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L’origine del Carnevale

La più probabile etimologia di Carnevale pare essere «carnem levare», cioè togliere la carne, con chiara allusione al precetto religioso che prescrive una dieta magra di penitenza dopo i bagordi festaioli.In ogni altra interpretazione del vocabolario vi è comunque un riferimento alla carne, che evidentemente è sempre stata considerata un simbolo di benessere e di opulenza. Citiamo quindi le derivazioni più ricorrenti e le loro tradizioni a senso : «carna-val» (carne in abbondanza), «carnis levamen»(aumento della carne).E questo è in fondo il senso di una festa in cui è pressoché d’obbligo gozzovigliare ben maggiormente che in ogni altra parte dell’anno.Le origini del carnevale risalgono alla Roma pagana e la loro parentela più stretta la si può trovare con le feste Saturnali, note semplicemente come Saturnali.I Saturnali devono la loro nascita ad un ben preciso avvenimento della storia di Roma: la costruzione del tempio di Saturno, 263 a.C..La durata dei festeggiamenti e variata nei secoli da sette giorni a tre, poi ancora a sette. All’epoca dell’impero le feste sacre a Saturno, padre degli dei, erano celebrate in due periodi ben distinti: marzo e dicembre, per un totale di 15 giorni. In tali giorni il popolo si riversava nelle strade cantando ed osannando a Saturno; venia eletto anche un re della festa, che si incaricava di organizzare i giochi popolari nelle piazze cittadine.Col passar degli anni fu adottato anche un abbigliamento particolare, costituito d un vestito scollacciato (synthesis) e da un cappello senza tesa (pileo). Lo stesso imperatore partecipava così acconciato, al divertimento collettivo e definitivamente era difficile riconoscere, quella specie di uniforme , il notabile dell’emarginato, il ricco dal povero, il colto dall’inclita.Era persino permesso (probabilmente i conti si facevano dopo!) lo scambio delle parti: lo schiavo diventava padrone e il padrone obbediva allo schiavo. Questa usanza voleva ricordare i tempi mitologici e beati della creazione del mondo, opera proprio di Saturno, quando gli uomini erano tutti uguali e felici.

CARNEVALE ITALIANO,W. GAUTSCHI,LA SPIGA MERAVIGLI, 1992

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I saturnali

I Saturnali devono la loro nascita ad un ben preciso avvenimento della storia di Roma: la costruzione del tempio di Saturno, 263 a.C..La durata dei festeggiamenti e variata nei secoli da sette giorni a tre, poi ancora a sette. All’epoca dell’impero le feste sacre a Saturno, padre degli dei, erano celebrate in due periodi ben distinti: marzo e dicembre, per un totale di 15 giorni. In tali giorni il popolo si riversava nelle strade cantando ed osannando a Saturno; venia eletto anche un re della festa, che si incaricava di organizzare i giochi popolari nelle piazze cittadine.Col passar degli anni fu adottato anche un abbigliamento particolare, costituito d un vestito scollacciato (synthesis) e da un cappello senza tesa (pileo). Lo stesso imperatore partecipava così acconciato, al divertimento collettivo e definitivamente era difficile riconoscere, quella specie di uniforme , il notabile dell’emarginato, il ricco dal povero, il colto dall’inclita.Era persino permesso (probabilmente i conti si facevano dopo!) lo scambio delle parti: lo schiavo diventava padrone e il padrone obbediva allo schiavo. Questa usanza voleva ricordare i tempi mitologici e beati della creazione del mondo, opera proprio di Saturno, quando gli uomini erano tutti uguali e felici.

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Il carnevale Ambrosiano

Ambrogio giovane magistrato con personalità e carisma riuscì a placare tumulti e malcontenti che, in una Milano del 370, vedevano come protagonisti eretici e pagani, con i cristiani che stentavano ad imporsi. Il popolo stregato dal suo carisma lo proclamò nuovo vescovo di Milano.Egli aveva due responsabilità: quella religiosa di vescovo e quella politica di emissario dell’impero che egli tuttavia assolse con grande impegno e capacità.La volontà di Ambrogio era il trionfo della religione cristiana su tutte le altre. Le vecchie manifestazioni pagane furono così rimpiazzate da rappresentazioni a sfondo religioso, in cui venivano rivisitati episodi delle sacre scritture dei vangeli.Dopo la sua morte(397) rimase l’egemonia cristiana ,ma per voler di popolo nei drammi sacri iniziarono a vedersi varianti comiche che divennero in seguito veri e propri intermezzi. Il sacro e il profano marciavano così allineati, con il consenso del popolo che si recava volentieri in chiesa per assistervi. Poco dopo lo spettacolo uscì sul sagrato della chiesa e piano piano anche nelle piazze limitrofe. Le comiche sopravanzavano gli aspetti moralistici e si infilarono dentro anche delle danze.

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Il carnevale a Venezia

Risalgono al 400 alcune cronache che riferiscono di una rappresentazione satirica, intesa a ridicolizzare la civiltà rivale, Aquileia poco prima sconfitta e poi annessa (1420).Aquileia aveva un patriarca che fu fatto prigioniero, assieme ai suoi dodici canonici dai veneziani.L’allegorica sfilata era dunque basata su un toro e 12 maiali, che dovevano ricordare quei prigionieri ed avveniva il giovedì grasso.Il posto culminante della festa era piazza san Marco, dove era eretto il palco del Dogie, e dove avveniva il colossale banchetto, con la partecipazione di tutta la popolazione. I ritmi dello spettacolo erano scanditi da una maschera, che saliva e scendeva dal campanile della basilica.Avvenivano anche saggi ginnici, lotte tra gli armigeri e danze popolari.A differenza delle altre città, Venezia si dimostrò molto accondiscendente verso chi portava la maschera e prolungò delle leggi tendenti a rispettarne l’anonimato, sempre a condizione che il travestimento o la mascherata non fossero occasioni per commettere reati.

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Il carnevale a Ivrea

Se anticamente a Torino il carnevale non aveva attecchito in maniera robusta, bisogna tuttavia riconoscere che esso imperava, ed impera tuttora, in una cittadina della sua provincia: Ivrea.Il carnevale ad Ivrea è nato per commemorare un avvenimento del 1194. Una bella mugnaia, tale Violetta, si rifiutò al corteggiamento di Carlo marchese del Monferrato (signore d’Ivrea). Egli offeso, mandò degli sgherri a sequestrarla , la poveretta finse di essere accondiscendente col marchese e così, distoltane l’attenzione, lo uccise.La popolazione, lungamente angariata, mal sopportava i soprusi del paese e vide nel gesto di Violetta un segno del destino. Si armò alla bell’e meglio ed insorse contro le autorità. Per tre giorni infuriarono i combattimenti in città; poi finalmente la soldataglia fu scacciata ed Ivrea potè organizzarsi in libero comune. A ricordo di quella ribellione, ogni anno si ricrea un carosello in costume: i tre giorni di lotta sono diventati tre giorni di grande divertimento e partecipazione popolare.Dal sabato sera al successivo martedì grasso la città si trasforma, si agghinda e celebra la rituale rievocazione.

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Il carnevale a Viareggio Nasce nel 1873, quando fu organizzata, più per burla che per altro, una sfilata di carri agricoli e carrozze signorili da cui i passeggeri tiravano sulla folla coriandoli e gessetti colorati. L’iniziativa riscosse un consenso unanime e si decise di ripeterla nell’anno successivo. La gente cominciò anche a mascherarsi, ma senza l’intenzione di strafare,semplicemente per divertirsi, usando l’unto delle padelle, la cenere dei camini e la famosa terra rossa di toscana. I costumi erano confezionati in casa e con pochi mezzi, solo in un secondo tempo si introdusse l’uso della cartapesta per fare i tipici e variopinti mascheroni. Nel1922 apparvero i primi carri con strutture in cartapesta,che consentivano di collocare all’ interno pulegge e ruote con conseguenti movimenti delle parti esterne. Il frutto più clamoroso di tutte queste innovazioni tecniche fu il famoso carro”Tonin di Burio” sul quale trovava posto, oltre alle figure in cartapesta,persino un’ orchestrina che suonava una canzonetta di circostanza. Con questo carro il carnevale di Viareggio divenne ed entrò in quella che potremo chiamare epoca moderna. Da allora si escogitarono i meccanismi più incredibili e la vena umoristica e satirica degli ideatori poté ulteriormente divagare. A questo effervescente sviluppo contribuirono due elementi: la grande specializzazione dei viareggini in costruzioni navali e lo spirito tipico di quella gente,sempre acuta e attenta . Ormai il carnevale era un’industria e come tale venne organizzato. CARNEVALE ITALIANO,W. GAUTSCHI, LA SPIGA MERAVIGLI 1992

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IL carnevale a Napoli e in campagna

Napoli ha una grande importanza nella storia del carnevale italiano. Nel rinascimento fu sede di una corte quella degli Aragonesi tra le più illuminate del tempo. I governanti spagnoli seppero miscelare il loro gusto per lo sfarzo con il fermento culturale che rispuntava dopo i lunghi secoli medievali, distillando così un estratto artistico e scientifico che fece scuola, al pari di Firenze e Milano. Proprio agli anni a cavallo tra il xv ed il xvi secolo risalgono le prime notizie sicure di un carnevale napoletano , già ben inserito nel contesto politico e sociale della città. Nei giorni di carnevale i nobili napoletani partecipavano a sfilate mascherate , concorsi ippici, a giostre di quintana ed a corride di evidente importazione spagnolesca. Il fatto di trovare già dei personaggi mascherati ci lascia credere che in precedenza si siano svolte a Napoli, feste di perduta memoria, imperniate sui tornei cavallereschi, la cui versione cinquecentesca voleva esserne la rievocazione. In tutti questi cimenti si impegnavano solamente i nobili, che rivaleggiavano pure nell’eleganza dei costumi e dei accessori. Il popolo interveniva come semplice spettatore, lustrandosi la vista con il colore dei costumi e deliziandosi le orecchie con le immancabili musiche che accompagnavano cortei e competizioni. Terminate le gare , la nobiltà rientrava a palazzo, dove erano stati organizzati ricevimenti, il cui fasto era secondo a nessuno in Italia e nel tempo. Confluirono poi nel cerimoniale napoletano elementi differenti, ugualmente forti di una loro tradizione, che mutarono l’aspetto interiore ed esteriore del carnevale. Da tipica festa nobiliare, esso divenne più popolare; da ricco divenne più comune, ma ci guadagnò indubbiamente in calore e colore. CARNEVALE ITALIANO,W. GAUTSCHI, LA SPIGA MERAVIGLI 1992

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Il carnevale in Liguria

Può sorprendere che una città cosmopolita come Genova non abbia maturato nei secoli del suo splendore un carnevale lussuoso e grandioso? Ebbene sì, probabilmente la ragione sta nel carattere dei suoi abitanti, che amano si divertirsi , ma in maniera intimistica, in ristrette cerchie di amici e senza schiamazzi e senza adunate collettive.In effetti sino al secolo scorso, già quando si respirava aria di unità nazionale, non si hanno testimonianze particolari riguardanti feste di carnevale in quel di Genova. Ma a fine ottocento, grazie all’opera della società ginnastica Cristoforo Colombo, organizzò un corteo mascherato di grande gusto scenico, che rievocava la partenza dei crociati per la Terra Santa. La ricostruzione storica era perfetta; la sfilata era preceduta da sette trombettieri, uno per ogni rione cittadino, e partiva da piazza Cavour , dirigendosi verso il Palazzo Ducale. Davanti ala Palazzo Ducale il corteo si fermava ed il console anziano consegnava lo stendardo del comune , che vedi caso è una croce rossa in sfondo bianco , il medesimo dei crociati autentici, al condottiero. La sfilata poi riprendeva per le vie del centro , portandosi dietro la folla in delirio. Per qualche anno lo spettacolo andò avanti con pieno successo popolare, ma poi iniziò inevitabilmente a decadere. Verso la fine del secolo non venne più ripetuta ed al suo posto gli studenti universitari si organizzarono un a festa più simile a quelle matricole che ad un carnevale.Vi si partecipava con i mezzi più strani, biciclette, tricicli, cavalli, muli e persino qualche automobile. Venne mantenuta la figura del Cintiaco, il condottiero dei crociati delle passate edizioni, che apriva ancora con il corteo, passando sul cavallo bardato a festa. La fantasia goliardica era enorme, ma i finanziamenti scarsi, sicché lo spettacolo non si levò mai da quel tono di festosa improvvisata giovanile.

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Il carnevale a Fiorenzuola

Il carnevale di Fiorenzuola è soprannominato “Zobia”, è sicuramente la più antica festa popolare fiorenzuolana, arriva sì e no a noi con caratteristiche ancora del tutto originarie rispetto ad altre forme cavalleresche che vediamo anche in località molto vicine. Ogni anno il popolo fiorenzuolano che va in maschera occupa gli spazi aperti delle strade e delle piazze caricando con vene dissacratorie e bonarie prese in giro ogni evento della vita e della quotidianità. Le venature antisemite che hanno caratterizzato l’andare in Zobia in un passato remoto sono ora scomparse per lasciare spazio a una comicità di strada che affonda anche essa nella più ricca tradizione carnevalesca passando così alla caratterizzazione spontanea dei cittadini fiorenzuolani più o meno rappresentativi della fiorenzuolanità. Normalmente viene apprezzato non il costume o il carro più ricco ma la scenetta più riuscita, la battuta più salace, il travestimento e la caratterizzazione, nonché la trasfigurazione, marcatamente grottesca.

Andiamo in Zobia, Rino Bertoni, Casa Ed. Vicolo Del Pavone.

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Il carnevale in Sicilia

Le prime notizie sicure del carnevale in Sicilia risalgono al seicento e riferiscono di festeggiamenti tenuti a Palermo con giostre mascherate e spettacoli diversi, che coinvolgevano tutta la popolazione. un grande successo ottennero delle recite pubbliche in strada o in piazza, che avevano in Pulcinella(e questa è un’evidente importazione da Napoli) il protagonista principale, attorniato da maschere locali, fra le quali spiccava il Mastro di Campo, la caricatura di un vecchio ufficiale. questa rappresentazione ad un certo punto emigrò dalla città in provincia e proprio a Mezzojuso, antico paese di origine e popolazione albanese, trovò la sua messa in scena più pittoresca. Qui, sulla piazza principale, vengono eretti due palchi, chiamati castelli, che simboleggiano la reggia e la casa di Mastro di Campo. Il primo è ovviamente addobbato in modo sfarzoso e sgargiante, mentre l’altro e molto più dimesso . Alcuni cittadini, mascherati da vecchie, da pecorari o da pulcinella, abitano i due castelli, ricreando un minuscolo spaccato di vita cittadina. Ad un certo punto da parti opposte, convergono sulla piazza due cortei, quello reale e quello popolare, che si lanciano invettive e quindi, snudate le spade, simulano un goffo combattimento per il divertimento degli spettatori.Nei centri e nelle campane il carnevale è sempre stato festeggiato in modo più semplice e domestico. Si organizzavano, e si organizzano tuttora, delle corse a cavallo a cui partecipano i contadini vestiti nei loro abiti tradizionali, scortati dai classici carretti siciliani impennacchiati e decorati allegramente. Anche la musica al suo posto d’onore e ne viene composta di apposita, chiamata “canzuni di carnalivari”.Al martedì grasso è poi usanza invitare i poveri ad una lauta scorpacciata comune. Come si vede, nell’isola non ha mai attecchito la festa spettacolare, ricca e ridondante; qui il carnevale è sentito ad un livello più domestico, più interiore.

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Il carnevale in Sardegna

In tutta la Sardegna viene festeggiato il carnevale, le manifestazioni più caratteristiche hanno luogo ad Oristano,Tempio Pausania ed a Bosa e Mamoiada. Mamoiada è un paese di circa 3000 abitanti ed in provincia di Nuoro. Difficilmente qualcuno avrà inteso il suo nome o lo avrà visitato, tuttavia i suoi suonatori di campanacci hanno avuto un momento di grande notorietà essendo stati parte integrante di un film satirico degli anni 70. Vestiti con pelli di montone, carichi di campanacci e con il viso coperto da una maschera lignea e dei tratti drammatici questi suonatori, chiamati ”mamuthones”, sfilano per le vie del paese, scrollando ritmicamente i loro sognali. Dietro a loro vengono gli “iscocadores”, che con una specie di lazo tentano di acchiappare qualche spettatore per farsi offrire da bere .Anche qui le derivazioni pastorali e contadine, tendenti a scacciare il malocchio dai focolari e dai pascoli, sono piuttosto evidenti e la tradizione si perde veramente nella notte dei tempi. proseguendo, la sfilata sfuma i suoi toni più intensi e si trasforma in un banchetto collettivo a base di fave, lardo,pane frattau e vino cannonau. lo spettacolo non ha simili, neanche sull’ isola,ed è quindi consigliato per chi ha la ventura di trovarsi nei pressi domenica o martedì grasso. Il paese conserva ancora notevoli tracce del suo passato gotico/aragonese e tutto attorno la natura ha mantenuto un carattere selvaggio. CARNEVALE ITALIANO,W. GAUTSCHI, LA SPIGA MERAVIGLI 1992

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