I fattori demografici come determinanti della crescita ...

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1 I fattori demografici come determinanti della crescita economica: un’analisi empirica Gabriele Morettini 20 Maggio, 2005 Sintesi Il presente lavoro vuole approfondire le relazioni tra crescita economica e dinamica demografica cercando in particolare di evidenziare l’influsso dei fattori demografici sull’andamento dell’economia. L’approccio scelto è di tipo applicato: si procede ad un’analisi cross country tramite regressioni miranti a stimare l’impatto dei differenti elementi demografici sulla crescita del reddito pro capite. Le relazioni d’interesse sono poi testate su un ampio numero di campioni in modo da giungere a conclusioni robuste, che non mutano a seconda del set informativo utilizzato. I risultati ottenuti sembrano mostrare che i fattori demografici possiedono una capacità esplicativa della dinamica economica, condizionata a una corretta specificazione. In questo modo si riescono ad individuare gli elementi più significativi e i canali principali attraverso cui si snodano le relazioni tra i due campi. E’ così possibile capire non solo se, ma anche come gli elementi demografici influenzano la crescita economica. Si nota come le relazioni mutano nel tempo e nello spazio, spesso in relazione alla Transizione Demografica e al grado di sviluppo. Vanno così interpretate in un’ottica di causazione cumulata, con mutue interazioni tra la sfera economica e quella demografica. Parole Chiave: Crescita, Timing, Componenti della popolazione, Struttura demografica, Robustezza. Numeri di classificazione JEL: J10, J11, O40, C21, C82

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I fattori demografici come determinanti della crescita economica:

un’analisi empirica

Gabriele Morettini

20 Maggio, 2005

Sintesi

Il presente lavoro vuole approfondire le relazioni tra crescita economica e dinamica

demografica cercando in particolare di evidenziare l’influsso dei fattori demografici

sull’andamento dell’economia. L’approccio scelto è di tipo applicato: si procede ad un’analisi

cross country tramite regressioni miranti a stimare l’impatto dei differenti elementi

demografici sulla crescita del reddito pro capite. Le relazioni d’interesse sono poi testate su

un ampio numero di campioni in modo da giungere a conclusioni robuste, che non mutano a

seconda del set informativo utilizzato.

I risultati ottenuti sembrano mostrare che i fattori demografici possiedono una capacità

esplicativa della dinamica economica, condizionata a una corretta specificazione. In questo

modo si riescono ad individuare gli elementi più significativi e i canali principali attraverso

cui si snodano le relazioni tra i due campi. E’ così possibile capire non solo se, ma anche

come gli elementi demografici influenzano la crescita economica. Si nota come le relazioni

mutano nel tempo e nello spazio, spesso in relazione alla Transizione Demografica e al grado

di sviluppo. Vanno così interpretate in un’ottica di causazione cumulata, con mutue

interazioni tra la sfera economica e quella demografica.

Parole Chiave: Crescita, Timing, Componenti della popolazione, Struttura demografica,

Robustezza.

Numeri di classificazione JEL: J10, J11, O40, C21, C82

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1 Il ruolo della popolazione nella crescita economica

Lo studio delle relazioni tra fattori demografici ed economici è stato al centro di un intenso

dibattito, aperto ancora oggi. Negli ultimi decenni del XX secolo è prevalso un orientamento

neutralista che tende a relegare gli elementi demografici in secondo piano, in quanto

marginali e accessori per il processo di sviluppo. Quest’interpretazione è però criticata da

varie scuole di pensiero, che sottolineano il ruolo cruciale svolto dai fattori demografici nella

determinazione dei trend economici. Le posizioni sono difformi e la dialettica a volte aspra e

serrata. Si avverte quindi la necessità di appropriati studi applicati, che possono certificare il

grado di aderenza alla realtà delle varie tesi.

La letteratura empirica in ambito economico-demografico ha una storia relativamente breve.

L’interesse per analisi applicate cominciò a diffondersi dopo la Seconda Guerra Mondiale1, in

un contesto caratterizzato da forti timori per l’enorme crescita della popolazione registrata dai

Paesi in via di Sviluppo (PVS). Queste nazioni beneficiavano delle scoperte mediche dei

Paesi Sviluppati (PS)2 che permettevano un improvviso e consistente calo della mortalità. Ciò

si rifletteva poi in una crescita demografica senza precedenti che preoccupava molti studiosi,

per cui l’eccesso di popolazione era la causa primaria del sottosviluppo: l’estrema povertà dei

PVS sembrava infatti correlata con gli elevati tassi di incremento demografico.

Diveniva cruciale, per dar corpo e dimensione a questi timori, una verifica empirica della

situazione. Ogni tentativo di ricerca si scontrava però con la scarsa disponibilità dei dati. Ciò

favorì il proliferare di casi di studio3 e di lavori di simulazione che divennero, come il famoso

modello Coale –Hoover del 19584, la base teorica di molte politiche di sviluppo seguite dai

PVS. La gran parte delle simulazioni peccavano però di un eccesso di determinismo, con i

risultati che dipendevano fortemente da alcune assunzioni iniziali. In questo modo, più che

1I precedenti contributi erano limitati dalla scarsità di dati disponibili e di tecniche statistiche adeguate, che

rendevano poco affidabili i risultati ottenuti. Inoltre nella mentalità dell’epoca i lavori applicati non godevano di

grande rilevanza, dato che si tendeva ad accordare la preminenza a leggi teoriche, che non venivano inficiate

neanche da eventuali smentite empiriche. 2Ad esempio lo Sri Lanka, grazie all’introduzione del DDT, riuscì a risolvere il problema della malaria,

principale piaga locale, conseguendo straordinarie riduzioni di mortalità in tempi brevi. 3 I casi di studio cercavano di individuare, attraverso un’analisi prevalentemente storica, le relazioni prevalenti in

determinati paesi. Queste ricerche erano tuttavia limitate a contesti ristretti, che impedivano ogni tentativo di

generalizzazione. 4La ragione di un tale successo risiedeva anzitutto nella semplicità dell’idea: il modello Coale-Hoover esplicitava

la realtà sotto forma di alcune relazioni semplici e immediate che potevano anche venire testate e formalizzate in

un modello matematico. Rappresentava inoltre un caso di studio importante come quello dell’India, un paese

particolarmente significativo per dimensioni, risorse e storia, oltre che di primario interesse politico.

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spiegare la realtà, l’analisi Coale -Hoover serviva solo a riproporre e giustificare tesi

neomaltusiane già note a priori5.

Bisogna attendere gli anni ’60 per giungere, grazie anche alla disponibilità di migliori dati e

allo sviluppo di tecniche matematiche e statistiche più raffinate, ad un trattamento più

oggettivo della questione in esame. La metodologia consisteva tipicamente in un’analisi

descrittiva mirante a individuare le relazioni tra due variabili, una economica e una

demografica6.

I risultati non sono stati però all’altezza delle aspettative. Il corpus7 dei lavori a due variabili

non ha mostrato alcuna relazione tra i tassi di crescita della popolazione e del reddito pro

capite: “It is clear that there is little evidence of any significant association, positive or

negative, between the income and population growth rates….On the whole, simple empirical

comparisons between economic and population growth rates are inconclusive”8. Ciò smentiva

i precedenti allarmi neomaltusiani e mostrava che era possibile avere crescita economica

anche in presenza di aumenti demografici: la popolazione non costituisce un freno allo

sviluppo. Così “these cross national studies have not provide what we might hope for: a

rough and stylized depiction of the consequences of rapid population growth: unless, indeed,

the absence of significant results is itself the result”9.

L’apparente assenza di risultati alimentava comunque in molti studiosi una certa

insoddisfazione che con il passare degli anni si tramutò in un profondo scetticismo nei

confronti della metodologia adottata, ritenuta incapace10 di cogliere la reale portata delle

relazioni economico-demografiche. Nel contempo si registravano segnali di un mutamento

nei risultati, che sembravano mostrare una correlazione negativa tra popolazione e crescita

economica per quel che riguarda gli anni ’80. Diveniva allora centrale capire se l’emergere di

una nuova relazione fosse l’ennesimo inganno di una metodologia lacunosa, un’anomalia

passeggera e congiunturale oppure il segnale di un reale e significativo cambiamento nei

legami tra demografia ed economia.

Una risposta a tali quesiti è stata ricercata in indicatori diversi dalla semplice crescita della

popolazione, incapace di fornire risultati apprezzabili sia per il passato che per il presente.

5 La crescita demografica abbassa il tasso di risparmio, a sua volta legato all’investimento, e inoltre fa crescere le

spese in investimenti non produttivi (sanità ed educazione). Ciò indirizzava verso una politica di controllo delle

nascite, che avrebbe consentito di avviare il processo di sviluppo. 6 Solitamente le variabili utilizzate erano la crescita del reddito pro capite e della popolazione, ritenuti i

principali indicatori della dinamica demografica ed economica. 7 Si possono ricordare Easterlin (1967), Kuznets (1967), Stockwell (1966), Thirwall (1972), ecc. 8 Easterlin (1967), pg.65. 9 Kelley (1988), pg.1701. 10 Kelley e Schmidt parlano (1995) esplicitamente di miopia e “tunnel vision”.

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Questo era già stato compreso da Simon (1980) e Coale (1986)11, che però si erano solo

limitati a sporadici ed isolati accenni sul tema. Una svolta significativa avviene solo alla metà

degli anni ’80, quando si iniziano a studiare concretamente le modalità (più che l’entità) della

crescita demografica, nella consapevolezza che “countries with similar population growth

rates have different combinations of birth and death rates and thus may have very different

labor supply and economic growth experiences”12. Questa tendenza prosegue con maggior

vigore negli anni ’90, quando la ricerca di nuove variabili si orienta decisamente verso una

scomposizione della popolazione. Ciò è favorito dalla presenza di serie di dati sempre più

dettagliate, che riescono a dare una visione poliedrica e accurata del fenomeno osservato.

Inizialmente (Blanchet, 1988) l’interesse si focalizza sulle componenti della dinamica

demografica come il tasso di natalità e il tasso di mortalità. Barlow (1994) compie un

significativo passo avanti inserendo la variabile fertilità ritardata, che permette di distinguere

il profilo temporale della fertilità, positiva nel lungo e negativa nel breve termine13.

L’analisi delle componenti demografiche consente anche di spiegare la presunta anomalia

degli anni ‘80. Sia Blanchet (1991) che Kelley e Schmidt (KS, 1995) sottolineano come

l’emergere di una relazione negativa tra popolazione e crescita derivi dall’interazione degli

effetti positivi e negativi della natalità e della mortalità che non si compensano più, a

differenza di quanto avveniva in passato (anni ’60 e ’70)14. Più che di un cambiamento nelle

relazioni si dovrebbe quindi parlare di inadeguatezza delle analisi precedenti, troppo

incentrate su indicatori aggregati che non riuscivano a mostrare l’andamento e l’interazione

degli elementi sottostanti.

KS (1995) si riallacciano al lavoro di Barlow (1994), ma ne segnano un superamento nel

momento in cui vanno ad indagare sugli effetti dei cambiamenti demografici sulla struttura

della popolazione. L’attenzione alla struttura per età della popolazione è l’aspetto qualificante

di una corrente di studi detta “New Demography”, che si sviluppa alla fine degli anni ’80 per

poi affermarsi pienamente nei ’90. La struttura per età è infatti l’elemento demografico con la

maggiore e più diretta valenza economica, in quanto permette di individuare la parte

produttiva della popolazione e quella che invece rappresenta un semplice costo per la società.

11 Simon attribuiva una particolare valenza alla variabile densità, correlata positivamente con la crescita

economica. Coale sottolineava invece l’esistenza di differenti modi di crescita, per la comprensione dei quali era

necessario studiare le componenti della dinamica demografica. 12 Bloom e Freeman, (BF, 1988), pg.65. 13Gli effetti positivi delle nascite cominciano a manifestarsi dopo 15 anni (negli odierni Paesi Sviluppati più

compiutamente dopo 20-25 anni). 14 Questo è dovuto soprattutto alla diminuzione del contributo positivo della mortalità: negli anni ‘80 la speranza

di vita alla nascita era già molto alta e non restavano possibilità di ulteriori forti diminuzioni di mortalità.

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Bloom e Williamson (BW, 1998) forniscono una delle migliori esemplificazioni della

capacità esplicativa di quest’approccio. Ritengono infatti che la Transizione Demografica

(TD) sia alla radice del cosiddetto “miracolo asiatico”: durante la transizione la popolazione

in età lavorativa è cresciuta molto più velocemente di quella dipendente, contribuendo ad

aumentare considerevolmente la capacità potenziale della regione. La struttura per età ha

prima frenato e poi favorito lo sviluppo economico dell’Estremo Oriente: il fardello

demografico dell’immediato Dopoguerra è divenuto nei decenni successivi (dopo il 1970) il

motore che ha guidato l’economia e ha permesso uno sviluppo sostenuto.15.

2 Obiettivi e peculiarità del presente lavoro

Il presente articolo si pone sulla scia della cosiddetta “New Demography”: scopo del lavoro è

evidenziare il ruolo svolto dai fattori demografici ai fini della crescita economica, negletto per

troppo tempo a causa di una metodologia inappropriata.

L’attenzione accordata all’elemento demografico non sottintende comunque una negazione

della capacità dei fattori economici di influire sulle tendenze demografiche. “Demographic

realities are substantially determined by economic and social circumstances and institutions.

But they also influence those circumstance and institutions through a variety of potential

channels….16.” L’analisi è quindi svolta nella consapevolezza che la causalità “runs in both

directions, from the economy to demography, and from demography to the economy. The

interaction is a dynamic process, with each side affecting the other”17. Comunque questa

ricerca non si sofferma sull’importanza dell’elemento economico nella determinazione dei

trend demografici, già ampiamente dibattuta in letteratura, ma preferisce enfatizzare la

relazione opposta: “The objective of this paper is to explore the implications of demographic

change for macroeconomic performance”18.

L’originalità del presente lavoro rispetto a studi simili (BW 1998, KS 1995) può essere

riassunta nei punti seguenti:

1. L’individuazione di risultati robusti, grazie all’utilizzo di vari dataset e campioni.

2. L’uso di un vasto set di indicatori demografici. Questo permette di procedere in modo

sistematico e di studiare i differenti canali attraverso cui avvengono i mutamenti.

15 La situazione ottimale è infatti quella in cui, dopo un periodo di boom demografico, si registra una

diminuzione della fertilità: in questo caso si riducono i costi legati al mantenimento dei nuovi nati e nel

contempo si gode dei benefici delle nascite dei periodi precedenti. Questa congiuntura particolarmente propizia

in termini di struttura per età è chiamata “dividendo demografico”, dato che si investe in figli per un periodo, per

poi incassare gli effetti positivi dopo alcuni anni. 16 Bloom e Canning (BC, 1999, pg.3). 17 BC(1999, pg.3). 18 BC (1999, pg.3).

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3. Lo svolgimento dell’analisi all’interno di una prospettiva storica, che consente di

individuare il timing dei vari canali all’opera.

4. L’aggiornamento dell’analisi ai dati del 2002.

5. La scomposizione del campione in base a criteri geografici, economici o demografici,

che permettono di testare le relazioni individuate su aggregati meno eterogenei.

3 L’individuazione del campione di riferimento

L’analisi è condotta su dati provenienti da due fonti: Penn World Table (PWT) e World Bank

(WB)19. L’uso di dataset differenti, anche se spesso interrelati tra loro, permette di avere un

quadro migliore della situazione e dati più affidabili nella loro complementarità. Ciò è

fondamentale per soddisfare le esigenze di robustezza espresse in precedenza, poiché

consente di verificare se la significatività dei risultati è influenzata dalle serie utilizzate.

I dataset presentano una certa omogeneità sotto il profilo demografico e discrepanze

circoscritte alle variabili economiche. Le differenze riguardano in particolare i tassi di reddito,

per cui emerge la tendenza per i PS ad avere valori più alti nella PWT che nella WB (per i

PVS si verifica l’opposto). Una spiegazione di queste divergenze è fornita da Nuxoll (1994)20.

La soluzione ottimale consiste nell’usare le serie PWT per i livelli e quelle a moneta locale

per i tassi, dato che solo i prezzi in moneta locale riescono a riflettere i problemi che gli agenti

realmente incontrano nelle loro decisioni21.

Alla scelta del dataset segue un’attenta selezione dei paesi oggetto d’indagine. L’obiettivo è

individuare un gruppo di stati che consentano di sviluppare un’analisi interessante, capace di

ottenere risultati significativi. Il campione di riferimento deve quindi contenere realtà con dati

affidabili e non eccessivamente eterogenei, che sarebbero difficilmente riconducibili ad un

framework comune.

La scelta dei paesi è inizialmente effettuata in base alla disponibilità di serie lunghe e

accurate, su cui è possibile effettuare uno studio approfondito. Anzitutto si escludono gli stati

con dati lacunosi e incompleti, quelli che hanno cambiato ordinamento nel corso del periodo

19Il presente lavoro utilizza la versione 2004 del “World Development Indicator”. 20 La PWT ha una struttura dei prezzi che presenta forti similitudini con quella di un’economia moderatamente

arretrata come l’Ungheria. Ciò influisce sulla comparabilità tra paesi: le nazioni meno sviluppate dell’Ungheria

avranno tassi di crescita più bassi rispetto ai dati in moneta locale, mentre per quelle più sviluppate avviene

l’esatto contrario. Quindi la PWT sembra sovrastimare i tassi di crescita di paesi più sviluppati dell’Ungheria e

sottostimare la crescita dei paesi meno sviluppati della stessa. 21 Una simile procedura viene utilizzata nell’analisi sul campione WB, dove tra i regressori compaiono serie

d’investimento della WB e un reddito iniziale mutuato dalla PWT. Ciò permette di ridurre sensibilmente i

problemi in cui si incorre utilizzando esclusivamente dati WB.

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considerato22 e quelli in cui avvenimenti particolari come guerre (Mozambico, Angola, Sierra

Leone….) o cambiamenti territoriali (Germania, Etiopia, Yemen…) hanno dato luogo a serie

anomale. Si passa poi ad affrontare il problema dell’eterogeneità del campione, eliminando le

nazioni con popolazione minore di 1 milione di abitanti in un certo anno (nello specifico il

1980, che è a metà del periodo temporale considerato)23. In questo modo si cerca di ridurre il

peso che piccole realtà o situazioni particolari vengono ad assumere nei modelli di

convergenza, provocando una distorsione nei risultati complessivi.

In quest’opera di scrematura del campione si presta particolare attenzione ai valori

demografici24, vero centro dell’analisi, mentre si accorda un livello di tolleranza maggiore per

i parametri economici. Del resto le fluttuazioni del reddito25 sono molto più frequenti e

congiunturali di quelle della popolazione, dove ampie variazioni sono con ogni probabilità

indice di dati poco affidabili.

Al termine di questo processo di selezione si individua un campione di 85 paesi, elencati nella

tabella P0 in appendice, che costituiscono il fulcro dell’analisi.

Particolarmente importante è la lunghezza del campione di riferimento, che va dal 1960 al

2002 per la banca dati WB e dal 1960 al 2000 per il dataset PWT. I 40 anni di riferimento

vengono prima studiati nella loro interezza e poi scissi in due ventenni utili per approfondire e

capire meglio le dinamiche dell’epoca. Non vengono considerati intervalli di lunghezza

minore, che potrebbero essere influenzati da fenomeni ciclici e congiunturali.

4 L’analisi empirica: metodo e specificazione

Il metodo seguito è quello dell’analisi cross section, per cui bisogna scegliere una

specificazione adeguata. In questo caso si adotta un modello di convergenza che si basa sulla

relazione tra tasso di crescita del reddito e livello di reddito iniziale. Le funzioni stimate sono

lineari e le variabili inserite in modo additivo, mentre il metodo di stima utilizzato è quello dei

minimi quadrati ordinari (OLS).

Al fine di indagare sulla presenza di endogeneità nelle relazioni analizzate sono state

effettuate anche stime con il metodo delle variabili strumentali (ILV). Queste vengono così ad

22Questo gruppo include soprattutto i paesi appartenenti al blocco comunista, che si sono convertiti solo

recentemente all’economia di mercato. 23Per catturare la “country size” si utilizza un valore paradigmatico (1 milione di abitanti) già applicato in altre

ricerche (ad esempio KS, 1995). L’attenzione si focalizza sul 1980 in quanto anno intermedio al periodo

temporale analizzato. Da sottolineare come anche utilizzando criteri alternativi, come una media della

popolazione nei quarant’anni considerati, i risultati sarebbero pressappoco gli stessi. 24 Il problema degli errori di misura riveste nel caso in esame un ruolo marginale, a causa dell’orizzonte di lungo

termine su cui si muovono i fenomeni demografici. Per avere effetti sul lungo periodo gli errori di misura

dovrebbero essere consistenti e permanenti, condizioni particolarmente difficili in intervalli almeno ventennali. 25 Nel caso di anomalie nelle serie del reddito viene in soccorso una costante attenzione all’analisi storica che

permette di chiarire situazioni apparentemente inesplicabili alla sola lettura dei dati.

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assolvere, insieme al test di Hausman, una funzione di controllo sugli esiti raggiunti. I

risultati, di cui si offre una parziale trattazione in appendice, hanno evidenziato l’assenza di

mutua causazione per tutte le variabili più significative. Confortati da ciò si sceglie quindi di

concentrarsi sulle stime OLS, che presentano anche il non trascurabile pregio di poter

analizzare l’intero quarantennio 1960-2002 (le stime ILV possono invece interessare al

massimo un trentennio). I pochi e limitati casi in cui si è riscontrata presenza di mutua

causazione verranno comunque segnalati e discussi nel testo.

La variabile dipendente in tutte le regressioni effettuate è il tasso di crescita del reddito pro

capite26 che, nonostante tutti i suoi limiti, resta il miglior indice per sintetizzare la crescita

economica e il livello di vita di un paese.

Per quel che concerne la scelta dei regressori si è cercato di costruire, seguendo la

metodologia delle cosiddette regressioni “alla Barro”, un framework il più possibile ampio e

completo, contenente tutti i fattori generalmente riconosciuti come importanti per la crescita

economica. Un ruolo privilegiato spetta così al reddito all’inizio del periodo e agli

investimenti totali27, ma si possono considerare anche un indicatore per il commercio e una

variabile di capitale umano28. A questo solido nucleo (core) si aggiungono di volta in volta le

variabili demografiche d’interesse29, in modo da testare quali sono le più significative e

individuare i canali preferenziali tramite cui la demografia influenza l’economia.

La riflessione tiene conto anche dei recenti sviluppi del dibattito metodologico, che hanno

creato incertezza intorno alla reale validità dei risultati degli studi cross country30. L’analisi è

così condotta con una costante attenzione alla robustezza delle relazioni, assicurata dalla

persistenza dei medesimi risultati in differenti dataset, periodi temporali, aggregazioni

geografiche. L’utilizzo di molteplici campioni permette inoltre di condurre lo studio

all’interno di una prospettiva temporale e spaziale che consente di evidenziare le differenti

situazioni e dinamiche in atto, spesso legate a un particolare timing nei cambiamenti.

26 Espresso in tassi di crescita della moneta locale nel dataset WB e in termini PPP nella banca dati PWT. 27 L’opportunità di utilizzare dati sull’investimento in macchinari, su cui insiste De Long (1991), si scontra con

la scarsità di dati disponibili. 28Non si considerano invece la spesa in R&D, che presenta dati limitati a un periodo temporale troppo ristretto,

né variabili fiscali e monetarie, di cui Levine (1992) e Temple (1999) hanno sottolineato la fragilità. 29Per un elenco delle variabili utilizzate vedi la Tab.VAR1 in appendice. 30Le principali critiche (vedi Levine, 1992) rivolte alle regressioni cross country riguardano la fragilità dei

risultati ottenuti, molto sensibili a piccoli cambiamenti nel set informativo.

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5 Risultati

5.1 Campione generale

Popolazione

L’esame dei risultati ottenuti31 suggerisce alcune indicazioni per ottenere la specificazione

migliore. Si nota anzitutto come le variabili commerciali e di capitale umano non siano mai

significative32; il nucleo è così ristretto agli investimenti e al reddito iniziale. Quest’ultimo è

significativo con l’atteso segno negativo (terza e quarta riga Tab.P1), indice di convergenza.

Anche l’investimento33 presenta una forte e diffusa significatività, accompagnata dal previsto

segno positivo (vedi la quinta riga della Tab.P1). Tra crescita economica ed investimento vi è

una relazione positiva che è però, come conferma il controllo dell’endogeneità (i risultati sono

in appendice)34, soggetta a causazione inversa

35. E’ comunque preferibile mantenere

l’investimento tra i regressori, poiché consente di avere un quadro più completo delle forze

all’opera e delle relazioni esistenti.

Si introducono poi nel set dei regressori alcune variabili demografiche36. Inizialmente si

procede ad analisi sul tasso di crescita della popolazione, che mostra una certa significatività

(terza colonna Tab.P1). Questo risultato discende però da un quadro temporale eterogeneo,

con situazioni opposte nei due sottoperiodi: all’apparente assenza di relazioni del primo

ventennio (vedi quarta colonna Tab.P1) si sostituisce la forte correlazione negativa del

secondo periodo37 (vedi quinta colonna Tab.P1), interpretata dalle varie scuole di pensiero

come un’anomalia (revisionisti) o una conferma (ortodossi) delle loro tesi.

Nel complesso i risultati ottenuti ripropongono quanto emerso in studi precedenti, in

particolare nel lavoro di Simon e Gobin38 (1980). In linea con questo contributo è anche

31Per motivi di sintesi nelle tabelle vengono esposti solo i risultati del campione PWT. Le indicazioni raccolte e

le conclusioni raggiunte sono comunque valide anche per il dataset WB, che presenta risultati molto simili. 32 Per esigenze di spazio le regressioni contenenti queste variabili non sono inserite nel testo; sono comunque a

disposizione per chi voglia farne richiesta all’autore. 33Come variabile si utilizza il rapporto medio tra investimenti totali e PIL nel periodo di riferimento. Purtroppo

(e limitatamente al dataset WB) per alcuni paesi non sono disponibili dati sull’investimento anteriori al 1970. Si

può comunque procedere, confortati da regressioni su un campione ristretto (72 elementi) ai paesi con dati dal

1960, che mostrano risultati perfettamente in linea con quelli del campione complessivo. 34 L’analisi si riferisce in questo caso al periodo 1970-2000, in modo da poter utilizzare come strumenti i dati del

decennio precedente (gli anni ’60). 35 L’endogeneità, presente in tutti i casi analizzati, è più evidente nel campione che usa la banca dati WB. 36L’analisi si limita ad approfondire una singola relazione alla volta. Nella realtà però la crescita economica è

influenzata da molteplici fattori demografici che agiscono nello stesso periodo. Sarebbe così interessante

procedere ad analisi multicomponenti, che possono fornire un quadro più completo della situazione. E’ però

necessario procedere con cautela, dati i molti rischi (errata specificazione, multicollinearità dei regressori,

sospetti di fragilità…) cui sono esposte e che spingono per una trattazione distinta dei singoli fenomeni. 37In special modo degli anni ’80. 38 La principale differenza con questo lavoro riguarda la lunghezza del campione analizzato, che non si ferma al

1990 (come per Simon) ma arriva al 2002. Proprio l’ampliamento della durata del campione ha consentito di

verificare che negli anni ’80 si sono instaurate nuove relazioni, con la popolazione che assume una valenza

negativa per la crescita economica.

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l’importanza accordata alla densità di popolazione, che influisce in maniera significativa e

positiva sulla crescita economica (riga 12 Tab. P2)39.

E’ però necessario approfondire la questione tramite una scomposizione temporale e spaziale

delle variabili di interesse che consente di apprezzare meglio le tendenze in atto. Le domande

cui rispondere per chiarire la questione sono essenzialmente due: bisogna capire in che modo

la popolazione cresce e come è composta. La risposta al primo interrogativo va cercata nello

studio delle componenti demografiche, la seconda nella struttura per età della popolazione.

Componenti demografiche

Lo studio delle componenti della popolazione è limitato, a causa dell’assenza di dati affidabili

sul fenomeno migratorio, all’analisi della mortalità e della natalità.

Le prime colonne della Tab.P2 mostrano come entrambe le componenti siano significative

con segno negativo, con la fertilità che presenta un R2 più elevato

40. L’apparente similitudine

degli esiti nasconde però una situazione complessa ed eterogenea, che si coglie appieno solo

con l’analisi ventennale (Tab.P2a). Nel corso del tempo la fertilità41 resta sempre significativa

e con segno negativo, mentre la mortalità42 (e in misura minore la speranza di vita alla

nascita) perde importanza con il procedere della TD e del processo di sviluppo43, che la

relegano a un ruolo marginale (riduzioni di mortalità sono ormai circoscritte alle classi

anziane). Ciò è confermato dalla sensibile diminuzione di R2 (-19%, vedi quinta e sesta

colonna in Tab.P2a), sintomo di una variabile che non riesce più, a differenza del passato (nel

primo ventennio l’R2 della natalità e mortalità era uguale), ad avere una buona capacità

esplicativa della dinamica economica.

39Gli effetti positivi diminuiscono però nel secondo ventennio, quando sempre più spesso un’elevata densità di

popolazione, invece di portare economie di scala, provoca fenomeni di congestione ed esaurimento delle risorse.

Discorsi analoghi possono essere fatti per l’urbanizzazione (caratterizzata però da causazione inversa: è lo

sviluppo economico che stimola la concentrazione in grandi città), che presenta una significatività limitata al

ventennio iniziale. 40 Non è automatico interpretare l’indicatore R2 come sinonimo di capacità esplicativa della regressione.

Quest’indice permette comunque, nonostante tutti i suoi limiti, un primo sommario giudizio sulla bontà di

adattamento della regressione. 41Nell’analisi della fertilità si utilizzano due indicatori differenti (Cbr e TFR), che comunque approdano a

risultati simili. Il TFR (Tasso di Fertilità Totale) fornisce una misura ipotetica di ciò che sarebbe la fertilità se la

struttura della popolazione restasse inalterata per alcuni periodi. E’ quindi un qualcosa di ideale: una donna può

non arrivare alla fine della sua età fertile o non comportarsi secondo un certo pattern comune. Il fatto di non

essere basato su dati reali consente comunque al TFR di non incorrere nei problemi di misurazione che

(specialmente nei PVS) affliggono il Cbr, contribuendo ad abbassarne la verosimiglianza. Il Cbr (tasso netto di

natalità medio annuo nel periodo di riferimento) è invece più legato al reale e riesce a fornire informazioni

strutturali e qualitative di estrema importanza nel presente studio. 42L’indicatore utilizzato è il tasso netto di mortalità medio annuo nel periodo di riferimento (Cdr). 43 Questo è un risultato in disaccordo con alcune ricerche empiriche (Blanchet, 1988; KS, 1995) e vari modelli

teorici (Boucekkine 2001, Kalemli Ozcam 2000) che hanno evidenziato l’importanza di una riduzione della

mortalità ai fini della crescita economica.

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La scarsa significatività nel periodo finale della mortalità non va comunque addebitata solo al

procedere dello sviluppo, ma è anche legata ai limiti dell’indicatore utilizzato, che presenta

componenti variegate e dalla valenza opposta, difficili da sintetizzare in una variabile

comune. Ad esempio il calo d’importanza della mortalità tocca solo in parte le sue

componenti giovanile44 e infantile (riga 10 e 11 in Tab.P2), che sembrano ancora mantenere

una certa significatività con l’atteso segno negativo. La relazione è però probabilmente affetta

da mutua causazione: la mortalità infantile e giovanile è intimamente legata alle condizioni

economiche, tanto da essere spesso utilizzata come proxy del livello di sviluppo di un paese.

I risultati appena esposti ricevono un’ulteriore conferma dallo studio del saldo naturale

(differenza tra fertilità e mortalità, sesta e settima colonna in Tab.P2a), che migliora

sensibilmente la sua significatività e capacità esplicativa col passare del tempo. Questo è un

risultato in netta controtendenza rispetto a tutte le altre variabili demografiche, che tendono a

perdere importanza con il procedere dello sviluppo e della TD. L’apparente paradosso trova

spiegazione nell’interazione delle componenti demografiche: nel primo periodo natalità e

mortalità, entrambe significative, si elidono, mentre nel secondo ventennio la scarsa rilevanza

della mortalità fa sì che il saldo naturale si adegui ai trend della fertilità, unica variabile

realmente significativa. Il saldo naturale non ha quindi aumentato la sua importanza nel corso

del tempo, ma ha solamente acquisito una connotazione più chiara e definita.

Struttura demografica

L’analisi delle componenti deve essere integrata con lo studio sulla struttura della

popolazione, che permette di approfondire elementi fondamentali per la ricostruzione del

quadro complessivo. Gli indici di struttura presentano infatti la desiderabile caratteristica di

offrire una rappresentazione demografica che realmente interessa ai fini economici.

Si ottiene una forte significatività solo per il rapporto di dipendenza45 e per l’indice di

gioventù46, entrambi presenti (vedi seconda e terza colonna in Tab.P3) con segno negativo, a

riprova dell’azione frenante della componente giovanile sullo sviluppo complessivo.

L’indice di dipendenza mostra una capacità esplicativa della crescita economica superiore alla

maggior parte delle variabili demografiche: “Age stucture is not the only influence on

economic growth, but certainly emerges as one of the most potent influences. Changes in the

44 La mortalità infantile riguarda tutti i decessi nel primo anno di vita, e sembra legata a cause prevalentemente

biologiche (soprattutto nelle immediate vicinanze della nascita). La mortalità giovanile interessa invece i decessi

sotto i 5 anni di età, ed è quindi più influenzata dal livello di vita, di alimentazione e di sviluppo socioeconomico

di un paese. Purtroppo non si hanno dati sui decessi tra i 5 e i 15 anni. E’ però ragionevole supporre che la

percentuale di morti in questa fascia sia molto più bassa, dato che la soglia critica di mortalità è intorno ai 5 anni. 45L’indice di dipendenza [(0-14)+(65+)]/(15-64) è il rapporto tra le persone considerate “dipendenti” (tutti gli

individui sotto i 15 e sopra i 64 anni) e quelle in età da lavoro (di età compresa tra 15 e 64 anni). 46 L’indice di gioventù è il rapporto tra i giovani e la popolazione potenzialmente attiva (0-14/15-64).

12

age distribution of the population can have important economic effects”47. E’ del resto

l’indicatore connesso in maniera più diretta con la dinamica economica, dato che individua la

quota della popolazione potenzialmente produttiva (attiva) rispetto a quella che rappresenta un

costo netto.

Un’analisi descrittiva mostra come l’andamento del rapporto di dipendenza sia principalmente

determinato dal livello e dalle oscillazioni della sua componente giovanile48. Questo è vero

nei PS, dove il rapporto di dipendenza scende nel corso del tempo a causa del forte calo del

rapporto di gioventù, contrastato solo parzialmente dalla crescita della classe over 65.

E’ancora più evidente nei paesi a medio e basso reddito, in cui la componente anziana della

popolazione assume valori molto bassi (nei PVS del tutto marginale, circa il 2-3% del totale)

e resta pressappoco costante nel tempo. Un’ulteriore conferma di quanto esposto è fornita

dall’andamento dell’indice di vecchiaia49, che mostra come il ruolo della componente anziana

sia minoritario, in alcuni casi (PVS) marginale.

L’importanza del rapporto di gioventù non è comunque dovuta solo all’elevata consistenza

numerica ma anche alla ben definita connotazione dei giovani, che rappresentano un costo

netto per la società. Questo è confermato anche dalla significatività con segno negativo del

rapporto (decima riga nella Tab. P3) della classe under 14 sulla popolazione totale (grado di

gioventù).

La situazione è invece più ambigua per la classe degli over 65, a cui non può più essere

associata, soprattutto nei PS, una precisa connotazione economica. Il tasso di attività degli

anziani è infatti cresciuto in maniera significativa: il compimento del sessantacinquesimo

compleanno non segna la fine della vita produttiva dato che sempre più persone continuano a

svolgere, in modo più o meno ufficiale, attività socialmente ed economicamente utili. Si

potrebbe rintracciare una connotazione precisa solo alzando il limite di età verso soglie (ad

esempio 75 anni) in cui il declino fisico e intellettuale è solitamente tanto forte da costringere

all’abbandono forzato di ogni attività. Questa riflessione trova conferma nei risultati

dell’indice di anzianità50 (quarta colonna della Tab.P3) o del rapporto della classe anziana sul

totale della popolazione (riga 12 nella Tab.P3) che non riescono a fornire risultati robusti.

47 BC (1999) pg.3. 48L’indice di dipendenza è comunque preferibile al rapporto di gioventù, in quanto consente riflessioni più

generali. Inoltre presenta serie complete per tutti gli elementi del campione, mentre il rapporto di gioventù ha

una carenza di dati nel primo decennio per alcuni paesi (Messico, Filippine,…). 49L’indice di vecchiaia è il rapporto tra la componente over 65 e la parte giovanile della popolazione: (65+/0-14). 50Il grado di dipendenza da anziani (65+/P15-64) si ottiene dal rapporto tra gli ultrasessantacinquenni e la

popolazione attiva.

13

L’elemento economicamente più importante sembra comunque essere la popolazione in età

attiva, che determina la forza lavoro disponibile. Il rapporto tra persone in età compresa tra 15

e 64 anni e la popolazione totale (ultima colonna Tab.P3) è significativo con un segno

positivo che riflette tutto il potenziale di crescita in essa contenuto51. Questo è un risultato già

intuibile da un’analisi descrittiva che mostra come l’entità della popolazione attiva sembra

correlata con il grado di sviluppo52. I paesi sviluppati hanno la maggiore quota di popolazione

attiva, con valori sopra il 65% che si mantengono costanti nel tempo, quando a un aumento

della componente anziana (che comunque raramente supera il 10% del totale) corrisponde una

diminuzione della parte giovanile, che scende dal 25 al 20%53. I restanti paesi, accomunati da

una quota di popolazione attiva intorno al 50% negli anni ‘60, hanno registrato un’evoluzione

differente. Le nazioni che non hanno mutato i pesi relativi tra le classi sono rimaste arretrate e

non hanno imboccato il sentiero di sviluppo. Una decisa crescita economica ha invece

caratterizzato alcuni paesi asiatici (Hong Kong, Singapore, Corea, Tailandia) che hanno

incrementato considerevolmente la propria percentuale di popolazione attiva (giunta anche al

70% del totale) a spese della componente giovanile. In questo caso gli effetti positivi si sono

sommati: il netto calo dell’elemento giovanile si è sommato al deciso aumento della

popolazione attiva.

5.2 Sottoaggregati

L’analisi precedente, pur evidenziando risultati interessanti, risente della grande eterogeneità

degli elementi presenti nel campione, che potrebbe creare equivoci e fraintendimenti. Quando

(come nel caso dei PS e dei PVS) le differenze strutturali sono così grandi da non poter essere

assorbite all’interno di un pattern comune si rischia di non cogliere appieno le dinamiche

esistenti ed approdare a un’imperfetta rappresentazione della realtà. Sembra quindi opportuno

restringere l’analisi a sottoinsiemi più piccoli e coesi, in modo da testare la robustezza dei

risultati e individuare le differenze tra i vari gruppi.

Lo studio dei sottoaggregati è il necessario complemento alla riflessione generale: solo con

un’analisi congiunta è possibile raggiungere una conclusione sul ruolo dell’elemento

demografico nella crescita economica. Il campione complessivo fornisce indicazioni di

51Risultati non soddisfacenti e contraddittori vengono invece dalla differenza tra la crescita della popolazione

attiva e la crescita della popolazione totale (Geap). Questa variabile, centrale nell’analisi di BW (1998), non

riesce a fornire esiti rilevanti nel presente studio. 52 Bisogna comunque ricordare che le migrazioni riguardano tipicamente persone in età da lavoro, e quindi fanno

crescere la quota di popolazione attiva. Si può quindi parlare anche di mutua causazione. 53Il futuro riserva però alcuni timori, legati a un progressivo invecchiamento della società. La crescita della

componente anziana dovrebbe infatti avvenire, dato che la parte giovanile è ormai molto esigua, a scapito della

popolazione attiva.

14

massima, che necessitano di ulteriori approfondimenti: si riesce solo a capire che la

demografia conta54, e quale sia pressappoco la forma e il tenore delle relazioni. Lo studio dei

sottoaggregati consente invece di andare oltre un generale giudizio di merito e di indagare sui

casi specifici, di approfondire i molteplici aspetti inglobati nel contesto generale. In questo

modo è possibile vedere il contesto temporale e spaziale delle relazioni, dando anche un

giudizio sull’alternanza, sul funzionamento e sugli effetti dei vari canali all’opera.

Fasce di reddito

Una prima divisione del campione avviene in base al livello del reddito medio pro capite del

paese, buon indicatore dello sviluppo raggiunto. Le fasce di reddito sono state individuate

seguendo i criteri della WB, che distingue tra paesi ad alto (reddito netto annuo pro capite

maggiore di 9265 dollari), medio (reddito netto annuo pro capite compreso tra 755 e 9265

dollari) e basso reddito (reddito netto annuo pro capite minore di 755 dollari).

I paesi a reddito più elevato mostrano una chiara assenza di relazioni55, con variabili

demografiche quasi mai significative, ad eccezione di qualche sporadico caso nel primo

ventennio. Da ciò si evince che sopra un certo livello di sviluppo il fattore demografico perde

importanza.

Una situazione speculare caratterizza i paesi a basso reddito che vedono una diffusa

significatività delle variabili legate alla componente giovanile, come il tasso di fertilità, il

rapporto di dipendenza e di gioventù. Da sottolineare che, a differenza di quanto registrato

negli altri campioni analizzati, la mortalità manifesta una persistente significatività in ogni

periodo temporale. Questo conferma che la scarsa rilevanza emersa in precedenza è in gran

parte dovuta al campione utilizzato, che comprende paesi troppo sviluppati, in cui esistono

solo pochi margini per ulteriori riduzioni della mortalità. Estendendo l’analisi ai sottoperiodi

temporali si nota come i ventenni presentino una minore presenza delle relazioni e una ridotta

capacità esplicativa rispetto al quarantennio di riferimento56. Ciò è sorprendente specialmente

per quel che riguarda il secondo ventennio, che dovrebbe riflettere gli effetti di una

transizione incipiente57. E’ però un’ulteriore prova che, soprattutto in situazione di

cambiamento ed evoluzione, un vero giudizio sull’influsso dei fattori demografici si ha solo

nel lungo periodo.

54 Ciò conferma l’importanza delle relazioni, che riescono ad emergere anche in un contesto altamente

differenziato. 55I risultati sono esposti sinteticamente per motivi di spazio ma sono disponibili dietro richiesta all’autore. 56 Il periodo migliore è il trentennio 1970-2002, che permette di avere un intervallo più lungo di un ventennio ma

nel contempo evita di considerare gli anni ’60, in cui i mutamenti demografici non erano ancora stati avviati. 57Bisogna comunque considerare che l’ultimo decennio ha visto un generale ridimensionamento del ruolo

dell’elemento demografico.

15

I risultati migliori vengono comunque conseguiti con i paesi a medio reddito, che presentano

un R2 superiore agli altri campioni e una significatività ampia e diffusa, che si estende alla

maggior parte delle variabili analizzate. Nel periodo considerato i paesi a reddito medio hanno

beneficiato di una situazione ottimale perché un calo della mortalità seguito a breve da una

diminuzione della fertilità ha spinto verso un dividendo demografico particolarmente propizio

per un’elevata crescita economica

La discrasia nei risultati dei campioni analizzati conferma che l’analisi complessiva presenta

al suo interno casi diversi, a volte speculari, che è meglio approfondire singolarmente. In

questo modo è possibile studiare l’evoluzione delle relazioni d’interesse, osservando le

modalità di funzionamento e gli effetti dei vari canali all’opera. Ciò consente di giungere una

migliore ricostruzione della situazione e una più corretta valutazione delle forze e delle

relazioni esistenti.

Aree geografiche

Il campione può anche venire selezionato su base geografica, in modo da catturare alcune

specificità spaziali58. Il criterio utilizzato rispecchia le divisioni continentali

59 tranne che in

casi peculiari come l’Estremo Oriente o il Sudamerica60.

I risultati ottenuti confermano per l’Europa la scarsa rilevanza dei fattori demografici già vista

nel campione dei paesi ad alto reddito, a cui appartengono tutti i paesi europei considerati.

L’assenza di relazioni dipende dall’elevato grado di sviluppo raggiunto dall’Europa e non da

qualche specificità geografica o culturale del continente61: infatti in passato (anni ’60-‘70) i

fattori demografici hanno influito in modo sostanziale sulla dinamica economica. Le uniche

eccezioni erano rappresentate dalla mortalità, che aveva già terminato la sua evoluzione (i

paesi europei stavano completando la TD) e dal rapporto di dipendenza, la cui scarsa

significatività era imputabile all’ambiguo effetto di una componente anziana abbastanza

consistente e che, soprattutto in Europa, non poteva dirsi interamente improduttiva. Il

ventennio successivo mostra invece un quadro del tutto diverso, con variabili mai

significative e un R2 che crolla dall’86% al 27%.

58 Uno stimolo in questo senso viene dall’applicazione di dummies geografiche che evidenziano significativi

effetti per l’Estremo Oriente (positivi) e per l’Africa (negativi), in particolare per la zona Subsahriana. 59Un’eccezione è costituita da Israele, messo in Europa nonostante la WB lo abbia classificato in Asia. 60 Sia le Americhe che l’Asia presentano una realtà alquanto eterogenea, che porta a perdere i vantaggi insiti

nella divisione in sottoaggregati. E’ così opportuno dividere i paesi dell’America Latina dal Canada e dagli USA,

da cui li separano enormi differenze strutturali, così come considerare l’Estremo Oriente come una realtà a sé

stante, staccata dal subcontinente indiano. 61 Gli scarsi risultati dell’Estremo Oriente, in controtendenza con alcune recenti ricerche (BW 1998, BC

1999,…) che hanno enfatizzato il ruolo dell’elemento demografico nello sviluppo di quest’area, sono invece

probabilmente dovuti a limiti del campione utilizzato, composto da soli 13 elementi.

16

L’Africa è in una situazione completamente opposta: la valenza esplicativa dei fattori

demografici, alquanto limitata all’inizio, cresce nell’ultimo trentennio, in cui quasi tutti i paesi

hanno avviato la TD. I risultati più interessanti provengono ancora una volta dalla fertilità e

dal rapporto di dipendenza, indicatori principali delle componenti e della struttura

demografica. In fase di commento dei risultati non si può comunque dimenticare la grande

eterogeneità della realtà africana che rende necessario calibrare lo studio su periodi più

lunghi, in cui è possibile cogliere meglio le tendenze complessive. Una strategia alternativa

consiste nel focalizzare l’attenzione su un campione meno eterogeneo. L’interesse si

concentra quindi sulla regione Subsahriana, area estremamente sottosviluppata che più

risponde all’iconografia dell’Africa tradizionale. In questo caso emerge una completa assenza

di relazioni che persiste in tutti i periodi considerati. Questo è il segno di una TD che tarda a

venire e che impedisce ai fattori demografici di esercitare alcuna sensibile influenza

sull’economia. Sotto una certa soglia di arretratezza, così come oltre un certo livello di

sviluppo, l’elemento demografico non svolge un ruolo significativo nella determinazione

della crescita economica.

L’America Latina presenta un quadro diverso, caratterizzato da una scarsa incisività dei fattori

demografici, che emerge con chiarezza nei bassi valori di R2. Gli elementi demografici,

teoricamente significativi e con il segno atteso, sono confinati a un ruolo marginale ed

accessorio all’interno del processo di sviluppo. L’America Latina, pur presentando trend

demografici simili all’Asia, ha avuto un deludente sentiero di sviluppo, dovuto in gran parte a

disinvestimenti e uno spiccato protezionismo. Ciò consente di sottolineare il carattere

potenziale delle relazioni individuate: una situazione demografica propizia non conduce

automaticamente alla crescita economica, ma deve essere integrata da ulteriori elementi. Una

favorevole struttura demografica è un importante fattore di crescita ma non è sufficiente ad

assicurare uno sviluppo continuo nel tempo.

Aggregati demografici

Nel tentativo di ridurre al minimo l’eterogeneità degli elementi del campione si è provveduto

ad un’ulteriore divisione dei dati, effettuata secondo criteri demografici. Il campione è stato

così scomposto in base ai valori in alcuni anni chiave del tasso di natalità (Cbr), del tasso di

mortalità (Cdr) e a una loro combinazione, indicativa di come si pone un paese nei confronti

della TD (pre, post e in piena transizione) 62

. L’utilizzo di un singolo indicatore demografico

62La composizione dei campioni è comunque simile, data la comune radice degli elementi discriminanti. Solo

utilizzando il tasso di mortalità si ottengono differenze un po’ più marcate.

17

come la mortalità o la fertilità è abbastanza questionabile, dal momento che i livelli possono

variare a seconda delle condizioni climatiche, delle specificità culturali, degli usi e costumi63.

Il riferimento allo stadio di TD possiede basi invece teoriche più solide e incontra meno

perplessità. Tra l’altro la teoria della TD si adatta molto bene alla presente ricerca, dal

momento che assegna una particolare importanza ai fenomeni naturali e relega in secondo

piano il fenomeno migratorio, che incide in maniera sensibile sull’evoluzione demografica64,

ma su cui non si hanno dati disponibili.

I paesi più arretrati, che non hanno ancora iniziato la TD o l’hanno fatto solamente nell’ultimo

ventennio, presentano una scarsa significatività delle variabili demografiche. L’unico

elemento che manifesta una certa capacità esplicativa è la mortalità, rilevante sia nel

complesso che nelle sue componenti infantile e giovanile. Si può quindi tracciare un limite

inferiore alla significatività degli elementi demografici, che acquistano importanza solo nel

momento in cui la TD inizia.

Una generale assenza di relazioni caratterizza anche il contesto opposto, cioè il campione

contenente tutti quei paesi in cui la Transizione è già stata effettuata. La situazione è però

simile solo in apparenza, ma in realtà nasconde una dinamica ben diversa. Una prima

discrepanza è a livello temporale: nei paesi a Transizione avanzata la scarsa significatività

delle variabili si accentua nel periodo ’80-2000, quando invece nel campione pretransizionale

iniziano a comparire alcune relazioni. Mutano anche le variabili d’interesse: nei paesi pre-

transizione l’unico fattore rilevante è la mortalità, primo elemento a mutare in una TD agli

inizi. Il campione post-transizione assegna invece un ruolo centrale alla fertilità, ultimo

elemento ad arrivare all’equilibrio in una TD ormai quasi completata.

I risultati migliori si ottengono però per i paesi che hanno effettuato la TD nel periodo

considerato. La significatività della variabili è in questo caso diffusa, a riprova del legame

esistente tra Transizione Demografica e capacità esplicativa dei fattori demografici, che

influiscono sulla crescita economica in determinati periodi e sotto certe circostanze.

Il fatto che l’R2 sia complessivamente migliore nel ventennio finale, quando la TD è giunta a

una maggiore maturazione, conferma che i mutamenti demografici hanno bisogno di un certo

tempo per produrre effetti sulla sfera economica. Vi sono comunque delle differenze per

alcune variabili, che presentano una maggiore significatività nell’uno o nell’altro periodo,

secondo lo stadio della TD. La mortalità assume la massima importanza nel primo ventennio,

63Ad esempio i livelli di natalità pretransizionali erano del 50 per mille in Africa, tra 30 e 45 in Europa, tra 40 e

45 in Sudamerica e 40 in Asia. 64Le migrazioni permettono di alzare la fertilità (che è più alta nei migranti) e di abbassare la mortalità (arrivano

persone di media età, più resistenti alla fatica). Hanno comunque risvolti positivi anche sul paese di partenza,

dove aumenta il cibo pro capite e migliorano le condizioni igieniche.

18

per poi perdere rilevanza successivamente, in coincidenza con l’esaurirsi dei mutamenti

strutturali nel fenomeno. La fertilità ha un pattern speculare, con un progressivo e graduale

aumento della significatività della relazione nel corso del tempo, a riprova di un fenomeno

che varia solo con un certo ritardo rispetto alla mortalità e caratterizza la fase finale della TD.

Anche gli indici di struttura (in particolare il rapporto di dipendenza e gioventù) aumentano la

loro importanza con il passare degli anni: non esercitano effetti immediati ma hanno bisogno

di un certo lasso di tempo per maturare e giungere a compimento. La struttura per età di una

società è infatti intimamente collegata al suo grado di sviluppo65: paesi arretrati, con alti tassi

di natalità e mortalità, presentano una forte quota di giovani e persone in età da lavoro. La TD

porta un iniziale abbassamento della mortalità, seguito solo con un certo ritardo dalla fertilità.

Ciò provoca un ringiovanimento della società (scende soprattutto la mortalità infantile), che

non manca di far pesare i suoi influssi sul rapporto di dipendenza, che acquista significatività.

L’importanza di questa variabile aumenta per tutta la durata della TD. Si assiste a una perdita

di significatività solo con l’esaurirsi della TD, forse perchè ormai il rapporto di dipendenza è

legato alla componente anziana, non così facilmente connotabile.

6 Riflessioni conclusive

Il presente lavoro si propone di approfondire le relazioni tra crescita economica e dinamica

demografica, al centro di un intenso dibattito in letteratura, cercando di evidenziare l’influsso

dei fattori demografici sull’andamento dell’economia. L’approccio scelto è di tipo applicato,

con un’analisi cross country su un campione di 85 paesi dal 1960 al 2002.

I risultati ottenuti hanno confermato la validità dell’approccio seguito dalla New Demography,

sottolineando l’importanza di una corretta specificazione e la necessità di procedere a una

scomposizione dei fattori demografici nelle loro componenti.

La popolazione incide infatti sulla crescita economica tramite un’azione complessa che si

snoda lungo vari canali, dall’investimento in capitale umano all’incentivo a risparmiare e

investire, dalle economie di scala all’offerta di forza lavoro. Sintetizzare queste diverse

relazioni in un’unica variabile è rischioso perché indici troppo aggregati non sono capaci di

cogliere, come si evince anche dalla presente analisi, la complessità dei legami esistenti. Ciò

porta a trarre (come è più volte avvenuto in passato) conclusioni affrettate, che spingono a

sostenere tesi neo maltusiane o revisioniste a seconda dello specifico periodo temporale

considerato.

65 Un afflusso di migranti dall’estero può cambiare la questione, in considerazione del particolare impatto sulla

struttura per età.

19

Un’appropriata strategia di scomposizione delle variabili consente invece una prima

scrematura degli elementi rilevanti, riconducibili a due insiemi: le componenti (che spiegano

come cresce la popolazione) e la struttura (che dice come è composta la popolazione)

demografica. Questi gruppi sono collegati tra loro66 ma agiscono in modi differenti sulla

crescita economica, influenzata in modo diretto della struttura e in maniera indiretta dalle

componenti.

Lo studio delle componenti della popolazione individua la prima forma avvertibile di un

cambiamento, la spia di una nuova tendenza che si manifesterà solo successivamente nella

struttura. Si rivela particolarmente importante in contesti (come i PVS) dove la TD è agli inizi

e in cui è necessario saper cogliere con tempismo tutti i possibili segnali di cambiamento. Nel

caso in esame mostrano una generale significatività, particolarmente spiccata per quel che

riguarda la fertilità. Il quadro è più complesso per la mortalità, che presenta una dinamica

temporale ricca di oscillazioni, caratterizzata da una progressiva perdita di significatività.

Questa procede in parallelo con il graduale esaurimento della TD e lo stabilizzarsi dei valori

del Cdr (restano possibili solo limitate riduzioni, concentrate soprattutto nelle classi anziane).

Vi sono comunque anche limiti interni all’indicatore mortalità totale, che è la risultante di

componenti dalla rilevanza e valenza differente, difficili da combinare in un’unica variabile.

Lo studio della struttura per età della popolazione è particolarmente importante nel caso in

esame perchè permette di supplire all’assenza di dati sulle migrazioni che, in alcuni contesti,

possono rappresentare un fattore perturbatore più importante della dinamica naturale. Tra i

vari indicatori proposti spicca il rapporto di dipendenza, che chiarisce al meglio gli effetti

della struttura demografica sull’economia, dato che individua la parte di popolazione attiva e

quella non attiva (almeno potenzialmente). Il segno negativo che caratterizza i coefficienti

esprime proprio l’azione frenante della parte dipendente della popolazione sulla crescita

economica. Il rapporto di dipendenza è strettamente legato alla sua componente giovanile, che

trova espressione nell’indice di gioventù, anch’esso significativo e con segno negativo. Una

crescita degli under 14 all’interno di un paese si rivela un ostacolo per lo sviluppo, perché i

giovani sono tipicamente consumatori netti di risorse, che vengono quindi distolte

dall’investimento e dedicate al consumo immediato o a necessità di breve periodo. Non è

invece possibile assegnare una connotazione economica ben definita alle classi anziane, che

rappresentano solo teoricamente dei costi netti per la società. In realtà oggi, con

66 Sono le componenti, influendo sulla struttura (sull’entità e sulla composizione per età della popolazione), ad

agire sull’andamento della forza lavoro e sul rapporto di dipendenza, che sono i canali più diretti tramite i quali

la popolazione ha effetti sull’economia. L’impatto più significativo sulla struttura per età spetta alla natalità che

influisce sulla sola componente giovanile, mentre la mortalità esercita i suoi effetti su differenti classi di età.

20

l’allungamento della vita media registrato nei PS, sempre più persone lavorano (magari in

maniera informale e non ufficiale) oltre i 70 anni, riuscendo anzi ad aumentare la propria

produttività grazie al bagaglio di capacità ed esperienze accumulate nel corso della vita.

L’effetto complessivo è quindi controverso. Questa ambigua connotazione economica è alla

base, insieme alla ridotta dimensione della componente over 65 rispetto alle altre classi di età,

della scarsa significatività dell’indice di anzianità e di variabili ad esso affini.

Il campione complessivo fornisce comunque solo indicazioni generali, che necessitano di un

approfondimento attraverso un’analisi che mira ad approfondire quando (il timing) e sotto

quali condizioni le relazioni individuate sono valide. I legami mutano infatti a seconda del

momento storico e dei casi contingenti. Ciò rende difficile la loro individuazione e preclude

un’interpretazione dei risultati ottenuti: non è facile andare oltre un vago e generale giudizio

sul segno e la significatività di alcune variabili, per cercare di ricostruire uno scenario in cui si

evolvono le relazioni. Le difficoltà aumentano nell’eterogeneo campione utilizzato,

comprendente situazioni estremamente differenti, per alcuni aspetti antitetiche, che è meglio

studiare separatamente. All’analisi temporale si deve affiancare una divisione del campione in

aggregati più omogenei, per cui è più facile rintracciare una chiave di lettura.

Una buona interpretazione della situazione si ottiene dividendo il campione in base al livello

di sviluppo economico (in base al reddito medio pro capite) e demografico67 (in particolare in

riferimento allo stadio di TD) dei vari paesi.

Le relazioni si sviluppano in un’ottica di causazione cumulata, con una continua interazione

tra la sfera economica e quella demografica. Situazioni pretransizionali sono caratterizzate da

una generale assenza di relazioni, con la parziale eccezione della mortalità. I fattori

demografici iniziano ad influire sulla crescita economica solo con l’avvio della TD, causata

sia da elementi economici (PS nell’800) che da fattori differenti (PVS nel ‘900). L’iniziale

calo della mortalità facilita da un lato lo sviluppo dell’economia (prerequisito per lo sviluppo)

e dall’altra parte avvia ulteriori mutazioni demografiche (incide ad esempio sulla fertilità,

oppure provoca un iniziale ringiovanimento della popolazione). In una seconda fase le

interazioni diventano sempre più profonde, con un’estensione delle variabili significative.

Oltre alla mortalità (che comunque subisce un graduale ridimensionamento) diviene rilevante

anche la fertilità, spesso determinata dal livello del reddito, su cui però esercita a sua volta

una certa influenza. E’ inoltre opportuno riferirsi ad elementi strutturali, in precedenza poco

importanti, che si muovono con un certo ritardo rispetto alle componenti ma rappresentano il

canale più diretto d’interazione tra le due sfere.

67 Livello di sviluppo economico e stadio di TD sono comunque generalmente correlati.

21

Queste mutue relazioni cessano oltre un certo livello di sviluppo, quando l’elemento

demografico esercita un influsso solo marginale sulla dinamica economica.

I dati confermano quindi che “The effects of demographic processes to vary by stage of

economic development”68: elementi geografici

69, climatici, razziali o culturali sono secondari

rispetto al grado di sviluppo raggiunto. Il fattore demografico assume una valenza esplicativa

solo all’interno di un certo intervallo, che coincide pressappoco con la Transizione

Demografica. Perde invece importanza sotto e sopra una certa soglia di sviluppo, forse anche

perché in questi casi si registra una minore dinamica demografica.

Questa tendenza è comune a tutti gli ambiti considerati, anche se varia per motivi contingenti

in quanto a velocità e impatto. Del resto è un potenziale, che può avversarsi (Est Asia) o meno

(America Latina). Quindi la cronologia degli eventi è simile ma ci sono differenti timing dei

cambiamenti demografici (la TD è a fasi molto diverse nei vari paesi). Il fattore demografico

ha rivestito un ruolo centrale nel passato dei PS, nel presente di quelli in transizione e si

presume sarà importante nel futuro degli stati più arretrati70. Questo conferma il carattere

transitorio delle relazioni in esame e conferisce maggiore importanza ad analisi di lungo

periodo71, che riescono a identificare elementi e relazioni di difficile interpretazione

nell’immediato.

I risultati ottenuti evidenziano quindi le potenzialità della politica demografica, che deve

comunque essere integrata con appropriati interventi economici. La questione va analizzata

nella sua globalità e non soffermandosi su un singolo aspetto, come hanno fatto i neutralisti o,

dal punto di vista opposto, tutti coloro che tendono a ricondurre la dinamica economica alla

sola azione dei fattori demografici72.

La presente ricerca conferma i risultati di alcuni studi precedenti (Simon 1980, KS 1995, BC

1999) ma a differenza di questi contributi, che si concentrano su una singola relazione,

procede a un’analisi sistematica, che cerca di evidenziare i molteplici legami esistenti. Questi

68 KS (1995), pg.547. 69 Un’aggregazione del campione su base geografica non propone sostanziali novità, con poche variabili

significative per l’Estremo Oriente (forse a causa dell’esiguo campione considerato) o l’Europa (che ripropone le

considerazioni fatte per i paesi ad alto reddito). I risultati più interessanti vengono dall’Africa, per cui però

un’interpretazione più accurata è preclusa dalle notevoli differenze interne al continente, in cui convivono realtà

in crescita e paesi fortemente arretrati. 70 Bisogna comunque considerare che nel caso dei PVS i mutamenti demografici si stanno inserendo in un

contesto differente e che marcia a una velocità di cambiamento superiore rispetto al passato. 71I risultati migliori caratterizzano i periodi più lunghi, come il quarantennio di riferimento o il campione ‘70-

2000. 72E’ diffusa la tendenza a derivare la forza lavoro dalla dinamica demografica, ignorando un aspetto

comportamentale e di struttura dell’economia (su cui insiste BF, 1988) che fa sì che la popolazione

potenzialmente attiva sia molto diversa dalla forza lavoro reale. I risultati ottenuti nel presente articolo

ridimensionano però l’importanza dell’elemento comportamentale, che sembra rimanere in secondo piano

rispetto a quello demografico.

22

sono validi solo sotto certe condizioni: l’esistenza di una certa relazione non implica il rifiuto

di possibili canali alternativi, che saranno attivi in un altro contesto. Ciò implica la negazione

di qualunque tesi assolutista, nella convinzione che “Population growth is not all good or all

bad for economic growth: it contains both elements, which can and (as in the results presented

above) do change over time”73. Questa non è una rinuncia a prendere posizione, ma solo un

richiamo a riflessioni più meditate, basate sui fatti più che su semplici presunzioni

ideologiche. La presenza di molti canali è allo stesso tempo il limite e la ricchezza della

“questione demografica”: rende difficile capire e individuare la trama complessiva ma allo

stesso tempo offre una dotazione di strumenti tale da riuscire a spiegare una realtà mutevole e

variegata.

La consapevolezza della pluralità e mutevolezza della relazioni economico-demografiche è

fondamentale, perché spinge a studiare attentamente le situazioni in atto prima di trarre

conclusioni affrettate e prendere decisioni avventate. E’ necessario adottare un approccio

flessibile alla questione, in cui l’osservazione preliminare è funzionale all’elaborazione di

strategie di politica economica e demografica che non sono immediate e meccaniche, ma

vanno modulate a seconda dei casi specifici. Le interazioni tra demografia ed economia sono

un campo solo apparentemente monocromatico, ma nascondono in realtà molteplici sfumature

e una fitta trama di interrelazioni che è necessario conoscere appieno. Molti fallimenti

nell’individuazione delle relazioni tra demografia ed economia e nelle politiche adottate

vanno proprio ricercati nell’incapacità, colpevole o superficiale, di sfuggire a pregiudizi più o

meno diffusi e analizzare seriamente una questione lineare solo in apparenza.

E’ molto significativo che i risultati ottenuti mostrino una forte persistenza anche a fronte

dell’utilizzo di diversi dataset e campioni, differenti sia a livello geografico che temporale.

Ciò è sintomo e indice di robustezza e affidabilità delle conclusioni raggiunte, che catturano

l’essenza delle relazioni analizzate e non dipendono dal particolare set informativo utilizzato.

Questi risultati sono resistenti anche a critiche di natura metodologica o (con l’eccezione della

variabile investimento) a problemi di endogeneità, come confermato da una serie di

regressioni col metodo delle variabili strumentali e da un favorevole test di Hausman.

L’analisi è comunque suscettibile di successivi miglioramenti, soprattutto per quel che

riguarda il set di dati disponibili. Si possono estendere le serie ad altri paesi (ad esempio

l’Europa Orientale) e migliorare l’accuratezza dei dati esistenti (in primis acquisendo dati

sulle migrazioni), cercando anche nuove variabili (politiche, di capitale umano, ecc.) da

inserire nel nucleo della regressione. Deve inoltre essere riconosciuta la difficoltà di riunire in

73 Kelley e Schmidt (1995), pg.554.

23

un unico contesto paesi e realtà assai diverse. Sarebbe quindi opportuno, disponendo di

migliori dati, procedere ad analisi più disaggregate e focalizzate su specifiche realtà regionali,

sulla falsariga di quanto fatto da BW (1998) per l’Estremo Oriente o Morettini (2005) per

l’Italia.

24

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26

Appendice

Legenda

Le seguenti tabelle illustrano i risultati delle varie regressioni effettuate. Si è cercato di

utilizzare una simbologia e un approccio il più possibile comune: l’ordine di numerazione è lo

stesso, mentre cambia solo un codice iniziale indicante il campione che si sta utilizzando.

Così si ha:

• P per le regressioni sul dataset PWT e con il campione totale di 85 paesi;

• WB per le regressioni sul dataset WB e con il campione totale di 85 paesi;

• WBristr per le regressioni sul dataset WB, con un campione limitato ai 72 paesi che

presentano dati sull’investimento anche per gli anni ‘60.

Nelle tabelle si presenta il valore dei coefficienti e subito sotto, tra parentesi, il t ratios,

decisivo per la significatività della regressione. Una particolare forma grafica facilita la

comprensione dei risultati: i coefficienti significativi all’1% sono in grassetto e accompagnati

da due asterischi, quelli significativi al 5% sono in corsivo e seguiti da un asterisco, mentre

quelli non significativi restano in forma normale. Ciò permette un’immediata e agevole

individuazione delle relazioni più importanti.

Per esigenze di spazio e semplicità non si specifica il periodo temporale cui si riferiscono le

variabili utilizzate, ad eccezione della variabile dipendente (il tasso di crescita del redito pro

capite). E’ infatti a quest’ultima che si conformano tutti i regressori: il periodo di riferimento,

quando non diversamente specificato, è sempre uguale a quello della variabile dipendente. Le

notazioni temporali si riferiscono alle ultime due cifre dell’anno considerato: così 6000 indica

il periodo temporale che va dal 1960 al 2000, mentre 6080 si riferisce agli anni compresi tra il

1960 al 1980.

In quest’appendice, per non appesantire la trattazione, vengono esposti solo i risultati più

significativi. Tabelle riguardanti altre regressioni non sono pubblicate ma restano a

disposizione per chiunque voglia farne richiesta all’autore.

27

Tab.VAR1: Definizione delle variabili usate

Variabile Definizione (fonte) Gdp Tasso di crescita medio annuo del reddito pro capite a valori costanti nel periodo di riferimento

Fonte: PWT; WB

Y0 Livello del reddito pro capite a valori costanti all’inizio del periodo di riferimento

Fonte: PWT

InvPil Rapporto medio tra investimenti totali e PIL nel periodo di riferimento

Fonte: WB

Ki Rapporto medio tra investimenti totali e PIL nel periodo di riferimento

Fonte: PWT

Pop Tasso di crescita medio annuo della popolazione, nel periodo di riferimento

Fonte: WB; PWT

Cbr Tasso netto di natalità medio annuo nel periodo di riferimento

Fonte: WB

Cdr Tasso netto di mortalità medio annuo nel periodo di riferimento

Fonte: WB

Cbrcdr Differenza tra il tasso netto di natalità e quello di mortalità nel periodo di riferimento

Fonte: WB

Under1 Tasso di mortalità medio annuo nel periodo di riferimento della popolazione sotto il primo anno di

età

Fonte: WB

Under5 Tasso di mortalità medio annuo nel periodo di riferimento della popolazione sotto i 5 anni di età

Fonte: WB

0-14/P Rapporto medio tra popolazione sotto i 14 anni e popolazione totale nel periodo di riferimento

(0-14/Pop)

Fonte: WB

1564/P Rapporto medio tra popolazione in età attiva (15-64) e popolazione totale nel periodo di riferimento

(15-64/Pop)

Fonte: WB

65+/P Rapporto medio tra popolazione sopra i 65 anni e popolazione totale nel periodo di riferimento

(65+/Pop)

Fonte: WB

Age Indice di dipendenza medio nel periodo di riferimento (0-14+65+/15-64)

Fonte: WB

Giov Indice di gioventù medio nel periodo di riferimento (0-14/15-64)

Fonte: WB

Vec Indice di anzianità medio nel periodo di riferimento (65+/15-64)

Fonte: WB

Geap Differenza tra tasso di crescita della popolazione in età attiva (15-64) e tasso di crescita della

popolazione globale (15-64-POP)

Fonte:WB

Ivecc Indice di vecchiaia medio nel periodo di riferimento (65+/0-14)

Fonte: WB

TFR Tasso di fertilità totale (numero di figli per donna) medio del periodo di riferimento

Fonte: WB

LnE0 Logaritmo naturale della speranza di vita alla nascita (in anni) all’inizio del periodo di riferimento

Fonte: WB

Urb0 Rapporto tra popolazione residente in centri urbani e popolazione totale all’inizio del periodo di

riferimento

Fonte: WB

Dens0 Densità di popolazione (persone per chilometro quadrato) all’inizio del periodo di riferimento

Fonte: WB

Psize0 Popolazione residente all’inizio del periodo di riferimento

Fonte: WB

28

Tabella P0: campione di riferimento

Codice Paese Codice Paese

1 ARG Argentina 44 KOR Corea, Rep.

2 AUS Australia 45 LKA Sri Lanka

3 AUT Austria 46 LSO Lesotho

4 BDI Burundi 47 MAR Marocco

5 BEL Belgio 48 MDG Madagascar

6 BEN Benin 49 MEX Messico

7 BFA Burkina Faso 50 MLI Mali

8 BGD Bangladesh 51 MRT Mauritania

9 BOL Bolivia 52 MWI Malawi

10 BRA Brasile 53 MYS Malaysia

11 CAF Repubblica Centrafricana 54 NER Niger

12 CAN Canada 55 NGA Nigeria

13 CHE Svizzera 56 NIC Nicaragua

14 CHL Cile 57 NLD Olanda

15 CHN Cina 58 NOR Norvegia

16 CIV Costa D’Avorio 59 NPL Nepal

17 CMR Camerun 60 NZL NuovaZelanda

18 COG Congo, Rep. 61 PAK Pakistan

19 COL Colombia 62 PAN Panama

20 CRI Costa Rica 63 PER Peru

21 DNK Danimarca 64 PHL Filippine

22 DOM Repubblica Dominicana 65 PNG Papua Nuova Guinea

23 DZA Algeria 66 PRT Portogallo

24 ECU Ecuador 67 PRY Paraguay

25 EGY Egitto. 68 RWA Ruanda

26 ESP Spagna 69 SEN Senegal

27 FIN Finlandia 70 SGP Singapore

28 FRA Francia 71 SLV El Salvador

29 GBR Regno Unito 72 SWE Svezia

30 GHA Gana 73 SYR Siria

31 GRC Grecia 74 TCH Ciad

32 GTM Guatemala 75 TGO Togo

33 HKG Hong Kong, Cina 76 THA Tailandia

34 HND Honduras 77 TTO Trinidad and Tobago

35 HTI Haiti 78 TUN Tunisia

36 IDN Indonesia 79 TUR Turchia

37 IND India 80 URY Uruguay

38 IRE Irlanda 81 USA Stati Uniti d’America

39 ISR Israele 82 VEN Venezuela

40 ITA Italia 83 ZAF Sudafrica

41 JAM Giamaica 84 ZMB Zambia

42 JAP Giappone 85 ZWE Zimbabwe

43 KEN Kenya

29

Tab.P1 Core nei vari periodi temporali (1960-2000 e 1960-1980, 1980-2000)

Dipendente Gdp6000 Gdp6000 Gdp6080 Gdp8000

Costante -0,49

(-1,87) 1,58**

(2,77)

1,45*

(2,31)

1,76*

(2,24)

Y060 -0,0001**

(-3,37)

-0,0002**

(-5,30)

-0,0002**

(-3,63)

Y080 -0,0002**

(-4,41)

Ki 0,17**

(9,91)

0,15**

(9,21)

0,15**

(8,78)

0,16**

(6,36)

Pop -0,72**

(-4,00)

-0,41

(-1,96) -1,15**

(-4,33)

Jarque Br.(P-values) 0,64 0,68 0,19 0,84

White (P-values) 0,32 0,92 0,63 0,05

S.E.reg. 1,06 0,98 1,23 1,32

R2 0,56 0,63 0,52 0,52

Adj.r2 0,54 0,62 0,50 0,50

Tab. P2 Componenti nel periodo 1960-2000

Dipend. Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000

Costante 5,11**

(6,66)

1,66**

(2,91)

2,45**

(3,56)

4,75**

(6,07)

-12,53**

(-3,87)

2,12**

(3,48)

1,96**

(3,68)

-0,38

(-1,92)

-0,56*

(-2,18)

Y060 -0,0004**

(-8,30)

-0,0002**

(-4,45)

-0,0003**

(-5,84)

-0,0003**

(-7,74)

-0,0003**

(-5,19)

-0,0002**

(-5,57)

-0,0002**

(-5,75)

-0,0001**

(-2,80)

-0,0002**

(-4,12)

Ki 0,09**

(5,27)

0,13**

(7,21)

0,13**

(7,72)

0,09**

(5,01)

0,13**

(6,57)

0,11**

(5,58)

0,11**

(5,82)

0,15**

(8,20)

0,15**

(8,27)

Cbr -0,11**

(-7,57)

Cdr -0,12**

(-4,17)

Cbrcdr -0,09**

(-4,55)

TFR -0,73**

(-6,96)

LnE0 3,34**

(3,73)

Under1 -0,02**

(-4,59)

Under5 -0,01**

(-5,03)

Dens0 0,0006*

(2,01)

Urb0 0,02*

(2,30)

Jar-Brera 0,81 0,18 0,74 0,60 0,45 0,35 0,24 0,67 0,61

White 0,76 0,55 0,83 0,82 0,28 0,50 0,60 0,66 0,44

S.E.reg. 0,82 0,97 0,96 0,85 0,99 0,94 0,92 1,05 1,04

R2 0,74 0,63 0,65 0,72 0,62 0,64 0,65 0,58 0,58

Adj.r2 0,73 0,62 0,63 0,71 0,61 0,63 0,64 0,56 0,57

30

Tab.P3 Indici di struttura nel periodo 1960-2000

Dip. Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000 Gdp6000

Cost. 6,00**

(5,45)

2,08**

(2,74)

-0,66*

(-2,11)

-0,37

(-1,36)

-0,42

(-1,50) -4,09**

(-3,07)

2,79*

(2,27) -9,46**

(6,11)

-0,63*

(-2,41)

Y060 -0,0003**

(-6,89)

-0,0002**

(-4,77)

-0,0002**

(-3,60)

-0,0001**

(-3,33)

-0,0002**

(-3,47)

-0,0002**

(-3,67)

-0,0002**

(-4,40)

-0,0003**

(-6,72)

-0,0003**

(-4,20)

Ki 0,11**

(6,41)

0,14**

(7,84)

0,16**

(9,11)

0,16**

(9,05)

0,16**

(8,78)

0,14**

(7,33)

0,15**

(8,69)

0,11**

(6,32)

0,15**

(8,47)

Age -0,06**

(-6,02)

Giov. -0,03**

(-3,53)

-0,04**

(-3,66)

Vec 0,05

(1,55)

-0,09

(-1,82)

Geap 0,09*

(2,22)

Ivecc 0,01

(1,31)

0-14/P -0,07**

(-2,73)

1564 /P 0,18**

(5,85)

65+/P 0,14**

(2,54)

JarBrera 0,90 0,84 0,81 0,71 0,82 0,87 0,91 0,89 0,87

White 0,45 0,57 0,49 0,56 0,57 0,86 0,85 0,64 0,80

S.E.reg. 0,89 1,01 1,08 1,06 1,08 1,00 1,03 0,90 1,03

R2 0,69 0,62 0,57 0,58 0,56 0,63 0,59 0,69 0,59

Adj.r2 0,68 0,60 0,55 0,56 0,55 0,61 0,58 0,68 0,57

Tab. P2a Componenti: analisi per ventenni (1960-1980, 1980-2000)

Dipend. Gdp6080 Gdp8000 Gdp6080 Gdp8000 Gdp6080 Gdp8000 Gdp6080 Gdp8000 Gdp6080 Gdp8000

Costante 5,14**

(5,59)

4,48**

(3,82)

3,33**

(5,32)

-0,15

(-0,20)

1,86*

(2,47) 3,19**

(3,16)

4,59**

(4,95)

3,09**

(3,01)

-17,79**

(-5,36)

-16,32**

(-2,69)

Y060 -0,0004**

(-6,34)

-0,0002**

(-5,22)

-0,0002**

(-3,73)

-0,0004**

(-5,78)

-0,0002**

(-4,37)

-0,0004**

(-6,34)

Y080 -0,0002**

(-5,13)

-7,05e

-5*

(-2,00)

-0,0002**

(-5,00)

-0,0001**

(-3,10)

Ki 0,12**

(7,06)

0,10**

(3,51)

0,12**

(6,87)

0,16**

(5,18)

0,15**

(8,52)

0,13**

(5,10)

0,12**

(7,08)

0,11**

(3,65)

0,11**

(6,31)

0,15**

(4,85)

Cbr -0,09**

(-5,40)

-0,13**

(-5,15)

Cdr -0,14**

(-5,19)

-0,08

(-1,78)

Cbrcdr -0,05*

(-2,16) -0,15**

(-4,72)

TFR -0,57**

(-4,75)

-0,69**

(-4,53)

LnE0 4,98**

(5,48)

3,89*

(2,48)

JarBrera 0,58 0,78 0,28 0,21 0,24 0,95 0,63 0,45 0,23 0,29

White 0,44 0,19 0,48 0,16 0,61 0,01 0,50 0,16 0,35 0,09

S.E.reg. 1,08 1,27 1,09 1,44 1,22 1,30 1,11 1,31 1,07 1,33

R2 0,63 0,55 0,62 0,43 0,52 0,53 0,55 0,52 0,63 0,46

Adj.r2 0,62 0,53 0,61 0,40 0,51 0,51 0,52 0,51 0,62 0,44

31

Tab. P3a Indici di struttura: analisi per ventenni (1960-1980, 1980-2000)

Dipend. Gdp6080 Gdp8000 Gdp6080 Gdp8000 Gdp6080 Gdp8000 Gdp6080 Gdp8000

Costante 3,65**

(2,91)

6,73**

(4,18)

2,04*

(2,28)

1,84

(1,82)

0,17

(0,45) -1,57**

(-3,58)

7,93**

(4,12)

2,78

(1,74)

Y60 -0,0002**

(-4,13)

-0,0002**

(-3,56)

-0,0002*

(-2,60) -2,97e

–5

(-0,40)

Y80 -0,0002**

(-4,82)

-0,0001**

(-3,54)

-0,0001**

(-2,60)

-0,0001*

(-2,46)

Ki 0,14**

(8,32)

0,09**

(2,88)

0,15**

(8,10)

0,15**

(5,33)

0,15**

(8,41)

0,18**

(6,73)

0,14**

(8,05)

0,14**

(4,53)

Age -0,03**

(-2,70)

-0,08**

(-5,11)

Giov -0,02*

(-2,09) -0,03**

(-3,18)

-0,06**

(-3,22)

-0,04**

(-2,81)

Vec 0,02

(0,50)

0,01

(1,57)

-0,14

(-1,77)

-0,04

(-0,76)

JarBrera 0,31 0,35 0,40 0,54 0,29 0,42 0,99 0,47

White 0,66 0,21 0,60 0,23 0,43 0,39 0,10 0,45

S.E. 1,20 1,28 1,26 1,36 1,29 1,43 1,69 1,37

R2 0,54 0,55 0,53 0,48 0,50 0,43 0,14 0,48

Adj 0,52 0,53 0,51 0,46 0,48 0,41 0,11 0,46

Tab. Wbristr2 Componenti e indici di struttura nel periodo 1960-2002

Dipendente Gdp6002 Gdp6002 Gdp6002 Gdp6002 Gdp6002 Gdp6002 Gdp6002 Gdp6002

Costante 0,004

(0,005) 4,61**

(4,22)

-0,19

(-0,18)

1,71

(1,85)

-0,59

(-0,62) 6,02**

(4,46)

2,16

(1,95) 4,91**

(2,99)

Y060 -0,0002**

(-2,78)

-0,0003**

(-5,86) -7,15 e

-5

(-1,48)

-0,0003**

(-4,43)

-0,0002**

(-2,97)

-0,0003**

(-5,18)

-0,0002**

(-3,55)

-0,0001*

(-2,09)

InvPil 0,18**

(7,22)

0,10**

(4,01)

0,15**

(5,03)

0,16**

(6,68)

0,13**

(4,59)

0,12**

(4,99)

0,15**

(6,15)

0,14**

(5,51)

Pop -0,86**

(-3,73)

Cbr -0,12**

(-7,22)

Cdr -0,10**

(-2,87)

Cbrcdr -0,13**

(-5,50)

Under1 -0,02**

(-3,90)

Age -0,08**

(-6,80)

Giov -0,05**

(-4,92)

-0,07**

(-5,10)

Vec -0,13*

(-2,21)

S.E.reg. 1,07 0,88 1,11 0,97 1,04 0,90 1,02 0,99

R2 0,56 0,71 0,53 0,64 0,57 0,69 0,63 0,66

Adj.r2 0,55 0,69 0,51 0,62 0,55 0,68 0,61 0,64

32

Il controllo dell’endogeneità

Il controllo dell’endogeneità è effettuato tramite due diversi procedimenti: ricorrendo a una stima OLS su

variabili riferite ai primi 10 anni del periodo in esame (e che quindi sono in qualche modo predeterminate),

oppure con il tradizionale metodo delle variabili strumentali, applicato tramite uno stimatore a due stadi. I

risultati per il campione PWT74 sono espressi nelle tabelle PLAG1-2, dove si confrontano stime ottenute col

metodo OLS tradizionale e col metodo delle predeterminate (LAG). La disposizione di OLS e LAG in colonne

affiancate consente di confrontare in maniera rapida e immediata i risultati ottenuti.

Il periodo di riferimento è il trentennio 1970-2000 e la variabile dipendente è il tasso di crescita medio annuo del

reddito pro capite in questo lasso temporale (Gdp7000). Le variabili elencate sono espresse in modo diverso nei

due casi: nell’OLS si riferiscono all’intero periodo di analisi, mentre nel LAG indicano solo il primo decennio.

Ad esempio, l’Investimento utilizzato è Ki7000 per l’OLS, e Ki70 per il LAG. Per il resto le notazioni, la

presentazione delle tabelle e le abbreviazioni delle variabili ricalcano quelle già utilizzate nell’analisi precedente.

Tab. PLAG1: Popolazione e componenti

Dipend. OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG

Costante 1,96**

(2,75)

2,25**

(3,05)

5,19**

(5,30)

7,25**

(7,43)

0,87

(1,27) 2,76**

(3,58)

3,12**

(3,62)

3,91**

(4,47)

1,54*

(2,10) 2,85**

(3,37)

Y070 -0,0002**

(-5,45)

-0,0002**

(-3,33)

-0,0003**

(-7,18)

-0,0003**

(-6,98)

-0,0001**

(-3,54)

-0,0001*

(-2,54) -0,0003**

(-6,00)

-0,0003**

(-4,58)

-0,0002**

(-4,72)

-0,0002**

(-3,37)

Ki 0,16**

(7,58)

0,11**

(5,13)

0,09**

(4,09)

0,06**

(3,25)

0,14**

(5,95)

0,07**

(3,04)

0,13**

(6,02)

0,09**

(4,70)

0,12**

(4,85)

0,06*

(2,50)

Pop -1,01**

(-4,36)

-0,96**

(-3,61)

Cbr -0,12**

(-6,43)

-0,15**

(-7,87)

Cdr -0,10**

(-2,85)

-0,15**

(-4,13)

Cbrcdr -0,13**

(-4,91)

-0,13**

(-4,95)

Under 1 -0,02**

(-3,57)

-0,02**

(-3,79)

S.E.reg 1,17 1,43 1,06 1,16 1,24 1,40 1,14 1,35 1,20 1,41 R2 0,55 0,33 0,64 0,56 0,50 0,36 0,58 0,40 0,52 0,34 Adj.r2 0,54 0,31 0,62 0,54 0,48 0,34 0,56 0,38 0,50 0,31

Tab. PLAG2 Indici di struttura

Dip OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG OLS LAG

Cost 6,86**

(4,93)

6,63**

(4,43)

2,11*

(2,33) 3,92**

(4,28)

-1,11**

(-2,86)

-0,40

(-0,86)

3,28*

(2,21) 4,33**

(2,72)

-0,68*

(-2,06)

-0,02

(-0,05)

Y070 -0,0003**

(-6,44)

-0,0002**

(-4,21)

-0,0002**

(-4,67)

-0,0002**

(-3,82)

-0,0002**

(-3,51)

-0,0001

(-1,84) -0,0002**

(-3,53)

-0,0001*

(-2,54) -0,0001**

(-3,10) -5,58 e

-5

(-1,39)

Ki 0,10**

(4,38)

0,09**

(4,43)

0,15**

(6,51)

0,08**

(4,10)

0,17**

(7,73)

0,10**

(4,45)

0,14**

(5,89)

0,09**

(4,30)

0,16**

(7,14)

0,09**

(4,13)

Age -0,08**

(-5,67)

-0,07**

(-4,62)

Giov -0,03**

(-3,40)

-0,05**

(-4,61)

-0,04**

(-3,05)

-0,05**

(-3,09)

Vec 0,07

(1,70)

0,07

(1,44)

-0,05

(-0,99)

-0,06

(-0,98)

Geap 0,07

(1,99) 0,60**

(3,35)

S.E. 1,10 1,37 1,21 1,37 1,28 1,54 1,21 1,45 1,27 1,45

R2 0,61 0,39 0,53 0,39 0,47 0,24 0,53 0,33 0,48 0,32

Adj 0,59 0,36 0,51 0,37 0,45 0,21 0,51 0,29 0,46 0,29

74 Il campione PWT è quello più significativo. Per non appesantire troppo la trattazione si è scelto di non mettere

tabelle relative al dataset WB (ristretto a 72 elementi causa carenze nelle serie d’investimento per gli anni ’60),

che sono però disponibili per chiunque ne faccia richiesta all’autore.

33

Il metodo delle predeterminate offre un quadro soddisfacente, con risultati che si conformano per significatività,

grandezza dei coefficienti e segno ai valori OLS. Differenze emergono solo per elementi problematici e poco

robusti come popolazione e mortalità, ma soprattutto per l’investimento, su cui si concentrano le maggiori

perplessità.

Il confronto tra le stime OLS tradizionali e le stime OLS con le predeterminate è comunque solo un primo passo

che fornisce sommarie indicazioni sulla possibile presenza di endogeneità. E’ necessario approfondire la

questione tramite il metodo delle variabili strumentali (ILV). Il procedimento seguito è una regressione a 2 stadi,

che usa come strumenti i valori degli stessi regressori nel decennio precedente al periodo iniziale75. Per poter

utilizzare al meglio i dati disponibili (che partono dal 1960), è così opportuno fare analisi sul periodo 1970-2000

(gli anni ’60 saranno usati come strumento).

I risultati sono esposti nelle tabelle PILV 1-2, dove si confrontano i coefficienti ottenuti con le regressioni OLS e

ILV. Lo studio delle tabelle fornisce alcune indicazioni sulla presenza di endogeneità che però trova una risposta

definitiva solo con il test di Hausman. I risultati di questo test diagnostico sono espressi in due righe: nella prima

(Haus.Inv.) si indicano i valori del test rispetto alla variabile investimento, mentre nella seconda riga il test

riguarda la variabile demografica d’interesse in una determinata regressione (ad esempio nella seconda colonna

della Tab.PILV1 la scrittura “Haus. de.” si riferisce alla natalità, elemento demografico considerato). I valori

sono espressi in percentuale e scritti in grassetto o in forma normale a seconda se siano soddisfacenti (superiori

al 5%) o meno.

Tab. PILV1: Popolazione e componenti nel periodo 1970-2000

Dipend. OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV

Costante 1,96**

(2,75)

1,84*

(2,02) 5,19**

(5,30)

6,52**

(4,54)

0,87

(1,27)

2,35*

(2,25) 3,12**

(3,62)

2,43*

(2,06)

1,54*

(2,10)

2,54*

(2,12)

Y070 -0,0002**

(-5,45)

-0,0002**

(-2,81)

-0,0003**

(-7,18)

-0,0003**

(-5,92)

-0,0001**

(-3,54) -8,33 e

-5*

(-1,98)

-0,0003**

(-6,00)

-0,0002**

(-2,80)

-0,0002**

(-4,72)

-0,0001**

(-3,08)

Ki 0,16**

(7,58)

0,11**

(3,55)

0,09**

(4,09)

0,05

(1,28) 0,14**

(5,95)

0,08

(1,93) 0,13**

(6,02)

0,10**

(2,94)

0,12**

(4,85)

0,05

(1,21)

Pop -1,01**

(-4,36)

-0,77*

(-2,55)

Cbr -0,12**

(-6,43)

-0,14**

(-5,27)

Cdr -0,10**

(-2,85)

-0,16**

(-3,18)

Cbrcdr -0,13**

(-4,91)

-0,09*

(-2,41)

Under 1 -0,02**

(-3,57)

-0,02**

(-2,71)

Haus.Inv 5,92 6,82 2,92 35,65 1,08

Haus.de 37,46 78,46 90,32 15,94 4,45

S.E.reg 1,17 1,22 1,06 1,09 1,24 1,30 1,14 1,20 1,20 1,27

R2 0,55 0,51 0,64 0,62 0,50 0,45 0,58 0,53 0,52 0,46

Adj.r2 0,54 0,50 0,62 0,60 0,48 0,43 0,56 0,51 0,50 0,44

75 La ricerca degli strumenti adatti è molto complessa stante la scarsità di buone alternative disponibili. Si tende

spesso ad utilizzare (vedi BC, 1999) le stesse variabili d’interesse considerate nel periodo precedente l’analisi.

Queste presentano infatti due requisiti essenziali: sono collegate al regressore, ma non alla variabile dipendente

(possono essere considerate predeterminati, dal momento che sono misurate in un momento precedente a quello

d’interesse). “Lag values are reasonable candidates as instruments because the correlation of the residuals in the

growth regressions between the two decades is never substantial” (Barro e Sala y Martin, 1995).

34

Tab. PILV2 Indici di struttura nel periodo 1970-2000

Dip OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV OLS ILV

Cost 6,86**

(4,93)

4,30

(1,68)

2,11*

(2,33)

2,56*

(2,04) -1,11**

(-2,86)

-0,38

(-0,71)

3,28*

(2,21)

1,83

(0,56)

-0,68*

(-2,06)

0,12

(0,20)

Y070 -0,0003**

(-6,44)

-0,0002*

(-2,39) -0,0002**

(-4,67)

-0,0001*

(-2,49) -0,0002**

(-3,51)

-0,0001

(-1,93) -0,0002**

(-3,53)

-0,0001*

(-2,41) -0,0001**

(-3,10) -7,52 e

-5

(-1,29)

Ki 0,10**

(4,38)

0,09**

(2,72)

0,15**

(6,51)

0,10*

(2,64) 0,17**

(7,73)

0,10**

(2,82)

0,14**

(5,89)

0,09*

(2,47) 0,16**

(7,14)

0,10*

(2,09)

Age -0,08**

(-5,67)

-0,05**

(-1,80)

Giov -0,03**

(-3,40)

-0,03*

(-2,28) -0,04**

(-3,05)

-0,02**

(-0,72)

Vec 0,07

(1,70)

0,08

(1,78)

-0,05

(-0,99)

0,03

(0,27)

Geap 0,07

(1,99)

0,37

(1,88)

Haus.Inv 55,92 3,07 0,2 7,71

Haus.de 45,78 73,65 26,55 0,9

S.E. 1,10 1,16 1,21 1,27 1,28 1,37 1,21 1,30 1,27 1,76

R2 0,61 0,56 0,53 0,48 0,47 0,40 0,53 0,46 0,48 0,02

Adj 0,59 0,55 0,51 0,46 0,45 0,37 0,51 0,43 0,46 -0,04