I LUOGHI DELL'ARCHITETTURA

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dossier 2000 2. Lire 12.000 rivista semestrale anno IV n.2 In copertina: Morfologia urbana e linguaggio architettonico: Fiesole, modello dell’area centrale, Vittorio Battiglia, Carlo Chiappi, Enzo De Leo, Studio M. 1993. I LUOGHI DELL’ARCHITETTURA

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ESAME DI ARREDAMENTO PROF.GALLI

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dossier20002.Lire 12.000 rivista semestrale anno IV n.2

In copertina:Morfologia urbana e linguaggio architettonico:Fiesole, modello dell’area centrale,Vittorio Battiglia, Carlo Chiappi, Enzo De Leo, Studio M. 1993.I L U O G H I DE L L’ A R C H I T E T T U R A

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Personale TecnicoCoordinatore Tecnico

Giovanni Pratesi

Funzionari TecniciMassimo Battista

Enzo CrestiniMauro GianniniPaolo Puccetti

Assistente Tecnico

Edmondo LisiOperatori Tecnici

Franco BovoLaura Maria Velatta

Personale AmministrativoFunzionario Amministrativo

Manola LucchesiAssistente Contabile

Carletta ScanoAssistente Amministrativo

Debora CambiGioi Gonnella

Operatore AmministrativoGrazia Poli

Dipartimento di Progettazionedell’Architettura

DirettoreCarlo Chiappi

Sezione Architettura e CittàProfessori Ordinari

Gian Carlo Leoncilli MassiLoris MacciPiero Paoli

Professori AssociatiAlberto BaratelliGiancarlo BertolozziAndrea Del BonoMarco JodiceMaria Gabriella PinagliMario PretiUlisse TramontiRicercatori

Antonella CortesiRenzo MarzocchiEnrico NovelliValeria OrgeraAndrea Ricci

Sezione Architettura e ContestoProfessori Ordinari

Roberto MaestroAdolfo NataliniProfessori Associati

Giancarlo CataldiStefano ChieffiBenedetto Di CristinaGian Luigi MaffeiGuido SpezzaVirginia StefanelliPaolo VaccaroRicercatori

Carlo CanepariGianni CavallinaPierfilippo ChecchiPiero Degl’InnocentiMaurizio De MarcoGrazia Gobbi SicaCarlo MocenniPaola Puma

Sezione Architettura e DisegnoProfessori Ordinari

Marco BiniEmma MandelliProfessori Associati

Maria Teresa BartoliRoberto CorazziDomenico Taddei

RicercatoriAlessandro BelliniStefano BertocciGilberto CampaniMarco CardiniMarcello ScalzoMarco JaffEnrico PulitiMichela RossiMarco Vannucchi

Sezione Architettura e InnovazioneProfessori Ordinari

Antonio D’Auria

Professori Associati

Roberto BerardiAlberto Breschi

Remo ButiGiulio Mezzetti

Ricercatori

Lorenzino CremoniniPaolo Iannone

Flaviano Maria LorussoPierluigi Marcaccini

Marino MorettiVittorio Pannocchia

Marco Tamino

Altri docentiProfessori Ordinari

Aurelio CortesiMaria Grazia Eccheli

Paolo ZermaniProfessori Associati

Carlo ChiappiPaolo Galli

Bruno GemignaniAlessandro Gioli

Mauro MugnaiGiacomo Pirazzoli

Fabrizio Rossi ProdiRicercatori

Laura AndreiniFabrizio Arrigoni

dos sie r20002.Periodico semestrale*del Dipartimento di Progettazionedell’Architetturavia Cavour, 82 Firenzetel.055/2757721fax. 055/2757720

Anno IV n.2Autorizzazione del Tribunale di Firenzen. 4725 del 25.09.1997Prezzo di un numero Lire 12.000

DIRETTORE

Carlo ChiappiDIRETTORE RESPONSABILE

Marino MorettiCOMITATO SCIENTIFICO

Maria Teresa Bartoli, Roberto Berardi,Marco Casamonti, Carlo Chiappi,Marino Moretti, Paolo VaccaroREDAZIONE

Laura Andreini, Carlo Chiappi

INFO-GRAFICA E DTPMassimo BattistaCOORDINATORE TECNICOGianni PratesiCOLLABORATORIMassimo Bianchini, Enzo Crestini,Roberto Corona, Laura Maria Velatta

SEGRETERIA DI REDAZIONEE AMMINISTRAZIONE TEL. 055/2757792E-mail: [email protected].

Questo numero è stato curato daLaura Andreini

PROPRIETÀUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE

PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONECentro di EditoriaDipartimento di Progettazione dell’Architettura

Fotolito Saffe, FirenzeFinito di stampare nel dicembre 2000da Arti Grafiche Giorgi & Gambi,viale Corsica, 41r Firenze

*consultabile su Internethttp://www.unifi.i t/unifi/progarch/fa/fa-home.htm

S o m m a r i o

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Carlo CHIAPPI - Presentazione

Laura ANDREINIDall’osservazione al progettoil concorso di architettura come strumento didattico

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Mauro MUGNAILa progettazione degli spazi pubblici nel rapporto con la scuola‘Le due verità’ - considerazioni di carattere generale

Maria Grazia ECCHELITestimonianze: Venezia, Sarno, Carpi

Rosario VERNUCCIOUn monumento da scoprire

Aurelio CORTESIA=f(U,B)

Paolo GALLINotazioni e istituzioni tra interno ed esterno

Carlo CHIAPPIProgettare nel territoriocontinuità e contestualità come temi di architettura

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3D O S S I E R

D O S S I E R 2.2000

I L U O G H I D E L L ’ A R C H I T E T T U R A

CARLO CHIAPPI

P R E S E N T A Z I O N E

nel prossimo numero diFIRENZE ARCHITETTURA:QUADERNIPROGETTO CITTÀMETODI, STRUMENTI, LINGUAGGI

La prerogativa saliente del quinto numero di Dossier è di chiudere un ciclo e di aprirne un altro nello stesso tempo. I Luoghi

dell’architettura completa, infatti, la prima serie di contributi dei docenti del Dipartimento ma altresì anticipa, con un impe-

gnativo lavoro redazionale, il carattere più frammentario e antologico dei prossimi numeri.

Risulta impossibile - post quem - non pensare al dibattito che aveva animato il progetto della rivista o alle finalità con cui

inauguravamo, in una situazione particolarmente favorevole, la nuova formula di FIRENZE ARCHITETTURA (gennaio 97).

Difficile, per chi vive e lavora “altrove”, capire la complessità di un’operazione che ha mobilitato “a mosaico” tanti ricercatori e

studiosi. Difficile anche per chi scrive comunicare la soddisfazione per un importante obiettivo raggiunto, reso ancor più

sorprendente dalle pesanti limitazioni: quello di far conoscere tutte (o quasi) le realtà di un contesto culturale molto eteroge-

neo, non definibile all’interno di un indirizzo o tendenza. Poiché è certo che a tutt’oggi la collana rappresenta lo specchio, anzi

il documento più fedele delle “anime”, ovvero delle molteplici identità di un luogo ricco di magiche potenzialità e di profonde

contraddizioni. Per tali motivi ci sembra opportuno non tanto trinciare giudizi a posteriori sulle singolarità dei fatti, bensì fissare

schematicamente alcuni punti di un dibattito ormai maturo che dovranno trovare lo spazio per ulteriori approfondimenti.

In questa serie di studi monografici v’è anzitutto un dato positivo istantaneo, relativamente facile da osservare e consiste nel

tentativo di circoscrivere il campo d’azione e d’interessi tramite un riconoscimento reciproco; qualcosa di molto vicino a quello

che si potrebbe definire un sentimento generale d’appartenenza, oppure l’eredità di molti individui di una medesima specie, che

si trasmette vicendevolmente e consente di promuovere approcci ed esiti sempre più interattivi con la realtà. In secondo luogo,

al di là di astratte e velleitarie ambizioni interdisciplinari, v’è l’attenzione verso nuove forme di radicamento, non più chiuse su

fenomeni locali, né costruite sui caratteri logori di alcune pratiche, ma quasi alla ricerca di un esordio e di terreni d’incontro con

altre comunità scientifiche, in virtù di un sistema di corrispondenze o grazie a proprietà dichiaratamente affini o a modi che si

trasferiscono gli uni negli altri. Infine sembra rinascere un po’ ovunque, soprattutto dai contributi dei docenti dell’ultima gene-

razione, uno sforzo comune, un’istanza di rinnovamento che tende ad una graduale ricomposizione di valori e di principi,

collocandosi al di fuori della stanca competizione accademica. Ciò testimonia un quasi-trovato clima di libertà e d’immagina-

zione che può far sperare per il futuro. Il percorso a ritroso su questi Dossier lascerebbe intravedere le svariate nature di tale

tensione e farebbe anche emergere in forma palese l’entità di un fenomeno che sarà probabilmente la grande sfida culturale e

scientifica, etica ed estetica, ma soprattutto biologica del ventunesimo secolo: il massiccio spostamento di forze sulle ragioni

dell’architettura oggi, la ricerca dei punti di sutura tra metodi, tecniche ed obiettivi, a partire da una diversa e possibile epistè-

me; cioè dai processi conoscitivi, dagli strumenti utilizzabili, dai progetti sostenibili. Insomma il desiderio d’interpretare un’idea

di contemporaneità che vada finalmente a scavare in questa realtà il senso concreto e preciso del nostro operare.

(Marino Moretti)

Con il precedente numero della rivista (1-2000, Dossier) il nostro Dipartimento conclu-

deva la presentazione delle proprie Sezioni di Ricerca costituite ciascuna da gruppi di

docenti spontaneamente aggregati, affini per comuni interessi di studio, coltivati e

sviluppati prevalentemente nel lavoro didattico.

Con questo numero invece (2-2000, Dossier) viene illustrata l’attività di un gruppo di

docenti che, pur appartenendo ugualmente allo stesso Dipartimento, non hanno an-

cora aderito ad alcuna delle Sezioni fino ad oggi costituite, quali Architettura e città,

Architettura e contesto, Architettura e disegno, Architettura e innovazione.

Tuttavia, nel corso dei lavori redazionali per l’approntamento del presente numero della

rivista, fu individuato un titolo, I luoghi dell’architettura, che parve poter riassumere e

rappresentare in forma certamente sintetica il carattere comune che i vari contributi si

apprestavano a proporre e illustrare. Questo riferimento metodologico e tematico è sta-

to, entro certi limiti, seguito e riconfermato, anche se è forse superfluo ricordare come,

questa volta, ci si trovi in presenza di un gruppo che non si è dato a priori un preciso

indirizzo di ricerca ed un programma comune di lavoro; fatto che inevitabilmente si riflet-

te, anche se solo in parte, sulla stessa organicità dell’insieme di contributi presentato.

Con questa presentazione, tali contributi sono stati ordinati in tre gruppi distinti, corri-

spondenti, ciascuno, ad un più particolare taglio metodologico.

Il primo (Vernuccio, Eccheli, Andreini) sviluppa le proprie argomentazioni di progetto

per via prevalentemente applicativa, a partire dai vincoli posti da una precisa realtà

costruita e che, più degli altri, sembrerebbe cogliere il riferimento tematico individuato

preliminarmente.

Il secondo (Cortesi, Chiappi) sviluppa invece i propri argomenti in forma di principi

fondativi e, potenzialmente, quale apporto ad una riflessione teorica generale sul modo

di pensare architettura. Il riferimento al luogo è qui meno diretto e gli esempi applicativi

che accompagnano le tesi sostenute si collocano in un rapporto meno mediato rispet-

to alle argomentazioni sviluppate nel testo.

Il terzo infine (Galli, Mugnai) pur sviluppando anch’esso questioni riconducibili in linea

di principio agli aspetti metodologici dell’operare, sembra essere collocato più stabil-

1. quaderni01

Contributi di:Antonio CAPESTRO, Mario FERRARI,Flaviano Maria LORUSSO, Cinzia PALUMBO,Dragana PAVLOVIC, Claudio ZANIRATO.

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mente nell’intorno di aspetti del pensiero specifici e particolari.

Questo è così anche l’ordine seguito nel delineare, con la presentazione, un brevissi-

mo profilo conoscitivo e comparativo.

Un monumento da scoprire (Vernuccio). L’indirizzo progettuale dato al tema dell’eser-

cizio didattico è stato definito di concerto con l’amministrazione comunale. Vernuccio

ripropone così un’esperienza fortemente integrata con la realtà allo stesso modo di

quanto aveva fatto nel corso di esperienze precedenti e così come spesso era stato

fatto in passato nella didattica della scuola fiorentina (Gori in particolare). In questo

caso si tratta del recupero di un antico organismo edilizio della città che aveva ormai

perduto le proprie originarie funzioni (conventuali e carcerarie), che viene ora restituito

a nuova vita mediante introduzione di attività compatibili con la struttura edilizio-distri-

butiva del complesso (alberghiere e ricettive). La rifunzionalizzazione introduce altresì

nell’organismo temi urbani noti e ricorrenti nelle analisi della città come la corte e la

strada, quale ancoraggio e sostegno, stabile e duraturo, tra nuova architettura e luogo

di appartenenza.

Testimonianze: Venezia, Sarno, Carpi (Eccheli). I temi dell’edificio pubblico quale in-

terprete dei caratteri collettivi della città e del riesame dei fondamenti del progetto

moderno nel confronto cosciente e aperto con la sintassi propria dei luoghi (interni ed

esterni) della città antica, sono assunti da Eccheli quali campi di esplorazione di nuove

e stabili strade per il progetto; ben oltre quindi gli stessi temi funzionali dati dalle occa-

sioni concrete quali temi delle singole esercitazioni (concorsi di architettura in partico-

lare). Un modo certamente convincente per essere ben dentro all’architettura, abban-

donando consapevolmente e a ragione residue tangenze fuorvianti, simbolo di ormai

obsolete stagioni progettuali.

Dall’osservazione al progetto: il concorso di architettura come strumento didattico

(Andreini). Evitare ogni forma possibile di astrattezza e, nello stesso tempo, garantire

un forte ancoraggio alla realtà, sono i due principi basilari che, anche in questo caso,

costituiscono il motore principale del progetto formativo nella scuola. Anche qui, come

negli esempi precedenti, viene sottolineato come fatto decisamente positivo e stimo-

lante il confronto con la storia della città, capace di trasmettere al progetto quel DNA

che lo preservi tanto dal libero arbitrio quanto dall’enunciazione acritica di fenomeni di

moda compositiva. Convincente il senso delle note conclusive dell’Andreini che giu-

stamente ci ricorda come questo approccio progettuale “affondi le proprie radici nella

migliore tradizione disciplinare italiana, ultimo originale contributo di uno specifico

apporto culturale che il nostro paese può vantare come patrimonio originale e indisso-

lubile della propria identità”.

A=f(U,B) (Cortesi). Alcune riflessioni nei confronti del fare e del trasmettere architettura trat-

te dall’esperienza didattica di Cortesi ci conducono a vedere nuovamente attualizzati alcuni

riferimenti alla trattatistica rinascimentale (Alberti in particolare); insieme ad alcune ormai

remote, ma certamente antesignane, enunciazioni della poetica di Ernesto N. Rogers che

intorno alla metà degli anni ’50, nel tentativo di avviare un superamento dello schematico

rapporto forma/funzione, mirava anch’esso a recuperare alla cultura del moderno alcuni

aspetti della trattatistica classica. Il tentativo rogersiano è sintetizzato qui con la formula

architettura (A) funzione di utilità (U) e bellezza (B) che, al di là di ogni possibile considerazio-

ne a cui questa può prestarsi, oggi ritorna ad essere particolarmente degna di nota per il

fatto stesso di riportare al centro del dibattito sull’architettura il termine bellezza troppo

spesso posto in ombra, quasi che esso dovesse svilupparsi spontaneamente solo da una

buona e onesta comprensione dell’utile. Il ruolo del disegno ed un approccio autonomo al

mondo delle forme costituiscono poi i necessari corollari per lo sviluppo integrato della

stessa formula e dello stesso pensiero implicito nella proposta metodologica di Cortesi.

Progettare nel territorio: continuità e contestualità come temi di architettura (Chiappi).

Il contributo di chi scrive ruota intorno alla convinzione che oggi sia necessario perse-

guire obiettivi di progetto che trovino un più profondo e stabile radicamento ai caratteri

identitari dei singoli territori e dei singoli luoghi sottoposti a trasformazione e modifica-

zione con il progetto medesimo. Il carattere innovativo del progetto moderno dovrà per-

ciò confrontarsi con le regole costitutive delle realtà antropiche, fino ad individuare quel-

le strutture invarianti che ne sostanzieranno l’appartenenza. In questo percorso si sotto-

linea inoltre l’importanza assunta dagli studi tipologico-processuali, i quali hanno da

tempo posto in essere una solida struttura metodologica di analisi urbana e territoriale

da considerare ormai riferimento imprescindibile per chi avverte la necessità di costruire

con rigore nozioni utili alla oggettiva trasmissibilità dell’esperienza compositiva.

Notazioni e istituzioni tra interno ed esterno (Galli). Questo contributo si sofferma a riflet-

tere sulle sensazioni e sulle emozioni che si provano nell’atto stesso di percepire una

immagine e, con ciò, anche le sensazioni che ci provengono da un certo luogo, visto

appunto come immagine o come insieme organico e sinergico di immagini. Tali sensazioni

inducono Galli ad ipotizzare e sostenere la sua tesi, secondo la quale queste stesse sensa-

zioni ed emozioni siano alla base di ogni atto di progettazione, facendoci così percepire e

capire il senso di appartenenza che l’idea può assumere rispetto all’immagine-luogo che

l’ha generata. Le immagini progettuali, che accompagnano il testo, frutto di reiterate espe-

rienze didattiche, fondandosi prevalentemente sul soggettivo ci sorprendono piacevol-

mente per la loro carica decisamente scenografica e per l’effetto sorpresa che riescono a

trasmetterci con il loro porsi come soggetti morfologici caratterialmente innovativi.

La progettazione degli spazi pubblici nel rapporto con la scuola: “le due verità” - con-

siderazioni di carattere generale (Mugnai). Il ragionamento di Mugnai pur interessandosi

principalmente ai temi progettuali riguardanti la scuola, gli spazi e gli edifici per l’educa-

zione, si evolve progressivamente a partire dai fatti che hanno condotto il progetto mo-

derno ad occuparsi prevalentemente dei singoli organismi architettonici, sulla loro forma

e sulle loro singole funzioni. Proseguendo su queste tracce egli giunge a radicarsi stabil-

mente sui recenti orientamenti che hanno diffuso nella ricerca un interesse prevalente nei

confronti degli spazi aperti e, in un certo senso, interstiziali rispetto ai singoli organismi e

manufatti; facendo perdere così valore metodologico al termine funzione, nel complesso

e non completamente codificabile processo di progettazione dell’architettura. L’architet-

tura come forma autonoma è dunque costretta a misurarsi con il suo intorno, con i suoi

luoghi e, in una parola, con le forme dell’urbano.

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UN MONUMENTO DA SCOPRIRE

Rosario Vernuccio

Noto: il complesso del monastero diS. Agata e le Carceri Reali recupera-to all’uso di struttura ricettiva.

Esattamente a metà, tra il pianoro natu-rale del colle dove sorge la “Noto vicere-ale” modello di città a “quadrillage” uni-modulare, partito in sedici insule, defini-ta ai margini dalla “Noto plebea”, contracciato a modulazione organica dichiaro riferimento e memoria arabo-me-dievale — e il pendio — con tracciatoortogonale a modulazione variabile, al-lusivamente manierista, ma sostanzial-mente metabarocco, sede della “Notoaristocratica” e dell’intellettuale reggen-za locale sorge uno tra gli edifici di Notomeritevoli di particolare attenzione estudio che occorre mettere in evidenzacome complesso monumentale che nelcorso dell’ultimo secolo, anche in segui-to alla destinazione ospedaliera, non èmai stato sufficientamente menzionatonelle sue intrinseche qualità architetto-niche, senza dubbio potenziate dal-l’adiacente corpo delle Carceri Reali.Nell’ex monastero di S. Agata e nellasua annessa chiesa, ormai completa-mente deserti, due dei maggiori archi-tetti della ricostruzione di questa cittàdopo il terremoto del 1693, Rosario Ga-gliardi e Paolo Labisi, hanno lasciatonotevoli segni dei loro interventi. Allemanomissioni del precedente impiego(nato nel 1700 come organismo con-ventuale di ordine benedettino; nel 1883la proprietà fu ceduta agli amministrato-ri dell’Ospizio ospedale Trigona; usatocome ospedale sino al 1983, da allora indisuso) si aggiunge ora il degrado delprolungato abbandono. Di uguale sortesoffre l’edificio delle Carceri Reali(1693), poi usato come carcere manda-

mentale e quindi abbandonato. Una du-plice perdita, dunque, per una città chedovrebbe offrire al turismo ad esempio,un adeguato complesso alberghieroche tuttora all’interno del centro storicomanca.Questo monastero si adagiava così incima alla collina con una forte dilata-zione orizzontale del fronte sud. Uncorpo verticale, aggiunto negli anni ’40per esigenze sanitarie, altera oggi, inparte, l’originario equilibrio. La sua po-sizione panoramica viene ulteriormen-te segnalata dall’inserimento della tor-re dell’orologio in allineamento con ledue cupole del Crocefisso e della Cat-tedrale: un asse visuale privilegiato delpanorama urbano.Il monastero non presenta la tipica or-ganizzazione degli ambienti attorno aduna corte interna, forse perché non fumai interamente completato. La pre-senza di una corte non è leggibile ne-anche nel rilievo del Cassone del 1878,mentre al primo piano la presenza del-l’“astraco” può rappresentare un ac-cenno.Rimane comunque l’ampio giardinoesterno tra i corpi di fabbrica e il confi-ne con il dirupo del colle. Un meravi-glioso giardino che si affaccia sui tettidella città sottostante e sul panoramadella campagna sino al mare. La tipolo-gia funzionale riflette elementi ricorren-ti negli edifici conventuali ideati dal Ga-gliardi. Ad ovest ci sono gli ambientiper le funzioni spirituali (chiesa, sacre-stia, oratori, capitolo, cappelle), a nord-est gli ambienti più propriamente resi-denziali: al piano terra cucine, dispen-se, refettorio, officine; al primo piano ildormitorio.Le scelte distributive del dormitorio pri-

vilegiano un orientamento più idoneoalle funzioni abitative; i corridoi, infatti,stanno uno all’esterno, a nord, l’altroall’interno, ad ovest, per lasciare allecelle le più adatte esposizioni a sudcon vista interna e ad est con vista sul-la strada. La geometria delle volte èvariabile, diventa più complessa a se-conda della diversità d’uso cui sonodestinati gli ambienti.Le Carceri Reali, indicate dal Labisinella sua veduta del 1750, risultavanoprobabilmente edificate nel loro attualesito, sul bordo dell’altopiano del Meti,già nel dicembre del 1693.La porzione di città ai margini dell’alto-piano viene denominata area del ca-stello perché anche la prigione vennechiamata “el castillo”.L’organizzazione delle carceri è moltosemplice; gli ambienti sono dispostiaffiancati e unico elemento di distribu-zione risulta essere un corridoio chefinisce con una gradinata che condu-ce al piano inferiore; quest’ultimo inve-ce non presenta nessun collegamentodi questo genere fra gli ambienti che siaffacciano, quasi tutti, sul cortile. Laparte amministrativa veniva assoltanegli ambienti al piano superiore, a si-nistra rispetto all’ingresso, mentre tut-te le celle, sia maschili che femminilierano ubicate a destra dell’ingresso;la gradinata posta alla fine dell’edificioportava al cortile delle donne. Al pianoinferiore, gli ambienti più grandi veni-vano usati rispettivamente come cap-pella e aula scolastica, mentre quellipiù piccoli come celle di isolamento; laparte verticale rispetto al corpo venivautilizzata invece come magazzino. Tut-ti gli ambienti sono voltati a botte o apadiglione.

Criteri guida e scelte di progetto.

Parcheggi — Il problema dei parcheggiè da porsi come tema prioritario nellaprogettazione di una struttura comequella in esame. La posizione topogra-fica del nostro edificio rende impossibi-le individuare nelle immediate vicinan-ze del complesso aree idonee ad acco-g l iere un numero d i autoveico l isufficiente per la prevista ricettività delnuovo albergo. È stata quindi analizza-ta la possibilità di risolvere il problemaipotizzando di indirizzare gli ospiti del-l’albergo come quelli dell’ostello in op-portune aree di parcheggio, con il tra-sferimento in albergo utilizzando mezzinavetta; questa scelta darebbe così allaclientela la possibilità durante il percor-so dal parcheggio all’albergo di potermeglio guardare alcune zone della cittàdifficili altrimenti da scoprire.Queste aree sono state indicate ancheper la facilità con la quale si può rag-giungere il complesso. Le aree in que-stione sono tutte situate in prossimitàdella strada a percorrenza veloce checirconda il centro storico; una a nord edaltre due ad est e ovest, ricavate davuoti urbani, collegate con la stradaperimetrale e con la via Cavour chepermette un collegamento più direttotra i parcheggi. Sulla stessa via Ca-vour, comunque, è stato ricavato un in-gresso ad un piccolo parcheggio postoin diretta comunicazione con il nostroalbergo. A questo si accede da uno de-gli androni dei palazzi nobiliari di Noto,palazzo Astuto; la sua corte infatti si af-faccia sul giardino in quota, posto sottoil monastero di S. Agata, al di sotto delquale ci sono, ora, dei magazzini; riuti-lizzando questi spazi si riesce a ricava-

re 24 posti auto comunicanti, tramiteun collegamento verticale, con il nostrocomplesso.Centro ricettivo — Il tema della conte-stualizzazione è stato posto come fat-tore prioritario nella progettazione ar-chitettonica.Si è voluto costruire all’interno dell’iso-lato una nuova immagine, espressionedi una nuova complessità dell’isolatoche lo caratterizzi come luogo urbano.Si scopre così la possibilità di poter in-serire il luogo nel progetto, di poter fareentrare nel progetto la città, con tutti isuoi molteplici aspetti; sia percettivi (lafantastica posizione di confine tra l’al-topiano e il pendio dà la possibilità divedere da questo punto la città baroc-ca con il suo centro, simile all’agora deigreci, predisposto per gli incontri quoti-diani, con le preziose decorazioni dellefacciate che si ripetono e si rinnovanonegli interni e nei cortili come una ri-percussione di echi, la grande cornicedelle esedre, degli slarghi, delle sca-lee, delle minuscole scale, a formareuno scenario che sorprende da ogniangolo di osservazione) sia culturali(dove la cultura comprende memoria etradizione).Si è quindi accentuata la continuità traspazio esterno e spazio interno conpercorsi pedonali connessi con gli ac-cessi preesistenti e con altri creati adarte in particolari punti relazionati con iluoghi esterni dove non solo il turista,ma anche l’artigiano, il pensionato, lostudente, la gente comune insomma,possa essere ugualmente fruitore diquesto sistema di spazi. Nello stessotempo si risolve uno dei problemi strut-turali di questa città la carenza ricetti-va, con il progetto di un albergo e di un

Comune di Noto - SR -Recupero dell’ex CarcereMandamentale(già Carcere Reale)ad uso di OstelloProt 1339 Noto (SR)

Proprietà: AmministrazioneComunale di NotoProgetto:Prof. Arch. Rosario VernuccioArch. Stefano Martinelli eArch. Massimo MortellitiDott. Paolo MartoranoCollaborazione:Arch. Simone CasiniStrutture:Ing. Andrea TelliniImpianti:Ing. Ernesto GuarinoImpresa Costruttrice:CO.M.EDIL - ConsorzioArtigiano - Rosolini - SR -Responsabile esecuzione:Vincenzo Pirri

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ostello, che ha costituito da sempre unpunto debole per lo sviluppo del turi-smo a Noto. Infatti, l’assenza presso-ché totale di strutture ricettive nel cen-tro storico ed il ritardo nella realizzazio-ne di adeguati esercizi di serviziohanno sinora dirottato il turismo versoaltre località più attrezzate della provin-cia, come la stessa Siracusa, renden-do la città non una meta ma luogo ditransito.L’impianto può essere attraversato daquattro possibili vie, tutte “urbane”, an-che se in maniera diversa tra loro.L’accesso da sud avviene passandoper il parcheggio sottostante medianteun collegamento verticale costituito dascale ed ascensore e pensato nel ri-cordo degli androni all’interno degliisolati di Noto, dove i loro rapporti di-mensionali fanno sì che pubblico e pri-vato s’intreccino in maniera quasi indi-stinguibile.Altre due entrate, quella da nord pas-sante per l’ingresso principale del vec-chio ospedale su via Trigona, e quellada est corrispondente al vicolo chelega l’edificio dell’ostello con quellodell’albergo, ricordano quelle stradedove diversità dei livelli e botteghe arti-giane costituiscono le due caratteristi-che principali.L’ingresso da ovest è quello più rappre-sentativo; si accede infatti attraverso lachiesa e salendo la sua scalinata sipuò quasi immediatamente arrivare adun percorso panoramico che offre sicu-ramente una delle vedute più belle chesi possono avere della città; veduta chesi estende sino al mare.Oltre al recupero vero e proprio dell’edi-ficio si propone la progettazione di unanuova parte che va a “completare” con

una corte-giardino l’edificio del vecchiomonastero; corte probabilmente di cuiquesta struttura è stata da sempre orfa-na.Altri corpi di nuova edificazione come ilaboratori per gli artigiani, vengonoprevisti sulla piazzetta all’incrocio degliingressi est e nord, proprio per arricchi-re ulteriormente l’interno con immaginiurbane.Il corpo verticale, superfetazione delriuso come ospedale, costruito in epo-ca recente, viene demolito per darespazio ad un corpo che allungandosisino alle scale provenienti dal parcheg-gio situato in quota inferiore, chiude lacorte-giardino. Quest’ultima, ricavatasfruttando anche la pendenza del ter-reno, dove il verde che arriva ad attra-versare uno spazio porticato viene fuo-ri collegandosi ai giardini esistenti nellediverse quote, rinnova le tradizioni chevengono sicuramente dalla cultura ara-ba, dove il verde e l’acqua utilizzataanche come elemento climatizzante,offrono un riparo alla calura estiva; en-trambi, elementi presenti, dai tempi piùantichi, nella memoria dei siciliani.Sfruttando gli ingressi da est e da nordsi riesce a formare un percorso pedona-le, dove chiunque ha possibilità di vivereuno spazio articolato, dove rivive la me-moria di un luogo “urbano”; così noi ri-troviamo vicoli e larghi, scalee monu-mentali e minuscole scale, luoghi in-somma dedicati agli incontri quotidianiche fanno di uno spazio un ambiente ur-bano; ed ancora, ritroviamo gli artigianiche nella storia della città avevano con-tribuito a rendere fiorente l’economia diNoto, situati lungo la strada di accessoda est, nella piazzetta sottostante e nelcorpo verticale, quasi a chiudere un ide-

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Foto 1

L’Ostello dopo

l’intervento di recupero

Vista d’insieme dal tamburodella cupola della Cattedrale.

Foto 2

L’ex CarcereMandamentale prima

dell’intervento di recupero

Sullo sfondo

da valle della scalinatadi via Fratelli Bandiera.

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biente esterno al nostro complesso.Questo aspetto è rafforzato anche dal-le funzioni che vengono date al pianorialzato. Infatti, tra l’ingresso nord equello est vengono inserite tutte le fun-zioni che possono servire alla comuni-tà intera, cioè ristorante, self-servicecon rispettive cucine, sale ricreative;questi spazi si adattano, anche tipolo-gicamente, visto che nel vecchio mo-nastero questi erano gli spazi destinatialle attività collettive.L’ingresso del vecchio ospedale rima-ne tale e subito in prossimità di questosi collocano la ricezione, il bar e alcunilocali soggiorno. Procedendo poi versoovest ci sono gli spazi dedicati alle atti-vità socio-culturali, la sala proiezioni ela sala conferenze ricavata nei localidell’ex chiesa.Il corpo di nuova edificazione ha unaforma ad U e, con il corpo preesistente,come già detto, forma una corte-giardi-no realizzata in pendenza; all’interno diquesta si ricava una gradonata centra-le, utile per piccole manifestazioni al-l’aperto.Il corpo ad U è costituito, a partire daovest, da un piano occupato dalla salaespositiva che prosegue nel lato cen-trale della U; qui grazie alla pendenzadel terreno diventa a due piani; il pianoinferiore è costituito da uno spazio por-ticato, che all’occorrenza può diventareun piccolo palcoscenico; la coperturacalpestabile diventa così un percorsopanoramico. Il terzo lato è costituito in-vece da un corpo di quattro piani: i pri-mi due servono innanzitutto al comple-tamento dei percorsi pubblici dove ven-gono inclusi al piano terra le bottegheartigiane e al primo piano gli uffici cheassolvono funzioni di tipo turistico; al-

Foto 3

L’ex Carcere Mandamentale

prima dell’interventodi recupero

Vista dall’alto della zona di

accesso principale; danotare sullo sfondo il

panorama della città di Noto

con in primo piano la cupola

e la copertura dellaCattedrale distrutte dal

crollo recente.

Foto 4L’ex Carcere Mandamentale

prima dell’intervento

di recupero

Vista della zona di accessoprincipale.

Foto 5

L’ex Carcere Mandamentaleprima dell’intervento

di recupero

Vista dell’angolo a valle

lungo la scalinata di viaFratelli Bandiera.

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ale percorso cittadino. Quest’ultimo siarticola ulteriormente perché si ha pos-sibilità, al piano terra, di girare attornoalla corte-giardino, passando per unpercorso all’occorrenza espositivo, finopoi ad immettersi all’interno del giardi-no. Al piano superiore invece si ha lapossibilità di fruire di un vero e propriopercorso panoramico che si conclude,come già detto, in prossimità dell’in-gresso della chiesa.Il progetto tende quindi ad una ridefini-zione del complesso attraverso l’as-sunzione di alcuni temi di architettura,emersi dall’analisi della città, quali lacorte e la strada interna.Si è fatta molta attenzione all’uso delmateriale da utilizzare nella nuova edi-ficazione: la struttura verrà realizzata incemento armato, mentre i rivestimentisuperficiali utilizzati sono la pietra dataglio, liscia e martellata a fasce alter-ne che riveste tutte le parti dell’edificioche hanno un carattere pubblico e l’in-tonaco, utilizzando le sabbie tipichedella zona, quale finitura dei corpi pro-pri dell’albergo.

Distribuzione funzionale.

Le scelte tipologiche e funzionali delprogetto corrispondono a due obiettiviprioritari:— riqualificazione urbana, cercando inquesto modo di arricchire l’ambientedella città superiore povero di struttureemergenti rispetto a quella inferiore;— rispondere alla domanda ricettiva,che come abbiamo visto è pressochénulla nel centro storico di Noto.Per quanto riguarda il primo aspettoabbiamo visto come si è tentato di ren-dere più continuo il rapporto con l’am-

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l’estremità di questi è situato il corposcale che collega il complesso col par-cheggio sottostante e con la coperturarisolta a terrazza panoramica. Gli ultimidue piani vengono utilizzati invece perle camere dell’albergo, tutte ad un po-sto letto. I locali di servizio e quelli tec-nologici vengono ricavati in un corposituato davanti alla preesistenza chechiude la U consentendo così la conti-nuità del percorso panoramico nei lo-cali sotto la sala a sud del ristorante.Il primo piano, fatta eccezione per alcu-ne sale comuni è interamente dedicatoalle camere da letto, avremo così trecategorie di camere:1 - stanze ad un posto letto e servizio(n°24);2 - stanze a due posti letto e servizio(n°13);3 - stanze alloggio a due posti letto eservizio (n°11);per un totale di 72 posti letto. Anche inquesto caso la tipologia dell’edificio èrispettata, visto che questo piano eradestinato a dormitorio.L’edificio delle Carceri Reali, con i suoigrandi ambienti, si presta meglio ad unaltro tipo di turismo; senz’altro adun’utenza più giovane. Si è scelto quin-di di utilizzare l’edificio come ostello. Laparte amministrativa di ricezione equella comunitaria è posta alla sinistradell’ingresso, sul lato est, mentre le ca-mere e i servizi igienici sono ricavatinei rimanenti ambienti.L’unica modifica apportata su questo pia-no consiste nell’unire, a modo di cernie-ra, con un affaccio, la vecchia passerellacon l’unico balcone, realizzando unapiccola zona panoramica.Nel piano inferiore viene ricavato un col-legamento orizzontale tra gli ambienti,

Foto 6L’Ostello dopo l’intervento

di recupero

La scala di collegamentodel resede inferiore

con il cortile dell’Ostello.

Fonti bibliografiche:

Corrado Latina, Noto: un centro storico fraemergenza e ipotesi di recupero, in Recuperare,n°47, 1990, pp. 256-265.Stephen Tobriner, La genesi di Noto, Ed. Dedalo,Bari 1989L.Dufur, H.Raymond, Dalle baracche al barocco,A. Lombardi Editore, Siracusa 1990.Corrado Sofia, Noto - le pietre sacre del barocco,Electa, Milano 1991.Corrado Fianchino, La fabbrica barocca, Ed.Netum, Noto 1991Luigi e Salvatore Di Blasi, Noto l’immagine,Zangara Stampa, Siracusa 1997.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE

DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONEDELL’ARCHITETTURA

TESI DI LAUREACentro ricettivo a Noto

RELATORE: prof. Rosario Vernuccio

C.RELATORE: arch. Stefano Martinelli

AUTORIarch. Paolo Martorano, arch. Massimo Mortelliti 6

visto che questo piano ne era sprovvi-sto; inoltre nel lato ovest viene utilizzatoun’altro ambiente, prima interrato, doveandranno situati i locali igienici; il sog-giorno viene ricavato dove prima era si-tuata l’aula scolastica; il cortile diventauna terrazza che si affaccia sulla città.Nelle camere vengono inoltre ricavatidei soppalchi dato che l’altezza degliambienti lo consente. Ricaviamo così,circa 50 posti letto. Nel corpo verticale,a sud, vengono ricavati i locali tecnici eadiacente a questo viene situatol’ascensore che conduce al piano supe-riore tramite la passerella.

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Foto 7L’Ostello dopo l’intervento

di recupero

Una camerata al livellosuperiore aperta

direttamente sulla cupola

della Cattedrale

in corso di ricostruzione.Foto 8

L’Ostello dopo l’intervento

di recuperoIl cortile aperto sul

panorama della città.

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TESTIMONIANZE: VENEZIA, SARNO, CARPI

Maria Grazia Eccheli

Premessa

Un Dipartimento Universitario a Vene-zia, un Sistema di Scuole Secondarie aSarno ed una tesi di laurea per unaScuola di Specializzazione a Carpi: for-se è soltanto casuale che i progetti quipresentati siano, pur di diverso ordinee grado, delle scuole.Ma è certo che se l’individuazione delcarattere proprio dell’edificio pubblico

costituisce, nella privatizzata cittàodierna, uno dei problemi fondamentaliper una architettura che si voglia “civi-le”, l’edificio scolastico si presta parti-colarmente ad approfondire, senza unalibi credibile, la crisi attuale dell’archi-tettura a farsi interprete dei carattericollettivi della città.Forse proviene da qui - dalla particolarenecessità per un edificio destinato al-l’istruzione di attingere anche ad unarappresentazione della propria naturacollettiva - la tensione, comune a questiprogetti, ad una certa didascalicità ri-spetto al tema. Non è solo l’Istituto delConcorso (l’occasione di questi proget-ti) e la sua natura in fondo agonistica acostringere - positivamente, secondonoi, purché non si trasformi in uno sbri-gativo avvallo di mera diversità - ad unaradicalizzazione della proposta, ad unasorta di tipizzazione, ma anche, nel no-stro caso, l’evidente ricerca del valorepropriamente costruttivo di una possibi-le, anche soltanto intuita, norma o “ re-

gula” che vada oltre, se non contro, leaspettative stesse dell’Istituzione.Un secondo elemento comune ai lavoriche si presentano è il loro cosciente eaperto misurarsi con la città antica: siache si trovino in luoghi, ad essa interni,la cui ragion d’essere rispetto alla sin-tassi urbana sia stata incrinata da tra-

sformazioni più o meno recenti e cheattendano dal progetto una sorta di ri-sarcimento; sia che si trovino in luoghiesterni in cui debba essere fondata pro-prio la plausibile necessità del loro stes-so apparire. In entrambi i casi, tali luoghimanifestano l’esigenza di un loro sensorispetto alla città intera.È proprio tale valore relazionale dei luo-ghi che i progetti assumono come pro-prio elemento maieutico. In realtà si trattadi un confronto impari e quasi sempreperdente, ma che si ritiene necessarioed insostituibile perché, oltre a trasfor-mare il processo di progetto in un ap-prendimento continuo dei tratti strutturalidella città e a fondare le possibili normedi una sua continuazione (non necessa-riamente lineare), esso impone allo stes-so tempo un riesame degli stessi fonda-menti del progetto moderno.Dal punto di vista della localizzazione, iprogetti per Venezia e Sarno sono traloro complementari.Mentre la Scuola veneziana si trova al-l’interno di un sistema urbano di talecomplessità storica e formale da avercostituito da sempre una impietosapietra di paragone per il progetto mo-derno, l’edificio di Sarno si vede co-stretto, da insindacabili criteri di tecni-ca geologica, ad un forzato isolamentorispetto alla città di appartenenza.È tuttavia l’assunzione a tema, ancoraprima della destinazione, proprio dellalocalizzazione dell’edificio, vale a diredel suo necessario rapporto con l’insie-me della città, a costringere ad unascelta didattica se non didascalica diforme: la volontà di ritrovare nella disa-mina progettuale l’imprevista disponibi-lità e necessità stessa di soluzioni giàconosciute, già sperimentate e, per

questo, quasi al di fuori del tempo. Sivorrebbe declinare sul luogo soluzioni,almeno intenzionalmente, definitive.A tale scopo il progetto per Venezia sce-glie di misurarsi con giaciture più antichedi quelle che reggono gli edifici che locircondano e che ora sono sepolte sottoincredibili volumetrie: sceglie cioè di por-si nelle condizioni stesse dell’originedella città. Condizioni che a Venezia,data l’“innaturalità” del sito, sono già unacreazione della città e forse la spiegazio-ne dell’inscindibile unione di architetturae natura. Ma non si tratta di una sceltameramente archeologica: l’edificio si svi-luppa ricorrendo agli elementi testimonidi una Venezia reale (la declinazione inacque veneziane del Palazzo, l’invenzio-ne della “scuola” veneziana, il più evoca-tivo tra gli edifici della sua storia...) e siaffida, alla ricerca di un principio di unitàdell’insieme, alla implicita e cogente nor-matività di un frammento di morfologialagunare.Sicuro di tale (faticosissima) relazione,l’edificio non vorrebbe dire nulla sull’atte-sa (ormai spasmodica e a cui viene or-mai ridotta l’intera complessità proget-tuale del progetto) di un’immagine: nelsenso che l’edificio può quasi “omettere”i suoi fronti. Ma l’omissione, com’è noto,è tutt’altro che rinuncia. In realtà il proget-to affida, in un certo senso, alla città stes-sa il proprio compimento: demanda allacompresenza della città la risoluzionedei suoi stessi problemi.Non a caso: Venezia ha sempre con-servato compresenti le leggi formalidella propria crescita, non sai se causaod effetto di una straordinaria fissità ti-pologica. Poche città possiedono lapossibilità di tale visione sincronica delproprio processo storico: i severi edifici

dei “proti” vi convivono accanto all’ope-ra che segna il tempo, in un rapportovicendevole di mutua e necessariaspiegazione. Il prospetto famoso di SanMarco nasconde, in qualche parte vici-no all’abside, gli arconi di scarico dellaproto-Venezia/Alessandria belliniana. Eforse non è un caso che la facciata del-la Scuola Misericordia rifiuti ogni “finito”– fosse anche la forma palladiana -, ri-fiuti cioè ogni determinazione stilistica.Un tale distacco dalla forma, quasi unasospettosa difesa che può rendere ra-gione della “moralità” delle pietre di Ve-

nezia individuata da Ruskin, può diven-tare un procedimento di logica formaleche la cultura architettonica più avve-duta e cosciente ha già additato comesoluzione possibile per un “tempo diprivazioni”.Il progetto si limita a creare la possibili-tà e una prova della legittimità stessadel procedimento appena descritto: l’ir-razionalità dei confini del lotto a dispo-sizione viene utilizzata per trasformarei limiti esterni in una casuale sezione diuna struttura interna, su cui meno esi-gente sia l’aspettativa di una “rappre-sentazione”.Nel caso di Sarno il progetto è come so-verchiato dalla responsabilità che gli de-riva dal forzato isolamento dalla città.L’impossibilità di istituire una qualchedialettica con l’esistente, tuttavia, nonesime il progetto dal ricercare una rela-zione con l’antico insediamento che siaragione del suo stesso apparire.Data la complessità stessa di un pro-gramma che prevedeva un insieme discuole, la soluzione forse più immedia-ta di un frammento di “tessuto” o di unacomposizione di più edifici si sarebbeconfusa con i lacerti dell’incipiente

espansione: per questo la soluzioneviene vista piuttosto un unico edificio acostituire la stessa spiegazione di que-sti ultimi.Di qui la scelta di evocare il paradigma-tico ruolo delle certose suburbane, chenel loro orgoglioso e altrettanto forzatoisolamento nondimeno sono sempre,nel loro declinare segni inequivocabilid’appartenenza, una prefigurazionedella città di cui costituiscono l’isolatoavamposto nella campagna: Pavia,Parma, Firenze...Proviene da qui il ricorso ad una formatipica di ogni atto di fondazione che ca-ratterizza quei tipi di edifici - compresala loro utopica e quasi astorica idealità-, e che sembra riassumere nella suasemplicità la sacralità di ogni inizio,nella speranza di attingere ad una ge-neralità che renda secondaria la con-tingenza dello stesso programma. Sitratta in fondo di una figura da agrimen-sori, preoccupata di istituire, o di rap-portarsi con un disegno dei campi chesi confonde con l’immagine stessa del-la città mediterranea. Ed è sorprenden-te che alla fine il progetto ripeta in sestesso la stessa forma dell’insedia-mento della città cui appartiene.A riscattare l’edificio da questo a-prioriformale - si tratta ovviamente di unasperanza prima ancora che di un’inten-zionalità - è forse la naturalezza con cui,secondo noi, l’edificio può risponderealla complessità del bando (il legamecon il sito, la relativa indipendenza delletre scuole, il ruolo comune dei servizisovrascolastici e degli impianti sportivi)semplicemente sviluppando l’implicitoordine tassonomico della crociera, lasua immediata capacità di tradurre invalore collettivo dei nessi distributivi.

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Nuova Sede IUAV

Relazione

“...Venezia, pur in una eccezionale si-tuazione geografica, mette a punto unsistema urbano che prescinde da ogninaturalismo per proporre una organiz-zazione della città in sé...”(Aldo Rossi)

Principi del progetto

Troppo grevi e paralizzanti le mitologieche strutturano la “forma urbis” venezia-na per non essere costretti a ritornare,letteralmente, alle sue fondamenta. Èdel tutto risaputo come le fondamentaveneziane costituiscano l’elemento dia-lettico della declinazione nel tempo diuna identica volontà costruttiva.E il progetto non vuole essere altro:vuole riscoprire - come del resto è sem-pre avvenuto nella storia della città - an-tichi tracciati come condizione stessadel “nuovo”, riscoprendo le “palificazio-ni” originarie in un atto che non sai se dipura economicità o non piuttosto di in-veramento di una vocazione della cittàverso criteri di certezza, sui quali possaadagiarsi il trascorre del tempo ed ilmutare delle esigenze della città. Unastoria profonda e quasi indifferente agli“stili” che incarnano le grandi stagionidella Serenissima.Questo è il senso, si crede, della cita-zione di Aldo Rossi.Nell’area del progetto si scontrano duegiaciture: non tanto geometriche quan-to storiche. La prima, a fronte del“Campiello dell’Oratorio”, segue la leg-ge fondamentale della città che dispo-ne allineamenti e giaciture perpendico-lari al fronte d’acqua (Rio di San Nico-lò), mentre la seconda, pur nel suo

apparente principio d’ordine, è piutto-sto tesa da inverare volumi e misuredell’atopicità del moderno. Sepolte al disotto dell’inverosimile volume dei Ma-gazzini Frigoriferi, si incrociano duedestini della città.Scelta principale del progetto è di ri-portare alla luce (quasi come unico suo

fine espressivo) la prima giacitura, pro-lungando così fino al Canale della Giu-decca i principi costruttivi della cittàstorica. Tale giacitura struttura l’interoprogetto: essa viene delimitata, tutta-via, dalla indifferenza delle linee cata-stali del lotto a disposizione.

L’Edificio

nell’Area dei Magazzini Frigoriferi

Il nuovo edificio è costituito da una cor-te allungata che un atrio centrale, com-pletamente trasparente al piano terra,divide in due parti asimmetriche.A conformare il nuovo edificio è undoppio principio tassonomico delle fun-zioni richieste dal bando di concorso.Al piano terra (ripetendo in questo unadistribuzione canonica degli edifici del-la città) si trovano tutte le funzioni in di-retto rapporto con l’esterno, mentre lefunzioni didattiche si svolgono ai pianisuperiori.Il piano terra possiede inoltre una se-conda gerarchia: infatti la Sala Confe-renze e l’Auditorium, pur annessi allanuova Sede Universitaria, sono resi daquesta indipendenti mediante un qua-drivio di “calli” che si inoltrano all’inter-no del lotto.L’Auditorium è pensato come una“scuola veneziana”: un’unica sala, po-sta a livello del primo piano e arredatacon due cavee contrapposte e separa-bili tra loro, che si sovrappone ad un

foyer/spazio espositivo situato al pianoterra e direttamente raggiungibile dal-l’esterno della Sede Universitaria.(La nostra proposta, tuttavia, - essendorichiesto il recupero della volumetriadel “Magazzino sul Rio di San Nicolò”-prevede la possibilità, data la quasiequivalente metratura per piano, diporre su tale sedime la vera Galleriadei disegni. Essa viene unita sia alNuovo Edificio che all’attuale Facoltàda un ponte. Tale Galleria, posta al pri-mo piano, poggia su di un portico chesi attesta sul piccolo prato antistantel’ex Cotonificio).La nuova sede IUAV sui Magazzini Fri-goriferi viene distribuita, a partire dal pri-mo piano, in due corpi contrapposti unitida un atrio centrale. Nel corpo ad Est sitrovano le Aule, mentre il Dipartimentotrova posto nel corpo ad Ovest. Entram-bi i corpi edilizi sono in comunicazionecon una sorta di torre per gli “spazi perincontri di gruppo e seminari” che è po-sta all’incrocio dei due canali.

Il Piano

Coerentemente, si crede, con i principidel progetto, il piano particolareggiatoprevede l’abbattimento della StazioneMarittima ed il recupero del suo volumemediante un edificio posto a testata deiMagazzini Ligabue. Tale edificio, chiu-dendo gli eteronomi spazi dei magazzi-ni, potrebbe contenere tutti gli spazi dicollegamento e di servizio conseguentialla nuova destinazione degli stessi.Occorre ricordare che, in tal modo, si hala possibilità di ricostruire, almeno in lun-ghezza, i distrutti Granai di Terranova.Senza contare che tale nuovo fronte sicompone con il fronte della NuovaSede IUAV, mettendo in risalto, all’in-

Concorso per una nuovasede IUAV nell’area dei

Magazzini Frigoriferi

a S. Basilio (Venezia)

Maria Grazia Eccheli,

Riccardo Campagnola

con Maria Chiara Arvedi,Hermes Gabrielli

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terno di un lungo profilo ininterrotto,l’unicità della nuova corte di progetto.La volumetria rimanente della Maritti-ma, viene ridistribuita in una edificazio-ne sia lungo la “Salizada San Basegio”(per contenere la differenza di quota trala città antica ed il bordo della Giudec-ca) che lungo il “Rio di San Basegio”.Solo il convento di San Sebastiano ri-mane in diretta connessione con il ver-de che costituirà il rimanente dell’area.

Il Carattere

Il nuovo progetto risulta composto diframmenti di una Venezia al di fuori deltempo. La giacitura longitudinale deimuri posta perpendicolarmente alle vied’acqua, le stesse diverse citazioni dicui si compone l’edificio, l’aria dimessaed orgogliosa ad un tempo dei “fonda-ci” della città storica, la declinazionedell’edificio pubblico in acque lagunari(le “scuole”), la distribuzione per fun-zioni sovrapposte, la problematica dei“difficili siti loro” di un Palladio o di unSanmicheli... Al di là dei raggiungimen-ti, tali intenzioni si credono sostanzialial progetto di una nuova Facoltà di ar-chitettura.

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Concorso per la

Città della Scuola

a Sarno

Maria Grazia Eccheli,

Riccardo Campagnola,

con Daniele Dalla Valle,Hermes Gabrielli e

Alessandro Scarnato.

“Topografie Mediterranee”

Relazione

Il Problema

Racchiusa tra due linee ferroviarie edelimitata da due strade provinciali,l’area del progetto palesa una totaleastrattezza nei confronti della formadella città (astrattezza riconosciuta dalbando stesso allorché ne demanda icriteri di scelta a motivazioni di naturageologica).L’area, inoltre, è divisa in due da unalottizzazione che s’incunea nella suaforma, quasi a rendere evidente unadualità già presente nella diversità del-le giaciture dei campi sulle due rive delRio Palazzo.A fronte di tali contraddizioni e poichési crede che il progetto non possa ri-nunciare ad istituire un fondato rappor-to (un giudizio) con la città cui appartie-ne - e tale rapporto costituire il nucleooriginario della successione delle suescelte - il nostro progetto assume a pa-radigma la forma stessa di Sarno: unquadrivio tra l’andamento pedemonta-no della strada principale e la giacituraad essa perpendicolare della strada-piazza che ordina la sua prima espan-sione verso la piana.Tale assunzione delle forme e dellegiaciture della città all’interno del pro-getto vuole fondare una possibile dia-lettica con l’esistente con un obiettivod’ordine e di indirizzo delle trasforma-zioni future della città stessa (una virtùche un buon progetto dovrebbe sem-pre palesare come parte della necessi-tà della sua stessa apparizione, dellasua “raison d’être”).È per tal fine che il nostro progetto si

presenta come un unico edificio : unedificio che vuole superare la pura ad-ditività del programma e far coincidereogni possibile morfologia nell’unicum

di una struttura - di un tipo -: soprattuttoper rendere più immediato e attingibilequello che per noi rimane il problemapiù difficile richiesto dal tema di proget-to, vale a dire il suo carattere collettivodi grande architettura civile (un classi-co termine divenuto ormai quasi in-comprensibile)Le tre scuole, assieme alle loro funzio-ni comuni disposte nel quarto braccio,si dispongono così a formare una cro-ciera: tale tipo, che affonda nei secolila propria legittimazione, rivela una in-sospettabile attualità nel trasformare lasua intrinseca tassonomia funzionalein una sorta di autorappresentazionedel progetto a se stesso.Il risultato - quattro isolati di misure ca-noniche e collaudate nella tradizionedella città disposti a formare un quadri-vio - se richiama la teoria della città ro-mana, estende la sua capacità evocati-va anche ad edifici (pensiamo ad un in-compiuto Albergo dei Poveri piuttostoche alla Reggia di Caserta) che incar-nano quasi l’immobile evolversi nel tem-po di una astorica città mediterranea.

Descrizione

La tassonomia fondamentale con cui siidentifica il progetto vuole essere la tra-sposizione del programma dato.Ognuna delle tre scuola è formata dadue corpi edilizi di tre piani che, a parti-re da un atrio di ingresso, individuanouna strada interna.Al piano terra si trovano i laboratori (indiretta comunicazione con l’esterno econ gli spazi liberi del progetto), men-

tre ai due piani superiori si allineano leaule divise in quattro sezioni di cinqueaule ciascuna.Gli edifici delle tre scuole si attestanosu due corpi bassi, simmetrici all’in-gresso, che contengono la direzione ele funzioni in immediato contatto conl’esterno.Componendosi tra loro gli edifici scola-stici formano i tre bracci della crociera.Il quarto braccio è costituito dall’edifi-cio delle funzioni comuni ai tre istituti(mensa e biblioteca), a sua volta inne-stato sul corpo basso della direzionedidattica.In tal modo i tre edifici, indipendenti eciascuno con un proprio ingresso, sonocongiunti tra loro dalla strada internache diviene così il luogo in cui l’edificiosi rappresenta e diviene intelligibilecome unità: un grande interno che su-pera la disparità delle funzioni (chi nonricorda la descrizione della cattedraleHegeliana?). La strada è costituita daicorridoi colonnati che si sovrappongo-no al muro continuo del basamento deilaboratori: al suo interno piove la lucedall’ultimo piano, una terrazza scoper-ta con finestre vuote che si aprono sul-le quattro direzioni del paesaggio.L’immagine complessiva è quella di unluogo chiuso, quasi fortificato, in cui gliedifici interni degli spazi didattici s’in-nalzano sul basso corpo perimetrale.Tale edificio perimetrale, attestato sulcorridoio che racchiude le grandi cortia verde, è disponibile a futuri amplia-menti delle scuole stesse, data la labili-tà temporale (una preoccupazione pre-sente nel bando del concorso) degli at-tuali ordinamenti scolastici.Una delle strade interne dell’edificio(quella formata dalla Mensa e dalla Bi-

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blioteca) si prolunga all’esterno in dire-zione del Rio Palazzo ad ordinare edunire alla scuola le funzioni che il pro-gramma vuole a servizio anche “delterritorio”: l’ auditorium e la palestra .Si ottiene così che le funzioni “sovra-scolastiche” si trovino distribuite dauna strada porticata (deposito di bici-clette) che raccoglie l’unica indicazionemorfologica offerta dalla città al proget-to: la piccola strada che attraversa lalottizzazione che s’incunea nell’area diprogetto. Tale strada, per il suo caratte-re secondario, può divenire l’elementodi unione tra il progetto e l’area a verde(elementi sportivi?) che si trova nell’an-golo nord-ovest in diretta connessionecon la città.Palestra ed Auditorium sono statistudiati per un accesso sia dall’internodella scuola che dai due parcheggi sucui si attestano. L’accesso previsto dalPRG, infatti, è stato modificato per di-stribuire sia i tre ingressi delle scuoleche per raggiungere i posteggi in corri-spondenza delle due funzioni “a livellodel territorio”.Il ponte porticato che attraversa il RioPalazzo è parso indispensabile perstabilire l’unione delle aree di pertinen-za della scuola, nonostante la loro fisi-ca divisione.

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Tesi di Laurea

“La riscrittura dellaCittadella di Carpi”

Relatore:

Prof. arch. Maria Grazia Eccheli

Candidato:

Franco Rebecchi

Anno Accademico 1997-98

Carpi: la forma della città

In un antico disegno cinquecentesco,attribuito all’ingegnere Terzo de Terziredatto a conclusione del cantiere dellemura, sembra essere riassunto il carat-tere storico della città e il suo destino dicittà ideale voluta dal Principe AlbertoPio III.Pochi segni ne fissano le architetture: lemura fortificate con i bastioni e le portedifendono e definiscono i limiti fisici egeometrici, le chiese-convento degli or-dini mendicanti indicano le dimensionidei borghi, le architetture monumentalidel Castello dei Pio, della Cattedraledella Collegiata e del portico, segnano ilgrande vuoto urbano della piazza cen-trale, elemento ordinatore dell’idea rina-scimentale della città.All’origine di questa semplice figuraspaziale sta la ricostruzione di un “foroall’antica” che ingloba la città medioe-vale e la trasforma in una nuova cittàidealizzata rispondente non solo a ne-cessità concrete ma anche a quellaidea figurativa di rilettura dell’anticoche l’accomuna al processo di “renova-tio urbis” di tante città italiane, (adesempio il disegno di piazza ducale aVigevano).L’antica cittadella (X-XI sec.) “castrum

Carpense”, eretta originariamente a di-fesa del primo insediamento carpigia-no, racchiudeva al suo interno architet-ture rappresentative quali la Pieve di S.Maria, il Castelvecchio e le residenzenobiliari.La Cittadella, ormai non più risponden-te alle nuove esigenze autorappresen-tative del piccolo feudo autonomo, di-venta matrice dello spazio monumen-tale ( l ’at tuale Piazza Mart i r i ) : lapianificazione rinascimentale individua

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nelle mura occidentali e nel vasto spa-zio dei terrapieni l’asse su cui ribaltarel’originaria piazza.Le residenze nobiliari, la Torre dell’uc-celliera, la Torre del Passerino vengo-no inglobati e trasformati nel Castello-Palazzo che dominerà il Nuovo “Foro”.A completamento del nuovo sistemamonumentale le case di fronte al “Pa-lazzo” vengono unificate dal PorticoLungo, a nord il Duomo e a sud il Porti-co del Grano concludono la scena.Un frettoloso disegno concluderà poiparte della Pieve (il rifacimento dellafacciata sarà opera di Baldassarre Pe-ruzzi) per trasformare la “piazza delgioco del pallone” in “piazza d’armi”.Eppure la cittadella, nonostante l’emar-ginazione dalla nuova idea di città, no-nostante demolizioni e sovrapposizioni,sembra aver conservato una sorta di di-fesa dei suoi caratteri originari.Il tema di tesi “una scuola di Design delTessile”, individuando la cittadellacome luogo di progetto si incarica:- di risarcire la città del suo nucleo ori-ginario;- di restituire alla vita della città queglispazi degradati tra l’imponenza del“Palazzo” e la nuova inadeguata recen-te espansione della città;- di ricostruire un frammento di storiadella città evocando immagini storicheche possano restituire anche il sensodella sua stratificazione e complessità;- di recuperare un rapporto più plausi-bile con il foro carpense.Il “Castelvecchio” e l’annessa “Sagra”sono accolti al proprio interno come ele-menti della composizione, frammenti daricomporre tramite segni contempora-nei, rovine da cui carpire l’ordine natu-rale delle cose. Il progetto, aderendo al

programma funzionale della scuola diDesign, individua nel disegno degli edi-fici collettivi l’occasione di ridefinizionee rivitalizzazione dell’antico cuore dellacittadella (la “piazza del gioco del pallo-ne”). L’Auditorium e la Biblioteca sonopensati come addizioni del Castello Tre-centesco, la loro autonomia formaledettata dagli antichi allineamenti della“centuriazio carpense” rende anchepossibile un loro utilizzo aldilà dell’ora-rio della Scuola.A nord a conclusione del sistema degliedifici collettivi la galleria ripercorre ilsegno delle mura.L’intero sistema di corpi di fabbrica ecorti aperte sono percorribili al pianoterra - dalla piazza rinascimentale allapiazza della cittadella alle corti internedel progetto, - amplificando quel carat-tere di “città continua” ritrovabile adesempio nel sistema dei cortili dell’uni-versità di Pavia.

Il Castello Trecentesco, “Castellovec-chio” restaurato è pensato come sederappresentativa della Scuola: presi-denza, studi dei docenti, uffici ammini-strativi e segreterie degli studenti.L’altezza del suo loggiato detta la quotadel “piano nobile” di tutto il sistema del-la “Scuola”.

L’Auditorium, è pensato al piano terracome un grande atrio ipostilo racchiu-so tra due ali dove si trovano la caffet-teria e piccoli spazi commerciali.Al piano superiore la grande aula (ca-pienza di 500 persone, sdoppiabile indue aule gradonate contrapposte), è col-legato alla scuola dalla “strada coperta”.Al secondo piano le ali che la perime-trano diventano logge.

La Biblioteca, posta tra l’Auditorium ela Galleria, presenta una grande atrio-sala lettura a triplo volume con ballatoiche distribuiscono i due corpi longitudi-nali dove sono previsti stanzette per lostudio individuale, depositi dei volumi,biblioteca specializzata, ecc.

La Galleria espositiva , che ridisegnale mura a nord della Cittadella, è divisadalla Biblioteca da un doppio murodove si trova il sistema dei collegamen-ti verticali.Al piano terra la “galleria” segna la suapresenza a partire da una nuova PortaUrbana d’accesso alla piazza.Si può raggiungere il “piano nobile” an-che dalla scala esterna che, posta ver-so la piazza rinascimentale, supera at-traverso un ballatoio la “porta della cit-tadella”.

La “Strada coperta” parallela allapiazza distribuisce tutti gli edifici dellascuola, dalla Galleria fino ai giardini del“Castelvecchio”. Elemento ordinatoredi tutto il sistema scolastico al “PianoNobile”, (permeabile al piano terra),essa racchiude al suo interno tutti glielementi distributivi verticali.

Le Aule e i Laboratori, edifici a pettinedisposti perpendicolarmente alla “stradacoperta” compongono un tessuto di cortiinterrotte sul lato est, laddove la stradaha cancellato ogni traccia delle mura.A sud questi edifici sono ombreggiatida logge in ferro colorato.

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I concorsi di architettura costituisconouno strumento di straordinaria efficacianello sviluppo di una didattica finalizza-ta al progetto. In primo luogo perché ilconcorso propone sempre un tema rea-le vincolato dalle esigenze di un bandoche costituisce un quadro di riferimentocerto, in secondo luogo per la possibilitàdi verificare attraverso gli esiti di unacompetizione tra progetti, la qualità el’appropriatezza del percorso intrapre-so. Nel concorso inoltre si individuanonecessità ed esigenze che corrispondo-no alle attese di una committenza svin-colata da quelle ristrettezze operativelegate alla risoluzione di un incaricoprofessionale diretto. Se in quest’ultimacondizione qualsiasi tentativo di inter-scambio con la ricerca didattica rischie-rebbe l’impasse oltre una evidente limi-tazione intellettuale, nella competizioneprogettuale il confronto sul piano delleidee produce una energica azione di sti-molo che costituisce il principale ingre-diente di ogni sperimentazione in ambi-to architettonico.Fortunatamente anche in Italia, dopoanni decisamente contrari alla praticaconcorsuale, si è aperta una fervidastagione di consultazioni tra progettistiche lentamente consolida una tenden-za operativa in grado di porre la culturaarchitettonica del nostro paese al pas-so alle consuetudini europee.L’insegnamento dell’architettura, inmodo particolare negli approfondimen-ti finali degli esami progettuali e nelletesi di Laurea, si è certamente arricchi-to, attraverso questa “nuova” strumen-tazione accolta da studenti e docenticon un’attenzione sempre maggiore,imponendo ad entrambi il confrontocon temi di elevata complessità e di as-

soluta concretezza. Sono molto fre-quenti i casi in cui l’attività dei laborato-ri progettuali si snoda attraverso unbando di concorso che fissa regole epunti di un programma che deve esse-re rispettato, compreso e risolto. Inquesto modo l’attività formativa dell’ar-chitetto supera quell’indeterminataastrattezza che allontana l’insegna-mento universitario dalla realtà, la pra-tica dalla teoria, l’esercitazione archi-tettonica dal progetto di architettura. Inparticolare attraverso il concorso sipossono scegliere anche complessicasi di trasformazione urbana prescin-dendo nella scelta da una articolata epertinente valutazione dell’opportunitàsociale ed economica della trasforma-zione stessa, valutazione implicita-mente contenuta nell’oggetto del ban-do. Il tema può allora essere affrontatomettendo in gioco gli elementi fondatividel progetto, concentrando l’attenzionesulle ragioni più attinenti all’insegna-mento disciplinare della progettazionearchitettonica e urbana, ragioni che af-fondano il proprio sguardo conoscitivosull’analisi del contesto, sulle sue ca-ratteristiche morfologiche e tipologi-che, sulle dinamiche compositive det-tate dalle tracce e dai sedimenti che illuogo stesso è in grado di suggerire. Ingenere tanto più il contesto è comples-so e articolato tanto più è necessariodisporre -o in assenza di questa predi-sporre- di una specifica analisi dellostato di fatto, della sua evoluzione sto-rica, di informazioni dettagliate sull’usoe lo stato di conservazione dei luoghi,di strumenti grafici e fotografici in gradodi rendere congrue le osservazioni e le“misurazioni” sull’esistente.La città, l’intorno, le preesistenze am-

DALL’OSSERVAZIONE AL PROGETTOIL CONCORSO DI ARCHITETTURA COME STRUMENTO DIDATTICO

Laura Andreini

Concorso per la nuova

sede IUAV a Venezia,II fase, 1999.

Laura Andreini,

Marco Casamonti,

Giovanni Polazzi,Silvia Fabi

Nicola Santini,

Giuseppe FioroniFrancesca Privitera,

Paolo Giardiello,

Gennaro Postiglione,

Federica Bissocoli,Faustina Casanova,

Cosimo d’Aprile,

Antonella Dini,Antonella Fantozzi,

Federica Gargani,

Jacopo Maria Giagnoni,

Bettina Gori,Giuseppe Lorusso,

Raffaella Lecchi,

Marcello Marchesini,Giulia Marino,

Monica Niccolini,

Patrizia Padula,Matthew Peek,

Giuseppe Pezzano,

Priscilla Pieralli,

Lara Tonnicchi

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in altopianta piano q. 0.00

in basso

pianta piano q. 3.88

nella pagina precedente

planimetria generale,

pianta coperture

nella pagina a destra

in altovista prospettica dal

canale della Giudecca

in basso

pianta piano q. 11.64

I cinque parallelepipedi

componenti il progetto,apparentemente disgiunti,

in realtà si aggregano

in due unità

che ordinanole necessità funzionali.

Il blocco ad est,

prospiciente il piccolocanale che separa il lotto

di progetto dall’attuale

complesso universitario,

è composto da due volumiparalleli, di dimensione

diversa, tra i quali sono

posizionati i sistemi dicollegamento verticali.

Sul vuoto, illuminato

dall’alto, caratterizzato

dalla presenza delle scalee degli ascensori si

affacciano, da ambo i lati,

i due ballatoi continui chedisimpegnano le aule e

gli studioli dei docenti

disposti su quattro livelli.

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vista prospettica dal

canale della Giudecca

Abbiamo considerato

fondamentale il rapportocon il contesto e, in

particolare, le relazioni

che intercorrono tra

il luogo e il nuovomanufatto architettonico.

Il progetto si propone

quale parte integrantedi questa parte di

Venezia che, rispetto

al tessuto minuto

della città storica,costituisce un’eccezione

essendo caratterizzato

da volumi, quelli deiMagazzini Ligabue,

la cui dimensione è

estranea alla logica

propria del centroantico, coerente

invece con l’area in cui

si interviene a caratterepiù marcatamente

industriale.

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bientali –ritornando su un tema chedopo aver dominato gli editoriali dellaCasabella degli anni cinquanta dovreb-be acquisire una rinnovata autenticità epregnanza- costituiscono i dati ineludi-bili della nostra conoscenza, dati checaratterizzano il DNA di ogni studio ar-chitettonico e urbano, dati senza i qualinon è possibile articolare nessuna ipo-tesi di costruzione di una teoria e in ulti-ma analisi di una necessaria e coscien-te “scienza del progetto”.E affinché questa particolare disciplinascientifica fondata su dati certi e risul-tati sempre variati e diversi, acquisiscauna dimensione metodologicamentecorretta e, conseguentemente, il valoreimprescindibile di un sapere trasmissi-bile, è opportuno, o meglio, è consiglia-bile utilizzare, nei casi di studio, esem-pi emblematici tratti da testi e contestidi chiara intangibile bellezza dove lastratificazione e la sovrapposizionestorica forniscano immediatamente laconsapevolezza che il progetto costitu-isce prima di tutto la risoluzione di untema urbano.Per tali motivazioni le esercitazioni cheda alcuni anni stiamo conducendo coin-volgono sempre aree centrali e signifi-cative escludendo a priori gli interventiin zone periferiche e degradate chepure rappresentano l’oggetto nellamaggior parte dei casi reali legati al-l’agire contemporaneo. Una lettura at-tenta sull’architettura storica, cosìcome una qualsiasi analisi che coinvol-ga la città consolidata, non vi è dubbio,facilita lo studio, la conoscenza e l’os-servazione del contesto, abituando,nelle prassi progettuale, a servirsi delletracce, delle direzioni, delle partitureesistenti come strumento guida e ordi-

natore di un comporre liberato tantodall’arbitrio quanto dall’emulazioneacritica di fenomeni di moda. Inoltre,nella convinzione condivisa 1 che “l’ar-chitettura sia maestra di se stessa” enella, non più ovvia certezza, che lascrittura architettonica si inveri nel dise-gno, appare improbabile chiedere nellafase dell’apprendimento la restituzionegrafica e quindi lo studio, di contestianonimi, monotoni, squallidi, persinovolgari, come purtroppo accade di os-servare in molte fasce di nuova espan-sione. Viceversa attraverso il rilievo e latraduzione in ortogonale di luoghi distraordinario e comprovato valore stori-co-ambientale, quindi architettonico, siinnescano evidenti processi di assimila-zione di idee e manufatti che il tempo haevidentemente distillato; il disegno del-l’esistente non si invera allora in unasemplice rappresentazione, assimilan-do e restituendo attraverso l’accosta-mento di linea a linea, lo studio analiticodi un brano urbano su cui è possibile in-tervenire avendo compreso l’intimastruttura compositiva che ne governal’assieme.Il concorso per la progettazione dellanuova sede dell’Istituto Universitario diVenezia, sul Canale della Giudecca, siinserisce perfettamente in questa visio-ne didattico-programmatica costituen-do un caso di studio che è stato a lungoutilizzato. Per ponderare in modo diret-to il valore della proposta e della conse-guente partecipazione al concorso, èsufficiente scorrere e analizzare alcuneimmagini del progetto che è stato redat-to come guida di una sperimentazioneprogettuale che ha coinvolto studenti edocenti afferenti a più corsi. Forse l’esi-to finale, come è visibile nelle illustra-

sezione longitudinale

sull’auditorium.

Parallelamente all’attuale

sede della Facoltà di

Architettura si disponeil nuovo corpo delle

aule e quello con

le aule seminariali e

gli studioli dei docenti;al di là della piccola

calle, interna al progetto,

si dispongono i tre corpi,leggermente ruotati l’uno

rispetto all’altro,

contenenti le principali

funzioni ad uso pubblico:

bar, ristorante,libreria, sala espositiva,

la grande hall,

sala conferenzee auditorium.

La sala dell’auditorium

si incastra tra due

di questi ultimi volumievidenziando la possibilità,

richiesta dal bando,

di dividerla in duespazi capaci di funzionare

autonomamente.

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zioni che accompagnano queste pagi-ne, è fin troppo viziato dall’esigenza,per il progetto, di assumere un valoredichiaratamente paradigmatico, tutta-via il rapporto tra manufatto e contestourbano segna evidentemente una in-tenzionalità che affonda le proprie radi-ci nella migliore tradizione italiana suglistudi urbani, ultimo originale contributodi una specifica tradizione culturale cheil nostro paese può vantare come patri-monio originale e indissolubile dellapropria identità. Già nella disposizioneplanimetrica, attraverso l’accostamentoparallelo di volumi stretti e lunghi, di-sposti ortogonalmente rispetto al cana-le, è dichiarata la volontà di concepire ilmanufatto come una naturale esigenzadel tessuto a rigenerarsi secondo leproprie consolidate leggi costitutive.Come gli arsenali e tutti i manufatti pro-duttivi che popolano le sponde dellagiudecca anche il nuovo edificio si mo-stra come un ammasso ammattonatoche si specchia nell’antistante MolinoStucky di cui riprende l’articolato e altempo stesso unitario disegno del fron-te. L’ondeggiare e la vibrazione dei varicorpi sull’acqua è mutuata viceversadal traforo singolare della vicina casaalle Zattere di Ignazio Gardella. E seper quest’ultimo il riflesso variegatodell’acqua modula con casualità e ritmola scansione delle finestre e dei decoridi prospetto, nella nostra proposta tuttosi enfatizza in una altalenante variazio-ne dimensionale delle diverse stecchesia in altezza che in pianta realizzando,in questo avanzare e indietreggiare deicorpi di fabbrica, un ampio spazio liberosul canale della Giudecca ed un cam-piello sul lato opposto. I fronti sono inol-tre collegati da una calle che attraversa

sezione trasversale

sul foyer

a destravista prospettica dal

canale della Giudecca

I prospetti che insistono

sul canale della

Giudecca, riescono

a proporre un fronteframmentato la cui

logica non contraddice

gli adiacenti magazzinie, nel contempo,

invita e prepara

al retrostante succedersi

di calli, campi efondamenta che

rendono percettivamente

permeabile la nuovaarchitettura.

1 vedi: G. Grassi, Architettura lingua morta ,Quaderni di Lotus, Milano, 19882 T. W. Adorno, Teoria estetica , Torino,Einaudi, 1975

completamente il complesso suddivi-dendolo in due parti chiaramente indivi-duabili sia in pianta che in alzato; con-seguentemente le due stecche destina-te alle aule per la didattica e le stanzedipartimentali risultano staccate dai trevolumi contenti lo spazio espositivo el’auditorium organizzato su livelli sopra-stanti. Tale suddivisione, oltre a renderepermeabile e attraversabile l’edificio,corrisponde ad una studiata suddivisio-ne delle funzioni concepita in modo taleda isolare le attività legate ad una frui-zione prettamente didattica rispetto alleattività che assumono un valore emi-nentemente pubblico quali l’aula ma-gna, suddivisibile in due aule congressida 250 posti, e lo spazio per mostre edesposizioni opportunamente collocatoal livello del terreno.Dal punto di vista dell’immagine com-plessiva si è cercato di plasmare ilframmentario accostamento dei diversivolumi con un trattamento unitario del-le superfici realizzato attraverso la pre-disposizione di un paramento di faccia-ta in terracotta che emula, tautologica-mente, la struttura filiforme della “tendaalla veneziana”. Con tale meccanismoil progetto ricerca, sul fronte della Giu-decca, quella ricchezza di trasparenzeche caratterizza le bellissime e più su-blimate facciate dei palazzi nobiliariprospicienti il Canal Grande e, attraver-so una sintetica e più icastica ripropo-sizione dei loro eterei trafori, le bifore,le trine marmoree, l’essenza di un con-testo architettonico che affonda le pro-prie radici nell’arte e nella cultura bi-zantina. Tuttavia l’insieme è legato al-l’immagine di un grande paramento incotto che rivela la propria “inconsisten-za” materica solo se osservato da op-

portuni angoli visuali o durante le orenotturne dove l’intera facciata scompa-re in un controcampo di luci. Una sortadi messa in scena della città dove l’os-servazione e il ri-disegno del contestoguidano la composizione e le diversearticolazioni, planimetriche, altimetri-che e superficiali; un’osservazione ingrado di trasformare un linguaggio, ne-cessariamente contemporaneo, in unasentita riflessione sui valori permanentidi una tradizione che mostra, attraver-so il nuovo, tutta la propria efficace vi-talità, poiché, come ha acutamente os-servato Adorno “la tradizione non va

negata astrattamente ma criticata sen-

za ingenuità in base alla situazione at-

tuale: in tal modo il passato è costituti-

vo del presente. Niente va accettato ad

occhi chiusi solo perché ora c’è e una

volta è valso qualcosa; però niente è

spacciato solo per essere passato; iltempo da solo non è un criterio.”2

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In questo scritto sarà mia cura volger-mi alle note programmatiche attinential Laboratorio di Progettazione 2, sez.A, nelle quali si afferma il “primato deldisegno” e si postula l’attenzione versola sequenza delle indicazioni teoricheche emergono dai riferimenti della trat-tatistica, intesa come traccia del “com-porre architettura”.Nel delimitare l’ambito del nostro stu-dio si afferma, con l’Alberti, che “l’ar-chitettura nel suo complesso si compo-ne del disegno e della costruzione” po-nendo inoltre attenzione allaasserzione successiva, “... si potrannoprogettare mentalmente tali forme nel-la loro interezza prescindendo affattodai materiali”. La citazione continua de-finendo quel “primato del disegno”, cheassumiamo, in toto, come nostro trac-ciato di lavoro, concepito nella mente econdotto a compimento da personadotata di ingegno e di cultura. Nella ci-tazione si può riconoscere l’eco di piùnuove tautologie relazionate all’impro-babile “eroe positivo” della viva stagio-ne dell’idealismo al nostro inizio di se-colo: a quell’intendente di poesia di cuimolto si è disputato.Nell’Alberti si può leggere una presa didistanza, quasi una nota inespressa dibiasimo, per un comporre, (un architet-tare) e un costruire, frutto degli arteficitoscani: “una ragnatela di architettori edi ingegneri” intenti, a parole, narra ilVasari, a star “sopra il modo di voltar lacupola”, così come eufemisticamentepalesato da quei consoli dell’Arte dellaLana e da quegli operai di S. Maria delFiore che ritardavano il nuovo di ser Fi-lippo per mantenere intatta la gerar-chia dei saperi corporativi, sperimenta-ti ma tardivi e comunque inadeguati

alle attese della fabbrica del Duomo.Alberti poneva in discussione l’assettoconsolidato del ruolo dell’architetto, in-teso come artefice, ma organico ad unsistema di produzione corporativa perproporre la figura dell’intellettuale com-partecipe e protagonista del nuovoblocco di potere. È in questo senso cheegli descrive l’ambito teorico attribuitoalla figura “intellettuale” che il nuovo ar-chitetto incarna: l’autore che progettamentalmente (le) forme... “prescinden-do affatto dai materiali” certo, ma so-prattutto si affranca dalla gestione te-tragona delle corporazioni affermandoun’area di intervento propriamente teo-rico: il “primato del disegno” conseguecome area di conquistata autonoma in-dividualità.Le linee portanti del Rinascimento ri-sultano delineate enunciando principi eteorie che riducono intenzionalmente illegame tra idea ed esecuzione in unaoperazione che privilegia il processo diprogetto astraendosi dai procedimentitecnici consolidati della costruzioneconcreta.Alberti, più avanti nel testo, ci fa avver-titi dell’altro corno del dilemma: “risco-prire l’arte del costruire” inteso peròcome costume morale e non come pro-cesso intrinseco del progetto. Questapresa di distanza, ancora una volta, dàsenso rinnovato al campo della esecu-tività che assume una ulteriore autono-mia: “Il disegno ne è strumento perché,al di là della scrittura architettonica del-l’idea, sviluppa una sua processualitàche è “forma delle relazioni e pertantocompone”.Assumiamo queste enunciazioni, al dilà delle tautologie possibili, per fissareil ruolo tra le teorizzazioni e le esecu-

zioni delle opere, rilevando le intenzio-nalità dell’estensore che privilegia stru-mentalmente, il disegno, come fonda-mentale forma del pensiero architetto-nico tout court esprimendo “idea eforma delle cose” (Vasari).

Si tratta di una strada già esplorata,anni fa, prima e dopo gli anni cinquanta,quando Ernesto N. Rogers espresseuna teorizzazione in qualche modo de-bitrice alla trattatistica rinascimentale,privilegiando (facendosi lui stesso trat-tatista) il rapporto forma/funzione intesocome trasposizione dei termini di bel-lezza/utilità e comprendendo implicita-mente, nella seconda aggettivazione, lafirmitas. Un procedimento analogo, ri-tengo, a quello sinteticamente enuncia-to nell’esordio albertiano.Quella proposta mirava recuperare,alla cultura del Movimento Moderno,una parte della trattatistica espressanella temperie culturale delle avan-guardie, segnando una via di riaffer-mazione dei valori della storia, in tempinei quali la palingenesi era la premes-sa per la formulazione di nuove defini-zioni all’interno del rapporto di forma-lizzazione canonico.È la ricerca sulle evoluzioni del lin-guaggio architettonico che lo coinvolgein prima persona. La trattatistica indica,nell’arco del suo pensiero, un nodo ap-plicativo, tra teoria e progettualità cheRogers riuscirà, nei suoi primi anni diinsegnamento, dal 1952 al 1955, a dif-fondere dal pulpito della disciplina Ca-ratteri Stilistici e Costruttivi dei Monu-menti. E questo programma rimarràinalterato fino alla formulazione deitemi successivi, sulle preesistenze am-bientali, riferiti alla sua propria elabora-

zione di progetto.La definizione degli aspetti del moder-no, alla luce della problematica roger-siana, rimanda (siamo nel 1954) allasuccessiva elaborazione sui temi dellatradizione nazionale. Un avanzamentoteorico ormai conflittuale, almeno nelleenunciazioni, rispetto alle idee consoli-date del Movimento Moderno. Una in-dicazione tematica che in questa sedemi limito ricordare in quanto non perti-nente rispetto all’argomento che stia-mo indagando, ma che richiamo per ri-cordare il riverbero culturale di portatagenerazionale del tema, -la contingen-za che prende il sopravvento- rispettoagli sviluppi successivi dell’architettu-ra. Ma a questo proposito voglio sottoli-neare, comunque, come Rogers per-seguisse, sia nelle prime indicazioniqui esposte, di carattere teorico, sia inquelle immediatamente successive,più riferite al dibattito cogente -quellodella costruzione- una comune adesio-ne ai temi della storia fissando, da lì, inmodo riconoscibile, il percorso intra-preso dal mondo dell’architettura eche, osservato ormai a distanza dianni, stabilisce la sua coincidente e di-rezionata strada alla progettazione del-la Velasca. (E poi del museo del Ca-stello).Assistiamo ad una finalizzazione deitemi indagati; la storia, la tradizione, illuogo, la città, volta ad una nuova prati-ca della progettazione, intesa questa,come “risoluzione” del momento storicoattraversato. Un processo che si poneall’interno dell’assunto albertiano recu-perando, tra idea ed esecuzione, princi-pi di coerenza e di concretezza.Come abbiamo già sottolinato, la suaattività didattica inizia mostrando -degli

A=f(U,B)

Aurelio Cortesi

elementi del fenomeno architettonico-le definizioni e i significati terminologi-ci, saggiando però, di volta in volta, ilimiti dei propri settori, affinché risultas-se evidente -quasi una trama- la deli-mitazione del campo disciplinare e ilsuo continuo dilatarsi problematicod’orizzonte. Un testo lucido ma intri-gante, funzionale alla costruzione sofi-sticata del paradosso: un materiale distudio che potrebbe essere assunto,esso stesso, come base teorica per unprogramma di ricerca sulle “ragioni delcomporre”, tentando, finalmente, unarisposta non equivoca su “quale storiaper la composizione architettonica”.“Struttura della composizione architet-tonica”, la lezione riassuntiva di taleperiodo, pubblicata su “Aut-Aut”, Mila-no, luglio 1953, precisa le coordinateteoriche della sua didattica. In essa co-gliamo, in nota a margine, la sua famo-sa formula:A=f(U,B),ove l’architettura, A, risulta funzionedelle variabili: U- utilità e B- bellezza.In questa formula si può cogliere il sen-so positivo dei suoi riferimenti tautolo-gici, rilevandone il cipiglio accademicoe ironico assieme, misurando la suacapacità di allargare all’interno delledefinizioni proposte i compiti dell’archi-tettura e in ultima analisi dell’arte. Ar-chitettura e arte intrinseci, per lui, alMovimento Moderno, beninteso.Da queste lezioni che sotto il titolo “Utili-tà e bellezza (Metodologia della compo-sizione architettonica)” costituiscono laseconda parte di “Esperienza dell’Ar-chitettura” (Einaudi 1958), si passa suc-cessivamente negli anni 64/65 ad un te-sto che mi accompagna da molti anninella mia esperienza didattica: mi riferi-

concorso a inviti per ilrecupero di un antico

borgo agricolo a

Camerata (Todi) 1991.

progetto:prof. Aurelio Cortesi,

arch. Marco Casamonti

conLaura Andreini,

Isotta Cortesi,

Silvia Fabi,

Giuseppe Fioroni,Emanuele Franzoni,

Gristina Giani,

Cristina Guerrini,Stefano Giovannozzi,

Bettina Gori,

Marcello Marchesini,

Giovanni Polazzi.

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concorso a inviti per ilrecupero di un antico

borgo agricolo a

Camerata (Todi) 1991.

progetto:prof. Aurelio Cortesi,

arch. Marco Casamonti

conLaura Andreini,

Isotta Cortesi,

Silvia Fabi,

Giuseppe Fioroni,Emanuele Franzoni,

Gristina Giani,

Cristina Guerrini,Stefano Giovannozzi,

Bettina Gori,

Marcello Marchesini,

Giovanni Polazzi.

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sco agli “Elementi del fenomeno archi-tettonico”, (scritto per Laterza ma ri-stampato successivamente da GuidaEditore). Libro fortunoso, scritto in fretta,direi in pochi giorni, nell’occasione di unconcorso a cattedra, ma lucidissimo li-bro al cui travaglio formativo ho assistitoe nel quale sono stato chiamato a svol-gere una ricerca iconografica (poi risol-ta, con più autorevolezza e tempestivitànella redazione di Casabella).Gli “Elementi del fenomeno architetto-nico”, rivisitano i luoghi della ricerca ro-gersiana superando i valori assolutidelle definizioni chiuse in se stesse,per aprire contorni più concreti, ma nonper questo meno limitati, coinvolgendoun discorso certamente più maturato eaffabile che si sofferma, meno sui prin-cipi e su regole finalistiche predetermi-nate per giungere ad una azione peda-gogica colloquiale, maieutica, storica-mente riassunta e confrontata con idiversi livelli dell’insegnamento dellesingole discipline.Ma torniamo all’equazione A=f(U,B,) eriportiamo da “La struttura della com-posizione architettonica” la nota a mar-gine che la chiarisce: “Soltanto a scopodidattico e non certo con l’idea ingenuadi risolvere la problematica in una for-mula, ho cercato di esprimere la con-cezione architettonica con simboli ma-tematici, che, col far intendere l’insuffi-cienza di una definizione additiva(firmitas, utilitas, venustas) di marca vi-truviana, mettesse in evidenza la ca-ratteristica fondamentale del fenome-no: che è un complesso di relazioni ne-cessariamente integrate.Architettura (arte applicata) è una fun-zione dipendente dai termini variabiliUtilità e Bellezza A=f(U,B)

ritardo, nel 1951, a Hoddesdon, il pro-blema dei centri storici. Le argomenta-zioni del suo saggio: “Il cuore: problemaumano delle città” risultano di “transizio-ne”. Quasi un camuffamento.Nella prima parte dello scritto assistia-mo alla terminologia consueta delleavanguardie. Non manca il riferimentoalla geometria, e ancor di più alla fisiolo-gia e alla biologia (riferimenti antiacca-demici per eccellenza) per porre suc-cessivamente in evidenza il valore dellavita della “comunità”. Si avanza la simili-tudine fra il nocciolo (che contiene lesementi), con il cuore, che esprime eriassume il palpito del sentimento; ci siriferisce ad un lessico consumato all’in-terno del Movimento Moderno, derivatodalla pubblicistica ancora corbuseriana.Nel testo citato, Rogers, (sia pure con lecautele di rito), prende posizione controle “fantasticherie astratte delle città ide-ali”, tracciando una linea di difesa sullaconservazione dei centri storici, rimar-candone lo scempio dovuto all’obbro-brio della guerra ma anche alle vanilo-quenti vestigia dell’Ecole de Beaux Arts:il nemico storico.Si tratta di formulazioni espresse in for-ma ondivaga, a metà strada fra il lessicovitruviano rinnovato, e il linguaggio del-l’avanguardia. Concetti che risulteran-no, però, dal 1954, con la nuova Casa-bella-Continuità, puntuali e taglientisupporti ad una battaglia per la nuovaarchitettura della città, perché espressisenza più le remore, anche linguistiche,del gruppo di appartenenza.A partire da “La responsabilità verso latradizione” a “Le preesistenze ambien-tali e i temi pratici contemporanei”, en-trambi del 1954 fino alla relazione tenu-ta al l’INU il 23 marzo 1957 e all’inter-

(Ma come ogni formula, anche la miaha i suoi limiti, fuori dai quali perde ognisignificato: se nel considerare, adesempio una macchina vogliamo am-mettere che B->0, non se ne deduceche U->• e, viceversa, se si consideraun’opera di pura plastica, dove U->0,ché altrimenti l’architettura, trovandositra i due estremi, ciò significherebbeche essa è tanto più inutile quanto più èbella e viceversa)”.La cautela nell’enunciazione della for-mula, ascritta ad un esclusivo uso di-dattico, ci incuriosisce per il ricorso ac-cattivante a simboli matematici: il lin-guaggio più garantito in una scuolapolitecnica, certo, ma congeniale, an-che, ai rassembramenti internazionalilegati alle avanguardie del MovimentoModerno, ove Rogers era consideratoun interlocutore privilegiato per quelsuo argomentare sul superamento deirapporti deterministici forma/funzione:rapporti che costituivano, in queglianni, il nodo centrale della discussionesul “linguaggio” del Movimento Moder-no stesso, in vista di un suo invocatosuperamento.Una formulazione comprensibile e di-vulgabile nella scuola del CIAM; un gri-maldello per affacciare la sua ulterioretrattazione (certamente di minoranza)la quale postulava, a partire dal 1954,una serie di relazioni sul fenomeno ar-chitettonico che trascendevano unafunzione di tipo deterministico, quasiaritmetico, fra i termini variabili ed indi-pendenti di Utilità e Bellezza.Ne “Il Cuore della città: per una vita piùumana delle comunità”, testo curato ol-tre che da Rogers anche da J. L. Sert eda J. Tyrwhitt, (Hoepli 1954) viene affac-ciato, per la prima volta, dai CIAM, e con

concorso per il nuovoParlamento tedesco

nell’area dello

Spreebogen a Berlino,

1992progetto:

prof. Aurelio Cortesi

(capogruppo)arch. Laura Andreini,

Marco Casamonti,

Isotta Cortesi,

Giovanni Polazzicon Silvia Fabi,

Laura Tartagli,

Venturina

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vento al VI Convegno Nazionale di Ur-banistica del 1957, Rogers dà conto diuna intenzionalità progettuale radicata,finalizzata alla riassunzione dei terminiconcreti della complessità urbana. Unacreatività selettiva, capace di mettere indiscussione, ogni volta, gli elementicompositivi accreditati da tempo, cosìcome dimostra la sequenza dei progettidella Velasca che danno ampia testimo-nianza del percorso intrapreso e dellesue proprie oscillazioni di tendenza. Neconsegue però la proposta di un lin-guaggio riconoscibile. Una invenzionelinguistica, appunto, celata e forse nem-meno sperata, e se sperata, temuta.Rogers viveva il suo tempo di artista neltimore di una contraddizione manifesta:una conflittualità interna con i propri ini-ziali enunciati, riferiti al rapporto forma/funzione che si sostanzia nel propositodi riassumere, in una sola opera, il “ca-rattere” di un’intera città.

Il riferimento albertiano resta, come sivede, isolato sullo sfondo, non vieneabbandonato del tutto, ma l’interpreta-zione del segno riassuntivo dell’archi-tettura della Velasca si riferisce, in terralombarda, ad una diversa connotazio-ne della consistenza dei materiali e alsenso del loro peso e spessore. Maanche al colore mille volte variato, ris-pecchiato da rogge silenziose, di ac-que che scorrono piano nel fossato, inuna terra che non consente astrazioni,se non materiche.Una dimostrazione di questa pervicaceesperienza risulta possibile, anche senon esaustiva (si pensi al primato deldisegno espresso nel S. Andrea di Man-tova, ma non solo) ed è riferibile, comeasserto, pure agli artisti di derivazione

toscana alla corte dei Gonzaga e ancorpiù, negli artisti “minori” alla Corte mila-nese. La specificità lombarda, legatacom’è all’uso umbratile del laterizio, nerecupera nella rappresentazione, ognivolta, il peso. La Cà Granda, il più gran-de ospedale mai costruito, la CappellaPortinari in S. Eustorgio, ma anche Ca-stiglion d’Olona, testimoniano del pre-valere, sul disegno, dalle condizioni im-presse dalla cultura materiale sedimen-tata e culturalmente espressa nellefabbriche ancora romaniche: e questovale tanto per il Filarete quanto per Mi-chelozzo e per lo stesso Masolino.Comporre, dice Rogers, “significa met-tere insieme varie cose per farne unasola”. Stabilire una sintesi fra “compo-nenti” diverse attraverso un rapporto“dialettico”. Tra le scorie incombuste vaannoverata quale componente essen-ziale la tecnica del costruire: “Ogni attocompositivo, per il fatto stesso di tra-durre l’idea nei fenomeni, implica unarelazione fra le categorie dello spazio edel tempo.”

L’asserzione poggia sulla formulazioneteorica indicata dal Giedion a partiredai primi anni ’40.Lo storico (ufficiale) dei CIAM avevascritto appositamente, per l’edizioneitaliana del suo “Spazio tempo ed ar-chitettura” (Hoepli 1954), integrazioniconcettuali mirate al presunto livello dielaborazione dei nostri studi, ritenutipencolanti fra storia e progetto. I temisviluppati rivelano come il teorico perantonomasia dell’ortodossia del Movi-mento Moderno, intendesse riferirsialla realtà italiana privilegiandone lasua storia. Atteggiamento che possia-mo simmetricamente assumere per

concorso per il nuovoParlamento tedesco

nell’area dello

Spreebogen a Berlino,

1992progetto:

prof. Aurelio Cortesi

(capogruppo)arch. Laura Andreini,

Marco Casamonti,

Isotta Cortesi,

Giovanni Polazzicon Silvia Fabi,

Laura Tartagli,

Venturina

capire come i CIAM percepissero laspecificità dell’apporto italiano e, con-seguentemente, accogliere o meno leteorizzazioni dello stesso Rogers).La messa a punto di Giedion trova rife-rimento nell’auspicata integrazione traterritorio e sua tecnologia di trasforma-zione; un’assunzione del nostro rina-scimento che privilegia la complessitàdelle relazioni di contesto a partire dal-l’analisi di condizioni e funzioni a gran-de scala: il suo proprio disegno e le in-novazioni della rappresentazione, inte-se come impronta d i r i fer iment iintrecciati. Una scienza con ambiti di-sciplinari definiti (anche se non ancoraconsolidati) munita di strumentazioni edi un lessico preciso pur con la consa-pevolezza che gli obiettivi di fondo, ap-pena intravisti, avrebbero tardato a de-finirsi. Giedion, a maggior gloria delMovimento Moderno si è reso protago-nista di una proposta culturale volta aprivilegiare le strade innovative di tuttele integrazioni possibili, situandola, neltempo, ben al di là di una, necessaria,programmatica, copertura culturaledell’avanguardia. Ruolo peraltro esple-tato in modo carismatico per tutto ilcorso della vita dei CIAM.Le indicazioni di Rogers sulla progetta-zione degli elementi urbani risultano tri-butari ai riferimenti a grande scala delGiedion “della storia architettonica ita-liana”, ma le sue indicazioni teorichecercano una ricapitolazione tutta inter-na alla trattatistica: “l’architettura hasempre aspirato alla sintesi dialetticatra Utilità e Bellezza... le diverse propor-zioni, che i due termini del rapporto han-no nella composizione architettonica,determinano il carattere stilistico dellesingole opere e, in senso generico, i di-

versi stili della storia dell’architettura”.La formula “mitica” delle sue lezioni teo-riche, A=f(U,B), lo conduce ad assiomiche hanno la forza di slogan: “l’architet-tura può essere definita come l’Utiledella Bellezza o la Bellezza dell’Utile”ed ancora: “Utilità e Bellezza sono glielementi antinomici della sintesi archi-tettonica: sono anche i protagonisti cheriassumono e rappresentano vitalmen-te le diverse parti del suo dramma. Nonesiste architettura dove questo drammasi acquieti per la nullità dell’uno e del-l’altro di questi fattori; non esiste archi-tettura al limite dei soli valori pratici,come non esiste architettura al limitedei soli valori formali”.In Rogers la sintesi invocata fra valoripratici e valori formali si concreta, inprospettiva, nell’assunzione dei terminidi un fare tecnologico tutto interno alfarsi progettuale. La riassunzione “deldisegno e della sua costruzione” costi-tuirà l’assorta ragione dei suoi enun-ciati successivi che, se pur passionali econtraddittori, testimoniano di una ri-cerca vissuta fra teoria, ideazione e di-segno connaturata alla stessa materiadella sua concretizzazione.

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concorso nazionale

di idee per la

realizzazione del nuovopolo espositivo bresciano

unitario e integrato

1996

progetto:prof. Aurelio Cortesi

con

Laura Andreini,Bettina Gori,

Marco Casamonti,

Isotta Cortesi,

Silvia Fabi,Marcello Marchesini,

Giuseppina Nerli,

Sebastiana Patania,Giovanni Polazzi,

Nicola Santini.

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PROGETTARE NEL TERRITORIOCONTINUITÀ E CONTESTUALITÀ COME TEMI DI ARCHITETTURA

Carlo Chiappi

Sommario:Necessità di maggior radicamento delprogetto al territorio e ai luoghi;verso la ricerca di un punto di equilibriotra regole di progetto conseguenti alleidentità dei luoghi e regole di progettorispondenti a volontà innovative;il concetto di struttura invariante comecondizione necessaria del piano e delprogetto;il contributo degli studi tipologico-pro-cessuali nel riferimento ad alcuni ter-mini particolarmente significativi;esplorazioni progettuali metodicamen-te conseguenti agli indirizzi indicati.

Da diversi anni ormai il dibattito archi-tettonico sta ripetutamente oscillandotra innovazione e conservazione. Daun lato dunque quelle forze che spin-gono in direzione del progresso tecno-logico, del nuovo e del diverso comevalori assoluti della condizione con-temporanea in una prospettiva domi-nata principalmente dalla crescita edallo sviluppo, dall’altro invece la pro-gressiva acquisizione di consapevolez-za critica nei confronti di un consumoillimitato delle risorse naturali e antro-piche, così come nei confronti degliesiti che tale sviluppo esige e determi-na nei fatti. Fatti che nel loro insiemesono andati progressivamente alimen-tando un vasto movimento d’opinioneestremamente sensibile alle istanze disalvaguardia delle identità culturali edelle radici del territorio.Potremmo però anche aggiungere chesarebbe assai facile far prevalere, in unconfronto sinceramente dialettico enon pregiudizialmente di parte, l’una ol’altra tesi, portando ragioni a sostegnodell’innovazione ugualmente valide ri-

spetto a quelle della conservazione edella continuità.Ed è così che di fronte a tale evidenzail problema, e perciò stesso l’obiettivoprogettuale da molti individuato, sem-bra consistere nella ricerca di un giustopunto di equilibrio tra le due opposteposizioni, dove i vari aspetti connessialle istanze di conservazione e innova-zione vadano ad integrarsi in una logi-ca culturale in grado di fornire strategiesoddisfacenti dal punto di vista dellosviluppo e della salvaguardia delleidentità.È assai probabile, come crediamo,che questa posizione sia destinata acrescere e svilupparsi proprio perchése da un lato non possiamo pensaread una assoluta espulsione dalla real-tà costruita dell’innovazione e dellosviluppo, dall’altro non possiamo nonrenderci conto quanto nell’ultimo se-colo si sia spaventosamente degrada-to l’ambiente in cui viviamo e quantoabbia inciso e contribuito a questostesso degrado il carattere dei modelliprogettuali di funzionalità, efficienza,innovazione e sviluppo, anche se,come taluni potranno a ragione obiet-tare e sostenere, solo forse per scarsalungimiranza facilmente correggibile osolo per cattiva interpretazione delloro spirito più profondo e genuino. Inogni caso non possiamo non registra-re che il baricentro degli interessi edella ricerca sulle idee si stia conside-revolmente spostando verso una posi-zione di salvaguardia delle identità deiterritori e verso un’idea di progetto ali-mentata dalla ricerca del nuovo manello stesso tempo anche dalla ricon-siderazione delle ragioni della storia edella continuità, in una prospettiva ap-

punto di profondo radicamento dellefuture trasformazioni al territorio, alconteso, ai luoghi.La contrapposizione tra città storica ecittà moderna, spesso presente nel di-battito sull’architettura, nasce dunquecome giudizio critico negativo nei con-fronti delle recenti espansioni urbaneche rappresentano l’idea di città mo-derna così come essa si manifestanella realtà edilizia odierna più diffu-sa, indubbiamente oppositiva rispettoai vecchi centri per la radicale diversi-tà dei modi d’intendere e costruire lanuova città.È da questo giudizio che prende origi-ne l’idea e la ricerca di radicamento.Essa nasce perciò come necessità diun diverso ordine progettuale dellecose, il cui obiettivo può essere rag-giunto solo attraverso una conoscenzae comprensione dei luoghi studiati sog-getti a modificazione.Molte e diverse sono le esperienzeche vanno orientandosi in tal senso,ma un contributo di grande interesse espessore scientifico in questa direzio-ne crediamo sia stato dato da quel fi-lone di studi che prende il nome di “ti-pologia”, il quale è andato progressi-vamente sviluppandosi a partire dallariscoperta della nozione di “tipo edili-zio” e dalla sua “processualità”, fino acomprendere l’insieme dei vari e pos-sibili “gradi scalari” in cui può esserearticolato convenzionalmente l’insie-me delle strutture antropiche. Credia-mo valga allora la pena soffermarsibrevemente e richiamare l’attenzionesu alcuni termini particolarmente si-gnificativi come tipo edilizio, processotipologico, scalarità del costruito an-tropico, area culturale.

3

1

2

Conoscere la città:l’esempio di Fiesole

Ricostruzione dei processi

di formazione delle strutture

antropiche quale premessametodicamente necessaria

per un progetto di

modificazione organicamentecoerente ai caratteri identitari

dei singoli luoghi urbani o

territoriali.

1 Il processo di formazione

urbana: la città delle origini così

come essa può apparirci nellainterpretazione e nella lettura

delle strutture archeologiche ad

oggi conosciute.

Andrea Aleardi, Carlo Chiappi,Marco De Marco, Antonio

Giuliani, Carlo Salvianti. 1990.

La carta costituisce la prima diuna serie dove è stato

possibile ricostruire l’assetto

della città dal secolo XVII

fino ai giorni nostri.2 Il processo di formazione

dell’edilizia: rilievo urbano:

Simona Bianchini, FrancescoGori, Stefano Trapani. 1991

Il rilievo urbano insieme alle

carte della formazione urbana

costituisce un valido strumentoper la ricostruzione

congetturale del processo

tipologico dell’edilizia.Nel caso di Fiesole tale

ricostruzione sembra mettere in

evidenza l’importanza del tipo a

corte che dalle origini della cittàpermane fin quasi ai giorni

nostri quando cioè iniziano a

diffondersi i tipi ediliziottocenteschi del villino a

schiera o isolato e della

casa in linea.

3 Morfologia urbana elinguaggio architettonico:

modello dell’area centrale.

Vittorio Battiglia, Carlo Chiappi,Enzo De Leo, Studio M. 1993.

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Secondo Saverio Muratori e la suascuola il “tipo edilizio” non è altro chel’idea di casa o di altro organismo edili-zio vigente in una determinato luogo ein un determinato periodo storico. Ideaderivata per mutazione di una idea pre-cedente e a sua volta origine di una cheverrà, secondo un processo di succes-sive modificazioni che definiamo ap-punto “processo tipologico”, il quale ci facomprendere il rapporto di derivazione-trasformazione di ciascun tipo dal pre-cedente al successivo e quindi dalle pri-me formulazioni fino agli esempi odier-ni. Strumento perciò teorico e pratico aifini del progetto per poter giudicare ilgrado di coerenza, in un’ottica di conti-nuità, tra strutturazione raggiunta fino aquel momento dal territorio e dai suoiorganismi antropici e progetto di modifi-cazione o crescita degli stessi.Concetti di tipo e processo che possonopoi essere applicati ai vari “gradi scalari”in cui può essere convenzionalmentearticolata la realtà del costruito quali il“territorio”, la “città”, il “tessuto aggrega-tivo” e i singoli “organismi edilizi”.È evidente come da questa lettura ose si preferisce da questa ricostruzio-ne storico-tipologica dei processi diformazione e trasformazione degli or-ganismi antropici emergano queglielementi permanenti di lunga duratache attraversano verticalmente ognisingolo processo e che ci consentonodi individuare quelle permanenze(“strutture invarianti” secondo una re-cente definizione diffusasi in ambitourbanistico) su cui costruire la conti-nuità tra realtà significante e sua mo-dificazione. Elementi che possono va-riare da luogo a luogo e che ci con-sentono d i ind iv iduare un a l t ro

Fiesole: ipotesi di

ricostruzione filologicadel teatro romano

ai fini della predisposizione

di stabili strutture

di rifunzionalizzazione.Benedetta Bandinelli. 1997

4 Ipotesi di ricostruzionefilologica: pianta.

5 Ipotesi di ricostruzione

filologica: sezione longitudinale,

prospetto della scena eprospetto della cavea.

6 Modello dell’area archeologica

con inserimento della proposta diricostruzione tipologica

della scena.

dar carattere all’intero organismo edili-zio. Sarebbe insomma questo modo dipensare, proprio di una logica tecnico-costruttiva, a svolgere un ruolo portan-te nella vita delle forme del costruito, ein questo senso l’atto del costruire sa-rebbe anche una delle componenti piùstabili e durevoli nella vita di una deter-minata cultura architettonica. L’atto delcostruire non può perciò essere consi-derato semplicisticamente esecuzionepratica di un determinato progetto diforme, ma piuttosto sintesi organicadelle varie componenti che concorronoa determinare quella specifica culturaedilizia, propria di una specifica areacivile. La condizione di estrema debo-lezza dei linguaggi architettonici con-temporanei che a noi pare cosa evi-dente (si pensi ad esempio alla com-plessa questione del “pluralismo” chein architettura non è ricchezza discipli-nare come invece taluni sostengono) èespressione di una trasformazione do-vuta almeno a due fattori principali:estrema interferenza e sovrapposizio-ne di aree culturali, da un lato, e dall’al-tro, insorgere di nuove istanze impli-canti l’obsolescenza di equilibri e strut-turazioni precedentemente raggiuntiche esigono necessità di un nuovo ag-giornamento.Un altro elemento di questa condizioneè rappresentato altresì dalla scissionein fasi del processo formativo del pro-getto, dove si distingue un momentoinventivo spesso delegato all’architet-to, ed un momento esecutivo delegatoallo strutturista. Significativa in talesenso la distinzione tra progetto archi-tettonico, strutturale, impiantistico, ur-bano, ambientale e così via. Da questasituazione dunque ha origine la neces-

concetto di grande interesse, quello di“area culturale”, ultimo termine da noiconsiderato nella breve e schematicadescrizione degli strumenti essenzialiusati nel nostro operare didattico.

Tutte le grandi architetture del passatoe tutta la diffusa cultura edilizia, cosìcome l’essenza del loro carattere, in-sieme, ma forse ancora prima, del loroessere forma, fondavano la loro sa-pienza tipologico-linguistica e il loro fa-scino su chiari principi costruttivi. Vice-versa molti ritengono che la logica

odierna del costruire non sarebbe piùin grado di garantire un risultato altret-tanto positivo per la scomparsa di pro-cessi costruttivi unitari, con la conse-guenza di una costruzione che prendeorigine quasi esclusivamente dal mon-do delle pure forme dettate, ciascuna,dagli inevitabili estetismi di turno.All’opposto si può affermare inveceche se esiste un atto veramente creati-vo nel progetto dell’architettura questoè costituito proprio dalla scelta costrut-tiva la quale non può essere scissa dal-la sua stessa forma, che finirà così per

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Fiesole: sostituzione ecompletamento edilizionell’area centrale.Michele Lombardi,Giuseppe Menestò. 1994

7 Il progetto: planivolumetria.8 Il progetto: pianta piano terra.

9 Il progetto: assonometria.

sità di ripensare nella sua complessitàe totalità il problema progettuale a par-tire proprio dalle opportunità offerte dalsignificato estetico della costruzione edal significato formale del ragionamen-to costruttivo, proprio in un momento incui l’attenzione generale della ricercaarchitettonica sembra essersi concen-trata quasi esclusivamente sulla formadell’involucro inteso, appunto, comepura forma ma inevitabilmente astrattarispetto al proprio carattere tettonico ealla propria contestualità.Ebbene, esistono almeno due grandiaree geografico-culturali in cui sonoleggibili le origini di specifiche ereditàedilizie (strutture invarianti) viste dalpunto di osservazione della costruzio-ne. Quella “lignea” propria dei sistemicostruttivi portanti non chiudenti, seria-li, leggeri, trasparenti, e quella “mura-ria” propria dei sistemi costruttivi por-tanti e chiudenti, organici, pesanti, opa-chi. Queste due grandi distinzionioriginarie sono state oggi assorbite daun unico materiale relativamente “mo-derno” come il calcestruzzo armato,usato sia per sistemi di intelaiature pla-nimetricamente pontiformi dove il siste-ma di facciata e delle partizioni interneconduce al principio lecorbuserianodella pianta libera, sia per sistemi mu-rari continui portanti e chiudenti (si pen-si ad esempio alle architetture di moltiarchitetti giapponesi, ma non solo,come Tadao Ando). Lo scambio tra dif-ferenti aree culturali è stato spesso al-l’origine di fertili e profonde modificazio-ni dei linguaggi architettonici (si pensiad esempio al gotico) i quali però nellostesso tempo non hanno dimenticato ilnecessario radicamento ai propri codicigenetici della loro collocazione geogra-

Fiesole: espansione edilizia

dei margini urbani.

Clara Coppini,Massimo Dalla Torre. 1991.

10 Il progetto: planimetria

dell’inserimento urbanistico.11 Il progetto: pianta

piano terra.

12 Il progetto: planivolumetria13 Il progetto: dettaglio

assonometrico.

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fica. L’attuale sistema delle informazionitende ad accelerare e massimizzare ifenomeni di scambio tra aree culturalidiverse favorendo così fenomeni di glo-balizzazione e internazionalizzazionedella produzione architettonica, allostesso modo di quanto avviene in altricampi come il gusto, la moda o l’econo-mia. Nel nostro caso però esso da origi-ne a fenomeni di ibridazione e sradica-mento soprattutto là dove siano pre-senti solide e cospicue sedimentazionistoriche (si pensi ad esempio alle cittàe ai territori, ma non solo, dell’area eu-ropea) con i risultati che sono sotto gliocchi di tutti, originando perciò unacondizione di evidente crisi dei linguag-gi nei confronti dei rispettivi codici iden-titari. Occorre perciò tornare a porsi ilproblema del “linguaggio architettonico”in rapporto ai luoghi, inteso non comericerca nostalgica di continuità con letecniche tradizionali del costruire mabensì come loro necessario aggiorna-mento; almeno per due buoni motivi: dauna parte per risarcire i danni provocatial territorio da prodotti volgari e da cul-ture ad essi estranee; dall’altra per su-perare la frattura tra leggibilità del co-struito come forma e leggibilità comeespressione di una meditata e consa-pevole tecnica costruttiva. In questosenso, ancora, la riproposizione e la ri-cerca di maggiore unità delle disciplinedel progetto, non più scisse in aspettiparcellizzanti e incomunicanti, può rap-presentare un ulteriore e utile passag-gio verso il ritorno a forme architettoni-che linguisticamente significanti.Le esperienze di progetto e le illustra-zioni che accompagnano il testo costi-tuiscono una sintesi delle esercitazioniannuali dei corsi di Progettazione Ar-

Mercatello sul Metauro:riqualificazione di un’area

periferica.

Alberto Tomei. 1990.

14 Il progetto: pianta

piano terra.

15 Il progetto: planivolumetria.16 Il progetto: modello di studio.

Pienza: i nuovi margini urbani

e una nuova polarità urbana.

Paola Lammardo. 1999.

17 Stato attuale:

il nucleo storico e

le recenti espansioni.18 Il progetto:

i nuovi margini e

le nuove polarità.19 Il progetto:

pianta della nuova polarità

per il settore nord-est.

20 Il progetto della nuovapolarità per il settore nord-est:

assonometria.

21 Il progetto della nuovapolarità per il settore nord-est:

planivolumetria.

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Ravenna: riqualificazione

della darsena in riva sinistra.Angela Baccarini. 2000.

22 Quattro ipotesi di

riqualificazione urbanadella riva sinistra.

23 Il progetto:

la nuova chiesa qualenuova polarità nell’ipotesi

di riqualificazione.

24 Il progetto della nuova

chiesa: pianta piano terra.25 Il progetto della nuova

chiesa: assonometria.

26 Il progetto della nuovachiesa: sezione trasversale

(particolare).

Bientina: studi per la ricostruzione dei borghi.

Vittorio Battiglia, Carlo Chiappi,

Enzo de Leo, Antonio Giuliani. 1994

27 Planivolumetria della proposta

di ricostruzione: in evidenza rispetto allo stato

di fatto le parti edilizie di nuova edificazione.28 Il progetto: particolare del prospetto della

tipologia edilizia.

Firenze: studi per una sostituzione

edilizia nelle ex strutture

carcerarie di S. Teresa da

destinare a nuovo polo didattico diAteneo.

Carlo Chiappi, Piero Paoli,

Rino Vernuccio. 1994.

29 Il progetto: planivolumetria.

30 Il progetto: sezioni-prospetto.

chitettonica e Urbana tenuti da chi scri-ve nei più recenti anni di attività. In que-sto spazio di tempo hanno collaboratoai corsi per periodi variabili Vittorio Bat-tiglia, Gianni Cavallina e Serena DeSiervo in qualità di ricercatori confer-mati; David Burrini, Enzo De Leo, PaoloFocaccia, Gianfranco Giordo, Johan-nes Maaz e Giuseppe Menestò in quali-tà di cultori della materia. Tali progettisono preceduti da un lavoro di analisisulla città di Fiesole, organismo urbanosul quale nei corsi ci siamo soffermatiripetutamente e che qui illustriamo inmodo estremamente sintetico, qualeesempio parziale di materiale conosci-tivo usato metodicamente nei corsi me-desimi e finalizzato alla costruzione dirisposte progettuali maggiormente or-ganiche rispetto ai luoghi studiati e allerisposte da dare alle necessità contem-poranee. In particolare, nel caso di Fie-sole, sono state spesso decisive certeconoscenze connesse alle questioni ar-cheologiche, le quali hanno trovato inMarco De Marco e Carlo Salvianti alcu-ni insostituibili riferimenti.

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NOTAZIONI E ISTITUZIONI TRA INTERNO ED ESTERNO

Paolo Galli

Non è improbabile che ogni idea archi-tettonica e il modo di svilupparla con-tengono qualcosa di ben definito chenon deve andare oltre certi limiti; non èimprobabile, ma nemmeno certo, cheogni idea in sé contempli una propor-zione simile, ma è anche possibile chequesta proporzione non sia presentenell’idea o almeno non solo nell’ideama anche in noi stessi. Per compren-dere un’opera si cercano le ragioni, sitrova l’ordine, si vede la chiarezza cheè lì per caso, non per una legge o peruna necessità. Quelle che riteniamo si-ano le sue leggi, sono forse soltantoleggi che permettono la comprensione,senza essere per questo le leggi a cuideve sottostare l’opera. L’opera è ingrado di rispecchiare, ciò che vi si vededentro non è altro che l’immagine ri-flessa della nostra natura, non indica ilpiano di orientamento dell’opera, masolo il piano del nostro metodo di orien-tamento. Che si tratti dello spazio di unopera architettonica o quello di un pae-saggio naturale il modo in cui ci colpi-sce dipende prima di tutto dalla nostrafisicità, è questa che determina il no-stro orientamento e le nostre reazioni.Escludiamo per ora implicazioni cultu-rali, sempre e comunque presenti.Mi muovo, senza interessi precisi; deipaesaggi scorrono intorno a me in ma-niera indifferente, altri, al contrario,vengono registrati, per qualche motivoscelti. In linea di principio il suddividersidi un paesaggio in parti più piccole opiù grandi non è né una suddivisionetemporale - in tempi di percezione del-le parti - né una suddivisione reale del-lo spazio - un suo modo di apparire; maesiste nella struttura interiore di chiparla e si ascolta.

Se tuttavia l’insieme delle sequenzedeve essere unitario, malgrado la mol-teplicità dei suoi membri allora deveesserci in chi osserva, parla e ascoltaquasi contemporaneamente, qualcosache unifichi tante molteplicità e che,imponendole di disintegrarsi in unamoltitudine di particolari dispersi esconnessi le permetta di costituirsi,come suoi membri, in una indefinibiletotalità. Questa allora è soltanto un ter-mine di una proposizione. Questa pro-posizione è una determinazione del-l’immagine, anzi dell’immagine legataad un sistema di riferimento, sensazio-ne attuale ed atti.Un paesaggio è colto come unità; unaserie di colline si radunano come inuna sequenza; una veduta lontana èparte integrante della sequenza. L’in-sieme può essere costituito in manieratale da contenere in sé, anche se siestende per un solo momento di unosguardo, in un certo numero di membri.Ebbene, tali membri non sono ulterior-mente differenziabili. Le singole collineesistono nei limiti dell’insieme percepi-to in quanto suoi membri, possono arti-ficialmente essere separate, avulsedall’insieme che compongono, non co-stituiscono elementi di senso.È dunque lecito porsi questa domanda:perché come e quando termina unasequenza di spazi, di paesaggio?Quando il senso formale è soddisfatto,quando l’arco di un pensiero, un’idea,appaiono presentati in tutta la lorochiarezza. Questo è quello che in viaprovvisoria chiamiamo immagine.Un’immagine è distinta dalla sua forza,dalla sua novità, dalla sua maniera diprodursi e di sparire, dalla sua epoca;insomma dalla sua situazione mentale.

Ma questa indipendenza non è né asso-luta né costante. Ci sono delle fasi du-rante le quali è dipendente. Tutti i carat-teri della situazione si rapportano in fon-do al la durata e al la transizionedell’immagine ai suoi effetti trasmissivi.Cosa determina l’unità? Un sentimen-to, uno stato? Ci sono dunque delleparti - dei valori - dei procedimenti dicomparazione fra certi raggruppamentie un oggetto materiale, mobile senzaalterazione. Ma quali sono i limiti o qua-li sono i legami di questa unità? Quan-do nella continuità del paesaggio scel-go delle cose o dei punti particolari.Quando B segue A l’uno viene dopol’altro - c’è dunque qualcosa di nonqualunque in questo ordine? Cosa èche fa B davanti A? È una omogeneitàdi natura? È un’unità di coscienza? Èuna durata? È paragonabile al campodi un colpo d’occhio o alla continuità diun suono prolungato o un riflesso?Qui intorno, in una strada di campa-gna, c’è un punto speciale: i muri chel’accompagnano curvando attraversole colline diventano altezze molto di-verse, da un lato sporgono gli ulivi, dal-l’altro, il più alto, sovrasta un gruppo dilecci, in fondo alla curva in discesa uncipresso contro un pezzo di cielo, inbreve uno stato di cose attuali. Ma c’èanche il brillante degli ulivi, la compat-tezza scura dei lecci, il teso della cur-va, il muschioso del muro, le macchiedi luce, il palpitante del cipresso, il so-noro del selciato. Là ci sono delle purequalità o potenzialità singolari, dei puripossibili in qualche sorta. Sicuramentele qualità potenziali si rapportano aglioggetti, allo stato delle cose come alleloro cause. Ma ci sono degli effetti mol-to speciali: tutti insieme non rinviano

che a se s tess i e cost i tu isconol’espresso dello stato delle cose, intan-to che le cause per loro conto non rinvi-ano che a loro stesse costituendo lostato delle cose. Il muro altissimo dalquale qualcuno si sporge può essere lasua espressione di vertigine, ma non lacrea. Poiché l’espressione esiste an-che senza giustificazione, essa non di-viene espressione perché si aggiungequalcosa con il pensiero. Sicuramentele qualità potenziali giocano un ruoloanticipatore, preparano l’avvenimentoche potrebbe realizzarsi, il muro incli-nato potrebbe franare, la luce sparire, ilcipresso ondeggiare per la comparsadel vento. Ma in se stesse, mentreesprimono, esse sono già l’avvenimen-to. L’espresso, vale a dire l’affetto, è uncomplesso perché è composto da ognisorta di singolarità che ora riunisce,ora separa. Il brillante degli ulivi, l’ela-stico del cipresso, il teso della curva, ilvasto del cielo, sono delle qualità posi-tive che non rinviano che a se stesse.Contemporaneamente, nelle varie par-ti del mio corpo si compiono dei micro-movimenti che si riuniscono nella sen-sazione globale di un movimento checorrisponde all’espressione della com-mozione di tutte le mie parti.Non si può nascondere che è una sen-sazione difficile da definire, perchéessa è sentita piuttosto che conosciu-ta: concerne il nuovo dentro l’esperien-za, il recente, il fugace, e pertantol’eterno. Se si vuole è una coscienzaimmediata e istantanea tale e quale èimplicata in tutto coscienza reale, chenon è mai, a ben guardare, né imme-diata, né istantanea. Questa non è unasensazione, un sentimento, un’idea,ma la qualità di una sensazione, di un

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sentimento, di un’idea possibile. È dun-que la categoria del possibile, essaesprime il possibile senza attualizzarlo,facendolo in modo completo. Ora l’im-magine affezione è nient’altro: è la qua-lità o la potenza è la potenzialità consi-derata per se stessa in tanto che èespressa. Allora quel movimento senti-to, quel gesto immaginato, quel volteg-gio, diventa segno. Il segno corrispon-de dunque all’espressione non alla at-tualizzazione. L’affetto è dunqueimpersonale e si distingue da tutte lecose individuate: non è meno singolaree può entrare nella combinazione ocongiunzione con altri affetti. Il movi-mento sentito è indivisibile e senzaparti, ma le combinazioni singolari cheforma con altri affetti formano a lorovolta una qualità indivisibile, che non sidivide se non cambiando natura.L’immagine affezione è la potenzialitàconsiderata per se stessa intanto che èespressa. È il risultato di questo insiemedi oggetti. Ma il funzionamento, l’ordinee la situazione di questo insieme di og-getti risultano non dalla loro esistenza,né dalla loro natura, ma da un essere(me) o (quello che ritorna a me) d’un si-stema di regole, d’assiomi, che si adat-tano successivamente all’insieme ed aisuoi elementi distinti di questo insieme,o nella pura collezione di elementi, dallacontinuità dell’adattamento.La determinazione di una totalità indivi-sibile è legata nel modo più stretto pos-sibile al percepire un movimento allostato nascente, colto attraverso un im-pulso di tipo muscolare che segnalauna dissomiglianza dallo stato di quietee di indifferenza precedente. La disso-miglianza appartiene all’istante ed è re-lativa alla sensazione determinata dal-

l’immagine, oppure è di natura più pro-fonda e durevole. Essa è potenzialmen-te infinita. È da considerare che esistauna dissomiglianza interiore giacché iomi parlo. Senza dissomiglianza non esi-ste linguaggio. Il linguaggio interiorecrea un altro nel medesimo. Qui è deter-minante l’analisi della sostituzione dal-l’espresso al constatato.Ma non c’è grandezza senza ordine,vale a dire senza passaggio e senzatensione interna che è la sensazione dipassaggio e di accomodamento propriodel cambiamento. Qualcosa in me trat-tiene-produce. Questa valutazione-or-ganizzazione è il fatto capitale. È quelloche io aggiungo alle percezioni registra-bili che costituisce l’unità, che lega in unritmo agli elementi più disparati. Nonappena c’è ritmo c’è scambio; il perchée il come di questo scambio è il segretostesso del ritmo. Questo scambio nonavviene da uomo ad uomo, ma da fun-zioni a funzioni.La non distinzione fra interno ed ester-no comporta però una struttura opposi-tiva fondamentale: quella fra il limitatodell’ordine dell’esperienza (limite delmondo, del corpo, delle sensazioni) el’illimitato del sistema che in quell’oriz-zonte si inscrive. Il limitato è l’ordinedella realtà, l’illimitato l’ordine delleastrazioni, l’illimitato l’ordine dellecombinazioni, permutazioni, variantidegli elementi di cui è destinato a com-porsi un sistema globale senza distin-zione fra interno ed esterno.Noi facciamo di una cosa un problemae introduciamo una notazione che per-metterà per analogia un perché, uncome, un quanto. Noi creiamo delle fa-coltà, proprietà ecc. - noi trasformiamoin cause quello che altro non è che una

pura notazione associazione. Una no-tazione consiste in sostanza nel sosti-tuire un atto qualunque e il suo feno-meno riproducibile a volontà, all’eccita-z ione natura le per la quale unarappresentazione qualunque è chia-mata. Una nozione soggettiva è la no-tazione di un coordinamento particola-re. Ma tutti i coordinamenti sono da noiconosciuti sotto la forma di un’accomo-dazione più una variazione. Ogni ritmoè dovuto alla possibilità di sostituireuno sviluppo di certe sensazioni conun tipo di azione che riproduca questasuccessione. È una modalità di azioneche costruisce, e in questa costruzioneil sentimento di questa azione intervie-ne, e c’è una specie di reciprocità.La pluralità dei lecci - in alto oltre ilmuro - è colta come un avvenimentounico. Come se gli alberi fossero al po-sto delle puntature a terra del volteggiodi ballerino. Le posizioni che ha occu-pato nel suo movimento fatto di slanci,rotazioni, traslazioni, sono 2 - 1.3.4 -5.6. si svolge su tre curve contrapposteche formano una linea continua dolce.Se chiudo gli occhi sento di aver colto ilritmo, sento un movimento unico, comese il mio corpo avesse imparato questomovimento e lo sapesse riprodurre at-traverso la successione delle sensa-zioni muscolari provate. Ogni puntaturaed ogni distensione genera un impulsoa continuare una domanda tale che ilpunto successivo è prodotto dall’avve-nimento albero e dall’io risposta. Ognipunto diventa risposta e domanda.Ogni colpo genera uno stato. Produceben altro che un’impressione, produceuna modificazione.Una pluralità di avvenimenti successivie indipendenti è colta come un tutto.

Noi assimiliamo gli eventi prescelti agliintervalli che li separano e che suppo-niamo riempiti da eventi semplici silen-ziosi - invisibili - di valori uguali a quellidati. Il che equivale a riconoscere o adefinire l’unità. In un modo analogo as-similiamo gli uni agli altri gli eventi datio colti nel loro apparire se essi differi-scono per intensità in modo molto sem-plice. Gli atti di queste condensazioniformano un insieme, una successione,compresi in una sola trasformazione dienergia, una sola emissione.E questa sola emissione è definita daquesto: che essa risponda ad una solasollecitazione.Una successione di elementi sembra unritmo, ma non è propriamente un ritmo.Illumina un ritmo in me - vale a dire chesono portato ad legare questi elementidistinti mediante una legge delle miefunzioni - questa legge è un’unità - equesta unità potrà essere ritrovata insuccessioni molto diverse. È una suc-cessione di elementi distinti che puòaver luogo in un solo modo nel tempo.Ma tutti i tempi successivi corrispondo-no ad un simultaneo. Questo stesso si-multaneo sarà riducibile ad un segno.Quando si susseguono degli avveni-menti, quali che siano, se sono distintipuò accadere di essere indotti a perce-pirli come se ogni avvenimento fosse larisposta all’avvenimento precedente. Sidirà che questo avvenimento è compre-so fra due punti. Esso è dell’ordine digrandezza di un arco riflesso e noi pre-supponiamo internamente una speciedi propagazione. Un movimento delcorpo aspetta un contro movimentoche lo faccia continuare o fermare. Unanota aspetta un’altra o non l’aspetta;l’unità si intuisce dalla traiettoria della

sua curva, è l’arco di una curva dallavariazione naturale, regolare. Quandoc’è disordine non sappiamo che cosaaspettare; non possiamo costruire ilmeccanismo che potrebbe permetterciallo stesso modo di produrre o percepi-re l’avvenimento. Ora quello che ci inte-ressa capire meglio è una relazione fragli atti e gli effetti sensibili - una sorta direciprocità fra causa ed effetto.È ciò che genera un modo, un sistemacompleto, chiuso - conservativo - discambi di tempi contro atti, di potenzia-le contro energia cinetica. Questo lo sipuò fare soltanto associando qualchefunzione di percezione alla meccanicadi una sollecitazione muscolare.La regolarità degli atti o delle sensazioniraggiunge il meccanismo sensoriale emuscolare. La regolarità è ciò che si rico-nosce, si coglie, si riproduce in una suc-cessione. Non c’è il ritmo delle onde. Èquello che aggiungo, che io aggiungoalle percezioni registrabili che costitui-sce il ritmo delle onde od altro. È il coor-dinamento dei muscoli del saltatore chepermette di entrare nel volteggio dellacorda colto come regolarità. Ogni suocolpo assume il valore di un dispositivodi scatto di un atto muscolare, assume ilvalore di una previsione. Ma non è la ri-petizione a creare il ritmo; al contrario èil ritmo a permettere la ripetizione o acrearla. È un atto unico di emissione econsumo di energia.Se voglio superare un ruscello abba-stanza largo devo prendere slancio.Non conto i passi della rincorsa masono quelli necessari per liberarel’energia richiesta dalla larghezza delruscello. Se considero tutto il meccani-smo come un insieme appare una spe-cie di trasformazione fra A e B addu-

cendo B il movimento e il movimentoadducendo B. Questo insieme è unasuccessione di atti compresi in una solatrasformazione di energia - una solaemissione. E questa sola emissione èdefinita solo in quel modo per raggiun-gere il suo scopo.Solo una successione particolare svi-luppa e distende la tensione secondola direzione e la curva voluta. La previ-sione di raggiungere il punto B dall’al-tra riva fa vedere soltanto i punti neces-sari per il salto e non tutto il terreno in-torno, come uno sguardo che cerca unvolto tra la folla.Si è detto che la percezione è in qual-che modo indipendente dal suo ogget-to. È quello che io aggiungo che giocaun ruolo fondamentale. Le condizionioggettive-soggettive della percezionepossono giocare il ruolo di una pressio-ne. Si resiste a questa pressione siacon una sorta di forza di azione o diinerzia. La visione chiara è la corri-spondenza di un punto dell’immagine aun punto dell’oggetto. Riconosco l’im-magine attraverso una tensione mu-scolare statica - come una marca cheil desiderio ha - un’azione provvisoriaper tenere luogo di quella definitiva. È ilsegno di un movimento possibile, è lacoordinazione dei micro movimenti, lacommozione di tutte le mie parti è ma-teria di espressione. Tradotto nel no-stro funzionamento è la condizione es-senziale della nostra azione. L’azionediventa un tipo, e la sua analisi devefornire la struttura in cui va inserito tut-to ciò che è conoscenza, sensibilità,ordine del movimento, ritmo. Un’azionecomposta comprende sensibilità co-scienza pensiero, non è istantanea.Essa richiede un adattamento peculia-

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re di variabile - e i cambiamenti di statocostituiscono il montaggio della mac-china adeguata.In realtà quello che io posso utilizzaredella percezione, misurare e quindi ri-produrre è l’intensità della sensazionedel tempo vale a dire della durata,essa corrisponde al tempo dello sva-nire della tensione muscolare. Non èun tempo cronometrico, ma un temporitmato. Anche lungo una diversità siriconosce il suo ritorno o le sue analo-gie attraverso una successione natu-rale ridotta al minimo.Le trascrizioni grafiche delle cose sen-tite sono ingannevoli nel senso cheriassorbono la natura di sostituzionedei fenomeni. Esse introducono un os-servatore impossibile - grazie alla con-servazione materiale, lasciano vederesimultaneamente un insieme di spazianche se questo è materialmente im-possibile, ed effettuano sul fenomenoche non conserva essenza - che è l’in-stallazione di un tempo che non è sem-plicemente successivo, bisogna rinun-ciare a trattarlo come variabile indipen-dente, farlo figurare come sottoposto atrasformazione come le altre variabili.Bisognerebbe dunque una nozioneanaloga all’intervallo e dice che c’ètempo particolare che si installa quan-do c’è ritmo, melos o in genere succes-sione organizzata. L’importante non è ilperiodo ma ciò che genera questa for-ma periodica. Ora questo è certamentedi ordine muscolare implesso. È note-vole che si trovi un regime di impulsi incerti muscoli volontari.Ciò che sta per essere, ciò che è appe-na stato sono forme di energia reale,sentita. Tutto questo viene a sparirenella curva di registrazione periodica e

la trascrizione l’omette. L’importanza ètutta qui. È per questo che è così im-portante l’analisi della costituzione de-gli intervalli al di sotto e al di sopra deiquali non c’è successione eredità ritmoforma melodica. Le successioni organosensibile hanno due facce emissione ericezione ed esse realizzano una parti-colare relazione di queste proprietà.Contemplo il gruppo dei lecci, in altosopra il muro, non colgo singolarmenteognuno di loro, anche se sono ben di-stinguibili, li lego in un movimento uni-co ritmato. In realtà lego un mio ritmointeriore che viene risvegliato. È emis-sione e ricezione simultanea. È la per-cezione di uno scambio e di un’appro-priazione. La proprietà è anzitutto arti-stica. L’arte è insegna, cartello.L’espressivo precede il possessivo, lequalità espressive o materie d’espres-sione sono necessariamente appro-priatrici e costituiscono un avere piùprofondo dell’essere. Non perché ap-parterrebbero ad un soggetto ma per-ché disegnano un territorio che appar-terrà al soggetto che le porta o le pro-duce. Queste qualità sono una firmache non costituisce il soggetto masono la cifra costitutiva di un dominio.L’espressività non si riduce agli effettiimmediati di un impulso che fa scattareun’azione in un ambiente. Ma le qualitàoggettive esterne trovano una oggetti-vità nelle sensazioni di tensione e di di-stensione muscolare che io percepiscorealmente. Così l’appropriazione, attra-verso il ritmo, di ambienti, di forme, dipaesaggi diverrà stile, infatti le qualitàespressive materia d’espressione - ilgesto ritmato - entrano reciprocamentein rapporti mobili da esse tracciano conl’ambiente interno degli impulsi e con

l’ambiente esterno delle circostanze.Ora esprimere non è dipendere, lequalità espressive entrano le une conle altre in rapporti interni che costitui-scono motivi territoriali: talora essi so-vrastano gli impulsi interni, talora li so-vrappongono, talora fondano un impul-so con un altro, talora si inseriscono frai due, ma non sono essi stessi pulsati.Talora questi motivi non pulsati appaio-no in una forma fissa o sembrano ap-parire così, ma talora gli stessi motiviod altri hanno una velocità e un’artico-lazione variabili, e la loro variabilità nonmeno della stabilità, li rende indipen-denti dalle pulsioni che combinano oneutralizzano.D’altra parte, le qualità espressive,nell’immagine affezione, entrano co-munque in altri rapporti interni, che for-mano delle risposte allo spazio ester-no: si tratta questa volta di costruirenel paesaggio dei punti che prendonoa contrappunto le circostanze dell’am-biente esterno: la pioggia comincia acadere, il cipresso palpita mosso dalvento, la luce sosta in modo diverso ecambia colore. Anche qui gli alberi, ilmuro hanno la loro autonomia di co-stanza o di variabilità rispetto alle cir-costanze dell’ambiente esterno, di cuiesprimono il rapporto con il paesaggio.Perché tale rapporto può essere deter-minato senza che le circostanze lo sia-no, proprio come il rapporto con gli im-pulsi può essere determinato senzache l’impulso lo sia. I rapporti fra lematerie d’espressione - i gesti, i motiviritmati - esprimono i rapporti del pae-saggio con gli impulsi interni, con lecircostanze esterne: hanno una auto-nomia in questa espressione stessa.Esplorano le potenzialità dell’ambien-

te interno o esterno. Quando c’èespressività del ritmo c’è scambio.Inoltre quando non ci troviamo più nel-la semplice situazione di un ritmo as-sociato a un soggetto, il ritmo può va-riare o rimanere costante, può spariree riapparire, divenire lui stesso il sog-getto. Allo stesso modo le qualitàespressive entrano in rapporti recipro-ci, variabili o costanti per costituiremotivi o contrappunti che esprimono ilrapporto del paesaggio con gli impulsiinterni o circostanze esterne. Anchese queste non sono ancora date. È nelmotivo del contrappunto che si deter-mina il rapporto con la gioia o con latristezza con la pioggia, con il tramon-to. È nel motivo del contrappunto che ilsole, la gioia o la tristezza divengonospazi ritmici o melodici.Ora l’organizzazione di segni qualitativiin linee e colori, in motivi e contrappun-ti comporterà necessariamente unapresa di consistenza o una cattura disegni di un’altra qualità.La consistenza si stabilisce necessa-riamente fra elementi eterogenei che silimitavano a coesistere o a succedersi;sono presi ora gli uni negli altri per con-solidamento della loro consistenza edella loro successione. Il fatto è che gliintervalli e le intercalazioni costituisco-no motivi e contrappunti nell’ordine diuna qualità espressiva; comprendendoanche qualità di un altro ordine, un co-lore risponderà ad un suono, una lucead un volume. È una sintesi fra etero-genei, è una vera e propria operazionemacchinica che riunisce gli ordini, lespecie e le qualità eterogenee.

Tutte le fotografie dei plastici e delle ta-vole sono dell’Arch. Enzo Crestini.

Francesco Alessandra, Aligi Alfani, Tomas ManuelAyala, Diana Andreotti, Andrea Angeloni, Iacopo Ba-glini, Francesco Bani, Lorenzo Baracchi, GianlucaBernardi Fabrani, Beatrice Biasetti, Marco Bisogni,Alessio Borghesi, Filippo Bozzi, Paola Brandinelli,Leonardo Briganti, Luca Camaiani, Lorenzo Cappel-letti, Claudio Cappelli, Andrea Cardelli, Franco Ca-sella, Antonina Casoria, Luigi Casoria, Marco Ca-sprini, Emilia Castellani, Odoardo Castellucci, Stefa-no Castellucci, Domenico Cataldi, Nicole Catemi,Carlo Cecchi, Cecilia Ciabilli, Chiara Ciampa, Ghe-rardo Ciampini, Anna Cini, Claudia Cirolli, ClaudiaCoccoletti, Giulia Cogo, Ghigo Compagnoni, MauroCompagnucci, Maria Cristina Conestabile DellaStaffa, Cesare Conti, Valentina Conti, Gianluca Cor-nuti, Stefano Corrado, Laura Costa, Alessandra Co-stantini, Rita Creti, Federico Crociani,Luca Cubad-da, Manuela Dallolio, Alberto D’Andrea, Elena Danti,Donatella D’Antoni, Gianfranco D’Arrigo, CostanzaD’Asta, Luca Datteri, Giovanni De Gara, Laert Dedn-dreaj, Sira Dei Pieri, Eleonora Dell’Aquila, Lisa Del-l’Unto, Sandro Del Pistoia, Lara Del Re, Michela Del-l’Agnello, Eleonora Dell’Aquila, Maria Felicia DellaValle, Alexis Dendias, Francesco Deriu, Stefano DeSanti, Michele De Vena, Chiara Di Carlo, Raffaele DiMarco, Stefano Diomelli, Michele Diroma, AlexanderDi Stefano, Vera Di Tatto, Simona Di Tomaso, SergioDi Tondo, Alessandro Dolci, Chiara Domenichini, Mi-chail Epanomeritakis, Federica Fabbri, NicolettaFabbri, Ilaria Fabiani, Amanda Fagioli, Beatrice Fal-chini, Francesco Falli, Mattia Fantoni, Ada Faretra,Simone Farinazzo, Giulio Farinelli, Alberto Favaro,Juri Favilli, Tommaso Fedeli, Francesco Felici, Enri-co Ferranti, Giovanni Ferranti, Federico Ferrari, Gio-vanni Ferrati, Athanassios Fessatidis, Stefania Fic-cadenti, Enrico Fiesoli, Emanuela Figus, Jurji Filieri,Emiliano Fiordi, Maura Fiorelli, Moris Fiorelli, Raffa-ella Floria, Giovanna Focardi Nicita, Flavio Ferdi-nando Foderini, Angelo Fornaciari, Alessandra Fo-schi, Marco Francesconi, Alessandra Franchi, MartaFranci, Federico Frongia, Marco Frontini, ValentinaFumelli, Cecilia Gabilli, Tommaso Gabbrielli, AlessioGai, Mauro Galluccio, Pier Francesco Galuppini,Clara Gambelli, Francesca Gambelli, Selenia Gar-dic, Pierpaolo Garripoli, Andrea Gazzarrini, MauraGenovese, Roseda Gentile, Ilaria Gentili, LeonardoGherardi, Irene Ghiandai, Lisa Ghilarducci, LapoGiagnoni, Marco Giampellegrini, Francesco Giani,Francesco Giannetti, Michele Giombini, Elisa Girlan-ducci, Ilenia Girolami, Sandro Giuntoli, Andrea Giu-sti, Fabio Giusti, Sebhen Ickay Gokoz, Monica Gnal-di Coleschi, Giacomo Gori, Miller Gorini, Sara Grac-ci, Laura Graffeo, Lorenzo Granocchia, MichelaGrazietti, Simone Grazzi, Manuela Grazzini, MirkoGreco, Eleonora Grifoni, Francesca Guarducci, Ma-ria Chiara Guarnacci, Sauro Guarnieri, Silvia Impel-luso, Sebastiano Italia, Fabio Izzetti, Sebastian Kro-sen, Stefania Labonia, Matteo Lai, Ingrid Lam-minpää, Lucia Lancetti, Chiara Lascialfari, MicheleLascialfari, Silvia Lattanzi, Daniela Lattuneddu, Ro-berta Lazzeretti, Cristiano Lenzi, Francesco Leonar-di, Paolo Lerede, Antonella Lezi, Egidio Lista, SaraLochi, Riccardo Lombardi, Mirko Lorenzini, OlimpiaLorenzini, Chiara Lotti, Leslie Lucchesi, Lucia Luchi-ni, Samuele Luziani, Elisabeth Macchi, Stefano Maf-fei, Benedetta Maio, Patrizia Malavasi, Andrea Man-dalari, Luisa Manfrini, Rachele Manganelli Del Fà,Francesco Mangani, Luca Mangia, Stefano Manna,Federico Mannella, Giovanni Mannelli, TommasoMannozzi, Samira Mansour, Giovanni Manuelli, An-nalisa Mariani, Marco Marinai, Annalisa Marini, Giu-lia Marino, Loredana Marino, Luca Marino, ChiaraMarrocco, Alberto Martinelli, Elena Martinelli, Marco

Martinelli, Michele Martinelli, Johnny Marzuoli, Se-rena Masini, Samanta Masotti, Gennj Massafra, Pa-nayotis Mastrou, Federico Mastrorilli, Fabio Mati,Riccardo Matteucci, Simona Mattiacci, FrancescoMattioli, Gianna Maurri, Sara Mazzanti, AriannaMazzi, Donatella Mazzini, Loredana Mazzolani, Eri-ca Mauro, Federico Mei, William Meli, AlessandroMenchini, Manuela Menichelli, Francesca Meoni,Manuela Mereu, Valentina Mereu, Giada Meucci,Monica Meucci, Chiara Michelacce, Silvia Michielot-to, Giuseppina Miglietta, Angelo Milano, FrancescaMiscia, Pietro Mocali, Valentina Montanelli, CristianMontaini, Stefano Montioni, Valentina Moretti, LaraMori, Gabriele Morigoni, Simone Morselli, Lucia Mo-sconi, Sabina Moruzzo, Umberto Muccioli, PaolaMura, Marco Mussoni, Anastasia Myrissa, VivianaNaccarato, Michele Nardella, Fabio Nardini, Gaeta-no Natilla, Alessandro Nava, Alessandro Neri, MariaNetkidou, Elena Nilfedi, Alessia Nobile, AlessandraNocenti, Gianluca Nocentini, Pietro Nocentini, Mar-zia Nocetti, Chiara Nostrato, Erika Novelli, LuciaNuzzi, Marta Occhini, Tommaso Olivieri, Silvia Om-bellini, Silvia Onnis, Enrico Onori, Barbara Orlandi,Benedetta Orlandi, Cristina Orlandi, Stefania Orlan-dini, Maura Orro, Antonella Ottaviano, Monia OttoliniFranceschini, Ilaria Pacchiarotti, Valentina Pacini,Mauro Pagnani, Pierluigi Pala, Giuseppe Paladini,Leonardo Palanti, Irena Palavrsic, Serena Palazzi,Eleonora Palumbo, Andrea Pampaloni, Eugenio Pan-dolfini, Tamara Panichi, Luka Pantic, BenedettaPapa, Stefano Papa, Maria Papacristou, Malamate-nia Papagiota, Andrea Parenti, Claudio Pasqualini,Andrea Pasqui, Mara Pasquini, Costanza Pazzi, Co-lomba Pecchioli, Valentina Pecci, Federico Pecorari,Leonardo Pecori, Mirka Pederzoli, Andrea Pellegrini,Lian Pellicanò, Mara Pelliccia, Stefano Pepi, SimonePerini, Stefania Pertici, Irene Peruzzi, Diego Petrai,Flavio Petretti, Mariacristina Piccinini, Emi Pichierri,Domenico Piemonte, Enrico Pieraccioli, AlessandroPierleoni, Silvia Pieroni, Domenico Pilmonte, SilviaPintus, Stefano Pioli Di Marco, Federico Piras, Lo-renzo Piscopiello, Enrico Piva, Silvia Piva, LucianaPochinu Carta, Benedetta Pollastri, Carlotta Ponzel-li, Emilio Ponziano, Maria Luisa Poppi, Stefano Por-cu, Maria Isabel Poveda Fontes, Daria Predari, Si-mone Prex, Stefano Proietti, Chiara Puccini, SilviaQuaresima, Federica Quieti, Lucia Raffaelli, PaolaRampini, Monica Rasmini, Emiliano Ravanelli, Betti-na Reali, Sara Reali, Gabriella Reave, FrancescoRenieri, Simone Riccardi, Valentina Rinaldi, LindaRobba, Alessio Rocchegiani, Alessio Rocchi, RogioSerrano Alonso, Tiziana Romano, Alessandro Romo-lini, Piergiuseppa Rosatini, Cristiano Rossetti, Fran-cesco Rossetti, Silvia Russotto, Stefano Sacchetti,Giacomo Salizzoni, Valeria Salvi, Laura Sarri, Fran-cesca Sarti, Annalisa Savarese, Duccio Scarpetti,Valentina Sensi, Nicoletta Sestola, Andrea Sisti,Alessandro Sisto, Michela Sodini, Alessandro Son-nati, Samuele Sordi, Daniele Sorrentino, Milton Spe-rone, Gianna Stefani, Roberto Stella, Costanza Stra-maccioni, Valentina Taccetti, Lorenzo Tappi, ChiaraTarini, Stefano Teodani, Elisa Terzani, Silvia Testini,Silvia Thicci, Silvia Tiva, Anna Toollou, AlessandroTollini, Enrico Tomidei, Maurizio Tondi, AlessandroTonini, Antonella Tonini, Davide Tovani, Marco Trado-ri, Sara Trevisani, Fabio Tridenti, Romina Tronci, Am-bra Trotto, Marianna Truglia, Mehmet Karem Tuncay,Alessandra Turano, Rudi Ulivi, Mauro Vannucci, Ma-ria Vecchi, Francesco Vedele, Paolo Velpi, PamelaVentroni, Marco Venturi, Riccardo Verna, Irene Vino,Andrea Viviani, Lorenzo Volpe, Elena Zerbinati,Esther Ziegler, Giorgio Zoli, Fulvio Zorzi, MarcoZupa, Simone Zurli.

Ringrazio - insieme all’Arch. Francesco Armato che li ha seguiti, come al solito conmolta passione - gli studenti del Corso di Arredamento dell’AA. 1999-2000 che han-no prodotto il materiale da cui sono tratte le immagini.È possibile cogliere nelle intenzioni dei loro lavori l’eco dei temi trattati nel testo.

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1 Vedi: Traduzione in francese di Edgard Varèse diun testo di analisi di Ionisation redatto da NicolasSlonimsky, la quale è riportata alle pagg. 98-100di Odile Vivier, Varèse, Parigi, 1973.

IONIZZAZIONE: UN INSIEME DI SPA-ZI ETEROGENEI PRIMA DISPERSI EDOPO ARTICOLATI

Estratto dalla Tesi di Laurea diSabrina BianchiniRelatore Prof. Paolo GalliCorrelatore Arch. Ramin Razani

La tesi è distinta in tre fasi che riguar-dano tre operazioni diverse sulla for-ma, sulla materia, sul ritmo.Per ogni spazio immaginato il percorsodell’itinerario dei segni, sia esso orga-nizzato in viste di piante, sezioni, pro-spetti o prospettive conduce all’acqui-sizione dei fattori richiesti per il suo ap-prezzamento estetico. Lo scopo è

quello di individuare le componenti o lecostanti che producono senso, cheproducono la capacità di stimolare lafantasia e quindi realizzare il desiderioe l’idea di esserci dentro anche per unmomento.L’individuazione delle costanti dei se-gni architettonici ha consentito di di-stinguere alcune categorie che, per si-militudini, analogie ed assonanze siraggruppano e si accostano a formaree a focalizzare le relazioni dell’insiemee delle parti al di là delle singole figureinizialmente costruite assemblandoelementi verticali, orizzontali, scavati oin rilevato.Diluizione e concentrazione insiemealla selezione delle forme elementari

costituiscono il panorama da indagare,catalogare, scomporre e ricomporre inordini diversi. L’elenco sovverte l’ordineprecostituito e fornisce lo spunto peruna molteplicità di punti di vista. Trami-te questa lettura interpretativa si giun-ge ad un sistema di nuove relazionipossibili e allo sviluppo conclusivo. Allamaniera della partitura utilizzata cometermine di paragone si ha la reintegra-zione dei particolari (nucleari) arricchitidal processo (di ionizzazione). “Il cicloè compiuto.”1

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LA PROGETTAZIONE DEGLI SPAZIPUBBLICI NEL RAPPORTO CON LA SCUOLA

‘LE DUE VERITA’ - CONSIDERAZIONI DI CARATTERE GENERALE

Mauro Mugnai

Progettare un ‘polo’ (il cannone di J. L. Sert e i due contesti)

Il tema della progettazione di questo ‘polo’ si è inteso di prenderlo in considerazione facendo riferimento al concetto di ‘tipologia’,tipologia di uno spazio. Alla ricerca di come strutturare in senso unitario degli spazi esterni, vivibili, abitabili dal cittadino intesocome pedone; progetto, quindi, essenzialmente finalizzato alla definizione di un ‘involucro’ per il pedone-abitante. E, di conse-guenza, individuazione delle quantità minime indispensabili per realizzare un assetto significativo: “Nel minimo spazio, il massi-mo della qualità…”, potremmo utilizzare come slogan, parafrasando una pubblicità della Sony (che poi aggiunge: “È Sony e sisente”, a cui potremmo contrapporre: È un polo e si vede! Se in effetti è vero, come scrive Richard Neutra nel suo Progettare per

sopravvivere1 che “l’architettura/…/la pianificazione dell’ambiente sono in complesso ‘omnisensoriali’” ci si rivelano attraverso“tutti i sensi”, in fase di progettazione siamo praticamente costretti ad utilizzare soltanto la vista, anche se il termine ‘vedere’ nonpare rendere conto più di tanto della partecipazione ad un determinato assetto spaziale).

“ARCHITETTONICA. In generale l’arte di costruire in quanto suppone la capacità di subordinare i mezzi al fine e il fine meno importante a quello piùimportante” (Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia , UTET 1993).

“L’architettura come arte della delimitazioneCertamente l’architettura è, più di ogni altra, l’arte della delimitazione e della ripartizione spaziale/…/Potremmo allora convenire che l’architettura è propria-mente costituita da una spazialità, interna ed esterna al tempo stesso, una spazialità che, a differenza di quella della scultura, anziché “inserirsi” nello spazio,lo comprende e lo delimita dall’interno e dall’esterno, e lo rende al tempo stesso spazio abitabile in tutte le sue diverse accezioni.” (Gillo Dorfles, Il diveniredelle arti, Torino, Einaudi 1959, p. 133,134) “non ci stupirebbe che in un futuro non troppo lontano i nuovi centri urbani cercassero di sposare un rinnovellato‘senso della facciata’ con quella ricerca d’una prospettiva pluridimensionale propria di molta architettura d’avanguardia. Questo dovrebbe permettere ancheuna pacifica convivenza tra edifici antichi e nuovi, senza che si giunga ad un eccessivo stridore stilistico e prospettico.” (ivi, p.149,150). “Eppure oggi, adistanza di pochi decenni, ci accorgiamo che anche il rigorismo bauhausiano è superato, ci accorgiamo cioè che il divorzio così assoluto tra le tre arti nonaveva, e non ha, una reale ragion d’essere, che anzi è forse solo con la re-immissione di pittura e scultura che si potrà vivificare anche l’architettura.” (ivi,p.152). “immettere nell’architettura l’elemento cromatico oltre che sotto l’aspetto dell’opera pittorica anche sotto quello più elementare ma altrettanto efficacedella cromatizzazione diretta dell’edificio.” (ivi, p.152) “Solo riagganciando l’arte alla scienza e alla filosofia, se non è più ammissibile di riagganciarla allamagia e al rito, sarà possibile restituirle una vasta base di comunicatività.” (ivi, p. 290).

“Sarà giusto e “moderno” riaccettare il concetto di decorazione nel senso inteso da Sullivan (ossia come facente parte integrante della “funzione” di unedificio), e non certo nel senso di qualche tralcio di glicine o di altre superfetazioni ornamentali appiccicate alle pareti nude d’una costruzione a imitazionedei fasti (e nefasti) dell’Art Nouveau.” (Gillo Dorfles, La modernità è da inventare, “l’Arca” n. 5 1987, p. 2).

“In questo sforzo del movimento moderno, a me pare che si possano ravvisare – sostanzialmente – due sentieri alternativi: il primo è quello degli architettiche si concentrano nello studio “dei pieni”: textures , involucri, effetti plastici e così via, intendendo l’architettura come un problema di volumi e di spaziinterni. Il secondo sentiero è quello degli architetti che – partendo da volumi programmaticamente poveri (case popolari costruite in serie ecc.) – si sonoconcentrati essenzialmente nello studio “dei vuoti”, degli spazi interposti tra quei volumi elementari, intesi come una sorta di “mattoni urbanistici” dellanuova città e della nuova figuratività. Per motivi vari, fino ad oggi il primo sentiero è risultato molto più praticato e suggestivo del secondo, ma le cosepotrebbero anche rovesciarsi, domani, e la ricerca di “monumenti spazio, come in ogni altra epoca umana, divenire di nuovo intelligibile alla comunecomprensione di tutti gli uomini: come capita per altre manifestazioni artistiche, soprattutto musicali e letterarie ma anche plastiche e figurative.” (FrancescoTentori, “Casabella” n. 453, dicembre 1979, p.52).

“tel dessin d’un volume cubique pourra être vu comme la limite externe d’un solide que nous percevons du dehors ou comme l’entourage d’un espace quenous percevons du dehors ou comme l’entourage d’un espace que nous percevons de l’intérieur. Dans ce cas ambigu, la consigne qui pourra être donnée,indirectement, au sujet percevant, de voir la forme ‘en sailli’ ou ‘en creux’, décidera de la solution qu’il adoptera.” (Noël Mouloud, La peinture et l’espace ,PUF, Paris 1964, p.32).

… “le opere i cui spazi portano un contributo di benessere alla vita della popolazione e favoriscono l’incontro degli uomini, hanno un loro fondo che puòdefinirsi politico e sociale anche perché spostano i termini architettonici da una concezione di casta intellettuale o specializzata a quelli di una coralepartecipazione/…/Io mi sono domandato più volte perché mai tante celebrate opere di architettura lasciano indifferente o scontento il pubblico e che cosaoccorrerebbe fare perché esso si avvicinasse all’architettura di oggi senza i pregiudizi e le reticenze che, spesso ironicamente, dimostra. Perché è certoche quanto più una costruzione sembra interessante per i tecnici, i critici e gli uomini di cultura, tanto più è incomprensibile per i non ‘competenti’. Mentre

a noi i grattacieli di Mies rivelano un giuoco sapientissimo di rapporti e molte altre cose ancora che lodiamo, al pubblico in generale paiono gabbie o prigioni;e mentre per noi la Chiesa di Ronchamp è un fatto plastico e molte altre cose da meditare, per il pubblico è una forma strana o non una Chiesa; e così via(Giovanni Michelucci, Riflessioni , “La Casa” n. 6, p. 219).

“Il terzo grande ostacolo all’autoconoscenza umana è – almeno nelle nostre culture occidentali – un’eredità della filosofia idealistica. Sorge dalla bipartizio-ne del mondo nel mondo esterno delle cose, che per principio è senza valore per il pensiero idealistico, e nel mondo interno del pensiero umano e dellaragione, a cui soltanto vengono riconosciuti valori. Questa bipartizone è cara alla superbia spirituale dell’uomo e sostiene in maniera gradita la suaavversione ad accettare che il suo comportamento sia determinato da cause naturali.” (Konrad Lorenz, L’aggressività, Milano Euroclub 1978, p.283)

“In che consista l’essere scostumato: quali atti sieno spiacevoli a que’ co’ quali si usa. Si dividono questi secondo il numero delle potenze dell’anima, allequali si può render noia. Il che acciò che tu più agevolmente apprenda di fare, dèi sapere che a te convien temperare ed ordinare i tuoi modi, non secondoil tuo arbitrio, ma secondo il piacer di coloro co’ quali tu usi, ed a quello indirizzarli: e ciò si vuol fare mezzanamente: perciò che chi si diletta di tropposecondare il piacere altrui nella conversazione e nella usanza pare piuttosto buffone, o giuocolare, o per avventura lusinghiero, che costumato gentiluomo:si come per lo contrario chi di piacere, o di dispiacere altrui non si dà alcun pensiero, è zotico e scostumato e disavvenente. Adunque con ciò sia cosa chele nostre maniere sieno allora dilettevoli, quando noi abbiamo riguardo all’altrui e non al nostro diletto; se noi investigheremo quali sono quelle cose, chedilettano generalmente il più degli uomini, e quali quelle che noiano; potremo agevolmente trovare quali modi siano da schifarsi nel vivere con esso loro, equali siano da eleggersi. Diciamo adunque, che ciascuno atto che è di noia ad alcuno de’ sensi; e ciò che è contrario all’appetito; ed oltre a ciò quello, cherappresenta alla immaginazione cose male da lei gradite, e similmente ciò che lo intelletto have a schifo, spiace e non si dee fare.” (Giovanni della Casa,Galateo ovvero de’ costumi , Firenze Le Monnier 1949, p.30-31).

Su “Mattina” del 14.10.97, Condono, tutto da rifare. A rischio chi ha già pagato, si dà notizia di una legge del 1939 che all’articolo 15 elenca una serie diviolazioni dei vincoli paesaggistici, ambientali, geologici e simili. La finanziaria dell’anno scorso ha previsto un regolamento per questa legge e dovrannocosì essere riviste tutte le pratiche di condono edilizio.

“Senza concetti non c’è universalità o oggettività: non c’è forma: forma non può essere che lo eidos, l’idea, il concetto (la lezione inconsunta dei greci): e ‘immagine’ emusicalità e simili appartengono, per se stesse, all’ordine dello immediato o soggettivo o sensibile o particolare che si dica.” (Ignazio Ambrogio, dalle Note alla Critica del

gusto di Galvano della Volpe, in G. Della Volpe, Opere, 6, Editori Riuniti, 1973, p. 463). Potrebbe quindi essere, dovrebbe quindi essere l’’idea’ di un rapporto con un utenteesterno, l’idea della strutturazione di un ‘vuoto’. L’idea della strutturazione di un ‘contingente’. NON la rappresentazione di un ‘u n i v e r s a l e’.“L’idea è, per se stessa, un universale: e nel campo artistico l’universale è il niente. S’io dico pianta, intendo tutte le piante, cioè nessuna pianta concreta. S’io dicocapitano, intendo tutti i capitani e nessun capitano. Il filosofo e lo scienziato, gli speculatori puri, si partono appunto dagli universali od arrivano agli universali. Lascienza e la filosofia hanno per oggetto l’universale. L’artista guarda anch’egli all’universale; ma all’universale limitato, oscurato, vorrei dire spezzato nella realtà.”(Eugenio Donadoni, L’Anima e la Parola, vol. II, Società Editrice Dante Alighieri, Milano, Roma, Napoli 1915, p.20). Dire scuola, non dice niente. Dire quella piazzavuol dire mettere in grado gli abitanti di utilizzare quello specifico spazio. Se una pittura ha valenze universali può essere utilizzata per determinare uno spazio, mal’oggetto che ha in sé la determinazione non collaborerà mai alla costruzione di uno spazio esterno. Idea, quindi, sì, ma di un ‘vuoto’.

“L’unica via possibile, abbiamo detto, è di pensare fino in fondo il funzionalismo” (Jan Mukarovsky, Il significato dell’estetica , Torino, Einaudi 1973, p. 385).

“L’indagine formale sull’architettura non potrà mai riferirsi ad uno spazio in astratto, ma al modo in cui sarà stata accusata e risolta la indispensabileesternità-internità dell’edificio. Nelle modalità della formulazione si recupera allora la chiave stessa della spazialità, di cui si è inteso investire l’immagine.- Ma occorre rifare tutta la storia dell’architettura! - esclamò sgomento Cortese.Perché non dovrebbe essere rifatta? Postillò Carmine/…/Comunque, Cortese, per questa famosa storia dell’architettura, che è pur da rifare, si dovrà tenerepresente una discriminazione inevitabile/…/E questa discriminazione riguarda il modo col quale ci si sarà rivolti all’architettura, se prevalentemente imma-ginandola come un interno o in esterno. Che poi questa prevalenza non sia occasionale, ma investa di volta secoli di storia, sarà facile rendersene conto,solo che ci si rivolga, con un colpo d’occhio, alla successione storica di certe forme architettoniche.- E allora si scoprirà, - disse, caricato, Carmine/…/che lo spazio interno è dei retrogradi, lo spazio esterno dei progressivi” (Cesare Brandi, Eliante o

dell’Architettura , Editori Riuniti, 1992, p. 264, 275).

“E che cos’è dunque la città, se non una grande esposizione permanente?/…/I Vetrinisti son degli artisti, allo stesso titolo degli architetti, degli scultori e deipittori che abbelliscon la grande casa nella quale viviamo; anzi son i soli pittori di pareti, oggi che l’affresco e il graffito all’aria aperta son quasi scomparsi”(Giuseppe Prezzolini, America con gli stivali , Vallecchi, 1954, p.520-521).

“La decorazione è ritmo; in essa si nasconde lo stesso arcano che regna nella metrica del poeta. Parte dominante dell’architettura del Novecento haoperato allo stesso modo del poeta che si è scoperto a scrivere allontanando da sé la metrica: l’uno e l’altro hanno cercato di togliere la maschera almondo, convinti di trovare la sostanza, e in questo hanno rischiato il nulla e molto spesso hanno rischiato di portare a compimento la totalizzazione etico-politica dell’Ottocento” (Roberto Masiero, Elogio della decorazione contro la superficialità , “Rassegna” n. 41 1990, p. 23).

“Non esiste alcunché di più direttamente emozionante per l’occhio di un artista che l’arredamento interno di quel che negli Stati Uniti si chiama un appartamento benammobiliato. Il suo difetto più comune è la mancanza di armonia. Noi parliamo dell’armonia di una camera come parleremmo dell’armonia di un quadro, perché ambedue,la camera e il quadro, sono egualmente sottomessi a quei principi indefettibili che sorreggono tutte le varietà dell’arte, e si potrebbe quasi dire che le leggi con le qualigiudichiamo le qualità principali di un quadro sono sufficienti per apprezzare l’armonia dell’arredamento di una camera” (Edgar Allan Poe, cit. da Giuseppe Bartolucci,Edgar Allan Poe pioniere dell’arredamento, “ Arte Club” n. 20, 1964, p. 57). Aggiungiamo il seguito (da: Edagar Allan Poe. Oeuvres en prose traduites par Charles

Baudelaire, Gallimard 1969, p. 972): “Il y a quelquefois lieu d’observer un manque d’harmonie dans le caractère des diverses pièces de l’ameublement, mais plusgénéralement dans leurs couleurs ou dans leur modes d’adaptation à leur usage naturel. Très-souvent l’oeil est offensé par leur arrangement anti-artistique. Les lignesdroites sont trop visiblement prédominantes, trop continuées sans interruption, ou rompues trop rudement par des angles droits. Si les lignes courbes interviennent, ellesse répètent avec une uniformité dèplaisante. Par une précision outrée, tout l’aspect d’une belle chambre se trouve complétement gâté.”Sempre di Baudelaire sono da notare i richiami ad una concezione dualistica dell’arte (da Baudelaire Critique d’art suivi de Critique musicale, Paris Gallimard1992): “Plus l’art voudra être philosophiquement clair, plus il se dégradera et remontera vers l’hiéroglyphe enfantin; plus au contraire l’art se détachera del’ensegnement et plus il montera vers la beauté pure et désintéressée. L’Allemagne, comme on le sait et comme il serait facile de le deviner si on ne le savait pas,est le pays qui a le plus donné dans l’erreur de l’art philosphique.” (p.259) “La dualité de l’art est une conséquence fatale de la dualité de l’homme” (p.345)

“De tous les arts ou, plus exactement, de totes les techniques susceptibles d’atteindre parfois à l’art, c’est peut être l’architecture qui inspire au public leplus de timidité, alors que c’està propos d’elle, par excellence, qu’il importerait le plus u’il eût des avis. Il a des réaction, des abstensions - sourtout desabstensions - rarement des avis. Les hommes se sentent et se disent volontiers profanes en ce domaine où ils ne devraient pas l’être, puisq’ils sont bienforcés d’être les usagers de l’architecture et que toute leur vie en dépend. (Jean-François Revel, Les “progrès” de l’architecture, Peut-on parler de divorce

entre le public et les pionniers de l’architecture depuis en siècle?, “Connaissance des Arts”, n, 95 1960, p.87).

“La dicotomia studiata qui appare di un significato e di una portata fondamentali per comprendere pienamente il comportamento verbale e il comportamen-to umano in generale” (Roman Jakobson, I poli metaforico e metonimico , in Saggi di linguistica generale , Milano, Feltrinelli, 1994, p.42).

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“Quel che Kant compie è /…/ una messa in chiaro risolutiva di quanto costituisce lo specifico carattere (carattere che non è determinante, e quindi nonapodittico) del giudizio estetico; e nel contempo egli dimostra l’impossibilità di ogni dottrina del bello. Applicato alle arti, questo tipo di riflessione filosoficasi risolve nel colpire con l’accusa di inconsistenza dal punto di vista conoscitivo ogni dottrina filosofica fondata su una definizione dell’arte di carattereessenzialistico: il discorso estetico viene così ad essere limitato al piano d’ una critica che prenda in esame e valuti le opere e - verrebbe da aggiungere -allo studio delle strutture fenomeniche di queste ultime. Ora, il fatto è che il romanticismo - e tutto quanto ne discende - produce un corto circuito proprio

“Quelli che nel secolo XIII si chiamavano “magistri aedificiorum et stratarum”, o semplicemente “aedificiorum”, nel se. XVI si chiameranno invece “magistriviarum et aedificiorum” o semplicemente “viarum”. E la posizione di priorità o d’esclusiva, che nella intitolazione tengono questi due termini di edifici e distrade, indica il soggetto alternativamente prevalente delle attribuzioni dei maestri nei vari tempi. Nei secoli XIII e XIV i maestri - e non per nulla tutti idocumenti, che ce ne rimagono, sono sentenze arbitrali - sono soltanto dei giudici: giudici “super omnibus questionibus Urbis edificiorum, domorum,murorum, viarum, platearum, divisionum tam intus Urbem quam extra”. Il concetto d’ornato e d’utilità pubblica stenta ancora evidentemente a svolgersidalla selva dei casi concreti e delle vertenze particolari di convenienza e d’utilità privata (Emilio Re, Maestri di strada , Roma, A cura della R. SocietàRomana di storia patria, 1920, p. 5 sgg.).

“Fin dal trecento, nel 1299, a Firenze, era stato costituito l’ufficio delle contrade, delle piazze e dei ponti. Il principio del rettifilo incominciò ad avere imperoverso la metà del quattrocento, sotto gli auspicii di Niccolò V e di Sisto IV/…/i magistri viarum , ebbero il compito speciale di occuparsi dell’allineamentodelle strade e della loro ornamentazione. Identici concetti imperavano a Siena, dove troviamo gli Uffiziali dell’ornato (1469), a Ferrara e a Milano” (EugenioMüntz, L’arte italiana nel quattrocento, Milano 1894, p. 365).

“Quasi tutta la nostra esistenza si svolge tra quattro pareti, che limitano e condizionano la nostra esperienza. E la parete non è soltanto una superficiesolida di mattoni intonacati, è anche un colore: l’opera del pittore che tinteggia una parete non è meno costruttiva di quella dell’architetto che l’ha progettatae del muratore che l’ha fabbricata. Il gesto pittorico di Rothko è il gesto pacato, uniforme dell’imbianchino che tinteggia un muro: a poco a poco, seguendoil ritmo regolare del moto che distende il colore, si avvede che la tinta muta la situazione ambientale e che uno spazio sta nascendo là dove non c’era cheuna cesura nella continuità dello spazio. La parete cessa di essere un limite, un divieto psicologico; come assorbito e filtrato attraverso la trama del colore,lo spazio al di là passa al di qua, trabocca dai limiti del muro, invade la stanza col proprio vapore. La parete diventa ambiente; lo spazio infinito, cosmico, sitrasforma in spazio empirico, da viverci dentro. Lo spazio che la pittura definisce non è più al di là, ma al di qua della superficie dipinta; e questa, come umusaici delle chiese bizantine (Rothko è russo), serve a colorire l’aria nel vano architettonico.” (Argan de L’Arte Moderna (sppl. N. 10 del “Corriere dellaSera”, p. 482)

“L’architettura è al tempo stesso un insieme di tecniche e una forma d’arte. L’idea di architettura non implica solo la costruzione di manufatti (muri, case,città), ma un modo complessivo di intendere lo spazio, dallo spazio individuale ai grandi spazi collettivi (la piazza, la strada, un intero territorio in quantoabitato e modificato dall’uomo” ( L’arte come mestiere a cura di Umberto Eco, Milano Bompiani 1972, p.107).

“…parlare di teatro diviene necessariamente parlare di espressione di fatti comunicativi in uno spazio determinato. Il quale non è solo spazio scenico, macontemporaneamente luogo in cui variamente si svolgono rapporti sociali. È nel luogo teatrale, insomma, che si articolano e si dialettizzano in manierastrettamente intrecciata scena, pubblico, mercato e ambiente sociale/…/Ludovico Zorzi, nel recente Il teatro e la città/…/ci fa inseguire la multiformefenomenologia dei luoghi teatrali così ripensati nella storia: la chiesa, la sala, il cortile, il giardino, la piazza, la città intera, ‘il cui tessuto viario vienepercepito, nell’occasione di ingressi e di cerimonie solenni, come uno spazio ludico collettivo’.” (Omar Calabrese, Lo spazio, il luogo, il pubblico. Dal

decentramento alla progettazione di nuove strutture , “Rinascita” n. 9, 3 marzo 1978, p.24).

“Prima di essere forma, una cosa è colore. I colori sono le qualità di un quadro. Ogni artista ha i suoi colori o la sua colorazione”

“Cerca di dimenticare gli oggetti che ti stanno davanti: un albero, una casa, un campo ecc. Pensa soltanto: qui c’è un piccolo quadrato azzurro, qui unastriscia di giallo, e dipingi come ti appaiono” (Manet) (U. Magrini, A. Nastasio, Educazione artistica 1 , Firenze Sansoni 1970)

“È importante ricordare che gli oggetti fisici non ci vengono dati come elementi primari. Ciò che vien dato è soltanto un complesso di sensa; e un sensum/…/è qualche cosa di “irrelato”. In altre parole, il sensum, come tale, è semplicemente una macchia colorata senza alcun riferimento a oggetti fisici esterni”(Aldous Huxley, L’arte di vedere, Mondadori 1951, p. 49).

“Più volte mi è stato chiesto per quale necessità ho modellato alcune statue ‘a rovescio’, cioè ho modellato lo spazio che racchiudeva il pieno, e non il pienodirettamente” “Si può considerare il valore del vuoto non come derivato ma come fatto attivo, agente sul pieno” (Mirko, La fondazione Mirko per Firenze ,Firenze Vallecchi 1979, p.26)

“Quale sarà la via d’uscita? Io credo che essa si trovi in quei punti di raccordo in cui la democrazia chiede che tutti i soggetti siano presenti: il politico deveaccostarsi all’architetto, l’architetto e il politico devono accostarsi al cittadino per avere una visione comune, per descrivere la vita com’è, e pensare comepuò essere, come deve essere. Bisogna sottrarsi al pericolo di essere costruttori di episodi architettonici non ripetibili solo per il gusto di vantarsenefacendo la ruota come il pavone, perché in questo modo si aumenta il distacco tra costruire e vivere; e se aumenta il distacco tra costruire e vivere, aumentalo spazio per i cattivi costruttori/…/la lunga esperienza storica italiana, che è un’esperienza autoritaria in tutti i sensi [autoritaria socialmente, culturalmente,economicamente, autoritaria anche dal punto di vista religioso] non ha affatto invogliato l’opinione pubblica a partecipare alla costruzione della vitapubblica.” (Conversazione con Furio Colombo , “l’Architetto” n. 147 giugno 2000, p. 17,18).

Così questo spazio abitato viene necessariamente a caratterizzarsi con un centro, come un luogo a cui è collegato il concetto dipolo. Uno spazio realmente rappresentato non può non avere un centro:

“Lo spazio e il tempo, così come ce li rappresentiamo, hanno un centro: non ci possiamo rappresentare un

tempo se non all’indietro o in avanti rispetto al momento presente al quale viene riferito il tutto. Qualcosa di

analogo vale per la rappresentazione dei luoghi”.2

In sostanza, quale tipo di spazio esterno si ritiene di dover strutturare in una determinata parte di ‘città’, al fine di agevolare lacaratterizzazione di quel luogo come ‘polo’ significativo in quella determinata zona? Ecco quindi che si precisano alcuni conno-tati della proposta: spazio esterno, spazio pedonale, che tipo di spazio pedonale…. In definitiva, una forma che riesca a darci lasensazione di un contenuto di questo tipo.

Negli ultimi anni il tema degli spazi aperti è stato di attualità (ricordiamo, ad esempio, per Firenze, alcuni titoli di incontri promossidal Circolo Fratelli Rosselli negli anni ’91, ’92: Costruire l’ambiente de-costruire l’architettura; La piazza; La facciata della città.

Fino alle diverse modalità di riferirsi o di utilizzare gli spazi pubblici che hanno preso campo. La Triennale di Milano 1997 con iltema: “Le architetture dello spazio pubblico. Forme del passato forme del presente” fa il punto su questa stagione progettuale esugli esiti relativi a varie sperimentazioni in rapporto alla ‘costruzione’ dell’ambiente e alla ‘decostruzione’ dell’architettura. AFirenze, tra il dicembre ’98 e l’aprile ’99 è previsto un ciclo di conferenze su alcune piazze cittadine, individuate così come‘oggetti’. In sostanza, con il tema della rivalutazione dello spazio pubblico, abbiamo da fare i conti con i connotati di un vero eproprio accadimento che ha contribuito a spostare l’attenzione dall’architettura intesa come edificio collegato ad una funzione -la casa, la scuola ecc.- ad un ‘involucro’ cittadino).Si tratta peraltro di eventi che vanno in parallelo con l’accentuarsi della crisi dell’architettura moderna. Il cosiddetto Modernoviene ‘superato’ dal Postmoderno e da altre ‘sigle’ che si costituiscono come risposte in chiave simbolico-espressiva, mentre ildisagio per l’utente delle nuove realizzazioni non pare tenda a diminuire così come le polemiche e le discussioni che spesso sisostituiscono all’attivismo delle realizzazioni del dopoguerra.3

Per quanto ci riguarda, un Corso universitario si caratterizza essenzialmente come tentativo di spiegazione razionale del sensodi determinate modalità di approccio, in questo caso relative al progetto dell’architettura. “In tutte le opere d’arte è/…/necessarioche l’autore abbia un piano prefisso ed un oggetto” scrive David Hume. 4 In questa sede, in sostanza, scegliamo questo delladefinizione di un ‘vuoto’ come ‘oggetto’ dell’architettura in certo qual modo assumendolo come riferimento funzionalmente prio-ritario intrinsecamente congruo.5

nella problematica della Critica del Giudizio allorché mette in atto la riduzione del Bello al Vero e procede alla identificazione tra l’esperienza estetica el’operazione con cui un contenuto ontologico viene presentato e determinato (Jean-Marie Schaeffer, L’arte dell’età moderna. Estertica e filosofia dell’artedal XVIII secolo ad oggi , Bologna, Il Mulino, 1996, p.25).

“una cosa è concepibile se è rappresentata da un concetto; non occorre che sia un concetto, per essere concepibile” Hilary Putnam, Mente, linguaggio erealtà , Milano, Adelphi 1987, p. 299.

“il n’y a d’originalité‚ possible qu’avec la vérité, que l’originalité‚ n’est autre chose qu’une des formes que prend la vérité pour se manifester; et ces formesheureusement sont infinies” Eugène Viollet-le-Duc, Entretiens sur l’architecture t.I, Paris, Morel 1863, p.451.

“Il bello rientra pertanto nel farsi evento nella verità. Non è quindi qualcosa di relativo al piacere, quale suo semplice oggetto” (Martin Heidegger, Sentieri

interrotti, Firenze, la Nuova Italia 1987, p.64).

…“nel XVII secolo, si affermò il particolare dualismo dei due tipi di fiducia dell’uomo in se stesso; uno, era quello della fiducia che l’uomo aveva delle proprieesperienze sensibili della realtà; l’altro, quello della convinzione di poter conoscere la realtà… extra-sensibile e inimmaginabile, in modo matematico eastratto, fedele alla realtà stessa, anche se non corrisponde all’esperienza” “E sempre non sappiamo se l’uomo è un essere nato nel sole e proteso versodi esso o se il suo regno è l’ombra e il freddo della notte durante la quale si vedono le stelle” (Bogdan Suchodolski, Le idee copernicane e il loro significato

filosofico e culturale , Accademia Nazionale dei Lincei, 1970, p.7, 14).

“È fuori dubbio che il Mondo Moderno, liberando l’individuo, ha fatto trionfare il soggettivismo e l’individualismo. Ma è altrettanto certo che nessuna epocaprecedente ha elaborato un oggettivismo così spinto e che in nessuna età precedente il non-individuale trovò tanto credito sotto forma di collettivo” (MartinHeidegger, Sentieri interrotti , Firenze, La Nuova Italia, 1987, p.85).

“Mademoiselle de L’Espinasse: Che pensate dell’incrocio delle specie?/…/Bordeu: Senza dubbio; l’arte di creare degli esseri che non sono, a imitazione di quelli che sono, è vera poesia. Questa volta, in luogo di Ippocrate, mipermetterete dunque di citare Orazio. Questo poeta, o facitore, dice in qualche parte: Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci; il merito supremo è di averunito il gradevole all’utile. La perfezione consiste nel conciliare questi due punti. La azione gradevole e utile deve occupare il primo posto nell’ordineestetico; non possiamo rifiutare il secondo all’utile; il terzo sarà per il gradevole; e relegheremo all’ultimo posto quella che non rende né piacere né profitto.”(Denis Diderot, Dialoghi filosofici, Canova, Treviso s.d. p.171).

“ne recevoir jamais aucun chose pour vrai que je ne la connusse évidemment être telle” Descartes cit. da Viollet-Le-Duc (Op. Cit., p.453).

“il nostro occhio si esercita continuamente a maneggiare forme innumerevoli: la massima parte dell’immagine non è impressione dei sensi, bensì prodottodella fantasia . Dai sensi vengono presi soltanto piccoli motivi e occasioni, e ciò viene poi elaborato con l’invenzione. Bisogna mettere la fantasia al postodell’inconscio : la fantasia non fornisce deduzioni inconsce, quanto piuttosto possibilità proiettate (quando ad esempio i bassorilievi si trasformano in rilieviper l’osservatore). Il nostro ‘mondo esterno’ è un prodotto della fantasia, alla costruzione del quale sono state, di nuovo, adoperate fantasie precedenticome attività abituali ed acquisite con l’esercizio. I colori, i toni, sono fantasie, non corrispondono affatto esattamente al processo meccanico reale, bensìalla nostra condizione individuale” (Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi, cit. da Carlo Mongardini, Esprimere/Comprendere , Annuario dell’Insegnante1973-74, INA).

“ogni fatto psichico esiste non propriamente come fatto (qualcosa di già compiuto, precostituito), ma come atto.” (Giovanni Gentile, Sommario di pedagogia

come scienza filosofica , Firenze Sansoni 1934, p.26).

…“ogni percezione è una comunicazione o una comunione, la ripresa o il compimento da parte nostra di una intenzione estranea, o viceversa è larealizzazione all’esterno delle nostre potenze percettive e come un accoppiamento del nostro corpo con le cose. Se non è stato possibile accorgerceneprima, è perché la presa di coscienza del mondo percepito era ostacolata dai pregiudizi del pensiero oggettivo. Tale pensiero ha costantemente la funzionedi ridurre tutti i fenomeni che attestano l’unione del soggetto e del mondo e di sostituire a essi l’idea chiara dell’oggetto come in sé e del soggetto come puracoscienza” (Maurice Merlau-Ponty, Fenomenologia della percezione , Milano, Il Saggiatore 1965, p. 418).

“La definizione più precisa che si può dare dell’urbs e della polis è in realtà molto simile alla definizione scherzosa del cannone: si prende un foro, vi si avvolgeattorno strettamente del filo di acciaio ed ecco il cannone. Così l’urbs e la polis cominciano con l’essere uno spazio vuoto, il forum e l’agorà e tutto il resto sonosoltanto il mezzo per delimitare quello spazio vuoto, per tracciarne il contorno” (J. L. Sert, Centri per la vita della comunità, Ciam. Il cuore della città, Hoepli,Milano 1954, p.3).

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La considerazione che si può fare in relazione al brano citato di José Luis Sert sul ‘cannone’ è che con l’impostazione di questoCorso siamo al tempo stesso in linea perfetta con questo tipo di valutazione e, paradossalmente (o in conseguenza a conside-razioni come quella di Sert), alla ricerca di obiettivi sostanzialmente alternativi a quelli praticati di fatto dal Movimento Moderno.6

Ad esempio in rapporto a una realizzazione come quella della sede del Bauhaus a Dessau, caratterizzata da “un impiantodinamico, privo delle convenzionali gerarchie rappresentative tra fronte e retro, tra interno ed esterno”7 dove il protagonistaindiscusso è costituito dal ‘pieno’ dell’edificio. Le varie parti del Bauhaus di Dessau sono viste come componenti funzionalispecifiche assemblate nell’impianto (che Gropius amerà presentare visto dall’alto). Ed è questa una delle ragioni per cui prendia-mo in considerazione, come ‘esempi’, gli edifici scolastici nord europei. Rifiutando tuttavia la filosofia dello standard come deter-minante della forma del ‘pieno’: nel caso del Bauhaus, una sorta di restituzione morale dell’oggetto8 vale a dire la determinazionedella forma partendo dalla ricerca dell’essenzialità. Con il concetto di standard che uniforma l’architettura alla macchina (conver-tendola definitivamente ad ‘oggetto’) si mira alla spersonalizzazione, mentre noi, per la valorizzazione dei ‘vuoti’, dobbiamotendere alla reintroduzione della componente personale ancorata ad un determinato contesto, recuperando in questo senso ilconcetto di standard.9 E cercando di scindere il più possibile la strutturazione artistica da quella dell’oggetto:

“L’Art comme la Nature est rytmique c’est-à-dire Éternel. Si l’Art s’apparente à l’objet il devient descriptif , se

rabaisse vers des moyens imperfaits, il se condamne dei lui-même, il est sa propre négation.” 10

Il cosiddetto Movimento Moderno si caratterizza per presupposti teorici che Leonardo Benevolo sintetizza in slogan come:

“L’arte per cui lavoriamo è un bene di cui tutti possono partecipare, e che serve a migliorare tutti quanti; in realtà,

se non vi partecipano tutti non potrà parteciparvi nessuno” (Morris)

o

“Programma di redistribuzione dei beni artistici”11

Sigfried Giedion, citando van de Velde, individua le ragioni di questo movimento in una “rivolta morale” contro il mascheramentodei vecchi edifici. Per cui, in sostanza, abbiamo due tipi di ‘moralità’ cui far fronte: quello della ‘moralità’ delle forme alla ricerca diciò che sta dietro ai mascheramenti e quello della moralità del fare architettura, cercando di porla a servizio di tutti.12 Le cartevengono ovviamente giocate sul primo dei fronti nel quale si possono in qualche modo raccogliere dei frutti, tanto che riguardoall’architettura moderna Giulio Carlo Argan può riconoscere che i valori estetici conservano una loro attendibilità mentre quelliprogrammatici hanno mostrato palesemente i loro limiti:

“L’insuccesso dell’architettura razionale sul piano dei valori estetici è ancora da dimostrare; il suo insuccesso sul

piano ideologico è un fatto che può riempirci di tristezza, ma non si può contestare”.13

Il nostro assunto consiste nel porre in rapporto, in linea di principio, il fallimento degli obiettivi programmatici con il ‘successo’ diquelli estetici. I due fatti paiono connessi molto di più di quanto si potrebbe ritenere a prima vista. Si potrebbe addirittura soste-nere che con la sua carica utopica in realtà tutta sbilanciata sul piano della ‘poetica’, la strategia dell’architettura del XX secoloparte dando per scontato il fallimento degli obiettivi programmatici. Quando un Paul Scheerbart nel 1914 collega problemi dirinnovamento culturale della società con l’architettura del vetro e della trasparenza, vuol dire che tende ad utilizzare al massimola carica idealistica del concetto di innovazione in una sorta di formula vincente: aboliamo le pareti!

“Noi viviamo per lo più in spazi chiusi. Essi costituiscono l’ambiente da cui sorge la nostra cultura. La nostra

cultura è in certo modo il prodotto della nostra architettura. Se vogliamo portare la nostra cultura ad un più alto

livello, siamo costretti bene o male a trasformare la nostra architettura. E questo sarà possibile soltanto se

elimineremo dagli spazi in cui viviamo il carattere di chiusura.”14

Il che significa collegare, mettere in campo, obiettivi di carattere sociale con slogan che facendo breccia su istanze di rinnova-mento sociale, pongono la ricerca di standard assoluti, dove l’interno si fonde con l’esterno, l’Io dà libero sfogo alla propriacreatività aprendo il settore ad una completa decontestualizzazione.

In realtà l’architettura era già ampiamente decontestualizzata, seguendo un processo partito da lontano. Già la componenteformale si è resa autonoma dall’organismo e con il Moderno questa autonomia viene istituzionalizzata ‘scientificamente’. Ilsingolo oggetto può essere elaborato con tutta la libertà consentita dal ‘sistema’. Quando Adolf Behne nel 1923 solleva lo slogandell’architettura funzionale,15 distingue la forma dalla funzione: “l’impulso a far cosa piacevole dette origine all’interesse per laforma”. Solo che in passato - sostiene - le forme, il ‘gioco’ hanno preso il sopravvento per cui è andato a finire che

“L’importanza attribuita alla forma superò quella dello scopo. Così, risalire allo scopo è sempre un atto rivoluzio-

nario: significa rifiutare la tirannia di certe forme, al fine di creare, riflettendo sulla funzione originaria, forme

rinnovate, vitali, vive, partendo da una situazione il più possibile neutra. Il carattere strumentale della costruzio-

ne ne fa un’entità relativa, Il suo carattere di giuoco ne fa un’entità assoluta. Essa deve tenersi in equilibrio tra

questi due poli. Non si può parlare di equilibrio per gli ultimi secoli della storia edilizia europea. La forma ebbe il

sopravvento, e lo scopo era già sufficientemente raggiunto se la casa funzionava nonostante la forma, ossia

quando la forma non annullava addirittura lo scopo.”

Nella copertina della pubblicazione sta scritto che

“L’importanza del saggio di Behne non consiste tanto nei postulati sociali che egli pone a fondamento dell’archi-

tettura moderna, quanto nel rapporto diretto da lui stabilito fra tali postulati e la forma nuova dell’architettura,

dato che soltanto nella forma l’architettura si realizza e vive.”

Il discorso etico, le motivazioni sociali, le esigenze di adeguamento funzionale vengono tirate in ballo per giustificare delle forme,tanto che la funzionalità viene ad acquisire un valore politico rafforzato dal costituirsi del Movimento.16 Nel tentativo di afferrarel’essenzialità di un rapporto con la ragione di essere dei singoli oggetti, edifici compresi. Ma una funzionalità dell’architetturaesiste nella misura della possibilità di riportare a considerazioni razionali le questioni delle forme, ponendole in rapporto all’usoche se ne deve fare.

I ‘funzionalisti’ si occupano in sostanza di una ‘riduzione’ ad oggetto di un’architettura che non aveva ancora acquisito a pienoquesto carattere sotto tutte le latitudini: se ne stava in bilico tra una spesso male intesa esigenza di decoro e una sostanzialeautonomia del singolo manufatto. Era tempo che questa autonomia diventasse forma vitale. E in questo individuano l’‘uso’dell’architettura. In pratica pare questo il significato del titolo del primo capitolo di Behne: Non più facciate, ma case. Pare da unlato lo slogan di un operatore che ha perso la capacità di una lettura unitaria dell’ambiente ma che, al tempo stesso, pone ilproblema di una riflessione sistematica sull’architettura al di là dell’accademismo di una decorazione fine a se stessa.17 Unalibertà di riflessione sulla forma da dare all’architettura. Ed è questo il messaggio culturale avanzato che l’epoca della NuovaArchitettura lascia alle generazioni seguenti. Anche se nella sostanza, la strategia è quella di sostituire alla forma della facciata(e ai vincoli con la città) la forma, l’immagine, dell’oggetto autonomo.

“La forma geometrica come razionale a priori, viene assunta con valore di cosa in sé, indipendentemente da

ogni funzione di determinazione spaziale”.

Questa pare sia una delle didascalie relative all’architettura presenti alla nona Triennale del 1951.18 Una spiegazione della ‘funzio-nalità’ di questo comportamento, del perché ha fatto in certo qual modo strada, diffondendo la prassi degli oggetti autonomi più omeno sconnessi da quanto li circonda, ce la dà Argan operando la distinzione tra significato e funzione dell’edificio:

“Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che l’architetto abbia studiato e progettato insieme la funzione e la forma

della stazione; ma io, quella stazione, o la percepisco o la giudico, o la vivo nel suo dinamismo funzionale o la

contemplo. La stazione rimane quello che è, è il mio atteggiamento che muta, e l’atteggiamento contemplativo fa

parte dell’esistenza ed è modo d’esperienza esattamente come l’atteggiamento attivo. Questo spiega perché

un’architettura possa conservare il valore estetico anche quando cessa la sua funzionalità oggettiva: come il

Colosseo, appunto, che ha conservato e probabilmente accresciuto il suo valore estetico benché non serva più

agli spettacoli del circo/…/Nulla di più errato che identificare, di un edificio inserito nel contesto urbano, funzione

e significato. La funzione non dà il significato, ma semplicemente la ragion d’essere. Per esempio: la stazione

ferroviaria è, per me, funzionale nel momento in cui vi entro per salire sul treno, ma è là e io non cesso di

‘esperirla’ ogni volta che, senza dover partire o arrivare, passo davanti al grande edificio, o me ne valgo come

punto di riferimento per andare in qualche luogo che è al di qua o al di là, vicino o dalla parte opposta della città.

È una specie di topos privilegiato, che rimane tale anche se, per avventura, la stazione non è un grande edificio,

ma semplicemente un punto di arrivo e di partenza. Non è affatto escluso che, a costituire questo privilegio,

concorra il pensiero della continua funzionalità della stazione: di quell’arrivare e partire di gente che costituisce

indubbiamente un elemento delle vita della città.”19

La posizione è tipicamente idealista. Se la stazione ‘funziona’ entrandoci dentro, cos’è che ‘funziona’ rimanendo fuori? Soltan-to la contemplazione? Come se anche lo spazio antistante la stazione non fosse riferibile a una funzione, a una funzionalità,come se anche le mura del Colosseo non fossero costituite da un particolare modo di trattare aperture e materiali, adatti omeno ad interessare qualcuno che ne costeggi il perimetro; e che magari non ha intenzione di contemplarlo?20 si apre una purcertamente legittima rincorsa al ‘significato’ dell’architettura indipendentemente anzi in modo del tutto autonomo rispetto allacostruzione di uno spazio urbano antistante. Più sconnesso sarà, per dire, un supermercato e più facile sarà identificarne il‘significato’. 21

“L’uomo può essere opposto a se stesso in duplice modo: o come selvaggio, quando i suoi sentimenti dominano sui suoi princìpi; o come barbaro quandoi suoi princìpi distruggono i suoi sentimenti. Il selvaggio disprezza l’arte e riconosce la natura per sua sovrana assoluta; il barbaro schernisce e disonora lanatura, ma, più spregevole del selvaggio, continua assai spesso ad essere schiavo del proprio schiavo” (F. Shiller, Dell’educazione estetica dell’uomo,

lettera sesta , Milano Edizioni Accademia 1973, p.192).

“è l’uso caratteristico al quale è rivolto l’oggetto per via delle sue qualità specifiche, che fornisce il significato col quale si identifica” (John Dewey, Democrazia e

educazione, Firenze La Nuova Italia 1951, p.40).

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Per comprendere cosa significhi far collaborare un edificio alla costruzione della città, basta leggere il saggio su La reggia e la

città di Paolo Portoghesi22 come quando riflette sul fatto che

“il barocco, almeno a Roma, è essenzialmente arte urbana preoccupata di plasmare gli spazi esterni delle

strade come spazi interni della città.”

o dove descrive il Palazzo Ducale di Venezia e il modo di strutturare quella parete.23 Oppure raccogliere (e interpretare) leconsiderazioni dello stesso Manfredo Tafuri, quando, trattando del teatro, si chiede:

“fino a che punto le recenti lotte per il decentramento culturale e una nuova gestione pubblica della cultura

stessa saranno capaci di evitare la palude del populismo e incidere in modo muovo sulla struttura profonda

dell’istituzione teatrale? E fino a che punto quelle rivendicazioni, in Italia sempre più vive, sono premessa di una

concezione diversa dello spazio urbano?”24

Se è vero “che per la ricerca modernista è di fondamentale importanza lo spazio abitabile,”25 non risulta tuttavia corrispondente allarealtà che l’abitabilità dello spazio abbia costituito obiettivo centrale, dal punto di vista pratico, per l’architettura moderna.26 Dichia-razioni a parte, come abbiamo già rilevato nel Progetto della scuola in Italia,27 nella cosiddetta architettura moderna:

“i riferimenti funzionali tendono ad essere rapidamente codificati, ed in posizione subalterna rispetto all’esigen-

za di produrre nuove sollecitazioni spaziali e ambientali”.28

La ricerca funzionale effettiva, in fondo, implica relazioni sociali. Per l’architettura moderna l’obiettivo non può essere chequello espressivo, legato alla sintesi della ‘macchina’, o all’elaborazione di messaggi relativi alla propria ‘identità’, più chealle analisi delle condizioni abitative; alla ricerca di nuove modalità di espressione, che non alla risposta sistematica adesigenze oggettive che pur fa parte del bagaglio culturale del Movimento Moderno.29 Quindi la funzionalità è sostanzialmen-te all’insegna della metafora. La “linea analitico-razionale”30 non trova condizioni particolarmente favorevoli per il propriosviluppo. Nella stessa scelta dell’industria come committente, si risolve la riduzione dell’obiettivo ad oggetti da mettere sulmercato, come espressione simbolica di modernità, e nel metodo dell’analogia la maniera di definirli.31 E questa è un po’l’eredità che, questa volta nella pratica dell’ideologia dominante, il Moderno ha lasciato alla cultura degli architetti: ai valoridella vivibilità viene attribuita un’importanza secondaria. Non è l’architettura che costituisce un ‘relativo’ nei confronti del-l’abitabilità, ma il contrario!

In sostanza si identifica lo sviluppo della città con il singolo intervento ‘qualificato’ necessariamente incentrato sui ‘pieni’, affidan-dosi alle capacità di sintesi dell’architetto-artista. A fondamento di questa situazione che perdura fino ai nostri giorni sta la ricercada parte dell’architettura moderna di un “linguaggio universale, comprensibile ovunque”, una sorta di manifestazione dell’Io chetrova un veicolo di diffusione nelle riviste, libri, mostre, dove il critico, che tende ad isolare lo specifico oggetto-artistico che staanalizzando, viene ad assumere un’importanza determinante nella valorizzazione della forza dell’immagine che tende ovvia-mente ad identificarsi con un oggetto.32 E non potrebbe essere altrimenti date le premesse idealistiche: “tutto ciò che è spiritualeè superiore ad ogni prodotto naturale”;33 l’uomo trasforma “le cose esterne su cui imprime il sigillo del suo interno e in cui ritrovaora le proprie determinazioni”.34 L’architetto stesso si fa critico al fine della promozione della propria opera. Altrettanto ovviamen-te, tutt’altra cosa è l’universalità di un contesto determinato, dove a giudicare è l’abitante dello spazio, che tuttavia, al momento,non ha in pratica alcun ruolo in questi confronti a livello soprattutto internazionale sulle dispute sull’arte in quanto tale, dove il‘locale’ non ha voce in capitolo.35 Ponendosi come arte, non ‘relativa’ ma assoluta, l’architettura si stacca necessariamente da undeterminato invaso spaziale ma anche dal rapporto con le modalità con le quali viene solitamente ‘utilizzata’. 36Che pare poi ilproblema della particolarità sollevato da Lucács. E, prima ancora, dal Dewey:

“In primo luogo, vi è l’opposizione della conoscenza empirica a quella razionale più elevata. La prima è congiun-

ta con gli affari giornalieri, serve agli scopi dell’individuo comune che non ha scopi intellettuali specializzati, e

porta i suoi bisogni con un certo nesso con l’ambiente immediato. Questa conoscenza è disprezzata, o almeno

poco considerata, come puramente utilitaria e priva di significato culturale. La conoscenza razionale dovrebbe

essere qualcosa che tocchi la realtà in modo definitivo, intellettuale; qualcosa che dovrebbe essere perseguito

per se stesso, non abbassato con l’applicazione alla condotta. Socialmente la distinzione corrisponde a quella

fra l’intelligenza usata dalle classi operaie e l’intelligenza usata da una classe istruita lontana dagli interessi che

“Ma per caso si abita bene in una casa di Mies van der Rohe? Oppure L’urlo di Munch è per caso un quadro rilassante? Ora, l’equivoco nasce sull’architet-tura, perché in essa vi si abita e quindi c’è il pregiudizio che bisogna abitare in maniera comoda e felice, ma tutta l’arte contemporanea è caricata di fortitensioni e di inquietudine. Ma sulla funzione bisogna pure mettersi d’accordo, perché quello che è funzionale per certi non lo è per altri” (Manfredo Tafuri.

Non può esistere un valore collettivamente riconosciuto intorno a cui far ruotare il sistema della cultura, intervista di Giacinto di Pierantonio, “Flash Art” n.154, 1990, p. 92. Si noti come nella stessa intervista Tafuri fa presente i pregi di un’architettura che individua “un nuovo tessuto urbano” contro “le risposteattuali” che “al contrario cercano di enucleare dei punti quasi rinunciando ad influenzare la scala urbana, accettando lo stato di frantumazione, anzirifrantumando ancora di più”).“Maldonado cita una frase di Friedrich Dessauer: ‘Il fine dell’edilizia non è la casa, ma l’abitare, così come il fine della produzione di locomotive non è lalocomotiva, ma il trasporto’. Considerazioni di quelle che appaiono ovvie, ma di cui in pratica si finisce per tenere poco conto…” (Carlo Meolograni,L’oggetto casa, “Rinascita” 9 settembre 1977).

concernono i mezzi della vita. Filosoficamente, la differenza diventa distinzione fra particolare e universale.

L’esperienza è un aggregato di particolari più o meno isolati, e la conoscenza di ognuno di essi va fatta separa-

tamente. La ragione concerne cose universali, principi generali, leggi, che stanno al di sopra dell’ammasso dei

particolari concreti”.37

Concentrandosi sul ‘particolare’ o sul ‘locale’38possiamo arrivare, in linea teorica, anche all’organizzazione del “paesaggio comeun autentico paradiso terrestre” sostenuta da Karel Teige.39

Note:1 Milano, Edizioni di Comunità, 1956, p. 178.2 Carl Stumpf, Psicologia e metafisica, Firenze,Ponte alle Grazie, 1992, p. 132.3 Vedi ad esempio il carattere di ‘allestimenti imper-manenti’ rilevato da Furio Colombo per le architet-ture moderne ( Architettura e comunicazione: co-struzioni irrepetibili , “L’Architetto” n. 130, ottobre1998). Architettura come ‘comunicazione inutile’?“C’è un gran rumore per non dire niente. Come fa latelevisione. Anche Popper la detestava” (sono con-siderazioni di Gombrich dal “Sole 24 ore” deldell’1.11.98). Tutto il discorso si può ridurre alle atti-tudini comunicative? Quello dell’architettura “Unotra i mille modi di comunicare” (dal Viaggio nel mon-

do degli animali n.29). Comunicare che in uno spa-zio si possono compiere determinate azioni. Men-tre, per dire, per Frank O. Gehry si nota come perlui non vi sia “collegamento tra forme e funzioni del-l’architettura” (Sebastiano Brandolini, “La Repubbli-ca delle Donne” 12.10.98), la ‘ragione’ tende ogget-tivamente ad attaccare posizioni di questo tipo. Fu-rio Colombo deputato DS coordina “Le città: spazi

per partecipare” al 2° Forum internazionale Versocittà amiche delle bambine e dei bambini a Torino15-17 ottobre 98.Resta il fatto che nelle sperimentazioni dell’artecontemporanea si è provato veramente di tutto e, aseconda delle prospettive prescelte, paiono ancoravalidi aspetti del Moderno e addirittura “A questopunto tornano i conti persino con la caotica rivisita-zione del passato che opera il post-modernismo”(Maurizio Calvesi su “Rinascita” del 13 marzo1981), specie nel desiderio di riorganizzare com-pletamente il discorso “Però la rimessa in causa ditutti i linguaggi può avvenire in due maniere: o inmodo critico, responsabile, problematico; o inmodo caotico, acritico, carnevalesco, come è ilcaso di certa produzione pittorica ma anche archi-tettonica. Questo secondo modo, evidentemente,non promette nulla di buono.”4 L’estetica dell’empirismo inglese, a cura di MarioM. Rossi, Firenze Sansoni 1944, t.II, p.531.5 Anche altri corsi pare si interessino dello stesotema. Cfr. Celestino Porrino che si riferisce ai “vuotied il loro uso sociale”, “Archi e Colonne” A:I, n.5-6settembre-dicembre 1985, p. 11. O Franco Mancu-so, quando, dopo aver preso atto che oggi la norma“non consentirebbe mai la manifestazione di un or-ganismo urbano con la vitalità urbana di un campodi Venezia, di una piazza di Siena, di una strada diFirenze” rivendica l’importanza del disegno urbano“quando per affrontare i problemi di una città, o diuna sua parte, occorre partire dalla definizione deglispazi, piuttosto che da quella dei manufatti” (L’archi-

tettura tra piano e progetto, “Architetti Veneto” n. 1luglio 1990, p.16). Ma non risulta possibile la com-presenza di due intenzioni diverse e magari oppo-ste: una ordinatrice dei vuoti per l’urbanistica e l’al-tra , l’architettura, che magari li distrugge.6 Nonostante la critica al Bauhaus (che segue) èproprio a Gropius che dobbiamo la rivalutazione delcittadino inteso come pedone: “il pedone è stato re-spinto contro il muro nel processo di costruzionedella grande rete del traffico automobilistico che hafatto espandere tanto esplosivamente la nostra co-munità. Io sono convinto che è altrettanto se non piùnecessario creare ora, in aggiunta a quelle per iltraffico automobilistico, reti indipendenti di traffico

pedonale, separate e protette contro le automobili.Questo tracciato stradale pedonale, sovrapposto aquello automobilistico, comincerebbe e finirebbenon su un’autostrada, ma in una bella piazza, vieta-ta alle automobili, vero cuore e centro dell’unità ur-banistica, che dovrebbe servire come centro localeper il pubblico scambio di opinioni e la partecipazio-ne agli affari comunitari.” (Architettura integrata, Mi-lano Il Saggiatore 1963, p.206).7 Marco De Michelis, Agnes Kohlmeyer, Bauhaus,“Dossier” all. ad “Art e Dossier” n. 119, Firenze 1997.Non a caso, sulla pagina opposta del brano di Sert èriprodotta una foto di piazza San Marco a Venezia.8 “La forme devenait morale lorsqu’éteait mise à nula fonction” (Erich Michaud, La vie moderne,

Bauhaus et ‘modenisme’ , “Les Cahiers du MuséNational d’Art Moderne”, n. 19,20, Juin 1987,p.132). Nel marzo 1987 “Domus” n. 681 ripubblicaStruttura e architettura di Giuseppe Pagano, dovela posizione moralista/essenzialista emerge conparticolare chiarezza: “per effetto di coloro chehanno sentito il problema morale dell’architetturamoderna in tutta la sua vastità, si affronta la que-stione nella sua essenza, fino a cercare di ognicosa la fisionomia finale, la forma-tipo, la sintesi vo-lumetrica assoluta, anonima, prima.” (p.19,20). An-che Pagano vede l’origine di questa “Arte modernaprimitiva” nei maestri nord-europei. In particolare inHenry van de Velde. Che in effetti afferma “che il

nostro cervello è rimasto più sano dei nostri occhi”(Per un nuovo stile, Il Saggiatore 1966, p. 124), in-staurando così una sorta di egemonia dell’‘intelli-genza’ (e dell’‘ingegneria’). Invece dell’oggettività simira all’oggetto, invece di applicare principi di que-sto genere all’analisi oggettiva dei fatti, si trasferi-sce questa “logica” nella definizione dell’edificio. Sela situazione non potrà divenire “morale” sarà l’edi-ficio al quale si cercherà di attribuire contenuti delgenere. L’errore teorico è manifesto: in certo qualmodo anche Lucács pone in evidenza i limiti dellamatrice ‘interna’ della forma del Bauhaus quandoosserva (Estetica , vol.II, Torino Einaudi 1970,p.1199): “Molte teorie moderne (per esempio delBauhaus) commettono un errore teorico e praticofunesto per lo sviluppo dell’architettura proprio per-ché nella realizzazione oggettivo-tecnologica diuna costruzione, quando essa è riuscita come tale,vedono un fatto ovviamente estetico.” Eppoi, di fat-to, introduce il paragone con la cupola del Brunelle-schi e l’esigenza di presentare “tratti qualitativa-mente nuovi”.Il concetto di standard in quanto tale presenta pe-raltro possibilità di interpretazioni senz’altro positi-ve, poiché risponde ad esigenze oggettive. Le Cor-busier “In difesa dello standard scriveva in Vers unearchitecture: ‘Tutti gli uomini hanno un medesimoorganismo, medesime funzioni. Tutti gli uomini han-no medesimi bisogni’.” cita Renato De Fusco (Ilprogetto di architettura, cit. p. 58). È quando lo stan-dard diventa edificio e forma precostituita e non ga-ranzia di un certo livello qualitativo nella definizionedelle forme che le verifiche complessive lasciano adesiderare. “Che la costruzione organica/…/dellacittà si imponga all’elemento standard per rinnovar-lo e non che l’elemento standard condizioni la co-struzione”, scrive Enzo Paci su la “Rivista di esteti-ca” n. 1, gennaio-aprile 1956, p. 61.9 Nelle situazioni e nei margini in cui gli individui

vengono lasciati liberi di organizzarsi vengono fuorispesso risultati di particolare interesse. Vedi adesempio: Handmade Houses, A Guide to the Woo-

dbutcher’s Art, Idea Books International, London1975. La pubblicazione inizia con queste parole diSim Van der Ryn: “For some years we have heardthe extravagant technological promise of housingat low cost. It has never come to pass. The answerto low cost housing, it seems to me, is to make abreak with a ‘standard of living’ that makes us sla-ves to centralised decision-making and control, toan economy whose values are the magnitude ofproduction and consumption. The dollar is not a re-asonable measure of the quality of life or the qualityof place.” In pratica, pare svilupparsi un “naturali-smo” di segno opposto a quello caratterizzante laBauhaus dove “il naturalismo formale si dissolvenel cosiddetto Astrattismo. Questo, come è noto, sifonda sul principio dell’indipendenza della formaartistica da ogni determinante empirica” con la rela-tiva “impossibilità di una fabula de lineis et colori-

bus” scrive Argan (Walter Gropius e la Bauhaus,Torino Einaudi 1051, p. 25. 26). Proprio perché ilprodotto si pone come opera d’arte: “l’opera d’arte,come qualsiasi cosa della realtà, è constatabile maingiudicabile.” (ivi, p. 26).10 Robert Delaunay, rip. In Robert Delaunay, Du cu-bisme a l’art abstrait , a cura di Pierre Francastel,Paris S.E.V.P.E.N., 1957p. 150. Un ‘descrittivo’ chein architettura ostacola o impedisce la partecipa-zione alla scena urbana.11 Citato da Stefano Ray, L’architettura moderna nei

Paesi Scandinavi, Bologna Cappelli 1965, p. 20.12 “L’attività progettante per eccellenza è la filosofia”“Si possono avere due concezioni dell’architettura,a seconda che essa venga o no messa in rapportocon la ideologia. Nel primo caso l’architettura è pu-ramente un’arte per l’arte, cioè un esercizio creati-vo di forme, il cui substrato ideologico è un fattopreliminare personale, dell’artista; si fonde, cioècon la ‘poetica’ ispiratrice. Oppure si ritiene – e que-sto è il richiamo all’ordine fondamentale del pensie-ro razionalista – che l’architetto, con le sue nuoveforme, voglia contribuire a quello che genericamen-te si definisce come ‘progresso sociale’; e quindil’ideologia non è più un fatto preliminare, personaledella creazione artistica, bensì qualcosa che illumi-na tutto il processo creativo.” (Giovanni Klaus Koe-nig, Metodi e limiti del progettare, “Quaderni del-l’Istituto di Elementi di Architettura e Rilievo dei mo-numenti”, n. 6/7 Firenze LEF 1964, p. 83,84).Koenig pone il problema del rapporto tra progetta-zione e filosofia, la filosofia come una sorta di‘scienza della progettazione’ “l’attitudine costruttivae la capacità di dedurre da principî arbitrariamenteposti il piano dell’universo” scrive Zino Zini prefa-zione ad Alessandro Mazoni, Del sistema che fon-

da la morale sull’utilità, Torino Paravia 1931, p. 84.Quindi, per usare le parole di Koenig, un tipo di ar-chitettura che trova nell’ideologia il fondamentodella sua strategia, dandosi cioè degli obiettivi incontrapposizione al principio dell’arte per l’arte, diuna sorta di oggetto che si esaurisce in se stesso,non individuando altre motivazioni al proprio ester-no (aspetto, come si vedrà, da recuperare anche inuna prospettiva ‘ideologica’).13 Citato da Stefano Ray, L’architettura moderna nei

Paesi Scandinavi, cit., p.82.

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14 Architettura del vetro, ora in Ulrich Conrads, Ma-nifesti e programmi per l’architettura del XX secolo,Firenze Vallecchi Centro Di 1970, p.27.15 Adolf Behne, L’architettura funzionale , FirenzeVallecchi 1968, p.15.16 Gombrich ci ricorda che Cicerone nel De oratore

evidenzia le strette connessioni tra utilitas e venu-

stas. Van de Velde cita Socrate: “Un oggetto è bellosolo quando è stato creato/…/in modo che corri-sponda allo scopo cui deve servire”.17 Mentre invece Le Corbusier: “La facciata, non piùvincolata a una funzione portante, può essere con-siderata una semplice membrana che isola l’inter-no dall’esterno.” Maniera di pensare l’urbanistica ,Bari, Laterza 1965, p.23.18 Riportata da Giulia Veronesi (Profili, disegni, ar-

chitetti, strutture, esposizioni, Firenze Vallecchi1969, p. 82). La considerazione è relativa a Ledoux,ma si ritiene di poterla estendere anche all’architet-tura razionale.19 Giulio Carlo Argan, Lo spazio visivo della città. InAAVV: Il fenomeno ‘città’ nella vita e nella culturad’oggi, a cura di Piero Nardi, “Quaderni di SanGiorgio” Firenze Sansoni 1971, pp. 165-167.20 Nel caso del teatro Carlo Felice di Genova, Arganosserverà che era meglio partire dalla verifica dellapiazza: Bisognava prima ripensare la piazza, “Rina-scita” n.32, 11 agosto 1984. Con relativa replica diAldo Rossi (“Rinascita” n.33 25 agosto 1984) dovesostiene che fra tante torri a Genova ci può stareanche quella del teatro. Lui è per un progetto che“non diventi arredo urbano”. Coglie anche l’occasio-ne per esprimere il proprio compiacimento per la re-alizzazione della Torre Velasca a Milano “bella daessere riprodotta sulle cartoline più diffuse”.21 Nella stessa raccolta di saggi della rivista all’inse-gna del “Fenomeno ‘città’”, Giuseppe Samonà(p.150), a proposito del rapporto tra centri storici earchitettura: “anche coloro che in omaggio all’ideadi continuità del processo storico, teorizzano lapossibilità di sostituire gli edifici fatiscenti, e in con-trasto alla matrice antica, con volumi pari a quellidell’edilizia di questa matrice, quando poi si vedonodavanti, finito, uno degli edifici di sostituzione, lotrovano sempre brutto e incongruo, con mille difettiche cercano sempre di portare a giustificazione delloro rifiuto che contrasterebbe con l’idea metodolo-gica dell’inserimento omogeneo. Lo stesso potreb-be ripetersi per coloro che predicano l’assolutamancanza di problemi del genere, in quanto teoriz-zano la necessità dell’accostamento sic et simplici-

ter di opere modernissime alle antiche, accosta-mento che poi trovano perfido, quando lo vedonorealizzato: Zevi, per esempio.”22 Paolo Portoghesi, La reggia e la città, in Le corti

italiane, Milano, Touring Club 1977, p. 33.23 Paolo Portoghesi, La reggia e la città, cit. Da unlato il loggiato che si apre sulla città, ma che nonpone in crisi il principio di realizzazione dell’edificiocome ‘parete’, parete colorata: “la scarsità delle om-bre portate non è d’altra parte che la spia di unavolontà precisa e coerente che tende a rispecchia-re, nel microcosmo dell’opera, il macrocosmo dellacittà: la esaltazione del colore come elemento fon-damentale della visione, la subordinazione dei con-torni (degli ‘orli’ secondo la definizione albertiana)alla vibrazione cromatica delle superfici.” p. 27.24 Manfredo Tafuri, Il luogo teatrale dall’umanesimo a

oggi, Teatri e scenografie, T. C. I., Milano 1976, p.39.25 Paola di Biagi, Lo spazio abitabile nei Congressi

internazionali di architettura moderna (dal Supple-mento a “Urbanistica” n. 106). Ignasi de Solà-Mora-les (Architettura e esistenzialismo: una crisi dell’ar-

chitettura moderna, “Casabella” n. 583, ottobre1991), a proposito del CIAM del 1954: “Abitare è ilparadigma della vita urbana e il sistema che si arti-cola nella casa, nella strada, nel quartiere e nellacittà, è una concettualizzazione della forma urbanache, abbandonando la divisione in quattro della cit-tà [abitazione, svago, lavoro e trasporto] concepitanella Carta di Atene, pone l’individuo al centro del-l’organizzazione dello spazio abitabile”. Pare un po’singolare vedere questi aspetti come ‘crisi dell’ar-chitettura moderna’. Semmai, a prescindere dalla

loro attuabilità, come sviluppi naturali della raziona-lità e delle analisi sui problemi della progettazionedell’architettura.26 Anche Giulio Carlo Argan (DEAU “Architettura”)sostiene che “l’abitabilità/…/costituisce la finalitàprima dell’intenzionalità dell’architetto” e che “com-prende almeno due momenti di esperienza: quellodell’esterno e quello dell’interno” e che “l’a. rag-giunge il fruitore senza interrompere il flusso deisuoi interessi e dei suoi atti” , ma poi, seguendo ilKoenig, sostiene che le tipologie “non debbonoconsiderarsi come prescrizioni a priori , ma comededuzione di certe costanti distributive e strutturalidalla serie storica delle opere fatte per adempiere auna determinata funzione”, come se il rapporto conil concetto dell’abitabilità potesse esimersi dal tra-sferirsi immediatamente e prioritariamente nei tipiche accolgono detta abitabilità. E, in quanto agli“schemi di abitabilità o fruibilità funzionali”, le tipo-logie non sono schemi, ma assetti strutturati finonei dettagli. Il fatto è che per a. si intende una sortadi sintesi artistica in rapporto a un contenuto più omeno riconducibile a un concetto, più che ricercadella strutturazione di un tipo: la componenteespressiva è vista di fatto come determinante, equella abitativa in subordine. Il Battaglia ad es. defi-nisce l’architettura “la costruzione eseguita con in-tento artistico” e non, per dire, l’utilizzazione dell’ar-te per realizzare una determinata abitabilità in rap-porto al le funzioni. Per contro, i l concettolecorbuseriano di machine à habiter, se non subor-dinato a un’immagine, ma trasferito all’interno eall’esterno dell’architettura, pare funzionale in rela-zione alla definizione di un assetto idoneo.27 Il progetto della scuola in Italia dall’unità al fasci-

smo, Firenze, Cesis 1984, IV, p. 40.28 Erich Steingräber (Cosa è l’arte, Oggi?, fascicolon.25 dell’Enciclopedia universale dell’arte , La Re-pubblica-Leonardo), nota come l’arte, oggi (ancoraoggi) abbia successo indipendentemente dallacomprensione da parte della popolazione.29 Cfr. ad es. il concetto di vivibilità su cui insiste Ri-chard Neutra. La stessa ricerca funzionale di JosefHoffmann dela palazzo Stoclet (1905-14) di Bruxel-les, all’insegna della ‘Gesamtkunstwerk’, della colla-borazione fra tutte le arti (cfr. di Georges Marlier, Lapremière maison totalement nouvelle du XXe siècle,“Connaissance des arts” n.140, Octobre 1963),pone in chiara evidenza questa strategia. L’accusa di‘ambiguità’ che viene mossa a Hoffmann da AndreaSilipo (DEAU) “l’uso della linea come mezzo per ri-durre lo spazio ad un ente conoscibile solo attraver-so setti bidimensionali”, può forse costituirsi comechiave di lettura per la rottura della monoliticità del-l’oggetto. Di particolare interesse, la progettazionetotale, anche nel senso dell’integrazione nel progettodei più minuti dettagli dell’arredamento. “Cultura dacui nacque la Bauhaus”, dove tuttavia le singolecomponenti (perdendo una committenza specificatipo Stoclet che le rilega ad un determinato ‘spazio’)subiscono un processo di disaggregazione, e ren-dendosi reciprocamente autonome, ‘sacralizzano’ lerelative componenti.30 “Penso si possa dire che il modernismo contem-pla una linea analitico-razionale e una di avventurairrazionale” (Carmelo Strano, What was postmo-

dernism?, “l’Arca” n. 5, aprile 1987, p. 107).31 “L’analogia /…/è simiglianza, diretta simiglianzatra oggetti qualsiasi, isolati e tenuti immobili” (Fer-ruccio Rossi-Landi, Metodica filosofica e scienza

dei segni, Milano Bompiani 1985, p. 51).32 Ad esempio, a proposito di Frank O. Gehry, Se-bastiano Brandolini, “La Repubblica delle Donne”cit., scrive di “una felice coincidenza tra il suo stile ele idee dei critici di architettura”.33 Hegel, Estetica, Torino Einaudi 1963, p.38.34 Hegel, Estetica, cit., p.39. Imprimendo l’uomo ilsigillo del proprio interno, l’oggetto tende alla comu-nicazione universale e alla dialettica con il contestocome dalla riflessione di Goethe che riportiamo diseguito. Mentre - seguendo le considerazioni diTheodor Adorno ( Teoria estetica . Torino Einaudi1977, p.528) - l’arte che si aggiudica “l’alieno” diven-ta antagonista della realtà (Cfr. di Quirino Principe

L’armonia? È antagonista della realtà -“Il Sole 24ore” 11.10.98- secondo Adorno “la funzione dell’ar-te è dialettica, nel senso che l’arte (e la musica inparticolare) è un’antagonista della realtà, non unsuo arricchimento. Perciò la felicità concessa dal-l’arte è un istante privo di estensione nel tempo e dipossibilità di dilatazione; è rivelatrice, non appagan-te, e non appaga proprio perché rivela”.35 E spesso anche la vita nei confronti della “super-stiziosa riverenza al passato” (Marx, citato da KarelTeige, Il mercato dell’arte. L’arte tra capitalismo e

rivoluzione, Torino Einaudi 1973, p. 130). Ovvia esi-genza di valutare le ipotesi d’intervento in funzionedei costi/benefici in modo attendibile e non improv-visato anche in rapporto alle preesistenze, tenendoconto che “né, soprattutto, sono immortali quelleopere create con l’aspirazione alla vita eterna.” Leopere con un carattere di convincimento sono quel-le che hanno ‘risolto’ e che continuano a risolveredeterminate situazioni con una ‘oggettività’ che nonpuò essere conquistata che mediante confrontiserrati tra aspetti diversi e anche con l’individuazio-ne di adeguati livelli decisionali.36 Pare problema di tutta l’arte moderna che tende,possiamo dire, istituzionalmente, a imporsi all’atten-zione diretta del pubblico che deve essere ‘educato’a comprenderla: “L’artista moderno non vuole inter-mediari. Vuole rivolgersi al pubblico direttamente,per mezzo della sua opera. Se il pubblico non lo ca-pisce spetta a lui fornire le sue spiegazioni. La ra-gione principale per cui il pubblico si trova in posi-zione sbagliata, quando si tratta della nuova arte, èl’incapacità della critica profana, che oscura, conmistificanti rivelazioni sull’arte visiva, la visione el’esperienza senza preconcetti delle opera d’arte.C’è un solo modo per ritornare a un vedere senzapreconcetti, distrutto dall’ignoranza e dalla compia-cenza della critica d’arte tradizionale: si devono sta-

bilire principi elementari e universalmente intelligibi-li dell’arte visiva, che è quel che si tenta qui” (Theovan Doesburg ora in Scritti di arte e di architettura, acura di Sergio Polano, Officina Edizioni 1979, p.311. 312). Mentre van Doesburg pone il problema diuna lettura ‘totalitaria’ (lo spettatore deve ‘ricrerae’l’opera, in certo qual modo ‘entrarci dentro’. “Puòaccadere, per esempio, che qualcuno alla vista diun’opera d’arte esatta, si senta piacevolmente com-mosso, in modo sensoriale (sul piano del gusto) pergli effetti di colore. È chiaro che tale reazione non haniente a che vedere con un rapporto artistico conl’opera d’arte” - p. 335) isola l’opera in se stessa eindica tuttavia anche gli strumenti per una definizio-ne complessiva dell’opera d’arte, estendibile anchealle caratteristiche di un’ambiente: “Nell’arte classi-ca il fine artistico è, in maggiore o minor misura, ve-lato da mezzi secondari. Nell’arte moderna il fineartistico si manifesta con sempre maggior chiarez-za, con esattezza sempre maggiore/…/una perce-zione che rende lo spettatore consapevole di un’ar-monia, nella quale l’azione di dominanti diverse tro-va il suo equilibrio/…/. L’esperienza artisticaautentica non può essere passiva, perché lo spetta-tore è costretto a sperimentare insieme all’artista lavariazione continua e ripetuta, la compensazione diposizione e di dimensione, di linee e di piani. Arrive-rà a comprendere quali rapporti armonici nasconoinfine da questo gioco di variazioni ricorrenti e dicompensazioni di un elemento con un altro. Ognielemento si organizza con gli altri. L’unità ‘formativa’

del tutto scaturisce da ciascun elemento (ma le sin-gole parti non si staccano e non predominano sultutto). Si raggiunge così un equilibrio perfetto di rap-porti artistici. Non c’è nulla che distolga lo spettato-re; egli è libero di parteciparvi” (ivi, p.336-337).37 Democrazia e educazione cit. p.446. La primaedizione di New York è del 1917.38 “Il pensiero locale ci invita dunque a una rivolu-zione copernicana” scrive Michel Maffesoli, Nelvuoto delle apparenze, Milano Garzanti 1993, p.94.39 Tratto da uno scritto di prima della guerra, da unbrano riportato nell’ Introduzione a Il mercato del-l’arte. L’arte tra capitalismo e rivoluzione, cit. p. XX.