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NAPOLI, 6 NOVEMBRE 2013 32°CONGRESSO NAZIONALE ANIARTI “IL CAMBIAMENTO NEL CONTESTO SANITARIO, LE RICADUTE SULLA SALUTE DELLE PERSONE E DELLE COMUNITÀ”. Grazia Labate ricercatore in economia sanitaria York U.K.

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Napoli, 6 novembre 2013 32°congresso nazionale ANIARTI “IL cambiamento nel contesto sanitario, le ricadute sulla salute delle persone e delle comunità”. Grazia Labate ricercatore in economia sanitaria York U.K. La disoccupazione continua a crescere. - PowerPoint PPT Presentation

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NAPOLI, 6 NOVEMBRE 2013 32°CONGRESSO NAZIONALE ANIARTI

“IL CAMBIAMENTO NEL CONTESTO SANITARIO, LE RICADUTE SULLA SALUTE DELLE PERSONE E DELLE COMUNITÀ”.

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LA DISOCCUPAZIONE CONTINUA A CRESCERE Disoccupazione nell'Eurozona (ottobre 2013)

a quota 12,2%. Si tratta comunque di livelli record rispetto all'inizio della serie storica delle rilevazioni nel 1999.

In Italia la disoccupazione è al 12,5%. A settembre i disoccupati nella Ue erano 26,872 milioni di cui 19,447 milioni nell'Eurozona.

Rispetto ad agosto il numero dei disoccupati é aumentato di 61 mila nella Ue e di 60 mila nell'Eurozona. Rispetto a un anno prima +978 mila e + 996 mila.

Fonte Eurostat ottobre 2013

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LA SALUTE NEL 21° SECOLO

La mortalità infantile è fortemente diminuita negli ultimi anni ed è ormai ai minimi storici, mentre i cittadini vivono sempre più a lungo.

Pur tuttavia, permangono numerosi seri problemi che non possono essere ignorati:

- livelli consistenti di morbosità e disabilità da malattie mentali, muscolo-scheletriche, e da diabete;

- alti livelli di morte prematura (un quinto di tutte le morti sono premature, al di sotto cioè dei 65 anni) dovute a patologie legate allo stile di vita, in particolare a malattie cardio-vascolari e neoplastiche, e a incidenti.

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LA SALUTE NEL 21° SECOLO Il fumo è un fattore cruciale, essendo causa di oltre mezzo milione di

morti l’anno di cui quasi la metà tra i 35 e i 69 anni; - nuovi rischi per la salute, ad esempio l’emergenza di nuove malattie,

come la nuova variante della Sindrome di Creutzfeldt-Jakob e nuovi tipi di intossicazioni alimentari;

- il riemergere di importanti malattie infettive, come la tubercolosi, complicato dal problema crescente delle resistenze ai farmaci antibiotici;

- l’aumento dell’incidenza di patologie correlate all’età avanzata, in particolare malattie neoplastiche e cardiovascolari e diminuzione delle capacità funzionali a causa di disabilità fisiche e malattie neurodegenerative;

- ampie variazioni e diseguaglianze nello stato di salute con evidenze scientifiche sostanziali che le persone più povere, gli svantaggiati e i gruppi socialmente esclusi hanno un rischio significativamente più alto di morbosità e mortalità.

Fonte HEALTH AT GLANCE 2012

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CANCER CARE ASSURING QUALITY TO IMPROVE SURVIVAL: OCSE OTTOBRE 2013 Ocse: “potremmo in futuro ridurre i decessi di circa un terzo,

e salvare la vita di circa un milione di persone ogni anno nei paesi industrializzati?”

Secondo l'analisi, supportata dalla Commissione europea e l’ Organizzazione mondiale della sanità, è proprio tramite gli sforzi per tagliare tempi di attesa e sprechi accanto alle diagnosi precoci e alle innovazioni scientifiche e tecnologiche, che si potrebbero migliorare ulteriormente i tassi di mortalità, che stanno già subendo delle riduzioni in quasi tutta Europa. Secondo i dati dell'Ocse infatti, i numeri sono lievemente migliorati negli ultimi venti anni ovunque nel continente, fatta eccezione per Grecia, Portogallo ed Estonia.

Tuttavia, ancora molta è la strada da fare, visto che circa 2,4 milioni di persone muoiono ancora ogni anno di cancro in Europa, e 7,6 milioni in tutto il mondo, un dato che è destinato a crescere fino a oltre 13 milioni entro il 2030. 

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LE DISEGUAGLIANZE DI SALUTE IN EUROPA E IN ITALIA 1

In molti Paesi europei specialmente in Italia, negli ultimi decenni le condizioni medie di salute della popolazione sono migliorate, è diminuita la mortalità, è aumentata la speranza di vita e i più recenti sviluppi delle conoscenze biomediche sembrano continuamente promettere un inarrestabile progresso in quest’ambito.

Tuttavia, assistiamo contemporaneamente alla crescita delle diseguaglianze socioeconomiche, largamente determinata dai modelli economici e produttivi ,che si riflettono anche in aumento delle diseguaglianze nelle condizioni di salute.

In media la salute migliora, la mortalità diminuisce, ma ciò avviene soprattutto nei gruppi sociali più forti, mentre la prima peggiora e la seconda aumenta – o almeno l’una non migliora e l’altra non diminuisce – nei gruppi più deboli da un punto di vista economico, sociale, culturale.

Così le diseguaglianze di salute crescono o, al più, restano stabili.

Fonte direzione della regione europea dell’OMS

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LE DISUGUAGLIANZE DI SALUTE IN EUROPA E IN ITALIA 2

Le diseguaglianze di mortalità relativa esprimono il rapporto tra il tasso di mortalità del livello socioeconomico più basso e quello più alto.

In Europa la diseguaglianza relativa ha un valore di 2,2 negli uomini e di circa 2 nelle donne; indipendentemente dall’età, la mortalità è circa due volte più grande nelle persone con i più bassi livelli di istruzione rispetto a quelle con il più alto livello di istruzione.

La massima diseguaglianza relativa per quanto riguarda gli uomini si osserva soprattutto nei Paesi dell’Est europeo, con valori superiori a 4 in Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia; mentre per quanto riguarda le donne, con valori attorno a 3 volte, si registra in Lituania e Ungheria.

La minore diseguaglianza relativa, sia negli uomini sia nelle donne, si osserva in Italia e Spagna.

Fonte: relazione Susanna Jackobs regione europea dell’OMS 2012

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DIFFERENZE NELL’ASSISTENZA SANITARIA Il diritto all’assistenza sanitaria è riconosciuto in modo diverso nei

paesi UE. Solo 10 Paesi hanno sistemi sanitari pubblici universalistici e onnicomprensivi. Su 27 paesi dell’UE 10 sono quelli universalistici, basati sulla fiscalità generale: DANIMARCA, FINLANDIA, ISLANDA, IRLANDA, NORVEGIA, SVEZIA, REGNO UNITO, ITALIA, GRECIA, PORTOGALLO E la Spagna non più da aprile 2012.

l’Italia è tra questi, teoricamente con un sistema basato sul Servizio sanitario nazionale (SSN). Caratteristiche principali di questo modello dovrebbero essere quelle di garantire l’assistenza sanitaria a tutti come diritto di cittadinanza e di essere finanziato dalla fiscalità generale.

Ma l’anomalia del nostro paese è quella di avere un elevato tasso di evasione fiscale, secondo stime di Bankitalia pari a 150 miliardi di euro e nel contempo una elevata spesa privata out of pocket a carico dei cittadini pari a circa 28miliardi di euro con solo il 4,7 di questa spesa intermediata da polizze assicurative individuali. Dunque una forte iniquità di base del sistema che poggia molto di più sulle entrate fiscali del lavoro dipendente e dei pensionati e che non riesce a sortire quell’effetto redistributivo proprio dei sistemi a carattere universalistico.

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DIFFERENZE NELL’ASSISTENZA SANITARIA

Il servizio nazionale dovrebbe avere quindi un obiettivo essenzialmente redistributivo, garantendo ai gruppi sociali più deboli cure sanitarie in misura superiore, anche a parziale compensazione di peggiori livelli di salute determinati dai più bassi livelli socioeconomici. Ma il modello teorico, nel nostro SSN genera forti diseguaglianze di accesso, a sfavore dei gruppi sociali più deboli, per le prestazioni più efficaci e appropriate e una significativa differenza di efficacia degli interventi per livello socioeconomico.

Tuttavia, occorre considerare che il peso complessivo degli interventi preventivi di massa sulla popolazione (vaccinazioni, screening) e delle cure mediche sul miglioramento della sopravvivenza non sembra superare il 20%. Pertanto le diseguaglianze socioeconomiche riscontrabili nell’accesso ai servizi sanitari e nel loro uso più opportuno non possono spiegare completamente i differenziali socioeconomici di salute nella popolazione. È comunque inaccettabile che un SSN, costruito proprio per ‘ridistribuire’ salute, possa agire come un moltiplicatore dei differenziali di salute presenti nella popolazione.

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DIFFERENZE NELL’ASSISTENZA SANITARIA

È inoltre importante considerare il ruolo del mercato dei beni e servizi sanitari nelle dinamiche delle diseguaglianze di salute. Se la salute non può essere considerata come merce, certamente sono merce i servizi sanitari.

Quello sanitario è un mercato a forte asimmetria informativa, nel quale i cittadini/pazienti non sono consumatori ‘competenti’, tendono a formulare una domanda di salute, di guarigione, di lenimento di sofferenze, ma possiedono conoscenze talora molto limitate su quale ‘prodotto’ sia più efficace per affrontare il loro problema. La domanda è quindi fortemente dominata dall’offerta.

Piuttosto che a ‘vendere’ solo i prodotti efficaci appropriati a quella, relativamente piccola, quota di popolazione che, essendo veramente ‘malata’, ne trarrebbe il massimo beneficio, il sistema di produzione di beni e servizi sanitari tende, invece, a offrire tali beni e servizi a quella grande quota di popolazione, sostanzialmente sana, nella quale può essere indotta una domanda inappropriata.

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LA SALUTE IN TUTTE LE POLITICHE

Che la salute non sia distribuita casualmente nella popolazione è l’assunto che consente alla scienza di indagare sulle ‘cause’ delle malattie per individuare gli strumenti preventivi, diagnostici, terapeutici, riabilitativi in grado di promuovere e tutelare la salute. Le prove scientifiche oggi disponibili dicono con forza che le diseguaglianze socioeconomiche sono la principale ‘causa’ dei danni alla salute.

È necessario che la società, la comunità, i governi acquisiscano questa consapevolezza e mettano in atto gli interventi necessari ed efficaci per una migliore tutela della salute, che non è garantita solo e tanto dai sistemi sanitari quanto da politiche economiche, sociali, occupazionali, urbanistiche, educative, ambientali che, in tutti i campi, implicano effetti sulla salute. Le vicende Terra dei fuochi, Taranto testimoniano che salute e ambiente hanno un legame inscindibile.

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L’IMPATTO DELLA CRISI ECONOMICO FINANZIARIA SULLA SALUTE DAL 2007 AD OGGI Analizzando i reports della regione europea dell’OMS,

quelli della commissione economico sociale della UE, quelli della LSE, quelli dell’OCSE, intorno agli effetti della grande crisi, soprattutto nelle aree di maggiore impatto o in quei paesi considerati PIGS: GRECIA, PORTOGALLO, SPAGNA ed in parte ITALIA si può osservare:

un aumento delle malattie legate all’abuso di alcool, di cibi poco salubri, all’aumento di disturbi psichiatrici di tipo depressivo con conseguente abuso di psicofarmaci fino all’aumento dei suicidi a causa della perdita del lavoro e alla rinuncia alla cura a causa degli aumenti del copayments e delle restrizioni subite dai vari servizi sanitari fino alla rinuncia a curarsi o interrompere le cure come nel caso delle prestazioni odontoiatriche.

Da noi una accurata ricerca del CENSIS del 2012 ha rivelato come circa 9.500.000 cittadini in presenza della crisi abbia rinunciato a curarsi.

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L’ITALIA NON SPENDE DI PIÙ RISPETTO AI PAESI EUROPEI BENCHMARK Ma ciò che la condiziona è la bassa crescita; L’invecchiamento della popolazione con un tasso che

la vede seconda solo alla Germania;

l’indice di vecchiaia(rapporto tra la popolazione di 65 anni ed oltre e la popolazione fino a 14 anni) è passato da 116,6 nel 1995 a 144,5 nel 2012.

Questa tendenza continuerà anche nei prossimi anni e secondo stime ISTAT sarà pari a 205,3 nel 2030 a 256,3 nel 2050. •Cresce anche l’indice di dipendenza( misurato dal rapporto % fra la popolazione in età non attiva, 0-14 anni e 65 e più, e quella in età attiva, 15- 64 anni, che passa dal 45,5% del 1995 al 52,3 del 2011, per salire nel 2050 a 84,7.•Fonte ISTAT noi Italia 2012

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IL PATTO PER LA SALUTE DEVE METTERE AL CENTRO LA VALORIZZAZIONE DELLE PROFESSIONALITÀ E A MAGGIOR RAGIONE LE PROFESSIONALITÀ DELL’AREA CRITICA Non vi può essere nessuna efficace ed

efficiente riorganizzazione del sistema sanitario se le risorse umane non divengono l’artefice del processo.

Ciò è ancor più vero per l’AREA CRITICA che è un concetto che definisce uno spazio/tempo in cui la persona sta vivendo una fase di criticità vitale.

Riguarda qualunque struttura, servizio o ambito operativo, in cui personale qualificato si impegna, con l’uso di adeguate attrezzature e risorse, a soddisfare tutti i bisogni presentati dalle persone in condizioni di rischio per la vita. L’ Intensività è data dall’ alto bisogno assistenziale e dalla continua presenza dell’infermiere

1-  La  criticità è data dal paziente con disfunzione d’organo o di sistemi vitali, tali da mettere in pericolo la sua vita per cui è necessaria un’assistenza continua e personalizzata.

     

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L’INFERMIERE IN AREA CRITICA

L’infermiere è gestore del processo terapeutico e, siccome è un approccio multidisciplinare, deve guidare e orientare gli altri professionisti per raggiungere gli obiettivi del processo;

deve avere quindi chiari gli ambiti di competenza, avere una forte competenza relazionale e saper gestire le zone grigie.

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IL CAMBIAMENTO CULTURALE NELLE DIREZIONI AZIENDALI E’ FONDAMENTALE Occorre quindi superare la visione organicistica ma

considerare l’individuo inserito in un ambiente che deve rimanere presente nel processo di cura, valorizzando però la sua integrità e soggettività.

-   Il paziente va osservato continuamente perché è altamente imprevedibile è necessario adottare principi di fondo più rispondenti alle necessità dell’uomo.

-   Metodologie di intervento più mirate ai bisogni e non sullo svolgimento delle prestazioni

-   c’è quindi un passaggio dalle prestazioni al processo e dal processo al percorso clinico individuale in cui si stabiliscono gli obiettivi e su questi una gerarchia di importanza, ciò determina la progressione di carriera e la premialità legata al risultato.

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IL CIVISMO DI CUI ABBIAMO BISOGNO 1 In questo periodo di crisi, in cui l’Unione

politica e monetaria Europea, appare sempre più oligarchica e tecnocratica, rischiando di compromettere quel modello sociale europeo, che solo può assicurare inclusione e partecipazione democratica dei popoli., è nelle comunità locali che bisogna sempre più lavorare perché si sviluppi un nuovo civismo europeo, perché è in questa prospettiva che si afferma pienamente il principio di sussidiarietà, presupposto strutturale per poter esprimere compiutamente la vocazione alla socialità, in tutti i campi.

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IL CIVISMO DI CUI ABBIAMO BISOGNO 2

Serve un nuovo civismo che si regga finalmente sui valori maturati nelle comunità territoriali più prossime al cittadino e non su logiche rigidamente monetarie e tecnocratiche su cui si è fin qui fondato il progetto dell’UE.

È prioritario riprogettare l’integrazione non tanto come amalgama delle diversità, ma come coordinamento organico delle peculiarità locali, visto che queste sono in grado di fornire al cittadino gli elementi di appartenenza collettiva alla più vasta Comunità Europea, entro cui costruire e in cui riconoscere la propria soggettività».

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IL CIVISMO DI CUI ABBIAMO BISOGNO 3 Il civismo partecipativo non può limitarsi

all’impegno dell’uomo verso i propri simili, ma deve mirare alla costruzione di una coscienza civile matura che significa “fare prima che chiedere”, “partecipare prima che votare”, sentirsi coinvolti in un progetto di vita comune che può svilupparsi solo grazie al contributo di tutti.

L’Italia vanta una più che secolare esperienza, rafforzatasi in tutti questi anni nel campo della salute, prova ne sono non solo i dati censuari sull’associazionismo ed il volontariato presenti nel nostro paese, che ne rivelano una costante crescita anche nel periodo di crisi che stiamo attraversando.

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SEMPRE PIÙ NON PROFIT IN ITALIA: ISTAT CENSIMENTO 2011

Al 31 dicembre 2011, le istituzioni non profit attive in Italia sono 301.191 (+28 per cento rispetto al 2001). L’incremento riguarda quasi tutte le regioni italiane, con punte sopra la media nazionale al Centro e nel Nord-ovest (rispettivamente 32,8 e 32,4 per cento in più rispetto al 2001). Rilevante anche l’apporto di risorse umane impegnate nel settore. Le istituzioni non profit contano infatti sul contributo lavorativo di 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti, 271mila lavoratori esterni e 5mila lavoratori temporanei.

Quattro istituzioni su cinque usufruiscono del lavoro volontario e del non profit.

Il lavoro volontario rappresenta la quota principale (83,3 per cento) delle risorse umane del settore non profit. Il contributo del lavoro dipendente è pari al 11,9 per cento delle risorse umane complessivamente impiegate, mentre sono pari rispettivamente al 4,7 per cento e allo 0,1 per cento i lavoratori esterni e i lavoratori temporanei.

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ISTITUZIONI NON PROFIT, VOLONTARI E DIPENDENTI PER SETTORE DI ATTIVITÀ. CENSIMENTO 2011, ISTAT, VALORI PERCENTUALI

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IL CIVISMO DI CUI ABBIAMO BISOGNO 4 Se si prendono in esame le organizzazioni che

operano nella sanità o in ambito socio-sanitario, facendosi carico dei bisogni dei malati, relazionali, materiali e di sollievo alle famiglie, il numero da considerare si aggira intorno a 10 mila 700 unità. di cui la quota maggiore concerne le unità di promozione (e organizzazione) della raccolta sangue e organi , a seguire le 3600 unità mobili di soccorso ed infine le associazioni per patologia ed i centri per le cure palliative.

Una massa enorme di esperienze senza le quali il nostro SSN non potrebbe sopravvivere e che ha veicolato un forte senso di civismo e di appartenenza intorno a chi soffre ed è malato diventando interlocutore forte dei diversi livelli istituzionali.

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IL PATTO PER LA SALUTE DEL TERZO MILLENNIODal dialogo fra stato e regioni al

trialogo Stato, Regioni, cittadini per un nuovo patto sociale universale ed inclusivo.

. Abbiamo bisogno di creare misure che vadano oltre il PIL, ed economie che vadano al di là del supermercato globale, per ringiovanire la ricchezza reale.

Dobbiamo tener presente che la vera valuta della vita è la qualità della vita stessa.

Grazie per l’attenzione