordine e grado della regione.

Gli obiettivi principali di questa iniziativa, oltre alla promozione

dell’educazione alla sicurezza stradale e alla diffusione della cultura

alla sicurezza fin dalla scuola del primo ciclo – che già guidavano il

progetto dell’USR degli anni scorsi – sono quelli di comprendere gli

atteggiamenti dei bambini e ragazzi nei confronti delle protezioni dal

rischio stradale, capire il significato che per loro riveste il rischio ed

infine indagare la percezione di gravità ad esso collegata a livello

autoriferito, prossimale e distale, favorendo comportamenti

responsabili tramite strategie comunicative adeguate a favorire la

consapevolezza individuale sui fattori protettivi della salute (life

skills).

Alle azioni rivolte al primo ciclo si affiancano per alcune scuole

superiori del Friuli Venezia Giulia la realizzazione di un “Concorso

d’idee” per una campagna tipo pubblicità-progresso da parte delle

classi seconde e quarte con la creazione di un ipertesto, un video, una

serie di depliant e locandine, un gioco da tavolo, ecc., sulle tematiche

delle regole stradali e della percezione del rischio, rivolto a coetanei

e/o a ragazzi più giovani. I progetti verranno giudicati da esperti, ma

anche dai ragazzi che useranno i materiali progettati.

In che modo il progetto dell’USR e successivamente la parte del più ampio

progetto “SicuraMENTE” rivolta al primo ciclo scolastico, si interfaccia con

l’apprendimento e l’applicazione delle materie scientifiche (come ad esempio la

137

fisica e lo studio della percezione)? In cosa consistono le attività teoriche e

quelle pratiche?

Nella progettazione delle proposte didattiche ci siamo proposti di

promuovere una conoscenza scientifica – della fisica in modo specifico

– non statica e definitiva, ma nella prospettiva di una progressiva e

continua evoluzione, da utilizzare come mappa per imparare a

investigare i problemi ed a risolverli in modo creativo. E componenti

importanti nella costruzione della conoscenza scientifica sono

costituite indubbiamente dall’esplorazione sperimentale e dal

coinvolgimento personale nella interpretazione dei fenomeni fisici.

Proponiamo per il momento tre diversi blocchi di attività tendenti ad

introdurre al bambino e al ragazzo l’analisi di problematiche

scientifiche costantemente correlate al traffico e alla sicurezza stradale.

Il primo riguarda la reazione umana e la misura dei tempi – studio

del moto: dai concetti di sistema di riferimento e rappresentazione del

moto si passa ai principali nuclei tematici della cinematica, con

particolare riferimento alla misura del tempo e ai tempi di reazione ad

uno stimolo. Il secondo riguarda incidenti stradali, urti e quantità di

moto: si affrontano i processi d’urto e si vede come questi dipendano

dalla velocità e dalla massa dei veicoli. Il terzo infine riguarda attrito e

dinamica (moto, curve, tenuta del mezzo sull’asfalto): si trattano le

situazioni in cui le ruote perdono aderenza sulla strada, affrontando il

concetto di attrito nelle diverse tipologie, le grandezze fisiche da cui

dipende e le leggi che lo regolano.

Quale è stata la “risposta” degli alunni di fronte a questo approccio? È

possibile valutare i risultati di questa metodologia innovativa rispetto alle

tradizionali lezioni di educazione stradale?

L’impatto di questo approccio sugli alunni è stato da subito molto

positivo, ed ha prodotto sicuramente un coinvolgimento emotivo e

una curiosità maggiori di una tradizionale lezione. Per esempio, nella

ricerca pilota che abbiamo svolto sulla possibile correlazione tra

percezione del moto e apprendimento, la consapevolezza che il nostro

sistema visivo applichi nell’organizzazione percettiva delle traiettorie

principi analoghi a quelli che stanno alla base della fenomenologia

fisica, ha sviluppato, sia nei bambini della primaria che nei ragazzi

138

delle medie coinvolti, notevole interesse ed un’attenzione particolare

verso tematiche fondamentali della meccanica, che molto spesso

vengono considerate ostiche e prive di fascino dagli studenti.

Un limite della didattica tradizionale delle scienze fisiche consiste

proprio nel fatto di dare poco risalto alla multi-rappresentazione e, nel

caso dello studio di configurazioni cinetiche analoghe a quelle

prodotte dai fari delle automobili in movimento , notevoli sono le

difficoltà che si riscontrano nel passare dalla descrizione globale (che

contiene l’informazione totale) a diverse rappresentazioni o “punti di

vista” del medesimo moto.

Anche se una valutazione completa e globale di questo approccio ai

temi della sicurezza stradale è ancora prematura, nel complesso si può

affermare che tale sperimentazione ha dimostrato esiti educativi

didattici positivi per tutto il campione (dalla scuola primaria alla

secondaria di primo grado), anche superiori alle aspettative.

Un progetto così articolato e complesso presenta sicuramente numerosi

elementi critici, di cui occorre tener conto nella giusta misura per garantirne

il successo. Quali sono i rischi di insuccesso e le criticità connesse

all’applicazione del progetto? Quali invece i punti di forza ed i fattori di

riuscita?

Un punto critico di qualunque progetto nel mondo della scuola è la

difficoltà, legata anche alla scarsità di fondi dedicati, per diffondere e

far conoscere i contenuti e i risultati del progetto stesso a un numero

sempre più elevato di docenti, che possano a loro volta sviluppare e

migliorare i moduli e le unità didattiche proposte. Tali docenti vanno

infatti seguiti, supportati e anche incentivati nel tempo. Molto spesso

però diversi progetti partono con i migliori propositi, ma vengono

abbandonati in corso d’opera, perché altre sono le priorità di quel

momento.

Personalmente sono fiduciosa sul fatto che l’innovativa

trasversalità disciplinare che proponiamo, opposta a una sterile e

obsoleta settorialità, possa incrementare il successo del progetto sia nei

confronti dei docenti che degli allievi e delle loro famiglie.

Ovviamente, le tematiche proposte andranno sviluppate e adattate alle

diverse realtà territoriali nelle quali gli interventi progettuali verranno

139

proposti, proseguendo in un continuo e attento percorso di ricerca-

azione.

L’attuale contesto socio-economico è purtroppo caratterizzato da crescente

scarsità di fondi da destinare al mondo della scuola. Come si può riuscire ad

implementare un valido progetto di educazione stradale, pur in condizioni di

risorse limitate?

Purtroppo i fondi destinati in generale alla scuola attualmente non

sono molti. Però, fortunatamente, nel campo dell’educazione alla

sicurezza stradale qualcosa ultimamente è cambiato in positivo. Va

evidenziato infatti che in Italia gli incidenti sulla strada costituiscono la

prima causa di morte per la popolazione di età inferiore ai 40 anni e

circa un terzo dei decessi riguarda i giovani tra i 15 ed i 29 anni. Tale

fenomeno, gravissimo, è stato purtroppo avvertito come un problema

pubblico solo negli ultimi anni, dopo essere stato a lungo considerato

solamente una fatalità casuale e ineluttabile.

Le istituzioni si stanno rendendo quindi conto che si tratta di un

problema sempre più grave, che va affrontato concretamente e con

convinzione, prendendo a modello altri paesi europei “virtuosi” in

tale campo (penso all’Inghilterra, all’Olanda, alla Germania). E ciò va

affrontato a tutti i livelli, a cominciare dalla scuola. Speriamo che per il

futuro tale sensibilità per la diffusione della didattica della sicurezza si

rafforzi, permettendo di costituire un sistema istituzionale sempre più

ampio che possa incidere con interventi efficaci e duraturi

nell’educazione dei giovani.

Quali sono, infine, le linee di evoluzione del progetto? E’ possibile inoltre

pensare anche ad una sua concreta diffusione nel resto delle regioni italiane?

Ci spero veramente. Fondamentale nella scuola è la diffusione

capillare delle buone pratiche, che possono costituire dei “format”

replicabili o anche solo degli spunti a disposizione dei docenti che, in

base alla loro diversa formazione ed esperienza, possono modificare e

adattare al loro contesto scolastico.

***

140

32. Il teatro per l’educazione stradale

Intervista a Pasquale Vaira

L’educazione alla sicurezza stradale per i bambini ed i ragazzi delle

scuole è uno dei principali metodi per far acquisire fin da piccoli la

giusta cognizione dei rischi e dei pericoli della strada. Tra le diverse

iniziative che sono recentemente nate in tal senso merita sicuramente

approfondire quella della compagnia teatrale Circusbandando 34 di

Pasquale Vaira, che insegna la sicurezza stradale ai bambini attraverso

lo spettacolo “Quanta fretta, ma dove corri?”. Vediamo con lui di cosa si

tratta.

***

L’uso della forma teatrale a scopo educativo nel campo della sicurezza

stradale per i bambini è sicuramente un modo molto originale di affrontare il

problema. Come è nata questa iniziativa?

L’iniziativa nasce all’interno della nostra atipica esperienza teatrale,

che potrebbe essere definita un teatro sociale/educativo/divertente

per bambini. Infatti, la Compagnia familiare Circusbandando, realizza a

partire dal 1995 spettacoli che affrontano argomenti di grande

attualità (i rifiuti e la raccolta differenziata, il libro e la lettura,

l’intercultura e la società multietnica, il cibo e l’alimentazione, il corpo

umano, lo sport…) unendo in modo originale e quindi fantasioso ma

estremamente efficace la dimensione educativa al divertimento ed

all’allegria.

34 Teatro per bambini di Paco Paquito e Celestina (nella vita Pasquale Vaira e Giulia

Villa) - www.circusbandando.com.

141

Abbiamo subito avuto un certo successo con continue chiamate da

scuole, assessorati, rassegne teatrali, biblioteche, associazioni culturali,

librerie, sagre di paese e quant’altro; ovunque ci fossero bambini al

centro dell’attenzione. L’aspetto educativo sta sia nella scelta degli

argomenti, sia nel messaggio che ne deriva, sia nel coinvolgimento dei

bambini che diventano veri e propri protagonisti delle

rappresentazioni. L’allegria è nella trattazione dell’argomento: tanta

musica registrata e dal vivo, canto, danza, l’arte della clownerie, un

gioco corporeo pieno di cadute, piccole acrobazie e piroette nonché

tutti gli attrezzi del più puro divertimento circense come il monociclo i

trampoli, le palline, i palloni e mille altri oggetti presi anche dalla vita

quotidiana. Importanza particolare riveste poi la scenografia con

fondali anche molto molto grandi disegnati a mano. Qualcosa di una

altra epoca, di un altro mondo… qualcosa che meraviglia, affascina e

colpisce a fondo.

In cosa consiste lo spettacolo? Per quale fascia di età è maggiormente

adatto?

“Quanta fretta! Ma dove corri?” è nato nel 2005. E’ adatto, come tutti

gli spettacoli di Circusbandando, sia ai bambini della la Scuola

Primaria (ex Elementare) sia a quelli dell’Infanzia (ex materna).

Chiaramente i più grandi di 9, 10 e 11 anni vivono lo spettacolo in

modo diverso da quelli più piccoli di 6, 7 e 8 come anche, in maniera

ancora diversa lo vivono i più piccini di 3, 4 e 5. Insomma… ciascuno

lo vive per la sua età, la sua cultura, la sua sensibilità, ma è chiaro che

tutti si divertono un mondo e capiscono il messaggio di fondo:

l’importanza di conoscere rispettare le norme del codice della strada.

Lo spettacolo, con una scenografia molto molto intrigante piena di

segnali stradali, semafori, caschi, oggettistica varia con strane biciclette

e pneumatici di diverse dimensioni, è infatti un susseguirsi di

situazioni educative e divertenti che, ruotando intorno alla segnaletica,

toccano un po’ tutto il mondo dello spostamento e quindi le

automobili, il meccanico, il traffico, la velocità, i vigili, la bicicletta,

il passeggiare, ecc.

Non mancano, all’interno del canovaccio, originali riferimenti alla

letteratura infantile ed alla cultura classica in generale (da Pinocchio

142

all’invenzione della ruota ai primi anni dell’automobile ad altro

ancora….). Non solo. C’è una ricchissima colonna sonora, sia

con brani celebri (da “Si! Viaggiare“ di Lucio Battisti a “Bellezza in

bicicletta” di Mina, da “Nuvolari” di Lucio Dalla a “La topolino

amaranto”di Paolo Conte), sia brani originali di Paco Paquito ed in

particolare due canzoni, una dedicata alle strisce pedonali e l’altra

dedicata alla velocità e quindi alla fretta ovvero alla disattenzione, alla

mancanza di concentrazione nella guida, all’aggressività, ecc.

Quali sono le modalità con cui presentate lo spettacolo? Chi sono i soggetti

che vi contattano (es. scuole, Comuni, associazioni, ecc.)?

Lo spettacolo ha avuto decine e decine di repliche effettuate in

diverse regioni d’Italia. Ci chiamano le scuole, le rassegne teatrali e poi

moltissimo le Polizie municipali, le Segreterie Aci, gli assessorati alla

mobilità ed al traffico. Lavoriamo un po’ ovunque, sia in spazi coperti

che all’esterno: saloni, palestre, palazzetti dello sport, auditorium,

teatri veri e propri, parchi, piazze, ecc.

Lo spettacolo piace molto sia ai bambini che agli adulti. Proprio

perché tutto è molto semplice e a portata di bambino, ci viene spesso

chiesto di presentarlo anche per più anni consecutivi spesso al termine

o durante i corsi di Educazione Stradale che le varie Polizie municipali

portano avanti nelle scuole. E succede che dove i corsi sono ben

organizzati ci chiamino per più anni di seguito proprio per far vivere

ai bambini (che ogni anno cambiano) l’atmosfera di allegria e grande

partecipazione. A volte sono presenti anche i genitori, cosa molto

importante, perché poi sono i veri e propri destinatari (attraverso i

bambini) del messaggio dello spettacolo.

Avete riscontrato nei bambini dei “preconcetti” e delle convinzioni

sbagliate in merito al rischio di incorrere in incidenti stradali? Quali sono a

vostro avviso i concetti su cui occorre maggiormente insistere per migliorare

la loro percezione dei pericoli della strada?

Ci sembra di poter dire che i bambini vivano la strada in generale

in relazione alla cultura familiare o anche ai modelli comportamentali

dell’area in cui vivono. Il giallo del semaforo per esempio spesso in

Toscana vuol dire fermarsi perché arriva il rosso, mentre in Lombardia

143

(e specificatamente nell’area milanese) vuol dire “accelerare”,

naturalmente sempre perché sta per arrivare il rosso.

La conoscenza ed il rispetto delle regole è comunque un discorso

che funziona abbastanza presso i bambini, ed in questo abbiamo

constatato come possano essere dei buoni ambasciatori di un modo

diverso di guidare presso gli adulti loro vicini. Noi troviamo che

spesso la linea politica generale è sì quella della sicurezza stradale, ma

più nel senso “antidelinquenziale” e punitivo (vedi la repressione per

l’alcool, l’utilizzo di espressioni come “pirata della strada” ecc.) che

non nel modificare una normale e generale disattenzione che nel non

rispetto delle strisce pedonali trova al massimo la sua espressione più

forte e radicata.

Le strisce pedonali, dove rispettate in modo ferreo (come accade in

diversi paesi stranieri), cambiano il modo sia di guidare sia di vivere la

strada per il pedone, e questo cambia poi in qualche modo la serenità

generale di un’area, di un quartiere ecc. A questo i bambini, come tutte

le persone deboli, sono molto sensibili, e noi nei nostri spettacoli lo

rimarchiamo in maniera forte ed inequivocabile.

Sarebbe interessante inserire organicamente questo tipo di attività nei

programmi di educazione stradale nelle scuole materne ed elementari. Con

quali modalità potrebbe essere implementata con efficacia una iniziativa di

questo tipo?

Ci sembra che piano piano, seppure con notevole ritardo, i corsi di

Educazione Stradale siano ormai presenti un po’ dappertutto, anche se

non ancora in modo capillare e con i mezzi economici necessari.

Avendo più risorse, iniziative come il nostro spettacolo potrebbero

essere proposte con più frequenza un po’ ovunque per poter far

passare il messaggio nella maniera migliore: l’educazione unita al

divertimento. E questa, avendo a che fare con i bambini, è una strada

fondamentale da seguire. Quindi, per andare avanti e così migliorare

la cultura della sicurezza stradale nel senso più ampio del termine,

occorrono certamente più fondi, ma anche capacità organizzative nelle

singole diverse situazioni per creare una continuità di lavoro che

accompagni i bambini dalla scuola dell’Infanzia alle superiori.

***

144

145

Riflessioni

146

Abbiamo parlato del contesto in cui ci troviamo, di come ci siamo arrivati e di

quali misure si possono prendere per rendere la mobilità migliore di come è

oggi: più gradevole e più sicura per ognuno di noi.

Le misure viste sono di tipo diverso e coprono differenti aspetti della

questione. Il problema è infatti complesso, e va affrontato (e risolto!)

affrontandolo da diversi punti di vista. Gli interventi che abbiamo visto non

sono certo fattibili a costo zero, ma neanche con sforzi insostenibili. Occorre

sicuramente spendere una parte delle nostre risorse economiche, ma il prezzo

da pagare è senza dubbio sostenibile e giustificato.

Prima delle conclusioni vale la pena fare però qualche riflessione su come

vengono investiti i nostri soldi (raccolti attraverso le tasse) quando si parla di

mobilità e trasporti. E vedere poi quale può essere la migliore strada da

seguire.

147

33. Gestire il traffico con la pianificazione

Il sistema dei trasporti (strade, ferrovie, ecc.) ha una capacità che,

per quanto ampia possa essere, è pur sempre limitata, e va in crisi

facilmente - e con effetti disastrosi - se la pressione è eccessiva. La

soluzione al problema del traffico stradale (come pure allo scarso

livello di servizio del trasporto ferroviario per i pendolari), quindi, non

va cercata solo dal punto di vista del potenziamento del sistema dei

trasporti (cioè dell’offerta). Possiamo continuare a costruire strade

all’infinito, ma se la pressione è alta esse si congestioneranno in breve

tempo.

Occorre allora intervenire anche dal punto di vista della domanda,

cioè sul numero e sulla destinazione degli spostamenti che vengono

generati. Gli aspetti legati alla pianificazione integrata dei trasporti e

del territorio assumono così una importanza fondamentale.

Occorre interrompere le politiche urbanistiche che portano ad una

separazione netta e forzata delle funzioni (e al conseguente

distanziamento dei luoghi di residenza, lavoro, studio, svago,

commercio, ecc.), e riportare le stesse nell’ambito di ogni quartiere.

Questo, almeno, è quello che andrebbe fatto in teoria.

Nella pratica, questi interventi non sono attuabili in tempi rapidi,

quantomeno laddove il territorio è ormai fortemente urbanizzato e

questa separazione delle funzioni è consolidata ed irrigidita da

decenni di politiche miopi e distratte. L’inversione di tendenza però è

fattibile da subito, anche (e anzi, con maggiore urgenza) laddove

questi problemi sono più sentiti, come nel caso delle grandi metropoli.

Non mancano certo gli esempi positivi: uno dei più famosi è il caso

della città tedesca di Friburgo, nella quale politiche integrate di

mobilità sostenibile e di recupero degli spazi urbani hanno portato in

148

pochi anni ad un reale miglioramento delle condizioni di vita dei

cittadini, fino a pervenire alla realizzazione di “quartieri senz’auto”,

come Vauban (abitato da circa 5.000 persone), dove il 70% delle

famiglie di Vauban non possiede automobili e il 57% ne ha venduta

una per venire a viverci. Qui l’uso dell’auto non è brutalmente

“vietato”, ma viene reso semplicemente “superfluo”, e si rendono le

periferie più compatte ed accessibili al trasporto pubblico, riducendo

lo spazio per i parcheggi. I negozi, ad esempio, vengono disposti su

una via principale per essere facilmente raggiungibili a piedi (e non

concentrati in un lontano centro commerciale accessibile solo in auto).

E per gli spostamenti più lunghi si fa uso del car-sharing.

Il problema del traffico e della congestione stradale (ma anche del

sovraffollamento dei treni) non si risolve quindi solo intervenendo con

nuove strade, nuovi parcheggi, nuove ferrovie (per quanto l’aumento

dei servizi di trasporto collettivo – treni ed autobus – sia comunque da

preferirsi alla costruzione di nuove strade nel momento in cui si

investono dei soldi pubblici nel sistema dei trasporti), ma anche con

una azione di pianificazione territoriale ed urbanistica intelligente ed

adeguata.

I cittadini devono però essere informati di come la loro città ed il

loro territorio sia un contesto che non è fisso ed immutabile, ma che

anzi può essere molto migliorato se le amministrazioni prendono le

giuste decisioni,

influendo in positivo sulla qualità della loro vita molto di più di

quanto non si possa ottenere costruendo opere “grandi”, grosse e

costose ma dalla dubbia utilità (tipo un nuovo ed inutile tunnel

ferroviario tra Italia e Francia o un enorme ponte sullo stretto di

Messina).

149

34. Quali sono le vere “Grandi Opere”?

Qualche tempo fa ho letto su lavoce.info un interessante articolo di

Andrea Boitani (esperto in politiche dei trasporti), il quale ragionava di

grandi opere e di interventi più o meno utili ed urgenti per affrontare

le attuali esigenze infrastrutturali ed economiche. Riassumendone il

contenuto, le proposte in tema di infrastrutture e trasporti riguardano

un insieme di interventi realizzabili rapidamente ma dagli effetti

duraturi. Ad esempio, accantonare definitivamente l’idea del ponte

sullo Stretto di Messina (che puntualmente compare e scompare sui

tavoli politici ormai da decennia) e concentrare invece risorse stanziate

su un ampio programma di manutenzioni straordinarie degli edifici

scolastici e di riassetto del territorio in Calabria e Sicilia.

Allo stesso modo, rivedere in generale il programma delle “grandi

opere”, concentrando l’80 per cento delle risorse finanziarie disponibili

al completamento accelerato delle più rilevanti opere avviate,

dichiarando al contempo quelle che non si intende completare (purché

ciò che già esiste sia utilizzabile).

E ancora, acelerare la revisione degli accordi bilaterali sul traffico

aereo, in modo da favorire l’ingresso di nuovi vettori nei collegamenti

intercontinental; varare un piano di incentivi economici per gli enti

locali che procedano effettivamente alla liberalizzazione dei servizi di

trasporto locale (inclusi quelli ferroviari), abrogare le norme che

consentono agli enti locali di evitare le procedure di gara anche nel

campo dei servizi ferroviari regionali ed infine smantellare la holding

Fs, separando definitivamente i destini di Rfi da quelli di Trenitalia,

per garantire la piena terzietà del gestore dell’infrastruttura ferroviaria

rispetto ai gestori dei servizi.

La discussione che i lettori hanno aperto a seguito di queste

proposte è stata molto variegata. Le posizioni manifestate possono

essere raggruppate come segue.

150

Alcuni hanno manifestato aperto scetticismo rispetto alla fattibilità

del piano proposto, anche a causa delle pressioni “interessate” di vari

soggetti che potrebbero avere più facilità ad entrare nel business del

ponte sullo Stretto di Messina (ad esempio) che in una miriade di

“piccoli” lavori. Altri hanno evidenziato la necessità di insistere sulla

ristrutturazione dei costi del trasporto pubblico locale (sia

automobilistici che ferroviari), evitando di sovvenzionare treni ed

autobus per servizi poco efficienti. Altri ancora hanno apprezzato la

proposta, e suggerito ulteriori elementi migliorativi (es. migliori

collegamenti tra gli aeroporti e le stazioni ferroviarie, stesura e

implementazione di un piano nazionale per la messa in sicurezza del

territorio, privatizzazione effettiva dei servizi ferroviari e non solo di

facciata).

Non è mancato chi è contrario alla proposta di effettuare le

liberalizzazioni, per via del temuto rischio di generare nuovi

“carrozzoni” a seguito dello scorporo di reti e gestori dei servizi, con il

rischio di nuovi sprechi ed inefficienze. È emersa anche la convinzione

della necessità di realizzare le grandi opere con il project financing, in

modo che i privati paghino la realizzazione delle strutture e ne

percepiscano poi i ricavi. Infine, si è evidenziata la necessità di

rivedere la questione legata alle coperture economiche

(indipendentemente dalla “grandezza” delle opere”), per evitare il

rischio di restare senza soldi a metà della costruzione o di non ottenerli

poi dall’utilizzo della struttura.

Tornando alle proposte originarie, ritengo pienamente condivisibili

i punti riguardanti la gestione delle grandi opere. Per quanto riguarda

invece la liberalizzazione dei servizi ferroviari, in linea di principio

intervento ragionevole, è da segnalare il rischio che una

liberalizzazione imperfetta e mal gestita possa portare ad un

peggioramento dei servizi. Certo è che la situazione esistente non va

comunque bene e deve essere migliorata, in un modo o nell’altro. La

separazione del gestore dell’infrastruttura da chi offre il servizio di

trasporto deve inoltre essere netta e regolata in modo trasparente.

In generale,

151

è importante analizzare bene e con grande livello di dettaglio

l’opportunità di iniziare investimenti relativi a opere che richiedono

molti anni per essere realizzate,

in modo da capire bene non solo il loro costo, ma anche i benefici

che, eventualmente, si riusciranno ad avere al termine della

realizzazione (sperando che tutto proceda liscio e senza intoppi).

Peraltro, è d rilevare come spesso manchino le risorse per realizzare

tutto in una volta le opere ritenute prioritarie, e si proceda per “lotti

costruttivi”. Questo vuol dire che, ad esempio, si costruisce una strada

un pezzo per volta, ma senza poter usare i tratti già costruiti fino a

quando tutta la strada non sarà completa. E quindi, si potrebbero avere

continue interruzioni nei lavori a causa della scarsità dei fondi, con il

rischio di non completare mai l’opera o di completarla dopo molti

anni. Sarebbe meglio quindi progettare e realizzare ogni grande opera

per fasi successive (cioè per “lotti funzionali”), in modo da realizzare

pezzi di infrastruttura che possono essere aperti uno dopo l’altro, in

funzione della necessità e della sicurezza di avere le risorse

economiche, senza correre il rischio di restare con cantieri aperti e

opere inutilizzabili.

In alcuni casi le opere da realizzare sono “piccole”: hanno costi

bassi e tempi di realizzazione ridotti, ma i benefici sono immediati. È il

caso ad esempio delle rotatorie, spesso utilizzate per sostituire i

semafori e migliorare la sicurezza degli incroci35. Si tratta di un ottimo

esempio per comprendere come si possono ottenere molti benefici con

interventi rapidi e dal basso costo (e magari “reversibili”).

Alcune opere sono invece molto controverse proprio in quanto

richiedono una grande quantità di denaro pubblico (che i cittadini

raccolgono tutti insieme attraverso le tasse), ma presentano incertezze

e dubbi sui tempi di realizzazione e sui benefici che si avranno.

È il caso, ad esempio, del discusso progetto di realizzare un ponte

sullo Stretto di Messina o del traforo ferroviario in Val di Susa.

Cerchiamo di capirne di più.

35 La riduzione dei punti di conflitto e la riduzione della velocità in avvicinamento

riducono il rischio e la gravità degli incidenti. L’eliminazione dei tempi morti (“di rosso”) aumenta la funzionalità dell’incrocio e riduce le code. La marcia più regolare fa diminuire la rumorosità e la quantità di gas di scarico prodotti rispetto agli incroci con semaforo.

152

35. Il problema dello Stretto di Messina è il

traffico… o forse no.

Le polemiche sul progetto di costruire un ponte sullo Stretto di

Messina vanno e vengono a fasi alterne, ormai da molti decenni.

Cerchiamo di capire:

davvero il problema dello Stretto di Messina è il traffico? Se così

fosse, avrebbe senso - forse - spendere miliardi di euro per costruire un

ponte… ma in realtà i dubbi sono tanti, e i soldi sono pochi.

Cerchiamo di capire quali sono i rischi ed i benefici connessi a

questa idea di progetto.

Una delle voci più critiche in proposito è quella di Mario Tozzi36,

che ha più volte espresso la sua contrarietà al progetto. Egli evidenzia

come la realizzazione del ponte sia rischiosa dal punto di vista sismico

e da quello idrogeologico. Infatti, non solo il territorio è interessato da

numerose frane su entrambi i versanti (messinese e calabrese), ma tali

frane sono anche del tipo “a scivolamento profondo”, che potrebbero

addirittura interessare il pilone di sostegno di Cannitello (una frazione

nel Comune di San Giovanni). Il rischio sismico inoltre è elevatissimo,

e non sanato, dal momento che nessuno di quei paesi ha più del 25% di

costruzioni antisismiche.

D’altra parte, consideriamo che nel mondo non esistono neanche

ponti sospesi così lunghi. Quello più lungo, l’Akashi, in Giappone, è

lungo appena la metà di quello che dovrebbe sorgere in Italia, e nel

1995, in occasione del terremoto di Kobe, fu spostato dal luogo in cui

doveva essere costruito, e la ferrovia che ci doveva passare non ci

passa più.

E c’è da dire anche che,

36 Geologo e divulgatore scientifico di fama nazionale.

153

oltre ai pericoli di tipo geologico, anche dal punto di vista

economico-finanziario si tratta di un grosso azzardo giocato con i

soldi dei cittadini.

Per quanto riguarda i ponti presenti negli altri Paesi, consideriamo

che le grandi strutture di questo tipo sono tutte in perdita, nonostante

il pedaggio (ad esempio il Golden Gate Bridge di San Francisco o il

Canale sotto la Manica). Il ponte tra Svezia e Danimarca ha avuto già

un intervento pari a un terzo del suo impegno finanziario da parte

dello Stato, perché nessun privato riesce a reggere quella concorrenza.

Un ponte come quello dello Stretto conviene solo a chi lo costruisce.

Il resto è una spesa per la comunità che se la dovrà sostenere

attraverso un pedaggio altissimo o l’aumento delle tasse.

In merito alla questione dei costi, lievitati ad oltre 6 miliardi di euro

(il costo iniziale era inferiore ai 4 miliardi), essi dovrebbero arrivare

dalla società Stretto di Messina (i cui soci maggioritari sono Anas e

Trenitalia) e tra gli investitori privati. Il costo dovrebbe essere ripagato

dai pedaggi fatti pagare a chi attraversa il ponte, e sono stati ipotizzati

circa 100mila attraversamenti al giorno di auto. Ma oggi sono solo 12-

15mila, ampiamente al di sotto della quota che consentirebbe di

ripagare la spesa, e peraltro in fase di stagnazione (se non di

diminuzione) negli ultimi anni. Molti temono che alla fine il costo di

costruzione venga assorbito dallo Stato, cioè “scaricato” sui cittadini.

Anche i tempi di realizzazione (stimati in 6 anni, nella migliore

delle ipotesi), fanno sorgere diversi dubbi, vista la complessità del

progetto ed i ritardi che spesso caratterizzano la costruzione di opere

così imponenti. Si teme parallelamente l’oscillazione dei prezzi dei

materiali, come l’acciaio, che potrebbero in caso di aumenti provocare

un ulteriore notevole incremento del costo dell’opera.

Non sarebbe meglio spendere queste somme per la ristrutturare e

mettere in sicurezza Reggio Calabria e Messina, dove solo un quarto

delle case sono a norma anti-sismica? O per affrontare il dissesto

idrogeologico in cui versa la maggior parte del territorio italiano,

intervenendo sulle piccole opere locali (che peraltro potrebbero

generare ricchezza e posti di lavoro)?

154

36. La Val di Susa ed il tunnel ferroviario

Da Messina alle Alpi... non c’è solo lo Stretto di Messina ad essere

interessato da progetti più o meno imponenti e contestati. Anche la

realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione fa molto discutere.

Il confronto, o per meglio dire il contrasto, nasce dalla

contrapposizione tra un disegno ambizioso di realizzazione di una

grande opera e una forte resistenza, locale e non solo. I problemi sono

di tipo economico (costi esorbitanti), ambientale (emissioni inquinanti

del cantiere, questione paesaggistica, ecc.) e sanitario (rischio di

fuoriuscite di amianto). Ma i benefici sembrano essere molto pochi, sia

in termini di tempo risparmiato sugli spostamenti ferroviari (peraltro

pochi, stando alle previsioni), che in termini di occupazione lavorativa

rispetto ad investimenti di analoga entità distribuiti in diverse opere

distribuite sul territorio.

Da anni si discute sulla questione. Anni nei quali, peraltro, molte

delle condizioni sono cambiate: andamento del traffico ferroviario

sulla linea esistente (in diminuzione), denaro a disposizione (idem

come sopra), urgenza reale dell’opera, coinvolgimento di altri Paesi

europei e dell’Unione. Secondo molti tecnici, esperti e studiosi, questa

opera non è giustificata dal punto di vista del traffico che dovrebbe

sostenere (traffico che oggi passa attraverso la linea esistente, e che da

diversi anni è in calo, come anche il traffico su strada lungo la stessa

direttrice) Ed in merito ai treni passeggeri, si rileva che al 2012 i treni

internazionali che vi transitano sono appena 3 per direzione al giorno.

La linea esistente, già impegnata negli scorsi anni ben al di sotto

della propria capacità, è oggi ancor di più sotto-utilizzata, senza

peraltro che ci siano segni di inversione di tendenza.

Da qui i dubbi sulla reale utilità ed urgenza di questa opera. Per il

futuro, peraltro, le previsioni degli stessi promotori sono incerte e

155

contrastanti, indicando aumenti che appaiono francamente

improbabili. E tuttavia, uno spostamento di “domanda di trasporto”

dalla strada alla ferrovia, a detta degli stessi sostenitori dell’opera,

potrebbe avvenire solo con l’imposizione di divieti o di prelievi fiscali

aggiuntivi sul trasporto su gomma, ossia incrementando il costo del

trasporto e rendendo più difficoltose le esportazioni per le nostre

imprese. Inoltre,

anche dal punto di vista ambientale i benefici sarebbero del tutto

trascurabili.

Infatti, considerando gli elevatissimi consumi energetici nella

costruzione dell’infrastruttura, le emissioni complessive di CO2

saranno forse più elevate con la realizzazione della Torino – Lione che

senza.

Per quanto riguarda il contesto europeo, occorre chiarire che la

Torino-Lione faceva in origine parte del cosiddetto “corridoio 5

Lisbona-Kiev”, ma successivamente è stata ridefinita come una tratta

del “progetto prioritario 6”37, che individua un corridoio trasportistico

più corto rispetto al precedente, che collegherebbe nei suoi tratti più

estremi la città di Lione a quella di Budapest (Ungheria), arrestandosi

poi al confine ucraino. La tratta peraltro è classificata genericamente

dall’Unione europea come “asse ferroviario”, senza assolutamente

indicare se la ferrovia debba essere tradizionale o ad alta velocità

(scelta lasciata ai paesi attraversati). Anzi, nella programmazione

europea delle reti Transeuropee38, che individua i 30 progetti prioritari,

si esclude l’asse Torino-Lione dalle infrastrutture ad alta velocità per

passeggeri.

E lungo quell’asse, peraltro, non risultano essere in costruzione

altre linee ad alta velocità o capacità, per cui sia ad est che a ovest

dell’Italia le merci continueranno a viaggiare su reti ordinarie, come

del resto da Lione verso Parigi, perché le linee AV francesi sono state

costruite per far passare solo treni passeggeri. In ogni caso,

37 http://tentea.ec.europa.eu/en/ten-t_projects/30_priority_projects

/priority_project_6 /priority_project_6.htm 38 Cfr. Decisione 884/2004/CE.

156

allo stato attuale il progetto non prevede che la linea abbia

caratteristiche di “alta velocità”, né che ci sia certezza in merito ai

finanziamenti europei.

L’utilità di questa opera quindi appare quantomeno dubbia, e la

perplessità di molti sui motivi che spingono i promotori ad andare

avanti resta forte. Considerando inoltre la spesa di vari miliardi di

euro che i cittadini italiani saranno chiamati a sostenere, si ritiene da

più parti che sarebbe forse preferibile che questi soldi siano impiegati

in mille altre opere, più piccole ma più urgenti e più rapide da

realizzare, e magari più utili a tutti (potenziamento delle reti di

trasporto locali, riqualificazione sismica degli edifici, protezione del

territorio da frane ed alluvioni, sistemazione di acquesotti, ecc…

l’elenco è davvero infinito), sempre per restare nell’ambito dei lavori

pubblici.

La questione resta quindi aperta e dibattuta, accompagnata da forti

contrasti tuttora irrisolti tra chi intende proseguire con decisione verso

la realizzazione del progetto e chi, con altrettanta decisione, intende

salvaguardare il proprio territorio e gestire al meglio le risorse dei

cittadini.

In questo complicato quadro, un po’ di chiarezza sugli obiettivi e

trasparenza sulle posizioni da parte di tutti sarebbe ben auspicabile39.

Ma come si vede anno dopo anno, i dubbi non fanno che aumentare...

ed i soldi non fanno che diminuire. Non vorrei che questo fosse

l’ennesimo insensato ed enorme spreco di soldi pubblici in opere

mastodontiche ma inutili e dannose.

39 Segnalo un documento interessante: “Tav Valsusa: Una Soluzione In Cerca Di

Problema” . Lo studio è “di parte” (infatti è redatto dalle comunità montane contrarie al progetto), ma è redatto con numeri e valutazioni effettuate da numerosi tecnici ed esperti di grande caratura. Chi volesse saperne di più sulle questioni a cui ho accennato può trovare nel documento informazioni utili.

http://areeweb.polito.it/eventi/TAVSalute/ANALISI%20DOCUMENTO%20GOVERNO%20284.06.12.pdf

157

37. La crisi, le azioni, le proposte

Con il contributo di Cosimo Chiffi

Come abbiamo anticipato, per conseguire l’obiettivo di una

mobilità sicura, sostenibile ed efficiente, i soggetti responsabili

(amministrazioni, aziende, operatori dei trasporti, ecc.) hanno a

disposizione numerosi strumenti – operativi ed organizzativi – che

consentono loro di calibrare le politiche scelte in base alle

caratteristiche del contesto ed al tipo di mobilità (sistematica,

occasionale, turistica, ecc.) che si trovano a dover gestire.

Spesso tali strumenti, ormai ben conosciuti dal punto di vista

tecnico ed organizzativo, sono attuati in modo disorganico ed

inefficiente, con il risultato di veder ridotte le loro potenzialità e di

riuscire a conseguire solo una piccola parte dei benefici che sarebbe

possibile ottenere a seguito di una programmazione integrata ed

accurata degli interventi. La gestione della mobilità (spesso definita

con l’equivalente espressione inglese Mobility Management) è quindi ad

oggi una vera e propria disciplina ingegneristica, che studia le cause

dei fenomeni legati al traffico ed inventa le soluzioni da applicare. Ma

non è così facile.

Il generale contesto economico di crisi pone le amministrazioni

locali e centrali in condizione di disporre di scarse risorse (denaro, per

intenderci) per l’implementazione di misure di mobilità sostenibile.

Bisogna quindi capire quali sono gli strumenti operativi più efficaci

che possono essere messi in atto dai Comuni in tempi rapidi e con costi

ridotti, magari guardando alle migliori esperienze nazionali ed

internazionali in materia. In questo contesto,

lo strumento operativo migliore per realizzare misure in tempi

brevi e con costi contenuti è il Mobility Management,

158

che può determinare inversioni di tendenza nei comportamenti e

negli atteggiamenti dei decisori e dei cittadini.

L’approccio del mobility manager (responsabile della mobilità)

permette di realizzare iniziative economiche e di rapida attuazione,

che consentano l’adozione da parte del cittadino di modalità di

spostamento eco-compatibili. Occorre capire che un tema così

importante non può essere lasciato nelle sole mani dei Sindaci e nelle

sempre più scarse possibilità finanziarie delle Pubbliche

Amministrazioni, ma che deve invece essere assunto con priorità dal

Governo, dal Parlamento, dalle Regioni, dal mondo produttivo e dalle

parti sociali. Peraltro, è ormai opinione diffusa che alcuni aspetti

dell’attuale crisi economica possono trovare soluzione proprio se il

tema della sostenibilità ambientale viene assunto come fondamentale

nelle politiche industriali e istituzionali del Paese. Occorre quindi, ad

esempio, premiare con incentivi economici le aziende che introducono

il mobility management o adottano strumenti volontari (come ad

esempio le certificazioni ambientali o i bilanci di Responsabilità Sociale

di Impresa).

Inoltre, secondo l’Associazione Italiana dei Mobility Manager

Euromobility40,

occorre puntare alla redazione di Piani di Mobilità Urbana

Sostenibile (PUMS).

Tale strumento dovrebbe rappresentare una modalità di

pianificazione della mobilità di persone e merci nelle aree urbane che

si dia carico di soddisfare la complessità della domanda di trasporto

secondo principi di sostenibilità ambientale, contenimento dei consumi

energetici ed efficienza dei sistemi. Sarebbe auspicabile che tale

adempimento diventasse obbligatorio almeno per i Comuni maggiori,

e che la sua adozione costituisca un vincolo per poter accedere a

misure di sostegno comunitarie, nazionali e regionali.

In merito ai PUMS, ecco cosa ci dice Cosimo Chiffi41.

***

40 www.euromobility.org 41 Ingegnere, esperto in pianificazione della mobilità urbana

159

Come possiamo inquadrare i PUMS all’interno della normativa e del

panorama italiano ed europeo? Quali sono le migliori esperienze in merito?

Nel Piano d’Azione sulla Mobilità Urbana pubblicato nel 2009, la

Commissione Europea ha proposto di accelerare la formazione sui

Piani Urbani della Mobilità Sostenibile in Europa attraverso una serie

di iniziative rivolte a professionisti, politici ed amministratori.

Nel 2011, con la pubblicazione del nuovo Libro Bianco sui

Trasporti, la Commissione ha proposto di rendere obbligatori i Piani

della Mobilità per le città di una certa dimensione, sulla base di

standard nazionali basati su Linee Guida europee. Lo stesso

documento suggerisce di collegare la politica regionale e i fondi di

coesione alle sole città e regioni in possesso di un certificato di Verifica

delle Performance e della Sostenibilità della Mobilità Urbana: tradotto

significa avere un PUMS approvato, aggiornato e validato in modo

indipendente. Del resto, per rendere la nostra mobilità realmente

sostenibile, occorre fare cose sensate ed avere una visione di lungo

periodo.

Credo sia ormai tramontata l’epoca degli investimenti puntuali e

senza un approccio complessivo su tutto il sistema della mobilità. Il

nostro panorama normativo dovrà chiaramente adeguarsi, magari

riprendendo con più vigore il percorso iniziato più di un decennio fa

con l’introduzione dei Piani Urbani della Mobilità (legge 340/2000).

Quanto alle migliori esperienze europee, certamente vanno citati i

Local Transport Plans del Regno Unito e i Plans de Déplacements Urbains

francesi, entrambi molto vicini al concetto di Sustainable Urban Mobility

Plan proposto dalla Commissione.

Quali sono i rischi e le opportunità legate all’adozione di questi strumenti

di pianificazione e programmazione da parte delle amministrazioni cittadine?

I benefici superano di molto i costi per la redazione e

implementazione di un PUMS. Io non vedo solo opportunità legate

alla possibilità di accedere a finanziamenti europei e nazionali, ma

soprattutto opportunità legate ad una migliore qualità dello spazio

urbano. Chi rimane indietro su questo fronte (penso alle città che non

hanno ancora un Piano Urbano della Mobilità o che si ritrovano Piani

Urbani del Traffico vecchi di decenni) corre al contrario un rischio

160

elevatissimo di non trovare più fonti di finanziamento e far collassare

definitivamente il proprio sistema di mobilità.

Il messaggio che vorremmo dare è però di pensare ai PUMS in

modo creativo e intelligente, o “smart” come va molto di moda dire

adesso. Integrare e migliorare strumenti di pianificazione già esistenti,

studiare soluzioni low-cost, affidarsi ad indicatori misurabili e

trasparenti, accelerare l’accettabilità sociale delle politiche attraverso il

coinvolgimento dei cittadini.

Jamie Lerner, l’architetto inventore del Bus Rapid Transit ed ex

Sindaco di Curitiba in Brasile, sostiene che

qualsiasi città può essere cambiata in meno di tre anni.

Sostiene anche che si stimola la creatività togliendo uno zero dal

budget ma se si vuole raggiungere la sostenibilità allora bisogna

toglierne due.

Questo per dire che i PUMS devono essere visti come strumenti

dinamici, adattabili alla scala urbana e ai tempi che viviamo e non

come piani complessi e rivolti ai soli tecnici.

Occorre che politici e tecnici si diano da fare.

***

161

38. I quartieri senz’auto ed il movimento

Car-Free

Siamo noi a guidare le nostre automobili, o sono piuttosto le

automobili a guidare la nostra vita?

La domanda potrebbe sembrare strana, ma a ben pensarci ha

decisamente un senso. La nostra società (occidentale, e italiana in

particolare) risente pesantemente della “cultura” dell’automobile,

cultura alimentata anche, com’è naturale attendersi, da interessi

economici decisamente rilevanti. Provate a contare, durante una

interruzione pubblicitaria in televisione di appena 3-4 minuti, quanti

spot sono dedicati alle automobili. Farete una scoperta impressionante.

Non c’è quindi da stupirsi se emergono sempre più

frequentemente reti e movimenti di persone contrarie a questo punto

di vista, che intendono portare il dibattito sulla mobilità e sulla qualità

di vita ad un livello più avanzato e più alto della semplice

ammirazione stupita data alle continue (e comunque benvenute)

evoluzioni tecnologiche del mezzo automobile.

Il movimento car-free è una rete informale di individui ed

organizzazioni (tra cui attivisti sociali, urbanisti, ecc.) accomunati dalla

convinzione che le città siano (fin troppo) dominate dalle auto.

L’obiettivo del movimento car-free è quello di creare luoghi dove

l’uso delle automobili sia ridotto o eliminato, per convertire strade e

parcheggi ad altri usi pubblici e ricostruire ambienti urbani compatti,

dove maggior parte delle destinazioni siano facilmente raggiungibili

con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta.

Ma facciamo prima un passo indietro, per comprendere il contesto

nel quale si sono sviluppati questi movimenti.

162

Prima del ventesimo secolo, le città e le cittadine erano

normalmente compatte, con strade che non avevano la funzione

odierna di “canali” per i flussi di traffico, ma ricoprivano diverse

funzioni legate alle attività umane (relazioni, commercio, spazio

pubblico, ecc.).

Nel ventesimo secolo, con la diffusione delle auto, molti centri

urbani sono stati adattati per “venire incontro” alle esigenze del

traffico stradale, ampliando le strade fin dove possibile e disponendo

spazio dedicato per i parcheggi. Contemporaneamente, specie in molte

zone periferiche delle grandi città, sono state urbanizzate nuove aree

con bassa densità di popolazione (generando il cosiddetto sprawl

urbano), cosa che ha portato ad avere grandi distanze tra i luoghi delle

attività quotidiane (residenze, aree commerciali, luoghi di lavoro, ecc.).

La difficoltà di effettuare questi spostamenti a piedi o in bicicletta

ha così favorito ulteriormente la scelta dell’auto come modo obbligato

di muoversi. Tuttavia,

alcuni governi hanno risposto a questa situazione con politiche e

regolamenti volti a invertire questa tendenza, riducendo lo spazio

allocato per le auto private ed incentivando l’uso della bicicletta, gli

spostamenti a piedi, i trasporti pubblici ed il car sharing.

I fautori del movimento car-free propugnano sia politiche

di mobilità sostenibile che misure di progettazione urbana (che creano

la possibilità di avere i servizi o i luoghi di lavoro a distanze ridotte, in

modo da rendere il trasporto sulle lunghe distanze una necessità

sempre meno sentita). Questo modo di vedere il problema si intreccia

inoltre con il cosiddetto Nuovo Urbanesimo 42 . Anche il movimento

delle Living Streets rientra in questo contesto: i suoi appartenenti

ritengono che alcune aree delle città debbano essere progettate in

modo da avere come priorità le esigenze di bambini che giocano,

ciclisti e pedoni, imponendo ai veicoli di procedere a passo d’uomo.

Non vanno dimenticati ovviamente tutti i programmi di sviluppo

del bike sharing e della mobilità ciclabile, come ad esempio le

42 movimento nato negli anni ’80 con l’obiettivo di riformare gli aspetti dello

sviluppo immobiliare e urbanistico, mettendo al centro della propria azione il ripopolamento dei centri urbani e la riqualificazione delle periferie, in modo da facilitare la mobilità pedonale.

163

iniziative “Critical Mass” (nate nel 1992 a San Francisco e

successivamente diffusesi in tutto il mondo), dove i ciclisti scendono in

strada in massa con lo scopo di evidenziare come la città sia per loro

un ambiente ostile, a meno di non invaderla pacificamente con questo

tipo di manifestazioni.

Tra gli eventi più importanti a supporto del movimento car-free ci

sono i Car Free Days: hanno l’obiettivo di ridurre fortemente le auto in

cicrolazione in una città (o parte di essa) per un giorno, per dare alle

persone che vivono e lavorano lì la possibilità di capire come la loro

città potrebbe apparire e funzionare senza il traffico stradale. In

Europa è inoltre molto partecipata l’iniziativa In town without my

car (“In città senza la mia auto”). Ed infine, ricordo con particolare

soddisfazione che tra i gruppi a supporto di questo approccio alla

pianificazione urbana c’è anche la New Mobility Agenda (costituita nel

1988), animata da Eric Britton43.

Gia, ma… a parte iniziative e gruppi di attivisti, esistono esperienze

concrete di quartieri o città senz’auto?

Ci sono in effetti molte aree del mondo dove, per vari motivi, le

persone hanno sempre vissuto senza auto. Anche nei paesi sviluppati

(ad esempio in alcune isole ed in alcuni quartieri storici). L’approccio

ad una progettazione car-free implica però un cambiamento fisico,

relativo ad un’area di nuova urbanizzazione o alla modifica di una

zona esistente.In particolare, secondo gli esperti

i “quartieri car free” sono aree ad uso residenziale o misto nei quali

il traffico è limitato o vietato, senza possibilità di parcheggio (o con

possibilità molto limitata, e separata dalle residenze) e progettati per

consentire ai residenti di vivere senza possedere un’auto.

Questa definizione si basa principalmente sull’esperienza

dell’Europa nord-occidentale, e consente di individuare tre diverse

tipologie.

La prima fa riferimento all’esperienza del quartiere di Vauban,

appartenente alla città di Friburgo (Germania), il quartiere car-free più

grande d’Europa. Vauban è “senza parcheggi”: i veicoli sono ammessi

a circolare per le strade residenziali a passo d’uomo ma solo per

43 Ispiratore e socio fondatore dell’Associazione Nuova Mobilità.

164

esigenze di servizio (es. accompagnamento o consegne), senza

parcheggiare. I residenti di queste aree devono sottoscrivere una

dichiarazione annuale per indicare se possiedono un’auto o meno. I

proprietari di auto devono acquistare un posto in uno dei parcheggi

multipiano per auto alla periferia, gestito da una azienda di proprietà

comunale. L’alto costo di questi spazi agisce come disincentivo alla

proprietà dell’auto.

La seconda tipologia è la limitazione dell’accesso, e la sua forma

più comune prevede una sorta di barriera fisica che impedisce

l’accesso ai veicoli a motore (in alcuni casi l’accesso è consentito ai soli

residenti con una barriera mobile.

La terza tipologia, banalmente, è la realizzazione di zone pedonali.

Mentre i primi due modelli si applicano a zone di nuova

costruzione, le aree pedonali sono create in genere nei centri storici,

dove risiedono numerose persone, per lo più senza auto.

Quali sono vantaggi e svantaggi dei quartieri car free? I principali

vantaggi sono i livelli molto bassi di uso dell’automobile (con

conseguente traffico ridotto anche sulle strade circostanti), gli alti tassi

di spostamenti a piedi e in bicicletta, l’aumento dell’autonomia negli

spostamenti dei bambini (e dei loro spazi di relazione), il minor

consumo di suolo per strade e parcheggi. I principali problemi

derivano invece dalla gestione dei parcheggi. Dove il parcheggio non è

ben gestito nella zona circostante al quartiere car-free, spesso ci sono

fenomeni di sosta selvaggia con lamentele da parte dei residenti.

Alcuni importanti esempi di città con quartieri senz’auto

sono Copenhagen (una delle città più densamente popolate d’Europa),

che in un periodo di 40 anni ha trasformato con successo parcheggi e

strade in piazze senza auto, e Parigi, dove dal 2004 ogni estate, e per

un mese, una zona riservata al traffico stradale diventa una spiaggia

che ospita varie attività, (lezioni di ballo, arrampicata, giochi, nuoto in

piscine galleggianti), e servizi (con sedie a sdraio, bar, fontane).

In Italia sono rare, per non dire inesistenti, iniziative come quella di

Parigi (per non parlare di Vauban). Non va dimenticata tuttavia

l’enorme importanza che hanno iniziative e strategie di questo tipo:

pur senza arrivare all’assurdo di chiudere un’intera città alle auto, esse

possono aiutare molto nel miglioramento della qualità della vita delle

persone, compresi gli stessi automobilisti, che magari spesso farebbero

165

volentieri a meno di inscatolarsi in macchina nel traffico del centro. A

dispetto degli spot televisivi (ah, a proposito, fate caso all’ambiente

mostrato negli spot: vi viene mostrato un caotico e congestionato

centro urbano, come è la norma per chi usa l’auto quotidianamente, o

una piacevole e deserta strada panoramica immersa nella natura?).

166

39. E quindi... cosa fare?

Colloquio con Enrico Bonfatti

Il contesto odierno, caratterizzato da una pesante crisi economica

(con risvolti sociali non di poco conto), sembra essere a prima vista il

meno adatto per poter pensare di adottare politiche di tipo innovativo

per risolvere i problemi strutturali delle nostre città, a partire dal

traffico. Si pensa, erroneamente, che un cambio di rotta (o proprio “di

sistema”) sia una cosa molto pesante da fare, che richieda investimenti

elevati e lunghe pianificazioni, e necessiti di decenni per la completa

realizzazione.

Ma nel campo della mobilità urbana questa impressione,

semplicemente, è sbagliata.

Si possono cambiare politiche di uso di mezzi ed infrastrutture per

la mobilità in tempi brevi e costi ridotti, anche (anzi, soprattutto!) in

periodi di crisi.

Il cambio di regole ed abitudini può essere proprio una delle

migliori azioni per uscire dalla crisi, che non è solo di natura

economica ma ha diverse facce, ed impatta in molti settori. Un

approccio nuovo alla mobilità urbana consente quindi di affrontare

non solo il problema della congestione e del traffico nelle città, ma

anche molti degli effetti "collaterali" dell'eccessiva mobilità

automobilistica (in primis quelli legati agli impatti ambientali ed al

consumo di risorse energetiche).

167

Enrico Bonfatti44 ci illustra le azioni da mettere in campo per

realizzare questo importante cambio di rotta.

***

Quello che segue rappresenta un condensato delle esperienze, degli

studi e del lavoro quotidiano di oltre un migliaio di esperti e attivisti

dei trasporti operanti in ogni angolo del nostro pianeta e che si

confrontano - ormai da più di 20 anni - sulla piattaforma web “New

Mobility Agenda”, mettendo a disposizione di tutti le loro riflessioni e

conoscenze.

In Italia questo approccio può essere toccato con mano sul blog

Nuova Mobilità, che non rappresenta di sicuro una fonte di

informazioni “neutrale”: abbiamo una posizione ben definita sulle

politiche dei trasporti e le progettazioni e gli investimenti che ne

conseguono, risultato di una lunga esperienza di lavoro e osservazione

nel settore in diverse città di tutto il mondo.

I punti che seguono rappresentano quelli che, secondo noi,

dovrebbero essere i pilastri di una buona politica della mobilità urbana

in ogni città. Non si tratta di elementi negoziabili ma di principi

ispiratori che possono portare a dei risultati solo se applicati come un

tutt'uno.

L’emergenza climatica e ambientale come metro di misura.

La riduzione di gas serra può servire come un obiettivo che

riassume tutti gli altri che il nostro lavoro ci impone, per riuscire a dare

alle nostre città l’attenzione che meritano. L’obiettivo principale è il

bisogno di ridurre il traffico. Meno auto per strada significano minori

consumi energetici, riduzione di ogni forma di inquinamento, meno

incidenti, minori costi di manutenzione e costruzione di infrastrutture,

città più tranquille e sicure, e la lunga lista può continuare ancora

molto.

Stringere l'orizzonte temporale.

44 Esperto di mobilità urbana, socio fondatore e presidente dell’Associazione Nuova

Mobilità e curatore del blog omonimo (http://nuovamobilita.wordpress.com/)

168

Quello che spesso sfugge ai più è che in questo settore si può fare

davvero molto - ai fini dell'abbattimento delle emissioni di CO2 - in

tempi relativamente brevi e a costi relativamente bassi, non solo senza

danneggiare la qualità della vita ma contribuendo a far rinascere

un'economia che ponga l'accento sulla fornitura di servizi legati al

territorio anziché sulla produzione di beni che può essere delocalizzata

in ogni momento.

Ridurre le percorrenze

Bisogna continuamente tenere alta l'attenzione sull'obiettivo ultimo

di qualunque politica di mobilità urbana di buon senso, che consiste

fondamentalmente nel ridurre radicalmente il traffico in termini

assoluti di veicoli/km e non nella semplice implementazione di

singole infrastrutture e servizi non contestualizzata in un’adeguata

visione strategica di fondo. E questo si può fare nel giro di pochi anni

se non addirittura mesi, come si è già verificato ogni volta che il

problema è stato affrontato con l'adeguata decisione. Per perseguire

questo obiettivo è indispensabile spendere per il suo raggiungimento

almeno il 50% del budget destinato ai trasporti. Bisogna per questo

porsi delle mete chiare e sottoponibili al giudizio dell'opinione

pubblica

Estendere lo spettro, la qualità e il grado di integrazione dei servizi

legati alla nuova mobilità disponibili per tutti.

Dobbiamo allargare le nostre vedute su questo aspetto e capire che

è importante muoversi verso un nuovo paradigma basato su una

grande varietà di modalità condivise di trasporto, la cui

organizzazione si baserà in buona parte sulle tecnologie

dell’informazione del XXI secolo. Per fare ciò bisogna superare la

contrapposizione tra trasporto motorizzato individuale e trasporto

pubblico collettivo (pericoloso, inquinante, costosissimo il primo e

pesante, inefficiente, rigidissimo il secondo), e cominciare ad

implementare servizi che possano situarsi nella sconfinata quanto

vuota terra di mezzo situata tra questi due opposti, costituendo in

questo modo un continuum di offerte che sappiano rispondere a ogni

tipo di esigenza. Mi riferisco a tutte le possibilità date da quella

169

"tecnologia" antica probabilmente quanto la civiltà umana e che è

comunemente conosciuta con il nome di condivisione, le cui

potenzialità sono oggi accresciute enormemente dallo sviluppo

tumultuoso delle ICT, che dovranno venire massicciamente impiegate

in ogni tipo di servizio, formando il "nocciolo duro" alla base di

qualunque sistema di trasporto.

Ripensare il ruolo delle auto

In quest'ottica, è da riconsiderare il ruolo dell'auto nelle nostre città,

che non potrà più essere la padrona assoluta dei nostri paesaggi

urbani, ma dovrà venire integrata in maniera molto più morbida in

una strategia complessiva della mobilità. Un ambiente urbano basato

sulla nuova mobilità dovrà essere in grado di accogliere gli

automobilisti, dato che si tratta di una realtà incontrovertibile che non

sparirà semplicemente perché sembrerebbe la soluzione ideale.

Progettare per le donne

La vecchia mobilità è il frutto di un pensiero maschile, “bianco” e

benestante. La nuova dovrebbe venire pensata per soddisfare i bisogni

specificamente femminili, di tutte le età e condizioni sociali. Fate

questo e chiunque verrà servito meglio. E per farlo c’è bisogno di uno

spostamento dei ruoli dirigenziali a favore delle donne, agevolando la

piena parità dei sessi in tutti gli organismi coinvolti nei processi

decisionali.

Lavorare con quello che si ha, sinergie per valorizzare l'esistente.

Per sviluppare un nuovo sistema di mobilità urbana non sono

necessari grandi investimenti infrastrutturali, ma è sufficiente

utilizzare al meglio quello che già si ha a disposizione. Spesso si tratta

di piccole iniziative o servizi quasi invisibili ai politici che si occupano

di trasporti. Si va dai servizi di trasporto specializzato a tutta una serie

di modalità di spostamento più o meno informali e riconosciute,

spesso funzionanti in modo approssimativo, che hanno bisogno di

essere meglio comprese (piuttosto che soppresse o abbandonate a se

170

stesse), per venire integrate in un'offerta multimodale e di qualità che

meglio si adatti alle città del XXI secolo.

Cambiare l’approccio ai problemi

Per ottenere questa integrazione c'è bisogno di un approccio

progettuale completamente diverso da quello adottato finora che

prevede singole decisioni prese da esperti ognuno nel suo specifico

campo di competenza. Bisogna entrare in un'ottica che dia per

assodata l'applicazione di pacchetti di misure concordate tra quanti

più soggetti possibili, utilizzando metodologie di “problem solving”

collettivo che valorizzino anche le competenze presenti in popolazioni

urbane informate e consapevoli. La sfida è quella di trovare i modi per

applicare i più svariati programmi come progetti sinergici e

mutualmente rinforzantisi all'interno di una visione complessiva più

ampia.

Frugalità

A tal fine non abbiamo bisogno di un ulteriore giro di investimenti

ad alto costo e basso impatto ambientale, "basta" riuscire ad impiegare

una percentuale consistente (50%? 70%?) del budget che già oggi viene

impiegato per i trasporti nel loro complesso per progetti di nuova

mobilità, tenendo presente che le opere infrastrutturali già presenti nei

nostri territori urbani sono abbondantemente sovradimensionate,

anche se utilizzate in modo inefficiente. Questa è semplicemente una

gran cosa visto che significa che possiamo convertire sostanziali

porzioni della rete stradale a modalità di trasporto molto più

sostenibili ed efficienti.

Agnosticismo tecnologico / Sostenitori delle performance.

Non ci interessa e non deve interessarci quale tecnologia debba

venire utilizzata o favorita. Non è competenza di politici

inevitabilmente poco informati quella di stabilire quale tecnologia sia

meglio adottare per un sistema di trasporti. Questo va oltre il loro

ambito di competenze e non è nemmeno una delle precondizioni

necessarie per creare un migliore sistema di mobilità. Ma quello che i

171

nostri politici possono e devono fare è specificare le performance, non

le tecnologie. Ci sono molti modi per farlo: tra questi la richiesta di

performance specifiche per quanto riguarda gli standard di emissioni e

di prestazioni. Ma ce ne possono essere molti altri.

Leadership basata sull’esempio

Se siete un sindaco o un amministratore pubblico, se siete

professionalmente coinvolti in aree che riguardano la sostenibilità, non

avete davvero scelta: dovete dare l’esempio. Questo significa andare a

lavorare in bici, a piedi, con il trasporto pubblico o con qualche forma

di car-pooling o car sharing, se non sempre almeno due volte alla

settimana. Così facendo, avrete sotto mano tutto quello che funziona e

tutto quello che non funziona nella vostra città. Sarete autentici e

credibili. Sarete quel genere di leader di cui abbiamo bisogno per

intraprendere quelle riforme politiche e progettuali di cui abbiamo

bisogno. Se non vi comportate così, se rimanete incollati al sedile

posteriore della vostra auto blu, non avrete mai il mio voto.

Imparare dai successi altrui

Nuovi modi di affrontare i problemi richiedono successi. Non c’è

possibilità di errore. Così dobbiamo selezionare nel mondo quelle

politiche e quei servizi che hanno registrato dei successi e costruire

sulla loro esperienza. (E ce ne sono fin che volete là fuori, basta essere

disposti a guardare ed imparare).

***

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40. Infine, un racconto…

L’esperienza di Ester Giusto

Cosa succede quando una ciclista rimasta a piedi sotto la pioggia

incontra un ragazzo in Vespa? Ecco il racconto di Ester Giusto, che ci fa

capire da dove nasce, per usare le sue parole, il suo “moto di

sentimenti benevoli verso la mia splendida categoria, i ciclisti urbani,

appunto”.

***

Dovete sapere che ieri, uscita dall’ufficio alle 18 – qualche minuto

prima del consueto - ho allungato un po’ la strada del ritorno per

andare a procurarmi quanto mi mancava, l’arma invincibile, il sigillo

del potere, il mezzo che mi permetterà di evitare, con qualsiasi

condizione meteoclimatica, l’ora e mezzo di attesa del bus intrappolato

nel traffico: i pantaloni impermeabili di Decathlon, marca B-twin, la

stessa che fa delle ottime bici elettriche. Oltre a quelli mi sono dotata di

nuovo k-way verde catarifrangente, di custodia impermeabile per

contenere la borsa dell’ufficio, sempre verde catarifrangente, di guanti

di pile, sempre verdi ma forse non proprio catarifrangenti: verde

dentro, verde fuori!!! Meno di 40 euro in tutto.

Dotata di questo armamentario mi sono avviata verso l’ufficio

stamattina, insieme al mio giovane vicino Carlo, pure lui ingegnere,

che condivide lo stesso percorso in bici, e che stasera si sarà lavato, a

differenza di me.

Nulla faceva in effetti presagire la pioggia, ma la dotazione pesa ed

ingombra poco e quindi, mi son detta, perché rischiare di dover

prendere l’odioso bus? Non perché sia odioso di per sé, poverino, ma

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perché mi costringe ad una eterna attesa della coincidenza successiva,

ed alla rinuncia al corso serale di Andriu per eccessivo ritardo.

Beh insomma, stasera lasciando l’ufficio mi rendo conto che piove!!!

Mai sono stata contenta prima di vedere la pioggia (soprattutto di

questi tempi), ma stasera sembrava proprio un invito a nozze!!!

Esaltata, mi sono messa ad illustrare e vestire i miei nuovi acquisti di

fronte alle due Francesche della segreteria, l’una tutta divertita, l’altra

un pochino dubbiosa; ed, una volta bardata, ho preso la porta. Mi

sentivo come Achille: invincibile.

Peccato non avessi fatto i conti con il tallone. Appena inforcata la

bici e fatto qualche metro, mi rendo conto che la ruota davanti è

completamente a terra. Come fosse possibile non so… stamattina era

gonfissima!!! Ma non è la prima volta. I cordoli ad ogni incrocio, le

buche continue, le finte rampe con veri taglienti spigoli per imboccare

la pista ciclabile dalla strada mettono a dura prova i copertoni!

Stavo quasi per chiamare il ragazzo dall’animo gentile di cui sopra,

perché mi caricasse la bici in macchina e mi portasse al corso, ed avevo

indeed il cellulare già in mano (orrida sarei stata), quando – DEUS EX

MACHINA - mi si affianca un giovane in vespa “hai bisogno di

aiuto?” (non so, questa cosa mi ricorda una canzone di Baglioni…).

Non credo sia stato ipnotizzato dal mio appeal, ed è abbastanza

improbabile che indovinasse il mio charme sotto 10 cm di cappotto

verde di pile rattoppato con sopra giubbino (sempre catarifrangente).

Al più può aver pensato che se non ero un uomo potevo essere una

donna, e se ero una donna, poteva essere che fossi, come ciclista, anche

abbastanza in forma…tutti ragionamenti non sufficienti credo per

attrarre il tipo umano di genere maschile categoria “Prime Italian

Minister”45. Quindi doveva essere un tipo umano di genere maschile

ma di categoria differente.

“Eh” rispondo arresa “ho la ruota a terra…niente che si possa

rimediare”.

“Aspetta! Dovrei avere una schiuma per gonfiarla…è per la Vespa,

ed è quasi finita, però forse riusciamo ad usarla lo stesso! Tutto

dipende dal tipo di valvola che hai per gonfiare la camera d’aria…

fammi vedere!”

45 Potete immaginare da questa citazione a chi si riferiva Ester quando ha scritto

questo testo...

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Smonta dalla Vespa, la lascia al lato della strada (la trafficatissima

via della Provvidenza – dal nome per me sempre più significativo!) e si

mette ad armeggiare dietro alla mia ruota “uhm…no, è troppo

piccola” “per caso hai un coltello?”, dice rialzandosi.

“Ehm…no!” “Già, non è che normalmente uno si porti in borsa

coltelli…

“Aspetta, dovrei averlo io”. E si mette ad aprire un sacchetto da cui

estrae uno strano coltellino dalla lama piatta, tipo quello che mia

sorella mi ha regalato come bomboniera di nozze, per prendere non so

che tipo di formaggio a pasta molle. Poi prende la bomboletta, e con

quello inizia a rompere il tubicino dosatore di plastica trasparente.

Nelle mie orecchie iniziava a risuonare la colonna sonora di Mc

Gyver… poi applica il tubicino alla valvola e preme la leva della

bombola, da cui inizia ad uscire una schiuma bianca “eh, chissà se

riusciamo a fare qualcosa! Non so se c’è ancora sufficiente pressione”

ed intanto insiste ed insiste a premere, fiducioso.

“Sentimi” gli chiedo mentre, poco convinta, seguo i suoi sforzi “ma

ti fanno tenerezza i ciclisti sotto la pioggia per caso?”

“È che sono un ciclista pure io…anche se talvolta, quando piove,

prendo la mia amata vespetta: ho una passione per la Vespa!”

“Ah, beh dai, almeno ci provi ad usarla, la bici!”

“No no, normalmente uso la bici…per questo penso che, se mi

trovassi in queste condizioni, mi farebbe piacere che qualcuno si

fermasse… [ndr: il fondamento della civiltà!!!] …sono anche

attrezzatissimo, ho una bici iper-leggera, molto buona in effetti, e tutto

il necessario per usarla…tu, non hai nemmeno una pompa?”

“ehm…no, veramente…”

Dopo quindici minuti circa di amabile conversazione, lì ai lati del

traffico e sotto la pioggia, la ruota era sufficientemente gonfia per

pensare di usarla senza rovinare il cerchione! Ho ringraziato Fabio,

così si chiama, ed ho inforcato contenta la mia fedele citybike, con la

speranza di incrociarlo altre volte lungo il tragitto, e forse anche no:

questo evento così compiuto è talmente bello, che quasi mi dispiace

pensare che si reiteri e che, lui e la vespetta, esistano davvero, e non

siano invece una incarnazione momentanea ed irripetibile, ed in

quanto tale perfetta, dell’idea (ideale?) metafisica di umanità.

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Prossima tappa post-ufficio: Decathlon, dovrò comprarmi la

bomboletta!!!

Grazie al ragazzo gentile, a tutte le persone come Fabio (questa sera

asceso a paradigma), a tutti i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le

donne, i nonni e le nonne, che fanno parte del popolo dei ciclisti, di

questa schiera di persone che vivono e non si lasciano vivere dalla

fretta e dal tempo-denaro senza altro, più ricco e profondo, senso.

***

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Conclusioni

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Siamo giunti alla fine di questa

breve panoramica su alcune buone

pratiche che, già oggi, riescono a

risolvere molti dei problemi generati

dal traffico, non ultimi quelli relativi

alla sicurezza di chi si muove. Si

tratta però di misure che, per quanto

lodevoli e benvenute, sono prese

spesso senza un coordinamento "di

alto livello" (es. da un organismo

nazionale), che potrebbe senza ombra

di dubbio permettere di conseguire

risultati notevolmente più efficaci.

Da questo punto di vista, sono certamente benvenute tutte le

iniziative, siano esse spontanee o promosse da enti ed istituzioni, che

nascono per aggregare persone con esigenze simili (dai comitati di

pendolari alle associazioni dei ciclisti, ecc.), mettendo a frutto lo sforzo

congiunto di tutti per il conseguimento degli obiettivi che ci si pone.

Vi invito ad interessarvi a queste iniziative, e sostenerle con

convinzione e partecipando in prima persona. Si possono ottenere

rapidamente risultati molto efficaci, anche solo grazie al fatto che si è

in tanti a farsi sentire per avere un miglior servizio ed una migliore

qualità della vita. Molte delle iniziative che abbiamo visto in queste

pagine nascono proprio dal basso, dallo sforzo e dalla volontà di poche

persone che vogliono migliorare un parte così importante della propria

vita, quale è il tempo dedicato giornalmente ai propri spostamenti.

Non abbiamo parlato di utopie, ma cose concrete e fattibili,

realizzate in molte città. Anche nel vostro comune di residenza può

essere ad esempio realizzato un sistema di bike sharing, o migliorato il

trasporto pubblico, o organizzato un Piedibus per portare i bambini a

scuola. Basta organizzarsi, sviluppare delle idee o semplicemente

entrare in contatto con le altre persone, tutto è assolutamente fattibile.

E non mi dite che non avete tempo. Di tempo ce n’è tanto... è che si

spreca imbottigliati nel traffico!!!

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***

Saluto infine ognuno di voi, e spero di incontrarvi presto da

qualche parte e di sapere che questi piccoli consigli sono serviti come

spunto per avviare delle iniziative nella vostra città.

Vi aspetto infine sul mio sito web (www.marcodemitri.it) per

proseguire la scoperta del mondo della mobilità e per favorire un

reciproco confronto, e magari ricevere una vostra segnalazione di una

bella iniziativa nata dalla lettura di queste pagine.

Marco De Mitri