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1 Il Potenziale elettrostatico 3.1 Distribuzione della carica in eccesso sui conduttori metallici Consideriamo un conduttore metallico neutro, posto in una regione di spazio dove sia assente qualunque campo elettrico esterno. A causa dell’ agitazione termica, gli ioni positivi, e gli elettroni degli strati atomici più profondi che costituiscono il reticolo cristallino, oscilleranno attorno alle loro posizioni di equilibrio. Nel contempo, ciascuno degli elettroni del mare di conduzione, in stato di agitazione termica e quindi animato da velocità con direzioni distribuite in modo del tutto casuale nello spazio, sarà sottoposto ai campi generati dagli ioni del reticolo e dagli altri elettroni. Su di una scala grande rispetto alle dimensioni atomiche, questi campi microscopici hanno un valore medio nullo, e sono in grado di produrre solo un moto del tutto caotico, da cui risultano orientazioni casuali delle velocità. L’assenza di una direzione di spostamento privilegiata comporta che, qualunque superficie possiamo immaginare internamente al conduttore, essa verrà attraversata, nello stesso intervallo di tempo, da un uguale numero di elettroni tanto in un verso quanto nel verso opposto. Sebbene questo movimento caotico su scala atomica, già a temperatura ambiente, abbia velocità quadratica media dell’ordine delle centinaia di migliaia di metri al secondo, esso risulta compatibile con uno stato di neutralità del conduttore in ogni sua regione. Infatti dal punto di vista dell’effetto del campo elettrico dovuto al mare di elettroni, su di una particella carica interna al conduttore, tutto va come se gli elettroni di conduzione fossero fermi. L’assenza di moti ordinati d’insieme, fa sì che non si abbia addensamento di carica in nessuna zona del conduttore, ed il risultato è una distribuzione omogenea, costante nel tempo, tanto di carica positiva quanto di carica negativa, anche se per quest’ultima l’omogeneità e la costanza vanno intese in senso statistico. Quando si verifica una situazione del tipo appena descritto, quando cioè la densità di carica del conduttore, entro volumi molto più grandi delle dimensioni atomiche, non dipende dal tempo, diremo che il conduttore si trova in equilibrio elettrostatico. La condizione di equilibrio elettrostatico richiede che sia assente qualsiasi moto ordinato d’insieme del mare di elettroni e che quindi sia nullo il campo elettrico complessivo su scala macroscopica dentro al conduttore.

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Il Potenziale elettrostatico

3.1 Distribuzione della carica in eccesso sui

conduttori metallici

Consideriamo un conduttore metallico neutro, posto in una regione di

spazio dove sia assente qualunque campo elettrico esterno.

A causa dell’ agitazione termica, gli ioni positivi, e gli elettroni degli strati

atomici più profondi che costituiscono il reticolo cristallino, oscilleranno

attorno alle loro posizioni di equilibrio.

Nel contempo, ciascuno degli elettroni del mare di conduzione, in stato di

agitazione termica e quindi animato da velocità con direzioni distribuite in

modo del tutto casuale nello spazio, sarà sottoposto ai campi generati dagli

ioni del reticolo e dagli altri elettroni. Su di una scala grande rispetto alle

dimensioni atomiche, questi campi microscopici hanno un valore medio

nullo, e sono in grado di produrre solo un moto del tutto caotico, da cui

risultano orientazioni casuali delle velocità.

L’assenza di una direzione di spostamento privilegiata comporta che,

qualunque superficie possiamo immaginare internamente al conduttore,

essa verrà attraversata, nello stesso intervallo di tempo, da un uguale

numero di elettroni tanto in un verso quanto nel verso opposto. Sebbene

questo movimento caotico su scala atomica, già a temperatura ambiente,

abbia velocità quadratica media dell’ordine delle centinaia di migliaia di

metri al secondo, esso risulta compatibile con uno stato di neutralità del

conduttore in ogni sua regione. Infatti dal punto di vista dell’effetto del

campo elettrico dovuto al mare di elettroni, su di una particella carica

interna al conduttore, tutto va come se gli elettroni di conduzione fossero

fermi. L’assenza di moti ordinati d’insieme, fa sì che non si abbia

addensamento di carica in nessuna zona del conduttore, ed il risultato è

una distribuzione omogenea, costante nel tempo, tanto di carica positiva

quanto di carica negativa, anche se per quest’ultima l’omogeneità e la

costanza vanno intese in senso statistico.

Quando si verifica una situazione del tipo appena descritto, quando cioè la

densità di carica del conduttore, entro volumi molto più grandi delle

dimensioni atomiche, non dipende dal tempo, diremo che il conduttore si

trova in equilibrio elettrostatico.

La condizione di equilibrio elettrostatico richiede che sia assente qualsiasi

moto ordinato d’insieme del mare di elettroni e che quindi sia nullo il

campo elettrico complessivo su scala macroscopica dentro al conduttore.

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Pertanto, quando un conduttore si porta in equilibrio elettrostatico, la

distribuzione delle sue cariche dovrà sempre essere tale da annullare

qualunque campo elettrico macroscopico al suo interno.Vediamo alcuni

esempi.

Un conduttore carico

Poniamo che il conduttore, lontano da altre sorgenti di campo elettrico,

contenga un eccesso di cariche positive o negative: la densità media di

carica non sarà zero come nel caso in cui è neutro, tuttavia, dopo una fase

temporanea in cui si assiste ad una loro risistemazione per effetto della

reciproca interazione, il conduttore si porterà in equilibrio elettrostatico. La

configurazione stabile in cui queste cariche in eccesso si dispongono è

intuitiva: la repulsione fa si che esse si allontanino quanto più è loro

consentito e quindi andranno a posizionarsi entro uno strato superficiale

profondo pochi diametri atomici. Ci riferiremo ad esso come alla superficie

del conduttore , e disegneremo le sue cariche a contorno del corpo stesso.

Questa localizzazione delle cariche in eccesso sulla superficie è, in effetti,

l’unica compatibile con la condizione di equilibrio elettrostatico, che come si

è visto richiede che internamente al conduttore risulti nullo il campo

elettrico.

Si consideri, infatti, una superficie chiusa come la S in figura, che sia tutta

interna al conduttore: il fatto che ovunque dentro debba essere 0E =

comporta che il flusso del campo elettrico attraverso S sia zero anch’esso.

Applicando poi il teorema di Gauss risulta che:

( ) interne

00S

QEφ = =∑ ε

e quindi la somma totale delle cariche dentro S deve essere zero. Ripetendo

il ragionamento per qualunque superficie analoga, se ne ricava che non può

esservi in alcun punto interno un addensamento di carica, e quindi quelle in

eccesso dovranno localizzarsi sulla superficie esterna, lasciando neutro tutto

lo spazio occupato dal conduttore.

Un conduttore metallico carico negativamente presenta, quindi, uno strato

superficiale dove si raccolgono gli elettroni in eccesso ed una zona neutra

interna; un conduttore metallico carico positivamente avrà invece la zona

neutra interna avvolta da uno strato superficiale svuotato degli elettroni di

conduzione in modo che la carica positiva degli ioni del reticolo risulti

esposta.

Un conduttore carico cavo

Poniamo adesso il caso in cui il conduttore presenti al suo interno una

cavità che non contenga cariche elettriche. Anche in questo caso potremo

?S

Zonaneutra

Eccessodi elettroni

Zonaneutra

Ammancodi elettroni

3

immaginare una superficie chiusa opportuna, come la S1 in figura, che

avvolga la cavità e concludere che al suo interno risulta 0ii

Q =∑ .

In questa situazione, tuttavia, potremmo pensare che la condizione di

equilibrio elettrostatico sia soddisfatta anche qualora sulla superficie

interna della cavità si trovasse un eguale ammontare di cariche positive e

negative. Così sarebbe ancora zero il flusso attraverso qualunque superficie

chiusa che avvolga la cavità, sarebbe zero il campo elettrico nella regione

occupata dal conduttore, ma non sarebbe ovviamente zero il campo E all’

interno della cavità. E nemmeno sarebbe possibile pensare di racchiudere

tali cariche con una superficie chiusa come la S2 , perché in questo caso

non si potrebbe concludere che ( )20S Eφ = essendo S2 parzialmente

esterna al conduttore, cioè interna alla cavità: proprio dove non sappiamo

a priori se il campo è nullo.

Le linee di forza di E sarebbero in tal caso dirette dalla regione di

localizzazione della carica positiva verso quella di localizzazione della carica

negativa.

Ma una tale eventualità è da escludere: lo si vede calcolando la

circuitazione del campo E attraverso una curva chiusa come quella che

passa per i punti A e B in figura. Essa ha la porzione I interna alla cavità

(e quindi esterna al conduttore), e la porzione II interna al conduttore.

Poiché sappiamo che la circuitazione del campo elettrostatico deve essere

zero, dovrà essere zero la somma del lavoro svolto da E relativamente allo

spostamento che, partendo da A, porta in B lungo il tratto I della curva, e

del lavoro lungo il tratto II che partendo da B riporta in A.

Ma essendo 0E = dentro al conduttore, il lavoro lungo II sarà

necessariamente nullo. Di conseguenza, affinché la somma dei due lavori

faccia zero, dovrà risultare zero anche il lavoro di E lungo il tratto I.

Dato che ciò deve valere per qualunque tratto di curva avente forma e

lunghezza arbitrarie, purché unisca A con B dentro alla cavità, l’unico

modo in cui ciò sia possibile è che anche internamente alla cavità sia

0E = .

Si può giungere alla stessa conclusione anche con un ragionamento meno

formale: immaginiamo un conduttore carico in equilibrio, con dentro un

tarlo metallico che vada man mano divorando l’interno del conduttore

stesso. Come si è visto, in condizioni di equilibrio, tale regione è neutra e

pertanto il nostro tarlo può mangiarne a piacimento senza che si violi la

legge di conservazione della carica. Ma la sua neutralità comporta anche

che essa non contribuisce al campo che complessivamente generano le

cariche poste sul conduttore, e, pertanto, la sua rimozione non può alterare

il valore di E . Il campo elettrico, quindi, continuerà ad essere nullo anche

A

II

I

B

1S

2S

4

nelle regioni vuote che il tarlo va scavando, così come era nullo quando

esse erano riempite di materiale metallico.

Un conduttore neutro in un campo elettrico

Se è presente un campo elettrico esterno, anche se il conduttore è

neutro, durante una prima fase transitoria le cariche libere di muoversi

andranno a disporsi sulla superficie. Quando si sarà raggiunto l’equilibrio

elettrostatico, il campo da esse generato annullerà quello esterno

sovrapponendosi ad esso nella regione occupata dal conduttore. Affinché ciò

accada dovremo però avere cariche di segno diverso sullo strato superficiale

del conduttore, come si vede in figura.

3.2 Il teorema di Coulomb

Si è visto che in un conduttore metallico in equilibrio elettrostatico, la

carica in eccesso si dispone su di uno strato superficiale in modo che risulti

nullo il campo elettrico nella regione neutra interna. Il campo elettrico avrà

invece valore diverso da zero sia nello strato di carica che nello spazio

circostante il conduttore: ci proponiamo ora di calcolarne l’ intensità e la

direzione sulla superficie.

In generale dovremo supporre che E possa essere orientato in qualunque

modo, e che quindi abbia tanto una componente tangenziale tE che una

normale nE rispetto alla superficie, in modo che risulti t nE E E= + .

Tuttavia, la condizione di equilibrio porta a concludere che la componente

tangenziale alla superficie deve essere nulla. In caso contrario, infatti, gli

elettroni di conduzione sarebbero sottoposti ad un campo elettrico con

valore medio non nullo su una scala molto più grande di quella atomica ed

in grado, pertanto, di produrre un moto ordinato d’insieme. Si avrebbe così

uno scorrimento degli elettroni di conduzione parallelamente alla

superficie, cosa non compatibile con lo stato di equilibrio che abbiamo

supposto. Il campo elettrico sulla superficie del conduttore avrà pertanto

direzione normale: uscente – come vedremo - se l’eccesso di carica è

positivo, entrante se tale eccesso è negativo.

Prendiamo ora una porzione della superficie esterna del conduttore, così

piccola da potersi considerare piana. Si immagini una superficie cilindrica

che abbia le basi, di area S∆ , a cavallo del bordo del conduttore e

parallele alla porzione di superficie scelta, come si vede in figura. La

direzione normale alla superficie sarà quindi perpendicolare al piano

contenente S∆ , ed il flusso del vettore E attraverso il cilindro sarà dato

soltanto dal prodotto dell’intensità di E per l’area della S∆ esterna.

Infatti, essendo nullo il campo dentro al conduttore, sarà nullo il suo flusso

?

tE

nE

E

E

E

S∆

E

0E =

5

attraverso la superficie di base interna, ed essendo la normale alla superficie

laterale del cilindro perpendicolare al campo elettrico, sarà nullo anche il

flusso attraverso di essa, pertanto:

Cilindro( )E E Sφ = ∆

Applicando ora il teorema di Gauss si ha che Cilindro interna 0( )E Qφ = ε , dove

la carica interna è quella localizzata sulla porzione superficiale di

conduttore intercettata dal cilindro ed evidenziata in figura. Per calcolare

l’ammontare di internaQ è necessario conoscere la carica σ che si dispone

su ogni unità di superficie del conduttore. In generale σ non è un valore

costante su tutta la superficie del conduttore, ma anzi, come vedremo, è

legata alla sua curvatura. Avendo però scelto per le basi del cilindro

un’estensione S∆ così piccola da poter considerare piano il conduttore in

quella regione, possiamo ritenere costante σ al suo interno e pari al valore

medio che assume in quella zona, e così scriveremo semplicemente:

internaQ Sσ= ∆ . Di conseguenza:

Cilindro( )E E Sφ = ∆Sσ∆

=0ε

da cui:

0E

σ=ε

risultato noto come teorema di Coulomb, che fornisce l’intensità del campo

elettrostatico in prossimità di un conduttore carico. Se il conduttore è

carico positivamente avremo 0σ > e quindi Cilindro( ) 0Eφ > : il campo

elettrico dà luogo ad un flusso positivo attraverso una superficie chiusa e

quindi la sua direzione è uscente da essa e dal conduttore. Analogamente

concludiamo che E entra nel conduttore se 0σ < .

Chiaramente nulla cambia se immaginiamo la base esterna del cilindro

molto vicina a quella del conduttore ed al limite appoggiata su di esso. In

questo modo possiamo affermare che il teorema di Coulomb fornisce il

valore di E proprio sulla superficie. Se poi, addirittura, facciamo rientrare

la superficie esterna S∆ nel conduttore, avremo che la carica racchiusa

dal cilindro andrà man mano diminuendo, di modo che il campo

elettrostatico, avente sempre direzione normale, va diminuendo anch’esso in

intensità dentro allo strato superficiale occupato dalle cariche, fino ad

annullarsi entro pochi spessori atomici.

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3.3 Il potenziale elettrostatico

Come abbiamo visto, affermare che la forza elettrica è conservativa

significa dire che, in una regione dello spazio sede di un campo elettrico E ,

fissata una posizione di riferimento, per una carica puntiforme QA risulta

univocamente determinato il lavoro che la forza elettrica compie qualora

QA si sposti dalla sua posizione a quella di riferimento.

Tale grandezza prende il nome di energia potenziale della carica QA

relativamente al campo E .

L’univocità della definizione risiede nel fatto che il lavoro in esame è del

tutto indipendente dalla traiettoria che QA segue per portarsi nella

posizione di riferimento.

Se la sorgente che origina il campo è un’altra carica puntiforme QB, e se la

posizione di riferimento viene scelta come quella nella quale le due cariche

QA e QB si portano l’una a distanza infinita dall’altra, abbiamo anche visto

che per l’energia potenziale si può ottenere l’espressione matematica:

0

14

A B

AB

Q QU

rπ=

ε

dove ABr indica la distanza fra le due cariche. In questo caso, tuttavia,

dato che vi è completa simmetria fra il ruolo svolto dalla carica A e quello

della carica B, si parla di energia potenziale del sistema di cariche.

Portando all’infinito una delle due cariche, infatti, automaticamente anche

l’altra si verrà a trovare infinitamente distante da essa. Essendo l’energia

una grandezza additiva1, la formula è facilmente generalizzabile al caso in

cui le cariche siano più di due semplicemente sommando le energie

potenziali di tutte le coppie di particelle coinvolte.

Per tre cariche QA, QB, QC l’energia potenziale del sistema si scriverà

allora:

0

14

A B A C B C

AB AC BC

Q Q Q Q Q QU

r r rπ

⎡ ⎤⎢ ⎥= + +⎢ ⎥⎣ ⎦ε

e nel caso generale di N cariche assumerà la forma:

0

1 12 4

i j

i j ij

QQU

rπ≠

= ∑ ε

1 Si dice anche grandezza estensiva

AQ

BQ

ABr

ABr

BQ

AQ

CQ

BCr

ACr

7

dove gli indici di sommatoria i e j scorrono da 1 fino ad N purché si

tengano solo i termini con ji ≠ , ed il fattore ½ compare perché ciascuno

degli addendi viene contato due volte all’interno della sommatoria, sia

quando figura come ij che quando figura come ji. Lo si vede chiaramente

scrivendo i primi termini della sommatoria:

1 3 1 41 2 2 1

12

2 3

0 13 14 2321

1 1... ...

2 4QQ Q Qr r

QQ QQ Q QU

r r rπ

⎡ ⎤⎢ ⎥= + + + + + +⎢ ⎥⎢ ⎥⎣ ⎦ε

dove è stato evidenziato il primo degli addendi che compare due volte.

L’energia potenziale di un sistema rappresenta il lavoro che le forze del

campo compirebbero qualora il sistema stesso venisse smembrato portando

a distanza infinita una carica alla volta, mentre le altre rimangono

congelate nella loro posizione originaria.

Se, durante lo smembramento, le forze del campo compiono lavoro motore,

vale a dire positivo, e quindi favoriscono il processo, il sistema ha energia

potenziale positiva. Viceversa se compiono lavoro resistente, vale a dire

negativo, e quindi per smembrare la distribuzione delle cariche occorre

lavorare dall’esterno, allora l’energia potenziale è negativa. Quindi un

sistema elettrico con 0U < è tenuto insieme dalle sue stesse forze2 e per

smembrarlo bisogna faticare: si pensi ad esempio ad un elettrone che orbita

attorno ad un nucleo atomico costituito solo da un protone, cioè un atomo

di idrogeno. Si tratta di un sistema ad energia potenziale negativa: per

sottrarre l’elettrone al nucleo bisogna esercitare una forza esterna e durante

il procedimento di estrazione ed allontanamento il sistema stesso lavora in

modo resistente.

Viceversa per tenere accostate due cariche dello stesso segno dobbiamo

intervenire con un vincolo contro la repulsione elettrica, e, non appena il

vincolo viene meno, il sistema si smembra da solo portando le cariche a

distanza reciproca infinita: la sua energia potenziale elettrica è positiva. Un

esempio di questo secondo caso può essere il nucleo di un atomo, dove

l’energia potenziale elettrica è positiva: sono le interazioni nucleari

attrattive fra i protoni, la cosiddetta forza forte, a tenere insieme delle

particelle con carica di segno concorde: in assenza di queste il nucleo si

smembrerebbe.

Ricordiamo ora che si è definito campo elettrico il rapporto fra la forza

elettrica che in un punto dello spazio si esercita su di una carica di prova, e

la carica stessa (in maniera rigorosa 0

limq

FE

q→= ). Ciò allo scopo di ottenere

2 Un tale sistema non potrà mai essere stabile solo sotto l’azione delle forze elettrostatiche: per

spiegare la struttura atomica della materia si deve infatti fare ricorso a modelli dinamici. Il

motivo è che un equilibrio rappresenta un punto di massimo o minimo del potenziale, e questi

non possono trovarsi nello spazio fra le cariche.

0energia potenzialeelettrostatica <

0energia potenzialeelettrostatica >

n

n

n

nn

n

8

una descrizione dei fenomeni elettrici che non usufruisse del concetto di

azione a distanza, ma piuttosto assegnasse delle proprietà allo spazio stesso.

Ci proponiamo ora di definire una grandezza fisica, il potenziale, che rivesta

un ruolo analogo rispetto all’energia potenziale.

Parlare di energia potenziale associata ad una carica QA posta fra tante

cariche Qi e non, invece, di energia potenziale associata a tutto il sistema,

significa interpretare le cariche rimanenti come sorgenti di un campo

elettrico nella regione di spazio dove la carica QA si trova. Supponiamo ad

esempio di avere N cariche Qi vincolate ad occupare delle posizioni nello

spazio oppure su di un corpo: daranno origine ad un campo elettrico.

L’energia potenziale di una carica QA che si trovasse nella regione sede di

tale campo elettrico sarà, in accordo con le formule precedenti e con lo

stesso significato dei simboli:

10

14

Ni

Ai iA

QU Q

rπ =

= ∑ε

Dato che ci stiamo riferendo all’energia potenziale della sola QA, nella

sommatoria compaiono adesso unicamente i termini di interazione fra

ciascuna delle Qi e QA.

Se ad esempio le cariche Qi si trovano localizzate su di un corpo, e su di

esso viene posta anche la carica QA, questa grandezza rappresenta il lavoro

che le forze del campo elettrico, dovuto a tutte le Qi diverse da QA

compirebbero qualora QA venisse prelevata dalla sua posizione e portata a

distanza infinita dal corpo stesso mentre le altre rimangono congelate nella

loro posizione3.

Considerando le cose da un differente punto di vista, possiamo affermare

che un corpo carico possiede la proprietà di conferire energia potenziale

ad ogni nuova carica che viene posta su di esso o nelle sue vicinanze.

Per meglio comprendere immaginiamo una collina, ed una pietra che viene

portata sulla sua cima. Assumendo come posizione di riferimento quella in

cui la pietra si trova al livello del suolo, le forze del campo gravitazionale

compiono, durante lo spostamento, un lavoro resistente. Nel momento in

3 Oppure, che è lo stesso, si può immaginare un corpo carico con tutte le Qi distribuite su di

esso, congelate nelle loro posizioni e la carica QA ferma a distanza infinita dal corpo. Il lavoro

che le forze del campo generato dalle Qi compiono agevolando o contrastando lo spostamento

di QA che partendo dall’infinito giunge ferma sul corpo stesso, è allora pari all’ energia

potenziale di QA cambiata di segno. Un tale spostamento è tuttavia possibile solo se assieme

alle forze elettriche agisce anche una forza esterna, che sposti materialmente la carica sul

corpo qualora le forze elettriche si opponessero, e che freni la carica per farla giungere ferma

qualora le forze elettriche agevolassero lo spostamento. Solo se QA è ferma sia all’inizio che al

termine dello spostamento, il lavoro della forza elettrica è uguale e contrario a quello della

forza esterna. Se la velocità di QA è nulla (oppure se è la stessa sia all’inizio che alla fine),

infatti l’energia cinetica non varia, e si ha : W(elettrico)+W(esterno)= variazione di energia

cinetica = 0. In queste condizioni l’energia potenziale è pari anche al lavoro svolto dalla forza

esterna che rende possibile lo spostamento.

9

cui decidessimo di smembrare il sistema riportando la pietra nella posizione

di riferimento, le forze del campo gravitazionale ci agevolerebbero, e,

quindi, secondo la definizione data, la pietra in cima alla collina ha una

energia potenziale gravitazionale positiva.

Tuttavia, indipendentemente dal fatto che vi si porti la pietra sopra, la

collina si trova già là, ed ogni oggetto che vi viene posto acquisisce una

proprietà che prima non aveva, proprietà a cui si dà il nome di energia

potenziale gravitazionale. Essa, in base alla nostra definizione, risulta

positiva rispetto al livello del suolo, e tanto maggiore quanto più alta è la

collina. In modo figurato, possiamo identificare con la collina le proprietà

elettriche di un corpo (od una regione dello spazio) dove sono localizzate

delle cariche Qi , e la carica QA che vi viene deposta, con la pietra.

Guardiamo di nuovo l’espressione matematica dell’energia potenziale di QA:

10

14

Ni

Ai iA

QU Q

rπ =

= ∑ε , la cui posizione è individuata dal vettore Ar ,

come in figura. L’esempio raffigura un corpo – non conduttore - dove sono

localizzate 3 cariche solamente, ciascuna delle quali è individuata dal

proprio vettore ir .

Il simbolo iAr che figura nell’espressione di U indica la distanza di

ciascuna delle Qi da QA, distanza che si ottiene facendo il modulo dei vari

vettori che collegano la posizione di ciascuna delle cariche Qi , con QA:

1| |iA Ar r r= − .

Come si può vedere, il rapporto fra l’energia potenziale che la QA assume,

se posta in Ar , e la carica stessa, è indipendente da QA. Esso indica la

proprietà che ha il corpo nel suo punto Ar di conferire energia potenziale

ad una carica ivi posta. Tale rapporto è un po’ l’analogo dell’altezza della

collina elettrica nel punto Ar e prende il nome di potenziale elettrostatico

( )AV r in tale punto:

10

( ) 1( )

4

NA i

AiA iA

U Q QV r

Q rπ =

≡ = ∑ε

Se carichiamo un corpo generico, il valore del potenziale in un suo punto o

in un punto dello spazio ad esso circostante permette di sapere subito quale

sarà l’energia potenziale di una carica QA posta in quel punto, in quanto,

ribaltando la formula si ha ( ) ( )A A AU Q Q V r= . Il potenziale è quindi una

funzione definita in tutti i punti dello spazio, e consente il calcolo

dell’energia potenziale elettrostatica analogamente a come il campo

elettrico consente il calcolo della forza elettrica. Si noti, infatti, l’analogia:

( ) ( )A A AU Q Q V r= ( ) ( )A A AF r Q E r=

con la differenza che, mentre il campo elettrico è un vettore, il potenziale

elettrostatico è uno scalare. Per tale motivo si dice anche che il potenziale

elettrostatico è un campo scalare, mentre il campo elettrico è un campo

1 1A Ar r r= −

Ar

1QAQ

3Q

2Q

1r

10

vettoriale: il primo definisce un numero in ogni punto dello spazio, il

secondo definisce un vettore in ogni punto dello spazio. Anche il potenziale

elettrostatico, come del resto l’energia potenziale elettrostatica, è relativo

ad una posizione di riferimento. Come prima, la scelta più naturale in caso

di distribuzioni di estensione finita, è quella di riferirsi ad una distanza

infinita.

L’unità di misura del potenziale è il Volt [V], vale a dire che una carica di

1C posta in un punto dello spazio che si trovi al potenziale di 1V rispetto

all’infinito, acquista un’energia potenziale di 1J rispetto all’infinito:

[ ][ ]

[ ]J

VC

=

3.4 Direzione delle linee di forza

Se ora, in una regione sede di campo elettrico, una carica unitaria si porta

da un punto A ad un punto B, sappiamo che E compie un lavoro:

A BW V V V∆ = − = −∆

Nel caso in cui lo spostamento l∆ che congiunge A con B sia elementare,

cioè rettilineo e piccolo rispetto alla scala su cui variano le grandezze in

gioco, allora W∆ è esprimibile anche come: cosW E l α∆ = ∆ , dove α

è l’angolo fra il campo elettrico e la direzione di l∆ .

Nel caso particolare in cui ci si stia movendo lungo una linea di forza

seguendone il verso, E sarà sempre tangente alla traiettoria e quindi

risulterà cos 1α = , da cui

| |V E l∆ = − ∆

Se l∆ lo si misura a partire dalla superficie di un conduttore dove fanno

capo le linee di forza, (positivo quando ci si sposta concordemente ad esse),

possiamo concludere che, seguendo le linee di forza, si ha 0V∆ < , cioè si

sta procedendo verso potenziali decrescenti:

LE LINEE DI FORZA DEL CAMPO ELETTRICO SONO ORIENTATE VERSO VALORI

DECRESCENTI DEL POTENZIALE

Massimi e minimi del potenziale

Ricordando che le linee di forza sgorgano dai punti dove sono le cariche

positive, e confluiscono in quelli dove si trovano le cariche negative, avremo

che i primi saranno punti di massimo del potenziale ed i secondi punti di

l∆

α

l∆

0α =

E

1V 2 1V V< 3 2V V<

11

minimo. Difatti l’unico caso in cui le linee di forza possono uscire da un

punto andando in qualunque direzione si ha quando tutt’intorno il

potenziale è minore. Analogamente se entrano tutte in un punto si avrà che

intorno ad esso il potenziale assume sempre valori maggiori che non nel

punto

Superfici equipotenziali

Movendo una carica lungo una traiettoria sempre

perpendicolare alle linee di forza, il campo elettrico

non compie lavoro. In questo modo, essendo

0AB A BW V V= − = , risulta costante il potenziale

lungo tutto il tragitto. Spostandosi nello spazio,

per ogni fissato valore di V si individua quindi

una superficie i cui punti sono tutti allo stesso

potenziale, che viene detta superficie equipotenziale.

In figura vediamo l’ esempio di alcune superfici

equipotenziali per un sistema di due cariche uguali

ed opposte.

3.5 Il potenziale dei conduttori

In generale, se carichiamo un corpo, il suo potenziale V varierà da punto a

punto. Questo sia sopra di esso che nello spazio circostante, come indica

nella formula: 10

1( )

4

Ni

Ai iA

QV r

rπ =

= ∑ε , la presenza delle distanze iAr , che

dipendono, ovviamente, dalla posizione A dove si desidera conoscere V.

Tuttavia, se tale corpo è un conduttore metallico, sappiamo del teorema di

Gauss che le cariche in eccesso ivi poste si disporranno in modo da

occupare la sola superficie, lasciando neutra la regione interna.

Adducendo motivi di equilibrio delle cariche, abbiamo anche mostrato che

il campo elettrico su tale superficie non può che essere perpendicolare ad

essa. Ora, se si pone una piccola carica QA sulla superficie del conduttore, e

la si sposta ovunque sempre seguendo la superficie, le forze elettriche non

compiono alcun lavoro in relazione a tale spostamento. Infatti, esse in ogni

punto sono perpendicolari alla traiettoria. Da questa considerazione si

deduce che l’energia potenziale di QA, dovunque la si ponga sulla superficie,

12

rimane la stessa. La superficie esterna di un conduttore si troverà quindi

tutta allo stesso potenziale: è come, si dice, una superficie equipotenziale.

Ha quindi senso parlare di potenziale di un conduttore, intendendo con ciò

il valore che V assume sulla sua superficie quando sul conduttore viene

disposta una carica di valore complessivo Q.

Anche lo spazio interno ad un conduttore metallico in equilibrio è

equipotenziale: lo si intuisce considerando il risultato precedente per cui il

campo elettrico interno deve essere nullo. Spostando una carica

mantenendola dentro al conduttore, il lavoro di E sarà necessariamente

sempre nullo, cioè 0AB A BW V V= − = . Se ora si considera il valore del

potenziale interno dovuto solo alle cariche in eccesso, questo sarà

esattamente lo stesso della superficie. Se infatti non fosse così, avrei due

possibilità: un valore all’interno più alto di quello sulla superficie, e cioè un

massimo del potenziale, oppure un valore più basso, e cioè un minimo. Ma

come si è visto, massimi e minimi comportano una localizzazione di carica

da cui le linee di campo devono sgorgare, e ciò all’interno non è possibile.

Quindi l’intero spazio occupato dal conduttore risulta allo stesso potenziale.

Tuttavia, si osserva che il valore del potenziale interno è in genere di

alcuni volt superiore al potenziale della superficie, a seconda del tipo di

metallo. Questo perché deve esistere un campo elettrico diretto sempre

dalla superficie verso l’esterno, dovuto al fatto che il reticolo ionico

termina, e l’azione elettrica degli ioni più esterni non è più controbilanciata

da quelli limitrofi. Questo campo ha un verso tale da confinare gli elettroni

di conduzione sul conduttore impedendogli di fuoriuscire. Il suo valore è

molto più intenso di quello del campo dovuto ad un eccesso di carica

elettrica eventualmente presente, tuttavia esso agisce su di uno strato

molto meno profondo, praticamente solo su scala microscopica. Tale campo

non è quindi in grado di produrre moti ordinati d’insieme, e costituisce

solo quella che viene detta una barriera di potenziale per gli elettroni di

conduzione.

Questa differenza di potenziale fra superficie ed interno è presente anche se

il conduttore è neutro, e rimane praticamente inalterata per l’effetto del

piccolo disturbo dovuto all’eventuale presenza di uno strato di carica in

eccesso.

Nel seguito però, parlando di potenziale di un conduttore, ci riferiremo al

valore del potenziale dovuto alle sole cariche in eccesso ivi presenti. In tale

senso diremo che tutto il conduttore, superficie ed interno, si trova allo

stesso valore, costante, del potenziale.

Direzione delle linee di forza in prossimità di un conduttore

All’interno del conduttore il campo elettrico è nullo e quindi non vi sono

linee di forza. All’esterno, invece, il campo sarà individuato da linee di

costanteV =

Impossibile

13

forza che si dipartono dalla superficie, perpendicolarmente ad essa ed

orientate in verso uscente se questa è carica positivamente, entrante se

negativamente.

Una stessa linea di forza non può uscire da un conduttore per poi tornarvi,

perché in tale caso il punto di rientro sarebbe a potenziale più basso di

quello d’uscita, cosa non compatibile col fatto che la superficie deve essere

equipotenziale. Per motivi analoghi, quando si ha un insieme di conduttori

con estensione finita, una linea di forza non può giungere dall’infinito, dove

si ha 0V∞ = , su di un conduttore, e poi ripartire da esso verso l’infinito.

Quello che accade invece è che le linee di forza vanno da un conduttore ad

un altro conduttore a potenziale inferiore, oppure da un conduttore

all’infinito o viceversa. Se poi il conduttore si trova immerso in un

dielettrico ove sono localizzate delle cariche, le linee di campo

andranno dalle cariche al conduttore o viceversa a seconda del

segno di queste.

Primo esempio: si abbia un conduttore carico positivamente,

isolato nello spazio e di estensione finita. In questo caso, le linee

di forza non potranno che partire dal conduttore per giungere

all’infinito (o partire dall’infinito per entrarvi se il conduttore

fosse carico negativamente).

Inoltre, le superfici equipotenziali sono, per così dire, ”parallele”

alla superficie del conduttore, nel senso che ne riproducono la

forma almeno nelle immediate vicinanze.

Secondo esempio: due conduttori affacciati carichi

dello stesso segno ma a potenziale diverso,

A BV V> . Il conduttore a potenziale minore subisce

un fenomeno di induzione più marcato per la

presenza del primo, come in figura. Le linee di

forza vanno da quello a potenziale maggiore verso

quello a potenziale inferiore nella regione di

affaccio, mentre esternamente andranno verso

infinito dove il potenziale è nullo. Va sottolineato

che i conduttori sono entrambi equipotenziali,

sebbene la densità di carica che si raccoglie sulle

superfici sia di segno diverso in differenti punti, e le

linee di forza che fanno capo ad essi in parte escono

ed in parte entrano.

E

0E =

B AV V<

verso0V∞ =

AV

verso0V∞ =

14

Terzo esempio: poniamo un conduttore C nella regione

di spazio ove abbia sede il campo elettrico generato da

altri due conduttori A e B, questo subirà il fenomeno

dell’induzione elettrostatica. Le cariche al suo interno

raggiungeranno presto una configurazione di equilibrio

per cui il potenziale di C sia costante, anche in questo

caso con linee di forza che sono sia entranti che

uscenti.

Il gradiente

Come si è visto, movendosi lungo una linea di forza seguendone il verso, si

ha | |V E l∆ = − ∆ . Possiamo scrivere allora:

VE

l∆

= −∆

Da tale risultato si vede che l’intensità del campo elettrico, in un dato

punto, è pari alla variazione di potenziale, cambiata di segno, ( )V−∆ che

si ha per ogni unità di lunghezza di cui ci si sposta lungo la linea di forza

che passa per quel punto. Di conseguenza, oltre che NC

, per il campo

elettrico si rivelano appropriate le unità di misura di Volt al metro: Vm

.

Questa definizione non presenta ambiguità solo quando Vl

∆∆

non dipende

da quanto lungo è il tratto l∆ di spostamento, altrimenti avremmo, nello

stesso punto, un differente valore di E per ogni diverso l∆ .

Un definizione rigorosa si ha se al rapporto Vl

∆∆

si può sostituire una

misura che non dipende da come si sceglie lo spostamento l∆ , e ciò

avviene solo quando si passa al limite per 0l∆ → :

0liml

V VE

l l∆ →

∆ ∂⎛ ⎞⎟⎜= − = −⎟⎜ ⎟⎜⎝ ⎠∆ ∂

Così l’intensità del campo elettrico è pari all’opposto della derivata del

potenziale rispetto alla coordinata l lungo la linea di forza4.

Se invece lo spostamento l∆ segue una direzione qualunque, il

ragionamento si può ripetere, solo che la derivata lungo la traiettoria non

4 Il simbolo

Vl

∂∂

indica la derivata parziale, ed ha lo stesso significato di dVdl

: si usa quando

la funzione dipende da più d’una variabile. Significa solo che la derivata è effettuata

considerando costanti tutte le altre variabili presenti. Es. 2 3( , ) 4V x y x y y= − ,

8V

xyx

∂=

∂; 2 24 3

Vx y

y∂

= −∂

costanteCV =AVBV

1V 2 1V V<

V−∇

15

dà il campo elettrico ma la componente del campo elettrico lungo lo

spostamento, cioè cosV

El

α∂

= −∂

.

Decomponendo lo spostamento nelle tre direzioni x, y e z otteniamo allora:

x y zV V V

E E Ex y z

∂ ∂ ∂= − = − = −

∂ ∂ ∂

In questo modo è possibile costruire il vettore E derivando la funzione

( , , )V x y z rispetto alle tre coordinate e cambiando loro di segno. Il risultato

di tale operazione produce quindi un vettore perpendicolare alle superficie

equipotenziale, che prende il nome di gradiente della funzione potenziale:

, ,V V V

E Vx y z

∂ ∂ ∂⎛ ⎞⎟⎜= − − − ≡ −∇⎟⎜ ⎟⎜⎝ ⎠∂ ∂ ∂

ed è diretto nel verso in cui il potenziale ha il massimo tasso di decrescita.

Da questo risultato si ricava anche che il vettore gradiente di un campo

scalare ( , , )V x y z è perpendicolare alle superfici equipotenziali, cioè alle

regioni dello spazio dove ( , , ) costanteV x y z = , ed orientato nel verso in cui

V ha il massimo tasso di crescita.

Esempio:

Calcolare l’espressione in coordinate cartesiane del campo elettrico generato

da una carica Q partendo dall’espressione del potenziale 0

1( )

4Q

V rrπ

applicando la definizioneE V= −∇ .

Il vettore che individua un punto nello spazio si scrive: ( , , )r x y z= da cui: 2 2 2r r x y z= = + +

e quindi:

2 2 20 0

1 1( )

4 4Q Q

V rr x y zπ π

= =+ +ε ε

Applicando la definizione abbiamo:

( )

2 2 2 2 2 20 0

12 2 2 2

0 0

1 14 4

14 4 2

xV Q Q

Ex x xx y z x y z

Q Qx y z

x

π π

π π−

⎛ ⎞ ⎛ ⎞∂ ∂ ∂⎟ ⎟⎜ ⎜⎟ ⎟= − = − = −⎜ ⎜⎟ ⎟⎜ ⎜⎟ ⎟⎜ ⎜∂ ∂ ∂⎝ ⎠ ⎝ ⎠+ + + +

∂= − + + = − −

ε ε

ε ε ( )( )3

2 2 2 2 2x y z−+ +

( )332 2 20 04 4

x

Q x Q xrx y zπ π

=

= =+ +ε ε

e analogamente:

( )332 2 20 04 4y

V Q y Q yE

y rx y zπ π∂

= − = =∂ + +ε ε

( )332 2 20 04 4z

V Q z Q zE

z rx y zπ π∂

= − = =∂ + +ε ε

Si verificano poi i risultati già noti:

( )

2 2 22 2 2

32 2 20 04 4x y zQ x y z Q r

E E E Ex y zπ π

+ += + + = =

+ +ε ε 3r 22 0

14Q

rπ=

ε

ed anche che in forma vettoriale:

16

3 3 3 30 0 0 0

3 20 0

1, , ( , , )

4 4 4 4

4 4

Q x Q y Q z QE x y z

r r r rQ r Q

rr r

π π π π

π π

⎛ ⎞⎟⎜= = =⎟⎜ ⎟⎜⎝ ⎠

= =

ε ε ε ε

ε ε

Dove ricordiamo che per il versore la definizione è ˆr

rr

= , in modo che sia

ˆ 1r = .

Proprietà del tubo di forza

Seguiamo ora un tubo di forza, cioè l’insieme di tutte le linee di

forza individuate partendo da un contorno chiuso che giace sulla

superficie di un conduttore, e giunge sulla superficie di un secondo

a delimitare un altro contorno chiuso.

Avremo che, all’ interno del secondo contorno, sarà localizzata una

carica uguale ed opposta a quella racchiusa dal primo.

Per convincersene basta applicare il teorema di Gauss alla superficie

chiusa ottenuta completando il tubo di flusso con delle calotte come le 1S

e 2S , tutte interne ai conduttori. Il flusso del campo elettrico attraverso la

superficie complessiva è nullo, perché lungo la superficie laterale del tubo la

normale è sempre perpendicolare al campo elettrico, mentre su 1S ed 2S ,

tutte interne ai conduttori, il campo vale zero. Se ne conclude che la

somma delle cariche interne fa zero anch’essa e che quindi le regioni

racchiuse dai due contorni originari, evidenziate in verde in figura,

contengono un quantitativo di carica uguale ed opposto.

Lo schermo elettrostatico

Già sappiamo che il campo elettrico nella cavità di un

conduttore A, quando questa è vuota, deve essere nullo

indipendentemente dalla carica posta su di esso. Se ora

all’interno della cavità si viene a trovare un altro conduttore

B, dotato di carica complessiva pari a Q , sulla superficie

interna della cavità, per induzione, si localizza una certa

quantità di carica: dimostriamo ora che, nel caso di questa

geometria, la carica indotta è Q− , cioè esattamente uguale

ed opposta a quella inducente.

Prendendo una superficie immaginaria come la S in figura, tutta interna al

conduttore A in modo che essa, a sua volta, contenga la cavità, abbiamo

che ( ) 0S Eφ = , essendo 0E = nello spazio occupato dal conduttore.

Per il teorema di Gauss, inoltre, è indotta

0( ) 0S

Q QEφ

+= =

ε, da cui

necessariamente segue: indottaQ Q= − .

Si giunge alla stessa conclusione anche osservando che tutti i tubi di flusso

come quello evidenziato in giallo, contengono una carica complessivamente

uguale a zero.

1S2S

S

A

B

17

Poiché l’induzione non può alterare la carica complessiva sul conduttore

cavo, avremo poi che sulla superficie più esterna si andrà a disporre una

carica uguale ed opposta a Q− , e cioè all’esterno si riproduce Q .

Questo risultato è noto come fenomeno dell’induzione completa e trova

applicazione in dispositivi analoghi al pozzo di Faraday utilizzato per

l’elettroscopio. Facciamo ora alcune considerazioni.

a) Per la particolare sovrapposizione degli effetti che questa configurazione

geometrica produce, la carica interna complessiva, data da Q distribuita

su B e da Q− indotta sulla parete di A, genera un campo elettrico che

risulta diverso da zero solo all’interno della cavità. La loro azione

combinata, nello spazio fuori di A, è nulla: all’esterno si percepisce

unicamente la carica Q distribuita sulla superficie. E se anche si disperde Q

esterna ad esempio collegando A con la terra, l’azione delle cariche interne

continua a non essere percepibile all’esterno. Infatti, dovendo essere nullo il

loro campo complessivo nella regione metallica, esso dovrebbe ripartire

improvvisamente fuori di essa dopo la brusca interruzione. Ma come

sappiamo, le linee di campo nascono dove sono localizzate le cariche, e

questa ripresa del campo interno fuori di A non è quindi possibile.

b) Se si sposta B movendolo all’interno della cavità, oppure lo si porta a

contatto con essa in modo che si scarichi, la carica Q sull’esterno di A

non muta il suo valore, ma anzi si va sempre a distribuire sulla superficie

nell’unico modo in cui questa risulta equipotenziale.

c) Una carica q’, ad esempio positiva, posta in prossimità di A, interagisce

con le cariche presenti sulla superficie esterna e con quelle che vi induce,

ma non risente della presenza e dei movimenti di B. In maniera del tutto

simmetrica, B non risente degli spostamenti di q’. Ciò che accade è che il

campo complessivamente generato da q’ e dalla carica da essa indotta sulla

superficie esterna di A, è diverso da zero solo all’esterno del conduttore.

Nello spazio da esso occupato, il campo è nullo per le proprietà

elettrostatiche dei conduttori, e dentro alla cavità, come si è già osservato,

non potrebbe ripartire dato che non vi sono cariche localizzate legate ad

esso.

d) Le differenze di potenziale nello spazio occupato dal conduttore ed in

quello racchiuso non possono essere alterate da q’, la cui presenza può avere

l’unico effetto di sommarvi o sottrarvi un valore costante 0V . Alterare il

potenziale in modo più complesso comporterebbe la comparsa di nuovi

punti di massimo e di minimo. Se q’ potesse creare nuovi massimi o nuovi

minimi, ed mezzo interposto è il vuoto, questi potrebbero stare solo dove si

trovano i conduttori, e sarebbe come dire che nuove cariche si sono create

su di essi violando la legge di conservazione della carica.

18

POSSIAMO INTERPRETARE QUESTO COMPLESSO DI FENOMENI DICENDO CHE

TUTTO VA COME SE IL CONDUTTORE CAVO SCHERMASSE LE AZIONI DELLE

CARICHE CHE RACCHIUDE, MA VA RICORDATO CHE CIÒ CHE CHIAMIAMO

SCHERMATURA È SOLO L’ EFFETTO DEL PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE NEL

CASO DI QUESTA PARTICOLARE GEOMETRIA

3.6 La capacità dei conduttori

Le superfici di conduttori di materiale diverso, ed aventi diversa geometria,

anche se caricati con la medesima Q, si porteranno, in generale, a valori di

potenziale molto diversi fra loro. Difatti, sebbene vi sia deposto lo stesso

ammontare complessivo di carica, questa sarà costituita da un certo

numero di particelle elementari, che si distribuiranno opportunamente sulla

superficie in un modo che dipende da quanto è esteso il conduttore e dalla

forma che ha. Volendo calcolare V in un qualunque punto A della superficie

dovremo quindi inserire, nel denominatore della formula

10

1( )

4

Ni

Ai iA

QV r

rπ =

= ∑ε , valori molto diversi per le distanze iAr delle

cariche da A.

Per motivi analoghi, anche la superficie del medesimo conduttore, carico

della stessa quantità Q, può portarsi a valori del potenziale molto diversi.

Per effetto dell’ induzione, infatti, la disposizione delle cariche su di essa

può variare sensibilmente se, nelle sue vicinanze, vi sono cariche od altri

conduttori, anche neutri.

Un conduttore che, invece, si trovi isolato nello spazio e lontano da

influenze esterne, è caratterizzato da una grandezza costante, detta

capacità. Essa fornisce il rapporto fra la carica che si pone sul conduttore,

ed il potenziale a cui la sua superficie si porta quando è isolato, nel vuoto,

e lontano da qualunque altro oggetto:

QC

V=

L’unità di misura che così ne risulta, il Farad: 1Coulomb

1Farad1Volt

= , è

alquanto inappropriata per trattare l’ordine di grandezza delle capacità dei

conduttori di uso corrente. Si pensi che un conduttore sferico grande

quanto la Terra, avrebbe una capacità di meno di un millesimo di Farad.

In genere, quindi, si ha a che fare con i suoi sottomultipli: il microfarad

( -61 F 10 Fµ = ), il nanofarad ( -91nF 10 F= ) ed il picofarad

( -121pF 10 F= ).

19

Come esempio calcoliamo la capacità di un conduttore sferico di raggio R.

La formula per il potenziale non è semplice da applicare se si prende in

considerazione un punto A sulla superficie: dovremmo determinare i valori

di tutte le distanze iAr . Ma sfruttando il fatto che il potenziale dovuto

alle cariche in eccesso è costante su tutto lo spazio occupato dal

conduttore, possiamo calcolare V del conduttore ponendo A nel centro della

sfera, sicuri di ottenere lo stesso risultato. In questo modo si ha che ogni

carica dista da A sempre R, cioè iAr R= , da cui:

1 10 0 0 0

1 14 4 4 4

N Nii i

Ai iiA

QQ Q QV V

r R R Rπ π π π= =

= = = = =∑∑ ∑ε ε ε ε

dove ii

Q Q= ∑ è la carica complessivamente presente sulla sfera. A

questo punto, dalla definizione di capacità, si ha immediatamente:

QC Q

V= = 04 R

Qπε

04 Rπ= ε

Ad esempio, nel caso di cui si è detto in precedenza, di un conduttore

sferico grande quanto la Terra ( 66.378 10 mTR = × ), risulta:

( )2

-12 6 -32

C12.56 8.854 10 6.378 10 m 0.709 10 F

NmC

⎛ ⎞⎟⎜= × × × × = ×⎟⎜ ⎟⎟⎜⎝ ⎠

Il potere delle punte

Nel caso generico di un conduttore dal contorno superficiale irregolare,

dovremo supporre che le cariche in eccesso si distribuiscano con una densità

σ che varia da punto a punto. Anche il campo elettrico varierà di

conseguenza: 0

a norma del teorema di Coulomb. Possiamo

ottenere una indicazione quantitativa dell’andamento di σ (e quindi di

E ), immaginando che la superficie del conduttore sia approssimabile con

una serie di sfere di differente raggio.

Esaminiamo il caso semplice di un conduttore con una punta, come quello

in figura, schematizzabile come costituito da due sfere di raggio 1R ed 2R .

Si è soliti parlare anche di raggio di curvatura del conduttore, intendendo il

raggio della sfera che meglio rappresenta la sua superficie in prossimità di

un dato punto5.

Le due sfere conduttrici, essendo a contatto, è come fossero un unico

conduttore, si porteranno pertanto allo stesso potenziale: 1 2V V= .

Indicando con 1Q e 2Q le porzioni di carica totale che si localizzano su

5 In prossimità delle regioni che rivolgono la concavità verso l’esterno, avremo un raggio di

curvatura negativo, e la sfera che meglio approssima la superficie è in tal caso solo una

superficie matematica esterna al conduttore

1R

2R

20

ciascuna di esse ( 1 1Q Q Q+ = ), dalla formula che dà il potenziale di una

sfera abbiamo:

1

04Qπε

2

1 04Q

R π=

ε 2R

e cioè la carica si distribuisce proporzionalmente ai raggi delle sfere:

1 12 2

Q RQ R= . Dal teorema di Coulomb segue che il rapporto fra i campi

elettrici in prossimità delle superfici sarà dato da: 1

1 0

2

E

E

σ

2

0

σε

1 1

2 4Qσ

σ π= = 2

1

4R

π 212

2

RRQ

=2R

22R21R

2

1

RR

=

Ed essendo 2 1R R< sarà 2 1E E> : il campo in prossimità della

superficie di un conduttore è quindi più intenso in prossimità delle regioni

con raggio di curvatura minore. Si dimostra poi, con analoghi procedimenti,

che in regioni che rivolgono la concavità verso l’esterno, il

campo, invece, cresce con il modulo del raggio di curvatura

della sfera, in quel caso, esterna.

L’elevato valore del campo elettrico in prossimità delle regioni

appuntite, è il principio per cui, un parafulmine, oppure un

albero isolato su di una collina, costituiscono una via

preferenziale verso terra per le scariche elettriche che

accompagnano un temporale. Le nubi, che si caricano tramite

un processo alquanto complesso6, producono, per induzione

(oppure polarizzazione), una localizzazione di carica positiva

sulla superficie terrestre. Rispetto al suolo, parafulmini o

cime di alberi possono essere schematizzate come delle punte

che si ergono sopra ad una regione piatta7.

6 Nelle nubi si ha separazione di carica (positiva in alto e negativa in basso, a 3-4 Km da

terra) per effetto del campo elettrico terrestre (circa 20 V/m verso il basso) e della differente

interazione delle gocce d’acqua con gli ioni lenti positivi e negativi, che sono sempre presenti

nell’atmosfera. 7 Il fenomeno del fulmine, decisamente vario e complesso, comporta una prima scarica guida in

cui le particelle negative sulla nube, scendendo, vanno costruendo una sorta di filo conduttore

nell’aria. Attraverso di esso passa la cosiddetta scarica di ritorno, per cui, a partire dalle

particelle cariche nella parte più vicina a terra, si ha una violenta discesa verso il basso che,

lasciando sopra di essa tratti carichi positivamente auto alimenta il processo. L’intesa

emissione luminosa che accompagna la scarica parte quindi dal basso verso l’alto, ed un

fulmine scarica a terra mediamente una ventina di Coulomb.

21

Va menzionato anche un altro fenomeno, noto come potere delle punte.

Per effetto dell’elevato campo in prossimità di una punta carica, le cariche

libere di entrambi i segni, sempre presenti in aria, accelerano, causando

una sorta di effetto valanga per cui esse urtando altre particelle neutre le

ionizzano a loro volta. In questo modo gli ioni di segno opposto vengono

attratti dal conduttore e lo vanno progressivamente scaricando.

Contemporaneamente, gli ioni dello stesso segno del conduttore vanno

creando una sorta di vento d’aria ionizzata, ben visibile se si pone la punta

vicino alla fiamma di una candela, che si piegherà da un lato fino a

spegnersi del tutto.

3.7 L’energia potenziale dei conduttori

Dalla definizione di potenziale ricaviamo che l’energia potenziale U di una

carica Q, in un punto dello spazio dove il potenziale abbia valore V, si

scrive:

U QV=

Se si vuole valutare l’espressione dell’ energia potenziale di un sistema di

cariche, dovremo allora sommare tutti i termini di interazione della forma

Uij=QiVij dove, ancora una volta Vij indica il potenziale dovuto alla carica j

nel punto dove sta la carica i:

¹ ¹

1 12 2ij i ij

i j i i j i

U U Q V= =∑∑ ∑ ∑

Qui abbiamo esplicitato la sommatoria doppia per far veder bene che devo

sommare, per ogni carica, tanti termini di interazione quante sono le altre

cariche. Nella somma devo includere tutti i valore degli indici tranne il caso

in cui i=j visto che una carica non interagisce con sé stessa. Il fattore ½,

come prima, occorre perché la formula così scritta include nel conto, ad

esempio, sia il termine V12Q1 che V21Q2 che sono uguali.

Poniamo ora che parte delle cariche del sistema, che diremo ciQ , si trovino

su di un conduttore mentre le rimanenti altre extiQ , fuori di esso, generano

un campo esterno a cui il conduttore viene ad essere soggetto:

( )1 1 12 2 2

ext c ext ci i ij i ij i ij

i j i i j i i j i

U Q Q V Q V Q V≠ ≠ ≠

= + = +∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑

La sommatoria ijj i

V≠∑ , che rappresenta la somma di tutti i potenziali

dovuti alle interazioni di ciQ con le altre cariche, interne ed esterne, nel

punto dove essa si trova, dà come risultato sempre lo stesso valore V per

22

tutte le cariche interne al conduttore. Infatti, ovunque la carica ciQ sia,

sulla superficie del conduttore, il potenziale deve essere lo stesso per le

proprietà statiche dei conduttori8. Indicando con V il valore del potenziale

del conduttore, cioè ijj i

V V≠

= ∑ abbiamo:

1 12 2

ext exti

i

U U V Q U QV= + = +∑

avendo indicato con ii

Q Q=∑ la carica complessivamente presente sul

conduttore. La formula ricavata fornisce l’energia potenziale di un

conduttore:

12

U QV=

e si noti che il potenziale V che vi figura è dovuto sia alle (eventuali)

cariche esterne che alla stessa carica interna Q che lo va a moltiplicare.

Anche in questo caso, l’energia potenziale elettrostatica rappresenta il

lavoro svolto dalle forze del campo E mentre smembriamo il sistema e

portiamo le cariche che lo compongono nella posizione di riferimento - in

genere all’infinito. Vista la libertà di movimento delle cariche sul

conduttore, effettuare materialmente lo spostamento di una carica alla

volta comporta un continuo riaggiustamento, sulla superficie, delle

posizioni di quelle che rimangono. Ciò è ascrivibile sia all’induzione da

parte della carica che si allontana, sia alla tendenza a disporsi nella nuova

configurazione di equilibrio con una carica in meno. La conservatività di E

ci garantisce, tuttavia, che sono solo le configurazioni iniziale e finale a

giocare un ruolo nel valore dell’energia potenziale.

Quindi, il lavoro che E avrà svolto al termine di questa procedura di

smontaggio del sistema, è lo stesso che svolgerebbe se “congelassimo” le

cariche, costringendole ad occupare sempre le loro posizioni iniziali

durante l’intero smembramento.

8 In un conduttore contenente N cariche, nei punti non occupati da cariche, tutte ed N

contribuiscono a far si che il potenziale valga V. In un punto dove c’è una carica, sono solo i

contributi delle restanti N-1 a far si che il potenziale valga V