Giornale Italiano della Ricerca Educativa

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Italian Journal of Educational Research

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SIRDSocietà Italiana di Ricerca Didattica

Giornale Italiano della Ricerca Educativa

numero 2/3dicembre 2009

Italian Journal of Educational Research

anno IIInumero 4giugno 2010

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DirettoreLUCIANO GALLIANI

CondirettorePIERO LUCISANO

Comitato ScientificoROBERTA CARDARELLOARMANDO CURATOLAFRANCO FRABBONIALESSANDRA LA MARCAGIOVANNI MORETTIACHILLE M. NOTTI

Comitato dei refereeIl Comitato dei referee è composto da 15 studiosi di chiara fama italiani e stranieri. I nomi deirevisori di ogni annata vengono resi pubblici nel primo numero dell’annata successiva. Il re-sponsabile della procedura di referaggio è il condirettore scientifico della Rivista Piero Luci-sano.

Procedura di referaggioOgni articolo, anonimo, è sottoposto al giudizio di due revisori anch’essi anonimi. Sono accet-tati solo gli articoli per i quali entrambi i revisori abbiano espresso un giudizio positivo. I giu-dizi dei revisori vengono comunicati agli autori, comprese eventuali indicazioni di modifica.In tal caso, gli autori devono provvedere a modificare i propri contributi sulla base delle indi-cazioni ricevute dai revisori. Gli articoli non modificati secondo le indicazioni dei revisori nonvengono pubblicati.

Codice ISSN 2038-9736 (testo stampato)

Codice ISSN 2038-9744 (testo on line)

Registrazione Tribunale di Bologna n. 8088 del 22 giugno 2010

Editing e stampaPensa MultiMedia Editore s.r.l.

www.pensamultimedia.it

[email protected]

Lecce - Brescia

Progetto grafico copertinaValentina Sansò

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editoriale

ricerche

studi

9 GUIDO BENVENUTO • GIUSEPPE CARCIPassaggi di corso degli studenti e orientamento all’università: uno studio sull’Università Sapienza di Roma

21 MARIA GRAZIA CELENTANOInterfacce e sistemi a realtà virtuale per un apprendimento esperienziale

35 ADA MANFREDAMappatura dei bisogni e pedagogia della saluteUn caso di studio

53 ANTONIO MARZANO • ARCISIO BRUNETTIL’insegnamento della geometria nella scuola secondaria di I gradoContributi di una ricerca

75 ELISABETTA NIGRISIl passaggio fra scuola e università: un’analisi didattica

91 ELISA TRUFFELLI Comprendere per migliorare lo studio: analisi e riflessioni a partire da un’esperienza biennale di sostegno alla matricole universitarie

105 SILVIA ZANAZZISviluppo dell’intelligenza culturaleCase study: il programma tirocini del consorzio IES

115 FRANCO ZAMBELLI • CRISTINA FACCOIl secchione: rappresentazioni di studentiUno studio esplorativo

127 GIORDANA SZPUNARDewey, la teoria dell’arco riflesso e la transazione

informazioni

143 ANTONIO MARZANOConvegno Annuale SIRD: 10 anni di ricerca educativa in Italia

7 PIETRO LUCISANOContro la cultura del ‘giudizio senza critica’

SOMMARIO

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hanno collaborato

PIETRO LUCISANODipartimento di Ricerche Storico-Filosofiche e Pedagogiche, Università “Sapienza” Roma

[email protected]

GUIDO BENVENUTODipartimento di Ricerche Storico-Filosofiche e Pedagogiche, Università “Sapienza” Roma

[email protected]

GIUSEPPE CARCIDipartimento di Ricerche Storico-Filosofiche e Pedagogiche, Università “Sapienza” Roma

[email protected]

MARIA GRAZIA CELENTANOEspérO – spin-off - Università del Salento

[email protected]

ADA MANFREDADipartimento di Scienze Pedagogiche Psicologiche e Didattiche, Università del Salento

[email protected]

ANTONIO MARZANODipartimento di Scienze dell’Educazione, Università degli Studi di Salerno

[email protected]

ARCISIO BRUNETTIDipartimento di Scienze dell’Educazione, Università degli Studi di Salerno

ELISABETTA NIGRISDipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università di Milano Bicocca

[email protected]

ELISA TRUFFELLIDipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin”, Università di [email protected]

SILVIA ZANAZZIDipartimento di Ricerche Storico-Filosofiche e Pedagogiche, Università “Sapienza” Roma

[email protected]

FRANCO ZAMBELLIDipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di Padova

[email protected]

CRISTINA FACCODipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di [email protected]

GIORDANA SZPUNARDipartimento di Ricerche Storico-Filosofiche e Pedagogiche, Università “Sapienza” Roma

[email protected]

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Contro la cultura del ‘giudizio senza critica’

Una rivista scientifica non è un deposito di pubblicazioni che abbiano tutte le caratteristicheper poter essere considerate durante un concorso o nella valutazione del proprio dipartimento,anche se noi ci siamo messi in regola per poterlo essere. Una società scientifica, parimenti,non dovrebbe essere un luogo in cui ci si incontra per prendere accordi su come gestire il ri-cambio generazionale. Una società scientifica dovrebbe essere il luogo di incontro di ricerca-tori appassionati di qualcosa, impegnati a costruire sapere intorno a un argomento di studio.Impegnati a costruire conoscenza in modo scientifico, con passione e rigore, con la mente econ il cuore, capaci ancora di indignarsi e di dissentire, capaci di prendere la parola, e alzarela voce quando necessario, magari senza perdere il vizio della buona educazione.La nostra società si occupa di ricerca sui processi di apprendimento insegnamento e intorno aquesti saperi costruisce conoscenza da un lato cercando di evitare che le esperienze del pas-sato vengano disperse, dall’altro cercando di trovare nuovi e più efficaci percorsi per aiutaread apprendere, a crescere con senso critico e gioia di vivere, a sviluppare un senso di cittadi-nanza attiva, a vivere con motivazione le proprie esperienze, ad avere l’intelligenza di che cosasi vuole.Questi due impegni la lotta alla dispersione della scuola, intesa nel senso di dispersione dellaconoscenza e del rispetto delle conoscenze del passato e talvolta anche delle proprie espe-rienze più recenti (fenomeno, dunque, ben più grave della dispersione-abbandono-selezioneche in fondo riguarda solo alcune centinaia di migliaia di studenti espulsi dai sistemi formativi)e la ricerca di nuovi percorsi sono messi fortemente alla prova nella stagione presente. Il forterapporto università – ricerca – scuole che in passato aveva aiutato questo comparto, sia pureconfrontandosi con un difficile retaggio del passato e una politica più attenta a parole che neifatti, a raggiungere risultati di buon livello sembra in crisi. In crisi per l’ostilità di chi governache, peraltro, ha rinunciato al raccordo organico con la ricerca educativa e con le componentiattive del mondo della scuola che aveva contrassegnato le precedenti stagioni; ostilità che sitraduce in tagli di risorse, campagne di delegittimazione, interventi centralistici su sistemi teo-ricamente autonomi, ma anche in crisi per la difficoltà a identificare nuovi percorsi di rilanciodelle prospettive sociali e economiche di questo paese e dunque di un deficit complessivodella cultura in cui siamo immersi.Questa grande dispersione della scuola porta non solo a perdere qualità nella scuola, qualeche sia lo sforzo e l’impegno di chi insegna, maestri, professori, ricercatori, docenti universitari,questa dispersione colpisce la società tutta, come se una sorta di ruggine lavorasse con co-stanza sulle nostre sinapsi, portando ad accettare in tutti i luoghi della società forme di lin-guaggio e di comportamento che rappresentano un arretramento rispetto al percorso dellanostra civiltà.A fronte di questa difficoltà e della paura che una qualche consapevolezza di questo problemagenera in tutti è stata proposta una curiosa soluzione: “la cultura della valutazione”.

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editorialePIETRO LUCISANO

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Ora i pedagogisti discutono di valutazione almeno dagli inizi del secolo scorso e tutti ricordia-mo l’impegno di Borghi, De Bartolomeis, Calonghi, Corda Costa, Gattullo, Laeng, Visalberghie di tanti altri colleghi per capire come utilizzare misure, valori, linguaggi per aiutare in un rap-porto complesso come quello che tiene insieme nella scuola insegnanti, ragazzi e genitori, apromuovere la crescita dei ragazzi e della scuola stessa.Mentre servirebbe una scuola di valutazione stiamo assistendo al generarsi di una cultura chepotremmo definire del Giudizio senza critica. In questa cultura va di moda cercare e trovarecolpevoli utilizzando generalizzazioni improprie; definire piramidi di merito cercando di alli-neare tutti su comportamenti medi; fare misure di massa con strumenti approssimativi, usarei numeri per darsi ragione e considerarli falsi se ci danno torto. Non è estraneo a questo pro-cesso l’uso smodato di termini poco definibili come qualità e competenze, la promozione aesperti di aree disciplinari di esperti provenienti da altri settori, ecc.Ma un editoriale non consente una analisi puntuale come meriterebbe il fenomeno in que-stione. Consente lo spazio ad un appello allo studio del dibattito sulla valutazione scolasticache si è svolto in Italia dagli anni Cinquanta agli anni Novanta e al non cedimento alla culturadel Giudizio senza critica. Giudicare è un brutto vizio che alcuni cercano di far passare per ne-cessità, giudicare e intervenire in fretta è ancora più stupido. E poiché la cosa è seria mi per-metto di ricordare che se è ragionevole parlare di una cultura della valutazione è meglio riferirlaai ragionamenti che hanno salvato la Maddalena dalla lapidazione e che hanno spinto alla pru-denza e alla pazienza il padrone del campo di grano in cui era stata seminata zizzania1. Allora proviamo a immaginare che qualcuno costruisca deweyanamente “proposizioni di ap-prezzamento”, per il lavoro degli insegnanti (nelle condizioni date e con i salari correnti), perle famiglie e il loro impegno, per i ragazzi, per i ricercatori e che questo apprezzamento possadiventare credito e fiducia per un sistema, quello della scuola, in cui la fiducia e l’ottimismosono come il lievito. Qualcosa di questo genere accomuna nello spirito i lavori che vengonopubblicati su questo numero, e qualcosa di analogo è emerso nel seminario dei dottorandi diricerca di Linguaglossa. Sul fatto che l’educazione sia un’emergenza sembra siano d’accordotutti. Sui caratteri di questa emergenza e sulle vie d’uscita ci sono conoscenze consolidate, as-sunti, che sono alla base della ricerca educativa e didattica e ci sono valori che si ritrovano nellamaggior parte delle nostre ricerche. Questi assunti e questi valori non accompagnano i ragio-namenti dei decisori politici, come non li accompagnano i tanti dubbi che compongono le no-stre certezze. Una rivista serve per pubblicare, per conoscerci, per raggiungere il pubblico eper farci sentire.

editoriale

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1 La parabola (MT, 13, 24-29) spiega i rischi che si corrono introducendo sistemi di selezione in ingresso senza dotarsidegli strumenti per farlo in modo serio.

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ricerchePassaggi di corso degli studenti e orientamento all’università: uno studio sull’Università Sapienza di Roma

Student changes of course and orientation in the university: a study on Sapienza, University of Rome

Nell’università italiana l’introduzionedel sistema dei crediti (DM 509/99) ela possibilità di cambiare percorso conil riconoscimento di parte o della to-talità dei crediti potrebbero consentireagli studenti di raggiungere con minortempo gli obiettivi educativi. In questaricerca si analizzano le caratteristichedella mobilità studentesca (passaggi dicorso e/o trasferimenti di ateneo), ilsuo impatto sulla carriera accademicadello studente e le condizioni che fa-voriscono i “passaggi di successo”, at-traverso un’analisi longitudinale dellecarriere dei 407.239 immatricolati allaSapienza dall’a.a. 1991/1992 all’a.a.2006-2007. I risultati mostrano la mo-bilità, concentrata soprattutto nei primidue anni di corso, è legata all’inattivitàdopo il primo anno e rappresenta unri-orientamento: si laurea il 21% degliinattivi che effettuano un passaggio, ri-spetto al 9% degli inattivi che riman-gono nello stesso corso.

Parole chiave: dispersione universita-ria, abbandono universitario, mobilitàstudentesca, studio di coorte, successoaccademico, orientamento universita-rio

In the Italian university the introductionof credit system (DM 509/99) and thepossibility to change major with the ap-proval of part or all the loans could enablestudents to achieve educational goals withless time. In this research we analyze thecharacteristics of student mobility (changesof major and/or university transfer), its im-pact on the student’s academic career andthe conditions that favor the “ successfulchange”, through a longitudinal analysis ofthe careers of 407,239 registered atSapienza, University of Roma, from theacademic year 1991/1992 to 2006-2007. The results show mobility, mainlyconcentrated in the first two years of course,is due to inactivity after the first year andrepresents a re-direction: graduated 21% ofinactive taking a change of major, comparedwith 9% of the idle remain in the samecourse.

Key words: attrition, universitydropout, student mobility, longitudi-nal study, academic success, academicguidance

GUIDO BENVENUTO • GIUSEPPE CARCI

• Guido Benvenuto – Prof. Associato, Pedagogia Generale e Sociale, Sapienza, Università diRoma, [email protected]

• Giuseppe Carci – Dottorando in Pedagogia Sperimentale, Sapienza, Università di Roma, [email protected]

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La scarsa “produttività” dell’università italiana, in riferimento al fenomeno della di-spersione, al basso tasso di laureati e al carente collegamento con il mondo del lavoro,è un tema ricorrente e diventato centrale in tempi piuttosto recenti. L’università è

stata indicata come “fabbrica di disoccupati” o come “area di parcheggio” e il dibattito suquesti temi ha attraversato gli anni Ottanta e Novanta (De Francesco, Trivellato, 1978; Cavalli,1991; Moscati, 1983; 1990; 1997; Benvenuto, Serpente, 1998).I recenti interventi di riforma del sistema universitario italiano (DM 509/99 e 270/2004)

sembrano non aver inciso in modo determinante sui mali storici che affliggono l’Universitàitaliana già dai tempi in cui era in vigore il Vecchio ordinamento (tasso di abbandono moltoelevato, basso numero di laureati; età media dei laureati oltre i 27 anni, crescita continuadella percentuale di studenti fuori corso). Tali criticità, seppure attenuate, emergono, infatti,ancora oggi nei principali rapporti di ricerca sull’università elaborati a livello nazionale edinternazionale.A livello europeo, l’ultimo rapporto annuale dell’Ocse (2008) sulla qualità dei risultati

dei sistemi di istruzione terziaria, dei 30 paesi membri1, delinea un quadro molto negativoper quanto riguarda l’Italia, che occupa uno degli ultimi posti in riferimento al tasso di lau-reati e alla capacità di attrazione degli studenti e di contenimento dell’abbandono (Ocse,2008). Oltre a ciò, la quota di studenti che abbandonano gli studi prima di conseguire iltitolo finale è la più alta rispetto a quella di tutti i paesi considerati dall’Ocse: in Italia si re-gistra un valore di circa il 50% di abbandoni universitari, vale a dire oltre il 20% circa in piùrispetto alla media europea (intorno al 30%). A livello nazionale, prendendo in considerazione il Rapporto del Comitato Nazionale

per la Valutazione del Sistema Universitario (CNVSU) del 2008 è possibile rilevare ulterioricriticità del sistema, che vanno a sommarsi a quanto già emerso dalle indagini internazionali: • la lentezza nel completamento degli studi (su 10 studenti iscritti, 4 non rispettano la du-rata legale del corso di studi);

• l’aumento degli studenti “inattivi”, vale a dire immatricolati o iscritti che non hanno so-stenuto alcun esame o acquisito crediti nell’ultimo solare;

• gli abbandoni tra il I e II anno che, dopo una lieve flessione nei primi anni della riforma(da attribuire anche ai passaggi da Vecchio a Nuovo ordinamento), oscillano intorno al20%.

Un’ulteriore considerazione sui dati relativi al sistema universitario riguarda la metodo-logia utilizzata, a livello nazionale e internazionale, per il calcolo degli indicatori sui risultatiottenuti dagli studenti. Tali indicatori possono essere elaborati attraverso due distinti tipi dianalisi, sulla base dei dati che si hanno a disposizione: • “per contemporanei” (o trasversale), utilizzando dati in forma aggregata, fornisce unafotografia della popolazione studentesca in un determinato istante temporale;

• “per coorti” (o longitudinale), utilizzando dati individuali, segue la carriera universitariadi ogni studente, dal momento dell’immatricolazione e, per ogni anno accademico, finoa un dato momento.

Per valutare in modo preciso e affidabile i risultati degli studenti universitari (performance,

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1 Ogni anno l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) pubblica il volumeEducation at a Glance, una raccolta di dati e analisi sull’istruzione, che fornisce una gamma di indicatoricomparativi e aggiornati sui sistemi scolastici dei 30 stati membri e di alcune economie partner.

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produttività, successo), sarebbe necessaria l’analisi longitudinale delle carriere degli studenti,come sottolineato nei rapporti dell’Ocse e del Cnvsu. La mancanza di un archivio unico,contenente i dati sugli studenti universitari, non consente, però, di disporre di indicatoricostruiti su dati individuali e longitudinali, ma su dati in forma aggregata e questo condizionala corretta rilevazione dei fenomeni in questione e, quindi, le azioni di contrasto. Anche nella gran parte degli studi svolti negli ultimi decenni in Italia, sull’incidenza e le

determinanti dell’abbandono nell’università italiana, gli statistici, gli economisti, i sociologie i pedagogisti sono stati costretti ad utilizzare dati aggregati sugli studenti (Aina, 2005; Cin-gano, Cipollone 2007; Ugolini, 2000) e gli unici studi che hanno preso in considerazionedati individuali sugli studenti, sono stati realizzati in singoli atenei, dove vi era la disponibilitàdi avere informazioni a livello individuale, presso i sistemi informativi (Alì, 1988; Broccolini,Staffolani, 2005; Cingano, Cipollone, 2007; De Francesco, Trivellato, 1978; Gorelli, 1995;Maruotti, Petrella, 2008). Le indagini che utilizzano i dati aggregati collocano, infatti, nelle mancate iscrizioni al-

l’anno accademico successivo dello stesso corso di laurea sia gli abbandoni che le forme dimobilità (Romano, Attanasio, 2001), in quanto all’interno dell’indicatore “mancate iscri-zione al II anno di corso” calcolato dal Cnvsu vengono inclusi sia gli studenti che abban-donano effettivamente gli studi, sia gli studenti che effettuano un passaggio ad un altro Corsodi laurea, Facoltà o Ateneo (cfr. Benvenuto, Carci, 2008)2. Questo accorpamento tra abban-doni degli studi e passaggi in altri contesti di studio finisce per sovrastimare l’entità del tassodi abbandono (effettivo) degli studenti e, contemporaneamente, non consente di quantificaree analizzare il fenomeno della mobilità degli studenti (i passaggi tra corsi di laurea o facoltà,i trasferimenti da e verso altri atenei). Le motivazioni di chi effettua un passaggio potrebbero essere molto diverse da quelle di

chi abbandona: chi decide di cambiare corso di laurea o facoltà, probabilmente ritiene cheterminare gli studi in un altro contesto potrebbe consentirgli di raggiungere il successo ac-cademico.Rispetto alla mobilità occorre sottolineare che il meccanismo di passaggio tra corsi e/o

facoltà appare, nel sistema di nuovo ordinamento (c.d. “3+2”), molto meno dispersivo diquanto accadeva nel precedente ordinamento. Con il sistema dei crediti, oggi, si può prose-guire nel cambiamento di percorso con minor sprechi di tempo e con il riconoscimento diparte o della totalità dei CFU raggiunti. Un cambiamento di percorso, oggi, non è più un“cominciare daccapo” e, qualora fosse frutto di forte motivazione, il terminare gli studi inun altro contesto potrebbe addirittura essere d’aiuto a raggiungere meglio e/o con minortempo gli obiettivi educativi che ci si era posti al momento dell’immatricolazione.Proprio sulla base di queste considerazioni si è voluta condurre una ricerca (Carci, 2010)3

per studiare il passaggio tra corsi e/o facoltà come possibile indicatore di:

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SIRD • Ricerche

2 L’inclusione dei passaggi tra gli abbandoni non avviene per una volontà precisa degli Atenei, ma a causadella mancanza di adeguate informazioni sulle carriere degli studenti: i database delle università, infatti, re-gistrano spesso unicamente le iscrizioni e le lauree degli studenti. Così, quando uno studente non apparepiù nel database, lo si considera come un “non più iscritto”, non discriminando gli abbandoni, i passaggidi corso e i trasferimenti. In USA molte università stanno realizzando dei database sugli studenti, in gradodi monitorare i passaggi durante gli studi.

3 La ricerca, ancora in corso, e condotta all’interno del Dottorato di Ricerca in Pedagogia Sperimentale(Università di Roma “Sapienza”), segue longitudinalmente il percorso di studi di 16 coorti di immatricolatia “Sapienza” dall’a.a. 1991-1992 all’a.a. 2006-2007.

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• dispersione: qualora portasse a rallentamenti o alla fuoriuscita dal percorso di studi uni-versitario;

• ri-orientamento positivo: qualora portasse a medio o lungo termine ad un’accelerazione erecupero del percorso con conseguimento del titolo finale.

Obiettivi e ipotesi della ricerca

Per studiare i diversi gradi di dispersione universitaria, e in particolare l’abbandono univer-sitario e la mobilità durante la carriera universitaria, si è messa a punto una dettagliata ricercasull’Ateneo Sapienza di Roma, per:

• effettuare una ricognizione della produttività studentesca attraverso un’analisi secondariadi dati a carattere longitudinale, in modo da far luce su alcuni fattori che concorronoalla determinazione di tale risultato e sugli ostacoli nel raggiungimento del successo ac-cademico;

• studiare il fenomeno dei passaggi tra corsi di studio o facoltà, nell’ottica di individuare eanalizzare i passaggi “di successo” (che portano al conseguimento del titolo finale) equelli “di insuccesso” (che conducono all’abbandono degli studi), e poter arrivare a for-mulare ipotesi di intervento nell’ottica di un orientamento efficace;

• individuare e sperimentare una metodologia di analisi delle carriere degli studenti uni-versitari, che consenta di avere un quadro più affidabile, nelle sue diverse forme, rispettoa quanto disponibile a livello nazionale in Italia.

Partendo da questi obiettivi e sulla base dei risultati emersi nelle precedenti ricerche sultema4 sono state formulate alcune ipotesi generali di ricerca. Tali ipotesi mirano a verificarese:

• con l’introduzione del nuovo ordinamento universitario vi sia stato un incremento delleforme di mobilità studentesca (passaggi di corso di laurea e di facoltà, trasferimenti diAteneo);

• le forme di mobilità si collocano temporalmente nei primi due anni di carriera univer-sitaria, considerati nella letteratura di riferimento i momenti di maggiore frequenza deifenomeni legati alla dispersione (abbandoni e inattività) e alla mobilità;

• l’inattività dopo il primo anno di corso, considerato un indicatore di difficoltà iniziale,incida in modo significativo sulla decisione di passare ad un altro corso di studi;

• in condizioni di inattività iniziale, effettuare un passaggio di corso aumenta in modo si-gnificativo la probabilità di conseguire la laurea rispetto al rimanere nello stesso corso dilaurea del primo anno;

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4 Il termine immatricolato indica lo studente che per la prima volta nella sua vita si iscrive ad un corso distudi universitari; pertanto vengono esclusi tutti gli studenti che si iscrivono alla Sapienza con precedentiesperienze di studio universitario. Nel Medioevo, la matricola era il registro, o elenco, nel quale venivanoinseriti i membri di una associazione. Ai membri veniva assegnato un numero progressivo (numero di ma-tricola) che li identificava e li distingueva dagli altri membri. L’essere inserito per la prima volta nel regi-stro-matricola era appunto l’atto di immatricolarsi.

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• in condizioni di inattività iniziale, effettuare un passaggio di corso aumenta in modo si-gnificativo la produttività, in termini di esami superati, rispetto al rimanere nello stessocorso di laurea del primo anno;

• sia possibile individuare alcuni fattori (legati alle caratteristiche degli studenti e ai contestidi provenienza e di destinazione del passaggio) associati in modo significativo ai passaggiche portano alla laurea rispetto a quelli che portano all’abbandono.

Popolazione di riferimento

Per effettuare un’analisi della mobilità studentesca, mettendo a confronto il vecchio e il nuo-vo ordinamento didattico, si è scelto di includere nella popolazione di riferimento tutti gliimmatricolati5 dopo la riforma del 1999 e dieci coorti di immatricolati nel vecchio ordina-mento. La popolazione di riferimento è costituita dalle 16 coorti di immatricolati alla Sa-pienza, a partire dall’a.a. 1991/1992 fino all’a.a. 2006-2007. Con riferimento alla definizione utilizzata dall’ISTAT nell’annuale Rilevazione dell’Istru-

zione Universitaria (RIU), sono considerati immatricolati gli studenti che si iscrivono per laprima volta nel sistema universitario; di conseguenza, sono esclusi dalla popolazione studentiprovenienti da altra sede e/o da altro corso di studi e comunque con precedenti esperienzedi studio universitario. Questa scelta è dettata dalla necessità di rendere omogenea la coorteosservata e di confrontare studenti che iniziano tutti “da zero”. La popolazione è costituita da 407.239 immatricolati, di cui 261.386 immatricolati a

corsi di vecchio ordinamento e 145.853 a corsi di nuovo ordinamento. Sono stati esclusidalla popolazione di riferimento i 1.630 studenti immatricolati al nuovo ordinamento nel-l’a.a. 2000-2001 presso la facoltà di Ingegneria, dove è stata anticipata di un anno l’introdu-zione del nuovo ordinamento didattico. La scelta di escludere tali studenti è stata dettatadalla necessità di disporre di coorti omogenee rispetto al tipo di ordinamento del corso dilaurea e, in tal modo, poter effettuare dei confronti attendibili tra vecchio e nuovo ordina-mento.

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SIRD • Ricerche

5 La struttura multidimensionale nasce dalla Colon Classification, un tipo di classificazione bibliotecaria ideatanella prima metà del secolo scorso dal bibliotecario indiano Ranganathan. La Colon Classification si basasull’idea che ogni libro (ma in realtà ogni fenomeno) possa essere scomposto e descritto in base a proprietàfondamentali (dette “faccette”) intrinseche all’oggetto stesso e con precise caratteristiche che: a) sono in-variabili dal punto di vista semantico (ad es. la proprietà COLORE di un oggetto può variare in terminidi valori che può assumere – giallo, rosso etc. – ma è invariabile come concetto; cioè quell’oggetto avràsempre un colore); b) costituiscono un insieme aperto, per cui è sempre possibile aggiungere nuove faccettea quelle già esistenti; c) sono utilizzabili come attributi di ricerca sia singolarmente sia in combinazione.

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Grafico 1 – Immatricolati alla Sapienza, Università di Roma (aa.aa. 1991-1992/2006-2007)(Fonte: SATIS)

Metodo di rilevazione dei dati e tecniche di analisi

Per analizzare e descrivere i fenomeni della mobilità durante gli studi si è scelto di effettuareun’analisi secondaria dei dati amministrativi sugli studenti, forniti dal SATIS (Servizi, Ap-plicazioni e Tecnologie Informatiche della Sapienza). Occorre sottolineare che i dati contenuti negli archivi amministrativi sono raccolti con

finalità burocratiche e quindi è stata necessaria una lunga e laboriosa fase di riduzione deidati (controllo, pulizia, codifica e ridefinizione), per la costruzione di una matrice che con-sentisse di descrivere aspetti e dinamiche della popolazione universitaria.Le variabili contenute nella matrice sono state distinte in tre tipologie: in ingresso o di

input (genere, età, voto di maturità e titolo di studio, facoltà di immatricolazione), di percorsoo di throughput (posizione amministrativa e facoltà di iscrizione per ogni anno accademico,esami sostenuti e crediti acquisiti, abbandoni e forme di mobilità) e in uscita o di output(posizione amministrativa al termine della carriera). Per verificare in quali condizioni il pas-saggio di corso o di facoltà può rappresentare per uno studente un ri-orientamento positivo,ossia una facilitazione nel raggiungimento del successo accademico (il conseguimento dellalaurea), i fenomeni legati alla mobilità durante gli studi sono stati analizzati tenendo contodelle caratteristiche in ingresso degli studenti (in quanto nella letteratura di riferimento sisono dimostrati predittori significativi del successo accademico), dei contesti nei quali av-vengono i passaggi (facoltà e corsi di laurea) e dell’inattività dopo il primo anno di corso,considerato un indicatore di difficoltà iniziale.

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P

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Tabella 1: Le variabili presenti nella matrice longitudinale

La prima fase di analisi dei dati è consistita nella descrizione delle caratteristiche in in-gresso della popolazione di riferimento, delle caratteristiche della mobilità studentesca du-rante la carriera (entità e collocazione temporale del fenomeno, tasso di mobilità immediata,

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SIRD • Ricerche

TIPO DI VARIABILE

Anagrafica

Carriera scolastica precedente

Immatricolazione

Carriera universitaria(per ogni anno accademico)

Esito della carriera

VARIABILI FORNITE DAL SATIS

• Genere• Età all’immatricolazione• Luogo di Residenza• Reddito

• Tipo di diploma di scuola secondaria• Voto di maturità

• Numero di matricola• Area di facoltà di immatricolazione• Facoltà di immatricolazione• Corso di laurea di immatricolazione• Tipo di corso di laurea di immatricolazione• Durata legale del corso di laurea di immatricolazione

• Posizione amministrativa all’inizio dell’anno• Posizione amministrativa durante l’anno• Facoltà• Corso di laurea• Inattività• Esami superati nel corso dell’anno accademico• Crediti acquisiti nel corso dell’anno accademico• Media voto agli esami nel corso dell’anno accademico

• Posizione amministrativa nel 2007-2008• Stabilità rispetto alla facoltà di immatricolazione• Regolarità rispetto alla durata legale del corso di laurea• Stanzialità rispetto alla facoltà di immatricolazione• Continuità di iscrizione • Esami superati• Crediti acquisiti• Media voto agli esami • Anni effettivi di iscrizione all’università• Anni di sospensione degli studi• Anni di iscrizione fuori corso• Anno di laurea • Voto di laurea• Anni di ritardo nel conseguimento del titolo

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provenienza e destinazione del passaggio) e dell’esito della carriera, in termini di raggiun-gimento del successo.La seconda fase di analisi dei dati si è concentrata nel passaggio tra il primo ed il secondo

anno di corso, considerato nella letteratura di riferimento il momento di maggiore frequenzadei fenomeni legati alla dispersione (abbandoni e inattività) e alla mobilità. L’analisi ha ri-guardato innanzitutto la quantificazione e la descrizione dei seguenti fenomeni: gli abban-doni durante il primo anno di corso e nel passaggio al secondo anno, il tasso di inattività, laproduttività (esami sostenuti e crediti acquisiti) e il tipo di prosecuzione al secondo anno dicorso (con o senza forme di mobilità). Successivamente sono state analizzate le correlazionitra questi fenomeni e le caratteristiche in ingresso degli studenti, già individuate come espli-cative o predittive dell’esito della carriera in ricerche precedenti sul tema.Sulla base dell’inattività e della mobilità tra primo e secondo anno di corso è stato pos-

sibile costruire diversi “tipi” di studenti (attivi lineari, attivi con passaggio, inattivi lineari,inattivi con passaggio), di cui si è analizzata la conclusione della carriera per costruire profilitra gli studenti che hanno effettuato un passaggio. L’ultimo tipo di analisi effettuata è statal’applicazione di un sistema di classificazione multidimensionale5 per sintetizzare le infor-mazioni relative alla carriera dello studente a distanza di alcuni anni dal momento dell’im-matricolazione.

Grafico 2: Modello di classificazione multidimensionale degli studenti

I dati sulla posizione amministrativa dello studente e le caratteristiche del suo percorsodi studi danno luogo a un codice numerico che permette di realizzare una tipologia di stu-dente universitario al termine della carriera.

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I principali risultati della ricerca

La riforma del sistema universitario italiano (DM 509/99) sembra aver risolto solo in partele criticità che affliggevano il sistema universitario italiano nel vecchio ordinamento (tassodi abbandono molto elevato, basso numero di laureati; età media dei laureati oltre i 27 anni,crescita continua della percentuale di studenti fuori corso).

Grafico 3: Tasso di abbandono fino al secondo anno di corso alla Sapienza (aa.aa. 1991-1992/2006-2007)

Per quanto riguarda le forme di mobilità durante la carriera è emerso che i fenomenilegati alla mobilità coinvolgono circa il 20% della popolazione e che gli studenti che effet-tuano un passaggio hanno tassi di laurea più alti rispetto a chi rimane sempre iscritto nellostesso corso di laurea. I risultati ottenuti confermano l’ipotesi che con l’introduzione del nuovo or-dinamento didattico sono aumentati gli studenti che hanno effettuato un passaggio di corso, probabil-mente sulla scia dell’aumento dell’offerta formativa di corsi di laurea all’interno dell’ateneoe spinti dalla possibilità di cambiare corso di studi con minor spreco di tempo, attraverso ilriconoscimento di parte o della totalità dei crediti raggiunti prima del passaggio.

I risultati della ricerca confermano gli esiti di studi precedenti sul tema, che evidenziavanocome i passaggi di corso si concentrano maggiormente nei primi anni della carriera accademica e in si-tuazioni di difficoltà iniziale: il non aver sostenuto esami nel corso del primo anno spinge lostudente a cambiare corso di laurea per raggiungere il successo accademico. I passaggi risultano però particolarmente efficaci, in termini di raggiungimento del suc-

cesso accademico, proprio tra gli studenti inattivi dopo il primo anno di corso: si laurea il21% degli inattivi che effettuano un passaggio di corso, rispetto al 9% degli inattivi che rimangononello stesso corso in cui si sono immatricolati.

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Grafico 4: Tasso di passaggio di corso tra il primo e il secondo anno di corso alla Sapienza (aa.aa. 1991-1992/2006-2007)

Grafico 5: Tasso di laurea degli inattivi alla Sapienza, per tipo di prosecuzione al secondo anno di corso (aa.aa. 1991-1992/2006-2007)

La natura amministrativa dei dati a disposizione non ha consentito di approfondire alcunedimensioni legate ai passaggi (motivazioni, aspettative e vissuto dello studente prima e dopoil passaggio), che consentirebbero di comprendere meglio i motivi legati alla scelta di lasciareun corso di laurea e di indirizzarsi verso una particolare facoltà piuttosto che un’altra.

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a (aa.aa. 1991-1992/2006-2007)

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Partendo dai risultati emersi nelle presente ricerca è possibile individuare, infine, alcuneprospettive di ricerca e di intervento future. Innanzitutto appare prioritario realizzare studie monitoraggi sui percorsi di studio universitari, attraverso una metodologia longitudinale,che consentano di rilevare per tempo i fenomeni dispersivi che caratterizzano la carrieradella maggioranza degli studenti universitari. Andrebbe rivolta una maggiore attenzione almomento di passaggio tra I e II anno, nel quale si concentrano le maggiori criticità permolti studenti (abbandoni e inattività), attraverso l’attivazione, per esempio, di iniziative diorientamento e di tutoraggio mirate agli studenti inattivi nel primo di anno, che consentanodi condurre gli studenti verso esiti più efficaci, nello stesso o in altri corsi di studio. Infine irisultati emersi nelle presente ricerca possono essere utilizzati come base per ricerche futuresul tema, in particolare per lavori che intendano approfondire lo studio di questi fenomeni,includendo variabili legate anche alle motivazioni del passaggio e alle condizioni che lohanno favorito e che hanno determinato il successo accademico in altri contesti di studio.

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ricercheInterfacce e sistemi a realtà virtuale per un apprendimento esperienziale

Interfaces and virtual reality systems for experiential learning

Le tecnologie web già da tempo sonostate utilizzate in ambito formativonon solo nella tradizionale forma di e-learning, ma anche come forma di ap-prendimento esperienziale da attuarsiin contesti virtuali. Oggi la VR ha por-tato ad un progressivo adattamentodelle interfacce al corpo, fino a giun-gere allo sviluppo di avanzati sistemi ingrado di coinvolgere integralmente gliapparati percettivi per determinare unacompleta immersione sensoriale del-l’individuo nel contesto di apprendi-mento. È secondo quest’ottica che laVR può essere considerata un’interfac-cia esperienziale, in cui la componentepercettiva si fonde con l’interattività. Ilcontributo riporta i risultati di dueprogetti di ricerca interdisciplinari(MediaEvo e Wii Humans) che hannovisto, seppur con modalità e target diriferimento diversi, la sperimentazionedel medesimo approccio per la crea-zione di ambienti educativi immersiviche integrano realtà e virtualità.

Parole Chiave: apprendimento espe-rienziale, realtà virtuale, collaborativelearning; e-learning.

Web technologies have long been in use intraining both in the traditional form of e-learning and also as a form of experientiallearning to be implemented in virtual con-texts. Today VR has led to a progressiveadaptation of interfaces to the body, reach-ing to the development of advanced systemsable to involve fully the perceptual appara-tus with determining a complete sensoryimmersion of the users into learning con-text. In this sense, VR can be considered aexperiential interface in which the percep-tual component blends with interactivity.The paper reports the results of two inter-disciplinary research projects (MediaEvoand Wii Humans) that have tested, al-though with different terms and referencetarget, the same approach for creating im-mersive learning environments able to in-tegrate reality and virtuality.

Key words: experience learning, vir-tual reality, collaborative learning, e-learning.

MARIA GRAZIA CELENTANO

• Maria Grazia Celentano, Ingegnere, EspérO – spin-off Università del Salento, professore acontratto, [email protected]

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Dalla realtà alla virtualità

Le tecnologie informatiche e gli ambienti di apprendimento tecnologici hanno avuto conil tempo un notevole impatto soprattutto sulle metodologie didattiche adottate per la tra-smissione e la co-costruzione dei saperi.La possibilità di collaborare, creare, accedere o modificare contenuti in qualsiasi momento

e con qualsiasi dispositivo (Web 2.0) ha favorito un già avviato processo di abbattimentodella mura che fino ad oggi hanno relegato le metodologie didattiche a forme di trasmissionedei saperi in contesti formali e circoscritti all’interno di un’aula (Celentano, Colazzo, 2008).Oggi i “nativi digitali” sono ipercomunicativi, capaci di usare anche contemporaneamentemolti mezzi per restare in contatto con i coetanei e per accedere alle informazioni di cuinecessitavo. Scrivono e rispondono alle mail, conversano nelle chat e nei forum, pubblicanoe fruiscono di contenuti audiovisivi, creano in modo collaborativo documenti multimediali,mettono a disposizione degli altri i propri contenuti, imparano condividendo le proprieesperienze. Tali caratteristiche inducono il mondo della formazione a progettare innovativisetting formativi, anche virtuali, capaci di coinvolgere e sollecitare gli individui a risolveresituazioni problematiche mettendo in atto efficaci processi creativi e decisionali frutto anchedell’interazione con gli altri soggetti del gruppo/rete.Secondo questa prospettiva il computer assume il ruolo di generatore di nuovi contesti

e gli ambienti virtuali in esso implementati, non i sostituti del mondo nel quale gli esseriumani operano ed interagiscono, ma strumenti in grado di pervadere i sensi e/o di influen-zare il modo in cui i soggetti si rapportano al contesto in cui l’agire si situa, e di far viverea singoli come anche a gruppi particolari esperienze di apprendimento.In un contesto di vita reale in cui l’essere umano è continuamente coinvolto in processi

di interazione, egli compie esperienze interagendo con gli altri soggetti della comunità econ il contesto. Anche il mondo virtuale propone infiniti contesti/occasioni per compiereesperienze dalle quali innescare percorsi di concettualizzazione a queste riferite. Sarà poi lariflessione sui prodotti dell’esperienza, sul processo di concettualizzazione ma anche sui pro-cessi messi in atto in ciascuno di questi momenti ad avere un effettivo impatto sulle strutturedi pensiero del soggetto e quindi a favorire anche in questi contesti virtuali una forma diapprendimento esperienziale.

L’apprendimento esperienziale

È di David A. Kolb (1976; 1981) e del suo socio Roger Fry (Kolb, Fry, 1975) il merito diaver definito per la prima volta il modello di apprendimento esperienziale. Un modello cheè stato con il tempo ripreso ed esteso da altri autori come Le Boterf (2000) o ancor primada Pfeiffer e Jones (1985) che riformulano il modello per tener conto del contesto socialein cui il processo di concettualizzazione dell’esperienza avviene. Pfeiffer e Jones si rifannoad un modello di apprendimento “attivo” in cui il soggetto svolge attività “autentiche”(tratte da problemi concreti riferiti a contesti reali) in un contesto sociale all’interno delquale l’esperienza dei singoli assume significato anche attraverso processi di negoziazionecon i membri del gruppo (Quaglino, 1985, p. 100; Nune, Fowell, 1996).Secondo Kolb il modello di apprendimento esperienziale è rappresentato da un sistema

ciclico composto da quattro elementi: esperienza concreta (una persona mette in atto unaparticolare azione e ne vede poi l’effetto nella situazione contingente), osservazione e ri-flessione (il soggetto comprende gli effetti del caso particolare), concettualizzazione astratta

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(il soggetto comprende il principio generale al quale sottostà il caso particolare) e speri-mentazione in nuove situazioni (applicazione, attraverso l’azione, in una nuova circostanzaall’interno del renge di generalizzazioni). Riflettendo su questo modello di apprendimento esperienziale, così come teorizzato da

Kolb, si evince che l’apprendimento, inteso come processo di costruzione della conoscenza,avviene passando attraverso l’osservazione e la trasformazione dell’esperienza. Non, quindi,attraverso la passiva acquisizione di nozioni, concetti o relazioni. Attraverso l’esperienza concreta (sia essa una lezione, una discussione, un evento o un

problema ma anche un gioco) il soggetto simula situazioni tangibili e reali. In questa faseavviene lo stimolo di reazioni e comportamenti che fanno rilevare capacità, attitudini e at-teggiamenti personali. L’apprendimento si focalizza sul coinvolgimento personale del sog-getto nell’esperienza. Qui si enfatizzano i sentimenti (piuttosto che i pensieri), la complessità(piuttosto che la generalizzazione), l’approccio intuitivo, per poi passare a riflettere e derivareun qualche schema più generale utilizzabile in altre circostanze (“experiencing”). Successi-vamente all’esperienza, l’osservazione critica della stessa anche da prospettive multiple, cidice Kolb, consente di acquisire consapevolezza e di trasformare le percezioni. L’apprendi-mento si focalizza sulla comprensione dei significati attraverso l’ascolto e l’osservazione im-parziale. Mediante la discussione o il brainstorming si punta ad enfatizzare la comprensione(piuttosto che l’applicazione), la profondità di analisi e la sua veridicità (piuttosto che la con-creta applicabilità), la riflessione (piuttosto che l’azione). Pfeiffer e Jones (1985) nella formulazione del loro modello esplicitano la fase di osser-

vazione distinguendo ciò che propriamente è “comunicazione” da ciò che è invece “ana-lisi”, mettendo così in luce l’importanza del gruppo e del contesto sociale in cui l’individuoè inserito. Quando teniamo un blog ed annotiamo in modo strutturato il nostro percorsoesperienziale produciamo auto-verbalizzazione, contribuiamo ad esplicitare puntualmenteil vissuto che diventa patrimonio dell’intera comunità; quando cioè la propria esperienza èmessa a disposizione degli altri, siamo nella fase che Pfeiffer chiama della “comunicazione”.In questa fase prodotto dell’esperienza e processo che lo ha generato sono oggetto di di-scussione, di ripensamento collettivo. Quando poi il soggetto si troverà a riflettere sulla propria esperienza e a confrontarla con

quella raccontata dai suoi pari, effettua, dice Pfeiffer, l’“analisi o processing”. Riflettere sul-l’esperienza vuol dire analizzare come quella determinata situazione o problema è stato in-terpretato e come invece gli altri lo hanno interpretato; quali strategie sono state operate,quali le strategie alternative messe in atto dagli altri, come hanno avuto luogo le relazionicon gli altri soggetti e in che misura gli altri hanno preso parte alla propria esperienza. Que-sto è il momento in cui l’individuo da solo rielabora quanto vissuto e si apre alla possibilitàdi integrare i propri modelli operativi con modelli alternativi elaborati dai pari. Se i risultatidi questa fase di analisi determinano la rielaborazione di nuovi modelli operativi, l’adozionedei quali porterà a modificare la struttura di pensiero, prende forma il processo di genera-lizzazione. L’esperienza viene teorizzata per riformularla secondo principi generali.Il ciclo di apprendimento esperienziale si completa di nuovo nell’esperienza. È la fase

dell’applicazione. Ciclicamente una nuova situazione-problema sollecita il soggetto a ricon-testualizzare quanto decontestualizzato nella fase di generalizzazione utilizzando costruttivecchi e nuovi precedentemente prodotti per delineare un nuovo piano di azione che saràoggetto di test in una successiva esperienza. È questa fase di applicazione che richiede alsoggetto responsabilizzazione, concretezza e disposizione al cambiamento. Egli è chiamatoa rimettere in pratica quanto acquisito con la prima esperienza, per dimostrare di aver ma-turato la capacità di fare meglio non solo in una eventuale simile situazione ma anche in at-tività e/o situazioni più complesse.

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Il campo virtuale di sperimentazione

L’esperienza concreta, primo step del ciclo di apprendimento esperienziale di Kolb, nondeve necessariamente essere legata alla partecipazione ad una attività da praticare in unospecifico luogo fisico. È possibile riconoscere alla tecnologia il merito di poter ampliare leoccasioni di esperienza in termini di “tempo” e “spazio” d’azione (Celentano, 2009).Parliamo della possibilità offerta dalla tecnologia di generare esperienze che possono es-

sere vissute in differenti “tempi” (epoche storiche) ed in ogni spazio (contesti socio-culturali)da singoli come anche da gruppi.Le tecnologie web già da tempo sono state utilizzate in ambito formativo non solo nella

tradizionale forma di e-learning, ma anche come nuova forma di apprendimento esperien-ziale (Pannese, 2006) da attuarsi in contesti virtuali. Si tratta di forme che stimolano il di-scente a mettersi alla prova costruendo una conoscenza in tutto simile a quella che si sviluppaattraverso l’esperienza sul campo reale ed in cui ogni nuova situazione viene interpretata ecompresa alla luce delle precedenti esperienze vissute (Bocca, 2003). Di questa tendenza nedanno prova i percorsi formativi aziendali in cui si vanno sempre più sperimentando me-todologie educative innovative che tentano di adoperare le nuove tecnologie per facilitarel’apprendimento (Pannese, Carlesi, Riente, 2007). Si tratta dei “serious games”, cioè di giochisviluppati sotto forma di simulazioni virtuali ludiche altamente interattive che richiedonoall’utente di impegnarsi a sviluppare una strategia di marketing, come anche di comunica-zione o un determinato comportamento, senza trascurare lo scenario e l’obiettivo da rag-giungere. Senza avere la pretesa di poter sostituire l’esperienza sul campo, certamente più articolata

ed efficace, gli ambienti virtuali di gioco rivelano il loro punto di forza quando si mostranoversatili (consentendo agli utenti di svolgere attività significative mediante un coinvolgi-mento attivo dell’utente protagonista del proprio percorso formativo), assolvendo al ruolodi ponte fra conoscenza e rappresentazione del mondo, consentendo di affrontare l’attivitàsimulata con maggiore fiducia e consapevolezza rispetto agli effetti delle proprie azioni.I sistemi di realtà virtuale rappresentano pertanto la nuova frontiera di una formazione

che guarda al modello di “apprendimento esperienziale in contesti virtuali” come ad un’oc-casione per estenderne le potenzialità.

La realtà virtuale

Un sistema di realtà virtuale o Virtual Reality (VR) è costituito da un insieme di dispositiviinformatici in grado di consentire un nuovo tipo di interazione uomo-computer (Steuer,1992; Ellis, 1994). L’espressione “nuovo tipo di interazione” fa riferimento soprattutto alleesperienze che queste tecnologie sono in grado di suscitare nell’utente. Questi ambienti(specialmente quelli tridimensionali), generati dal computer ed in cui il soggetto o i soggettiinteragiscono tra loro e con l’ambiente come se fossero realmente al suo interno (Riva,2004), rappresentano il tentativo di rendere l’interazione con i nuovi media il più possibilesimile a quella che ciascuno di noi ha all’interno di un ambiente reale.Tecnologicamente l’ambiente di VR si presenta come il risultato della combinazione di

diversi oggetti statici e/o in movimento (il contenuto) che sottostanno a regole di movi-mento (la dinamica) all’interno di una estensione definita dallo sviluppatore e che ne delineai confini (la geometria). È a tutti gli effetti un artefatto capace di creare una stretta relazionefra strumento tecnologico e corpo, e l’esperienza in VR può essere considerata come un

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“essere dislocati” in un ambiente simulato in cui si è in grado di compiere azioni diverse(Morganti, Riva, 2006). Come sottolineano Lakoff e Johnson (come citato da Morganti,Riva, 2006) il corpo è da una parte la cornice di riferimento nella quale tutte le nostre espe-rienze avvengono; dall’altra, diviene, attraverso i sensi, il principale legame fra la mente edil mondo. E l’attività umana può essere compresa attraverso l’esperienza contestualizzata diun sistema corpo-ambiente (Heidegger, 1927), e non come il risultato di rappresentazionidel mondo scollegate da un contesto.Con la VR si è avuto un progressivo adattamento delle interfacce al corpo, fino a giungere

allo sviluppo di avanzati sistemi in grado di coinvolgere integralmente gli apparati percettiviper determinare una completa immersione sensoriale (Biocca, 1995). Tutto ciò rispecchiala visione dell’esperienza e della conoscenza come qualcosa strettamente legata non solo al-l’azione corporea, ma soprattutto alla corporeità intesa come medium conoscitivo. Da ciòil tentativo di numerosi ricercatori di puntare sull’incremento del senso di presenza nel-l’ambiente virtuale e sull’elevato coinvolgimento sensoriale dell’utente.Con la realtà virtuale il corpo diventa la principale interfaccia con cui viene manipolata

l’informazione disponibile. Con la realtà virtuale il corpo, che normalmente non è presenteall’interno di media come il telefono o Internet, torna ad essere la principale interfaccia diinterazione (pensiamo ad esempio al grande successo della console Wii).In ambito formativo una delle opportunità della realtà virtuale è rappresentata dalla pos-

sibilità offerta al soggetto di partecipare attivamente alla creazione e allo sviluppo della pro-pria conoscenza. L’apprendimento è legato allo “scoprire” e al “fare” in prima persona,proprio come richiesto dalla prima fase del modello di Kolb. La realtà virtuale permette di “conoscere il mondo” mediante un apprendimento di tipo

senso-motorio, che si rileva più naturale per l’essere umano rispetto all’apprendimento ditipo simbolico-ricostruttivo mediato dalla scrittura e tipico degli ambienti scolastici (Anti-nucci, 1999). Mediante l’apprendimento percettivo-motorio il soggetto opera sulla realtàcon la percezione e l’azione, osserva fenomeni e comportamenti, interviene con la propriaazione per modificarli, osserva gli effetti della propria azione e prova a intervenire in unciclo continuo di apprendimento. Nel ripetere i cicli di percezione e azione, ciascuno ope-rante sul risultato dell’altro, la conoscenza emerge nel mentre “si fa esperienza”. Questo equivale a rileggere gli ambienti virtuali da una prospettiva situata dell’appren-

dimento, capace di rende i processi di percezione e azione «aspetti della mente accoppiati,e cioè legati da una relazione di co-determinazione. Ciò che percepisco nell’hic et nuncdipende da quello che sto facendo, il mondo mi offre di momento in momento delle affor-dances o inviti all’azione che si stagliano come rilevanti all’interno di una specifica attivitàin corso» (Morganti, Riva, 2006, p. 10). Mantovani e Riva (1999) allargando poi l’analisi dell’interazione con il mondo VR ad

un contesto più ampio come quello sociale e culturale, giungono alla conclusione che comenel mondo reale, anche in quello simulato ogni azione si svolge all’interno di una cornicedi significati propri della cultura dell’utente, da cui egli ricava il senso di presenza nell’azione.La potenzialità dello strumento sta allora proprio nel consentire al soggetto di “entrare” inquesto altro mondo portando con sé una storia personale e delle conoscenze proprie dellasua area sociale e culturale (Morganti, Riva, 2006) da condividere con gli altri per pervenireinsieme alla formulazione di nuovi assunti. L’innovatività dell’approccio dei due autori ri-siede nell’aver riconsiderato l’esperienza virtuale non più come un’esperienza a sé stante,piuttosto sulla base della cornice di significati sociali in cui ogni individuo è in grado dicollocarla. Qualora l’ambiente VR dovesse porre l’utente dinnanzi a situazioni mai speri-mentate in precedenza, questi cercherà di risolverle utilizzando le informazioni aggiuntiveche sono proprie della cultura in cui è inserito (Mantovani, Riva, 2001).

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È secondo quest’ottica che «la realtà virtuale può essere considerata un’interfaccia espe-rienziale» (Morganti, Riva, 2006, p. 37), in cui la componente percettiva (visiva, tattile, ci-nestetica) si fonde con l’interattività: io conosco oggetti e mondo in cui abito ed imparodall’esperienza diretta compiuta in tempo reale. Come ci confermano molti autori l’esperienza che può essere vissuta in tali sistemi è al-

quanto diversificata e varia. Mantovani (1995) mostra come in VR una esperienza possa ap-parire illusoria e allo stesso tempo vivida e convincente da un punto di vista sensoriale;mentre Bricken (1990) precisa che questo tipo di esperienza è possibile poiché la principalepeculiarità della VR risiede nella relazione inclusiva che è possibile creare fra utente ed am-biente. La realtà virtuale così pensata diventa allora un vero e proprio “medium comunica-tivo” (Biocca, 1992; Riva, 1999; Riva, Mantovani, 1999) che agisce non solo fra utenti maanche fra loro e l’ambiente in cui sono immersi (Riva, 1999). Utilizzando questo approccio comunicativo è possibile arrivare ad una definizione di re-

altà virtuale in termini di “esperienza umana” e ritrovare in essa tutti gli elementi costitutiviil modello di apprendimento esperienziale: setting formativo, presenza di un gruppo e praticadi negoziazione di significati. Il setting formativo, che in virtù della sua complessità deveessere in grado di coinvolgere fortemente gli individui, è rappresentato dallo stesso ambientevirtuale. Quello che l’ambiente virtuale tridimensionale offre è un contesto comunicativointerattivo molto efficace in cui l’utente entra dentro l’ambientazione ricostruita e interagiscecon esso e con i suoi interlocutori avendo anche la sensazione di essere faccia a faccia conloro. L’interazione di gruppo si realizza mediante i sistemi di realtà virtuale condivisa mul-tiutente in cui i gruppi condividono esperienze e conoscenza. Anche la negoziazione di si-gnificati, necessaria per lo sviluppo della differenza di prospettive individuali nella risoluzionedi problemi e per pervenire ad una soluzione condivisa, è un elemento riscontrabile nelmondo virtuale in cui tutti percepiscono il valore della partecipazione/negoziazione comeil motore fondamentale delle attività di apprendimento. Utilizzando la prospettiva della si-tuatività nell’esperienza compiuta dal singolo, pare evidente che l’esperienza e la conoscenzadivengono possibili solo dal continuo interpolarsi dell’agente e del contesto fisico ed emo-zionale in cui esso è inserito (Carassa, 2000). Quando però lo sguardo si allarga e la VR di-viene mezzo comunicativo l’ambiente assume le sembianze di uno spazio in cui soggettidiversi interagendo negoziano le proprie esperienze.Tornando alla domanda in che misura la realtà virtuale può agevolare o favorire l’ap-

prendimento nelle tanti fasi in cui esso si manifesta, dobbiamo fare una ulteriore conside-razione. Gli uomini di oggi fanno già un grande uso di Internet, soprattutto dei nuovi modi di

interazione e comunicazione: il Web 2.0. Le community sono molto popolate, così anchei siti di condivisione dell’informazione, i forum e le chat. La comunicazione sincrona va perla maggiore, e certamente questo è uno dei punti di forza dei mondi virtuali come ad esem-pio Second Life. I mondi 3D immersivi forniscono l’opportunità di ricreare un contesto sìfatto di ambientazioni, oggetti, situazioni che diventano elemento essenziale per condurreun’esperienza, ma anche momento e luogo di riflessione nell’azione e non solo sull’azione. Second Life, il mondo virtuale più noto del cyberspazio, è un eccellente esempio di come

gli ambienti tridimensionali di realtà virtuale utilizzati nel campo dell’apprendimento1, si

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1 Varie facoltà USA di architettura, la Federal National Oceanic and Atmospheric Administration, la Scuoladi Diplomazia Annenberg della University of Southern California, la Suffern Middle School di New Yorko la IBM sono solo alcune delle istituzioni che stanno sperimentando realtà didattiche all’interno di SecondLife (L’Espresso 2007).

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dimostrano essere interessanti strumenti didattici per l’apprendimento esperienziale. L’am-biente si caratterizza per alcuni elementi che rispettano esattamente i principali vantaggidell’approccio esperienziale, quali: ruolo attivo del soggetto, focus sull’abitudine già conso-lidata di apprendere dall’esperienza (metodo induttivo), velocità nell’apprendimento, po-tenziamento del problem solving, stimolazione alla collaborazione, coinvolgimento emotivo(engagement). Da un lato l’utente si ritrova coinvolto in un ambiente simile a quello dellarealtà, dall’altro si riconosce immerso in una situazione, osserva, riflette, fa considerazioni eapprende.L’apprendimento scaturisce dall’esperienza diretta e dalla riflessione sull’esperienza. Il grande coinvolgimento emozionale e l’immersività che caratterizzano questi ambienti

scaturiscono poi da tre fattori: una chiara identità visuale, un preciso senso del sé e del luogo.Nell’ambiente 3D l’utente si sente come nel mondo reale in “quel” luogo e in “quel” mo-mento (è il “senso del luogo”), ha una propria rappresentazione (l’“identità visuale”), cioèun proprio avatar il cui aspetto fisico altamente personalizzabile lo rende unico in quel mon-do (il “senso del sé”).Al pari dell’esperienza “naturale” nell’esperienza virtuale gli utenti non sono passivi ri-

cettori di informazioni, ma compiono scelte deliberate all’interno del medium comunicativoin modo da definire la propria esperienza soggettiva. Nell’interagire con l’ambiente essi co-struiscono la propria conoscenza di ciò che stanno percependo, si interrogano su di essa econtemporaneamente esplorano la comprensione dell’esperienza illusoria che stanno vi-vendo. Per questo doppio ruolo giocato dall’utente, Lauria (1997) definisce l’esperienza VRcome l’essere al centro della prospettiva di osservazione ed allo stesso tempo essere al centrodella sua costruzione. L’interpolarsi di questi aspetti della cognizione genera quello che (inMorganti & Riva, 2006) viene definito “senso di presenza” in un ambiente virtuale.

L’interazione di gruppo negli ambienti virtuali multi-utente

Nella VR l’esperienza che può essere vissuta si rivela alquanto particolare per la sua qualitàinterattiva, per la possibilità di vedere, di muoversi, di toccare e di fare. Nonostante esistano diverse tipologie di ambienti, ognuna in grado di suscitare nell’utente

svariati tipi di esperienza, quando per la prima volta si entra in un mondo virtuale, questoappare sorprendente: si ha la sensazione di essere proprio lì, nonostante la consapevolezza distare in un posto creato, con l’aiuto della tecnologia, da un’altra persona. I sistemi di VR ci permettono di fare esperienze e di acquisire conoscenza proprio at-

traverso il senso di presenza sperimentato nell’interazione con l’ambiente e con gli altri. Il temine “interazione” dunque non si limita ad indicare la singola azione nel mondo o

la sequenza di azioni più complesse che l’utente è in grado di fare con esso. Carassa, Morgantie Tirassa (2005) parlano di interazione per indicare la complessa costruzione di senso chegli esseri umani fanno nell’agire in uno spazio, sia esso simulato e no. Da ciò la possibilità diacquisire conoscenza anche quando si interagisce con e nel mondo simulato in realtà vir-tuale.Se condividiamo l’idea di Morganti e Riva (2006) secondo cui la conoscenza emerge da

un processo di co-definizione fra soggetto che conosce e oggetto conosciuto, e aggiungiamotra soggetti che condividono conoscenza per produrne di nuova, non sarà difficile com-prendere come proprio la possibilità di interazione (soggetto-oggetto e soggetto-soggetto)risulta essere il fattore cardine attraverso il quale l’acquisizione di conoscenza si realizza.Gli esseri umani interagiscono continuamente con il contesto ambientale in cui si trovano

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mantenendo all’interno di esso una continuità nelle attività che stanno svolgendo in pienaautonomia. La continuità delle azioni che essi svolgono concorre a determinare un accop-piamento fra l’essere umano (o meglio con le sue intenzioni, pianificazioni di azioni com-plesse ed esecuzione di movimenti) con il contesto in cui questi si trovano di volta in volta(Morganti, Riva, 2006). Se ciò è vero indipendentemente dagli strumenti di interazione chesi possono utilizzare per la navigazione (mouse, tastiera, joystick ecc.) o per la comunicazione(sincrona o asincrona) allora è l’attività che le persone si trovano a svolgere nell’ambientevirtuale a determinare in che maniera questi saranno in grado di conoscere il contesto incui si trovano e di agirlo, perché la complessità della situazione ed il significato che essi da-ranno all’esperienza che stanno vivendo farà sì che l’ambiente virtuale (come ogni altro am-biente) non si riduca ad essere meramente un luogo fisico bensì un luogo di possibilità(Morganti, Riva, 2006).Uno degli elementi che caratterizzano la forma di apprendimento esperienziale è la pos-

sibilità di interagire in gruppo per individuare la soluzione di problemi che vedono il con-temporaneo coinvolgimento di più persone. Indispensabile è dunque la presenza di ungruppo di soggetti che vivono “insieme” un’esperienza significativa. Ecco perché gli am-bienti virtuali si sono evoluti per sviluppare scenari in grado di permettere a più utenti,anche dislocati fisicamente in posti molto lontani fra loro, la contemporanea partecipazioneall’esperienza simulata.I soggetti hanno la percezione di condividere uno spazio “fisico” dove si trovano ad agire

altre persone ed in cui poter comunicare con gli altri utenti: l’avatar fornisce la percezionedi un reciproco senso di presenza, le “interazioni in tempo reale” danno la percezione diun tempo condiviso. L’ambiente condiviso si caratterizza per la possibilità offerta agli utentidi fornire rappresentazioni, non solo del proprio punto di vista ma anche del punto di vistadi altri utenti. I partecipanti possono muoversi reciprocamente, interagire con alcuni oggettipresenti nell’ambiente, ottenere una visione dall’alto e perciò complessiva di tutto quelloche sta accadendo nell’ambiente ed, all’occorrenza, assumere il punto di vista di un altroavatar (Morganti, Riva, 2006, p. 118 e 150). Si tratta di luoghi artificiali in cui gli attori sonoin grado di condividere le informazioni semplicemente partecipando alla stessa esperienza(Mantovani, 1995). La comunicazione fra gli utenti avviene attraverso una continua nego-ziazione di significati che gli attori fanno emergere nell’interazione con l’ambiente virtuale.La comunicazione da scambio di informazioni fra individui diviene condivisione di cono-scenza, o meglio co-costruzione di un contesto fisico e sociale. Gli appartenenti ad un grup-po mettono in comune conoscenze (condividendo rappresentazioni del mondo),comunicano (attraverso il linguaggio, il movimento e la prossemica), colgono le opportunitàd’azione (fornite dall’ambiente e dagli altri) per mettere in atto intenzionalità individualie/o collettive. Essendo forte il senso di coesione sociale l’ambiente favorisce anche un’altra forma di

apprendimento: il collaborative learning. In questo caso la tecnologia collaborativa consenteagli individui di impegnarsi congiuntamente nella produzione e condivisione di conoscenza,stimolando lo scambio di saperi, consente ai partecipanti di trasformare un’esperienza con-divisa carente di chiare opportunità di intervento, in un’esperienza che può essere gestitadalle comunità di appartenenza dei partecipanti medesimi. Quando allora nel mondo vir-tuale come anche in quello reale, l’apprendimento si connota come un’attività collaborativae attiva, esso si adegua alle moderne teorie costruttiviste.

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I progetti di ricerca

La realtà virtuale, quale ulteriore forma di apprendimento esperienziale, ha portato ad unprogressivo adattamento delle interfacce al corpo, fino a giungere allo sviluppo di avanzatisistemi in grado di coinvolgere integralmente gli apparati percettivi per determinare unacompleta immersione sensoriale (Biocca, 1995) dell’individuo nel contesto di apprendi-mento. Queste le premesse comuni ai due progetti di ricerca interdisciplinari (MediaEvo eWii Humans) che hanno visto seppur con modalità e target di riferimento diversi, la speri-mentazione del medesimo approccio ai sistemi per la creazione di ambienti virtuali educativi. Wii Humans (Celentano, De Giuseppe, 2010) è un dispositivo educativo-riabilitativo per

la rappresentazione dell’ambiente implementato per la prima volta nell’ambito di un pro-getto dell’Istituto Riabilitativo dei Padri Trinitari Ente Morale Provincia della Natività BMVOSST, come prototipo di sportello polifunzionale di cittadinanza attiva gestito da soggettidisabili. Il sistema è stato progettato e realizzato da EspérO2 con il duplice obiettivo di imple-

mentare un ambiente immersivo per consentire a giovani adulti ospiti della struttura di par-tecipare ad attività di utilità sociale e di far loro riacquisire e/o educare a sviluppare risorsecognitive. Il dispositivo implementa un setting di apprendimento che integra realtà e vir-tualità nel tentativo di agevolare nel soggetto la possibilità di comprendere il nesso territo-rio/mappa e realizzare il senso di cosa sia e come avvenga l’interazione digitale. Medianteil sistema Wii Humans i soggetti impossibilitati ad utilizzare le classiche piattaforme softwarelavorano attraverso sistemi 3D per la rappresentazione virtuale della realtà, sono riabilitati avivere i contesti reali mediante la sperimentazione del contesto città-plastico, e ad agirli me-diante manipolazione di oggetti reali e virtuali. Il sistema Wii Humans si compone infatti diun plastico che riproduce un quartiere della città e all’interno del quale sono posizionati glioggetti da manipolare (cassonetto, lampadina, semaforo, fontana), due o più wiimote appo-sitamente alloggiati all’interno degli oggetti che dovranno essere manipolati, un moduloSW_3OBJ per la rappresentazione dell’ambiente virtuale 3D e degli oggetti in esso mani-polabili, un modulo SW_SEGN che implementa l’interfacciamento del modulo 3OBJ conun sistema touch-screen. Il plastico rappresenta, nella prima fase dell’interventoeducativo/riabilitativo, l’interfaccia attraverso la quale il disabile opera nel contesto virtuale,ma con il tempo si prevede di poter sganciare il soggetto dal vincolo della concretezza delplastico, facendolo interagire con la rappresentazione bidimensionale dello stesso e, infine,auspicabilmente con la mappa della città. Il sistema integrando ambienti reali e virtuali diapprendimento presenta un elevato grado di immersività del soggetto disabile chiamato adattivare il corpo nella interazione con gli oggetti virtuali. Le interfacce, appositamente pro-gettate, permettono all’utente di interagire con il gioco/sistema attraverso un feedback ci-nestesico (attraverso sensazioni fisiche reali), e si sono rilevate fondamentali per migliorareil livello di apprendimento di soggetti disabili (i soggetti interessati dall’intervento sonoaffetti da ritardo mentale lieve o moderato).

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2 EspérO s.r.l. è un’azienda Spin-Off dell’Università del Salento che propone Servizi Formativi Avanzatiper il Management. Nasce nell’ottobre del 2009 ad opera di un gruppo di ricerca costituitosi da alcunianni attorno alla cattedra di Progettazione e Valutazione dell’intervento formativo del prof. Salvatore Co-lazzo, presso il Dipartimento di Scienze Pedagogiche Psicologiche e Didattiche dell’Università del Salento,e segue come opzione teorica e di conseguenza metodologica, quella che si inquadra nei costrutti di “ap-prendimento esperienziale”, “apprendimento per metafora” e “outdoor training” con una specifica ori-ginale caratterizzazione.

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La piattaforma di gioco MediaEvo (De Paolis et al., 2009; De Paolis et al., 2010) è unaltro caso di studio sugli ambienti di gioco simulati a realtà virtuale, implementato da ungruppo di ricerca, coordinato dal prof. G. Aloisio, presso la Scuola ISUFI dell’Università delSalento. La piattaforma implementa un ambiente tridimensionale multiplayer e multipiat-taforma destinato, questa volta, a studenti della scuola media inferiore per consentire loro diapprendere usi e costumi di una città medioevale navigandola, agendola, vivendola in primapersona.MediaEvo è un progetto multidisciplinare, ancora in fase di sviluppo, che ha inteso in-

vestigare i media di ultima generazione in una prospettiva originale integrando temi peda-gogici, quali le metodologie di apprendimento interattivo come il “learning by doing”, e lenuove tecnologie nel tentativo di utilizzare le potenzialità di interazione e multisensoriaritàdei nuovi media per finalizzare la formazione nell’ambito dei beni culturali. Tra i vari risultatiriportiamo lo sviluppo di un gioco digitale educativo caratterizzato da ricchezza di contenutipresentati, da un elevato grado di interattività e collaborazione. Progettata come un’appli-cazione multicanale la piattaforma MediaEvo presenta un’architettura scalabile e distribuitain grado di rispondere ad esigenze di fruizione ed interazione concorrente tipiche di sessionidi apprendimento on-line.Il sistema sperimenta altresì un ribaltamento del rapporto tra insegnamento e apprendi-

mento, ed una pluralità di stili e modelli di apprendimento che si contrappongono a prassidi insegnamento pigre e ripetitive. Il gioco è caratterizzato da una idea di sapere-flussoaperto che rifiuta la chiusura gerarchica e predefinita dei campi e degli elementi significatividi un percorso di conoscenza. Il progetto proporre infatti una ridefinizione dinamica dellaconoscenza intesa come ambiente, sistema, struttura reticolare dove le interpretazioni sonoin continua trasformazione e si generano costantemente nuovi nodi e nuove relazioni. I giocatori-utenti di MediaEvo sono portati a sviluppare una attitudine alla ricerca che

permetterà loro di costruire i percorsi di apprendimento in un clima di condivisione dellerisorse e degli sviluppi personali.Muovendo da questi obiettivi il gioco esplora ed approfondisce alcune delle attuali fron-

tiere tecnologiche dei videogame in termini di multimodalità, multisensorialità e interope-rabilità, prospettando un utilizzo più proficuo delle Tecnologie per l’Informazione e laComunicazione (ICT) per generare apprendimenti durevoli e profondi. Si tratta sicuramentedi apprendimenti di tipo attivo poiché i giocatori sperimentano un dominio conoscitivo ouna situazione in forme nuove, generano nuove affiliazioni e quindi si preparano per af-frontare nuovi problemi e scenari d’apprendimento all’interno del medesimo dominio co-noscitivo o trasferendo le competenze in nuovi campi.

Conclusioni

Vivere esperienze di apprendimento significative tra realtà e virtualità in innovativi settingdi apprendimento rappresenta una ulteriore possibilità di sviluppo per l’e-learning. Oggi sirileva indispensabile pensare a dispositivi di apprendimento complessi, che vedono realtà evirtualità inscindibilmente relate in un gioco di simulazione, per agevolare nei formandi unelevato grado di apprendimento.Il gioco infatti non può essere inteso come semplice strumento di facilitazione dell’ap-

prendimento, ma deve costituire esperienza centrale del processo che conduce la personaad apprendere il mondo (Paparella, 2001). È nel giocare che si esplicita l’interessante con-tributo dell’interattività che «presuppone una concezione dinamica della comunicazione

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che vede il ricevente trasformarsi in emittente, sicché l’informazione che riceve può con-siderarsi in qualche modo una risposta ad una sua interazione col mezzo» (Colazzo, 2001,p. 53). Reale e virtuale possono efficacemente essere integrati per costruire innovativi settingdi apprendimento perché «la realtà virtuale, pur non essendo una realtà fisica, è strutturatasul modello della realtà fisica. Nello spazio virtuale possiamo infatti istituire relazioni similia quelle con cui ci misuriamo nello spazio reale: vicinanza, lontananza, sopra, sotto» (Colazzo,2001, p. 59). «In effetti la vera caratteristica della realtà virtuale è che essa sta costituendoprogressivamente un mondo parallelo dove tutte le funzioni presenti nel ‘mondo reale’ sonoduplicate» (Ferri, 2000, p. 56). «Definiamo comunemente reale ciò che cogliamo coi nostri organi di senso e si rende

evidente alla nostra consapevolezza. Irreale è ciò che non esiste, è propriamente il nulla. Trareale e irreale, in una posizione intermedia vi è il virtuale» (Colazzo, 2001, p. 149). Infatti se«il reale abita nel tempo e nello spazio, il virtuale è ciò che aggiunge all’esperienza il campodel possibile» (Paparella, 2000, p. 25). «La legge del reale è la necessità, quella del virtuale èla libertà. Il limite del reale sono i vincoli materiali posti all’azione dal mondo che abitiamo,il limite del virtuale è la capacità immaginativa e creativa della nostra mente» (Colazzo, 2001,p. 149). È dunque nell’andirivieni tra reale e virtuale che il bambino, ci dice Paparella (2000),ma la stessa cosa potremmo dire per ogni individuo, coglie, costruisce e rinforza il senso direaltà e definisce una corretta linea di demarcazione fra necessità e possibilità.Dal tentativo di far dialogare efficacemente realtà e virtualità nascono Wii Humans e

MediaEvo. Wii Humans (Celentano, De Giuseppe, 2010) risultato dell’attività di progetta-zione ed implementazione di un gruppo di ricerca interdisciplinare interno ad EspérO s.r.l.spin-off dell’Università del Salento, nello specifico del prof. Salvatore Colazzo (pedagogista),dott. Vito De Giuseppe (psicologo), l’ingegnere Maria Grazia Celentano e l’informaticoCosimo Manfreda, gruppo coordinato dal Prof. Nicola Paparella. Si tratta di un ambienteimmersivo che permette a soggetti disabili di poter svolgere azioni per la cui complessitànon sarebbero in grado di svolgere senza l’ausilio di piattaforme tecnologiche.Mediante il sistema Wii Humans i soggetti lavorano attraverso sistemi 3D per la rappre-

sentazione virtuale della realtà, mettono alla prova contesti reali mediante la sperimentazionedel contesto città-plastico, e li agiscono mediante manipolazione di oggetti reali e virtuali. Attraverso il progetto MediaEvo è stato altresì possibile sperimentare come le piattaforme

per la costruzione di giochi ludici possano essere efficacemente utilizzate per sviluppare si-stemi multicanale e multisensoriali nei diversi contesti di apprendimento come quello del-l’edutainment nei beni culturali. Possiamo allora concludere che in ambito formativo la realtà virtuale dà prova della sua

efficacia in termini di apprendimento quando al soggetto è offerta la possibilità di partecipareattivamente alla creazione e allo sviluppo della propria conoscenza attraverso strumenti chestimolano l’interazione con gli oggetti del mondo virtuale e con gli altri soggetti in un con-tinuo processo di negoziazione di significati.

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ricercheMappatura dei bisogni e pedagogia della saluteUn caso di studio

Mapping needs and education of healthA case study

Una ricerca condotta presso un ospe-dale pubblico, con un gruppo di malatiimmunopatici, consente di riflettere suicriteri d’intervento educativo da adot-tare per intercettare i loro bisogni di sa-lute. Atteso che, in un approcciosistemico alle problematiche della ma-lattia e della salute, l’attivazione delle ri-sorse proprie del paziente costituisceelemento-chiave delle possibilità diguarigione, è stata condotta una map-patura dei bisogni per la comprensionedella illness perception dei malati, attra-verso la raccolta e l’interpretazione del-le loro narrative di malattia. L’obiettivopedagogico è quello di realizzare unpercorso verso il benessere, che possaconfigurarsi come il tentativo di co-struire, a partire dalle storie di ciascunattore, e attraverso la relazione educati-va, una narrazione comune e condivisa,nella processualità del dialogo.

Parole chiave: bisogni, pedagogia del-la salute, illness perception, narrative dimalattia, benessere, empowerment

Research conducted at a public hospital,with a group of patients immunopatholo-gies, you reflect on the criteria of educationalintervention to be taken to intercept theirhealth needs. Since, in a systemic approachto issues of illness and health, the activationof the patient’s own resources is the key el-ement of chance of recovery, was carried outa mapping of needs to the understandingof the illness perception of patients, throughthe collection and interpretation of theirnarratives of illness. The pedagogical objec-tive is to create a path to wellness, whichcould be used as the last attempt, from thehistory of each player, and through the ed-ucational relationship, a common andshared narrative in processuality dialogue.

Key words: needs, health education,illness perception, narratives of illness,wellness, empowerment

ADA MANFREDA

• Ada Manfreda, Membro del Gruppo di ricerca in “Pedagogia della Salute” del Dipartimentodi Scienze Pedagogiche Psicologiche e Didattiche dell’Università del Salento (Lecce), coor-dinato dal prof. Salvatore Colazzo, e-mail: [email protected]

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Bisogno di salute e apprendimento del benessere

Il bisogno è tema importante in pedagogia, un presupposto necessario da cui muovere perpensare e porre in essere azioni pedagogiche, formative ed educative. Il concetto di bisognosi è storicamente strutturato e sviluppato nell’ambito di diverse teorie e domini disciplinari,quale quello economico, sociale e psicologico, ciascuno dei quali, a vario titolo, volta a voltaha sviluppato questi temi dall’interno della propria specificità epistemologica (Monasta,1998). Ci vengono oggi, per tale ragione, consegnate alcune fondamentali, quanto differenti,

declinazioni di cosa sia bisogno. Far propria questa o quella accezione di bisogno, in ambitopedagogico, è tutt’altro che indifferente: è una scelta che determina conseguentemente unagire pedagogico ed educativo coerente con l’opzione fatta, ispirato a certi modelli teoricipiuttosto che ad altri, a certe metodologie piuttosto che ad altre, a certi criteri di progetta-zione e valutazione piuttosto che ad altri. Nel nostro lavoro abbiamo assunto un costrutto di bisogno modellato sulla proposta teo-

rica di E. Lévinas: egli ci propone un’idea di bisogno in chiave positiva, ossia come luogo dirielaborazione attiva del mondo, dell’oggetto, dell’altro e dunque di liberazione, ribaltandola più diffusa e consueta accezione negativa di bisogno, che lo intende come mancanza, ca-renza, assenza, privazione1. Egli coniuga strettamente bisogno con desiderio, tempo, lavoroe alterità. Così il bisogno è processo che si fonda e prende le mosse dalla spinta del Desiderio,che è insaziabile tensione al futuro, ma anche condizione necessaria affinché il bisogno possaemergere e trovare la via della sua realizzazione (Lévinas, 1977). Il desiderio, manifestazione energetica del nostro essere, è opaco e non permette di darsi

una meta, di avere dei punti di riferimento; necessita di essere articolato per mezzo del lin-guaggio, e non già di essere superato, annullato, ignorato; necessita di farsi discorso per nondivenire negatività, disperazione, dissoluzione. Il discorso realizza l’articolazione e la messain forma del desiderio che in questo modo si converte in lavoro di assimilazione/elabora-zione dell’alterità, il quale si dipana in un tempo che offre l’orizzonte della meta. Il bisognoè tutto questo processo.In questa accezione il bisogno si configura come una risorsa, una ricchezza per il soggetto

che ne è portatore. Ne deriva che una vita felice non è una vita in cui il soggetto non provipiù bisogno di nulla, avendo realizzato la piena soddisfazione di tutti i bisogni possibili, ma è

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1 “concepire – egli scrive – il bisogno come semplice privazione significa intenderlo all’interno di unasocietà disorganizzata che non gli lascia né tempo né coscienza. L’essenza del bisogno è costituita dalla di-stanza che si frappone tra l’uomo e il mondo dal quale esso dipende. […] La parte dell’essere che si èstaccata dal tutto […] dispone del proprio essere e ormai il suo rapporto con il mondo è solo bisogno.Esso si libera di tutto il peso del mondo, dei contatti immediati e continui. È a distanza. Questa distanzapuò convertirsi in tempo e subordinare un mondo all’essere liberato, ma bisognoso”.

“La salute non consiste in una sempre crescente preoccupazione perse stessi, nel timore che le proprie condizioni fisiche oscillino, e nem-meno nell’inghiottire pillole amare [...]. La salute non è precisamente unsentirsi, ma un esserci, un essere nel mondo, un essere insieme agli altriuomini ed essere occupati attivamente e gioiosamente dai compiti par-ticolari della vita”.

(H.G. Gadamer, Dove si nasconde la salute)

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piuttosto capacità costante di fissare per la propria esistenza una meta, e cioè capacità di reim-maginare per sé, ogni volta, un nuovo bisogno per darsi – di conseguenza – un progetto.Il bisogno è pertanto aspirazione a vivere una situazione di benessere, è appetito di com-

pletezza, di pienezza. Il bisogno di salute è tutto dentro questa accezione più generale di bisogno, secondo una

visione del costrutto ‘salute’ come condizione di un individuo o di un gruppo che dipendesolo in parte dalla capacità di alcune professionalità, con elevate competenze tecnico-sani-tarie, di fronteggiare la malattia e la disabilità che ne consegue. In egual misura, se non su-periore, la salute dipende dal contesto relazionale del soggetto. Se questo è in grado di offrireil necessario supporto, il malato può fronteggiare più efficacemente il suo stato e diventareesso stesso agente della possibilità di rinvenire risorse che gli consentano comunque, purnello stato di malattia, di rimanere ancorato alla realtà, di interagire positivamente con glialtri e di conservare una capacità di prospettarsi in avanti, progettualmente. Zannini giusta-mente osserva che è molto importante sviluppare una cultura che consenta di comprenderel’importanza, ai fini di un intervento non strettamente ed esclusivamente medico sulla ma-lattia, di “potenziare relazioni e situazioni che permettano ai soggetti di sviluppare emozionipositive, pur nei limiti dati dalle situazioni magari molto invalidanti”, affinché paradossal-mente la malattia si converta in occasione per “migliorare la qualità del rapporto con sestessi, implementare o creare relazioni positive con gli altri”, affinché il soggetto incrementi“la capacità di far fronte alle situazioni (coping)” e sviluppi comunque “un senso di appar-tenenza, anche nei frangenti più difficili dell’esistenza”, quale è appunto quello che si verificanella malattia (Zannini, 2003, p. 39). Nell’ottica della complessità, la salute è il risultato di elementi multidimensionali, su cui

incidono fattori diretti, ma anche e soprattutto moltissimi fattori indiretti, ragion per cuialtrettanto numerosi e interconnessi tra loro sono i livelli su cui poter intervenire per pro-muovere la salute e il benessere.La ricerca del mantenimento di uno stato di salute e il perseguimento del benessere ap-

paiono relati non solo a caratteristiche individuali, ma anche al contesto ambientale e socialein cui il soggetto vive2.La capacità di un individuo di far fronte adeguatamente, avendo potuto sviluppare le

idonee competenze, a situazioni difficili e cambiamenti critici appare connessa all’ambientein cui vive e alle risorse che è in grado di reperire in esso. Tale connessione soggetto-contestoè fortemente dinamica e bidirezionale. Ne deriva una definizione di benessere per la qualeconta tanto la capacità del soggetto di individuare idonee strategie di adattamento all’am-biente quanto la capacità del soggetto di modificare intenzionalmente l’ambiente per ren-derlo adeguato a sé. Tale approccio, che potremmo definire ecologico, sottolinea come, inragione della bilateralità dell’interazione individuo-ambiente, promuovere la salute significhiagire tanto sull’ambiente quanto sull’individuo3.

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2 Sull’idea di malattia e di salute come costrutti storici si veda G. Corbellini, Breve storia delle idee di salute emalattia, Carocci, Roma 2004.

3 Nella Carta di Ottawa, presentata in occasione della 1° Conferenza Internazionale sulla Promozione dellaSalute, riunita a Ottawa il 21 novembre 1986, si tematizza questi aspetti precisando che: “La promozionedella salute è il processo che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e dimigliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o ungruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni,di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. La salute è quindi vista come una risorsa per la vitaquotidiana, non è l’obiettivo del vivere. La salute è un concetto positivo che valorizza le risorse personali

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Si tratta di integrare nell’educazione alla salute, l’idea ben più attiva di promozione dellasalute. La salute è infatti il delicato equilibrio che l’individuo instaura con il proprio contestovitale. “La salute e il benessere possono allora essere intesi, in un’ottica più marcatamenteermeneutica, come la capacità di vivere nel proprio ambiente, costruendo o implementandoil proprio progetto di vita. E questo progetto non è altro che il potenziamento di sé, l’im-plementazione delle proprie capacità, quello che in letteratura viene chiamato empowerment.In questo senso, la salute è intesa come capacità di autodeterminazione e potenziamento disé” (Zannini, 2003, p. 50). Possiamo dire che il focus pedagogico ed educativo è rivolto ad una sorta di “apprendi-

mento del benessere” che, alla luce delle linee teoriche qui riassunte, si sostanzia nella for-mazione di un cittadino competente nel proprio quotidiano, rispetto a se stesso, agli altri,alle relazioni che struttura con gli altri e con i contesti di vita e di lavoro che lo vedono at-tore, in un’ottica di equilibrio. La competenza che deve scaturire da un apprendimento delbenessere deve saper fare i conti con l’idea che l’esistenza di ognuno di noi è un continuumbenessere-malessere e che perciò è necessario che ognuno lavori al miglioramento delleproprie condizioni di vita, tanto se è malato, quanto se sta bene, per compiere così un pas-saggio decisivo da un’ottica di prevenzione ad una, più propositiva e attiva di promozione.L’educazione alla salute è da intendersi perciò come attività di promozione dell’empo-

werment, in cui un soggetto diviene responsabile della qualità della sua vita anche e soprattuttoin rapporto al suo contesto di appartenenza. Per sviluppare questo processo di empowerment è necessario indagare adeguatamente il

bisogno di salute e sviluppare dei progetti formativi che partano da questo bisogno, lo fac-ciano – ove necessario – evolvere, per consentire al soggetto di acquisire autonomia e capa-cità di far diventare i comportamenti, gli atteggiamenti, i significati, compatibili con unaquotidiana condizione di benessere psico-fisico e sociale.

Dall’Analisi dei bisogni alla Mappatura dei bisogni

Per cogliere il bisogno, poterlo comprendere, rendere produttivo e generativo di progettualitàindividuale e sociale, è necessario intraprendere un’azione di indagine che è propriamenteindicata come Analisi dei bisogni. È oramai consolidato in ambito pedagogico indicare nel-l’analisi dei bisogni la fase iniziale fondamentale di ogni corretta ed efficace progettazioneformativa. Costituisce il momento di valutazione ex-ante dei soggetti destinatari di un in-tervento educativo o formativo, propedeutico alla messa a punto di un percorso di appren-dimento che sia per loro il più adeguato. La valutazione, in campo di ricerca pedagogica, ha subito nel tempo uno slittamente del

focus attentivo, dal risultato finale di un processo di apprendimento verso il processo stessoe verso i contesti entro cui esso si realizza. Ciò ha significato il rivolgersi della valutazioneverso alcune specifiche dimensioni del soggetto-formando, quali quella motivazionale, quellametacognitiva, quella emotivo-relazionale e sociale. Anche il senso del perché valutare subisceuna sensibile trasformazione: più che strumento di controllo, assume quello di momentodiagnostico e di presa di consapevolezza, ha valore formativo e diviene anche punto di par-tenza importante per la progettazione formativa e la ri-progettazione in corso d’opera, quan-

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e sociali, come pure le capacità fisiche. Quindi la promozione della salute non è una responsabilità esclusivadel settore sanitario, ma va al di là degli stili di vita e punta al benessere”.

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do è valutazione in itinere. Peraltro l’atto di attribuzione di valore che la valutazione recacon sé è strettamente connesso al progetto per il quale la valutazione si realizza. Il progettoè la cornice che definisce la rilevanza o meno di taluni aspetti su talaltri, i criteri di letturadegli eventi rilevati. La valutazione formativa assume particolare senso quando è autovalu-tazione, ossia autoriflessione sulle proprie azioni, e soprattutto co-valutazione, ossia praticasociale negoziata, trasparente e capace di sortire effetti. “La valutazione, intesa come praticasociale negoziata, assume una curvatura fenomenologica molto interessante, in quanto puressendo attenta all’efficacia e all’efficienza dei processi formativi, nel contempo guarda alledinamiche intersoggettive di costruzione di senso” (Colazzo, 2008, p. 17), che si danno nel-l’estrinsecarsi dell’atto valutativo.Il senso di un’analisi dei bisogni si nutre dei significati propri dell’atto valutativo ex-ante

ed è fortemente correlato all’accezione di bisogno a cui ci si vuole riferire e, conseguente-mente, al valore e alla funzione che si vogliono assegnare ad un intervento educativo e for-mativo. In questo nostro lavoro, sulla base delle riflessioni esposte al paragrafo precedente, vo-

gliamo considerare il bisogno come una risorsa, soggettivamente significativa e pedagogica-mente rilevante: risorsa da interrogare ed interpretare e mettere in forma per giungere alprogetto, che è esistenziale prima di tutto, e di conseguenza anche professionale e sociale. Apartire da questa premessa l’analisi dei bisogni si configura come un processo volto non atrovare qualcosa che già c’è, piuttosto a cercare di far emergere il bisogno dall’opacità deldesiderio, per restituirlo alla dimensione del reale, del realistico e del realizzabile, ossia alladimensione del ‘possibile’, mediante un lavoro di articolazione del desiderio in discorso.Restituirlo alla dimensione del possibile significa far divenire il bisogno progetto (Boutinet,2007): in ciò consiste l’attività di analisi dei bisogni a cui vogliamo riferirci. Ossia un’attivitàche nel mentre indaga i bisogni – che non sono degli oggetti direttamente rilevabili negliindividui, né ad essi direttamente intelligibili, quanto piuttosto luoghi di senso alimentatidal desiderio –, in realtà li fa emergere, li mette in forma, li articola dall’inarticolato del de-siderio, mediante un processo che è fondamentalmente interpretativo, di comprensione edi co-costruzione. Parliamo dunque di un’analisi dei bisogni di impronta fenomenologica,che si presenta aperta ed interattiva, che assume gli atteggiamenti propri dell’osservazione edell’ascolto, “secondo una concezione partecipativa del processo valutativo che aspira a com-prendere ed influenzare le strategie di costruzione dei significati dei soggetti” (Colazzo,2008).Questo taglio prospettico con cui guardiamo all’analisi dei bisogni, in verità mette im-

mediatamente in crisi proprio il termine ‘analisi’, il quale ha in sé un grumo di significatiche poco si armonizzano con quelli di disvelamento, interpretazione e comprensione, con-cetti – questi ultimi – che il termine ‘analisi’ sembrerebbe persino espungere. Faremo per-tanto uso del termine ‘mappatura’, che probabilmente meglio riesce a dare ragione di unlavoro che è prioritariamente un percorso di scoperta di tracce, di piccoli elementi da com-porre in un disegno rappresentativo, dove acquista grande rilevanza la co-costruzione er-meneutica di letture soggettive ed oggettive situate, particolari, attente all’hic et nunc di tuttigli attori a vario titoli implicati nel processo stesso. Perché mappatura? La mappatura è un percorso di costruzione di una mappa; la mappa

è una rappresentazione; rappresenta uno spazio, evidenziandone le relazioni esistenti tra isuoi elementi costitutivi, nonché le sue proprietà, o alcune di esse (laddove si vadano a rea-lizzare delle mappe ‘tematiche’). Ricorrere al termine di ‘mappatura’ ci consente di teneresempre ben chiaro il carattere ‘rappresentativo e interpretativo’ dell’azione di ricerca dei bi-sogni; la mappa non è il territorio, ne è piuttosto una sua rappresentazione e una sua inter-pretazione, perché nella mappa si decide di includere taluni elementi e di trascurarne talaltri.

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La ‘mappatura’ dei bisogni vale nel ‘qui ed ora’ della ricerca, nonché per l’intervento edu-cativo e/o formativo per cui essa viene condotta; non può avere valenza di definitività e diesaustività rispetto alla realtà soggettiva, sociale, o organizzativa, esplorata; è il risultato –come abbiamo detto – di un lavoro ermeneutico condiviso, che pertanto può essere semprerivisto, sempre modificato, ogni volta cambiato, perché è intrinsecamente aperto. Oggi, epoca di complessità e globalizzazione, i bisogni assumono un aspetto molto va-

riegato, così come la loro messa a fuoco diviene sempre più difficile, in primo luogo perchésono venute meno le macro-categorie sociali, economiche e culturali entro cui prima erapossibile racchiudere grandi porzioni di individui. La mappatura dei bisogni deve poter dare ragione di questo, deve poter riuscire a scan-

dagliare i dettagli, individuare le emergenze specifiche di piccoli e piccolissimi gruppi, cheappaiono fortemente contestualizzati e circoscritti entro un’area geografica molto definita,nella estrema dinamicità delle condizioni soggettive ed oggettive odierne che rendono glistessi bisogni rapidamente mutevoli. Questo significa doversi mettere sulle tracce del bisogno,a livello ‘micro’, in quanto i bisogni non si esprimono in documenti ufficiali, né – spesso –sono chiaramente evidenti a coloro che ne sono portatori. Possiamo dire che a livello microil bisogno va indovinato indiziariamente (Colazzo, 2008)4. Questo scenario, lungi dal rendere inutile e vana la mappatura dei bisogni, ne sottolinea

piuttosto ed ancor più la sua necessità, non solo come fatto preliminare a qualunque attivitàe progetto che si pongano obiettivi formativi, ma soprattutto come attività da svolgersi co-stantemente e continuamente, in situazione, al fine di produrre continui ed aggiornati flussidi comunicazione-informazione-interazione, che debbono costituire humus per tutti gli at-tori sociali che vogliano porre in essere azioni che si inscrivono in un determinato contesto. L’aspetto cruciale su cui ci induce a riflettere lo scenario appena descritto è l’assoluta

inadeguatezza di un approccio alla mappatura dei bisogni che la concepisca come mera fun-zione strumentale alla progettazione formativa; è necessario piuttosto che essa si configuricome ricerca qualitativa, ossia come ricerca che recupera la specificità e l’originalità dei sog-getti e dei contesti, che è capace di ingaggiare con la realtà un dialogo volto a costruire er-meneuticamente chiavi di lettura, punti di ingresso per comprendere ed agire la realtà stessa,una ricerca che si confronta con temi complessi nella loro situazione naturale, che abilita lasoggettività del ricercatore nei processi di costruzione dei significati della realtà con cui egliva a misurarsi. L’“oggetto” di studio, vale a dire soggetti specifici in contesti determinati, non è mai un

puro oggetto, ma è soggetto interagente che concorre alla determinazione della lettura disé, co-costruendola assieme al ricercatore-formatore. In quest’ottica la mappatura dei bisognisi configura essa stessa come vero e proprio momento formativo. La mappatura dei bisogni si caratterizza per una ‘postura metodologica’ che concerne la

capacità di porsi in ascolto delle specificità e delle peculiarità della realtà da conoscere, delletrame di significati che essa possiede, la valorizzazione degli elementi caratterizzanti l’identitàdei soggetti e dei contesti, la promozione della partecipazione e l’apertura alle sollecitazionied ai suggerimenti provenienti dal setting, senza preconcetti, senza modelli aprioristici da attuare.

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4 Colazzo in particolare sostiene che “l’esperto della formazione dovrà avere familiarità con quel ‘paradigmaindiziario’, figlio del pensiero abduttivo e della serendipità che Carlo Ginzburg indicava come essenzialenel campo delle discipline storiche […] potremmo dire che il bisogno formativo non si dà mai in terminiespliciti, ma deve essere estrapolato attraverso un’attività di indagine di tipo indiziario, riuscendo ad andareoltre l’occultamento che in maniera, spesso inconsapevole, i soggetti compiono delle loro esigenze piùprofonde”.

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Rispetto ai bisogni essa non si riduce alla loro individuazione, ma si lega operativamentealla possibilità di aumentarne la consapevolezza nei soggetti di riferimento, in modo da poterprogettare in modo partecipato il cambiamento (Lavanco, Novara, 2006, p. 117). La mappa-tura dei bisogni assume il valore di una metodologia “la cui sfida consiste nell’integrare datistrutturali e variabili più soggettive, come le rappresentazioni sociali, i modelli culturali esimbolici, le aspettative verso il futuro, i vissuti personali, che solo se messi in relazione dannosignificato alla realtà circostante” (Lavanco, Novara, 2006, p. 117). Ci pare che tutto ciò riesca ad essere sufficientemente compatibile con quella tensione

di apertura che si vuole costantemente rimarcare come indispensabile connotato di un’azio-ne educativa e formativa. Quell’aperto che è proprio dell’uomo, in quanto essere naturalee culturale allo stesso tempo: “è datità biologica, che determina la sua forma, così come suc-cede per l’animale e la pianta; ma poi la natura dell’uomo è pure la sua disponibilità allacultura, ossia il carattere aperto della sua forma: egli è l’essere che in tutta la sua esistenza sifa forma, diviene uomo attraverso un processo di progressiva umanizzazione” (Lavanco, No-vara, 2006, p. 117). La formazione e le relazioni di cura sono un tassello importante del ‘farsi forma’ del-

l’uomo dentro una società, in una data cultura, per orientarlo e supportarlo nella sua ricercadel senso. “Educare ha senso per via del ‘bisogno di senso’ che l’uomo reca con sé. Prenderea cuore l’altro e contribuire in qualche misura al suo processo di formazione significa rico-noscere importanza all’atto attraverso cui l’uomo si sottrae dall’essere determinato da mereistanze di sviluppo naturale, o da schemi di riproduzione sociale, che pure sono in ognunodi noi, per darsi un compito di sviluppo che significa diventare pienamente un soggetto,un’identità, una persona” (Lavanco, Novara, 2006, p. 117). Parlare di mappatura dei bisogni allora per gettare le basi di un agire pedagogico che

vuol farsi pienamente carico della formatività5 che caratterizza ogni soggetto.

Metodi e strumenti adottati per la mappatura dei bisogni

Condurre una mappatura dei bisogni, quale percorso valutativo-interpretativo capace di dia-logare e raccogliere l’appetito di forma e di senso che ogni soggetto porta con sé, richiedel’uso di metodologie e di strumenti coerenti con i presupposti teorici e adeguati agli scopiche ci si prefigge. Un metodo che guarda al significato dei fenomeni studiati, in una tensione verso la com-

prensione e l’interpretazione di essi, come atto sociale e condiviso, è il cosiddetto metodostorico-clinico.Il metodo storico-clinico o storico-motivazionale è un precipuo metodo di ricerca il cui

fulcro è la relazione osservatore-osservato, relazione che è al tempo stesso oggetto e metododell’osservazione condotta. È finalizzato a comprendere il significato di un dato comporta-mento, piuttosto che ad individuarne le cause; parte dall’osservazione di casi particolari dacui astrae un racconto tipico-ideale, secondo un processo di generalizzazione idiografica.Tutti questi aspetti del metodo retroagiscono coerentemente con i presupposti a fonda-

mento della mappatura dei bisogni, che assume i caratteri di un processo storico-interpre-tativo, centrato su: interpretazione, soggettività e significato.

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5 Sul concetto di formatività si veda R. Fadda, Sentieri della formazione. La formatività umana tra azione edevento, Armando, Roma 2003.

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Esso è pertanto volto a rilevare le componenti:• epistemiche (idee, credenze, opinioni, vissuti, significati...),• intenzionali (volontà, desideri...),• emotive,• dell’agire umano, in riferimento ad uno specifico contesto. La soggettività si configuraallo stesso tempo come oggetto e come fonte di conoscenza.In questa cornice teorica ed epistemologica, le interpretazioni autenticamente pedago-

giche non sono causalistiche ma teleologiche, ossia seguono uno schema che non è di cau-sa-effetto, bensì di fine-mezzo.Il metodo storico-clinico si avvale delle prassi linguistiche e discorsive (non solo verbali)

come modalità di costruzione delle proprie comprensioni, basandosi:• sulla logica dell’interpretazione;• sull’assunto antropologico dell’uomo come essere datore di senso a sé e al mondo, comecostruttore di significati e come comunicatore.Le narrazioni degli attori dello scenario di riferimento sono il luogo privilegiato entro

cui il pedagogista ricerca, ponendosi in ascolto, in vista dell’obiettivo formativo e della esi-genza di promuovere un cambiamento. Ciò comporterà a volte il tentare di far emergereuna flebile voce, o aiutare a dar forma a qualcosa che ha contorni confusi e che non riescepropriamente a qualificarsi come una domanda di formazione. Quest’apporto previo delpedagogista è molto importante perché, consentendo al soggetto di trasformare un desiderio,un’intuizione di qualcosa, in un bisogno e quindi di conseguenza in una vera e propria do-manda di formazione, egli realizza già formazione, aiuta il soggetto a costruire identità.Il metodo scientifico, ci avverte Bruner, non è l’unica strada per capire il mondo. Vi sono

le interpretazioni narrative, le quali sono sì riferite a delle occasioni specifiche, ma allo stessotempo possiedono valenze universali, e sono “essenziali per la vita di una cultura” (Bruner,2001, p. 146). La narrazione è la specifica modalità umana attraverso cui si cerca e si dàforma e senso alle cose, a noi stessi, alle nostre quotidiane esperienze, alla nostra esistenza.La costruzione del significato non avviene – come afferma suggestivamente Bruner – “daun qualche apollineo sguardo da nessun luogo” ma è un venire implicati in modo costantee continuo in una cultura, con “tutto il contorno non razionale del fare significato che l’ac-compagna” (Bruner, 2001, p. 147). Ogni narrazione costruisce un ‘mondo possibile’. Esso può essere piuttosto aderente al

mondo che tutti quanti noi quotidianamente esperiamo, ma può anche non esserlo, e dun-que rappresentare un ‘mondo possibile’ che risponde a sue proprie leggi e regole. “Riuscirea sapere qual è il ‘mondo possibile’ all’interno del quale il narratore parla è uno dei principalicompiti di chi ascolta, se vuole veramente capire. Una volta entrata in questo mondo, lapersona cerca di ragionare in base a un principio di coerenza con le sue leggi e non conquelle che regnano in un altro mondo” (Smorti, 2007, p. 143).Bruner trova difficile distinguere nettamente la narrazione, come modalità di pensiero,

dalla narrazione come ‘testo’ o discorso narrativo. Egli pertanto parla in modo indifferenziatodella narrazione così come del pensiero narrativo. “Ciascuno dà forma all’altro, propriocome il pensiero diventa inestricabile dal linguaggio che lo esprime e che in seguito lo pla-sma” (Smorti, 2007, p. 147). Il narrare e il pensare per storie è una modalità specifica e a sé,assolutamente diversa tanto dalla logica induttiva, tanto da quella deduttiva. Quando co-struiamo una storia – scrive Smorti – non soltanto diamo forma e senso agli eventi di quellastoria, ma essa diviene una chiave di lettura di una classe di eventi e di situazioni che possanoavere delle affinità con essa. Quella storia diviene in qualche modo emblematica e di rife-rimento per noi, costituisce un modello di mondo. Ciò avviene senza che valgano le regoledel pensiero induttivo, il quale esige che io abbia cumulato “una quantità sufficiente di dati

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per poter formulare una legge”, ovvero del pensiero deduttivo, per cui dato un criterio ge-nerale vado a verificare se ciò che mi consta sia coerente o meno ad esso. Il pensiero narrativo“usa un tipo di logica mossa dall’esigenza di arrivare ad una rappresentazione il più possibileverosimile del mondo a partire dal minor numero possibile di esempi di questo mondo. Ilpensiero narrativo si svolge nella vita quotidiana, dove è innanzitutto indispensabile faredelle scelte. E per poter fare una scelta non si può aspettare di poter ispezionare le complesseconcatenazioni logiche di un ragionamento deduttivo, né raccogliere un campione di eventistatisticamente significativo” (Smorti, 2007, p. 145). Per cui intanto ci si fa un modello chepossa permettere di scegliere: se il modello ha una sua coerenza e rende possibile operarescelte nella realtà viene mantenuto; se manifesta delle incongruenze rispetto ai suoi presup-posti ovvero rispetto a nuovi eventi, a nuovi racconti, allora esso viene modificato.Di fronte alla narrazione si è chiamati ad interpretare. L’interpretazione caratterizza tout

court il processo conoscitivo in generale, sia che esso sia scientifico o proprio delle ‘scienzeumane’. Il narrare medesimo perciò è un conoscere.L’approccio biografico-narrativo consente – a nostro avviso, rispetto alla ricerca condotta

– una maggiore coerenza tra metodo di indagine e ‘materia’ indagata e conseguentementeuna maggiore aderenza ai significati di ‘bisogno’ e di ‘mappatura’ a cui ci siamo riferiti.Ancor più l’approccio biografico-narrativo diviene assolutamente interessante e proficuo,

se impiegato in ambito di pedagogia della salute, così come noi abbiamo provato a fare conil caso di studio che qui presentiamo.

Narrazione e pedagogia della salute

L’opzione metodologica operata nella nostra ricerca, è dunque a favore del metodo bio-grafico-narrativo, confortati dal fatto che molta letteratura oramai ravvisa nei metodi di in-dagine di tipo qualitativo gli strumenti più idonei a ricomporre la complessità del fenomeno‘salute’ e dunque a restituire ad esso la sua unitarietà. Gli approcci qualitativi permettonoda un lato di “contestualizzare lo studio del benessere e di indagare i pattern di relazione frabenessere emozionale, parametri del contesto ambientale e sociale immediato e caratteristi-che personali del soggetto” (Zani, Cicognani, 2000, p. 87); dall’altro sono molto efficacinello scandagliare le rappresentazioni dei pazienti in ordine ai costrutti di benessere, malattia,cura, autopercezione di sé, fiducia/sfiducia, relazione medico-paziente, empowerment e sensodi autoefficacia. Ciò è tanto vero che con riguardo proprio all’approccio biografico-narra-tivo, esso viene sempre più invocato, da quanti vogliono restituire alla medicina la sua capacitàdi guardare all’insieme, non solo come strumento di indagine e ricerca, ma anche comemetodologia dei percorsi di formazione per operatori della salute e per pazienti, nonché –addirittura – come strategia di cura e terapia, a fianco dei protocolli più strettamenti sanitari,chirurgici e farmacologici. La narrazione consente di recuperare l’aspetto dialogico e relazionale dell’arte del guarire

e per questo, da alcuni anni oramai, si fa strada, dall’interno della stessa medicina, un filoneteorico e di ricerca che tenta di annettere questa importante dimensione all’interno dellaprassi medica.In effetti alla cosiddetta Evidence Based Medicine (EBM), ossia la medicina basata sull’evi-

denza e su prove scientifiche, può affiancarsi – e sono sempre di più coloro che lo auspicano,anche tra gli addetti ai lavori del mondo medico-sanitario – la cosiddetta Narrative BasedMedicine (NBM), ossia una medicina basata sulla narrazione. Le narrazioni rappresentano il “risultato della costruzione da parte dei soggetti narranti

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di un complesso scenario coerente composto di eventi che sono indissolubilmente associatiad elementi affettivi, credenze personali, preferenze, conoscenze scientifiche, decisioni, azioni,e così via. Tale costruzione è sottesa dalla interpretazione, implicita o esplicita, cosciente oinconscia, degli accadimenti. Un medesimo insieme di eventi può essere ordinato tempo-ralmente e strutturato logicamente in modi diversi da parte di diversi narratori coinvolti inmodo diretto o indiretto negli accadimenti” (Giani, 2009, p. 49).Ciò significa aprire il processo diagnostico e terapeutico a pratiche innanzitutto di ascolto,

di interpretazione e comprensione del paziente considerato nella sua totalità, nel suo essereun soggetto e non già la patologia di cui è portatore. La Narrative Based Medicine riabilita laglobalità della persona e la complessità del suo stare bene o male, la multifattorialità dellecause e l’implicazione di elementi non solo organici ma anche sociali, psicologici e culturalinella dinamica salute/malattia, per guardare all’illness e non solo al desease6, su cui invece siconcentra la medicina delle evidenze.Il concetto di illness e soprattutto quello di illness perception, ricentra la questione ‘malattia’,

spostandola dal riduttivismo della sua identificazione con la mera patologia organica, versouno sguardo sistemico-integrato al malato in tutte le sue dimensioni di vita.Con l’espressione Illness Perception si vuole indicare il sistema attraverso cui il paziente

“organizza la narrazione personale della malattia, [quale] fattore fondamentale che sottendele sue decisioni ed azioni” (Giani, Garzillo, 2009, p. 29).La malattia è una condizione piuttosto articolata e complessa la cui rappresentazione si

struttura mediante complessi processi di costruzione soggettiva e sociale di una trama di si-gnificati affettivi e cognitivi, entro i quali sono coinvolti ed impegnati tutti gli attori che avario titolo sono implicati nei processi di cura. Per dare sufficientemente conto di questadinamica di significazione, individuale e sociale insieme, appare assolutamente interessanteed opportuno integrare dati quantitativi con le narrative di malattia (Illness Narrative) delpaziente, che permettono di esplorare proprio le trame di significati che egli attribuisce alsuo ‘star male’ (Giani, Garzillo, 2009, p. 29).Secondo un approccio ecologico-sistemico alla salute, inoltre, la illness perception non ri-

guarda esclusivamente il paziente, ma tutti gli attori del processo diagnostico-terapeutico edi cura, in quanto il modo attraverso cui essi percepiscono la malattia e i rischi delle com-plicanze connessi, influenzerà le strategie che metteranno in atto per affrontarli. Il processodecisionale in ambito medico-terapeutico è un fenomeno perciò complesso, in cui giocanoun ruolo fondamentale non solo le dinamiche cognitive-razionali, ma anche quelle emotive. Le narrative di malattia (Illness Narrative, IN) costituiscono un caso particolare di narra-

zione e rappresentano il risultato di un processo emotivo-cognitivo mediante il quale il sog-getto mette in forma e connette significati connessi alle sue emozioni e cognizioni in ordinead un vissuto-esperienza di malattia.Tali trame di significati, organizzati narrativamente nel racconto del paziente, non sono

soltanto di natura soggettiva, ma nel racconto individuale si innestano anche significati so-ciali, frutto di una stratificazione avvenuta nel corso del tempo in forma di tradizioni po-polari, ovvero di ‘senso comune’ condiviso all’interno di specifici gruppi e/o comunità, unasorta di ‘corpus narrativo sociale’ che il soggetto utilizza pienamente, anche inconsapevol-

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6 I due termini in inglese indicano entrambi la malattia, ma non sono sinonimi e dunque non sono equiva-lenti sotto il profilo del significato: mentre infatti il concetto di desease si riferisce alla malattia intesa comerealtà organica, dunque come tutto ciò che pertiene e descrive la patologia come evento fisico, oggettiva-mente rilevabile, il concetto di illness rimanda invece a tutto ciò che ha a che fare con la percezione sog-gettiva del malatto rispetto a sé, alla propria condizione e alla risignificazione esistenziale che essa comporta.

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mente, per giungere a ‘scrivere’ la priopria illness narrative. In particolare le rappresentazionisociali di cosa sia salute, malattia, benessere, influenzano in modo determinante le percezionidegli individui, le loro scelte, le loro opinioni, le loro pratiche sociali. Riguardo quest’ultimo aspetto ricordiamo che la ‘teoria delle rappresentazioni sociali’

tenta proprio di articolare quale sia il nesso tra fattori individuali e fattori sociali, nella co-struzione di rappresentazioni che mediano costantemente le risposte comportamentali deisoggetti di fronte alle questioni quotidiane legate alla propria esistenza, comprese evidente-mente quelle della salute. Questa teoria sottolinea in particolar modo “la natura sociale ecollettiva della comprensione che le persone hanno di se stesse e del mondo, concentrandosisulle concezioni condivise, sul modo in cui si sviluppano, sono comunicate, si modificano”(Zani, Cicognani, 2000, p. 69). Le rappresentazioni sociali sono una forma di ‘sapere pratico,l’elaborazione di un oggetto sociale da parte di una comunità, che permette ai suoi membridi comportarsi e di comunicare in modo comprensibile. Le rappresentazioni sociali costi-tuiscono delle teorie ingenue, ossia forme di conoscenza tipiche del senso comune, profane;tuttavia esse organizzano il codice condiviso attraverso cui si realizza la comunicazione so-ciale e gli scambi interpersonali (Zani, Cicognani, 2000). Il fattore ‘rappresentazioni sociali’costituisce un tassello importante nello studio del fenomeno salute e nella definzione diipotesi pedagogiche di interpretazione e di intervento.La costruzione del racconto allora avviene mediante la connessione di una serie di entità

e di relazioni sulla base di un lavoro intellettuale svolto dal narratore e in cui si inserisconopure dinamiche sociali e psicologiche complesse che danno conto del contesto socio-rela-zionale e culturale in cui il soggetto narrante è immerso. Peraltro lo stesso evento viene nar-rato in forme e modi differenti dallo stesso soggetto a seconda dal tipo di interlocutore e diinterlocutori che egli si troverà davanti. Possono esistere perciò numerose varianti di unastessa narrativa, “le quali si diffondono nella rete sociale dei narratori e viene ritrasmessa adaltre persone generando ulteriori versioni più o meno profondamente modificate. Tutto ciòsi ripete per tutte le persone affette da un determinato tipo di patologia e per tutte le pato-logie in modo tale che gli episodi che costituiscono ciascuna narrativa sono narrati e rinarratimiriadi di volte contribuendo a formare concezioni sociali della salute e del malessere chedifferenziano in modo più o meno netto diverse comunità di individui” (Giani, 2009, p.51). In tale logica si inscrivono anche le narrative che provengono dagli operatori sanitari,che pertanto non sono esenti – come dicevamo – da questo processo di costruzione e co-costruzione di significati attorno all’oggetto ‘salute’. Le narrative di malattia hanno elementi utili sotto il profilo epidemiologico ed offrono

chiavi di lettura preziose per comprendere il significato che ciascun differente attore deiprocessi di cura attribuisce ad un evento di sofferenza e di malattia.Comprendere ed interpretare i significati profondi che una narrativa di malattia veicola

è fondamentale in quanto sono questi gli elementi che vanno a supportare e a determinarenel paziente le sue spiegazioni del problema, le sue decisioni, le sue azioni, le sue scelte, lacompliance e più in generale i suoi atteggiamenti verso se stesso e verso gli altri attori delprocesso di cura.Lo studio delle narrative di malattia non sono un semplice resoconto dell’esperienza di

malattia, “bensì strutture concettuali complesse che [possono], fra l’altro, nascondere infor-mazioni utili per lo sviluppo di un modello innovativo di epidemiologia bio-psico-sociale” (Gia-ni, 2000, p. 5). Giani arriva a definire una dinamica delle illness narrative, che determinano sempre il mo-

mento e i modi attraverso cui il paziente andrà ad attivare un processo diagnostico-terapeu-tico. Parlando di ‘dinamica’ si sta evidentemente attribuendo un valore performativo allanarrazione, intesa come azione, come atto linguistico attraverso cui l’enunciante interagisce

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con il contesto modificandolo e modificandosi. Inizialmente il paziente avverte uno statopatologico di base che via via aumenta superando la soglia percettiva personale divenendocosì una patologia di cui egli diviene cosciente. In questo momento la illness è divenutaanche desease. Laddove il malessere continui ad aumentare il paziente tende a rivolgersi allacerchia più immediata delle sue relazioni, attivando un comportamento di richiesta d’aiutonei confronti dei suoi familiari e degli amici più stretti. Ciò va a modificare il microsistemasociale a cui il paziente appartiene in quanto tutti i membri vengono variamente investiti esi fanno a vario titolo e modo carico della condizione di malessere di uno di loro. Questomicrosistema sociale cerca di risolvere il problema attingendo alle sue conoscenze, prove-nienti dal senso comune, dalle tradizioni e dalle credenze popolari, nel tentativo di ripristi-nare l’equilibrio interrotto. Se le strategie messe in atto non funzionano allora il microsistemasociale spinge il malato a rivolgersi ad un soggetto più competente richiedendo un consigliotecnico. In questo momento il malato si rivolge al medico, entrando così in un diverso epiù ampio sistema relazionale e sociale.Il medico raccoglie la narrativa di malattia del paziente traducendola in una sorta di

‘narrativa’ tecnica, tentando di ricondurre ed inquadrare le parole del paziente all’internodi un vocabolario standard, medico, che gli possa consentire di descrivere tecnicamente ladesease. Laddove il problema vada a coinvolgere altri professionisti e attori del processo dicura, verranno volta a volta, ad ogni passaggio, generate narrative e narrative di narrativein uno scambio dinamico e reciproco tra tutti gli attori del sistema. Ciascuno di essi pro-durrà la propria narrativa, estrapolando da quella che ha raccolto gli elementi che gli sononecessari, in ragione dei suoi obiettivi, della sua professionalità, della sua sensibilità, e daciascuna di queste narrative soggettive scaturiranno i comportamenti degli attori medesi-mi.“Da questo punto di vista, il processo di cura può essere concepito come una dinamica

di una rete di narrative (una per ciascun attore del processo di cura) che si influenzano re-ciprocamente” (Giani, 2009, p. 60).In quest’ottica è evidente che la relazione medico-paziente rappresenta solo uno dei mo-

menti del complesso ‘sistema di narrative’ interagenti tra loro.

Il caso di studio: le Illness narrative dei pazienti IMID

Presentiamo il lavoro di mappatura dei bisogni di salute condotto secondo la metodologiabiografico-narrativa, mediante la raccolta e interpretazione delle Illness Narrative (IN) di ungruppo di pazienti affetti da disturbi infiammatori immunomediati (IMID - ImmunoMediateInfiammatory Disorder), in cura presso il reparto IMID dell’Ospedale di Campi Salentina (Lec-ce).Ho incontrato ciascun paziente singolarmente, in una stanzetta riservata dell’ospedale;

abbiamo conversato per almeno mezz’ora/quarantacinque minuti; ho lasciato libero il pa-ziente di raccontare la sua storia di malattia, intervenendo di tanto in tanto con degli inputminimi, che potessero confortare l’interlocutore della mia attenzione ed interesse per la suavicenda e allo stesso tempo per mantenere il racconto all’interno di alcuni macro-punti no-tevoli, che costituivano la griglia di riferimento che ho costruito in fase di definizione del-l’ipotesi di mappatura dei loro bisogni, secondo le linee-guida e i criteri illustrati nelprecedente capitolo. Lo strumento utilizzato è stato quello dell’intervista aperta in profon-dità. Ogni incontro è stato registrato su supporto digitale; successivamente ho proceduto alla

trascrizione fedele di quanto raccontato dai pazienti. Ho incontrato 24 pazienti in cura

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presso il reparto ‘Centro IMID’ dell’Ospedale di Campi Salentina7. Ad ogni paziente ho as-segnato un numero progressivo (nell’ordine cronologico con cui ho incontrato ed ascoltatociascun paziente) e ciascuna loro storia è stata identificata dall’etichetta ‘paziente’ seguitadal numero progressivo assegnato a quel paziente.Delle 24 storie raccolte, ne ho utilizzato per gli scopi di ricerca e mappatura dei bisogni,

22, escludendone – in quanto non idonee allo scopo – due: quella del ‘paziente_03’ e quelladel ‘paziente_22’. Il ‘paziente_03’ durante l’incontro si è mostrato quasi subito piuttostoriottoso a raccontarsi, ha eluso i miei feedback, andando subito a chiudere e troncare la con-versazione, sottraendosi di fatto alla possibilità di narrare la sua condizione. Ho ritenuto dinon forzare, in alcun modo, la situazione, assecondandolo e rispettando la sua posizione. Laconversazione è durata pochi minuti. Il materiale è risultato insufficiente ai fini di questolavoro. Il ‘paziente_22’ al contrario è stato subito molto disponibile, loquace, collaborativo;tuttavia si trattava di una persona appena arrivata al Centro IMID, erano ancora in corso leindagini e pertanto non conosceva ancora la diagnosi per i suoi disturbi; conseguentementenon aveva intrapreso ancora alcuna terapia. La condizione di tale paziente è risultata pertantodisomogenea rispetto a quella di tutti gli altri e dunque non integrabile nel gruppo costi-tuente il caso di studio. Complessivamente il caso di studio risulta essere così composto:

• Sesso: 19 F; 3 M• Provenienza: 18 Regione Puglia; 3 di altre regioni; 1 straniero• Dei 18 pugliesi: 11 sono della provincia di Lecce; 7 delle altre province.Dati raccolti:

• registrazioni audio della durata complessiva di 12 h 37’ 05”• corpus testuale, risultato della trascrizione delle interviste, costituito da 54.123 parole,ossia 260.003 caratteri (spazi esclusi)Sul materiale narrativo è stato condotto un lavoro interpretativo che ha significato:

• lettura delle narrative e individuazione delle dimensioni/nuclei tematici principali attornoa cui si presentano organizzate le narrative stesse;

• scomposizione delle 22 narrative nelle dimensioni individuate e costruzione della grigliainterpretativa.Output della ricerca: Griglia interpretativa.La complessità multidimensionale del caso di studio, conforta e supporta la scelta meto-

dologica compiuta in ordine alla mappatura dei bisogni del gruppo di pazienti intervistati:solo l’approccio biografico-narrativo può consentire uno sguardo d’insieme, olistico, capacedi indagare l’oggetto, nel nostro caso il bisogno di salute, riuscendo a scandagliarne gli aspetticostitutivi e allo stesso tempo a ricomporlo sinteticamente in quanto ‘fatto’ insieme indivi-duale e sociale, concreto e situazionato. Solo così è possibile cogliere le peculiarità delleistanze soggettive e allo stesso modo come esse si inscrivono nel contesto di vita, nel sistemadi relazioni intersoggettive di ciascuno e più ampiamente culturali e sociali, proprie del con-testo di riferimento dei soggetti interpellati. Il gruppo di pazienti del caso di studio, sono tutti malati infiammatori cronici, che con-

dividono analoghe vicissitudini di malattie: negli anni hanno sofferto di svariati e differentisintomi e patologie, rispetto ai quali sono stati volta a volta curati dai diversi specialisti ri-

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7 Il Centro IMID dell’Ospedale di Campi Salentina (Lecce, ASL/Le1) si occupa specificamente di PatologieInfiammatorie Croniche Immunomediate. Il responsabile del Centro è il dott. Mauro Minelli, immunologoclinico e allergolo, impegnato da anni nello studio e nella cura di queste problematiche e che qui ringrazioper avermi consentito di condurre questa ricerca.

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spetto alla singola patologia d’organo. Questo ha comportato per tutti lunghi pellegrinaggiin giro, per vari specialisti, senza poter mai risolvere veramente i loro problemi. Molti diloro, in questo percorso, finiscono quasi sempre da neurologi o in reparti ospedalieri psi-chiatrici e – tratto comune alla maggior parte degli intervistati – vengono curati per de-pressione. Quando infine arrivano al Centro IMID ricevono una diagnosi d tipo sistemicoche riconduce le diverse patologie ad un’unica origine infiammatoria mediata da processiautoimmuni. Nel lavoro interpretativo delle narrative ho individuato alcuni nodi tematiciattorno a quali tutti i racconti sono andati addensandosi. Si tratta di sette dimensioni, attra-verso cui ho ‘spezzettato’ tutto il corpus testuale andando poi ad interpretare gli elementiemergenti per ognuna delle dimensioni, arrivando così a costruire una prima griglia inter-pretativa. Le dimensioni estrapolate perché ritenute significative sono:a. Disturbi: di questa dimensione fanno parte tutti quelli elementi della narrativa che dannoconto della tipologia di disturbi così come li ha registrati e conosciuti il paziente, con inomi da lui conosciuti (giusti o sbagliati che siano sotto il profilo tecnico-diagnostico),nell’ordine e nei modi che egli decide di darli. È il suo racconto dei sintomi e non già ilreferto di una cartella clinica;

b. Immagine malattia: questa dimensione accoglie quanto il paziente racconta all’input,ricevuto durante la sua narrazione, di trovare una immagine da egli ritenuta embletica,particolarmente rappresentativa della sua condizione di malattia;

c. Vissuto per dieta e cibo: dimensione riguardante tutti i vissuti, gli stati d’animo, icomportamenti, le convizioni e le credenze del paziente in ordine al significato assuntodal cibo, dopo aver avuto la diagnosi IMID e di conseguenza tutto ciò che egli collegaalla pratica della dieta restrittiva che deve mettere in atto a fini terapeutici;

d. Star bene: è la dimensione che accoglie come il paziente si esprime in ordine a cosa siaper lui star bene, quale significato assume per lui, cosa si aspetta rispetto alla sua condi-zione di salute;

e. Rapporti personali e sociali: come la narrativa di malattia si organizza intorno al pro-blema delle interazioni del paziente con i suoi familiari, il gruppo di amici, i colleghi dilavoro; quale potenziale di impatto ha, sul sistema delle relazioni del paziente, la sua ma-lattia e/o la terapia nutrizionale;

f. Fiducia/Sfiducia: attorno a questa dimensione si vanno a coagulare gli episodi riferitidal paziente che in qualche modo hanno avuto o hanno un peso rilevante nella possibilitàdi nutrire fiducia nel medico o in se stessi rispetto alla possibilità di affrontare positiva-mente il percorso di malattia, la terapia conseguente e dunque di poter credere in unmiglioramento;

g. Cosa serve ai pazienti IMID: ogni paziente ha suggerito, auspicato, dal proprio puntodi vista, quelli che debbano essere gli aiuti, i servizi, a supporto dei bisogni dei malatiIMID al fine di poter sostenere il loro percorso di malattia e cura.La griglia interpretativa entro cui è stato scomposto e riorganizzato il corpus testuale

delle narrative, mediante un loro attraversamento lungo le sette dimensioni su descritte, faemergere in modo evidente la discrasia, nei soggetti coinvolti, tra le ambiguità e le contrad-dizioni che hanno vissuto e vivono nella loro condizione, e il sistema culturale di riferi-mento, sia sociale che medico-sanitario, deficitario nell’accogliere pienamente eintegralmente la loro condizione di sofferenza, con significative ripercussioni nella quoti-dianità, in termini di concrete e oggettive difficoltà in ordine principalmente alla conduzionedi un’esistenza integrata e di equilibrio tra tutti i fattori in gioco.1. Riguardo alla dimensione “Disturbi” emerge chiaramente che le tipologie di sintomisono piuttosto analoghe e ricorrenti ed anche la scansione temporale nell’arco esistenzialedel paziente sono piuttosto raffrontabili e per gran parte sovrapponibili tra tutte le nar-

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rative raccolte. Fondamentalmente la comparsa dei sintomi è mediamente riscontratanell’età adolescenziale, con un progressivo aggiungersi di disturbi via via crescenti e sem-pre più compromettenti le normali e semplici azioni quotidiane, soprattutto tra i venti ei trent’anni. Si verifica poi quasi sempre un momento di ‘crisi’ che viene a configurarsicome punto di non ritorno, nel senso che da quel momento in poi la situazione precipitae degenera per il malato, che è perciò costretto ad attenzionare ancor più che in passatol’insieme dei suoi problemi per tentare di trovare una via di risoluzione. Altro connotatocomune delle narrative di malattia sono i frequenti e disperanti pellegrinaggi che i malaticompiono per reparti di ospedale e specialisti di varia natura, senza che il tutto possaavere qualche funzione risolutiva. Come vedremo parlando della dimensione ‘fiducia/sfi-ducia’ questo costituisce un fattore che incide negativamente proprio sul senso di fiduciadel paziente, soprattutto in se stesso e nelle sue possibilità di poter mai ritrovare, un gior-no, un equilibrio.In tutti i racconti delle ‘odissee’ vissute per anni prima di approdare al Centro IMIDemerge molto chiaramente che il momento in cui ciascuno di loro riceve la ‘diagnosiIMID’ rappresenta un vero e proprio momento di ‘rivelazione/insight’: essa assume infattiper il paziente una funzione di condensazione narrativa consentendogli una riorganiz-zazione della sua trama di racconto in ordine alla malattia e quindi una ridefinizione erilettura della propria immagine/rappresentazione di malato.

2. Le immagini evocate dai pazienti (dimensione “Immagine malattia”) per rappre-sentare sinteticamente ed emblematicamente la loro malattia sembrano essere molto le-gate al disturbo principale di ciascun malato, ossia ciò che assume un ruolo preminentenel sistema delle sintomatologie di cui ciascuno è affetto. Dominano figure che fannoriferimento alla malattia in termini di ‘vuoto’, ‘assenza di senso’, al ‘sentirsi annientato’,‘annullato’, ‘sensazione di essere nulla’; e ancora in modo molto affine, alcuni associanoimmagini di vecchiaia, di ‘pianta secca’, ossia figure che hanno a che fare con l’esisterein una condizione di assenza di vitalità, di energia; in un caso si fa espressa associazionealla morte; in due casi vengono usate le immagini di: ‘tunnel grigio senza uscita’ e ‘pozzonero senza fondo’; in altri due casi vengono evocate figure di animali che starebbero nelcorpo e lo scaverebbero (si tratta di due pazienti che in generale hanno sofferto di doloriartitrici e disfunzioni intestinali); due pazienti parlano infine della malattia come ‘inferno’e uno di essi ci si vede dentro accanto al diavolo sulle fiamme.

3. La dimensione “Vissuto di dieta e cibo” è il perno delle narrative degli intervistati,ne è anche il nodo problematico, perché il passaggio alla terapia nutrizionale, dopo ladiagnosi IMID, appare anch’esso caricarsi della valenza di un nuovo ‘punto-discrimine’per la loro esistenza. È un fattore rilevante nel determinare la quotidianità del malato ela sua vita relazionale. Si evidenzia spesso una difficoltà, soprattutto di ordine emotivo,culturale e sociale nell’approcciare la dieta restrittiva legata alla difficoltà di risemantizzareil cibo, alla luce della diagnosi ricevuta e delle allergie e intolleranze riscontrate. Moltiper paura di ritornare ad avere i sintomi provano repulsione per il cibo e quindi si atten-gono rigorosamente alla dieta, senza trasgressioni. Per altri invece non è facile sottrarsialle tentazioni: riconoscono al cibo un valore importante, di soddisfazione, di socialità, direalizzazione; senza di esso comunque non sentono di vivere bene.Quella della dieta/cibo rappresenta una delle dimensioni più problematiche del feno-memo oggetto di studio, da cui è sicuramente necessario partire per andare poi ad allar-gare il raggio di azione di un possibile intervento pedagogico. Il nodo problematicosembra essere l’ambivalenza dei significati attorno al ‘cibo’, contemporaneamente ‘fontedi nutrimento’ e ‘fonte di intossicazione’. L’altra questione è che la terapia nutrizionalerende l’obiettivo di salute un vero e proprio compito per il soggetto: la sua salute dipende

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dalla sua partecipazione attiva e consapevole alla terapia, ed egli diviene il responsabileprincipale del successo della stessa e del suo mantenimento nel tempo.

5. A queste problematiche è legata anche la dimensione dello “Star bene”, condizioneche per i pazienti ascoltati è influenzata dalla possibilità di poter o meno mangiare libe-ramente. In linea generale c’è la consapevolezza di non poter recuperare una condizione,diciamo così, originaria, ossia una condizione in cui si possa star bene e contemporanea-mente mangiare tutto quello che si vuole. In quasi tutti vi è il senso della necessità dellaricerca di un punto di equilibrio che riesca a tenere insieme tutte le varie istanze delsoggetto, sia di salute che più in generale di realizzazione e soddisfazione personale, pernon stare peggio, riuscire a tenere sotto controllo i sintomi, regolare i processi infiam-matori. Questa prospettiva appare, in quasi tutte le narrative, una meta da raggiungere,sempre in fieri, piuttosto che un risultato già conquistato. L’incidenza della terapia nu-trizionale e dei sintomi nella vita, nel quotidiano più minuto e semplice, fa sì che nelladeterminazione del senso di ‘star bene’ contribuiscano molti contingenti fattori, che in-vestono – evidentemente – non solo la condizione ‘organica’, ma anche e soprattutto lapercezione e valutazione soggettiva da parte del paziente della qualità della propria vita.Ciò anche in virtù del fatto – come già si è detto – che la terapia nutrizionale imponegioco-forza ai pazienti una ristrutturazione dell’esistenza, in tutti i rapporti sociali piùsignificativi che la costituiscono (familiari, amicali, lavorativi). La percezione di sé puòuscirne alterata, ragion per cui si rende necessario un lavoro di risignificazione del propriotempo, del proprio menage quotidiano e di se stessi, che non sempre i pazienti sono ingrado di porre in essere.

6. La dimensione “fiducia/sfiducia” rappresenta un punto sensibile, perché va ad inci-dere notevolmente su qualunque percorso si voglia porre in essere con questi pazienti, acominciare proprio dalla terapia nutrizionale. Ecco perché un primissimo interventovolto al rafforzamento del senso di fiducia personale e dell’autoefficacia sarebbbe assolu-tamente necessario proprio per poter avere qualche possibilità di successo in sede di at-tuazione della terapia, visto e considerato che essa presenta le problematicità che abbiamofin qui evidenziato. Il file rouge che attraversa i racconti è l’enorme sfiducia nei confrontidei medici e la disapprovazione per il loro modo di relazionarsi: molti pazienti denuncianoil disagio e la frustazione che hanno ricavato costantemente dall’interazione con i medici,che è andato a sommarsi e ad appesantire la già difficile situazione di sofferenza e pessi-mismo legati alla malattia.Infine l’ultima dimensione (dimensione “Cosa serve ai pazienti IMID”) è una pre-ziosa spia di ciò che i pazienti soggettivamente pensano sia loro necessario per star bene,seguire la terapia e vivere così la loro condizione nel modo migliore e più agevole pos-sibile. Il dato più rilevante è che la maggior parte di loro usa termini come ‘ascolto’, ‘pa-rola’, ‘confrontarsi’, ‘dialogo’, ‘informazione’ (un paziente ha detto ‘la parola aiuta’): ossiaè molto chiaro il bisogno diffuso di parlare, raccontarsi, confrontarsi con chi condividelo stesso problema, non sentirsi soli, abbandonati, senza punti di riferimento.

A conforto di questo posso aggiungere che durante gli incontri ho sempre ricevuto daipazienti molti ringraziamenti per ‘la bella chiaccherata’: mi hanno raccontato di essersitrovati bene, che la conversazione li aveva fatti stare bene e che avevano passato un bel mo-mento; alcuni hanno espresso il desiderio di poter essere contattati ancora e di avere altreoccasioni di quel tipo.

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Ipotesi di sviluppo

Le osservazioni che possono condursi sulle implicazioni degli elementi raccolti rispecchianopienamente la letteratura scientifica che abbiamo preso a fondamento del lavoro condotto,in ordine alle problematiche legate alla ‘salute’ e rispetto pure ai principali fattori di rischioche condizionano lo stato generale del soggetto, il suo modo di approcciare la malattia, lerappresentazioni che di essa è portatore, e soprattutto le chance di miglioramento e di efficaciadella terapia, anche con riferimento al grado . In una prospettiva di sviluppo del lavoro, ri-teniamo necessario partire da questo ‘materiale’, altamente significativo e stimolante, e porrein essere un intervento pedagogico multidimensionale. Esso – a mio avviso – potrebbe con-figurarsi come una ricerca-intervento attraverso cui istituire un ‘Gruppo di Promozione delBenessere’ in cui coinvolgere i pazienti IMID. Nel Gruppo, attraverso la narratività e l’usodi focus group tematici, si potrebbe lavorare insieme a loro ai significati nodali qui emersi, alfine di disegnare dei percorsi condivisi di sviluppo dell’affettività, delle competenze relazio-nali e contestuali, dell’empowerment e del senso di autoefficacia.La multidimensionalità della questione ‘salute’ richiede necessariamente uno sguardo

complesso: nel caso di studio illustrato si è fatto uno zoom su di una delle parti in gioco: ipazienti, ma sarebbe importante che la ricerca potesse spingersi a considerare gli altri mo-menti e gli altri soggetti dello scenario di riferimento, pertanto medici, familiari dei malati,contesto sociale di appartenenza, organizzazione sanitaria referente, considerata, quest’ultima,non solo evidentemente sotto gli aspetti strettamente medici, ma anche e necessariamentenella sua dimensione organizzativa, burocratica e delle culture e sub-culture che la animano.L’obiettivo pedagogico è quello di realizzare un percorso verso il benessere, che possa con-figurarsi come il tentativo di costruire, a partire dalle storie di ciascun attore, e attraverso larelazione educativa, una narrazione comune e condivisa, nella processualità del dialogo.

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ricercheL’insegnamento della geometria nella scuola secondaria di I gradoContributi di una ricerca

Geometry teaching in secondary school (first grade)

Dall’analisi dei risultati delle indagininazionali e internazionali (Invalsi,Timms, Ocse-Pisa) sulle competenzedegli studenti italiani in matematicaemergono diverse criticità. In partico-lare è stato evidenziato come gli stu-denti non sono in grado di utilizzare leabilità apprese in contesti meno strut-turati.Alla luce di queste risultanze da piùparti viene richiamata la necessità di ri-vedere le metodologie di insegnamen-to puntando su percorsi didatticiorientati alla costruzione di significatidegli oggetti geometrici attraverso at-tività laboratoriali basate sulla ricerca esull’apprendimento collaborativo. Il contributo espone i risultati di unasperimentazione condotta nella scuolasecondaria di I grado con lo scopo divalutare l’efficacia di un percorso di di-dattica dei triangoli basato sulla teoriadi van Hiele e utilizzando un softwaredi geometria dinamica come strumen-to di insegnamento-apprendimento.

Parole chiave: triangoli, geometriadinamica, teoria di van Hiele, pensierogeometrico, risoluzione di problemi.

The results of national and internationalresearches (Invalsi, Timms, Ocse-Pisa)about Italian students competences inmaths, show several problems. In particularthey found that students cant’t use theirabilities in less structured contests. They think it is necessary to check teachingmethodologies and head for didactic coursebased on the meaning construction of geo-metric objects through research and cooper-ative learning laboratories.This work contains the results of a researchmade in a scuola media. The goal of thisresearch is to evaluate the efficacy of a di-dactic course of triangles based on van Hieletheory using a dynamic geometry softwareas teaching-learning tool.

Key words: triangle, dynamic geo-metry, van Hiele theory, geometricalthinking, problem solving.

ANTONIO MARZANO • ARCISIO BRUNETTI

• Antonio Marzano, professore a contratto, Università degli Studi di Salerno.• Arcisio Brunetti, professore di matematica, scuola secondaria di I grado.

Ad Arcisio, la cui prematura scomparsa ci priva della gioia di poter vivere insieme

questa pubblicazione

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Presentazione, obiettivi e ipotesi

La problematicità legata alla didattica delle discipline è di natura duplice: va individuata, dauna parte, nella trasformazione dello statuto epistemologico di ogni singola materia di studio(fenomeno che nella società complessa dell’innovazione scientifica e tecnologica è ancorapiù rapido) e, dall’altra, nelle difficoltà che i docenti possono incontrare nel predisporre iti-nerari didattici validi ed efficaci per la co-costruzione dei saperi e lo sviluppo delle specifichecompetenze disciplinari. In tal senso anche l’insegnamento della geometria si trova a doverfronteggiare questi nodi problematici e gli esiti non sono incoraggianti. Dall’analisi dei ri-sultati delle indagini nazionali e internazionali (Invalsi, Timms, Ocse-Pisa), infatti, emergonoaspetti di forte criticità: nella sostanza e in sintesi, gli studenti non sono in grado di applicarele abilità apprese a scuola in un contesto meno strutturato. La lacuna riguarda il modo dipensare ed analizzare secondo, come aveva espresso Pascal, l’esprit de géométrie.

In Italia, d’altra parte, sono ben note le difficoltà che incontrano gli studenti delle scuolesecondarie di secondo grado nell’affrontare lo studio della geometria, ed in modo particolarenella dimostrazione dei teoremi. Tali difficoltà sono spesso dovute alla mancanza di adeguateesperienze nella manipolazione e nell’esplorazione di figure geometriche nel corso deglistudi precedenti. Queste di attività sono indispensabili per far progredire gli allievi nella ca-pacità di osservazione e di analisi.

Gli studenti ricevono definizioni e spiegazioni preconfezionate e non sono stimolati aformulare congetture. Frequentemente le figure rappresentate creano dei misconcetti poichéhanno sempre una orientazione standard. Va poi aggiunto come la costruzione di figuregeometriche con riga e compasso viene spesso evitata o ridotta al minimo dagli insegnanti,sia perché queste attività portano via molto tempo, sia perché le figure ottenute risultano ilpiù delle volte poco accurate. Individuare metodologie didattiche più efficaci diventa, dun-que, un’operazione cruciale oltre che significativa. In questa prospettiva la teoria sullo svi-luppo del pensiero geometrico di Van Hiele1 e le critiche sollevate da Fuys, Geddes eTischler2 nei confronti delle metodologie e dei contenuti dei libri di testo di geometriaadottati nelle scuole, risultano in gran parte attuali ancora oggi. Questi autori concordanonel ritenere necessario modificare le attività e i relativi materiali presentati nei libri di testo

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1 Dina van Hiele-Geldof e Pierre M. van Hiele presentano per la prima volta la teoria sullo sviluppo delpensiero geometrico nel 1957 con la dissertazione di dottorato De problematick van het inzicht gedmonstreedvan het inzicht van schodkindren in meetkundeleerstof (Unpublished doctoral dissertation) all’Università diUtrecht. Segue un’intensa attività testimoniata da numerosi articoli accademici tra i quali si ricordano:(1958), A method of initiation into geometry at secondary schools. In H. Freudenthal (Ed.), Report onmethods of initiation into geometry (pp. 67–80). Groningen, The Netherlands: J. B. Wolters; (1959), Developmentand the learning process. Acta Paedogogica Ultrajectina (pp. 1-31); (1973), Begrip en inzicht. Purmerend, TheNetherlands: Muusses; (1980), Levels of thinking, how to meet them. how to avoid them. Paper presented at thepresession meeting of the Special Interest Group for Research in Mathematics Education, National Councilof Teachers of Mathematics, Seattle, WA.; (1984), A child’s thought and geometry. In D. Fuys, D. Geddes,& R. Tischler (Eds.), English translation of selected writings of Dina van Hiele-Geldof and P. M. van Hiele(pp. 243-252). Brooklyn: Brooklyn College; (1987), Finding levels in geometry by using the levels in arithmetic.Paper presented at the Conference on Learning and Teaching Geometry, Syracuse University, Syracuse,NY. Pierre M. van Hiele pubblicherà la sua opera fondamentale Structure and Insight: A Theory of MathematicsEducation (Academic Press, New York) nel 1986.

2 Fuys D., Geddes D., Tischler R., (1984), English translations of selected writings of Dina van Hiele-Geldof andPierre M. van Hiele, School of Education, Brooklyn College, New York. Successivamente, Fuys, Geddes eTischler ribadiranno le loro critiche nell’articolo: The van Hiele model of thinking in geometry amongadolescents,in Journal for Research in Mathematics Education Monographs n. 3, NCTM, Reston, USA, 1988.

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per favorire negli studenti lo sviluppo di processi cognitivi quali la capacità di adattare leproprie conoscenze a nuove situazioni e la risoluzione di problemi in contesti nuovi e in-consueti.

Tenuto conto di queste premesse, il presente contributo espone i risultati di una speri-mentazione condotta su allievi del primo anno di scuola secondaria di primo grado con loscopo (hp) di verificare e valutare l’efficacia di un percorso di didattica dei triangoli medianteuna serie di applicativi progettati, implementati e sviluppati da Arcisio Brunetti3, coautoredel presente contributo, utilizzando l’ambiente di sviluppo open source Geogebra4 e se-guendo un itinerario che ha avuto come base di riferimento le cinque fasi di apprendimentodella teoria di van Hiele.

Dopo aver illustrato brevemente il quadro di riferimento teorico e il software utilizzato,verranno descritte le diverse fasi della sperimentazione, alcune delle attività realizzate congli alunni appartenenti al gruppo sperimentale ed i risultati ottenuti.

Il punto di partenza

Una teoria che si è dimostrata particolarmente efficace nella progettazione di itinerari di-dattici in geometria è quella strutturata e sviluppata dei coniugi olandesi P.M van Hiele eDina van Hiele-Geldof tra il 1957 e il 19865. Questa teoria ha motivato importanti ricerche,prima in Unione Sovietica e successivamente negli Stati Uniti, che hanno indotto numerosicambiamenti nel curricolo di geometria adottato nei due Paesi.

Secondo tale teoria lo sviluppo del pensiero geometrico degli studenti procede in modoprogressivo attraverso livelli di pensiero e dipende più dall’esperienza maturata dallo studentesu un determinato argomento piuttosto che dall’età o dalla maturazione biologica dellostesso (in questo senso, la teoria si discosta da quella di Piaget): le esperienze scolastiche pro-gettate dall’insegnante sono quindi di fondamentale importanza per far progredire lo stu-dente da un livello inferiore a quello successivo.

Il modello di van Hiele6 si caratterizza essenzialmente per tre aspetti: l’esistenza di livellidi pensiero, le proprietà dei livelli e la progressione da un livello di pensiero al successivo.

Van Hiele distingue cinque livelli di pensiero nella comprensione dei concetti geo-metrici da parte degli studenti le cui caratteristiche possono essere così descritte:

• Livello 0 (Visualizzazione): Gli allievi percepiscono le figure geometriche in base al loroaspetto globale. Essi riconoscono triangoli, quadrati, rettangoli, eccetera, in base alla loroforma, ma non riescono ad individuare espressamente le proprietà di queste figure o lerelazioni che intercorrono fra le varie parti che compongono la figura stessa.

• Livello 1 (Analisi): Gli allievi possono analizzare le figure geometriche (anche se in modo

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3 Le versioni shareware sono scaricabili dal sito: www.arcisio.com.4 Geogebra è un software libero per l’apprendimento e l’insegnamento della matematica (www.geo -

gebra.org/cms/). Il nome deriva da “GEOmetria e alGEBRA”. È stato sviluppato da Markus Hohenwarterpresso la Florida Atlantic University per la didattica della matematica nella scuola.

5 van Hiele Pierre M., (1986), Structure and Insight: A Theory of Mathematics Education, Academic Press, NewYork.

6 La teoria sullo sviluppo del pensiero geometrico, è stata seguita da successivi arrangiamenti. A tal riguardo,si suggerisce: Clements D. H., Battista M. T., (1992), Geometry and spatial reasoning, in Handbook of researchon mathematics teaching and learning, Macmillan, New York, pp. 420-464.

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informale), classificarle, individuare le principali proprietà ed utilizzare l’opportuna ter-minologia per descriverle, ma non sono in grado di collegare tra loro figure e proprietà.

• Livello 2 (Deduzione informale): Lo studente espone in modo logico le proprietà dellefigure, è in grado di fare brevi catene di deduzioni, di formulare definizioni ed è capacedi stabilire se una determinata proprietà è condizione necessaria e/o sufficiente per clas-sificare una figura geometrica.

• Livello 3 (Deduzione formale): Lo studente può sviluppare sequenze logiche di deduzionipiù lunghe, comprende il significato e il ruolo dei postulati, degli assiomi, dei teoremi edelle dimostrazioni.

• Livello 4 (Rigore): Gli studenti possono lavorare in diversi sistemi assiomatici, cioè possonostudiare le geometrie non euclidee e confrontarle.

Circa le proprietà di ciascun livello, Van Hiele identifica alcune criteri qualitativi strutturatiin maniera gerarchica e che Usiskin7 ha sintetizzato nel modo seguente:

• Ordine fisso: gli studenti progrediscono attraverso i vari livelli secondo un ordine fisso; inaltre parole, uno studente non può trovarsi al livello n senza aver superato prima il livellon-1.

• Adiacenza: ad ogni livello di pensiero ciò che era intrinseco nel precedente livello divieneestrinseco nel livello corrente.

• Distinzione: ogni livello ha i propri simboli linguistici ed una propria rete di relazioni checollega questi simboli; una relazione che è “corretta” ad un livello può rivelarsi non cor-retta ad un altro livello.

• Separazione: due persone che ragionano a diversi livelli non possono comprendersi l’unl’altro. Questo è quello che spesso accade fra insegnante e studente. Nessuno dei due rie-sce a seguire il pensiero dell’altro e il loro dialogo può procedere solo se l’insegnante rie-sce a formarsi un’idea del pensiero dello studente e a conformarsi ad esso.

Van Hiele afferma che il passaggio da un livello al successivo deve essere realizzato daglialunni stessi e che la funzione dell’insegnante è quella di progettare attività che favorisconoquesta transizione. Van Hiele ha individuato cinque fasi progressive di apprendimento perguidare l’alunno ad un più alto livello di pensiero di cui tener conto in sede di progettazionedelle attività didattiche. Nello specifico:

• Fase 1 – Informazione: lo studente inizia ad avere un primo contatto con gli oggetti distudio, sia attraverso il materiale che gli viene fornito, sia attraverso la discussione conl’insegnante e con i compagni. In questa fase l’insegnante si renderà conto delle cono-scenze possedute degli studenti sull’argomento, del loro livello di apprendimento, di even-tuali misconcetti, ecc.

• Fase 2 – Orientazione rigida: lo studente inizia ad esplorare l’oggetto di studio per mezzodi attività opportunamente predisposte dall’insegnante. Il materiale è selezionato in modoche le strutture caratteristiche gli appaiano in modo graduale. Le attività consistono incompiti facili e brevi che richiedono risposte specifiche.

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7 Cfr. Usiskin Z., (1982), Van Hiele levels and achievement in secondary school geometry, Final report of the cognitivedevelopment and achievement in secondary school geometry Project, University of Chicago, Department of Edu-cation.

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• Fase 3 – Esplicitazione: le esperienze acquisite sono collegate ad esatti simboli linguisticie gli studenti imparano ad esprimere le loro opinioni sulle strutture osservate durante leattività e le discussioni in classe. L’insegnante deve avere cura che durante queste discus-sioni venga utilizzato il linguaggio naturale. È durante questa fase che il sistema di rela-zioni è parzialmente formato.

• Fase 4 – Orientazione libera: gli studenti applicano le conoscenze acquisite in nuove inve-stigazioni, possibilmente per mezzo di compiti che possono essere portati a termine inmodo differente.

• Fase 5 – Integrazione: lo studente ha orientato se stesso, ma deve ancora acquisire una pa-noramica di tutti i metodi che sono a sua disposizione. Così egli cerca di condensare inun unico complesso il dominio che ha esplorato il suo pensiero. A questo punto l’inse-gnante può (aiutare) accelerare questo lavoro fornendo una veduta di insieme. È impor-tante che questo quadro d’insieme non presenti nulla di nuovo per lo studente; esso devesolo essere una ricapitolazione di quello che lo studente già conosce.

Durante le transizioni van Hiele considera la discussione la parte più importante del pro-cesso di insegnamento-apprendimento. In particolare nella fase di esplicitazione l’insegnanteha il ruolo di guida nel senso che inserisce la discussione nel flusso dell’attività della classee ne influenza lo sviluppo attraverso interventi mirati allo scopo di socializzare e valutarecollettivamente le strategie usate dai singoli allievi nella soluzione di un problema e costruire(quando è possibile) una o più rappresentazioni e soluzioni condivise da tutta la classe8.

Circa i software di geometria dinamica (DGS: Dynamic Geometry Software), la lorocomparsa è avvenuta negli anni ’80, rivitalizzando l’insegnamento della geometria e susci-tando l’attenzione di molti ricercatori in tutto il mondo sul ruolo svolto da questi ambientiapplicativi nei processi di insegnamento-apprendimento della geometria.

L’importanza di una rappresentazione dinamica delle figure veniva d’altronde sottolineatagià negli Orientamenti per la lettura dei contenuti dei “Nuovi programmi per la scuola media”del 1979: “Lo studio della geometria trarrà vantaggio da una presentazione non statica dellefigure, che ne renda evidenti le proprietà nell’atto del loro modificarsi”.

I DSG, quali ad esempio Cabri, Geometer’s Sketcpad, Cindirella, permettono di costruiresullo schermo del computer enti geometrici in modo rapido e preciso con azioni molto vi-cine a quelle utilizzate nell’ambiente “carta e matita”. Una volta create, queste figure, possonoessere modificate dinamicamente con l’aiuto del mouse trascinando gli elementi base. Inquesto modo è possibile far assumere alla figura un’infinità di posizioni e configurazionidifferenti, mentre le proprietà e le relazioni imposte al momento della costruzione si con-servano quando la figura viene modificata. Come afferma Emma Castelnuovo, anche “lacostruzione di una figura con riga e compasso vincola la libertà di pensiero per il fatto cheporta a considerare solo un numero finito di casi: il disegno, per la sua staticità, non stimolal’osservazione e non può quindi condurre a fare scoperte” (Castelnuovo E., 2009).

Queste attività contribuiscono a sviluppare un processo di apprendimento per scoperta:gli allievi, infatti, possono osservare ed esplorare la figura e le sue proprietà, formulare con-getture e ricevere un feedback immediato alle loro ipotesi. In questo modo, secondo Cle-ments9 e in coerenza con quanto affermato da van Hiele, la manipolazione dinamica aiuta

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8 Cfr. Bartolini Bussi M.G., Boni M., Ferri F., (1995), Interazione sociale e conoscenza a scuola: la discussione ma-tematica, Rapporto tecnico n.21 NRD di Modena, Comune di Modena.

9 Clements D. H., Battista M. T., Sarama J., Swaminathan S., (1997), Development of students’ spatial thinkingin a unit on geometric motions and area, in The Elementary School Journal, 98 (2), pp. 171-186.

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gli studenti a transitare dal livello della visualizzazione a quello dell’analisi. Queste attività,quindi, contribuiscono allo sviluppo del pensiero matematico facilitando e mettendo in gradogli studenti di procedere ad un livello superiore. Come già anticipato in premessa, ci si è ser-viti dell’ambiente di sviluppo Geogebra mediante il quale sono stati progettati, implementatie sviluppati tutti gli applicativi utilizzati per la sperimentazione che viene presentata in que-sto contributo.

Una delle funzioni più importanti dei DGS, per le implicazioni cognitive che comporta,è il dragging (trascinamento di un oggetto con il mouse). Olivero e Arzarello10 descrivono ledifferenti modalità di dragging osservate nel corso di sperimentazioni condotte con diversistudenti frequentanti la scuola secondaria di II grado:

• Wandering dragging: trascinare a caso i componenti della figura, per scoprire eventuali re-golarità, invarianti, proprietà.

• Bound dragging: trascinare un punto che è già vincolato a un oggetto.• Guided dragging: trascinare i punti base della figura per darle una particolare forma.• Lieu muet dragging: trascinare un punto della figura lungo una traiettoria privilegiata (lieu

muet = percorso silenzioso), costruita empiricamente mediante l’interazione percettivatra figure sullo schermo e movimenti del mouse, in modo da conservare una certa pro-prietà o regolarità.

• Line dragging: segnare i punti che mantengono una proprietà della figura; (con il line drag-ging il lieu muet diventa esplicito a livello visivo).

• Linked dragging: vincolare un punto a un oggetto (ad esempio quello del line dragging,ove possibile) muovendo poi il punto sull’oggetto.

• Dragging test: è la prova del trascinamento effettuata per vedere se la figura disegnata man-tiene quelle proprietà geometriche che le si volevano attribuire (se ciò avviene la figurasupera il test, altrimenti la figura non è stata costruita secondo le proprietà che le si vo-levano attribuire).

La descrizione della ricerca

L’indagine ha coinvolto quattro classi del primo anno della scuola secondaria di primo grado“S. Penna” di Battipaglia per un totale di 80 alunni11. Due classi (il Gruppo di Controllo,GC), per complessivi 40 alunni, hanno seguito il percorso tradizionale con lezioni frontalie attività con “carta e matita”, mentre due classi (il Gruppo Sperimentale, GS), per un totaledi 40 alunni, sono state impegnate in attività di esplorazione di figure dinamiche mediantegli applicativi all’uopo sviluppati seguendo un itinerario che ha avuto come base di riferi-mento la teoria di van Hiele.

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10 Olivero F. (1999), Cabri-géomètre as a mediator in the process of transition to proofs in open geometric situations. In:W. Maull & J. Sharp (eds), Proceedings of the 4th International Conference on Technology in MathematicsTeaching, University of Plymouth, UK; Arzarello, Olivero, Paola, Robutti (2002), A cognitive analysis ofdragging practices in Cabri environments, ZDM 2002,34(3).

11 Non potendo procedere al campionamento dei soggetti, siamo ricorsi ad un disegno quasi-sperimentalecon gruppo di controllo non equivalente. “La parola quasi significa come se o in un certo grado. Così, un quasi-esperimento assomiglia ad un esperimento, ma manca almeno di una caratteristica che può renderlo tale:se in un vero esperimento è possibile assegnare i soggetti alle condizioni sperimentali, in un quasi-esperi-mento i soggetti da assegnare alle diverse condizioni sono selezionati da gruppi già esistenti” (McBurneyD. H., 2001, Metodologia della ricerca in psicologia, Il Mulino, Bologna, p.319).

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La sperimentazione, svolta nei mesi di marzo e aprile del 2009 e per una durata com-plessiva di 20 ore, si è concentrata sui primi tre livelli di van Hiele (visualizzazione, analisi,deduzione informale), che sono quelli più pertinenti per alunni di questa età (11-12 anni),ed è stata articolata in tre fasi.

La prima fase ha avuto lo scopo di investigare e verificare le conoscenze possedute daglialunni sui triangoli, attraverso la somministrazione di test diagnostici e la susseguente di-scussione in classe. Successivamente gli allievi sono stati impegnati in attività di esplorazionedi figure geometriche dinamiche realizzate utilizzando l’ambiente di sviluppo Geogebra. In-fine sono state somministrate delle prove per verificare il livello di analisi di figure geome-triche raggiunto e la capacità di argomentare circa la risposta fornita e/o la strategia adottata.Entriamo nello specifico.

La prima fase, si è detto, ha avuto lo scopo di accertare le conoscenze possedute sull’ar-gomento dagli allievi. A tal fine è stato somministrato un test appositamente predisposto perverificare la situazione di partenza dei due gruppi. Le risposte degli studenti sono state suc-cessivamente oggetto di discussione in classe per stimolare negli allievi osservazioni ed in-terrogativi. In questo modo si è potuto rilevare la presenza di misconcetti e il vocabolarioutilizzato alfine di chiarire il significato di alcuni termini e di introdurne di nuovi.

Nella tabella 1 si riportano i risultati dell’analisi descrittiva. L’elaborazione dei dati è stataeffettuata considerando i punteggi conseguiti nell’area delle conoscenze (ACn, 9 sub-itemper l’accertamento delle conoscenze) e nell’area delle competenze (ACp, 13 sub-item perl’accertamento dei livelli di competenza posseduti).

Tab. 1

Tenuto conto della numerosità ridotta del campione coinvolto, inoltre, si è ritenuto op-portuno, per la verifica delle ipotesi della ricerca, utilizzare il test non parametrico di Mann-Whitney per il confronto dei due campioni (tabb. 2 e 3).

Tab. 2

Tab. 3

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GS GC

Media Dev Media Dev

ACn al pre-test 6,15 1,46 6,03 1,23

ACp al pre-test 0,75 1,13 0,68 1,29

Media dei ranghi Somma dei ranghi

GS 41,00 1640,00 ACn

GC 40,00 1600,00

GS 42,58 1703,00 ACp

GC 38,42 1537,00

Pre-test

ACn ACp

Mann-Whitney U 780,00 717,00

p 0,844 0,351

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Da un punto di vista statistico, l’analisi della situazione di partenza non ha evidenziatosostanziali differenze fra i due gruppi. Questi risultano equivalenti, con una leggera miglioreprestazione complessiva (tab. 1) degli alunni del gruppo sperimentale. Circa il controllo delleprestazioni per genere, inoltre, non si sono rilevate differenze statisticamente significative tramaschi e femmine. Va sottolineato, inoltre, come il test iniziale abbia evidenziato in tutti isoggetti coinvolti ampie carenze relative da un lato all’analisi degli elementi di una figura eil riconoscimento delle proprietà e, dall’altro, alla capacità di mettere in atto nuove strategierisolutive utilizzando le conoscenze possedute (ACp).

Il test iniziale comprendeva cinque domande (per un totale di num. 22 sub-item) chedi seguito vengono descritte. Con la prima si chiedeva di identificare dei triangoli in un in-sieme di figure assegnate (fig. 1) con lo scopo di sondare l’immagine mentale che gli studentiavevano del triangolo (livello di visualizzazione).

Va notato, dall’analisi delle risposte, che di-versi studenti hanno considerato come triangolile figure 1, 4 e, soprattutto, la 6. Nella discus-sione successiva, alla richiesta di motivare lescelte operate, sono state fornite delle spiega-zioni quali:

Il triangolo 1 è un triangolo con la base storta.Il Il triangolo 4 è un triangolo con un lato curvo.Il triangolo 6 è un triangolo con un pezzo mancante.

Quest’ultima risposta, in particolare, ha fattoregistrare una elevata percentuale di rispostesbagliate (intorno all’84%). Alcuni alunni hannocorretto la figura prolungando i due segmentifino a formare il triangolo. Altri, invece, hannodescritto la figura 2 come un “triangolo capo-volto” e la 5 come “un triangolo inclinato”.

Il prototipo di triangolo che più si avvicina alla loro immagine mentale è il triangolo 3,da alcuni definito come un triangolo “perfetto” oppure con frasi del tipo “è proprio untriangolo”.

La seconda e la terza domanda avevano lo scopo di comprendere se gli allievi conosces-sero alcune proprietà fondamentali dei triangoli (proprietà dei lati12 e somma degli angoliinterni). In queste domande si è preferito non inserire delle figure per evitare che gli allievipotessero trarre da esse un valore approssimato che influenzasse la loro risposta.

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12 La proprietà dei lati di un triangolo secondo cui ciascun lato è minore della somma degli altri due lati.

Fig. 1

2. Due lati di un triangolo misurano rispettivamente cm 3 e cm 5. Secondo te, quale potrebbe esserela misura del terzo lato ? Segna con una croce la risposta che ritieni corretta.

� c A. Cm 6 � c C. Cm 10� c B. Cm 8 c D. Qualsiasi lunghezza

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La percentuale di risposte corrette è stata molto bassa in entrambi i gruppi (intorno al15-16%). Agli alunni che hanno risposto correttamente è stato chiesto di motivare la lororisposta, ma solo tre di essi (due del GC e uno del GS) hanno risposto “altrimenti il triangolonon si chiude”. Ciò, almeno in parte, va attribuito alla poca attenzione prestata, nella scuolaprimaria, ad attività di esplorazione e manipolazione di figure geometriche prediligendo ilcalcolo di perimetro e aree che non forniscono, da soli, alcun contributo alla costruzionedel pensiero geometrico.

Anche in questo caso la percentuale di risposte corrette è stata molto bassa in entrambii gruppi (intorno all’11%).

Con il quarto item (fig. 2) era richiesto agli allievi di classificare alcuni triangoli in baseai lati e agli angoli effettuando, se lo ritenevano necessario, anche delle misure. Lo scopodella domanda era quello di comprendere se i ragazzi fossero in grado di riconoscere i varitipi di triangoli e classificarli in mododuplice, vale a dire se erano capaci diriconoscere che un triangolo può es-sere, ad esempio, sia rettangolo cheisoscele.

La maggior parte degli allievi haclassificato i triangoli esclusivamenterispetto ai lati inserendoli in una soladelle seguenti classi: equilatero, iso-scele, scaleno e rettangolo. Per quasitutti gli alunni, in sostanza, se untriangolo appartiene ad una classenon può appartenere contempora-neamente ad un’altra. Diversi hannoclassificato il triangolo 8 come iso-scele “perché il triangolo isoscele èappuntito”. Anche in questo casol’errore è dovuto all’immaginementale che i bambini si sono co-struiti del triangolo isoscele veicola-ta spesso dai libri di testo cherappresentano, il più delle volte, iltriangolo isoscele con la base moltopiù piccola rispetto ai lati obliqui ein posizione orizzontale. Anche perquesto motivo il triangolo 6 è statoclassificato unicamente come rettan-

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Fig. 2

La maggior parte degli allievi ha classificato i triangoli esclusivamente rispetto ai lati inserendoli

in una sola delle seguenti classi: equilatero, isoscele, scaleno e rettangolo. Per quasi tutti gli alunni,

in sostanza, se un triangolo appartiene ad una classe non può appartenere contemporaneamente ad

un’altra. Diversi hanno classificato il triangolo 8 come isoscele “perché il triangolo isoscele è

appuntito”. Anche in questo caso l’errore è dovuto all’immagine mentale che i bambini si sono

costruiti del triangolo isoscele veicolata spesso dai libri di testo che rappresentano, il più delle volte,

il triangolo isoscele con la base molto più piccola rispetto ai lati obliqui e in posizione orizzontale.

Anche per questo motivo il triangolo 6 è stato classificato unicamente come rettangolo e nessuno lo

ha riconosciuto come triangolo isoscele.

Nella quinta domanda (fig. 3), infine, si chiedeva di disegnare l’altezza relativa al lato AB di

alcuni triangoli con lo scopo di sondare il concetto che gli alunni avevano di “altezza relativa alla

base”.

Fig. 3

3. Due angoli interni di un triangolo misurano 70° e 80°. Secondo te, quale potrebbe esserela misura del terzo angolo? Segna con una croce la risposta che ritieni corretta.

� � c A. 30° c D. 180°� � c B. 90° c E. Qualsiasi valore

Fig. 2

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golo e nessuno lo ha riconosciuto co-me triangolo isoscele.

Nella quinta domanda (fig. 3), infine,si chiedeva di disegnare l’altezza relativaal lato AB di alcuni triangoli con lo sco-po di sondare il concetto che gli alunniavevano di “altezza relativa alla base”.

L’alta percentuale di errori, soprat-tutto per le altezze delle figure 2, 5 e 6è stata certamente influenzata dal-l’orientamento della figura. In sostanzal’altezza viene disegnata quasi sempreall’interno del triangolo.

In conclusione, le risposte fornitealla prova ci permettono di avanzare leseguenti riflessioni: gli allievi percepi-scono le figure in base al loro aspettocomplessivo senza essere consapevolidelle loro proprietà e delle relazioni chelegano i vari elementi delle figure (Li-vello 0 di van Hiele); sono emersi moltimisconcetti dovuti spesso alle immaginistandardizzate presentate nei libri di te-sto e alla confusione fra linguaggio na-turale e linguaggio matematico.

Nella seconda fase gli alunni del gruppo sperimentale sono stati impegnati in attività diesplorazione guidata di figure geometriche dinamiche con lo scopo di condurli alla scopertae alla comprensione dei concetti e delle proprietà dei triangoli.

Le attività hanno interessato i seguenti nodi concettuali: proprietà dei lati di un triangolo,somma degli angoli interni ed esterni, relazione fra lati e angoli di un triangolo, altezze, me-diane, bisettrici, assi. Di seguito vengono brevemente descritte le attività più significative.

L’elemento base di ogni attività consiste nella presentazione di una figura geometrica di-namica accompagnata da una scheda contenente delle domande. La figura dinamica è co-stituita, in genere, da un triangolo (fig. 4) che può essere modificato con continuitàtrascinando i vertici con il mouse, facendogli assumere tutte le configurazioni possibili.

Le caselle di controllo permettono di visualizzare i vari elementi (altezze, mediane, bi-settrici, assi, ecc.). Durante il trascinamento sullo schermo vengono visualizzate le misuredelle ampiezze degli angoli e della lunghezza dei segmenti.

La funzione della scheda è quella di guidare e di orientare l’osservazione degli studenti permezzo di domande inducendoli a focalizzare la loro attenzione su una particolare proprietà;infatti, per rispondere alle domande, l’allievo deve manipolare la figura trascinando i suoi ele-menti “liberi” fino a quando essa non soddisfa determinate condizioni, osservare che cosasuccede, fare delle congetture e verificarle. In questa fase l’attività richiede facili compiti, conpoche domande dirette che richiedono una risposta specifica (orientamento guidato).

Gli studenti lavorano in gruppi di due o tre elementi per favorire la discussione. Il docenteriveste il ruolo cruciale di suggeritore/stimolatore, ponendo domande appropriate per fa-vorire la discussione nei gruppi in modo da indirizzare gli studenti a trovare la soluzione.Successivamente le osservazioni e le congetture dei singoli gruppi sono condivise con l’interaclasse e discusse pervenendo a conclusioni accettate da tutti.

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Fig. 2

La maggior parte degli allievi ha classificato i triangoli esclusivamente rispetto ai lati inserendoli

in una sola delle seguenti classi: equilatero, isoscele, scaleno e rettangolo. Per quasi tutti gli alunni,

in sostanza, se un triangolo appartiene ad una classe non può appartenere contemporaneamente ad

un’altra. Diversi hanno classificato il triangolo 8 come isoscele “perché il triangolo isoscele è

appuntito”. Anche in questo caso l’errore è dovuto all’immagine mentale che i bambini si sono

costruiti del triangolo isoscele veicolata spesso dai libri di testo che rappresentano, il più delle volte,

il triangolo isoscele con la base molto più piccola rispetto ai lati obliqui e in posizione orizzontale.

Anche per questo motivo il triangolo 6 è stato classificato unicamente come rettangolo e nessuno lo

ha riconosciuto come triangolo isoscele.

Nella quinta domanda (fig. 3), infine, si chiedeva di disegnare l’altezza relativa al lato AB di

alcuni triangoli con lo scopo di sondare il concetto che gli alunni avevano di “altezza relativa alla

base”.

Fig. 3

Fig. 3

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Al termine segue l’attività di integrazione, affidata all’insegnante, allo scopo di sistematizzarele conoscenze acquisite in un quadro più ampio attraverso la discussione e il confronto. Èin questa fase che lo studente diventa consapevole delle relazioni che intercorrono fra i varielementi della figura, tenta di esprimerle a parole, impara il linguaggio tecnico che accom-pagna l’oggetto di studio creando, in tal modo, una rete concettuale di relazioni.

Si riportano, a questo punto e a titolo esemplificativo, alcune attività svolte con l’ausiliodell’applicativo Triangoli.

Lati di un triangoloQuesta attività ha avuto lo scopo di guidare gli allievi verso la scoperta della seguente pro-prietà dei lati di un triangolo: in ogni triangolo, ciascun lato è minore della somma degli altri duelati.

La figura dinamica (fig. 5) è costituita da tre segmenti consecutivi la cui lunghezza puòessere modificata agendo sugli slider (cursori). Gli estremi C e D possono essere trascinatirestando invariate le lunghezze dei rispettivi segmenti. Gli alunni, divisi in gruppi, avevanoil compito di far coincidere i due estremi per ottenere un triangolo.

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SIRD • Ricerche

L’alta percentuale di errori, soprattutto per le altezze delle figure 2, 5 e 6 è stata certamente influenzata dall’orientamento della figura. In sostanza l’altezza viene disegnata quasi sempre all’interno del triangolo. In conclusione, le risposte fornite alla prova ci permettono di avanzare le seguenti riflessioni: gli allievi percepiscono le figure in base al loro aspetto complessivo senza essere consapevoli delle loro proprietà e delle relazioni che legano i vari elementi delle figure (Livello 0 di van Hiele); sono emersi molti misconcetti dovuti spesso alle immagini standardizzate presentate nei libri di testo e alla confusione fra linguaggio naturale e linguaggio matematico. Nella seconda fase gli alunni del gruppo sperimentale sono stati impegnati in attività di esplorazione guidata di figure geometriche dinamiche con lo scopo di condurli alla scoperta e alla comprensione dei concetti e delle proprietà dei triangoli. Le attività hanno interessato i seguenti nodi concettuali: proprietà dei lati di un triangolo, somma degli angoli interni ed esterni, relazione fra lati e angoli di un triangolo, altezze, mediane, bisettrici, assi. Di seguito vengono brevemente descritte le attività più significative. L’elemento base di ogni attività consiste nella presentazione di una figura geometrica dinamica accompagnata da una scheda contenente delle domande. La figura dinamica è costituita, in genere, da un triangolo (fig. 4) che può essere modificato con continuità trascinando i vertici con il mouse, facendogli assumere tutte le configurazioni possibili. Le caselle di controllo permettono di visualizzare i vari elementi (altezze, mediane, bisettrici, assi, ecc.). Durante il trascinamento sullo schermo vengono visualizzate le misure delle ampiezze degli angoli e della lunghezza dei segmenti.

Fig. 4

La funzione della scheda è quella di guidare e di orientare l’osservazione degli studenti per mezzo di domande inducendoli a focalizzare la loro attenzione su una particolare proprietà; infatti, per rispondere alle domande, l’allievo deve manipolare la figura trascinando i suoi elementi “liberi” fino a quando essa non soddisfa determinate condizioni, osservare che cosa succede, fare delle congetture e verificarle. In questa fase l’attività richiede facili compiti, con poche domande dirette che richiedono una risposta specifica (orientamento guidato). Gli studenti lavorano in gruppi di due o tre elementi per favorire la discussione. Il docente riveste il ruolo cruciale di suggeritore/stimolatore, ponendo domande appropriate per favorire la discussione nei gruppi in modo da indirizzare gli studenti a trovare la soluzione. Successivamente le osservazioni e le congetture dei singoli gruppi sono condivise con l’intera classe e discusse pervenendo a conclusioni accettate da tutti. Al termine segue l’attività di integrazione, affidata all’insegnante, allo scopo di sistematizzare le conoscenze acquisite in un quadro più ampio attraverso la discussione e il confronto. È in questa fase che lo studente diventa consapevole delle relazioni che intercorrono fra i vari elementi della

Fig. 4

Page 64: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Gli alunni si sono resi immediatamente conto che in alcuni casi (triangoli 6, 7 e 8) nonera possibile far coincidere i due estremi per ottenere il triangolo e che ciò dipendeva dallalunghezza dei lati, ma non erano in grado di cogliere la condizione che dovevano soddisfarei tre segmenti per ottenere il triangolo. La discussione collettiva guidata dall’insegnante hacondotto gli alunni a focalizzare la loro attenzione sulla lunghezza dei due segmenti minorie a individuare la proprietà che devono soddisfare per ottenere il triangolo. Alcune rispostefornite dagli allievi per spiegare quello che avevano osservato sono state:

• Annamaria: Ho osservato che alcuni triangoli non si possono costruire come il 6, 7 e 8, perchéhanno il lato più lungo.

• Giorgio: Il triangolo non si può costruire perché AC e BD sono più corti di AB.• Chiara: Quando hanno una lunghezza differente non sufficiente per non far toccare i due punti,secondo me per unire i tre punti c’è bisogno che 2 lati siano uguali e 1 maggiore, oppure uno mag-giore dell’altro.

• Luca: Secondo me la somma dei 2 lati minori deve essere maggiore del lato maggiore per potersiincontrare in un punto.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

64

figura, tenta di esprimerle a parole, impara il linguaggio tecnico che accompagna l'oggetto di studio

creando, in tal modo, una rete concettuale di relazioni.

Si riportano, a questo punto e a titolo esemplificativo, alcune attività svolte con l’ausilio

dell’applicativo Triangoli.

Lati di un triangolo

Questa attività ha avuto lo scopo di guidare gli allievi verso la scoperta della seguente proprietà dei

lati di un triangolo: in ogni triangolo, ciascun lato è minore della somma degli altri due lati.

La figura dinamica (fig. 5) è costituita da tre segmenti consecutivi la cui lunghezza può essere

modificata agendo sugli slider (cursori). Gli estremi C e D possono essere trascinati restando

invariate le lunghezze dei rispettivi segmenti. Gli alunni, divisi in gruppi, avevano il compito di far

coincidere i due estremi per ottenere un triangolo.

Costruisci, se possibile, i triangoli i cui lati hanno le lunghezze

riportate in tabella (il lato AB è il lato più lungo).

Triangolo Lato

AB

Lato

AC

Lato

BD

1 18 9 14

2 20 12 10

3 25 15 12

4 22 18 16

5 21 15 10

6 25 10 13

7 20 9 10

8 25 11 13

Fig. 5

Gli alunni si sono resi immediatamente conto che in alcuni casi (triangoli 6, 7 e 8) non era possibile

far coincidere i due estremi per ottenere il triangolo e che ciò dipendeva dalla lunghezza dei lati, ma

non erano in grado di cogliere la condizione che dovevano soddisfare i tre segmenti per ottenere il

triangolo. La discussione collettiva guidata dall’insegnante ha condotto gli alunni a focalizzare la

loro attenzione sulla lunghezza dei due segmenti minori e a individuare la proprietà che devono

soddisfare per ottenere il triangolo. Alcune risposte fornite dagli allievi per spiegare quello che

avevano osservato sono state:

figura, tenta di esprimerle a parole, impara il linguaggio tecnico che accompagna l'oggetto di studio

creando, in tal modo, una rete concettuale di relazioni.

Si riportano, a questo punto e a titolo esemplificativo, alcune attività svolte con l’ausilio

dell’applicativo Triangoli.

Lati di un triangolo

Questa attività ha avuto lo scopo di guidare gli allievi verso la scoperta della seguente proprietà dei

lati di un triangolo: in ogni triangolo, ciascun lato è minore della somma degli altri due lati.

La figura dinamica (fig. 5) è costituita da tre segmenti consecutivi la cui lunghezza può essere

modificata agendo sugli slider (cursori). Gli estremi C e D possono essere trascinati restando

invariate le lunghezze dei rispettivi segmenti. Gli alunni, divisi in gruppi, avevano il compito di far

coincidere i due estremi per ottenere un triangolo.

Costruisci, se possibile, i triangoli i cui lati hanno le lunghezze

riportate in tabella (il lato AB è il lato più lungo).

Triangolo Lato

AB

Lato

AC

Lato

BD

1 18 9 14

2 20 12 10

3 25 15 12

4 22 18 16

5 21 15 10

6 25 10 13

7 20 9 10

8 25 11 13

Fig. 5

Gli alunni si sono resi immediatamente conto che in alcuni casi (triangoli 6, 7 e 8) non era possibile

far coincidere i due estremi per ottenere il triangolo e che ciò dipendeva dalla lunghezza dei lati, ma

non erano in grado di cogliere la condizione che dovevano soddisfare i tre segmenti per ottenere il

triangolo. La discussione collettiva guidata dall’insegnante ha condotto gli alunni a focalizzare la

loro attenzione sulla lunghezza dei due segmenti minori e a individuare la proprietà che devono

soddisfare per ottenere il triangolo. Alcune risposte fornite dagli allievi per spiegare quello che

avevano osservato sono state:

Fig. 5

Page 65: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

• Francesca: Secondo me i triangoli 6-7-8 non sono possibili perché se sommiamo i lati AC e BDesce un numero più piccolo del lato AB.

• Antonio: Perché se AC e BD sono minori di AB, AC e BD non si possono incontrare in nessunpunto.

Successivamente gli studenti sono stati coinvolti in attività di costruzione di triangolicon lati di lunghezza assegnata utilizzando gli strumenti di Geogebra. Il docente non ha spie-gato il procedimento tecnico, ma ad esso si è giunti attraverso una discussione guidata.

Altezze di un triangoloAl termine della scuola primaria, gli allievi hanno un’immagine mentale dell’altezza di untriangolo ancora in via di accomodamento. Come risulta dalle risposte date dagli alunni du-rante il pretest (fig. 6), la misconcezione più frequente è che il piede dell’altezza di un trian-golo cade sempre sul lato opposto. Questo errore frequente è in parte attribuibile ad unconcetto errato di rette perpendicolari.

Nei libri di testo di geometria per la scuola secondaria di primo grado l’argomento vieneaffrontato dando la definizione di rette perpendicolari e illustrando il procedimento per laloro costruzione con riga e compasso. Normalmente nessun sforzo è fatto per collegarequesto concetto ad una situazione concreta. Il risultato è che gli alunni sanno ripetere ladefinizione di rette perpendicolari ma il più delle volte incontrano difficoltà nel tracciarel’altezza di una figura geometrica quando questa è posta in una posizione non standard.

In questo caso, ed in altri simili, occorre far precedere la trattazione da esperienze voltea ricostruire i nuovi concetti. Tali espe-rienze possono essere situazioni proble-matiche, applicate in un contesto realee motivante per gli studenti, che nonpossono essere risolte con l’applicazionedelle conoscenze già in loro possesso,ma necessitano di sperimentare nuove ediverse strategie. Per questi motivi, pri-ma di affrontare lo studio delle altezzedi un triangolo, gli allievi sono stati im-pegnati in una situazione-problemaavente le scopo di condurli alla ri-co-struzione del concetto di rette perpen-dicolari e di distanza di un punto da unaretta come “distanza più breve”. Agli stu-denti è stato chiesto di risolvere il se-guente compito un appositamentepredisposto utilizzando l’ambiente disviluppo Geogebra (Fig. 7).

65

SIRD • Ricerche

Annamaria: Ho osservato che alcuni triangoli non si possono costruire come il 6, 7 e 8, perché hanno

il lato più lungo.

Giorgio: Il triangolo non si può costruire perché AC e BD sono più corti di AB.

Chiara: Quando hanno una lunghezza differente non sufficiente per non far toccare i due punti,

secondo me per unire i tre punti c’è bisogno che 2 lati siano uguali e 1 maggiore, oppure uno

maggiore dell’altro.

Luca: Secondo me la somma dei 2 lati minori deve essere maggiore del lato maggiore per potersi

incontrare in un punto.

Francesca: Secondo me i triangoli 6-7-8 non sono possibili perché se sommiamo i lati AC e BD esce

un numero più piccolo del lato AB.

Antonio: Perché se AC e BD sono minori di AB, AC e BD non si possono incontrare in nessun punto.

Successivamente gli studenti sono stati coinvolti in attività di costruzione di triangoli con lati di

lunghezza assegnata utilizzando gli strumenti di Geogebra. Il docente non ha spiegato il

procedimento tecnico, ma ad esso si è giunti attraverso una discussione guidata.

Altezze di un triangolo

Al termine della scuola primaria, gli allievi hanno un’immagine mentale dell’altezza di un triangolo

ancora in via di accomodamento. Come risulta dalle risposte date dagli alunni durante il pretest (fig.

6), la misconcezione più frequente è che il piede dell’altezza di un triangolo cade sempre sul lato

opposto. Questo errore frequente è in parte attribuibile ad un concetto errato di rette perpendicolari.

Nei libri di testo di geometria per la scuola secondaria di primo grado l’argomento viene affrontato

dando la definizione di rette perpendicolari e illustrando il procedimento per la loro costruzione con

riga e compasso. Normalmente nessun sforzo è fatto per collegare questo concetto ad una situazione

concreta. Il risultato è che gli alunni sanno ripetere la definizione di rette perpendicolari ma il più

delle volte incontrano difficoltà nel tracciare l’altezza di una figura geometrica quando questa è

posta in una posizione non standard.

Fig. 6

In questo caso, ed in altri simili, occorre far precedere la trattazione da esperienze volte a ricostruire

i nuovi concetti. Tali esperienze possono essere situazioni problematiche, applicate in un contesto

reale e motivante per gli studenti, che non possono essere risolte con l’applicazione delle

conoscenze già in loro possesso, ma necessitano di sperimentare nuove e diverse strategie. Per

questi motivi, prima di affrontare lo studio delle altezze di un triangolo, gli allievi sono stati

impegnati in una situazione-problema avente le scopo di condurli alla ri-costruzione del concetto di

rette perpendicolari e di distanza di un punto da una retta come “distanza più breve”. Agli studenti è

Fig. 6

Page 66: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

I discenti inizialmente hanno affrontato la situazione problematica per tentativi inserendodei punti in prossimità della riva del fiume e misurando la distanza dal punto A fino ad in-dividuare approssimativamente il punto B che rendeva minima la distanza di A dalla rettadel fiume (PQ). A questo punto l’insegnante ha posto alcune domande per stimolare l’os-servazione:

In che posizione devono trovarsi il segmento AB e la retta PQ?Che angolo forma AB con la retta PQ?È un angolo particolare?

Gli allievi dopo aver tracciato il segmento AB e misurato l’angolo che esso forma conPQ (fig. 8a) sono giunti alla conclusione che il percorso più breve si ottiene quando ABforma un angolo retto con la retta PQ (fig. 8b). A questo punto l’insegnante ha spiegato chein questo caso si dice che AB e PQ sono perpendicolari e che Geogebra offre la possibilitàdi tracciare la perpendicolare ad una retta per un punto assegnato e ha illustrato il procedi-mento tecnico. Gli alunni sono stati invitati ad effettuare una verifica costruendo la rettaperpendicolare a PQ passante per A ed osservando che essa si sovrapponeva ad AB. Acquisitocorrettamente il concetto di perpendicolare ad una retta per un punto, si è proceduto adesplorare come variano le altezze di un triangolo e le loro proprietà.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

66

stato chiesto di risolvere il seguente compito un appositamente predisposto utilizzando l’ambiente

di sviluppo Geogebra (Fig. 7).

Un cavaliere vive in una torre e deve

portare ad abbeverare il suo cavallo al

fiume.

Egli parte dal punto A e deve

raggiungere la riva del fiume

rappresentata dalla retta PQ.

Sapresti aiutare il cavaliere ad

individuare il percorso più breve per

giungere al fiume?

Fig. 7

I discenti inizialmente hanno affrontato la situazione problematica per tentativi inserendo dei punti

in prossimità della riva del fiume e misurando la distanza dal punto A fino ad individuare

approssimativamente il punto B che rendeva minima la distanza di A dalla retta del fiume (PQ). A

questo punto l’insegnante ha posto alcune domande per stimolare l’osservazione:

In che posizione devono trovarsi il segmento AB e la retta PQ? Che angolo forma AB con la retta PQ? È un angolo particolare?

Gli allievi dopo aver tracciato il segmento AB e misurato l’angolo che esso forma con PQ (fig. 8a)

sono giunti alla conclusione che il percorso più breve si ottiene quando AB forma un angolo retto

con la retta PQ (fig. 8b). A questo punto l’insegnante ha spiegato che in questo caso si dice che AB

e PQ sono perpendicolari e che Geogebra offre la possibilità di tracciare la perpendicolare ad una

retta per un punto assegnato e ha illustrato il procedimento tecnico. Gli alunni sono stati invitati ad

effettuare una verifica costruendo la retta perpendicolare a PQ passante per A ed osservando che

essa si sovrapponeva ad AB. Acquisito correttamente il concetto di perpendicolare ad una retta per

un punto, si è proceduto ad esplorare come variano le altezze di un triangolo e le loro proprietà.

Fig. 8a Fig. 8b

Anche in questo caso la figura dinamica utilizzata per condurre gli alunni alla scoperta delle

proprietà delle altezze è costituita da un triangolo (fig. 9) i cui vertici possono essere trascinati. Le

caselle di controllo permettono di visualizzare le altezze relative ai tre lati e l’ortocentro. Sullo

schermo vengono visualizzate le ampiezze degli angoli interni per permettere di riconoscere i vari

tipi di triangoli.

stato chiesto di risolvere il seguente compito un appositamente predisposto utilizzando l’ambiente

di sviluppo Geogebra (Fig. 7).

Un cavaliere vive in una torre e deve

portare ad abbeverare il suo cavallo al

fiume.

Egli parte dal punto A e deve

raggiungere la riva del fiume

rappresentata dalla retta PQ.

Sapresti aiutare il cavaliere ad

individuare il percorso più breve per

giungere al fiume?

Fig. 7

I discenti inizialmente hanno affrontato la situazione problematica per tentativi inserendo dei punti

in prossimità della riva del fiume e misurando la distanza dal punto A fino ad individuare

approssimativamente il punto B che rendeva minima la distanza di A dalla retta del fiume (PQ). A

questo punto l’insegnante ha posto alcune domande per stimolare l’osservazione:

In che posizione devono trovarsi il segmento AB e la retta PQ? Che angolo forma AB con la retta PQ? È un angolo particolare?

Gli allievi dopo aver tracciato il segmento AB e misurato l’angolo che esso forma con PQ (fig. 8a)

sono giunti alla conclusione che il percorso più breve si ottiene quando AB forma un angolo retto

con la retta PQ (fig. 8b). A questo punto l’insegnante ha spiegato che in questo caso si dice che AB

e PQ sono perpendicolari e che Geogebra offre la possibilità di tracciare la perpendicolare ad una

retta per un punto assegnato e ha illustrato il procedimento tecnico. Gli alunni sono stati invitati ad

effettuare una verifica costruendo la retta perpendicolare a PQ passante per A ed osservando che

essa si sovrapponeva ad AB. Acquisito correttamente il concetto di perpendicolare ad una retta per

un punto, si è proceduto ad esplorare come variano le altezze di un triangolo e le loro proprietà.

Fig. 8a Fig. 8b

Anche in questo caso la figura dinamica utilizzata per condurre gli alunni alla scoperta delle

proprietà delle altezze è costituita da un triangolo (fig. 9) i cui vertici possono essere trascinati. Le

caselle di controllo permettono di visualizzare le altezze relative ai tre lati e l’ortocentro. Sullo

schermo vengono visualizzate le ampiezze degli angoli interni per permettere di riconoscere i vari

tipi di triangoli.

Fig. 7

Fig. 8a Fig. 8b

Page 67: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Anche in questo caso la figura dinamica utilizzata per condurre gli alunni alla scopertadelle proprietà delle altezze è costituita da un triangolo (fig. 9) i cui vertici possono esseretrascinati. Le caselle di controllo permettono di visualizzare le altezze relative ai tre lati el’ortocentro. Sullo schermo vengono visualizzate le ampiezze degli angoli interni per per-mettere di riconoscere i vari tipi di triangoli.

Gli alunni, guidati dalle schede, visualizzando inizialmente una sola altezza e osservandola sua posizione nei diversi tipi di triangoli (acutangolo, rettangolo e ottusangolo), hannoconstatato che l’altezza del triangolo non è sempre interna ad esso. La discussione collettivaha fatto emergere anche altre ca-ratteristiche non espressamente ri-chieste nella scheda:

• Ins.: In quali casi l’altezza è inter-na al triangolo?

• Valentina: Se il triangolo è acutan-golo l’altezza è interna al triango-lo. Se abbiamo un triangolorettangolo l’altezza è il cateto.

• Chiara: Non è vero, dipende da co-me facciamo l’altezza. Io ho vistoche anche nel triangolo rettangolol’altezza può essere interna. Se peresempio facciamo l’altezza che par-te dall’angolo di 90° l’altezza cadedentro il triangolo anche se è ret-tangolo…

• Emanuela: …nel triangolo rettan-golo due altezze cadono sui catetie una cade dentro il triangolo.

• Luca: Anche nel triangolo ottusan-golo due altezze cadono fuori e unacade dentro. L’altezza che partedall’angolo ottuso cade dentro iltriangolo le altre due cadono fuori.

Caccia al tesoroNella fase dell’orientamento liberogli allievi sono stati impegnati incompiti più complessi e meno fa-miliari rispetto ai precedenti, chepossono essere affrontati e risolti inmodi differenti. L’alunno deve farericorso alle sue conoscenze e allarete di relazioni che si è costruitaper trovare una sua strategia per ri-solvere il problema. Si riporta diseguito una delle attività svolte.

67

SIRD • Ricerche

Fig. 9

Gli alunni, guidati dalle schede, visualizzando inizialmente una sola altezza e osservando la sua

posizione nei diversi tipi di triangoli (acutangolo, rettangolo e ottusangolo), hanno constatato che

l’altezza del triangolo non è sempre interna ad esso. La discussione collettiva ha fatto emergere

anche altre caratteristiche non espressamente richieste nella scheda:

Ins.: In quali casi l’altezza è interna al triangolo?

Valentina: Se il triangolo è acutangolo l’altezza è interna al triangolo. Se abbiamo un triangolo

rettangolo l’altezza è il cateto.

Chiara: Non è vero, dipende da come facciamo l’altezza. Io ho visto che anche nel triangolo

rettangolo l’altezza può essere interna. Se per esempio facciamo l’altezza che parte dall’angolo di

90° l’altezza cade dentro il triangolo anche se è rettangolo…

Emanuela: …nel triangolo rettangolo due altezze cadono sui cateti e una cade dentro il triangolo.

Luca: Anche nel triangolo ottusangolo due altezze cadono fuori e una cade dentro. L’altezza che parte

dall’angolo ottuso cade dentro il triangolo le altre due cadono fuori.

Caccia al tesoro

Nella fase dell’orientamento libero gli allievi sono stati impegnati in compiti più complessi e meno

familiari rispetto ai precedenti, che possono essere affrontati e risolti in modi differenti. L’alunno

deve fare ricorso alle sue conoscenze e alla rete di relazioni che si è costruita per trovare una sua

strategia per risolvere il problema. Si riporta di seguito una delle attività svolte.

Agli alunni (fig.10) è stato posto il seguente problema:

Luca, Silvia e Giulio hanno ritrovato in soffitta una

vecchia mappa sulla quale il pirata Barbanera aveva

annotato il luogo in cui era stato sepolto il suo tesoro.

“Il tesoro è stato sepolto sull’isola di Mathland. Nei

pressi della vecchia torre troverai un tronco d’albero.

A 25 metri da esso spunta una roccia. Il tesoro è stato

sepolto ad una distanza di 20 metri dal tronco (punto

A) e di 28 metri dalla roccia (punto B).”

Dove può essere sepolto il tesoro?

Fig. 10

Fig. 9

Gli alunni, guidati dalle schede, visualizzando inizialmente una sola altezza e osservando la sua

posizione nei diversi tipi di triangoli (acutangolo, rettangolo e ottusangolo), hanno constatato che

l’altezza del triangolo non è sempre interna ad esso. La discussione collettiva ha fatto emergere

anche altre caratteristiche non espressamente richieste nella scheda:

Ins.: In quali casi l’altezza è interna al triangolo?

Valentina: Se il triangolo è acutangolo l’altezza è interna al triangolo. Se abbiamo un triangolo

rettangolo l’altezza è il cateto.

Chiara: Non è vero, dipende da come facciamo l’altezza. Io ho visto che anche nel triangolo

rettangolo l’altezza può essere interna. Se per esempio facciamo l’altezza che parte dall’angolo di

90° l’altezza cade dentro il triangolo anche se è rettangolo…

Emanuela: …nel triangolo rettangolo due altezze cadono sui cateti e una cade dentro il triangolo.

Luca: Anche nel triangolo ottusangolo due altezze cadono fuori e una cade dentro. L’altezza che parte

dall’angolo ottuso cade dentro il triangolo le altre due cadono fuori.

Caccia al tesoro

Nella fase dell’orientamento libero gli allievi sono stati impegnati in compiti più complessi e meno

familiari rispetto ai precedenti, che possono essere affrontati e risolti in modi differenti. L’alunno

deve fare ricorso alle sue conoscenze e alla rete di relazioni che si è costruita per trovare una sua

strategia per risolvere il problema. Si riporta di seguito una delle attività svolte.

Agli alunni (fig.10) è stato posto il seguente problema:

Luca, Silvia e Giulio hanno ritrovato in soffitta una

vecchia mappa sulla quale il pirata Barbanera aveva

annotato il luogo in cui era stato sepolto il suo tesoro.

“Il tesoro è stato sepolto sull’isola di Mathland. Nei

pressi della vecchia torre troverai un tronco d’albero.

A 25 metri da esso spunta una roccia. Il tesoro è stato

sepolto ad una distanza di 20 metri dal tronco (punto

A) e di 28 metri dalla roccia (punto B).”

Dove può essere sepolto il tesoro?

Fig. 10

Fig. 9

Page 68: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Agli alunni (fig.10) è stato posto il seguente problema:

In un primo momento gli alunniprocedono per tentativi. Inseriscono unpunto P e lo trascinano cercando di po-sizionarlo in modo da soddisfare le con-dizioni richieste. Ma questa strategia sidimostra abbastanza difficoltosa e nonpermette di individuare in modo esattoil punto dove è stato seppellito il tesoro.L’insegnante chiede agli alunni di tro-vare un metodo più semplice per indi-viduare esattamente il punto. Gli alunnidiscutendo tra loro si rendono ben pre-sto conto che i tre punti costituiscono ivertici di un triangolo (fig. 11) con i latiassegnati e procedono alla sua costru-zione tracciando le due circonferenzeper individuare il terzo vertice. Si ren-

dono anche conto che la soluzione non è unica.Queste attività aiutano gli allievi a sviluppare la capacità di “modellizzazione matematica”.

L’alunno deve tradurre un problema reale in un modello matematico, trovare la soluzionee valutare se essa è compatibile con il problema reale (fig. 12).

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

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Fig. 9

Gli alunni, guidati dalle schede, visualizzando inizialmente una sola altezza e osservando la sua

posizione nei diversi tipi di triangoli (acutangolo, rettangolo e ottusangolo), hanno constatato che

l’altezza del triangolo non è sempre interna ad esso. La discussione collettiva ha fatto emergere

anche altre caratteristiche non espressamente richieste nella scheda:

Ins.: In quali casi l’altezza è interna al triangolo?

Valentina: Se il triangolo è acutangolo l’altezza è interna al triangolo. Se abbiamo un triangolo

rettangolo l’altezza è il cateto.

Chiara: Non è vero, dipende da come facciamo l’altezza. Io ho visto che anche nel triangolo

rettangolo l’altezza può essere interna. Se per esempio facciamo l’altezza che parte dall’angolo di

90° l’altezza cade dentro il triangolo anche se è rettangolo…

Emanuela: …nel triangolo rettangolo due altezze cadono sui cateti e una cade dentro il triangolo.

Luca: Anche nel triangolo ottusangolo due altezze cadono fuori e una cade dentro. L’altezza che parte

dall’angolo ottuso cade dentro il triangolo le altre due cadono fuori.

Caccia al tesoro

Nella fase dell’orientamento libero gli allievi sono stati impegnati in compiti più complessi e meno

familiari rispetto ai precedenti, che possono essere affrontati e risolti in modi differenti. L’alunno

deve fare ricorso alle sue conoscenze e alla rete di relazioni che si è costruita per trovare una sua

strategia per risolvere il problema. Si riporta di seguito una delle attività svolte.

Agli alunni (fig.10) è stato posto il seguente problema:

Fig. 10

Fig. 9

Gli alunni, guidati dalle schede, visualizzando inizialmente una sola altezza e osservando la sua

posizione nei diversi tipi di triangoli (acutangolo, rettangolo e ottusangolo), hanno constatato che

l’altezza del triangolo non è sempre interna ad esso. La discussione collettiva ha fatto emergere

anche altre caratteristiche non espressamente richieste nella scheda:

Ins.: In quali casi l’altezza è interna al triangolo?

Valentina: Se il triangolo è acutangolo l’altezza è interna al triangolo. Se abbiamo un triangolo

rettangolo l’altezza è il cateto.

Chiara: Non è vero, dipende da come facciamo l’altezza. Io ho visto che anche nel triangolo

rettangolo l’altezza può essere interna. Se per esempio facciamo l’altezza che parte dall’angolo di

90° l’altezza cade dentro il triangolo anche se è rettangolo…

Emanuela: …nel triangolo rettangolo due altezze cadono sui cateti e una cade dentro il triangolo.

Luca: Anche nel triangolo ottusangolo due altezze cadono fuori e una cade dentro. L’altezza che parte

dall’angolo ottuso cade dentro il triangolo le altre due cadono fuori.

Caccia al tesoro

Nella fase dell’orientamento libero gli allievi sono stati impegnati in compiti più complessi e meno

familiari rispetto ai precedenti, che possono essere affrontati e risolti in modi differenti. L’alunno

deve fare ricorso alle sue conoscenze e alla rete di relazioni che si è costruita per trovare una sua

strategia per risolvere il problema. Si riporta di seguito una delle attività svolte.

Agli alunni (fig.10) è stato posto il seguente problema:

Luca, Silvia e Giulio hanno ritrovato in soffitta una

vecchia mappa sulla quale il pirata Barbanera aveva

annotato il luogo in cui era stato sepolto il suo tesoro.

“Il tesoro è stato sepolto sull’isola di Mathland. Nei

pressi della vecchia torre troverai un tronco d’albero.

A 25 metri da esso spunta una roccia. Il tesoro è stato

sepolto ad una distanza di 20 metri dal tronco (punto

A) e di 28 metri dalla roccia (punto B).”

Dove può essere sepolto il tesoro?

Fig. 10

Fig. 10

Fig. 12

Fig. 11

In un primo momento gli alunni procedono per tentativi. Inseriscono un punto P e lo trascinano

cercando di posizionarlo in modo da soddisfare le condizioni richieste. Ma questa strategia si

dimostra abbastanza difficoltosa e non permette di individuare in modo esatto il punto dove è stato

seppellito il tesoro. L’insegnante chiede agli alunni di trovare un metodo più semplice per

individuare esattamente il punto. Gli alunni discutendo tra loro si rendono ben presto conto che i tre

punti costituiscono i vertici di un triangolo (fig. 11) con i lati assegnati e procedono alla sua

costruzione tracciando le due circonferenze per individuare il terzo vertice. Si rendono anche conto

che la soluzione non è unica.

Fig. 11

Queste attività aiutano gli allievi a sviluppare la capacità di “modellizzazione matematica”.

L’alunno deve tradurre un problema reale in un modello matematico, trovare la soluzione e valutare

se essa è compatibile con il problema reale (fig. 12).

Fig. 12

4. Analisi dei risultati

Al termine delle attività é stato somministrato ai due gruppi un post-test finalizzato a verificare il

livello di analisi di figure geometriche raggiunto e la capacità di argomentare circa la risposta

fornita e/o la strategia adottata. Le domande (suddivise in 23 sub-item) erano centrate sui seguenti

concetti geometrici:

� proprietà dei lati di un triangolo: sub-item 1,3,4,5;

� proprietà degli angoli di un triangolo: sub-item 2,3,4,6,7,8,9,10;

� altezze di un triangolo: sub-item 11, 16, 18;

� mediane: sub-item12, 19,21, 22, 23;

� bisettrici: sub-item 13, 17;

� assi: sub-item 14,15, 20;

In un primo momento gli alunni procedono per tentativi. Inseriscono un punto P e lo trascinano

cercando di posizionarlo in modo da soddisfare le condizioni richieste. Ma questa strategia si

dimostra abbastanza difficoltosa e non permette di individuare in modo esatto il punto dove è stato

seppellito il tesoro. L’insegnante chiede agli alunni di trovare un metodo più semplice per

individuare esattamente il punto. Gli alunni discutendo tra loro si rendono ben presto conto che i tre

punti costituiscono i vertici di un triangolo (fig. 11) con i lati assegnati e procedono alla sua

costruzione tracciando le due circonferenze per individuare il terzo vertice. Si rendono anche conto

che la soluzione non è unica.

Fig. 11

Queste attività aiutano gli allievi a sviluppare la capacità di “modellizzazione matematica”.

L’alunno deve tradurre un problema reale in un modello matematico, trovare la soluzione e valutare

se essa è compatibile con il problema reale (fig. 12).

Fig. 12

4. Analisi dei risultati

Al termine delle attività é stato somministrato ai due gruppi un post-test finalizzato a verificare il

livello di analisi di figure geometriche raggiunto e la capacità di argomentare circa la risposta

fornita e/o la strategia adottata. Le domande (suddivise in 23 sub-item) erano centrate sui seguenti

concetti geometrici:

� proprietà dei lati di un triangolo: sub-item 1,3,4,5;

� proprietà degli angoli di un triangolo: sub-item 2,3,4,6,7,8,9,10;

� altezze di un triangolo: sub-item 11, 16, 18;

� mediane: sub-item12, 19,21, 22, 23;

� bisettrici: sub-item 13, 17;

� assi: sub-item 14,15, 20;

Page 69: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Analisi dei risultati

Al termine delle attività è stato somministrato ai due gruppi un post-test finalizzato a veri-ficare il livello di analisi di figure geometriche raggiunto e la capacità di argomentare circala risposta fornita e/o la strategia adottata. Le domande (suddivise in 23 sub-item) eranocentrate sui seguenti concetti geometrici:

• proprietà dei lati di un triangolo: sub-item 1,3,4,5;• proprietà degli angoli di un triangolo: sub-item 2,3,4,6,7,8,9,10; • altezze di un triangolo: sub-item 11, 16, 18;• mediane: sub-item12, 19,21, 22, 23;• bisettrici: sub-item 13, 17;• assi: sub-item 14,15, 20;

Nella tabella 4 si riportano i risultati dell’analisi descrittiva. L’elaborazione dei dati è stataeffettuata considerando i punteggi conseguiti nell’area delle conoscenze (ACn, 8 sub-item)e nell’area delle competenze (ACp, 15 sub-item).

Tab. 4

Nell’ACn i due gruppi non presentano sostanziali differenze. I valori delle medie e delledeviazioni standard sono sostanzialmente omogenei. È nell’ACp, in linea con le nostre ipo-tesi, che le differenze diventano significative oltre che rilevanti. Lo scarto tra le medie è paria 7.33 punti, la dispersione dei punteggi del GC nettamente superiore al 50%.

A sostegno di questi risultati, quanto emerso dall’utilizzazione del test non parametricodi Mann-Whitney ha confermato l’efficacia della sperimentazione e corroborato le stesseipotesi di ricerca (tabb. 5 e 6).

Tab. 5

Tab. 6

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SIRD • Ricerche

Nella tabella 4 si riportano i risultati dell’analisi descrittiva. L’elaborazione dei dati è stata effettuata considerando i punteggi conseguiti nell’area delle conoscenze (ACn, 8 sub-item) e nell’area delle competenze (ACp, 15 sub-item).

GS GC Media Dev Media Dev ACn al post-test 6.55 1.24 6.10 1.39 ACp al post-test 8.85 2.02 1.53 2.48

Tab. 4

Nell’ACn i due gruppi non presentano sostanziali differenze. I valori delle medie e delle deviazioni standard sono sostanzialmente omogenei. È nell’ACp, in linea con le nostre ipotesi, che le differenze diventano significative oltre che rilevanti. Lo scarto tra le medie è pari a 7.33 punti, la dispersione dei punteggi del GC nettamente superiore al 50%. A sostegno di questi risultati, quanto emerso dall’utilizzazione del test non parametrico di Mann-Whitney ha confermato l’efficacia della sperimentazione e corroborato le stesse ipotesi di ricerca (tabb. 5 e 6).

Media dei ranghi Somma dei ranghi GS 44,13 1765,00

ACn GC 36,88 1475,00 GS 58,83 2353,00

ACp GC 22,17 887,00

Tab. 5

Post-test ACn ACp Mann-Whitney U 655,00 67,00

p 0.152 p < 0,01

Tab. 6 Se nell’ACn i risultati sono mediamente comparabili, nell’ACp le differenze sono evidenti e facilmente confrontabili. In sostanza, non si hanno differenze significative fra i due gruppi quando si tratta di affrontare problemi e situazioni di routine come, ad esempio, quando la figura è rappresentata nella posizione standard, riconoscere che la somma degli angoli interni di un triangolo è un angolo piatto (item 2), calcolare un angolo del triangolo noti gli altri due (item 3), oppure individuare gli elementi di un triangolo (altezze, mediane, ecc.) (items 11-14). Le differenze diventano rilevanti, spesso con scarti superiori al 50%, quando gli allievi devono affrontare situazioni che per essere risolte richiedono di saper analizzare gli elementi di una figura e riconoscere le proprietà, oppure quando è necessario mettere in atto nuove strategie risolutive utilizzando le conoscenze possedute. Alcuni esempi. Nell’item 4 (fig. 13), si chiedeva di spiegare perché il triangolo rappresentato era impossibile. Hanno risposto correttamente il 77,3% degli allievi del GS e lo 0% degli allievi del GC.

Nella tabella 4 si riportano i risultati dell’analisi descrittiva. L’elaborazione dei dati è stata effettuata considerando i punteggi conseguiti nell’area delle conoscenze (ACn, 8 sub-item) e nell’area delle competenze (ACp, 15 sub-item).

GS GC Media Dev Media Dev ACn al post-test 6.55 1.24 6.10 1.39 ACp al post-test 8.85 2.02 1.53 2.48

Tab. 4

Nell’ACn i due gruppi non presentano sostanziali differenze. I valori delle medie e delle deviazioni standard sono sostanzialmente omogenei. È nell’ACp, in linea con le nostre ipotesi, che le differenze diventano significative oltre che rilevanti. Lo scarto tra le medie è pari a 7.33 punti, la dispersione dei punteggi del GC nettamente superiore al 50%. A sostegno di questi risultati, quanto emerso dall’utilizzazione del test non parametrico di Mann-Whitney ha confermato l’efficacia della sperimentazione e corroborato le stesse ipotesi di ricerca (tabb. 5 e 6).

Media dei ranghi Somma dei ranghi GS 44,13 1765,00

ACn GC 36,88 1475,00 GS 58,83 2353,00

ACp GC 22,17 887,00

Tab. 5

Post-test ACn ACp Mann-Whitney U 655,00 67,00

p 0.152 p < 0,01

Tab. 6 Se nell’ACn i risultati sono mediamente comparabili, nell’ACp le differenze sono evidenti e facilmente confrontabili. In sostanza, non si hanno differenze significative fra i due gruppi quando si tratta di affrontare problemi e situazioni di routine come, ad esempio, quando la figura è rappresentata nella posizione standard, riconoscere che la somma degli angoli interni di un triangolo è un angolo piatto (item 2), calcolare un angolo del triangolo noti gli altri due (item 3), oppure individuare gli elementi di un triangolo (altezze, mediane, ecc.) (items 11-14). Le differenze diventano rilevanti, spesso con scarti superiori al 50%, quando gli allievi devono affrontare situazioni che per essere risolte richiedono di saper analizzare gli elementi di una figura e riconoscere le proprietà, oppure quando è necessario mettere in atto nuove strategie risolutive utilizzando le conoscenze possedute. Alcuni esempi. Nell’item 4 (fig. 13), si chiedeva di spiegare perché il triangolo rappresentato era impossibile. Hanno risposto correttamente il 77,3% degli allievi del GS e lo 0% degli allievi del GC.

Nella tabella 4 si riportano i risultati dell’analisi descrittiva. L’elaborazione dei dati è stata effettuata considerando i punteggi conseguiti nell’area delle conoscenze (ACn, 8 sub-item) e nell’area delle competenze (ACp, 15 sub-item).

GS GC Media Dev Media Dev ACn al post-test 6.55 1.24 6.10 1.39 ACp al post-test 8.85 2.02 1.53 2.48

Tab. 4

Nell’ACn i due gruppi non presentano sostanziali differenze. I valori delle medie e delle deviazioni standard sono sostanzialmente omogenei. È nell’ACp, in linea con le nostre ipotesi, che le differenze diventano significative oltre che rilevanti. Lo scarto tra le medie è pari a 7.33 punti, la dispersione dei punteggi del GC nettamente superiore al 50%. A sostegno di questi risultati, quanto emerso dall’utilizzazione del test non parametrico di Mann-Whitney ha confermato l’efficacia della sperimentazione e corroborato le stesse ipotesi di ricerca (tabb. 5 e 6).

Media dei ranghi Somma dei ranghi GS 44,13 1765,00

ACn GC 36,88 1475,00 GS 58,83 2353,00

ACp GC 22,17 887,00

Tab. 5

Post-test ACn ACp Mann-Whitney U 655,00 67,00

p 0.152 p < 0,01

Tab. 6 Se nell’ACn i risultati sono mediamente comparabili, nell’ACp le differenze sono evidenti e facilmente confrontabili. In sostanza, non si hanno differenze significative fra i due gruppi quando si tratta di affrontare problemi e situazioni di routine come, ad esempio, quando la figura è rappresentata nella posizione standard, riconoscere che la somma degli angoli interni di un triangolo è un angolo piatto (item 2), calcolare un angolo del triangolo noti gli altri due (item 3), oppure individuare gli elementi di un triangolo (altezze, mediane, ecc.) (items 11-14). Le differenze diventano rilevanti, spesso con scarti superiori al 50%, quando gli allievi devono affrontare situazioni che per essere risolte richiedono di saper analizzare gli elementi di una figura e riconoscere le proprietà, oppure quando è necessario mettere in atto nuove strategie risolutive utilizzando le conoscenze possedute. Alcuni esempi. Nell’item 4 (fig. 13), si chiedeva di spiegare perché il triangolo rappresentato era impossibile. Hanno risposto correttamente il 77,3% degli allievi del GS e lo 0% degli allievi del GC.

Page 70: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Se nell’ACn i risultati sono mediamente comparabili, nell’ACp le differenze sono evidentie facilmente confrontabili. In sostanza, non si hanno differenze significative fra i due gruppiquando si tratta di affrontare problemi e situazioni di routine come, ad esempio, quando lafigura è rappresentata nella posizione standard, riconoscere che la somma degli angoli internidi un triangolo è un angolo piatto (item 2), calcolare un angolo del triangolo noti gli altridue (item 3), oppure individuare gli elementi di un triangolo (altezze, mediane, ecc.) (items11-14).

Le differenze diventano rilevanti, spesso con scarti superiori al 50%, quando gli allievidevono affrontare situazioni che per essere risolte richiedono di saper analizzare gli elementidi una figura e riconoscere le proprietà, oppure quando è necessario mettere in atto nuovestrategie risolutive utilizzando le conoscenze possedute. Alcuni esempi.

Nell’item 4 (fig. 13), si chiedeva di spiegare perché il triangolo rappresentato era impos-sibile. Hanno risposto correttamente il 77,3% degli allievi del GS e lo 0% degli allievi delGC.

Fig. 13

Con il quesito 5 si poneva la seguente situazione problematica:

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

70

L’insegnante di matematica di Luca e di Silvia ha assegnato per casa il seguente esercizio:

Calcola il perimetro di un triangolo isoscele avente i lati di cm 10 e cm 4.

Luca ha calcolato il perimetro nel seguente modo: P = 4 + 4 + 10 = 18 cmInvece Silvia ha calcolato il perimetro in questo modo: P = 10 + 10 + 4 = 24 cm

Secondo te chi ha risposto correttamente ?

Luca � Silvia � Entrambi

Spiega perché:……………………………………………………………………………………………………………………………………

Page 71: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Anche in questo caso, la differenza nelle percentuali di risposte corrette tra i due gruppi èstata rilevante: il 59% degli alunni del GS ha risposto in maniera corretta e nessun alunnodel GC. Nella figura 14 è riportata la risposta data da un alunno del gruppo sperimentale.

Fig. 14

Negli ultimi due quesiti gli alunni dovevano ricostruire un triangolo a partire da alcunisuoi elementi. Con l’item 23 si chiedeva di ricercare il terzo vertice di un triangolo noti glialtri due vertici e il baricentro. Nessun alunno del CG ha risposto correttamente, mentre il27,3% dello SG è stato in grado di ricostruire il triangolo spiegando il procedimento seguito(fig. 15).

Fig. 15

I risultati conseguiti, per concludere, mostrano chiaramente i sensibili progressi ottenutidagli alunni del GS, in linea con le ipotesi formulate. In tal senso e coerentemente con l’ipo-tesi di partenza, l’esame delle prestazioni del GC mostra un incremento non significativo

71

SIRD • Ricerche

Fig. 15

I risultati conseguiti, per concludere, mostrano chiaramente i sensibili progressi ottenuti dagli

alunni del GS, in linea con le ipotesi formulate. In tal senso e coerentemente con l’ipotesi di

partenza, l’esame delle prestazioni del GC mostra un incremento non significativo nell’ACp. Non si

hanno differenze sostanziali fra i due gruppi se si propongono problemi e situazioni di routine (ad

esempio riconoscere che la somma degli angoli interni di un triangolo è un angolo piatto, calcolare

un angolo del triangolo noti gli altri due o individuare gli elementi di un triangolo ). Le differenze

diventano rilevanti quando gli allievi devono affrontare situazioni che per essere risolte richiedono

di saper analizzare gli elementi di una figura e riconoscerne le proprietà, oppure quando è

necessario mettere in atto nuove strategie risolutive utilizzando le conoscenze possedute.

5. Conclusioni

La strada della ricerca e dell’innovazione, delle prove e degli errori, costituisce lo sfondo e

l’orizzonte di senso di una scuola intesa come organizzazione che matura, si sviluppa, apprende ed

aiuta ad apprendere. Bisogna essere in grado, soprattutto, di coniugare il sapere, il saper fare e il

saper essere: sapere cosa, sapere come e sapere chi. Bisogna “imparare a conoscere” e “imparare a

fare”, passando dal concetto di abilità a quello di competenza, ma soprattutto imparare ad essere

scoprendo l’altro e cooperando per raggiungere obiettivi comuni. L’innovazione, se correttamente

pianificata, “entra in ogni livello del quadro educativo, una grande gerarchia che si estende dalle

scuola primarie alla ricerca, e nella quale la relazione tra insegnamento ed apprendimento funziona

come la colla che lega tra loro i vari livelli di scuola” (Freudenthal H., 1994).

In quest’ottica ci siamo orientati per attuare il percorso di sperimentazione che è stato fin qui

descritto. Pur nei limiti oggettivi legati al numero di studenti coinvolti, ci sembra comunque di poter

affermare che i risultati a cui siamo pervenuti possono fornire utili elementi di riflessione.

Appare evidente, analizzando le risposte fornite dagli studenti del gruppo di controllo, come la

maggior parte degli errori sia dovuta alla mancata sistemazione di alcuni nodi concettuali come, ad

esempio, la perpendicolarità, l’angolo, le relazioni fra lati e angoli di un triangolo. Di certo

possiamo affermare che, almeno in questo caso, sono mancate esperienze significative basate

sull’esplorazione e sull’analisi delle figure geometriche.

Le attività didattiche di geometria tradizionali, basate soprattutto sulla lezione frontale, sulla

costruzione geometrica con carta e matita e sul calcolo di lunghezze, angoli o perimetri in contesti

poco significativi sembrano non favorire l’acquisizione dei concetti fondamentali. Anzi, abbiamo

Page 72: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

nell’ACp. Non si hanno differenze sostanziali fra i due gruppi se si propongono problemi esituazioni di routine (ad esempio riconoscere che la somma degli angoli interni di un trian-golo è un angolo piatto, calcolare un angolo del triangolo noti gli altri due o individuare glielementi di un triangolo ). Le differenze diventano rilevanti quando gli allievi devono af-frontare situazioni che per essere risolte richiedono di saper analizzare gli elementi di unafigura e riconoscerne le proprietà, oppure quando è necessario mettere in atto nuove stra-tegie risolutive utilizzando le conoscenze possedute.

Conclusioni

La strada della ricerca e dell’innovazione, delle prove e degli errori, costituisce lo sfondo el’orizzonte di senso di una scuola intesa come organizzazione che matura, si sviluppa, ap-prende ed aiuta ad apprendere. Bisogna essere in grado, soprattutto, di coniugare il sapere, ilsaper fare e il saper essere: sapere cosa, sapere come e sapere chi. Bisogna “imparare a cono-scere” e “imparare a fare”, passando dal concetto di abilità a quello di competenza, ma so-prattutto imparare ad essere scoprendo l’altro e cooperando per raggiungere obiettivicomuni. L’innovazione, se correttamente pianificata, “entra in ogni livello del quadro edu-cativo, una grande gerarchia che si estende dalle scuola primarie alla ricerca, e nella quale larelazione tra insegnamento ed apprendimento funziona come la colla che lega tra loro i varilivelli di scuola” (Freudenthal, 1994).

In quest’ottica ci siamo orientati per attuare il percorso di sperimentazione che è statofin qui descritto. Pur nei limiti oggettivi legati al numero di studenti coinvolti, ci sembracomunque di poter affermare che i risultati a cui siamo pervenuti possono fornire utili ele-menti di riflessione.

Appare evidente, analizzando le risposte fornite dagli studenti del gruppo di controllo,come la maggior parte degli errori sia dovuta alla mancata sistemazione di alcuni nodi con-cettuali come, ad esempio, la perpendicolarità, l’angolo, le relazioni fra lati e angoli di untriangolo. Di certo possiamo affermare che, almeno in questo caso, sono mancate esperienzesignificative basate sull’esplorazione e sull’analisi delle figure geometriche.

Le attività didattiche di geometria tradizionali, basate soprattutto sulla lezione frontale,sulla costruzione geometrica con carta e matita e sul calcolo di lunghezze, angoli o perimetriin contesti poco significativi sembrano non favorire l’acquisizione dei concetti fondamentali.Anzi, abbiamo osservato come molti misconcetti presenti all’inizio del corso permangonoin percentuale non insignificante anche alla fine.

Al contrario, la metodologia adottata e il percorso seguito dal gruppo sperimentale hacondotto gli allievi a ricostruire e riorganizzare le conoscenze geometriche fondamentali,rimuovendo gli ostacoli e i misconcetti emersi nella fase iniziale. L’esplorazione dinamicadelle figure geometriche guidata dalle schede ha fatto maturare negli alunni una maggiorecapacità di osservazione abituandoli a focalizzare l’attenzione sulle proprietà, contribuendoin tal modo a dare il giusto significato ai concetti geometrici.

L’utilizzo di schede guidate spinge gli alunni ad analizzare le caratteristiche visive deltriangolo e a stabilire relazioni fra i vari componenti delle sue parti. Queste attività sono es-senziali per progredire verso il Livello 1, il livello di analisi nella gerarchia di van Hiele, econtribuisce alla costruzione di una rete concettuale sui triangoli e allo sviluppo del pensierogeometrico.

Va rimarcato, tuttavia, che i risultati positivi conseguiti non vanno attribuiti al sempliceutilizzo dell’applicativo Triangoli ma piuttosto all’impianto metodologico utilizzato. L’inte-razione con figure dinamiche, infatti, avvia certamente gli allievi all’esplorazione e alla sco-

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

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Page 73: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

perta delle proprietà geometriche, ma il software da solo non garantisce il passaggio a livellipiù alti di pensiero geometrico.

Un ruolo decisivo hanno giocato la scansione delle attività sulla base delle fasi di appren-dimento di van Hiele, il cooperative learning, le frequenti discussioni sulla condivisionedelle esperienze, così come la presentazione agli alunni di problemi geometrici situati inconcreti contesti di vita quotidiana.

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SIRD • Ricerche

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Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

74

Page 75: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

75

ricercheIl passaggio fra scuola e università: un’analisi didattica

School-University transition:a teaching-learning approach analysis

Un’indagine condotta presso il nostro Ate-neo (2005/2006) relativa agli abbandoniuniversitari aveva messo in evidenza comegli insuccessi degli studenti durante il pri-mo anno potevano essere ricondotti sia alladiscrepanza fra le conoscenze e competen-ze richieste dai docenti universitari e lapreparazione degli studenti sia a fattori fi-nora meno esplorati: modalità di sceltadell’università da parte dello studente; mo-dalità di organizzazione dell’orientamento;sfasamento fra le modalità di interazione fradocenti e studenti a scuola (eccessivo ma-ternage, …) e all’università (richiesta di ade-guamento repentino, non considerazionedegli aspetti socio-relazionali,…); scolla-mento fra le modalità didattiche adottatenella scuola superiore e quelle messe in at-to dai docenti universitari. Negli anni2006/2007 e 2007/2008 è stata condottaun’indagine quantitativa e qualitativa voltaad analizzare questo ultimo aspetto, da cuisono emersi interessanti risultati relativi alleaspettative degli studenti e alle loro rappre-sentazioni rispetto alla didattica universitàe alle discipline trattate, e relative al rappor-to tra modalità didattiche adottate dai do-centi e atteggiamento cognitivo deglistudenti.

Parole chiave: carriera degli studente,continuità, passaggio scuola-univeristà, di-dattica, ricerca qualitativo-quantitativa

A survey conducted at our University(2005/2006) on the university dropouts hadrevealed how the failures of students during thefirst year could be attributed both to the dis-crepancy between the knowledge and skills re-quired by university teachers and preparingstudents to be far less explored factors: how tochoose the University by the student, how toorganize orientation; phase shift between themodes of interaction between teachers and stu-dents at school (excessive mothering) and uni-versity (required for rapid adaptation, noconsideration of social and relational); discon-nection between the teaching methods adoptedin high school and those implemented by aca-demics.In the years 2006/2007 and 2007/2008 asurvey quantitative and qualitative was con-ducted time to analyze the latter, in which werefound interesting results for the expectations ofstudents and their representations in relation touniversity teaching and subject matters, and re-lating to the relationship between teachingmethods adopted by teachers and students' cog-nitive attitude.

Key words: student career, continuity,school-university transition, methodologyof teaching, quantitive-quantitative re-search.

ELISABETTA NIGRIS

• Elisabetta Nigris – Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Milano Bicocca.

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Obiettivi e attività proposte

Nell’a.a. 2007-2008 la commissione Orientamento (Rapporti Scuola-Università) del nostroAteneo, coordinata dalla Prof.ssa Elisabetta Nigris si è posta l’obiettivo di proseguire nel-l’indagine sulle difficoltà e i problemi degli studenti delle scuole superiori nei primi anni diuniversità e i motivi dei conseguenti abbandoni. A questo scopo, negli anni 2007-08 e 2008-09 è stato realizzato un progetto pilota con la facoltà di scienze, per mettere a punto e rea-lizzare alcune iniziative di scambio fra scuola e università, che consentissero di indagare sulledifficoltà degli studenti nel momento del passaggio all’università e individuare alcune stra-tegie di intervento atte a compensare lo iato fra le richieste dell’università da un lato e lapreparazione e le aspettative degli studenti dall’altro.

In questa ottica, si è costituito un gruppo di lavoro composto da docenti universitaridelle facoltà di scienze, di statistica, di economia e di informatica; docenti e collaboratoridella facoltà di scienze della formazione; insegnanti di alcune scuole superiori milanesi.

Il gruppo ha concordato di invitare alcune classi del quarto anno di scuola superioredell’area milanese coinvolte, a seguire due lezioni universitarie, allo scopo di verificare constudenti e docenti le percezioni e gli immaginari degli studenti della scuola superiori, i loropensieri e le loro reazioni dopo avere partecipato ad un momento concreto della didatticauniversitaria.

Le lezioni a cui far accedere gli studenti delle scuole superiori sono state scelte in baseai seguenti criteri:• lezioni del primo anno di corso;• lezioni che affrontavano un tema ex novo con gli studenti universitari, senza richiedere

conoscenze acquisite in altri corsi universitari;• lezioni di docenti che si dimostravano disponibili a mettersi in gioco con studenti della

scuola superiore;• lezioni di più facoltà che dovevano essere suddivise fra discipline scientifiche cosiddette

“hard” e discipline invece più applicative e di più facile accesso.

Soggetti e istituzioni

Le istituzioni e i soggetti che hanno partecipato all’iniziativa di scambio scuola/universitàsono i seguenti:• 178 studenti di 10 classi di scuola superiore (3 licei scientifici e 2 istituti superiori anche

ad indirizzo tecnico), frequentanti il penultimo anno;• 12 docenti delle scuole coinvolte (materie scientifiche e economiche);• 17 docenti universitari di 6 facoltà (matematica, chimica, biologia, statistica, economia,

informatica). • Docenti e ricercatori della facoltà di scienze della formazione

Strumenti di indagine

Gli strumenti che sono stati messi a punto per svolgere l’indagine sono un questionario egli indicatori per condurre le conversazioni in classe.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

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Page 77: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

• Il questionario (vedi allegato), è stato somministrato a tutti gli studenti presenti alla finedi ciascuna lezione, nella stessa aula.

• Le conversazioni sono state condotte in ogni classe che ha partecipato, all’interno dellerispettive scuole, a distanza di 2-3 settimane.

• L’osservazione carta e matita, relative ai comportamenti di studenti e docenti della scuoladurante le lezioni universitarie.

• Focus group coi docenti della scuola.

Le aree tematiche intorno cui vertevano sia i questionari, sia le conversazioni sono le se-guenti:1. somiglianze e differenze rintracciate fra scuola e università: in relazione ai contenuti, al

linguaggio, alle modalità di trattazione dei contenuti, alla dimensione relazionale, alla co-municazione;

2. sensazioni e percezioni riguardo al punto 1;3. difficoltà incontrate nel corso delle lezioni; 4. valutazioni degli studenti su cosa pensano possa risultare utile per:

• stare più attenti,• capire di più,• sentirsi meno estranei,• ...

5. rapporto degli studenti con le materie scientifiche e con la matematica;6. richieste degli studenti su cosa vorrebbero sapere dell’università che non è mai stato loro

spiegato;7. richieste degli studenti su cosa vorrebbero che venisse loro offerto per inserirsi meglio

in una facoltà scientifica.

Analisi dei risultati

Risultati delle osservazioniNei due anni di lavoro, si è potuto osservare come, nella complessità organizzativa dovutaal difficile tentativo di far coincidere tempi dell’università e tempi della scuola, le richiesteda parte degli insegnanti e le caratteristiche dei singoli gruppi classe da un lato e i suggeri-menti dei docenti universitari dall’altro, l’andamento generale dei lavori e i rapporti all’in-terno del gruppo possono essere considerati molto positivi. Gli insegnanti e gli studentihanno dimostrato di aver aderito all’iniziativa con interesse e alta partecipazione. I ragazzihanno apprezzato che le lezioni fossero vere e proprie lezioni universitarie e non lezionicostruite ad hoc per studenti liceali. In un FG un ragazzo dice: “è stato interessante perché ab-biamo partecipato a delle lezioni universitarie, insieme a studenti di un’altra classe, ma non era un in-contro solo per noi, erano lezioni normali”, ossia quelle rivolte agli studenti universitari nellanormale programmazione universitaria.

Come dichiarato da alcuni studenti, le altre lezioni a cui avevano assistito all’Universitàerano state infatti pensate per i liceali e non sono risultate dunque così efficaci nel metterei ragazzi nelle condizioni dello studente universitario, per capire come funziona l’universitàe come “dovranno regolarsi”. In una conversazione una ragazza, che aveva partecipato a lezionidi statistica nella stessa università di Milano-Bicocca dichiara: “queste lezioni erano più auten-tiche, erano lezioni di fisica e matematica nuove, mentre nell’altro corso ci hanno fatto creare un que-stionario che potevamo benissimo fare in classe con la nostra prof.”.

77

SIRD • Ricerche

Page 78: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Gli accompagnatori (docenti della scuola e osservatori del team del Bicocca) hanno con-statato una certa soddisfazione degli studenti e degli insegnanti contestualmente alla finedelle lezioni. È emersa, tuttavia, immediatamente la difficoltà di alcuni studenti a mantenerel’attenzione per l’intera durata della lezione, mentre altri dichiarano di aver seguito e presoappunti. Questo emerge nei FG, dalle frasi, per esempio: “era difficile seguire fino alla fine lalezione”, oppure “nella prima lezione era più difficile prendere gli appunti, il prof. usava le slide ve-locemente”.

Altri invece dicono: “Non me l’aspettavo perché pensavo a una lezione di economia come qualcosadi trascendentale e, invece, è stato piuttosto chiaro e siamo riusciti a seguire anche se non siamo neancheall’ultimo anno di liceo”. Altri studenti hanno detto che la terminologia era “universitaria”,considerando, in positivo, giusto l’uso di questo linguaggio in quanto i docenti universitari“non possono parlare come in una scuola superiore, devono essere più specifici”.

La situazione non cambia quando viene fatta la pausa intermedia. Per molti la secondalezione sembra rivelare tempi di attenzione ancora più brevi. Gli studenti, invece, che di-chiarano che la loro attenzione non è caduta sono in primo luogo quelli che hanno seguitouna sola lezione o che hanno saputo rispondere alle domande poste dal docente universi-tario. Questo aspetto è ampiamente confermato dalle loro dichiarazioni durante le conversa-zioni. In sostanza, abbiamo verificato difficoltà tendenzialmente maggiori a seguire le lezionida parte degli studenti delle classi dei tecnici, ma con l’eccezione per gli studenti che hannopartecipato a lezioni maggiormente interattive. Alcuni studenti dichiarano di aver seguitobene perché sono stati supportati dai loro docenti che li hanno aiutati a capire, contestual-mente alla lezione, alcuni passaggi più complessi spiegati dal professore universitario. Questo,se da un lato mette in luce una legittima soggezione degli studenti rispetto ad un contestoe ad un docente non conosciuto, dall’altro lato dimostra un interesse per quello che succedee un rapporto di familiarità e fiducia con i propri professori. Gli studenti delle classi chehanno partecipato alle lezioni della facoltà di economia sono stati accolti, mezz’ora primadell’inizio, dal preside di facoltà che ha dato loro il benvenuto. L’accoglienza del preside hasorpreso in positivo gli studenti che si sono sentiti presi in considerazione.

Inoltre, evidenziamo che gli studenti sono stati favorevolmente colpiti dall’interventodella prof.ssa Pomello che ha presentato brevemente la facoltà di informatica ed ha accoltole domande poste dagli studenti, alla fine della lezione proposta dalla facoltà.

Analisi dei dati del questionarioAttraverso due domande a risposta multipla sono stati rilevati gli elementi che sono piaciutimaggiormente della lezione e quelli che risultano più sgradevoli. L’analisi nel dettaglio diciò che è stato apprezzato (“è piaciuto”) mette in evidenza quanto l’attenzione dei docentiuniversitari nei confronti degli aspetti comunicativi e relazionali siano stati accolti favore-volmente dagli studenti: considerando tutte le lezioni, questo elemento raccoglie il 43,3%di consensi. Che questo dipenda dalla scelta di lezioni/docenti dove si rileva una particolaresensibilità nei confronti di questi fattori, oppure dal fatto che comunque anche nelle moltelezioni universitarie si riscontri una maggiore cura degli aspetti comunicativo-relazionali, ildato mette in luce come sia fondamentale che la didattica universitaria consideri centrali lerelazioni con gli studenti e la gestione della comunicazione in aula. Questa voce non erapresente nel questionario dello scorso anno ed è stata inserita quest’anno perché era emersapiù volte dalle risposte aperte e dai focus; la voce corrispondente nello scorso questionarioera “dialogo con gli studenti” che raggiungeva però solo il 19,8% dei casi.

Rispetto alle modalità di spiegazione, si conferma come nelle lezioni seguite gli studentiriconoscano un buon grado di chiarezza espositiva al 33,4%, anche se sicuramente non pos-siamo in prospettiva non interrogarci sui quasi 2/3 degli studenti che rispondono diversa-

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

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Page 79: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

mente. Questo dato, andrà infatti collegato agli items successivi relativi a (efficacia degli esempi,chiarezza terminologica, legame col mondo reale e adeguatezza del numero di argomenti trattati).

Infine, ancora una volta gli studenti delle superiori mettono in luce come la dimensionidi libertà e dell’autonomia di cui, secondo loro, possano beneficiare gli studenti universitari,risulta per molti (34,1%) un fattore di apprezzamento. Questo dato, se per un verso potrebbeessere considerato una risorsa rispetto al futuro buon inserimento e adattamento al mondouniversitario, dall’altro lato è comunque in parte contraddittorio se consideriamo il fattoche poi chiedano una maggiore attenzione dei docenti ai ritmi e alle capacità degli studenti.Questa ambiguità, peraltro, è un dato che molti docenti riscontrano nelle matricole a anchein studenti degli anni successivi: da un lato evidenziano comportamenti poco costanti e “di-sciplinati” nel seguire le lezioni e la programmazione universitaria, in nome di questa auto-nomia e libertà, dall’altro lato però richiedono un maternage e un tutoraggio molto strettoquando si trovano in difficoltà.

Le altre voci vanno invece analizzate dopo avere preso in considerazione cosa è piaciutomeno.

Dalle risposte alla domanda “cosa ti è piaciuto di meno?” emerge una certa sofferenzaper il “ritmo della spiegazione” al 28,9%: come nelle conversazioni, gli studenti dichiaranoche a scuola i docenti (e quindi anche gli studenti) sono abituati a rallentare o dosare ilritmo della spiegazione e la quantità dei contenuti proposti in base al ritmo e alla capacitàdi apprendimento dei ragazzi; secondo la percezione degli intervistati, la tendenza dei docentiuniversitari è quello di non adeguare la programmazione didattica in base ai ritmi dell’aula:Questo dato ci interroga sulla necessità di trovare strategie adeguate di monitoraggio del-l’attenzione e dell’apprendimento almeno nei primi anni universitari, così come sul fattoche conseguentemente le prime lezioni e le lezioni del primo anno in genere debbanoessere caratterizzate da una maggiore attenzione alla preparazione degli studenti, alla loroeffettiva capacità di apprendimento e soprattutto all’opportunità di rivedere le modalità diconduzione della didattica, soprattutto rispetto al numero degli argomenti trattati e alla ve-locità con cui vengono esposti. Secondo alcuni studi, la “velocità” nel passare in rassegnadiversi argomenti e/o concetti è legata a quello che viene definito “effetto power point”,ossia la tendenza a pensare che l’ausilio delle slides, di immagini e di sintesi consenta al do-

79

SIRD • Ricerche

Cosa ti è piaciuto di più della lezione che hai seguito? Conteggio % casi colonna

Piaciuto di più: Approccio comunicativo/relazione del professore 129 43,3%

Piaciuto di più: Libertà/autonomia degli studenti 102 34,1%

Piaciuto di più: Chiarezza espositiva 100 33,4%

Piaciuto di più: Argomento trattato 77 25,8%

Piaciuto di più: Metodo di spiegazione 77 25,8%

Piaciuto di più: Strumenti usati 64 21,4%

Piaciuto di più: Atmosfera 55 18,4%

Piaciuto di più: Linguaggio usato dal prpf. 46 15,4%

Piaciuto di più: Uso di esempi 46 15,4%

Piaciuto di più: Ritmo della spiegazione 43 14,4%

Piaciuto di più: Materiali usati 31 10,4%

Piaciuto di più: Ambiente fisico 27 9,0%

Piaciuto di più: Uso di termini tecnici 6 2,0%

Page 80: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

cente di presentare una densità maggiore di argomenti in poco tempo. A questo va aggiuntoil fatto che negli elementi non graditi troviamo l’uso di termini tecnici. Questo aspetto rientranelle questioni spesso discusse rispetto alla didattica universitaria e alla didattica disciplinarein genere. Sicuramente la proprietà di linguaggio e la precisione nell’uso del linguaggio tec-nico, specifico di ogni disciplina o ambito del sapere, rientra negli obiettivi che a diversilivelli e con diverse gradazioni devono porsi gli insegnanti di tutti gli ordini e gradi di scuola.Spesso, però, più un docente è competente nel suo ambito disciplinare oppure soltanto cen-trato sui contenuti, più considera la precisione terminologica un prerequisito e non unobiettivo. Dal punto di vista dei docenti universitari, questo contraddizione è ancora piùsentita, in quanto si dà per scontato che i prerequisiti “debbano” essere acquisiti nei livellidi scuola precedenti, rimandano dunque il problema ai docenti della scuola e/o a un generale“abbassamento del livello” degli studenti, che in ogni caso non può non essere preso inconsiderazione.

Questi dati vanno senza dubbio collegati alla domanda “come collocheresti la lezioneche hai appena seguito” rispetto ad alcuni items che risultano di particolare rilevanza e aquella legata alle difficoltà riscontrate. Un’analisi approfondita delle difficoltà, infatti, mettein evidenza quanto la comprensione dei passaggi durante le spiegazioni (55,6%) e la man-canza di basi e preconoscenze (47,6%) siano nella sostanza i maggiori ostacoli degli studentidelle superiori.

La lezione è stata giudicata dagli studenti anche rispetto a degli item che ne potevanochiarire la propria percezione in una scala da 1 a 6. I risultati sono stati utilizzati per calcolareun punteggio indicizzato (Iscore) che varia da 0 a 1.

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80

Conteggi % casi colonna

Difficoltà riscontrata:

Comprensione di alcuni passaggi o argomenti SI 105 55,6%

Difficoltà di comprensione per mancanza di basi SI 90 47,6%

Linguaggio SI 33 17,5%

Quantità dei contenuti affrontati SI 23 12,2%

Argomenti troppo astratti SI 14 7,4%

Altre difficoltà SI 2 1,1%

Rispetto alle seguenti caratteristiche, come collocheresti la lezione Iscoreche hai appena seguito? (rispondi scegliendo una gradazione da 1 a 6.)

Chiarezza della Spiegazione 0,708733

Efficacia degli Esempi 0,695346

Chiarezza terminologica 0,686901

Legame col mondo reale 0,680239

Adeguatezza numero di argomenti trattati 0,672638

Esplicitazione dei passaggi logici 0,646774

Adeguatezza della Velocità di Esposizione 0,642551

Adeguatezza della durata della Lezione 0,630529

Tuo interesse per l’argomento trattato 0,593184

Page 81: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

È possibile ritenere positivi gli indici più vicini a 1, e quindi riconoscere in ordine difrequenza di risposte, nella chiarezza dell’esposizione, nell’efficacia degli esempi, nella chiarezzaterminologica, nel legame col mondo reale le caratteristiche maggiormente riscontrate degli stu-denti durante le lezioni. Da una prima lettura, che andrebbe sicuramente approfondita, sipotrebbe pensare che le difficoltà degli studenti di fronte alla velocità di spiegazione/numerodegli argomenti trattati e la loro difficoltà di comprensione di alcuni passaggi e del linguaggiotecnico, potrebbe essere compensata da una ancora maggiore attenzione e cura degli esempiriportati dal docente o dei collegamenti con il mondo reale che quest’ultimo riesce a indi-viduare e illustrare.

Risulta invece piuttosto critico l’interesse per l’argomento trattato, ma è anche questoun dato piuttosto attendibile dato che nelle classi delle superiori si ritrovano sia studentiche sono maggiormente orientati ad altre facoltà sia studenti che dopo il diploma cerche-ranno subito un lavoro. Il secondo elemento meno gradito è infatti l’argomento trattato(20,7%), che troviamo però contestualmente anche al 25% tra i più graditi: ne deduciamoche dipenda dalle future scelte dei ragazzi che differiscono naturalmente a seconda dei sog-getti. Questo livello di ambiguità e il numero più basso di frequenze tra gli elementi menograditi, rende necessaria una ulteriore analisi comparata degli items.

In questa tabella sono stati raccolti e messi in comparazione tutti gli items delle domande“cosa ti è piaciuto di più” e “cosa ti è piaciuto di meno”. Considerando le differenze di fre-quenza e di distribuzione percentuale, è possibile avere un quadro più preciso che permettedi leggere le situazioni ambigue. È così possibile capire che “l’argomento trattato” è legatoad aspetti soggettivi, così come tutti gli item che troviamo entro il range 0-10% delle diffe-renze percentuali (colonna diff%). Risulta quindi piuttosto positivo anche il “metodo dispiegazione”, mentre i 3 item che risultano critici rimandano all’ordine già discusso in pre-cedenza: “ritmo della spiegazione” (-14%), l’uso di termini tecnici (-12,5%) e l’ambientefisico (-8,4%). Le considerazioni negative sull’ambiente fisico sono emerse soprattutto que-st’anno rispetto allo scorso anno, ma non sembrano influire più di tanto sulla percezionegenerale dell’evento didattico, se consideriamo gli altri dati quantitativi e qualitativi.

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SIRD • Ricerche

Cosa ti è piaciuto di meno della lezione che hai seguito? Conteggi % casi colonna

Piaciuto di meno:

Ritmo della spiegazione 88 28,9%

Argomento trattato 63 20,7%

Ambiente fisico 53 17,4%

Atmosfera 47 15,5%

Uso dei termini tecnici 44 14,5%

Approccio comunicativo/relazionale del professore 40 13,2%

Chiarezza espositiva 40 13,2%

Strumenti usati 36 11,8%

Metodo di spiegazione 33 10,9%

Materiali usati 28 9,2%

Uso di esempi 21 6,9%

Libertà/autonomia degli studenti 19 6,3%

Linguaggio usato dal prof. 17 5,6%

Page 82: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Contenuti trattati durante le lezioniSolo nel 16,9% dei casi gli studenti dichiarano di aver già trattato in classe i contenuti pre-sentati durante la lezione universitaria seguita, ma più in generale intorno al 50% (16,9 +43,1) hanno rilevato un possibile aggancio fra le loro conoscenze pregresse e i contenutidella lezione universitaria: se alcuni sostengono che si tratta di argomenti già trattati a scuola,altri affermano di avere appreso qualcosa sull’argomento attraverso altre fonti, dove si registraun 8% in più di risposte “in parte” (43%, 1% in parte già studiate a scuola e 50,2% in partegià conosciute).

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

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Piaciuto di più piaciuto di meno

Conteggi % casi colonna Conteggi % casi colonna diff. diff.%

Approccio comunicativo/relazionale del professore

Libertà/autonomia degli studenti

Chiarezza espositiva

Metodo di spiegazione

Linguaggio usato dal prof.

Strumenti usati

Uso di esempi

Argomento trattato

Atmosfera

Materiali usati

Ambiente fisico

Uso dei termini tecnici

Ritmo della spiegazione

129

102

100

77

46

64

46

77

55

31

27

6

43

43,3%

34,1%

33,4%

25,8%

15,4%

21,4%

15,4%

25,8%

18,4%

10,4%

9,0%

2,0%

14,4%

40

19

40

33

17

36

21

63

47

28

53

44

88

13,2%

6,3%

13,2%

10,9%

5,6%

11,8%

6,9%

20,7%

15,5%

9,2%

17,4%

14,5%

28,9%

89

83

60

44

29

28

25

14

8

3

-26

-38

-45

30,1%

27,9%

20,3%

14,9%

9,8%

9,6%

8,5%

5,0%

2,9%

1,2%

-8,4%

-12,5%

-14,6%

Frequenza Percentuale

I contenuti trattati durante la lezione li avevi già studiati a scuola?

Si 55 16,9%

No 110 33,8%

In parte 140 43,1%

Totale 305 93,8%

Non risponde 20 6,2%

Totale 325 100,0%

Frequenza Percentuale

I contenuti trattati durante la lezione li conoscevi già?

Si 54 16,6%

No 95 29,2%

In parte 163 50,2%

Totale 312 96,0%

Non risponde 13 4,0%

Totale 325 100,0%

Page 83: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Analizzando le risposte, emerge che gli studenti che riconoscono i contenuti trattati sidistribuiscono diversamente anche all’interno delle stesse classi, mostrando una probabilecorrelazione fra il dato e i diversi livelli di preparazione, il tempo passato dalla trattazionedell’argomento e forse anche la didattica del docente di quella data classe: nelle classi 4Cdel Virgilio e 4D del Primo Levi si registrano le frequenze più elevate di dichiarazione se-condo cui il tema è stato trattato a scuola, mentre solo nella 4D del Virgilio gli studenti sonounanimi nel dire che l’argomento non è stato trattato precedentemente.

Quello che però interessa in modo specifico la nostra riflessioni relativa al passaggio frascuola e università e la possibile riduzione degli abbandoni è costituita dal fatto che la pos-sibilità di avere già affrontato l’argomento a scuola sembra essere determinante per la buonafruizione della lezione universitaria: il 13,8% di studenti che dichiarano di avere riscontratodifficoltà nel seguire la lezione non avevano affrontato l’argomento a scuola se non in parte,mentre ben l’85,5% di studenti che hanno dichiarato di avere trattato l’argomento a scuolanon hanno riscontrato difficoltà. Anche se si tratta di una variabile di difficile lettura, apparecomunque evidente come possa influenzare la percezione della giornata in università.

83

SIRD • Ricerche

In parte%

38,1

40,0

51,6

45,9

12,9

50,0

76,7

81,3

61,5

15,0

45,9

No%

45,2

57,5

22,6

18,9

87,1

43,8

10,0

6,3

34,6

0,0

36,1

Si%

16,7

2,5

25,8

35,1

0,0

6,3

13,3

12,5

3,8

85,0

18,0

TotaleConteggio

42

40

31

37

31

32

30

16

26

20

305

In parteConteggio

16

16

16

17

4

16

23

13

16

3

140

NoConteggio

19

23

7

7

27

14

3

1

9

0

110

SiConteggio

7

1

8

13

0

2

4

2

1

17

55

2 B

2 C

4 D

4 C

4 D

4 X C

4 A

4 B

4Ct

4 At

Frequenza Percentuale

Hai riscontrato difficoltà con gli argomenti trattati a lezione?

Si 45 13,8

No 121 37,2

In parte 146 44,9

Totale 312 96,0

Non risponde 13 4,0

Totale 325 100,0

Beccaria

Beccaria

Primo Levi

Virgilio

Virgilio

Virgilio

Cremona

Cremona Zappa

ITT Pasolini

Totale

Page 84: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

• Se consideriamo questi dati come possibile stimolo all’analisi della didattica universitariae della possibilità di plasmarla in modo da rendere meno problematico il passaggio al-l’università degli studenti delle scuole superiori, questo dato ci spinge a considerare chenon si possono più dare per scontati i prerequisiti finora definiti nei diversi corsi e corsidi laurea, nonché ci suggerisce alcuni possibili accorgimenti che potrebbero ridurre infuturo gli abbandoni.

In generale, comunque, la lezione appare comunque nel suo complesso vissuta piuttostopositivamente, soprattutto considerando che meno di un terzo degli studenti l’ha trovatapesante per la sua durata.

Più specificamente, però, Il 25,2% ha rilevato la difficoltà nel potersi inserire con do-mande o partecipare attivamente (sia per quanto riguarda loro che gli studenti universitaripresenti), il 19,8% non ha apprezzato l’assenza di pause. Solo il 14,7% ha rilevato l’assenzadi controllo, da parte del docente, nella gestione dell’aula; questa questione è stata più volteripresa nel corso dei focus e rimarcata anche nella sperimentazione dell’anno scorso.

Anche l’attenzione ha influito sulla percezione della lezione: il 33,2% degli studenti di-chiara di essere riuscito a stare attento per tutto o quasi la lezione, il 24% per circa metà le-zione, il 26,2% è stato attento per periodi frammentati, mentre il 7,4% dopo una primaparte non è più riuscito a seguire.

Giornale Italiano della Ricerca Educativa • III • 1 / GIUGNO • 2010

84

% casi colonna

8,6%

32,4%

59,0%

% casi colonna

30,3%

22,0%

47,7%

Conteggio

12

45

82

Conteggio

33

24

52

% casi colonna

0%

85,5%

14,5%

Conteggio

0

47

8

SI NO IN PARTE

Hia riscontrato difficoltà

con gli argomenti trattati a lezione?

Si

No

In parte

I contenuti trattati durante la lezione

li avevi già studiati a scuola?

Frequenza Percentuale

Quali delle seguenti frasi meglio descrive la tua partecipazione alla lezione?

Percezione lezione:

Ti è passata la durata della lezione 88 28,1%

Ti è sembrato difficile inserirsi con le domande o partecipare attivamente 79 25,2%

Ti è pesata l’assenza di pause 62 19,8%

Rapporto docente/studente impersonale 47 15,0%

Hai notato l’assenza di controllo da parte del docente 46 14,7%

Difficoltà nel prendere appunti 44 14,1%

Altro 7 2,2%

Page 85: Giornale Italiano della Ricerca Educativa

Le cause delle disattenzioni si sono concentrati su diversi fattori:• la stanchezza fisica nel 43,4% dei casi: questo dato è collegabile alla difficoltà degli studenti

della scuola superiore a mantenere una certa concentrazione e dose di attenzione per unlungo periodo (dato su cui è sicuramente necessario riflettere con gli insegnanti dellescuole superiori.)

• le difficoltà di comprensione dei contenuti presentati (21,4%): il dato può essere collegatoa quanto si diceva precedentemente rispetto alla necessità di monitorare in aula la com-prensione degli studenti di quanto spiegato, ma anche al fatto che rimane una lezionedel secondo semestre e che gli studenti sono ancora in quarta superiore.

• per il 20,4% degli studenti la “noia” nei confronti della lezione: non è facile analizzare ildato senza ulteriori approfondimenti, in quanto non è possibile distinguere fra la noiasia legata ai contenuti, alle modalità di conduzione o alle caratteristiche degli studenti.

• 10,2% sostiene che la sua disattenzione sia legata alla numerosità di argomenti trattati alezione: il dato non è particolarmente significativi, ma va sicuramente considerato so-prattutto se lo si mette in relazione agli items precedentemente analizzati.

Un dato molto significativo rispetto alla positività dell’esperienza è riscontrabile nellapercentuale di 39,1% di studenti che dichiarano un desiderio di approfondimento della ma-teria dopo avere seguito la lezione. Tale risultato è piuttosto correlato al rapporto del singolostudente con quella data materia trattata a lezione (61,6% di associazione tra chi vuole ap-profondire e chi trova piacere nella materia), ma sicuramente è dovuto anche a come l’ar-gomento è stato trattato a lezione.

Analisi delle conversazioni Come già rilevato, il dato più evidente, ripetuto e sottolineato, è il fatto che l’universitàviene percepita come un ambiente dove gli studenti sono più “liberi”. Frasi ricorrenti sono“ c’è più libertà, c’è più autonomia”, ”sei costretto ad autogestire il tuo studio”, “è un ambiente piùrilassato e più libero, lo studente è molto più autonomo e responsabile”.

C’è l’idea che all’università uno studente studi finalmente solo quello che gli piace edove non si seguono le materie “non gradite”, “è un mettersi alla prova con maggiore possibilitàdi scelta”.

Allo stesso tempo, viene richiesto di essere “più responsabili”: utilizzando le parole deglistudenti, secondo la maggior parte di loro, ”rispetto alla scuola, dove i professori ti accompagnanonella comprensione dei contenuti, e controllano persino che tu stia attento, all’università non c’è unprof-mamma, devi capire da solo, non puoi chiedere di rispiegare, ti senti un numero”.

85

SIRD • Ricerche

Frequenza Percentuale

Quali delle seguenti frasi meglio descrive la tua partecipazione alla lezione?

Sei stato attento per tutta o quasi la lezione 108 33,2%

Sei stato attento per circa metà lezione 78 24,0%

Sei stato attento solo nella prima parte (circa 20 minuti) 24 7,4%

Hai seguito qualche parte, intervallando con momenti di distrazione 85 26,2%

Non sei riuscito a seguire niente o quasi 13 4,0%

Totale 308 94,8%

Non risponde 17 5,2%

Totale 325 100,0%

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Gli studenti ritengono che i loro colleghi universitari siano meno controllati dai docenti,sia rispetto alla loro attenzione durante le lezioni (“Il rapporto è più impersonale: la professoressanon può fermarsi ogni volta che vede qualcuno parlare, non può richiamarli anche perché non li conoscee poi non andrebbe avanti con la lezione perché dovrebbe interrompersi spesso”) sia rispetto alla loropreparazione in itinere (“Non ci sono verifiche, ma solo gli esami finali scritti o orali, nessuna in-terrogazione della settimana. Puoi decidere di frequentare o meno, puoi non studiare in modo costantee rimandare all’esame, rifare l’esame. Puoi rifiutare il voto o rifare l’esame. Non devi andare tutti igiorni, a volte fai mezza giornata. L’organizzazione è individuale e non di classe, ognuno fa per sé,nessuno ti sta addosso e non ti dirà mai: domani riportami il compito firmato”).

È da evidenziare che gli studenti che hanno partecipato ad alcune lezioni sono stati colpitidalla “confusione” e dalla “scarsa attenzione “ soprattutto nelle aule grandi. Negli ultimi banchic’erano studenti che “si facevano i fatti propri, non stavano attenti”. “C’erano molti ragazzi (stu-denti universitari) che continuavano a parlare e si divertivano a spingere le seggiole in avanti, mandavanosms, mangiavano,…”. C’è un certo stupore per le persone che non seguono anche perché“l’università si sceglie, nessuno ti obbliga ad andare”.

Diversa percezione hanno avuto altri studenti presenti alla lezione di matematica che di-cono: “dopo un’ora e mezza c’erano studenti che prendevano ancora appunti. E se uno studente di-sturbava era sbattuto fuori dall’aula.

Un altro dato che viene rilevato è legato alla stanchezza provata dopo una lezione: moltiragazzi trovano difficile stare attenti per un “periodo così lungo”, fanno fatica a mantenerela concentrazione, a prendere appunti, ritenendo un po’ densi i contenuti e la spiegazionetroppo veloce. Alcuni affermano che “la spiegazione era difficile, complicata e senza interruzionie il discorso troppo lungo”. Per qualcuno“è stato pesante: non si riesce a seguire, non si capisce”. Di-chiarano che la scuola dovrebbe prepararli ad affrontare queste difficoltà, di cui sono divenuticonsapevoli (“ci vorrebbe un altro metodo di spiegazione al liceo per capire. All’università vale di piùlo stile del professore, nessuno alza la mano per fare domande. Si parla di meno, c’è meno il confrontotra professore e studente. Ci sono il triplo di studenti rispetto ad una classe delle superiori”. Alcuniaffermano: “…i nostri professori non ci hanno preparato bene (non tutti), non ci sentiamo pronti peraffrontare il test di ingresso dell’università…”.

“Se vuoi seguire devi stare in prima fila, chi era seduto dietro (come me) sentiva lo stesso però confatica”.

Il giudizio non è unanime, infatti altri affermano che “la velocità e il ritmo della lezioneconsentivano agevolmente di prendere appunti: a scuola siamo abituati con dei tempi cortissimi a prendereappunti (non fai a tempo a finire una frase che già ne inizia un’altra …) ”.

Secondo una parte degli studenti le lezioni trattano una quantità di argomenti e contenutidi molto superiore a quella esposta nelle lezioni a scuola (“ho imparato più in una lezione chein una settimana a scuola, all’università danno più riferimenti, trovi gli appunti del professore sul si-to”).

Il professore all’università faceva un “badilata di esempi; gli esempi erano reali, c’era un fortecollegamento con la realtà che gli studenti conoscono (caso Fiat) ”.

Ma non ci si può distrarre: “i docenti universitari non possono parlare come in una scuola su-periore, devono essere più specifici , al liceo si spiega in modo che tu capisca, mentre lì si spiega secondoil metodo del professore”. “I professori non ti aspettano, non puoi fare domande”. Gli studenti hannointuito una differenza nelle modalità di studio in termini di autonomia e rielaborazionepersonale: “Rispetto alla lezione sei tu in un rapporto individuale […] con l’argomento. E quindidevi tentare di percepire più cose possibili, che poi ti saranno utili […]

In una classe gli studenti discutono sulle pause: “in mezzo alla lezione c’era pure un intervallo,una giusta idea che ti permetteva di riprenderti un attimo, di riorganizzarti...”. Per altri invece lepause erano “eccessive nel numero, non avevamo nessun problema a seguire, non aveva senso. Ma il

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professore ha detto che era la prima lezione e non ne avrebbe più concesse così tante, solo nelle primedue lezioni per ingranare.”.

Rispetto alla comprensione dei contenuti e alla reazione degli studenti nei singoli corsi,ci sono posizioni diversissime, spesso opposte fra loro, anche quando riferite alla stessa lezione(“mi mancavano le basi per seguire fisica”, “il linguaggio era tecnico, ma si capiva tutto perché eranocose che avevamo già fatto”, “fisica, l’ho trovata complicata e spiegata con una metodologia complessa,invece la lezione di matematica l’ho trovata molto semplice, parole semplici. Forse anche perché era laprima lezione del semestre di algebra e invece fisica era già il secondo modulo “.“ La lezione sugli al-gortimi era pesante, non avevamo le basi, quella di demografia è stata più chiara e più interessante”.“La lezione di bancaria era più pensante e più difficile, più accattivante quella di economia, anche perl’uso delle slide”.

Gli studenti hanno valutato e confrontato le lezioni, apprezzando sempre gli strumentidi presentazione (lucidi scritti sul momento piuttosto che presentazioni in Power Point).

I commenti relativi ai singoli argomenti, alle specifiche discipline o ai singoli corsi sem-brano caratterizzate più da aspetti emotivi e soggettivi, piuttosto che argomentati secondomotivazioni ragionate e analitiche.

Le posizioni variano in base a: • interesse e curiosità - oppure ostilità - personali per un certo contenuto od una certa

disciplina (“le materie scientifiche mi piacciono, ma non le capisco”). • la percezione che il singolo o la classe hanno rispetto alla loro preparazione, alle loro

conoscenze pregresse, rispetto a quel determinato argomento o a quella disciplina (“puoiavere un interesse per la fisica o per la matematica e non riuscire molto. La maggior parte della classeha un interesse, ma ha difficoltà sia in matematica che in fisica. Abbiamo difficoltà di base, magaricapiamo, ma abbiamo difficoltà nell’applicazione”. Al liceo classico gli studenti affermano; “fac-ciamo poco rispetto agli altri, ma possiamo fare qualunque cosa con la nostra preparazione, chi vaal classico può andare ovunque anche se le materie scientifiche hanno poco spazio”.

• l’idea di “essere portati” o meno per la materia (“più o meno tutti abbiamo inte-resse per le materie scientifiche. Facciamo il liceo scientifico, quindi le materie scientifichesono capite, ci piacciono”. In un’altra classe invece uno studente dice: “la maggioranza varelativamente male in matematica” e, alla domanda del conduttore “Vi piace la matematica?”rispondono: “sì …, no, dipende che parte perché finché è matematica algebrica già la posso sop-portare, ma quando si passa a geometria non c’è niente da fare la mente proprio si chiude”.

• Per alcuni la maggiore o minore comprensione, il maggiore o minore interesse vengonocollegati al fatto che una lezione possa essere più teorica o più applicativa “era difficileperché era tutta teoria e niente pratica”;

• Questo si collega in parte a quanto dichiarano rispetto al loro rapporto con le materiescientifiche: “in altre scuole (liceo scientifico) fanno matematica a un altro livello e gli studentisono più avvantaggiati di noi. O ci mettiamo a fare la matematica che fanno in quelle scuole (è im-possibile !) oppure … non ha senso …”, un altro studente dice: “ci vuole la matematica. Intutte le scuole la matematica deve esserci perché la matematica c’è, più o meno, in tutte le Università.Non è il modo in cui viene proposta la matematica a renderla ostica è proprio la matematica in ge-nerale che non va”.

• Molti, infatti, fanno riferimento al fatto che il loro rapporto con le materie scientifiche,la passione per queste materie e i risultati scolastici in questi ambiti dipendono fortementeda:

• una predisposizione personale (“Matematica è una materia per cui devi essere portato”); • il primo approccio con la disciplina (“Bisogna capire dall’inizio”); il fatto che non siottengono mai risultati positivi, anche studiando e provando a recuperare ”comunque

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io escluderò le materie scientifiche abbastanza a priori senza mai davvero averle capite, senza maiaverle prese in considerazione”. “Sarebbe necessario che ci facessero amare di più la mate-matica perché se non la ami non capisci e se non capisci le basi è uno sfacelo. Poi la odi,vai male e arrivi in quinta che dici la matematica sarà l’ultima delle mie occupazioni”.

• il rapporto con il docente, la sua passione e la sua capacità di trasmettertela (gli studentidi una scuola riconoscono l’importanza di “avere dei professori che amano la propria materiae che ti trasmettono l’amore per la propria materia”. Una studentessa dice: “bisognerebbe già dalliceo portare lo studente e farlo maturare e poi impostare la materia come è fatta. Per esempio, lanostra prof. di matematica imposta le lezioni già come all’università, e questo ci aiuta. Il problemaè che noi veniamo un po’ troppo aiutati , siamo presi in considerazione come persone. Bisognerebbefare questo passo prima, oppure dopo dare un po’ più di tempo”.

Un altro punto che viene ampiamente messo in evidenza da tutti i gruppi classe è quellodella comunicazione e delle relazioni che intercorrono fra i diversi soggetti.

Alcuni lamentano la mancanza del gruppo classe e la mancanza di dialogo. Le personenon si conoscano fra loro e il professore non conosca gli studenti. Il rapporto impersonaledocenti-studenti è narrato attraverso espressioni come: “Con la docente non c’era molto rapporto,il rapporto è freddo: io preferisco così: se segui capisci, se no…”, “c’è un diverso rapporto, di indipen-denza, rispetto alla scuola non si era seguiti, ognuno era libero di seguire o meno”.)

“La professoressa non può richiamare, il rapporto è più impersonale: la professoressa non può fermarsiogni volta che vede qualcuno parlare, non può richiamarli anche perché non li conosce e poi non andrebbeavanti con la lezione perché dovrebbe interrompersi spesso”.

Gli studenti fanno notare poi differenze rispetto al liceo: “il rapporto con il professore, quaal liceo, ti guarda in faccia, ti conosce perfettamente, lì il professore parla a una classe di persone, non c’èpiù la dimensione dell’interrogazione o del professore che si rivolge a te, per cui in un certo senso ècome guardare un film, puoi stare attento o no, il film va avanti lo stesso”.

Rispetto a questo tema, come già relativamente al tema della libertà e responsabilità, siriscontrano delle opinioni contraddittorie e posizioni differenziate. Alcuni studenti, ad esem-pio, rilevano con dispiacere che all’università non c’è la continuità che invece caratterizzala scuola, che nei corsi i ragazzi e anche i professori sono sempre diversi; se per alcuni questonon permette di creare legami e relazioni, “il professore è il professore che spiega e basta; non cisono rapporti tra professori e studenti”, per altri questo evita che i docenti “ti etichettino”, infatti“per i prof. sei solo un numero di matricola, nessun rapporto, cosa che può essere anche positiva. Il pro-fessore del liceo considera il singolo caso, ma ci sono anche le famose preferenze, di voti e quant’altro.Non penso che un prof. in università faccia preferenze, dà un venticinque a uno di cui non saprà più ilnome il giorno dopo, perché è un numero di matricola e basta”.

Anche riguardo alla possibilità/propensione degli studenti universitari di fare domande,da un lato viene notato che in alcuni corsi “nessuno fa domande”; ad alcuni sembra persinoche esista una regola non detta secondo cui non si deve interrompere il docente. “il prof nonviene mai interrotto”. Ad esempio, uno studente afferma: “a scuola i professori aspettano e coin-volgono la classe e puoi permetterti di fare domande; là assolutamente no”.

Più in generale gli studenti affermano che “non c’è molta partecipazione alle lezioni, non c’èmolta interazione fra docente e studente”.

Anche in questo caso, per una parte degli studenti viene ritenuto un aspetto negativoper altri questo si ricollega alla maggiore libertà degli studenti universitari rispetto a quellidelle scuole superiori: “I docenti ti seguono meno; il responsabile di quello che fai sei tu”.

Leggiamo poi percezioni molto negative da parte di alcuni: “il docente avrebbe dovuto in-teragire un po’ di più. Innanzitutto tenere il microfono vicino perché non si sentiva, variare il tono divoce (era piatto e addormentava) e poi interagire con gli studenti: fare qualche battuta, qualche domanda.

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Si sentiva poco, qualcuno lo diceva allora (la docente) alzava la voce per un po’ poi la riabbassava, nellaseconda lezione si seguiva un po’ meglio, era più semplice da capire, il prof. ha affrontato più argomenti,scriveva a mano sui lucidi”.

Si sottolinea l’importanza che il professore mantenga la relazione con il contatto visivo(a matematica), mentre “quello di fisica era quasi sempre voltato che scriveva”.

Quasi tutti concordano sul fatto che i docenti universitari hanno diversi stili relazionalie che questo non crea problemi, sia perché si riconosce che succede anche a scuola, sia per-ché alcuni studenti preferiscono stili comunicativi diversi (più o meno formali, più o menocoinvolgenti, più o meno attenti): alcuni prediligono professori più dialogici e informali;altri cercano e apprezzano – in alcuni casi, perché lo ritengono un segno di maggior pro-fessionalità – uno stile più formale e accademico.

Un aspetto molto menzionato dagli studenti è quello del linguaggio.La maggior parte degli studenti dichiara che viene usato un linguaggio molto specifico,

molto tecnico a cui non sono abituati: “Il linguaggio è molto più specifico, più preciso; spesso itermini usati erano in inglese”. Anche in questo caso, troviamo posizioni differenti: per unaparte di loro questo costituisce un ostacolo alla comprensione (“non si capiva di cosa si stavaparlando”), ma troviamo alcuni per cui questo fatto costituisce un segnale della maggiorcompetenza del professore e del fatto “che si è all’università”, quando dicono “il linguaggio eratecnico, ma si capiva tutto perché erano cose che avevamo già fatto”.

Rispetto alla difficoltà di comprensione dei contenuti trattati, molti fanno riferimentoalla velocità con cui spiega il professore e alla densità dei contenuti che viene illustrata inuna lezione, come abbiamo già accennato. E questi due aspetti, secondo alcuni, potrebberoessere la causa del fatto che gli studenti universitari non fanno domande. Molti studentihanno anche fatto riferimenti alle strategie utilizzate dai docenti universitari che li hannoaiutati a capire meglio i contenuti. Questi dichiarano di esser stati aiutati da: • illustrazione di esempi e riferimenti alla realtà quotidiana, (“il professore faceva degli esempitratti dalla realtà, per esempio il caso FIAT;”);

• uso di immagini (foto della realtà e non solo grafici) Un ultimo aspetto che gli studenti hanno giudicato positivamente è riferito ai materiali,

all’attrezzatura e agli strumenti (grandi lavagne scorrevoli , computer, videoproiettore, mi-crofono, …) usati a lezione che vengono descritti come sofisticati tecnologicamente, al-l’avanguardia. Sono letti dunque come segno di alto livello scientifico-professionaledell’università e come stimolanti: “i professori fanno lezione col microfono, usano molto il video-proiettore per fare lezione “.

Anche l’ambiente è apprezzato: “è bello, grande e luminoso e stimola allo studio”. Gli edificidell’università sono stati percepiti in positivo (“l’odore sapeva di nuovo”, era bella pulita, ben or-ganizzata la struttura interna … c’era lo specchio in bagno!”).

Per alcuni invece l’ambiente ha suscitato ansia: “l’aula grande è dispersiva, troppo spazio vuotoè sgradevole”, qualcuno dice: “l’aula era troppo grande e c’era solo luce artificiale”.

Inoltre, gli studenti segnalano che i professori universitari usano sempre attrezzature mul-timediali (“Era interessante: avere la presentazione in PowerPoint […] delle immagini a cui fare ri-ferimento”). mentre a scuola si usano sporadicamente anche quando ci sono. “In Università,le lezioni sono proposte con lucidi scritti sul momento o presentazioni pronte in Power Point; a scuola,siamo un po’ più spartani: a lezione non vengono mai usate né la lavagna luminosa n il videoproiet-tore.”

Viene considerato positivamente il fatto che si possano portare in aula il portatile e il re-gistratore, “ho visto studenti che prendono appunti col PC”.

Nelle aule grandi, c’è il problema che chi non è davanti non vede. Un’osservazione co-mune a molti studenti riguarda infatti la struttura delle aule: data la presenza di un alto nu-

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mero di studenti, quelle a gradoni permettono di vedere e di seguire meglio le lezioni e glistudenti dicono di sentirsi maggiormente in grado di concentrarsi.

Analisi dei focus group coi docenti

Dall’analisi dei focus groups viene ribadito che i docenti delle scuole hanno apprezzato lariuscita dell’iniziativa e l’apprezzamento da parte degli studenti rispetto alla proposta. Se-condo gli insegnanti: questo incontro ha fornito agli studenti l’opportunità di familiarizzarecon il contesto universitario e di riflettere:• sui loro comportamenti nei confronti dell’attività scolastiche: grado di concentrazione,

capacità di seguire e comprendere un discorso complesso, capacità di prendere appunti,bisogno di essere continuamente monitorati e sostenuti, capacità di prendere in esameautonomamente materiali forniti dal docente, …;

• sulle differenze fra le richieste della scuola e dell’università;sull’esigenza di adeguare gradualmente i loro comportamenti alle richieste che verranno

fatte dai docenti universitari: richieste di maggior responsabilizzazione e autonomia nellostudio e nell’organizzazione del proprio lavoro, richieste di un metodo di studi sistematico,richieste di strumenti e conoscenze di base nei diversi ambiti disciplinari.

Questo secondo anno di esperienza (svolto peraltro in più facoltà) ha confermato che lapossibilità di assistere a lezioni un universitarie vere e proprie non consista in uno strumentoper orientare la scelta verso specifiche facoltà, quanto piuttosto una strategia per facilitare ilpassaggio dal sistema scolastico a quello universitario, riducendo le difficoltà incontrate daglistudenti e prevenendo i possibili disagi che possono favorire gli abbandoni universitari nelprimo anno di corso.

D’altro canto, anche per i docente delle scuole che hanno aderito all’iniziativa, secondole loro dichiarazioni, questa esperienza ha rappresentato uno stimolo a osservare, analizzaree valutare più criticamente sia i comportamenti degli studenti che le loro stesse scelte di-dattiche.

Pur con diverse declinazioni e sfaccettature, a seconda delle scuole di appartenenza, tuttii docenti hanno dichiarato che il poter partecipare a “vere e proprie” lezioni universitarieha messi loro stessi nelle condizioni di:• conoscere maggiormente un mondo universitario in continuo cambiamento che è ormai

molto diverso da quello che hanno sperimentato da studenti;• mettere a confronto la loro didattica e le loro richieste nei confronti dei loro studenti

con quella dei docenti universitari (numero di pagine date da studiare, tipo di studio ri-chiesto, atteggiamento relazionale nei confronti degli studenti, …);

• aprirsi verso la possibilità di modificare entrambi.I docenti delle scuole presenti hanno dunque ribadito la richiesta:• di poter riproporre questa iniziativa anche alle future classi quarte della loro scuola, magari

potendo allargare il gruppo delle classi coinvolte.ma anche la necessità di:• essere accompagnati e sostenuti dai docenti universitari (delle diverse discipline e anche

dell’ambito pedagogico-didattico) nella riflessione e/o revisione rispetto alla didattica daloro proposta nella scuola;

• essere accompagnati e sostenuti dal team di ricerca nel diffondere e trasferire agli altricolleghi della scuola i risultati di queste riflessioni e di questa ricerca, in modo che l’interastruttura scolastica possa beneficiare degli spunti emersi e possa procedere verso formedi cambiamento proficuo e di innovazioni didattiche.

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ricercheComprendere per migliorare lo studio: analisi e riflessioni a partire da un’esperienza biennale di sostegno alle matricole universitarie

Reading comprehension for study improving: analyses and considerationsabout a biennial experience of assistance lab to freshman students

Il problema dello scarso livello della com-prensione del testo negli studenti riguar-da, oltre che i vari gradi del percorsoscolastico (cfr. IEA-ICONA, IEA-SAL,OCSE-PISA, ALL), anche l’istruzioneuniversitaria come testimoniano i diversistudi realizzati in questo segmento diistruzione. Partendo da tali considerazioniin questo contributo vengono presentatii risultati di una ricerca che si è postal’obiettivo di offrire un supporto ai lettoripiù “poveri” e comprendere le loro spe-cifiche difficoltà.Questi studenti sono stati individuati sullabase dei risultati di una prova di compren-sione somministrata poco prima dell’iniziodel percorso universitario a due coorti dimatricole della Facoltà di Scienze dellaFormazione di Bologna per un totale di668 studenti. Attraverso l’analisi dei pun-teggi per tipo di abilità accertate dalla provasono state individuate quelle più criticheper gli studenti e coerentemente a tali esitisono stati progettati e realizzati specifici la-boratori. L’analisi di quanto emerso hapermesso una conoscenza più approfonditadel profilo dei lettori “poveri” e l’elabora-zione di un bilancio dell’esperienza propo-sta.

Parole chiave: comprensione del testo,abilità di lettura, matricole universitarie,attività laboratoriali di supporto, istruzio-ne superiore, ricerca empirica.

The problem about the low level of readingcomprehension also covers students in the uni-versity population as shown by various studiesin this segment of education. Starting fromthese considerations, this paper presents the re-sults of a research whose aim is to provide sup-port to “poor” readers and understand theirspecific difficulties.These students were identified based on theresults of a reading comprehension test admin-istered before the beginning of the degreecourse to two cohorts of freshmen of the Fac-ulty of Education in Bologna for a total of668 students. Through the analysis of scoresby type of skills assessed by the test, the mostcritical for students were identified and specificlaboratories were designed and carried out inagreement with these outcomes. The attendeeswere interviewed. The analysis of the findingsallowed for a better understanding of the“poor” readers profile and for assessing a bal-ance of the proposed experience.

Key words: text comprehension, read-ing skills, low freshman students, labora-tory activities, higher education,empirical study.

ELISA TRUFFELLI

• Elisa Truffelli, ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Ber-tin”, Università di Bologna – e-mail: [email protected]

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Il presente lavoro descrive le riflessioni di ricerca elaborate sulla base dello sviluppo diun percorso di sostegno rivolto alle matricole universitarie di alcuni corsi di laurea dellaFacoltà di Scienze della Formazione di Bologna1. Il quadro problematico dal quale si è

partiti si focalizza sulle competenze in lettura degli studenti che accedono all’università. Di-verse ricerche svolte su questo tema (Santos, 1990; Carelli, 1996; Oliveira, 1996; Pellegrini,1996; Tercanlioglu, 2004; White, 2004; Roberts J. C. & Roberts K. A., 2008; Guise, Goosney,Gordon & Pretty, 2008; Lei, Rhinehart, Howard & Cho, 2010) hanno evidenziato che moltistudenti presentano un basso profilo rispetto alla literacy. Anche nei segmenti di istruzioneprecedenti emergono questi problemi,come testimoniano i risultati delle principali indagini internazionali che si sono occupate

di questo argomento (IEA-ICONA, IEA-SAL, OCSE-PISA, ALL).È unanime ormai il consenso in ambito scientifico circa il fatto che la comprensione del

testo è fondamentale sia per risolvere vari problemi di vita quotidiana (leggere segnali, eti-chette di cibi o tabelle orarie degli autobus), sia per identificare ed estrarre dai testi scritticontenuti specifici e quindi per apprendere dai testi (ad es. Lucisano, 1994). Il sostegno deglistudenti rispetto alla literacy dunque può risultare un elemento importante, in quanto lalettura e la comprensione del testo rappresentano gli aspetti primari nell’attività di studioche uno studente a qualsiasi livello scolastico e anche all’università si trova a compiere.In relazione a tali elementi, nella presente ricerca vengono analizzati i dati emersi nelle

attività laboratoriali appositamente predisposte sulla base degli esiti di prove di comprensionedi testi simili a quelli che sarebbero stati affrontati nel primo anno di università. Le provesono state somministrate a due coorti di iscritti al primo anno dei corsi triennali della facoltàdi Scienze della Formazione dell’ateneo bolognese, poco prima dell’inizio delle lezioni. Inparticolare viene delineato il profilo dei lettori “poveri” che hanno frequentato il laboratoriodi supporto per metterne in luce caratteristiche, esperienze scolastiche in merito alla com-prensione dei testi espositivi e argomentativi (maggiormente rappresentati nei testi d’esame)e i loro feed-back rispetto all’attività di laboratorio proposta.

Presupposti teorici

La comprensione della lettura è essenziale non solo per l’apprendimento in ambito scolastico,ma anche per il successo professionale, per l’esercizio attivo della propria cittadinanza e perun apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Questo è riconosciuto anche dalla ComunitàEuropea nel documento Competenze chiave per l’apprendimento permanente. Un quadro di rife-rimento europeo (Parlamento europeo e del Consiglio, 2007); infatti tra le otto competenzechiave per l’apprendimento permanente che permettono «la propria realizzazione personale,l’inclusione sociale, la cittadinanza attiva» al primo posto troviamo la «comunicazione nellamadre lingua». Essa racchiude tra i suoi elementi costituenti anche la comprensione scritta:

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1 Le attività realizzate in questa indagine rientrano nell’ambito dei progetti di ricerca “Prove iniziali forma-tive” e “Progetto per il riallineamento degli iscritti al primo anno dei corsi triennali” con il coordinamentoscientifico della Prof.ssa Maria Lucia Giovannini. Alla somministrazione delle prove hanno partecipato idottori di ricerca e gli assegnisti di ricerca del gruppo coordinato dalla prof.ssa Maria Lucia Giovannini. Ilaboratori sono stati condotti dalla dott.ssa di ricerca in pedagogia sperimentale Claudia Tordi e dall’auticedel presente contributo.

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«La comunicazione nella madrelingua è la capacità di esprimere e interpretare concetti,pensieri,sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressioneorale,comprensione scritta ed espressione scritta) e di interagire adeguatamente e in modo crea-tivo sul piano linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali, quali istruzione e for-mazione,lavoro, vita domestica e tempo libero.» (Parlamento europeo e del Consiglio, 2007, p.4).

Diverse indagini internazionali (IEA-ICONA, IEA-SAL, OCSE-PISA, ALL) si sono oc-cupate di indagare, tra le altre cose, il livello di competenza in lettura in un numero consi-stente di Paesi a partire dalla scuola primaria fino ad arrivare all’età adulta, anche in ragionedell’importanza che questa capacità riveste nello svolgimento dei compiti che ciascuno dinoi affronta quotidianamente e nell’attività di studio. Per quanto concerne quest’ultima ci preme sottolinearne il riconoscimento anche nel-

l’ambito universitario: nelle prove selettive di ingresso nei corsi di laurea ad accesso limitatonella maggioranza dei casi viene valutata, tra le altre cose, pure la comprensione del testo.Tale scelta è supportata dalle argomentazioni di diversi studiosi. Per esempio Santos (1991)

definisce l’abilità di lettura «fondamentale per lo studente universitario». Levine, Ferenz &Reves (2000) ribadiscono questo concetto, identificando l’abilità di lettura di testi accademicicome «uno dei più importanti elementi che gli studenti universitari devono possedere» eCabaroglu & Yurdaisic (2008) la ritengono «essenziale» per tutti i soggetti in apprendimento. Quando ci si approccia alla lettura dei testi presenti nei programmi di studio a livello

universitario, il compito del lettore diventa più complesso. Questa difficoltà viene evidenziatada più autori. Bell & Limber (2010), per esempio, hanno osservato che «i testi universitaritendono a presentare frasi lunghe e difficili». Cabaroglu & Yurdaisik (2008) sostengono chele difficoltà si legano sia alla terminologia impiegata in questo tipo di testi, sia alla loro strut-tura: infatti; dalle interviste da loro effettuate con un gruppo di docenti universitari è emersoche gli studenti mostrano di possedere una scarsa conoscenza del lessico e della grammatica.Anche Lei, Rhinehart, Howard & Cho (2010) a conclusione del loro studio identificanonel possesso di un ampio bagaglio lessicale un elemento importante per una buona com-prensione dei libri di testo universitari. Roberts J. C. & Roberts K. A., (2008) aggiungono altri elementi problematici. Se infatti

le loro ricerche convergono con quanto esposto sopra, poiché rilevano che gli studenti di-chiarano di avere difficoltà principalmente nella comprensione della terminologia usata neitesti universitari, esse esaminano anche il processo di rielaborazione delle informazioni ri-chiesto in questo segmento di istruzione: leggere a livello universitario, infatti, dal punto divista di questi autori, implica il fatto di costruire significato, arrivare a un livello di com-prensione profonda del messaggio e deve contribuire a portare gli studenti all’elaborazionedi un costrutto forte, stabile e articolato rispetto all’argomento studiato. Fitzgerald (2004)nel presentare una rassegna delle competenze richieste alle matricole universitarie cita trale altre anche il «possesso di un profilo di lettore di alto livello che include capacità di analisie abilità critica», a dimostrazione dell’elevato grado di impegno cognitivo che la lettura ecomprensione dei testi richiede all’università. Le ricerche empiriche, d’altro canto, dimostrano che molti studenti universitari non pre-

sentano un livello di competenza in lettura adeguato per l’istruzione superiore (Santos 1990;Oliveira 1996; Pellegrini, 1996; Tercanlioglu 2004; White, 2004; Roberts J. C. & Roberts K.A., 2008; Guise, Goosney, Gordon & Pretty, 2008; Lei, Rhinehart, Howard & Cho, 2010).Secondo White (2004) uno dei fattori alla base di questa problematica consiste nel fatto

che l’insegnamento della lettura e il supporto agli studenti in questa attività terminano allafine del ciclo di istruzione primaria. Secondo alcuni autori anche se il meccanismo della lettura viene insegnato alla scuola

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primaria, leggere per comprendere è un compito che deve essere coltivato per diversi annie in una certa misura dovrebbe essere promosso anche dall’università: Centofanti, Ferreira,Del Tedesco (1997), per esempio, ritengono che i docenti universitari dovrebbero orientaregli alunni al perfezionamento di questa abilità, mentre secondo Roberts J. C. & Roberts K.A., (2008) essi dovrebbero dedicare una piccola parte del loro corso all’insegnamento distrategie di lettura efficaci per permettere agli studenti di raggiungere una piena compren-sione dei testi che studiano.Entrando maggiormente nel merito degli studi empirici che hanno trattato la compe-

tenza in lettura degli studenti universitari, si possono individuare due filoni. Il primo haposto l’attenzione alle singole sotto-abilità implicate nella lettura (reading skills), per studiarei fattori che determinano una bassa performance e individuare così quali problemi si trovanoa fronteggiare i lettori “poveri” (si veda ad esempio Jakson & Doellinger, 2002; Jakson, 2003;Holmes, 2009). Un secondo filone invece prende in considerazione i lettori di alto profiloe le strategie di lettura da essi impiegate, al fine di trasferirle ai lettori meno efficaci (peresempio Brookbank, Grover, Kullberg & Strawser, 1999; Tercanliogu, 2004; Roberts J. C. &Roberts K. A., 2008; Cabaroglu & Yurdaisik, 2008; Lei, Rhinehart, Howard & Cho, 2010).Il presupposto che sta alla base di questo filone di studi consiste nella convinzione che glistudenti possono essere educati ad usare strategie di lettura efficaci, arrivando in tal modo amigliorare il loro livello di comprensione (Carrel, Pharis & Liberto, 1989).Mokhtari (come citato da Tercanlioglu, 2004, p.565) ha suddiviso le strategie di lettura

in tre categorie: quelle cognitive, quali l’analisi e la sintesi di ciò che viene letto, quelle me-tacognitive, ovvero quelle intenzionalmente pianificate per gestire la propria attività di let-tura, come ad esempio l’autointerrogazione o la previsione dei contenuti che si stanno perleggere e infine quelle di supporto che corrispondono a tutti quegli interventi che aiutanoil lettore a capire meglio il testo, come ad esempio il ricorso a un dizionario, la rilettura dialcune parti di testo o la sottolineatura dei concetti chiave. Per quanto riguarda l’impiego di queste strategie, Teanlioglu (2004) afferma che i lettori

“poveri” anche quando si approcciano a diverse tipologie testuali usano sempre le medesimestrategie. Inoltre, secondo lo studio di Bell & Limber (2010) e i precedenti studi sull’argo-mento cui essi fanno riferimento, i lettori di basso profilo sembrano ricorrere più spessoalla sottolineatura, evidenziando anche maggiori porzioni di testo rispetto ai buoni lettori.Questi ultimi, secondo Sousa (2006) pur facendo uso di tutti i tipi di strategie, prediligonole strategie metacognitive. Molti studenti entrano in possesso di alcune di queste strategie di lettura principalmente

attraverso un percorso di prove ed errori (Roberts J. C. & Roberts K. A., 2008), mentre sipotrebbe trasferire questo bagaglio esperienziale agli studenti tramite un’azione didatticaspecifica. Sia negli studi dedicati alle reading skills sia in quelli che si concentrano sulle strategie di

lettura la focalizzazione è posta sul lettore.Artis (2008) e White (2004) pur presentando tipologie diverse di interventi a supporto

dei lettori “poveri”, giungono entrambi alla conclusione che gli studenti devono impararead adattare il loro ritmo di lettura e le loro strategie al tipo di testo cui si trovano di fronte. Nel presente studio si è partiti dal presupposto che l’orientamento al testo è indispensabile

per indirizzare il lettore verso un’azione di lettura efficace e alla scelta delle strategie chepossono essere più utilmente impiegate per diversi tipi di testo. Pertanto si è cercato di darerilievo sia al lettore e alle strategie di lettura che utilizza, cercando di promuovere una ri-flessione metacognitiva su di esse, sia alle tipologie di testo che si incontrano più comune-mente nello studio all’università, ovvero il testo espositivo e quello argomentativo e sulledifficoltà che tali tipologie possono presentare. Per la definizione di queste due tipologie di

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testo si è fatto riferimento alle definizioni di Colombo (1992): per testo argomentativo si èinteso un «testo in cui l’emittente presenta una (o più) tesi su una materia che assume comecontroversa (o quanto meno controvertibile), presentando le proprie ragioni e ponendo ildestinatario nella condizione di aderire o rifiutare», mentre il testo espositivo è stato definitocome «testo in cui vengono presentate idee, che sono anche motivate e poste in relazionelogiche e casuali, ma non si assume che siano controverse».

Disegno della ricerca e fasi di svolgimento

L’impianto di questo studio biennale è stato focalizzato sull’individuazione e la raccolta diinformazioni riguardo agli studenti con maggiori difficoltà nella comprensione del testo esulla progettazione di un supporto mirato rispetto alle loro esigenze. Ciò ha comportato in-nanzitutto la misurazione del livello di comprensione attraverso una prova che è stata som-ministrata a un campione volontario di 668 matricole dei corsi triennali della Facoltà diScienze della Formazione prima dell’inizio del primo ciclo di corsi negli a.a. 2005/06 e2006/07. Contestualmente a questa fase sono stati raccolti anche dati sulle variabili anagra-fiche e socioculturali di tutti i partecipanti.Inoltre, per offrire un’attività di sostegno mirata si è resa necessaria un’analisi dei risultati

della prova per ciascuna delle abilità accertate dalla stessa; sulla base degli esiti così ottenutisi è passati alla progettazione e realizzazione di interventi a supporto degli studenti con mag-giori difficoltà. Questi ultimi sono risultati 82 nel primo anno e 113 nel secondo, per untotale di 195. Infine, per tracciare un bilancio dell’esperienza di supporto alla lettura offertaloro durante lo svolgimento dell’attività di supporto e al termine della stessa sono stati rilevatidati sulle esperienze pregresse di analisi dei testi degli studenti, sulle loro strategie di letturae feed-back relativi ai laboratori.Di seguito presentiamo nel dettaglio le fasi della ricerca.

1) Qualche mese prima dell’inizio dell’anno accademico le future matricole e i futuri iscrittial primo anno dei corsi triennali sono stati informati attraverso diversi canali comunicativiche si sarebbe svolta una prova di ingresso facoltativa, volta a misurare il loro livello dicomprensione di testi simili a quelli che avrebbero affrontato nel corso del primo anno diuniversità. Poco prima dell’inizio dei corsi è stata somministrata tale prova. Oltre a questaè stato somministrato un breve questionario conoscitivo dello studente. E’ seguita una fasedi analisi ed elaborazione dei dati statistica e docimologica, che ci ha permesso da un latodi suddividere i risultati della prova per tipo di abilità accertata e dall’altro di stabilire unasoglia di accettabilità del livello di comprensione del testo. I risultati così elaborati sonostati restituiti individualmente a tutti i partecipanti all’indagine. Gli studenti che si sonocollocati sotto la soglia sono stati invitati a partecipare a specifiche attività di supporto.

2) In ciascuno dei due anni accademici durante i quali si è svolta l’indagine sono stati pro-gettati i laboratori di supporto, dedicati all’analisi e alle strategie di comprensione deltesto espositivo e del testo argomentativo che costituiscono le due tipologie più rappre-sentate nei testi universitari del primo anno della facoltà dove si è realizzata l’indagine2.Durante i laboratori è stato anche chiesto agli studenti di rispondere ad alcune domanderelative alle loro precedenti esperienze inerenti alla comprensione del testo, alle loro stra-

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2 La scelta di queste due tipologie testuali si è basata sull’analisi dei testi di esame previsti nel primo annoaccademico nei corsi di laurea attivi presso la Facoltà di Scienze della Formazione e coinvolti in questa in-dagine.

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tegie di lettura con particolare riferimento all’attività metacognitiva che essi compionocome lettori: questi ultimi interrogativi avevano innanzitutto lo scopo di rendere gli stu-denti maggiormente consapevoli rispetto Al processo di lettura e in secondo luogo cihanno permesso di raccogliere informazioni utili a comprendere in modo più appro-fondito le loro caratteristiche.

3) Al termine delle attività di laboratorio attraverso interviste di gruppo è stato chiesto aglistudenti di formulare un bilancio dell’attività formativa di supporto realizzata e di espri-mersi in merito alla sua utilità e ai punti di forza e di debolezza che l’hanno caratterizzata.

Partecipanti coinvolti

Lo studio è stato realizzato su due coorti di studenti iscritti al primo anno dei corsi di laureadi durata triennale della Facoltà di Scienze della Formazione3. Come nella maggioranza deicasi di studi che sono indirizzati alla comprensione della lettura in studenti universitari, lapartecipazione all’indagine è stata volontaria. Nell’anno accademico 2005/06 hanno partecipato alle prove di comprensione della let-

tura 365 studenti, mentre nell’anno accademico 2006/07 i partecipanti sono stati 303 perun totale complessivo sui due anni di 668. Nelle successive fasi della ricerca sono stati individuati due sottocampioni: il primo, co-

stituito da tutti gli studenti che si sono collocati al di sotto della sogli di accettabilità, eracostituito da 195 studenti; il secondo, composto dagli studenti che hanno partecipato alleattività laboratoriali, contava 61 studenti.L’età media dei partecipanti complessivi si attesta sui 21 anni, mentre la moda corrisponde

a 19 anni. La percentuale di femmine sul totale del campione è intorno al 92% per entrambele coorti. Ciò rappresenta una caratteristica tipica dei corsi di laurea attivi presso la Facoltàdi Scienze della Formazione dove le iscrizioni storicamente registrano un numero moltoconsistente di femmine.

Obiettivi e scelte metodologiche

Questa ricerca ha perseguito un duplice obiettivo. Da un lato la conoscenza delle caratteri-stiche e delle specifiche difficoltà dei lettori “poveri” in ingresso all’università. Dall’altrol’incremento del loro livello di comprensione dei testi espositivi e argomentativi, affinchéquesto possa avere una ricaduta positiva sulla loro attività di studio. Da questi scopi ne sonoderivati altri. Nella prima fase l’obiettivo che ha guidato l’indagine si può identificare con la conoscenza

e dunque la misura del livello di comprensione del testo generale e specifico per ogni abilitànel campione di studenti che hanno partecipato all’indagine. Il raggiungimento di questoobiettivo ci ha permesso, nella seconda fase, di sviluppare azioni di supporto che, oltre a per-seguire gli obiettivi generali già illustrati, avevano anche le seguenti finalità specifiche:

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3 Educatore Professionale, Operatore Culturale, Formatore, Educatore di Nido e di Comunità Infantile.L’unico corso di laurea, peraltro quadriennale, escluso dalla presente indagine è stato quello di Scienzedella formazione primaria, poiché essendo un corso a numero chiuso prevedeva già una prova di ingresso(in questo caso a carattere selettivo) per gli studenti.

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• aumentare la consapevolezza in questi studenti delle strategie di lettura abitualmenteimpiegate;

• aumentare la loro capacità di individuare e distinguere testi espositivi e argomentativi;• promuovere in questi studenti la riflessione metacognitiva sul processo di lettura.Infine, nella terza fase si è cercato di raggiungere una conoscenza più approfondita delle

caratteristiche dei lettori “poveri” attraverso la rilevazione di dati qualitativi. Oltre a questola fase finale è stata orientata allo sviluppo di riflessioni e bilanci sull’esperienza svolta.Tutte le informazioni raccolte sono state poi incrociate con le variabili quantitative re-

lative alle caratteristiche anagrafiche e socio-cultutrali del campione. La realizzazione della ricerca ha previsto l’adozione di metodologia e strumenti quanti-

tativi e qualitativi. La fase iniziale ha previsto la raccolta di dati quantitativi. Si è scelto di individuare e de-

finire le abilità accertate dalla prova seguendo la classificazione presentata per l’indagineIEA-SAL (Corda Costa, Visalberghi, 1995), messa a punto dal Comitato Scientifico Inter-nazionale IEA-SAL. Le abilità sono le seguenti:• abilità lessicale: conoscenza del significato di uno specifico termine o sintagma; • localizzazione di informazioni: capacità di cercare e identificare informazioni specifichepresenti nel testo;

• elaborazione di inferenze: capacità di ricavare nuove informazioni partendo da quelle con-tenute nel testo;

• riconoscimento dell’idea principale: capacità di individuare il tema centrale, lo scopo o il mes-saggio essenziale del testo o di ampie porzioni di esso. Si è scelto di inserire nella prova testi simili a quelli che gli studenti avrebbero incontrato

nel corso del primo anno di università (ovvero espositivi e argomentativi) e che non ri-chiedessero come presupposto per la comprensione una conoscenza specifica e preliminaredell’argomento trattato. Sulla base del punteggio sull’intera prova ottenuto da ciascuno stu-dente è stata calcolata la soglia di accettabilità al fine di individuare un sottocampione distudenti che presentavano maggiori difficoltà nella comprensione del testo. Per la determi-nazione della soglia di punteggio che discriminava tra lettori di basso profilo e non, si èfatto riferimento a Gattullo, Giovannini (1989). I punteggi degli studenti sono quindi statiripartiti secondo la distribuzione pentenaria e la soglia è stata collocata «all’interno della ri-partizione medio bassa» (ib. p.180) e più precisamente a metà della fascia D, identificandodunque come lettori poveri coloro che erano ricompresi tra la metà inferiore della fascia De la fascia E.Al termine della prova è stato somministrato un breve questionario strutturato contenente

domande sulle caratteristiche anagrafiche e socio culturali degli studenti. Nella seconda fase dell’indagine si è scelto di offrire un supporto agli studenti risultati

sotto la soglia di accettabilità tramite il laboratorio, per garantire l’integrazione del sapere edel saper fare. I laboratori sono stati approvati dalla Facoltà di Scienze della Formazione diBologna4. Come già anticipato le tipologie di testo usate nei laboratori sono state scelte traquelle maggiormente rappresentate nei programmi di esame del primo anno nella Facoltà

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4 La scelta delle date di realizzazione degli incontri è stata condizionata da istanze pragmatiche e da esigenzedi ricerca: da un lato, infatti, si è tenuto conto della densa programmazione didattica della Facoltà di Scienzedella Formazione, evitando sovrapposizione con altre attività di insegnamento, per favorire la partecipazionedegli studenti; dall’altro si è scelto di anticipare il più possibile l’attività di supporto agli studenti, che èstata realizzata entro il primo semestre dell’anno accademico, affinché il supporto potesse essere fornito findai primi esami affrontati.

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di Scienze della Formazione di Bologna. Dall’analisi dei libri di testo adottati in questi esamiè emerso che i testi argomentativi ed espositivi sono le tipologie di testo più comuni. Du-rante i laboratori i testi sono stati scomposti e analizzati, allo scopo di rendere gli studentimaggiormente consapevoli delle differenze tra queste due tipologie testuali. Infine, è statastimolata una riflessione circa le strategie di lettura più adatte per ciascuna tipologia di testoe le strategie comunemente più adottate da ciascuno studente.Nell’ultima fase sono stati raccolti dati qualitativi attraverso interviste di gruppo struttu-

rate.La griglia di intervista ha previsto i seguenti punti:

• esperienze precedenti inerenti alla comprensione del testo;• riflessione sulle proprie strategie di lettura, con particolare riferimento alle strategie me-tacognitive e sulla autovalutazione della comprensione;

• utilità del laboratorio rispetto al miglioramento del proprio livello di lettura finalizzataall’apprendimento;

• fedd-back circa i punti forti e i punti deboli dell’attività di supporto svolta.

Risultati

I risultati della prova che è servita a identificare i lettori “poveri” hanno avuto un andamentosimile nelle due coorti considerate. Come si può leggere nella tab. 1 le abilità risultate più deboli sono l’abilità lessicale e la

capacità di localizzare le informazioni: la percentuale5 delle risposte esatte agli item che mi-suravano queste abilità è rispettivamente del 40% e del 51,9%. Dando uno sguardo com-plessivo ai risultati comunque si può constatare il basso livello generale dell’intero campione,che conferma quanto riscontrato in letteratura (Santos 1990; Oliveira 1996; Pellegrini, 1996;Tercanlioglu, 2004; White, 2004; Roberts J. C. & Roberts K. A., 2008; Guise, Goosney, Gor-don & Pretty, 2008; Lei, Rhinehart, Howard & Cho, 2010).

Abilità 2005/06 2006/07

abilità lessicale 40,0 43,3localizzazione di informazioni 51,9 51,9elaborazione di inferenze 61,3 62,5riconoscimento dell’idea principale 63,3 63,3

TOT (N) 368 304

Tab. 1 -Percentuale di risposte esatte per abilità nelle due coorti esaminate

Nel sottocampione di studenti sotto la soglia di accettabilità questo andamento risultapiù accentuato per tutte le abilità: nel grafico 1 osserviamo valori sensibilmente e significa-tivamente più bassi (p = 0,000).

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5 La percentuale delle risposte esatte è stata calcolata per ciascuna abilità sul totale degli item che la misura-vano.

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In particolare lo scarto maggiore tra intero campione e lettori “poveri” si registra sia ri-spetto alla conoscenza dei termini in coerenza con quanto riscontrato il letteratura (Lei,Rhinehart, Howard e Cho, 2010; Cabaroglu e Yurdaisik, 2008; Roberts J. C. & Roberts K.A., 2008), sia rispetto alla comprensione globale del testo. Le differenze tra le medie deipunteggi del gruppo di studenti sotto soglia che non hanno partecipato alle attività labora-toriali in confronto a quanti hanno partecipato non sono risultate significative.Questi risultati hanno guidato la strutturazione dei laboratori che sono stati sviluppati in

modo da presentare le caratteristiche e gli elementi costitutivi dei testi espositivi e argo-mentativi, nonché le specifiche azioni che il lettore deve compiere di fronte alle difficoltàrappresentate dalla comprensione dei termini e dalla localizzazione delle informazioni. Per quanto concerne i questionari relativi alle variabili assegnate proponiamo alcune ana-

lisi riferite ai 61 studenti che hanno preso parte alle attività di sostegno. Per tracciare unprofilo dei partecipanti alle attività laboratoriali abbiamo ritenuto utile una comparazionetra loro e gli studenti sopra la soglia di accettabilità.

Graf. 1: Percentuale delle risposte esatte per abilità: confronto tra campione totale e studenti sotto soglia

Ci siamo chiesti che tipo di percorso abbiano compiuto i due gruppi prima dell’iscrizioneai nostri corsi. I dati riportati nel grafico 2 mostrano che tra i frequentanti dei laboratori vi è una quota

minore di liceali e in particolare nessuno studente proveniente dal liceo classico, mentresono più rappresentati gli studenti provenienti dagli istituti professionali (25,0% control’11,5%).

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Graf. 2: Tipo di scuola secondaria superiore frequentata: confronto tra studenti sopra soglia e frequentanti i laboratori

Anche l’analisi comparata del voto di maturità ci restituisce un profilo leggermente di-verso tra i due gruppi: l’analisi dei dati ha mostrato una differenza significativa (p< 0,05) trale medie relative al voto di maturità: si avvicina a 78/100 la media per i lettori sopra sogliae a 75/100 quella dei frequentanti dei laboratori. Anche in questo caso non si osservanodifferenze significative tra gli studenti sotto soglia che non hanno partecipato alle attivitàlaboratoriali e quanti vi hanno partecipato.Infine, una quota significativamente maggiore (p< 0,05) di studenti frequentanti il labo-

ratorio si era iscritta in precedenza ad altri corsi di laurea: il 30% contro il 15,8% degli stu-denti sopra la soglia di accettabilità e il 13,6% degli studenti sotto soglia che non hannopreso parte al laboratorio (tab. 3). I motivi che portano a cambiare corso di laurea sono mol-teplici e in questo studio non ci siamo proposti di indagarli, perché esulano dai nostri obiet-tivi di ricerca, ma questo ultimo dato potrebbe essere in linea con l’idea già espressa daalcuni autori che essere bravi lettori è un presupposto fondamentale per il successo accade-mico.

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Studenti Studenti sotto Studenti frequentanti sopra la soglia la soglia non frequentanti il laboratorio

il laboratorio

Sì 84,2% 86,4% 70,0%No 15,8% 13,6% 30,0%

Totale 100,0 100,0 100,0(N) (607) (134) (61)

Tab. 3 Studenti iscritti per la prima volta all’Università:confronto tra studenti con punteggi bassi e frequentanti il laboratorio

Per quanto riguarda le informazioni raccolte durante e al termine delle attività labora-toriali un primo elemento emerso riguarda la scarsa o nulla esperienza svolta a scuola inmerito alla comprensione del testo:

«Sì, ho fatto delle esperienze. La nostra insegnante ci aveva insegnato a trovare la tesi sostenutadall’autore, ma oggi non me lo ricordo più»«Io e lei (altra ragazza presente) abbiamo avuto un’insegnante che non ha fatto niente. Nonabbiamo imparato niente. Lavoravamo di più alle scuole medie. E alle superiori ci dava anchedei voti alti, ma non facevamo niente»

Abbiamo chiesto agli studenti di indicarci quali strategie di lettura normalmente mettonoin atto per leggere e comprendere i testi. Le più adottate sono risultate la sottolineatura,l’individuazione di parole chiave e la rilettura dei passaggi meno chiari, ma non tutti hannomostrato di avere piena consapevolezza dell’impiego di tali strategie:

«Trovare le parole chiave»«Non saprei. Ripeterlo»«Ho riletto più volte le parti che mi erano meno chiare»«Nessuna in particolare»«Leggo il testo poi lo ripasso mentalmente sottolineo poco e non utilizzo strategie particolari»«Ho ripensato ai punti chiave del testo»«Sottolineatura»«Mettere a lato parole chiave»

Rispetto alle tre tipologie di strategie di lettura proposte da Mokhtari (citato in Tercan-lioglu, 2004, p. 565), il nostro campione di studenti risulta essere orientato principalmenteall’impiego di strategie di supporto e non risulta avere familiarità con le altre tipologie distrategie. Infatti, molti studenti hanno avuto difficoltà a rispondere alle specifiche domandeconcernenti le strategie metacognitive come l’attività di auotomonitoraggio del proprioprocesso di lettura (Mentre leggi ti fermi a chiederti se stai capendo bene il testo? Cerchi costantementeun legame logico tra ciò che leggi e il titolo dell’intero testo e/o del paragrafo che stai esaminando?) edi autovalutazione della comprensione di ciò che viene letto (Come verifichi di avere capito ciòche stai leggendo?). Alcuni studenti hanno indicato su quali elementi si basano per verificaredi aver compreso il testo:

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«se so fare un riassunto»« se riesco a ripeterlo»« se lo ripeto senza averlo sotto»« se riesco a farmi degli schemi»

Nessuno, però, ha saputo indicare azioni di monitoraggio rispetto alla propria attività dilettura e comprensione.Data l’importanza riscontrata in letteratura delle strategie metacognitive, che risultano

essere quelle maggiormente impiegate dai bravi lettori, abbiamo illustrato e fatto metterein pratica agli studenti alcune di esse durante i laboratori. A conclusione degli stessi abbiamochiesto agli studenti di esprimere un giudizio sull’utilità di questa esperienza, indicandonepunti di forza e di debolezzaDalle dichiarazioni dei partecipanti il lavoro compiuto sui testi sembra aver sviluppato

maggiore consapevolezza dei diversi tipi di approccio necessari per lo studio di testi espositivie argomentativi. Inoltre gli studenti hanno dichiarato di essere entrati in possesso di strumentiutili a rendere più efficace la comprensione dei testi che studiano:

«Prima non ero assolutamente consapevole dell’approccio diverso che bisogna avere per questitesti. Il laboratorio mi è stato utile»«Mi piacerebbe provare a rifare le prove di ingresso oggi: penso che le farei molto meglio»«Penso di poter migliorare la mia capacità di comprendere i testi argomentativi che sono i più dif-ficili, ma non solo, perché ho capito quali erano (e forse sono ancora…) i miei punti deboli: letturafrettolosa, non cercavo di cogliere i collegamenti, non cercavo il significato delle parole che non co-noscevo»«È utile che l’università si interessi agli studenti. Alle superiori ci hanno detto che qui nessunoci avrebbe minimamente considerato e aiutato»«Mi è venuta voglia di mettermi alla prova: andrò a rileggere il libro che sto studiando con un ap-proccio diverso e penso che se ho questa volontà potrò migliorare»

Inoltre alcuni studenti hanno dichiarato che lavorare con altri pari ha permesso loro diporsi delle domande che altrimenti, da soli, non si sarebbero posti: «lavorando insieme agli altrimi sto rendendo conto di avere un approccio al testo molto superficiale».L’analisi degli aspetti da migliorare rispetto all’attività di supporto offerta ha portato a

sottolineare da un lato la durata limitata in termini di numero di incontri e dall’altro il nu-mero contenuto di studenti che era possibile ammettere alla frequenza dei laboratori stessi:«secondo me un laboratorio di questo tipo sarebbe molto più utile se durasse per tutto il primo anno diuniversità così potrei verificare i miei progressi»; «All’inizio credevo che fosse una cosa per gli studentipeggiori, ma poi ho capito che potrebbe essere per tutti».

Considerazioni conclusive e ipotesi di sviluppo

Considerando il ruolo centrale che la comprensione del testo gioca rispetto all’attività distudio e le particolari difficoltà che i testi a livello universitario presentano, in questa ricercasono state indagate le caratteristiche dei lettori “poveri” ed è stata proposta un’attività disostegno a loro indirizzata. .Questa attività è stata sviluppata ponendo un doppio focus sullettore e le sue strategie di lettura da un lato e sulla tipologia testuale e le sue caratteristichedall’altro. L’orientamento al testo, infatti è stato considerato un elemento fondamentale perorientare il lettore all’impiego delle strategie di lettura più efficaci rispetto al tipo di testo.

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Un primo elemento emerso consiste nel fatto che l’intero campione di studenti che sisono sottoposti alle prove di comprensione nel suo complesso non ha ottenuto punteggialti rispetto a nessuna delle abilità sottese alla prova. Tra queste la conoscenza dei termini ela localizzazione delle informazioni sono risultate le più problematiche per la fascia di stu-denti che hanno ottenuto i punteggi peggiori sull’intera prova. Il tipo di scuola secondariafrequentata sembra incidere sul rendimento in lettura: a fascia inferiore della distribuzionerispetto a quella superiore include una quota significativamente minore di liceali e maggioredi studenti provenienti dagli istituti professionali. Per comprendere più a fondo le caratteristiche di questi lettori “poveri” sono stati in-

tervistati quegli studenti che hanno partecipato alle attività laboratoriali: essi hanno dichiaratodi non aver lavorato in precedenza in maniera specifica sulla comprensione del testo, di nonconoscere le specifiche differenze tra testi espositivi e argomentativi e di adottare in preva-lenza strategie di lettura che in letteratura vengono definite di supporto, senza peraltro di-versificarle a seconda del tipo di testo che stanno leggendo. A differenza di questi studenti,i lettori di alto profilo, pur facendo uso di tutti i tipi di strategie prediligono le strategie me-tacognitive (cfr. per es. Sousa, 2006). Gli studenti che hanno preso parte al laboratorio di supporto hanno restituito feed-back

molto positivi rispetto all’esperienza svolta: in particolare attraverso le competenze e glistrumenti acquisiti ritengono di poter migliorare la loro efficacia nell’attività di lettura fina-lizzata all’apprendimento. Resi consapevoli del lavoro specifico che si può svolgere la finedi migliorare la loro comprensione dei testi, gli studenti hanno espresso l’esigenza di attivitàdi sostegno più prolungate nel tempo, per poter essere seguiti almeno nell’arco del primoanno del loro percorso universitario.L’analisi dei dati qualitativi e quantitativi ha probabilmente risentito della distorsione del

campione che è stato necessariamente selezionato su base volontaria. È possibile, infatti, chegli studenti che hanno maggiori difficoltà nella comprensione del testo abbiano scelto dinon sottoporsi alla prova facoltativa proposta. Non potendo nemmeno in una prosecuzionedell’indagine disporre di dati relativi all’intera popolazione in merito al livello di compren-sione del testo, si intende raccogliere informazioni su coloro che non hanno partecipato al-l’indagine analizzando i dati relativi alla loro carriera accademica.Infine si intende compiere un’indagine ex-post sia nei confronti degli studenti sotto

soglia che non hanno partecipato alle attività laboratoriali, sia nei confronti di quanti vi han-no partecipato, per raccogliere i loro punti di vista sulla ricaduta dell’esperienza svolta esulle loro opinioni circa l’utilità delle stesse a distanza di tempo.

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ricercheSviluppo dell’intelligenza culturaleCase study: il programma tirocini del consorzio IES

Development of cultural intelligenceCase study: the IES Rome’s internship program

L’intelligenza culturale (CQ), cioè la capacitàdi essere efficaci in contesti caratterizzati dadiversità culturale, è una competenza chepuò essere sviluppata attraverso l’esperienza,l’educazione e la formazione. È stato dimo-strato che alcune tipologie di esperienze, trale quali un tirocinio all’estero, favoriscono losviluppo del quoziente CQ. La ricerca si pro-pone di verificare questa relazione positivain un contesto particolare, scelto come og-getto di analisi: il programma tirocini delconsorzio universitario americano IES Ro-ma. L’analisi si basa sull’osservazione del-l’esperienza di più di cento studentiamericani, che negli ultimi tre anni hannosvolto un tirocinio presso organizzazioni ita-liane o internazionali con sede a Roma. Lacorrelazione tra esperienza di tirocinio al-l’estero e sviluppo dell’intelligenza culturaletrova pieno riscontro nell’esperienza di IES.Il possesso di solide competenze linguistiche,o almeno la motivazione e l’attitudine ad ac-quisirle e migliorarle, risulta essere un fattorechiave nella maggior parte dei casi osservati.Lo stesso dicasi per la presenza di un sup-porto didattico e formativo finalizzato a mi-gliorare la consapevolezza, la motivazione ele conoscenze degli studenti, elementi costi-tuenti le diverse dimensioni dell’intelligenzaculturale.

Parole chiave: Intelligenza culturale (CQ),apprendimento interculturale, cultura ogget-tiva, cultura soggettiva, tirocinio.

Cultural intelligence (CQ), defined as an in-dividual’s ability to function effectively in sit-uations characterized by cultural diversity, canbe developed through experience, education andtraining. The positive relationship between cer-tain types of experiences, such as an internshipabroad, and the development of CQ, has beenpreviously demonstrated. The research describedin this article aims at verifying such positiverelationship in a specific context: the IESRome’s internship program. The analysis isbased on the observation of the experiences ofmore than a hundred American interns, whoworked for Italian and international organiza-tions in Rome within the last three years. Thefindings clearly confirm the correlation betweenan internship abroad and the development ofCQ. Good linguistic skills, or at least motiva-tion and attitude to develop them, is evidentlya key factor. The availability of a cultural train-ing is also very important in order to increaseawareness, motivation and knowledge of thehost country, the essential “building elements”of cultural intelligence.

Key words: Cultural intelligence (CQ),intercultural learning, objective culture,subjective culture, internship.

SILVIA ZANAZZI

• Silvia Zanazzi - Laureata in Scienze dell’Educazione e della Formazione presso l’Universitàdegli Studi di Roma La Sapienza nel 2009. Internship Coordinator presso IES Roma da settembre2006.

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L’intelligenza culturale: definizione, inquadramento teorico e applicazioni pratiche

L’intelligenza culturale1 viene definita come «la capacità di un soggetto di funzionare effi-cacemente in contesti caratterizzati da diversità culturale».2 Nonostante il concetto sia statointrodotto di recente all’interno delle scienze sociali3, è già presente un’ampia letteraturache lo analizza e ne valuta le possibili applicazioni concrete in ambito educativo e formativo.Dalla lettura di questi contributi emerge come il concetto di intelligenza culturale sia natodalla necessità pratica di comprendere e misurare una forma di intelligenza fortemente cor-relata, ma mai perfettamente coincidente, con altre intelligenze già «codificate» nell’ambitodegli studi psico-pedagogici4.La natura strumentale del concetto di intelligenza culturale non ci esime, tuttavia, dal

dovere di ricercarne le radici intellettuali. I contributi più autorevoli sul tema partono dalriconoscerne i forti legami con altri ambiti di studio, primo fra tutti la comunicazione in-terculturale, filone nato dopo la seconda guerra mondiale per far fronte alle necessità delcorpo diplomatico statunitense. Ma guardando ancora più indietro, agli inizi del 1900, è na-turale che si faccia riferimento, tra gli altri, alla figura dello “straniero” di Georg Simmel,agli studi della Scuola di Chicago sulla diversità culturale nelle metropoli, alla teoria dell’”uo-mo marginale” di William Thomas, al lavoro di Gordon Allport sul pregiudizio e al contri-buto di Edward Hall sul linguaggio non verbale (Giaccardi, 2005, pp. 32-36). Quandoparliamo di intelligenza culturale, quindi, trattiamo un concetto che affonda profondamentele sue radici negli studi antropologici, filosofici, sociologici, psicologici e della comunica-zione, e in ultima analisi nella storia dell’uomo. La novità non sta nel contenuto teorico, manel tentativo di sintetizzare in un unico indicatore, denominato CQ, un insieme complessodi conoscenze, abilità, comportamenti, sensibilità e tratti della personalità. L’intelligenza cul-turale può differenziare fortemente le prestazioni degli individui in contesti caratterizzatida diversità culturale: dopo essere stata analizzata e scomposta in fattori osservabili e misu-rabili, viene oggi “affidata” prevalentemente alla teoria pedagogica e alle pratiche educative,alle quali spetta il difficile compito di svilupparla nei singoli e nella società.Dal punto di vista teorico, si concorda sul fatto che l’intelligenza culturale sia un concetto

che abbraccia diverse “dimensioni”: metacognitiva, cognitiva, motivazionale e comporta-mentale (Ang, Van Dyne, 2008). La dimensione metacognitiva dell’intelligenza culturale fariferimento al livello di consapevolezza rispetto ai propri assunti di base, alla capacità di met-terli in discussione e di sviluppare strategie cognitive efficaci per interagire in contesti cul-turalmente diversi da quelli abituali. La dimensione cognitiva dell’intelligenza culturaleriguarda il bagaglio di conoscenze su istituzioni, norme, pratiche e convenzioni caratteristi-che di un contesto culturale specifico. La dimensione motivazionale fa riferimento alla di-

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1 Nella letteratura in lingua inglese, assunta come riferimento teorico di questo lavoro, si parla di “culturalintelligence” oppure di “CQ”.

2 “An individual’s ability to function effectively in situations characterized by cultural diversity”. (Ang, VanDyne, 2008, p. XV)

3 P.Christopher Earley e Soon Ang per primi hanno parlato di “cultural intelligence” nel 2003.4 Howard Gardner, nel suo saggio intitolato Frames of mind, the theory of multiple intelligences, ha dimostrato

che esistono diverse tipologie di intelligenza: linguistica,musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestesica, personale e interpersonale. (Gardner, 1983, trad. it. 1987) Daniel Goleman, nel suo saggio Emo-tional Intelligence, ha approfondito il tema dell’intelligenza emotiva, cioè la capacità di gestire al meglio leemozioni proprie e altrui. (Goleman, 1995, trad.it. 1996)

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sponibilità ad investire tempo ed energie per apprendere come essere efficaci in contesti ca-ratterizzati da diversità culturale, quella comportamentale alla capacità di realizzare com-portamenti verbali e non verbali appropriati nei suddetti contesti.L’intelligenza culturale viene fatta rientrare nell’ambito delle cosiddette “differenze in-

dividuali”5, in particolare nella tipologia delle abilità/capacità. Si tratta di una caratteristicache può essere modificata attraverso l’esperienza, l’educazione e la formazione, quindi po-tenzialmente variabile nel corso della vita di un individuo (a differenza dei tratti della per-sonalità che tendono a rimanere stabili nel tempo e nelle diverse situazioni). È indubbio,tuttavia, che vi siano relazioni tra l’intelligenza culturale e alcune caratteristiche della per-sonalità. Per esempio, è stata dimostrata una relazione positiva tra l’apertura alle nuove espe-rienze, l’estroversione, l’essere coscienziosi e alcune dimensioni dell’intelligenza culturale.Vi sono, inoltre, fattori biografici, per esempio l’essere nati da una coppia “mista”, che pos-sono costituire precondizioni favorevoli allo sviluppo dell’intelligenza culturale, così comealcune tipologie di esperienze correlate positivamente ad una o più dimensioni dell’intelli-genza culturale. Per esempio, un’esperienza di lavoro in ambito internazionale è correlatapositivamente alle dimensioni metacognitiva, motivazionale e comportamentale dell’intel-ligenza culturale; l’apprendimento di una lingua è correlato positivamente alle dimensionicognitiva e comportamentale. L’interesse per l’intelligenza culturale ed il suo sviluppo sta assumendo crescente rilevanza

nell’ambito degli studi di management e nella formazione aziendale. Sempre più spesso leaziende che assumono nuovo personale, o decidono di investire in risorse umane già presentiin organico, si trovano a dover inserire CQ nella lista delle competenze “chiave” per la so-pravvivenza e il successo sul mercato dell’organizzazione. Le istituzioni educative e formative,in risposta ad una tale richiesta da parte dei mercati del lavoro, hanno il compito di sviluppareprogrammi e progetti finalizzati allo sviluppo di questa competenza nei giovani. Il mondouniversitario americano, in particolare, incentiva fortemente i propri studenti a partecipareagli study abroad programs6 e, quando possibile, a fare esperienze di tirocinio all’estero, anchese non strettamente connesse al programma accademico e alle singole specializzazioni.

Il programma tirocini di IES Roma

La ricerca descritta in questo articolo è basata sul case study di una organizzazione che, in unarco temporale di tre anni (2006-2009), ha sviluppato un programma tirocini ed è riuscitaa renderlo un elemento distintivo della propria offerta didattica e formativa per studentiamericani a Roma. Dal momento che un tirocinio all’estero è riconosciuto dalla letteraturacome un fattore positivo per lo sviluppo dell’intelligenza culturale (Ang, Van Dyne, 2008,pagg. 45-52), ci si è posti l’obiettivo di verificare la suddetta relazione, delineando le condi-zioni che eventualmente la favoriscano o la indeboliscano, nel contesto specifico scelto comeoggetto di analisi. In particolare, si è cercato di prendere in considerazione due fattori chiave

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5 La letteratura di riferimento individua tre tipologie di differenze individuali: abilità/capacità, tratti dellapersonalità e interessi (Ang, Van Dyne, 2008, pp. 7-8)

6 Per “study abroad program” si intende un periodo di studio, in questo caso universitario, svolto all’esteropresso una istituzione qualificata e convenzionata con l’ateneo di provenienza. Generalmente i crediti ac-cademici conseguiti all’estero vengono riconosciuti; l’esperienza è considerata estremamente importantenel mercato del lavoro americano, sia per chi desidera entrare nel mondo del business, sia per coloro cheaspirano ad una carriera universitaria.

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e di descriverne il ruolo nella verifica dell’ipotesi sopra descritta: le competenze linguistichedegli studenti e la disponibilità di un supporto didattico e formativo. IES (Institute for the International Education of Students) è un consorzio interuniversitario,

con sede centrale a Chicago (Illinois, USA), che organizza study abroad programs per studentiuniversitari americani. Le università aderenti al consorzio sono più di 170: si tratta di ateneipubblici e privati, situati in contesti socio geografici estremamente vari, con tradizioni, spe-cializzazioni accademiche e “filosofie” educative molto diverse tra loro. In Italia, IES ha sedea Milano, Siena e Roma. A Roma il centro IES riceve un elevato numero di studenti (va-riabile tra 100 e 150 per ogni semestre) ai quali assicura assistenza logistica e mediazioneculturale, oltre ad una offerta accademica varia e qualificata. Pur essendo un consorzio uni-versitario, quindi, i servizi forniti dall’IES si estendono ben oltre quelli puramente accade-mici, abbracciando una visione dell’università, tipica americana, come istituzione delegatadalle famiglie ad occuparsi dell’educazione, e non solo dell’istruzione, dei giovani. Per quantoriguarda l’aspetto interculturale, IES opta per un inserimento mediato e graduale nel con-testo locale, a differenza di altri programmi che adottano la strategia della full immersion. Siritiene, infatti, che l’apprendimento interculturale si possa realizzare soltanto in una situazionedi serenità e di confronto continuo. Ecco perché il personale di IES viene selezionato nonsolo in base alle competenze linguistiche, ma anche in base alla conoscenza diretta degliStati Uniti e del sistema scolastico ed universitario americano. Si vuole creare attorno allostudente un ambiente familiare, in grado di rassicurarlo e di condurlo quasi “per mano”durante l’esperienza di studio all’estero.Durante il semestre o l’anno accademico a Roma, agli studenti IES viene offerta l’op-

portunità di candidarsi per un tirocinio part-time da svolgere presso aziende, enti ed istitu-zioni italiane o internazionali. Dopo una iniziale fase sperimentale (2003 – 2006), in cuisoltanto un numero molto limitato di studenti ha potuto accedere a questa opportunità, siè deciso di procedere ad ampliare la rete delle organizzazioni ospitanti per dare ad un numeromaggiore di persone la possibilità di fare quest’esperienza. Le testimonianze dei primi treanni, infatti, avevano dimostrato l’importanza dell’esperienza di tirocinio nel “disegnare”un percorso di apprendimento interculturale e nel favorire l’instaurarsi di relazioni positivetra lo studente e il contesto locale. A partire dal 2006, quindi, l’IES si è posta l’obiettivo diallargare progressivamente il network delle organizzazioni ospitanti. La città di Roma è uncontesto ricco di opportunità di ogni genere e il programma ha cercato di trarne beneficio,spaziando da contesti più tradizionali, come gli uffici, i musei, le gallerie d’arte, a situazionipiù particolari, come la scuola pubblica, lo scavo archeologico o l’enoteca. Complessiva-mente, durante l’attività di ricerca si è riscontrato un atteggiamento aperto da parte delleorganizzazioni pubbliche e private, un interesse per l’IES e più in generale per le istituzioniuniversitarie americane. Di conseguenza, l’attività di ricerca di placements7 ha avuto buonirisultati: nel 2009 il programma era in grado di garantire oltre sessanta tirocini per semestre,grazie ad un network di più di cinquanta organizzazioni ospitanti.In generale, i tirocinanti IES presentano alcune caratteristiche comuni pur provenendo

da realtà sociali e accademiche completamente diverse: giovani (20-22 anni); alle prime armiin qualsiasi lavoro, ma pieni di entusiasmo, di curiosità e di aspettative; provvisti di conoscenzealquanto limitate sull’Italia e sulle sue problematiche socio-occupazionali; cresciuti conun’immagine del mondo del lavoro largamente corrispondente a quella americana, per ovvimotivi, e pertanto molto lontana dalla realtà del nostro Paese. Intraprendenti ma allo stesso

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7 Per “placement” si intende un’organizzazione in grado di ospitare uno o più tirocinanti.

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tempo insicuri, pieni di energia da dedicare, ma solo in parte allo studio e al lavoro, conti-nuamente “sotto pressione” da parte di genitori, professori e tutor, questi studenti hannobisogno di un supporto costante per riuscire a focalizzare le energie sulle priorità che emer-gono giorno per giorno. Dato questo supporto costante, e dato un ambiente che riesca avalorizzarne l’apporto, il loro rendimento può essere eccezionale in termini di capacità or-ganizzative, innovazione, autonomia e orientamento al risultato.Gli studenti di IES Roma che decidono di fare un tirocinio devono obbligatoriamente

frequentare un seminario (“Internship seminar”) che prevede un incontro settimanale diun’ora e mezza per dodici settimane. L’obiettivo didattico del seminario è far acquisire aglistudenti la conoscenza delle principali problematiche riguardanti i giovani italiani: le carat-teristiche del sistema scolastico e universitario, le difficoltà della transizione dall’universitàal mondo del lavoro, il precariato, la marginalità nei circuiti di potere. La scelta di focalizzareil seminario sui giovani risponde alla finalità di creare un “ponte” tra persone della stessaetà che appartengono a diverse culture e sistemi: attraversando questo ponte, diventano pos-sibili i confronti e la comprensione reciproca, e in ultima analisi l’apprendimento intercul-turale, verso cui tende ogni esperienza di studio all’estero. Il seminario è parte integrantedell’esperienza di tirocinio e si è rivelato nel corso degli anni uno strumento molto impor-tante per mantenere unito il gruppo, per sollecitare e guidare riflessioni sulle esperienzenelle diverse organizzazioni, per analizzare e discutere temi di attualità che hanno un forteimpatto sulle esperienze di un giovane americano in Italia.

Sviluppo del case study: metodologia e risultati

La ricerca si è basata sui dati disponibili per il triennio 2006-2009, relativi all’andamento dicirca cento tirocini formativi in organizzazioni molto diverse tra loro8. Il campione è stato scelto sulla base di un criterio di convenienza, ed è costituito dall’in-

sieme degli studenti che, nel periodo considerato, hanno deciso di effettuare un tirocinionell’ambito del programma di IES Roma. Tutti i tirocinanti inclusi nel campione hannopartecipato, pertanto, all’Internship seminar, svolgendo i lavori di rielaborazione, condivisionee presentazione in classe delle esperienze sul campo.Dal momento che un tirocinio all’estero è riconosciuto dalla letteratura come un fattore

positivo per lo sviluppo dell’intelligenza culturale (Ang, Van Dyne, 2008, pp. 45-52), ci si èposti l’obiettivo di verificare la suddetta relazione, delineando le condizioni che eventual-mente la favoriscano o la indeboliscano, nel contesto particolare scelto come oggetto di ana-lisi. In particolare, l’ipotesi da verificare è che, data una buona competenza linguistica9 e ladisponibilità di un supporto didattico e formativo, un tirocinio all’estero è un fattore positivoper la crescita di CQ.Si è scelto di utilizzare l’osservazione come unico metodo di rilevazione, declinandola

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8 Le organizzazioni ospitanti (circa 50) appartengono alle seguenti categorie: musei, gallerie d’arte, scuolemedie inferiori e superiori, aziende, associazioni, organizzazioni non profit, centri di ricerca, università,teatri, laboratori d’arte e scientifici, scavi archeologici…

9 Per “buona competenza linguistica” si intende la capacità di comprensione della lingua corrente, anchefuori dal contesto didattico, e la capacità di esprimersi correttamente a livello orale e scritto nella vita quo-tidiana. All’interno del programma IES Roma la conoscenza della lingua italiana è valutata in 4 livelli: 100,200, 300 e 400. Il concetto di “buona competenza” utilizzato in questo lavoro si riferisce ad un livellopari a 300 o superiore.

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nelle sue diverse tipologie (diretta e indiretta, spontanea o sistematica) a seconda delle fasidi lavoro e del contesto. In particolare, gli elementi utilizzati per misurare la variabile “CQ” durante le esperienze

di tirocinio sono stati i seguenti:• Analisi dei testi prodotti dagli studenti durante il semestre nell’ambito dell’Internship se-

minar: presentazioni in classe, diari settimanali e tesina finale. • Autovalutazioni degli studenti rispetto alla propria capacità di integrazione ed efficacianel contesto organizzativo; commenti espressi in forma orale o scritta, rispetto ai propristati d’animo nelle diverse fasi dell’esperienza.

• Valutazioni fornite dagli enti ospitanti sui risultati raggiunti dai tirocinanti durante il se-mestre. Le valutazioni sono espresse a livello informale durante i frequenti contatti tele-fonici e personali con l’Internship coordinator10 di IES Roma, e formalmente nell’ambitodel questionario di valutazione di fine semestre.

• Valutazione finale dell’Internship coordinator di IES Roma, espressa in forma quantitativain base ad una Grade Scale11. Il voto si calcola in base a quattro diverse componenti, aciascuna delle quali viene attribuito lo stesso peso (25%): partecipazione attiva in classe,diari settimanali, tesina o progetto finale, valutazione dell’organizzazione ospitante sul la-voro svolto.

Nella valutazione di ciascun tirocinio si è cercato di prestare attenzione ai cambiamenti,all’evoluzione di comportamenti e degli atteggiamenti durante il semestre, considerandoquindi il risultato finale anche in rapporto al punto di partenza di ogni studente coinvolto.Tuttavia, dal momento che l’intelligenza culturale è definita come “capacità di funzionareefficacemente”, è stato importante non perdere mai di vista la misura dell’efficacia nel va-lutare, in ultima analisi, ciascuna esperienza di tirocinio12. L’analisi dei dati ha dimostrato ampiamente l’importanza di una buona competenza lin-

guistica di partenza. Le competenze linguistiche, l’attitudine all’apprendimento di una linguastraniera e soprattutto la motivazione ad utilizzarla al di fuori di un contesto didattico, sonocondizioni essenziali per riuscire ad essere veramente “efficaci” in un contesto multiculturale.Nei testi scritti dagli studenti si nota chiaramente come coloro che possedevano, all’iniziodel semestre, un buon livello di conoscenza dell’italiano siano riusciti non solo ad integrarsinell’organizzazione presso la quale hanno svolto il tirocinio, ma anche ad essere estrema-mente utili e a ritagliarsi uno spazio nella gerarchia organizzativa. Per quanto riguarda glistudenti che non possedevano tale competenza, è stato possibile individuare due percorsidifferenti. Per alcuni di loro, l’Italia ha rappresentato il banco di prova della propria maturitàe capacità di adattamento e l’apprendimento dell’italiano rispondeva alla necessità di rag-giungere questo obiettivo. Questi studenti hanno ottenuto ciò che volevano dall’esperienzadi tirocinio, ma non sono mai riusciti ad essere davvero “efficaci”: il loro punto d’arrivo, in-fatti, è l’accettazione di un disagio, e la consapevolezza che tale condizione non è superabile,almeno nel breve tempo a disposizione. In altri casi, invece, gli studenti non avevano alcuna

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10 L’Internship coordinator è la figura responsabile del programma tirocini: cura i rapporti con i soggetti ospitanti(placements) e la preselezione degli studenti, monitora l’andamento dei tirocini durante il semestre, insegnal’Internship seminar e valuta gli studenti al termine del semestre.

11 La Grade Scale utilizzata è la seguente: A (100-90): eccellente; B (89 – 80): buono; C (79-70): discreto; D(69 – 60): insoddisfacente; F (meno di 60): insufficiente.

12 La misura di efficacia utilizzata in questo lavoro è il voto finale. In particolare, si è considerata positiva intermini di efficacia una valutazione non inferiore a B (89-80).

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motivazione intrinseca che li spingesse a studiare l’italiano, se non la necessità di acquisire icrediti in ambito linguistico. Le loro testimonianze sono pervase da un forte senso di ina-deguatezza, a tratti dalla tendenza ad “incolpare” altri e ad attribuire la causa di tutti i pro-blemi all’ambiente esterno. Ammettere questi studenti al programma tirocini è statoprobabilmente un errore, se si considera lo sviluppo dell’intelligenza culturale come obiettivounico dell’esperienza. Se invece si valutano altri elementi, è possibile vedere degli aspettipostivi: questi studenti hanno imparato ad analizzare le proprie aspettative, distinguendoquelle realistiche da quelle che non lo sono; ancora più importante, hanno visto e toccatocon mano, forse per la prima volta, la diversità, sentendosi loro stessi diversi. Non si può direse questo sarebbe avvenuto ugualmente o meno, senza l’esperienza di tirocinio.La maggior parte delle osservazioni e, in particolare, l’analisi dei testi scritti dagli studenti,

hanno mostrato altrettanto chiaramente il ruolo del supporto didattico e formativo nel mi-gliorare la consapevolezza, la motivazione e le conoscenze degli studenti, elementi costituentile diverse dimensioni dell’intelligenza culturale. E’ importante che il percorso disegnato nonsia puramente accademico, ma riesca ad acquisire un più profondo valore pedagogico toc-cando (seppur delicatamente) aspetti cruciali come le percezioni, l’emotività, la capacità diuscire dalla propria zona di comfort, il riconoscimento e la gestione del cambiamento per-sonale. Nelle testimonianze presentate si percepisce “in sottofondo” la presenza di questosupporto, che si rivela utile, in fase iniziale, soprattutto per lo sviluppo della dimensione me-tacognitiva dell’intelligenza culturale. Riunirsi in un’aula a discutere delle proprie esperienze,con la mediazione di un formatore, aiuta innanzitutto a rendersi conto del proprio “etno-centrismo”: aumenta il livello di consapevolezza rispetto ai propri assunti di base e la capacitàdi metterli in discussione. Il contesto didattico si rivela un elemento essenziale anche per losviluppo della dimensione cognitiva di CQ. Attraverso la conoscenza e la discussione di te-matiche riguardanti il sistema educativo, il mondo del lavoro e delle organizzazioni in Italia,i tirocinanti riescono ad acquisire una prospettiva più ampia e ad analizzare le proprie espe-rienze durante il tirocinio con una maggiore consapevolezza. Esemplare il caso di una stu-dentessa che durante l’esperienza in una scuola pubblica nell’autunno del 2008, vive inprima persona le agitazioni in seguito all’approvazione della riforma Gelmini, e grazie allediscussioni in aula sull’argomento, impara lentamente a capire il significato e il valore dellosciopero. Due estratti dai suoi diari settimanali mostrano l’evoluzione del suo atteggiamen-to:

“Non capisco cosa sta succedendo. Invece di lavorare, studenti e insegnantiprotestano per le riforme della scuola. Sarebbe meglio se rimanessero in classe,forse così la scuola potrebbe essere più efficiente. Mi sembra poco professionaleda parte degli insegnanti non presentarsi a scuola per così tanti giorni di seguito.Non si ricordano nemmeno di avvertirmi”. (Ottobre 2008)

“È passato più di un mese dall’inizio del semestre e sono riuscita ad insegnareinglese pochissime volte. Sono scocciata e infastidita, ma ciò che sta succedendoin questo Paese è gravissimo. Vogliono distruggere la scuola pubblica,pezzo per pezzo. La gente protesta ed è così coinvolta da abbandonare tutte leproprie attività per andare a camminare per strada, reggendo uno striscione.Vedo tutto questo e mi sento in dovere di capirlo”. (Dicembre 2008)

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Conclusioni

La strada seguita dal programma tirocini di IES è stata generalmente coerente con i risultatidella ricerca. Per quanto riguarda l’aspetto linguistico, si è cercato di rafforzare la collabora-zione tra il programma tirocini e l’insegnamento dell’italiano, mettendo a disposizione unservizio ad hoc per tutti coloro che necessitano di un’assistenza linguistica specifica. Chisvolge attività di traduzione, per esempio, si trova spesso a dover comprendere la lingua “disettore” e apprezza l’aiuto di un insegnante madrelingua per avviare il lavoro. Anche sulfronte didattico, è riconosciuta l’importanza dell’Internship seminar e si presta molta attenzionealla numerosità dei gruppi, creando, se necessario, più sezioni con un massimo di quindicistudenti ciascuna. Sono state destinate risorse economiche per consentire l’intervento diguest speakers in grado di portare la loro esperienza e per organizzare attività extracurricularilegate ai temi discussi in aula (cinema, mostre, eventi, visita di quartieri della città…).Parallelamente, però, si è deciso di eliminare i requisiti linguistici per l’accesso al pro-

gramma, che prima erano inderogabili, per consentire una crescita del numero degli studenticoinvolti. Il programma tirocini, infatti, è diventato un elemento importante per la promo-zione del programma IES Roma e un elemento di richiamo per i potenziali clienti. Nelpassaggio di prospettiva dal concetto di “studente” a quello di “cliente”, si rischia che le fi-nalità didattiche e formative passino in secondo piano rispetto agli obiettivi commerciali.Di fronte a questo rischio, è fondamentale che il responsabile del programma tirocini siaconsapevole e vigile, e riesca ad evitare distorsioni pericolose nelle finalità del programmastesso.L’obiettivo di crescita del programma è stato pienamente raggiunto e superato nel pe-

riodo considerato. Attualmente, più del 30% degli studenti IES a Roma partecipa al pro-gramma tirocini, e circa la metà di questi non ha mai studiato l’italiano. Dalle esperienze osservate fino ad oggi, è evidente che la mancanza di una competenza

linguistica di base costituisce un forte limite per il “funzionamento efficace” in un contestointerculturale. Nonostante questo, nella maggior parte dei casi si osserva un cambiamentopositivo negli studenti, se non altro perché sono usciti dalla propria zona di comfort. Inquest’ottica, l’esperienza di tirocinio trova un suo valore in quanto prima tappa di un lungoviaggio che può portare, in ultima analisi, allo sviluppo dell’intelligenza culturale, o trovareun suo traguardo differente, ma non per questo meno importante o significativo. Nell’espe-rienza di questa studentessa, per esempio, il traguardo è la comprensione di un tipo di disagioche prima sembrava non riguardarla in prima persona:

“Credo di aver imparato qualcosa di davvero unico […]. Ho imparato come ci si sentead essere stranieri, e a dover faticare per comunicare qualcosa. Sono sempre stata orgo-gliosa delle mie capacità comunicative […]. Inutile dirlo, questa esperienza è stata unasfida inimmaginabile per me.”

Dal punto di vista del formatore, quindi, è importante saper vedere un investimento alungo termine in ogni esperienza di tirocinio, sapendo che i risultati non sempre sarannovisibili in soli quattro mesi, e non sempre corrisponderanno alle aspettative. Ciò che è statoseminato oggi a Roma potrebbe sbocciare altrove, domani, in forme diverse: «lo studentecammina per la sua via, talvolta con entusiasmo, talvolta con riluttanza, per formarsi comeindividuo che apprende, che cambia.»13

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ricercheIl secchione: rappresentazioni di studentiUno studio esplorativo

The swot: students beliefsAn exploratory study

Lo studio delle relazioni tra studenti,dei ruoli e delle attribuzioni di etichet-te che si vengono a creare nel gruppoclasse costituisce un settore di indaginedi particolare interesse. L’obiettivo dellapresente ricerca è stato quello di inda-gare come gli studenti tendano a rap-presentare un compagno consideratosecchione.L’analisi effettuata sulle risposte forniteda un gruppo di 334 alunni (181 discuola media inferiore e 153 di scuolasuperiore) al questionario apposita-mente predisposto, ha evidenziato co-me il genere e degli studenti e delsecchione, il livello scolastico e l’auto-valutazione determinino rappresenta-zioni differenti rispetto alla figura delcompagno con siderato secchione.Questi dati suggeriscono ulteriori ap-profondimenti sul ruolo del secchionee su ulteriori variabili che possono in-fluenzare le rappresentazioni degli stu-denti.

Parole chiave: credenze degli studenti,secchione ruolo degli studenti, relazionitra studenti, gruppo classe, insegnamento.

The study of relationships, roles and la-belling in the group class constitutes a re-search topic of particular interest. Thepresent research is aimed to inquire how thestudents represent a schoolfellow consideredswot.The analysis of the answers given by agroup of 334 students (181 of lower sec-ondary school and 153 of upper secondaryschool) to the purposely arranged question-naire revealed that sex of both the studentsand the swot, the school level and self eval-uation determine different representationsregarding the figure of the schoolfellow con-sidered swot.These data suggest the opportunity to fur-ther study about the swot and the differentvariables that can influence the representa-tions of students.

Key words: students beliefs, swot, rolesof students, relationships between stu-dents, class group, classroom teaching.

FRANCO ZAMBELLI • CRISTINA FACCO

• Cristina Facco - psicologa, [email protected]• Franco Zambelli – docente presso la Scuola di Dottorato in “Scienze Pedagogiche, dell’Edu-

cazione e della Formazione” Università di Padova (già ordinario di Pedagogia sperimentalepresso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova), [email protected],[email protected]

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La classe può apparire come una struttura relativamente semplice, che coinvolge dueruoli socialmente ben definiti: quelli di insegnante e di studente. In essa si possonorealizzare interazioni positive e cooperative (Schmuck & Schmuck, 1992) ed espe-

rienze interpersonali gratificanti che possono incoraggiare percezioni positive e modificarepregiudizi negativi (Boliang, Yan e Lei, 2005). Nelle interazioni tra studenti inoltre si deli-neano e sorgono specifici orientamenti, legati alla situazione di gruppo, che ne influenzanoil senso di appartenenza e le modalità di riconoscimento. Di fatto, però, gli studenti non ri-vestono un singolo ruolo e alcune delle categorizzazioni o identità sociali che vengono loroattribuite sono definite dall’organizzazione formale della scuola, mentre altre sono create,sviluppate e in continua evoluzione all’interno della classe attraverso l’interazione di ciascunonell’ambito di questo scenario (Martin, 1990). In certe condizioni, per risolvere conflittiinevitabili nei processi relazionali, gli alunni ritengono di poter etichettare e attribuire aicompagni delle etichette e degli stigmi (Brophy, 1998). Un simile processo può avere loscopo di produrre nel ragazzo coinvolto la riduzione o l’accentuazione di quei comporta-menti che vengono stigmatizzati dai compagni, al fine di essere accettato dal gruppo classeo almeno di evitare processi di esclusione. Gli alunni, infatti, tendono ad essere influenzatidall’atteggiamento degli altri compagni nei loro confronti (Furman & Gavin, 1989).

All’interno di una classe si possono consolidare così dei ruoli ben precisi, che vengonousati dalla classe stessa sia per controllarne i membri, sia per confrontarsi con l’insegnante(Van Rossem & Vermande, 2004). Le questioni di ricerca concernenti la classe e le sue mol-teplici relazioni finora hanno tuttavia ricevuto un limitato interesse da parte dei ricercatorianche se lo studio di simili questioni e dei ruoli degli studenti costituisce un ambito diricerca importante, utile a una migliore comprensione della dinamica complessiva dellaclasse, necessaria a insegnanti e operatori che agiscono nella scuola. Va sottolineato quantosia importante la comprensione di simili dinamiche anche in relazione alla loro connessionecon l’orientamento motivazionale degli alunni, all’apprendimento, al rendimento scolasticoe alle credenze che gli studenti sviluppano intorno a queste tematiche.

Lo studio delle credenze degli studenti si è principalmente sviluppato intorno alle cre-denze epistemologiche, alle credenze concernenti l’organizzazione della conoscenza, allanatura del sapere, all’influenza sui processi di comprensione e interpretazione di testi, pro-blem-solving e cambiamento concettuale (Hofer & Pintrich, 1997, 2002; Kardash & Scholes,1996; Mason, Gava, & Boldrin, 2008; Qian & Alvermann, 1995; Schommer, 1990, 1992).Sono numerose anche le ricerche sulle credenze motivazionali (Ames, 1992; Eccles & Wig-field, 2002; Eccles & Wigfield, 1992; Schwinger, Steinmayr, Spinath, 2009; Wolters & Ro-senthal, 2000).

Su aspetti relativi alle dinamiche della classe e ai ruoli degli studenti, sono stati talvoltadiscussi il ruolo del buffone, del coccolino dell’insegnante, del secchione, del solitario, delcapro espiatorio, il ruolo dell’escluso o isolato, del prevaricatore o della vittima. Uno studiocondotto sul prediletto dell’insegnante (Babad, 2000) ha messo in evidenza come il ruoloche riveste lo studente tenda a determinare il comportamento e le relazioni dei compagnie degli insegnanti nei suoi confronti.

Un ruolo complesso e contemporaneamente a rischio sembra quello del secchione. Se-condo Hargreaves (1977), il ruolo del secchione si presenta nella situazione in cui un alunnosi impegna nello studio e questo impegno minaccia gli altri, perché pone dei termini diconfronto elevati. La stigmatizzazione del compagno considerato secchione e le pressionicui è sottoposto, per i compagni diventano un mezzo per mettersi in contrapposizione anchecon gli insegnanti e con gli obiettivi di studio proposti. Chiamare secchione un compagnosembra comportare quindi alcune conseguenze: costringere in parte il secchione a limitarel’impegno nello studio, allo scopo di farsi accettare dal gruppo classe, a portare gli insegnanti

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a non privilegiare questo ragazzo e soprattutto a contenerne le richieste nei confronti dellaclasse. Nella misura in cui tali risultati sono conseguiti, le canzonature dovrebbero diminuire,almeno finché il secchione si adegua alle richieste.

Verrebbe ad instaurarsi una situazione critica in quanto in essa è coinvolto non solol’alunno ma anche l’insegnante, che però ne è ovviamente all’oscuro. Chi è oggetto di similipressioni, a sua volta, può evitare di segnalarle all’insegnante, essendosi in qualche modo di-namicamente uniformato alle richieste dei compagni. Tale situazione tende a mettere in di-scussione l’insegnante stesso e la sua capacità di cogliere e affrontare adeguatamente i processirelazionali e conflittuali presenti in classe, le loro conseguenze e le eventuali ripercussionisul piano didattico. Il problema, quindi, non risulterebbe risolto, rimanendo sotto traccia, inequilibrio instabile, e continuando a produrre i suoi effetti negativi.

La pressione cui è sottoposto lo studente considerato secchione, è solitamente prolungatanel tempo e gestita collettivamente dai compagni, almeno per certi aspetti, sembrerebbe in-quadrabile come una possibile forma di prevaricazione verbale esercitata nei confronti delsecchione-vittima.

Secondo Olweus (1993) il bullismo può assumere una forma diretta ed una indiretta. Laprima si articola in prepotenze che il prevaricatore rivolge direttamente alla vittima, attac-candola a livello fisico o a livello verbale (insulti, minacce, canzonature, ecc.) o entrambe.Nella seconda forma la vittima è intrappolata in una serie di dicerie sul suo conto e di at-teggiamenti di esclusione da parte dei compagni che la condannano all’isolamento. Tra lenumerose questioni di ricerca affrontate nello studio della prevaricazione, alcune appaionodi un certo interesse proprio in riferimento al secchione, in particolare quelle riguardanti lecaratteristiche di chi è sottoposto a pressioni e prevaricazioni, quelle relative al ruolo del-l’insegnante e a risultati delle pressioni (Menesini & Fonzi,1997).

Gli studi sul bullismo hanno evidenziato in particolare che la pressione cui può esseresottoposta la vittima costituisce un processo non sempre facilmente riconoscibile o indivi-duabile dall’insegnante, in quanto gli attacchi verbali e quelli di tipo socio-emozionale hannominore probabilità di essere riconosciuti; di fronte alle prepotenze verbali e di tipo indirettoessi esprimono un minor grado di preoccupazione ed una diminuita propensione all’inter-vento rispetto alle prevaricazioni fisiche (Hazler, Miller, Carney & Green, 2001). Se si con-sidera che la molestia verbale in veste di offesa, minaccia, dileggio è la forma più comunedi bullismo subita sia dai maschi che dalle femmine (Menesini & Fonzi, 1997) e che al pas-saggio dalla scuola elementare alla scuola media si assiste ad un incremento delle modalitàindirette di prevaricazione, si può comprendere quanto gli studenti fatichino a riconoscerenei propri insegnanti una disponibilità ad intervenire con efficacia (Genta, Menesini, Fonzi& Costabile, 1996).

Dagli studi sul bullismo si evidenzia anche che negli studenti vittime degli attacchi diprevaricazione il disagio appare strettamente legato a sentimenti di ansia e di paura nelle si-tuazioni sociali, a vissuti di infelicità e di tristezza e alla tendenza ad isolarsi dagli altri (Tani,1999). Diversi studi hanno evidenziato inoltre una ridotta ricezione da parte delle vittimedei messaggi emozionali (Ciucci & Fonzi, 1999). Il loro essere timide ed ansiose può mo-tivarle a ricorrere frequentemente a”strategie di fuga”, come l’evitamento dello sguardo delproprio interlocutore, che se da una parte consentono di ridurre la percezione degli stimolidisturbanti, dall’altra impediscono di orientare il proprio comportamento in base allo statod’animo dell’altro e di cogliere tutti quei segnali che possono eventualmente significare unadisponibilità amichevole da parte dei compagni. Inoltre, Tomada e Tassi (1999) hanno ri-scontrato la tendenza da parte delle vittime ad intrattenere legami di amicizia con coetaneiche condividono la loro stessa condizione in quanto ciò può funzionare come freno al su-peramento del proprio status di vittima.

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Data la centralità della classe e delle sue dinamiche e della risonanza che stanno assu-mendo i fenomeni di comportamento antisociale a scuola (Schirelli & Mariani, 2002), sisono analizzate le credenze degli studenti sulla classe e sui ruoli che in essa si sviluppano, inparticolare su alcuni aspetti relativi al compagno considerato secchione.

Ci si prefigge pertanto di indagare le credenze degli studenti su alcuni aspetti caratteriz-zanti il secchione, quali il valore che, nelle credenze degli studenti, possono avere lo studioe l’impegno scolastico per il secchione, le relazioni che instaura con i compagni di classe econ gli insegnanti e il ruolo svolto dall’insegnante in questa situazione. Una ulteriore que-stione che si cercherà di mettere a fuoco riguarda la possibilità di evidenziare se il secchione,in relazione alle pressioni perduranti di cui risulta oggetto, presenta caratteri della vittima diprocessi di prevaricazione. Sono state inoltre considerate alcune variabili in modo da veri-ficare la loro influenza sulle risposte fornite dagli alunni. Le variabili prese in esame sono:genere dei soggetti e del compagno considerato secchione, per il diverso orientamento versolo studio spesso mostrato da alunni e alunne, livello di scolarizzazione (ultimi anni della se-condaria inferiore e primi della superiore) per le differenti richieste di impegno sollecitatodalle scuole di differente livello, rendimento scolastico dei partecipanti (auto valutato).

Metodo

Partecipanti – Hanno partecipato all’indagine 334 alunni (159 maschi e 175 femmine), deiquali 181di seconda e terza media, 153 di quarta quinta superiore. Gli alunni sono distribuitiin 16 classi, delle quali 8 appartengono a 2 istituiti di Scuola Media inferiore e 8 a due dif-ferenti Licei Scientifici della provincia di Padova. Le scuole medie inferiori sono situate inpiccoli centri caratterizzati da prevalente attività rurale e di piccola impresa. La componentesociale degli studenti è variata, con una presenza ormai consistente di studenti extracomu-nitari. Allo stesso modo, la provenienza sociale degli studenti dei licei situati comunque nellevicinanze di Padova è notevolmente eterogenea.

Strumento – È stato predisposto un questionario. Per la sua costruzione sono state prelimi-narmente effettuate delle interviste semistrutturate con lo scopo di raccogliere informazionisulla figura del compagno considerato secchione, sui suoi atteggiamenti e comportamenti,sulle sue relazioni con i compagni di classe e con l’insegnante, etc.. Il questionario è risultatoorganizzato in tre differenti aree che riguardano aspetti diversi del ruolo del secchione, qualil’impegno nello studio (A), il suo comportamento e gli aspetti relazionali all’interno dellaclasse e con i pari (B), le relazioni con gli insegnanti (C). I partecipanti devono manifestareil loro grado di accordo con gli item proposti su una scala a cinque livelli (1- per niented’accordo, 2- scarsamente d’accordo, 3- abbastanza d’accordo, 4- molto d’accordo, 5- total-mente d’accordo).

Infine sono stati richiesti agli alunni alcuni dati personali: sesso, classe frequentata, sessodel secchione considerato per esprimere i giudizi, autovalutazione del rendimento scolastico(scarso, sufficiente, buono). I questionari sono stati compilati durante l’orario scolastico. E’stato ottenuto il consenso informato dai genitori; in esso sono stati garantiti l’anonimato ela riservatezza dei dati, la loro utilizzazione a solo scopo di ricerca e sono state indicate lemodalità di restituzione.

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Descrizione e analisi dei dati

Analisi delle componenti principali – Per verificare come siano organizzate le credenze deglistudenti nei confronti del compagno considerato secchione, gli item delle diverse aree sonostati sottoposti a differenti analisi delle componenti principali. Ciascuna soluzione ottenutaè stata ruotata secondo il metodo Oblimin con normalizzazione di Kaiser. Per l’interpreta-zione dei fattori di ogni dimensione si è tenuto conto degli items puri e delle correlazioniitem-fattore uguali o superiori a 0.38 in valore assoluto, mentre per quelle negative si èprovveduto all’inversione del significato dei rispettivi items. Dato il carattere esplorativodella presente indagine sono riportati anche alcuni fattori con a di Cronbach intorno a 0.60,relativo alla consistenza interna. Nei restanti fattori tali coefficienti si distribuiscono in unagamma compresa tra .76 e .92.

A) Impegno nello studio profuso dal secchione

1. Il primo fattore individuato è rappresentato dall’importanza attribuita dal secchione allo studio(% di varianza=17,26; a di Cronbach=0,76; M=3,70). Saturano item quali: - ritiene im-portante andare bene a scuola; - prende la scuola seriamente; - si impegna molto nellostudio per essere bravo. Gli studenti mostrano un certo accordo su tale fattore e ritengonoche il compagno secchione consideri importante frequentare la scuola con successo, di-mostrando una notevole costanza nello studio e un impegno elevato nella riuscita sco-lastica.

2. Il secondo fattore riguarda il modo di studiare del secchione (% di varianza=11,48; a di Cron-bach=0,69; M=3,85). Saturano item quali: - usa la logica, il ragionamento; - studia percapire; - sa sfruttare le sue capacità. Gli alunni esprimono un discreto accordo, ritenendoquindi che il secchione non impara a memoria ciò che studia, usa la logica e il ragiona-mento, sapendo utilizzare in modo proficuo le sue capacità e dimostrando una buona fa-cilità e rapidità di apprendimento.

B) Comportamenti scolastici del secchione

1. Il primo fattore è rappresentato dall’aiuto fornito ai propri compagni durante i compiti in classee interazioni con i compagni nei diversi momenti della vita di classe (% di varianza=24,77; a diCronbach=0,83; M=2,76). Saturano item quali: - aiuta solo se ha voglia; - aiuta solo segli sei simpatico; - a richiesta di aiuto, risponde “chiedimelo più tardi”; - con lui discutosolo di cose che riguardano la scuola; - ride e scherza solo con i suoi amici più stretti. Inriferimento agli item di questo fattore, i partecipanti esprimono un modesto disaccordo:ritengono quindi che il compagno risulti abbastanza disponibile ad aiutare in qualsiasimomento, senza procrastinare l’aiuto, suggerendo anche a quei compagni con i quali nonha un ottimo rapporto; inoltre, ritengono che il secchione instauri delle relazioni privi-legiate con propri compagni di classe, partecipando al clima della classe.

2. Il secondo fattore riguarda il comportamento partecipativo durante la lezione in classe (% divarianza=11,64; a di Cronbach=0,76; M=3,70). Saturano item quali: - si mostra interes-sato; - interviene, partecipando alla lezione; - è composto; - viene preso in giro. Gli stu-denti manifestano un buon accordo nell’affermare che tale comportamento ècaratterizzato dal partecipare attivamente alla lezione con domande e risposte rivolte al-l’insegnante, dal mostrarsi partecipe e coinvolto durante la spiegazione, mantenendo unatteggiamento composto, attento ed interessato e dal prendere appunti; viene, però, anchepreso in giro.

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C) Relazioni tra insegnanti e secchione

1. Il primo fattore emerso è rappresentato dai privilegi riservati al secchione (% di varian-za=33,94; a di Cronbach=0,92; M=3,23). Saturano item quali : - al secchione gli inse-gnanti danno più occasioni per recuperare; - dicono “Lo interrogheremo la prossimavolta”; - “chiudono un occhio”; - gli danno un voto più alto di quello che si merita. Glistudenti si dimostrano abbastanza d’accordo sull’ottenimento di certi privilegi, i qualisono rappresentati, nel caso in cui lo studente non sia preparato come al solito, dal for-nirgli più occasioni per recuperare il voto non brillante, oppure dal rimandare l’interro-gazione ad un altro giorno, senza penalizzare il ragazzo e tralasciando l’episodio.Solitamente l’interrogazione del secchione è costituita comunque da poche domande egli insegnanti tendono a sostenerlo moralmente.

2. Il secondo fattore individuato concerne l’atteggiamento di accondiscendenza verso gli insegnanti(% di varianza=10,82; a di Cronbach=0,76; M=3,81), sul quale vi è un buon accordo daparte degli allievi. Saturano item quali: - cerca di non contraddire l’insegnante per nonessere “visto male”; - è accondiscendente. Il secchione cerca di non opporsi, di nonandare contro l’insegnante, assecondando le sue opinioni al fine di mantenere la buonaimmagine che il docente ha di lui.

Al fine di valutare l’influenza che alcune variabili indipendenti (genere dei partecipantie del secchione, livello scolastico, rendimento scolastico) relative ai soggetti hanno nel de-terminare i giudizi di accordo o di disaccordo, sono state condotte le analisi della varianzaunivariate sui punteggi espressi, al fine di verificare se queste variabili modificano, in modostatisticamente significativo, i giudizi forniti dagli studenti sui quesiti presentati nel questio-nario. Per valutare l’influenza di specifiche variabili sulle risposte dei partecipanti si è pro-ceduto all’ANOVA univariata. Sono stati eseguiti inoltre i confronti multipli a posterioricon il metodo di Scheffè con errore di tipo I pari a £ 0,05, per le variabili con più di duelivelli che mostrano una influenza significativa, al fine di poter mettere in luce tra qualigruppi, in particolare, esistono differenze significative.

In fig.1 sono riportati i punteggi medi dei fattori in cui il genere dei partecipanti influiscein modo significativo sulle risposte fornite. I ragazzi sono più convinti rispetto alle ragazzeche il secchione sia caratterizzato per l’impegno nello studio (F(1,332) =10,360, p ª 0,001);sono più d’accordo nel riconoscere un atteggiamento attivo del secchione durante la lezione(F(1,332) =8,660, p ª 0,003); e, infine, sono sensibilmente più d’accordo circa l’accondiscen-denza del secchione nei confronti degli insegnanti (F(1,332) = 5,139, p ª 0,024).

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Fig.1: M relative ai fattori influenzati significativamente dalla variabile genere dei partecipanti

Genere dei partecipanti

Area

Fattore

maschio

femmina

impegno nellostudio

importanza dello studio

3,82

3,59

comportamentiscolastici

partecipazionelezione

3,83

3,59

relazione tra ins. esecch.

accondiscendenza

3,91

3,73

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In fig.2 sono riportati i punteggi medi nel fattore in cui la variabile genere del secchioneinfluisce in modo significativo sulle risposte fornite.

L’ANOVA ha rilevato che alle ragazze secchione viene attribuita una tendenza ad im-parare ciò che studiano utilizzando logica e ragionamento in misura minore dei secchioni(F(1,332) =3,904, p ª 0,049).

Fig.2: M relative al fattore influenzato significativamente dalla variabile genere del secchione

In fig.3 sono riportati i punteggi medi dei fattori influenzati da tale variabile. È emersoche gli studenti di scuola superiore sono leggermente meno in accordo rispetto agli studentidi scuola media circa il modo di studiare del compagno (F(3,330) = 16,166, p ª 0,000). I ra-gazzi più grandi sono meno d’accordo degli altri sul fatto che il secchione usi la logica e ilragionamento, non imparando a memoria ciò che studia.

Inoltre, l’ANOVA mostra che la variabile influenza le credenze degli studenti sull’aiutodato durante i compiti in classe (F(1,332) = 14,173, p ª 0,000). Gli studenti di scuola mediasono meno d’accordo sul fatto che il secchione aiuti durante i compiti e che socializzi coni compagni rispetto ai ragazzi delle superiori. Sembra che per i ragazzi più giovani il sec-chione sia meno malleabile e quindi disponibile alle richieste e ai giudizi dei compagninelle prove in classe e nei diversi momenti della vita di classe.

Infine, la propensione del secchione a mantenere un buon livello di attenzione e intera-zione durante la lezione è confermata in particolare dagli studenti di scuola media, i qualiesprimono un accordo significativamente più elevato rispetto ai compagni delle superiori(F(3,330) = 5,870, p ª 0,016). In sostanza, gli studenti più giovani coinvolti nell’indagine ri-tengono, in grado maggiore rispetto ai compagni degli altri livelli, che i secchioni siano par-ticolarmente sensibili alle sollecitazioni degli insegnanti, nella direzione di dare l’immaginedel bravo studente per cui possono essere canzonati.

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Livello scolastico

Area

Fattore

Scuola media

Scuola superiore

impegno nellostudio

modo distudiare

3,96

3,70

comportamentiscolastici

aiuto aicompagni

2,58

2,96

relazione tra ins. esecch.

accondiscendenza

3,77

2,62

Genere del secchione

Area - impegno nello studio

Fattore - modo di studiare

maschio 3,93

femmina 3,77

Fig.3: M relative ai fattori influenzati significativamente dalla variabile livello scolastico

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In fig.4 sono riportati i punteggi medi di tale variabile. Sulla base dei confronti multiplia posteriori i ragazzi con scarso rendimento scolastico rispetto agli studenti con un buonrendimento risultano molto d’accordo sull’impegno del secchione nello studio. (F(2,331) =9,580, p ª 0,017), così come gli studenti con un rendimento scolastico sufficiente sono piùd’accordo rispetto agli studenti con un buon rendimento che il secchione goda dei privilegiche gli insegnanti gli offrono durante l’interrogazione (F(2,331) = 3,540, p ª 0,030).

Sembrerebbe che gli alunni che si considerano scarsi o sufficienti siano più sensibili nelritenere particolarmente impegnato il secchione e nel rilevare una certa preferenza nei suoiconfronti da parte degli insegnanti, tendendo così ad aiutarlo maggiormente rispetto al restodella classe.

Fig.4: M relative ai fattori influenzati dalla variabile rendimento scolastico

Discussione e considerazioni conclusive

L’analisi delle componenti principali ha consentito di isolare differenti fattori e di articolare,confermandole, le aree preliminarmente individuate per la costruzione del questionario.

I fattori isolati evidenziano che gli alunni rappresentano il compagno considerato sec-chione come un ragazzo che attribuisce molta importanza allo studio (area A – impegnonello studio, fatt.: importanza dello studio) e che dimostra spiccato impegno, responsabilitàe costanza nello studio. Non impara a memoria gli argomenti scolastici, anzi usa la logica, ilragionamento e apprende senza particolari difficoltà (area A, fatt.: modo di studiare del sec-chione).

Nei compiti in classe è abbastanza disponibile ad aiutare i compagni, senza procrastinarel’aiuto ad un momento successivo, suggerendo anche a quei compagni con i quali non haun ottimo rapporto. Durante la lezione, il secchione sembra partecipare moderatamente alclima della classe (area B –comportamenti scolastici del secchione, fatt.: aiuto fornito aicompagni), riuscendo ad instaurare delle relazioni soddisfacenti. Partecipa molto attivamentealla spiegazione, mostrandosi interessato e coinvolto (area B, fatt.: comportamento durantelezione), atteggiamento che a volte può portare i compagni a canzonarlo.

Gli alunni partecipanti ritengono che gli insegnanti tendano a privilegiare il secchionerispetto agli altri membri della classe, a favorirlo nelle diverse situazioni scolastiche (area C– relazioni tra insegnanti e secchione, fatt.: privilegi riservati al secchione) e che, a sua volta,il secchione cerchi di essere accondiscendente nei confronti dei docenti, evitando di opporsialle loro opinioni o giudizi e cercando di collaborare (area C, fatt.: accondiscendenza versoinsegnanti).

Il secchione appare un ragazzo scolasticamente attivo e impegnato, che interagisce coi

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Rendimento scolastico

Area

Fattore

scarso

sufficiente

buono

impegno nello studio

importanza dello studio

4,0351

3,7121

3,5873

relazione tra insegnantee secch.

privilegi riservatial secchione

3,5230

3,3030

3,0000

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compagni, ma che in classe è oggetto della loro attenzione: può essere preso in giro quandorisulta eccessivamente pronto nelle prestazioni scolastiche. In questa dinamica, risulta coin-volto anche l’insegnante per i presunti privilegi attribuiti al secchione in quanto dagli stu-denti possono essere intesi come mancanza di equità.

È interessante osservare un possibile esito delle pressioni della classe nei confronti delsecchione, diverso da quello messo in luce da Hargreaves (1977): piuttosto che manifestarsiuna diminuzione dell’impegno da parte del secchione, sembra realizzarsi uno scambio dialtro tipo. Il secchione risulta disponibile ad aiutare i compagni nei compiti, cioè fa copiare.Di fatto, nella reciproca e ricorsiva complicità, contro qualsiasi principio di responsabilitànello studio, gli alunni risultano in opposizione agli insegnanti, che continuano invece adessere all’oscuro della dinamica in atto.

Per questo insieme di comportamenti e caratteristiche, nonostante il secchione sia sot-toposto a pressioni ricorrenti, è evidente che la relazione che si instaura tra classe e secchionenon è propriamente quella di prevaricazione vs vittima, anche se può ugualmente realizzarsiall’oscuro degli insegnanti. Il secchione risulta tuttavia oggetto di pressioni improprie e di-seducative per tutti gli alunni, che riguardano questioni centrali della loro educazione sco-lastica e della vita della classe, quali l’impegno e la responsabilità nello studio, l’orientamentomotivazionale, i processi di apprendimento e di socializzazione.

L’analisi di varianza univariata ha consentito di mettere in luce l’influenza delle variabiliindipendenti considerate sulle rappresentazioni degli studenti circa il compagno consideratosecchione, mettendone in luce il carattere differenziato.

Per quanto riguarda la variabile genere dei partecipanti i ragazzi sono più convinti rispettoalle ragazze che il secchione sia caratterizzato per l’impegno nello studio, così come sonomaggiormente d’accordo nel riconoscere un atteggiamento decisamente partecipativo delsecchione durante la lezione, che lo porta ad essere preso in giro e infine una sua buona ac-condiscendenza nei confronti degli insegnanti. Gli studenti tendono a sostenere con maggiorvigore rispetto alle compagne le caratteristiche del compagno secchione.

Per la variabile genere del secchione, alle ragazze secchione viene attribuita una tendenzaad imparare a memoria ciò che studiano in misura maggiore dei loro compagni secchioni.

La variabile livello scolastico ha messo in evidenza come gli studenti più giovani carat-terizzino il compagno considerato secchione in modo significativamente diverso rispettoagli studenti delle classi superiori. I ragazzi di scuola media sono maggiormente d’accordoche il secchione usi la logica e il ragionamento, che non aiuti in maniera considerevole du-rante i compiti e che interagisca relativamente con i compagni di classe. Gli studenti discuola media sostengono, anche, una maggiore propensione del secchione a interagire du-rante la lezione, nella direzione di dare l’immagine del bravo studente e, di conseguenza,tendendo anche a canzonarlo. Per gli alunni più giovani il secchione è un ragazzo che cercadi mantenere il suo ruolo di bravo studente e quindi non soggetto alle pressioni della classedi uniformarsi al gruppo. I ragazzi di scuola superiore invece non vedono il secchione comeun compagno diverso, ma che cerca semplicemente di aderire alle loro richieste al fine diessere accettato.

Infine, per la variabile rendimento scolastico, i ragazzi con scarso e sufficiente rendimentoscolastico rappresentano il secchione come uno studente particolarmente impegnato nellostudio, che gode dei privilegi che gli insegnanti gli riservano maggiormente.

Alla luce delle analisi di varianza condotte, le credenze degli studenti sul secchione simanifestano pertanto come notevolmente differenziate in rapporto alle variabili considerate,multidimensionali, dinamicamente in equilibrio tra pressioni e interazioni in classe. In par-ticolare, alcune richiederebbero ulteriori approfondimenti, come ad esempio il genere, percui la secchiona nello studio risulterebbe ricorrere significativamente meno dei secchioni

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alla logica e al ragionamento, o il livello scolastico per cui la capacità di resistere alle pressionidei compagni viene riconosciuta in grado significativamente maggiore dai compagni dellemedie.

Nel caso considerato del secchione, non si tratta dunque solamente di un processo checoinvolge uno studente oggetto di pressioni e i compagni che le mettono in atto, ma dellamanifestazione di complesse e ramificate dinamiche presenti in classe, che coinvolgono glistessi insegnanti e quindi i processi formativi che li riguardano.

I risultati conseguiti richiedono tuttavia di essere confermati ed arricchiti anche con ilricorso a differenti procedure di indagine, ma sottolineano la centralità degli studi sulla classee sui molteplici ruoli e dinamiche che in essa si sviluppano.

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studiDewey, la teoria dell’arco riflesso e la transazione

Dewey, the reflex arc theoryand the transaction

Nel The Reflex Arc Concept in Psycholo-gy (1896) Dewey propone una spiega-zione evolutiva e naturalistica dell’arcoriflesso. Il presente lavoro offre un con-tributo agli attuali studi deweyani, so-stenendo le seguenti tesi.1) La prospettiva evoluzionistica e na-

turalistica si sviluppa non solo in re-lazione al processo di base dell’arcoriflesso, ma coinvolge anche lacomplessiva conoscenza dei proces-si.

2) Dal punto di vista filosofico ed epi-stemologico, questo approccio con-sente di superare il tradizionaledualismo organismo e ambiente,mente e corpo, teoria e pratica.

3) La critica dell’arco riflesso rappre-senta il primo e chiaro schema di“transazione”.

Parole chiave: dualismo, coordina-mento, transazione, esperienza, appren-dimento

In The Reflex Arc Concept in Psy-chology (1896) Dewey proposes an evo-lutionary and naturalistic explanation ofreflex arc. The present paper contributes tothe current state of Deweyan studies by ar-guing the following thesis. 1) The evolu-tionary and naturalistic perspective isdeveloped not only in relation to the basicprocess of reflex arc, but involves the overallknowledge processes as well. 2) From aphilosophical and epistemological point ofview, this approach allows the overcomingof traditional dualism between organismand environment, mind and body, theoryand practice. 3) The reflex arc criticism rep-resents the first and clear outline of “trans-action”.

Key words: dualism, coordination,transaction, experience, learning

GIORDANA SZPUNAR

• Giordana Szpunar, “Sapienza” Università di Roma.

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Il concetto di arco riflesso

In psicologia, quando si parla di riflesso ci si riferisce al fenomeno per il quale lo stimolo diparticolari recettori sensoriali determina una risposta automatica, vale a dire indipendentedalla volontà del soggetto. L’arco riflesso è la struttura che compone il sostrato nervoso diuna parte «afferente» (che porta l’impulso al centro, costituito dal midollo spinale o dal cer-vello) e di una parte «efferente» (che porta l’impulso dal centro ai muscoli periferici). Alcentro, il contatto tra ramo afferente e ramo efferente permette all’impulso che ha originedallo stimolo di scaricarsi direttamente sul ramo efferente e di provocare la risposta senzadover coinvolgere livelli superiori che implichino la volontà del soggetto. L’arco riflesso se-gue così un percorso lineare che ha inizio con lo stimolo e si conclude con la risposta, pas-sando per il centro nervoso.

I primi riferimenti al concetto di arco riflesso si possono ritrovare nella biologia di De-scartes (1662, 85-86 e 145-146). Dopo aver visto una serie di sviluppi dalla metà del ’700alla seconda metà dell’800 ad opera dei fisiologi inglesi (Whytt), francesi (Bell, Magendie,du Bois-Reymond), italiani (Galvani e Volta), tedeschi (Helmholtz), statunitensi (Spencer eHuxley), l’arco riflesso diviene oggetto di studio privilegiato della corrente riflessologicarussa, passando attraverso le diverse elaborazioni di Se�enov, Bechterev, Pavlov.

Nel 1881 James prende in considerazione il problema dell’arco riflesso nel saggio ReflexAction and Theism. Riferendosi alla fisiologia contemporanea, egli afferma che tutta l’attivitànervosa segue il modello generale dell’azione riflessa. Questo modello base si compone ditre elementi: la sensazione, lo stimolo; un elemento di mediazione (il midollo spinale o ilcervello); la risposta, l’azione che conclude la sequenza. In tale sequenza il sistema nervosocentrale si presenta come la fase intermedia il cui scopo è quello di condurre all’azione,mentre la risposta, o l’azione, rappresenta il momento culminante dell’intero processo (James,1881, 113-114).

In Principles of Psychology (1890) James riprende e approfondisce questi argomenti ripor-tando il caso esemplare di un bambino che, attirato dalla luce, tocca la candela, si brucia eritrae la mano. Secondo la teoria tradizionale dell’arco riflesso questo processo di apprendi-mento sarebbe costituito da due sequenze di stimolo-risposta, due “correnti riflesse”. Nellaprima, che va «dall’occhio al movimento di estensione», lo stimolo è la vista della candela,la risposta è l’azione di toccare la fiamma. Nella seconda sequenza, che va «dal dito al mo-vimento del ritrarre la mano», lo stimolo è la bruciatura, la risposta è l’azione di ritirare lamano. Le due sequenze, che vengono rappresentate da due archi distinti tra loro, consistonoin una stimolazione esterna a cui segue un’azione stabilita dal funzionamento interno.

Tuttavia, continua James, «se questo fosse l’intero sistema nervoso del bambino, e se i ri-flessi fossero una volta per tutte organici, potremmo non avere nessuna alterazione nel suocomportamento, indipendentemente da quanto spesso l’esperienza si ripresenti. L’immagineretinica della fiamma farebbe sempre allungare il braccio, il dito che brucia lo rimanderebbesempre indietro» (25). Invece, come si sa, il bambino che si scotta teme il fuoco, e, general-mente, è sufficiente una sola esperienza per proteggere le dita per sempre. Il processo, allora,deve essere necessariamente più complesso.

La corrente che parte dall’occhio, quando raggiunge il centro inferiore della visione, sti-mola contemporaneamente il processo percettivo (s¹) negli emisferi; la sensazione dell’esten-sione del braccio invia una corrente che lascia una traccia di se stessa (m¹); il dito bruciatolascia una traccia analoga (s²); e il movimento di ritrazione lascia una traccia m². Questi quat-tro processi, in virtù dell’assunzione secondo la quale se i processi «una volta sono stati sti-molati insieme o in successione immediata, qualsiasi stimolazione successiva di uno qualsiasidi essi (sia dall’esterno sia dall’interno) tenderà a stimolare gli altri nell’ordine originario»,

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saranno ora associati tra loro dal percorso s¹-m¹-s²-m² che procede dal primo all’ultimo. Intal modo, se qualcosa provoca s¹, le idee di estensione, di dito bruciato e di ritrazione pas-seranno in rapida successione nella mente.

Così, quando il bambino vedrà nuovamente la fiamma la vista della candela stimolerà ilriflesso dell’afferrare, ma, simultaneamente, stimolerà l’associazione dell’idea dell’afferrarecon quelle conseguenti del dolore e della ritrazione della mano. L’atto dell’afferrare sarà,molto probabilmente, arrestato nel corso del movimento della mano verso la candela, ilbambino ritrarrà la mano e le sue dita saranno salve. Dunque, non siamo di fronte ad archiseparati che rappresentano rispettivamente lo stimolo e la risposta, ma a una successione distimoli e risposte molto più articolata. Questi concetti relativi all’arco riflesso adombrano econtengono l’idea fondamentale del pragmatismo: nel processo descritto, infatti, l’azione ri-sulta come fine o come culmine e fornisce di significato il processo stesso (James, 1907, 31).

Gli anni della pubblicazione dei Principles of Psychology di James sono anni particolari perla riflessione deweyana. Sono gli anni del passaggio dall’idealismo allo strumentalismo, dal-l’assolutismo allo sperimentalismo, dall’idealismo hegeliano al naturalismo darwiniano. Comericonosciuto da Dewey stesso, James rappresenta una delle figure fondamentali nel suo pro-gressivo allontanamento dall’idealismo giovanile (Dewey, 1930b, Welchman, 1997 e White,1943). L’influenza di James sul pensiero deweyano riguarda, naturalmente, più nello specifico,anche il problema del concetto di arco riflesso (Backe, 1999 e Phillips, 1971). Dewey e James,come vedremo, concordano nel sottolineare che l’arco riflesso può essere considerato comeil modello dell’intera azione nervosa e che non può essere diviso in elementi singoli se nonin modo artificiale e funzionale. Tuttavia, mentre James afferma che le prime due fasi dell’arconon hanno esistenza separata dalla terza, Dewey è più radicale nel sostenere che la rispostasi configura come tale in virtù della sua co-ordinazione con le fasi precedenti.

Per comprendere la posizione di Dewey sull’arco riflesso occorre tenere presente che lasua formazione e, quindi, l’orientamento delle sue prime opere, risentono fortemente didue influenze fondamentali: quella darwiniana e quella neohegeliana.The Origin of the Species di Darwin esce nel 1859, anno di nascita di Dewey. Le idee evo-

luzioniste arrivano a Dewey durante gli anni del college presso l’Università del Vermont at-traverso un testo di T. H. Huxley (Dewey, 1930b, 147-148) letto per un corso di fisiologiae, negli anni ’80, presso la Johns Hopkins, attraverso le lezioni di psicologia di George StanleyHall che applica le idee evolutive allo sviluppo del bambino.

Negli stessi anni l’influenza di George Sylvester Morris lo porterà ad assumere posizionihegeliane. Hegel, come Huxley, fornisce a Dewey una risposta convincente rispetto alla suainsoddisfazione di fronte alle posizioni dualiste e atomiste degli empiristi inglesi (Dewey,1930, 153).

Lo stesso ambito psicologico si presenta in questi anni caratterizzato da cambiamenti ra-dicali: intorno agli anni ’80 nasce la nuova psicologia sperimentale in Germania che si op-pone alla psicologia inglese basata quasi esclusivamente sulla speculazione filosofica. Iprogressi della fisiologia, lo sviluppo della metodologia della ricerca scientifica, il potenzia-mento della tecnologia, la diffusione dell’evoluzionismo darwiniano, sono fattori che spin-gono la psicologia ad assumere uno statuto scientifico autonomo.

Già nel 1884, con il saggio The New Psychology, Dewey critica la “vecchia” psicologia (lapsicologia derivata dall’empirismo inglese di Locke, Hume e Mill), la quale non terrebbe indebito conto la complessità della vita mentale e si baserebbe su una serie di discutibili as-sunzioni atomiste e dualiste. Agli sviluppi della biologia e alla nuova prospettiva evoluzionistasi deve la concezione della vita mentale come di un processo organico e unitario e il rico-noscimento della relazione intrinseca tra organismo e ambiente, grazie al quale la vita psi-chica cessa di essere considerata proprietà di un soggetto isolato che si sviluppa nel vuoto.

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Le scienze storiche e sociali permettono di consolidare quella «relazione organica» tra indi-vidui e società emersa grazie alla biologia. In tal modo l’ambito di applicazione della psico-logia viene esteso notevolmente oltre quei confini angusti in cui la tenevano ingabbiata ilformalismo e il nominalismo della vecchia psicologia. Dewey tenta di conciliare lo hegelismocon il darwinismo in una psicologia che, nell’attingere sia dalla biologia sia dalla storia, sibasi su una concezione della vita che includa il biologico e il socioculturale e li veda incontinuità l’uno con l’altro.

Questo sforzo di sintesi emerge ancora negli scritti psicologici degli anni successivi (De-wey, 1886a, 1886b e 1887, Szpunar, 2004a), ma risulta particolarmente evidente nel volumedel 1887 Psychology. Nelle revisioni successive dell’opera, che rappresentano il «cambiamentograduale nella mente di Dewey dal linguaggio dell’idealismo a quello della “nuova” psico-logia», la critica deweyana al «“concetto di arco riflesso” è già prefigurata» (Schneider, 1967,VIII).

La menzione esplicita del concetto di “arco riflesso” fa la sua comparsa nel febbraio 1892,in alcune lezioni di filosofia che Dewey tiene presso l’Università del Michigan. Nel mese diaprile dello stesso anno Dewey scrive a James Rowland Angell informandolo che sta stu-diando con molto interesse la teoria dell’“arco riflesso” (Hickman, 1999-2005, 1892.04.25(00466): J. Dewey to J. R. Angell).

Nelle lezioni di filosofia del 1892 già emerge chiaramente il concetto di coordinazione1.Facendo riferimento a Spencer, James e Von Hartmann, Dewey definisce l’arco riflesso come«l’unità dell’azione nervosa» specificando, tuttavia, che il termine si riferisce non solo al ri-flesso più semplice della fisiologia, come il battere le palpebre, ma a «qualsiasi azione unificata,o porzione completa di condotta». Sono archi riflessi il movimento di un’ameba, l’impulsodi un bambino per il cibo, la percezione di un colore, un atto virtuoso, una teoria filosofica.Ognuna di queste è «una azione unificata; e in questa unità di azione varie condizioni sonoportate a maturazione o messe a fuoco. Ognuna è una co-ordinazione di certe esperienze;ognuna è una espressione, più o meno diretta, più o meno esplicita, del complesso della vita;è la molteplicità delle circostanze dell’Universo che raggiunge una unità nell’azione» (Dewey,1892, 212).

Dewey prosegue affermando che due sono gli aspetti dell’arco riflesso che, anche se difatto non separabili, possono essere analizzati in modo distinto: un aspetto riguarda la «di-versità delle condizioni implicate», l’altro riguarda «l’unità dell’azione».

In questa analisi di arco riflesso Dewey parla già di controllo e rinforzo reciproco tra sti-molo e azione all’interno della co-ordinazione, argomenti che riprenderà tematicamente eapprofondirà nel saggio del 1896 (Dewey, 1892, 213-214).The Reflex Arc Concept in Psychology, pubblicato per la prima volta nel luglio 18962, con-

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1 Il termine «coordinazione» è poi utilizzato esplicitamente da Dewey nel 1894: «il modo di comportarsi èla cosa primaria, e […] l’idea e l’eccitazione emotive sono costituite nello stesso momento; anzi, esse rap-presentano la tensione di stimolo e risposta all’interno della coordinazione che determina il modo di com-portarsi». (Dewey, 1894b, 174).

2 L’articolo è pubblicato per la prima volta in «Psychological Review», III, July 1896, pp. 357-370. È ripub-blicato, senza revisioni, solo una volta, nello stesso anno della sua pubblicazione nei Contributions to Philo-sophy.Dewey stesso nel 1914 scrive a Boyd H. Bode spiegando i motivi della mancata ripubblicazione del saggio.«Non ho mai ristampato la cosa sull’Arco Riflesso a causa della terminologia della prima parte – è troppo“soggettivistica” – troppo “psichica” – circa le sensazioni ecc. – è troppo presente l’idea del flusso di co-scienza. E non ho mai avuto la possibilità di riscrivere la terminologia» (Hickman, 1999-2005, 1914.03.12(02933): J. Dewey to B. H. Bode).

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tiene l’analisi più sistematica del concetto di arco riflesso ed è un saggio che riveste una no-tevole importanza su più livelli. Anzitutto, lo scritto del 1896 rappresenta dal punto di vistadella storia della psicologia un «colpo mortale all’introspezionismo e un manifesto del nuovofunzionalismo» (Hickman, 1998, X e Langfeld, 1994). Tuttavia, non è possibile rinchiudereil saggio nel confine della scuola funzionalista e leggerlo in un’ottica esclusivamente psico-logica, poiché in esso sono presenti contributi filosofici di primo piano. Non a caso, comeabbiamo visto, Dewey aveva inserito l’arco riflesso tra i principali argomenti delle sue lezionidi Introduzione alla filosofia.

Lo scritto, dunque, è considerato comunemente uno dei passaggi più importanti del pen-siero di Dewey, poiché vi si ritrovano, fatte le dovute distinzioni e precisazioni terminolo-giche e concettuali, una serie di elementi che ritorneranno nell’intera opera deweyana.Infatti, nella concezione deweyana del circuito senso-motorio, come abbiamo anticipato,emerge la combinazione delle istanze di unità e continuità derivate dal pensiero hegelianocon il naturalismo evoluzionistico di Darwin e di James, combinazione che troverà poi unapiena e completa sistemazione nel concetto di transazione (Pronko & Herman, 1982, Biesta,Miedema & Ijzendoorn, 1990, Palmer, 2005, Vanderstraeten, 1998). D’altra parte, è lo stessoDewey che in una nota di Knowing and the Known riconosce e precisa come nell’articolodel 1896 venga prefigurata per la prima volta in modo significativo la prospettiva transazio-nale (Dewey & Bentley, 1949, 101).

La «cornice transazionale», inoltre, che trova una delle sue prime elaborazioni proprionel saggio del 1896, è a tutt’oggi tenuta in grande considerazione sia dalla psicologia (Lan-gfeld, 1994, Tolman & Piekkola 1989, Bredo, 1998, Vanderstraeten, 2002, Vanderstraeten &Biesta, 1998, Garrison, 1995 e 1997, Clancey, 1993, Bredo, 1994, Biesta, Miedema & van Ij-zendoorn, 1990, Gibson, 1980, Jordan, 1998), sia da una serie di discipline più o meno li-mitrofe come la sociologia e l’economia (Khalil, 2003 e 2004, Szpunar, 2004a e 2008).The Reflex-Arc Concept in Psychology «oggi, più di cento anni dopo la sua pubblicazione,

è ancora il soggetto di un interesse e una discussione considerevoli» (Hickman, 2001 e 1998,Langfeld, 1994) da una parte perché rappresenta un pilastro fondamentale all’interno del-l’opera deweyana, dall’altra perché le considerazioni filosofiche, epistemologiche e pedago-giche che sviluppa rimangono a tutt’oggi estremamente attuali in campo psicologico comein altri ambiti disciplinari (McKenzie, 1972, xviii-xix).

Dall’arco al circuito riflesso

Il discorso di Dewey sul concetto di arco riflesso si apre con la constatazione secondo laquale, a seguito dei numerosi risultati scientifici conseguiti dalla nuova psicologia, si ponecon forza la necessità di un principio unificante, di una categoria di fondo che organizzi lamolteplicità e la varietà dei fatti. E «l’idea dell’arco riflesso è nel suo complesso arrivata vicinoad incontrare questa richiesta di un’ipotesi di lavoro generale più di ogni altro singolo con-cetto». Tuttavia, il concetto di arco riflesso, non solo nella sua versione tradizionale, ma anchecosì come viene concepito nella prospettiva della nuova ricerca fisiologica, perpetua il dua-lismo e l’atomismo tipici della vecchia psicologia associazionistica e che affliggono la tradi-zione filosofica occidentale tout court. Infatti, la definizione secondo la quale uncomportamento complesso è composto di sequenze di unità stimolo-risposta elementari fapendant con la nozione empirista secondo la quale le idee complesse sono composte di ideeelementari associate dalla mente. In altre parole, «il vecchio dualismo tra sensazione e idea èripetuto nel dualismo corrente di strutture e funzioni periferiche e centrali; il vecchio dua-lismo di corpo e anima trova un’eco distinta nel corrente dualismo di stimolo e risposta».

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A partire da rigide distinzioni che tendono a isolare e a ipostatizzare aspetti e funzioniinterne al circuito senso-motorio, lo stimolo e la risposta, la sensazione e l’azione sono vistecome unità autonome, distinte e indipendenti. «Lo stimolo sensoriale è una cosa, l’attivitàcentrale, che sta per l’idea, è un’altra cosa, e la scarica motoria, che sta propriamente perl’atto, è una terza. Conseguentemente, l’arco riflesso non è un’unità comprensiva o organica,ma un mosaico di parti slegate, una congiunzione meccanica di processi diversi» (Dewey,1896, 96).

Questo non fa che alimentare il tradizionale dualismo psicologico, nonché filosofico, chetende a non riconoscere il contributo dell’ambiente al comportamento dell’individuo. Intal modo, il principio dell’arco riflesso quale mosaico di elementi giustapposti tradisce lacontinuità dell’esperienza e l’unità tra l’organismo e l’ambiente circostante. Occorre, dunque,una nuova prospettiva che abbandoni l’impianto dualistico con cui viene da tempo inter-pretato il rapporto uomo-mondo. Come scrive Dewey nell’enunciare con chiarezza il suoprogramma di ricerca, «ciò che si richiede, più specificamente, è che lo stimolo sensoriale,le connessioni centrali e le risposte motorie siano viste non come entità separate e completein se stesse, ma come divisioni di lavoro, fattori funzionali, dentro l’insieme unico concreto,ora designato come l’arco riflesso» (Dewey, 1896, 97).

Il principio chiave attraverso cui garantire l’unità e la continuità dell’esperienza è quellodella co-ordinazione. Per dimostrare in che modo vada inteso questo concetto, Dewey ri-prende il caso del bambino e della candela già preso in considerazione da James. Come ab-biamo visto, l’interpretazione consueta è che in questo processo di apprendimento siano ingioco due sequenze di stimolo e risposta. Nella prima sequenza il bambino recepisce lo sti-molo, la vista della candela, e risponde avvicinandosi ad essa fino a toccarla. Nella secondasequenza, il bambino recepisce lo stimolo della bruciatura e reagisce allontanando la mano.

Il modello dell’arco riflesso implica che ciascun evento sia separato dagli altri e definitoindipendentemente dagli altri. I singoli eventi sarebbero collegati causalmente in una se-quenza lineare secondo la quale lo stimolo 1 causa la risposta 1 e così via. Questa interpre-tazione lineare, riducendo gli eventi a una serie di contrazioni isolate, non spiega il modoin cui i «diversi elementi del comportamento lavorano insieme per formare un’azione in-tegrata» (Bredo, 1998, 453), intenzionale, diretta a uno scopo.

Dewey, naturalmente, non concorda con questa analisi e nel saggio del 1896 sviluppauna critica puntuale e dettagliata iniziando dalla prima sequenza. Il principio del processonon è costituito dal mero stimolo sensoriale (visivo) a cui segue meccanicamente una rispostamotoria, ma piuttosto da una più complessa co-ordinazione senso-motoria («quella ottico-oculare») nella quale il movimento assume una importanza primaria in quanto conferiscesignificato all’esperienza e determina «la qualità di ciò che è esperito» (Dewey, 1896, 97).

Il processo non inizia con una sensazione, ma con un’azione, l’azione del vedere, delguardare la fiamma. La «qualità sensoriale» conferisce valore all’azione, mentre il movimentola controlla. Entrambi, sensazione e movimento, «stanno dentro l’azione, non fuori». La sen-sazione e il movimento non sono due elementi distinti legati da una semplice successionedi antecedente e conseguente, ma, al contrario, rappresentano due momenti di un unico at-to.

Vedere e afferrare, essendo stati «tenuti insieme così spesso da rinforzarsi reciprocamente»,diventano due aspetti dello stesso processo di co-ordinazione, nel quale l’atto di vedere sti-mola e controlla l’atto di stendere il braccio (è la vista della fiamma che stimola il bambinoa muovere il braccio in una certa direzione) e, viceversa, lo stendere il braccio stimola econtrolla l’atto di guardare la candela (per arrivare a toccare la fiamma il bambino deve man-tenere lo sguardo su di essa). Più radicalmente allora, vedere e afferrare sono connessi l’unl’altro di modo che l’uno dà significato all’altro (Dewey, 1896, 98).

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Una volta chiarito che quella che veniva definita la prima sequenza di stimolo-rispostaè, più precisamente, una co-ordinazione senso-motoria unitaria, Dewey afferma che è com-pletamente fuorviante ridurre il processo preso in esame a sequenze tra loro separate. Seanalizziamo allo stesso modo quella che viene tradizionalmente considerata come la secondasequenza di stimolo-risposta, la mano che si brucia a contatto con la fiamma e che conse-guentemente si ritrae, possiamo arrivare alla conclusione secondo la quale anche questa nonè una semplice sensazione, ma è una co-ordinazione senso-motoria. E non consiste in un«evento interamente nuovo», ma «è semplicemente il completamento o l’adempimento dellaprecedente co-ordinazione occhio-braccio-mano».

L’ordinaria interpretazione in base alla teoria tradizionale dell’arco riflesso vede nella ri-sposta della seconda sequenza un evento nuovo, costituito dalla sostituzione della precedentesensazione di luce con la sensazione della bruciatura, attraverso la mediazione del movi-mento. Se così fosse, tuttavia, non ci sarebbe apprendimento e, come sottolinea anche James,il bambino posto di fronte a una situazione analoga si brucerebbe nuovamente le dita. Ilfatto che le due sequenze rientrino in una co-ordinazione unitaria più ampia spiega inveceperché il bambino, trovandosi in futuro in una situazione analoga, riesce ad evitare la bru-ciatura. «Solo perché la sensazione calore-dolore [heat-pain quale] entra nello stesso circuitodi esperienza con le sensazioni ottico-oculare e muscolare [optical-ocular and muscolar quales],il bambino apprende dall’esperienza e acquisisce l’abilità di evitare l’esperienza nel futuro»(Dewey, 1896, 98). In altre parole, non si ha la sostituzione di una esperienza con un’altra. Ilmovimento mantiene, rinforza e trasforma la sensazione originaria, determinando lo svi-luppo o, più precisamente, la «mediazione» dell’esperienza (Dewey, 1894a, 237). La sensazioneiniziale ripetuta successivamente in situazioni analoghe si rivela qualitativamente differente:non solo la bruciatura conseguirà sempre all’atto del toccare la fiamma, ma il bambino ècosciente di questo.

Secondo Dewey l’unità e la continuità delle co-ordinazioni senso-motorie determinanouna trasformazione dell’esperienza originaria, la quale si configura secondo modalità con-tinue e cumulative. La cosiddetta «risposta» non è una risposta allo stimolo, ma è nello stimolostesso. «La bruciatura è l’originaria capacità di vedere, l’originaria esperienza ottico-oculareampliata e trasformata nel suo valore. Non è più semplicemente il vedere; è il vedere-una-luce-che-significa-dolore-quando-avviene-il-contatto» (Dewey, 1896, 97).

Il risultato è che l’idea dell’arco riflesso è «difettosa» e mette capo a una «psicologia di-sgregata», la quale, incapace di vedere che l’arco in realtà è un «circuito, una ricostruzionecontinua», perde di vista la «continuità dell’esperienza» sia relativamente al processo di «svi-luppo dell’individuo o della razza» sia relativamente alla «analisi della coscienza matura». Nelprimo caso, infatti, l’ignorare la continuità che caratterizza l’arco riflesso ci lascia «con nien-t’altro che una serie di contrazioni, l’origine di ognuna delle quali va ricercata al di fuoridel processo di esperienza stessa, o in una pressione esterna dell’“ambiente”, o ancora inuna variazione spontanea inesplicabile dall’interno dell’“anima” o dell’“organismo”» (De-wey, 1896, 99). Nel secondo caso, invece, l’ignorare l’unità dell’attività determina una sepa-razione tra sensazione, o stimolo periferico, idea, o processo centrale, e risposta motoria, oatto, i quali devono trovare un aggiustamento reciproco «o attraverso l’intervento di un’animaextrasperimentale, o attraverso uno spingere e tirare meccanico» (Dewey, 1896, 100).

Per confermare le considerazioni fatte fino a questo punto Dewey si dedica all’illustra-zione di un ulteriore caso, questa volta ripreso da un’analisi di James M. Baldwin. In Feelingand Will, Baldwin descrive la «coscienza reattiva» come composta da tre elementi che sono«la coscienza recettrice, lo stimolo», l’attenzione involontaria e la reazione muscolare chesegue allo stimolo, riportando l’esempio di un suono improvviso che viene percepito, regi-strato e al quale segue un tentativo di fuga.

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L’analisi di questa situazione, afferma Dewey, non è completa perché non tiene contodello stato precedente alla percezione del suono: la situazione di partenza conferisce al-l’esperienza un significato di volta in volta diverso. «Se uno sta leggendo un libro, se sta cac-ciando, se sta osservando un luogo tenebroso in una notte solitaria, se sta effettuando unesperimento di chimica, in ognuno di questi casi il rumore ha un valore psichico molto dif-ferente; è un’esperienza differente» (Dewey, 1896, 100). Come abbiamo visto anche nel casodella candela e del bambino, la situazione che precede lo stimolo è già una co-ordinazionesenso-motoria e lo stimolo emerge da questa co-ordinazione «come dalla sua matrice». Nelcaso del rumore improvviso il suono si costituisce come spostamento dell’attenzione, come«redistribuzione delle tensioni dell’atto precedente» e, dunque, non si manifesta come unsemplice stimolo o sensazione, ma come un atto, l’atto dell’ascoltare. Dunque, si ha in primoluogo un movimento che conferisce significato al suono e che, conseguentemente, deter-mina l’azione ulteriore del fuggire via (Dewey, 1896, 101-102). Ancora, l’azione del fuggirevia non si riduce a una mera risposta motoria, ma è una co-ordinazione senso-motoria enon si determina come esperienza nuova slegata dalla co-ordinazione precedente: l’espe-rienza del suono persiste nel suo significato nell’atto di correre via per mantenerlo e con-trollarlo.

Durante la costruzione di un’azione si assiste, dunque, a una «interazione dinamica dimovimento e percezione», a un «mutuo modellamento» degli elementi dell’azione stessa.Date queste considerazioni il processo non può essere rappresentato da un arco o da unasuccessione di archi spezzati e slegati fra loro. Piuttosto, e più appropriatamente, deve esseretradotto in un «circuito» all’interno del quale stimolo e risposta, sensazione e movimento, sideterminano reciprocamente. Questo circuito, sottolinea Dewey, «si chiama più precisamenteorganico che riflesso, poiché la risposta motoria determina lo stimolo, proprio come lo sti-molo sensoriale determina il movimento. In verità il movimento avviene solo per determi-nare lo stimolo, per stabilire che tipo di stimolo è, per interpretarlo» (Dewey, 1896, 102).

È solo all’interno di una «co-ordinazione» o di un «circuito» di questo genere che il bam-bino, guardando la candela, la «costituisce» come uno stimolo; è solo all’interno di una «co-ordinazione» o di un «circuito» di questo genere che il bambino, manifestando l’intenzionedi toccare la fiamma, «costituisce» il movimento come una risposta. In altre parole, la sensa-zione e il movimento acquisiscono rispettivamente il proprio status di stimolo e di rispostain virtù del ruolo che ognuno di essi gioca nella co-ordinazione intenzionale più ampia(l’azione). Nel momento in cui un evento esterno all’organismo accade il suo significato eil suo effetto sul comportamento dell’individuo dipenderanno, dunque, da ciò che l’orga-nismo sta già facendo. «Nessun cambiamento esterno è uno stimolo in sé e per sé. Esso di-venta lo stimolo in virtù di ciò con cui è già occupato l’organismo. […] Il cambiamentoambientale diventa uno stimolo in virtù di un procedere continuo del comportamento» (De-wey, 1930a, 223).

Se lo stimolo diventa tale, acquisendo significato, solo nel contesto dell’azione in corso,allora «l’unità stimolo-risposta dei teorici dell’arco riflesso era semplicemente un “arco” ta-gliato da un ciclo, o da una serie di cicli, di azione. Era un frammento insignificante consi-derato fuori del contesto» (Bredo, 1998, 454). La concezione dell’arco riflesso, separando lostimolo dalla risposta e la sensazione dal movimento, non fa che perpetuare il dualismo me-tafisico «formulato per la prima volta da Platone, secondo il quale la sensazione è un ambiguoabitante nella terra di confine tra l’anima e il corpo, l’idea (o il processo centrale) è pura-mente psichica e l’atto (o movimento) puramente fisico». La distinzione c’è, dice Dewey,ma non è possibile assumerla come una «distinzione che in qualche modo si trova nell’esi-stenza dei fatti stessi» (Dewey, 1896, 104). Stimolo e risposta, sensazione e movimento noncostituiscono delle entità separate. La loro distinzione non ha una natura ontologica, ma te-

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leologica, funzionale, relativa ai diversi ruoli assunti all’interno di un’azione diretta a un fine(Dewey, 1896, 104).

Stimolo o sensazione, movimento e risposta rappresentano distinzioni di «funzioni fles-sibili», non di entità fisse. Infatti, lo stesso evento «sostiene l’una o l’altra o entrambe le partiin relazione allo spostamento di interesse» (Dewey, 1896, 102). In altre parole, lo stimolo ela risposta, propriamente intesi, non sono che due azioni coordinate che rappresentano lefasi di inizio e di completamento di un’azione più ampia. Essi acquisiscono significato inbase al ruolo giocato nell’azione stessa (Dewey, 1896, 106). Il mutuo adattamento tra le variefasi dell’azione, tra stimolo e risposta, rimane stabile finché sono stabili le condizioni delcontesto. Nel momento in cui le condizioni cambiano, si rendono necessari nuovi aggiu-stamenti ed è in questo frangente che emerge la «mente cosciente».

Per chiarire questi concetti Dewey ripropone il caso del bambino e della candela ren-dendolo più complesso. Si consideri il caso di un bambino che, nel toccare una luce intensa,cioè nel compiere la coordinazione “vedere la fiamma-allungare il braccio”, qualche voltaha provato un’esperienza piacevole, qualche volta ha trovato qualcosa da mangiare e qualchevolta si è bruciato. In questa situazione stimolo e risposta sono entrambi «incerti», «l’uno èincerto nella misura in cui lo è l’altro» (Dewey, 1896, 106). Il bambino si trova a dover «scoprireo stabilire lo stimolo giusto» e a «scoprire o stabilire la risposta». Vista la fiamma, la rispostadel bambino, vale a dire lo stendere o meno la mano, dipenderà da che tipo di luce intensaegli si troverà di fronte: il movimento sarà di un certo tipo se la luce significa bere il latte edi un altro tipo se significa bruciarsi le dita. Il dubbio sul tipo di risposta da fornire in unadata situazione diventa a questo punto lo stimolo che consente di rivolgere l’attenzione al-l’oggetto per determinarne il significato. In altre parole, il conflitto che si genera nella con-dizione di dubbio all’interno della coordinazione inibisce temporaneamente l’attività (lostendere o il ritrarre la mano) e trattiene la vista sullo «stimolo oggettivo» fin quando il bam-bino non sia in grado di determinarne la qualità. È proprio «in questo frangente e a causadi esso», afferma Dewey, che sorge la distinzione della sensazione come «stimolo cosciente»e del movimento come «risposta cosciente» (Dewey, 1896, 106-107).

In questo modo la sensazione come stimolo non rappresenta un’esistenza psichica sepa-rata, ma una funzione che subisce uno spostamento a seconda del significato che le diverseattività assumono nel corso dell’azione. Come abbiamo visto, nella fase iniziale l’attività dellostendere (o ritrarre) la mano è la sensazione, è lo stimolo che pone il problema o che de-termina la richiesta dell’atto successivo. In un secondo momento sarà l’atto del vedere a co-stituire la sensazione, sarà lo stimolo che condurrà l’azione seguente dello stendere (o ritrarre)la mano. «In termini generali, la sensazione come stimolo è sempre quella fase di attivitàche richiede di essere definita affinché una coordinazione possa essere completata. Quelloche la sensazione sarà in particolare in un dato momento, dunque, dipenderà interamentedal modo in cui un’attività viene usata» (Dewey, 1896, 107).

La stessa riflessione vale per il movimento come risposta. Infatti, nella fase iniziale la ri-sposta è rappresentata dal «fissare l’attenzione», dal «tenere l’occhio fisso sul vedere»: ciò per-mette al bambino di valutare di fronte a quale sensazione di luce si trova. In un secondomomento la risposta è rappresentata dal movimento del braccio che si ritrae: ciò permetteal bambino di eliminare la sensazione della bruciatura della mano. «Non c’è niente che, inse stesso, possa essere etichettato come risposta» (Dewey, 1896, 107-108).

Nella parte conclusiva del saggio Dewey sintetizza e ribadisce gli snodi principali dellacritica all’arco riflesso e della proposta del principio di coordinazione come categoria fon-damentale, rinviando ad altra occasione l’applicazione di questo alla «questione della naturadell’evoluzione psichica, alla distinzione tra coscienza sensoriale e coscienza razionale e allanatura del giudizio» (Dewey, 1896, 108-109).

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Il principio della coordinazione e la transazione

In base al principio della coordinazione, nel circuito senso-motorio stimolo e risposta nonsono due entità distinte e precostituite, ma hanno esistenza solo all’interno del loro rapporto.In questo senso, le nozioni di coordinazione e di circuito senso-motorio, così come Deweyle intende e le presenta nel saggio del 1896, racchiudono, l’abbiamo già accennato, le piùimportanti istanze che in seguito caratterizzeranno il deweyano concetto di transazione.

Come il principio di coordinazione anche il concetto di transazione risponde esplicita-mente all’esigenza di rintracciare un principio fondamentale e unificante, «una ipotesi di la-voro e di controllo», capace di individuare le modalità essenziali che caratterizzano l’esperiree il conoscere dell’uomo. La coordinazione, così come la transazione, permettono a Deweydi naturalizzare l’organicismo mutuato da Hegel, rifiutando l’idealismo senza tuttavia caderemai nel materialismo e nell’empirismo (Ryan, 1995, 126).

In questa ottica, il tratto di fondo che segna la transazione e la coordinazione quali «prin-cipi unificatori» è, come vedremo, il rifiuto di ogni forma di dualismo. La prefigurazione diuna “terza via”, che superi gli opposti estremismi rappresentati dall’idealismo e dal realismo,poggia, in entrambi i casi, sulle conoscenze e sulle conquiste scientifiche più recenti, in par-ticolare quelle della biologia e della psicologia. Negli anni intorno al 1896, come abbiamovisto, proprio sulla base delle conquiste in campo biologico (con particolare riferimento al-l’evoluzionismo di Darwin) e sulla base dei progressi in campo psicologico (con particolareriferimento alla psicologia di James), Dewey si rende conto che i dualismi della tradizionesono il frutto di una scorretta impostazione filosofica che la coscienza assoluta dell’idealismonon risolve, ma anzi complica (Westbrook, 1991, 67).

Al contrario, la prospettiva deweyana non implica una separazione tra organismo e am-biente né l’esistenza di entità precostituite e immutabili. Infatti, attraverso la critica al con-cetto dell’arco riflesso Dewey propone una visione circolare dell’azione che presental’adattamento come «una danza con un partner che agisce a sua volta, piuttosto che comeadeguamento a una cosa fissa, o costrizione ad adeguarsi a se stesso» (Bredo, 1998, 458). Inun celebre saggio del 1917 questa posizione emergerà con chiarezza. «Dove c’è vita – affermaDewey – c’è un doppi collegamento mantenuto con l’ambiente» (Dewey, 1917, 7). La vita,infatti, è resa possibile solo all’interno di un ambiente e grazie alla presenza di determinateenergie ambientali che alimentano lo sviluppo di certe funzioni organiche. Tuttavia, l’am-biente non fornisce solo elementi utili allo sviluppo delle funzioni vitali: le energie ambien-tali agiscono tanto a vantaggio quanto a svantaggio dell’organismo vivente.

L’organismo, a sua volta, non subisce passivamente le influenze dell’ambiente e la suavita non è una semplice emanazione di esso. L’essere vivente, infatti, ha il potere di agire sulproprio ambiente e di modificare la direzione degli eventi naturali. L’azione dell’organismosull’ambiente viene intrapresa, da una parte, al fine di perpetuare le circostanze favorevoli erendere maggiormente collaborative quelle neutre, dall’altra, per evitare l’influenza di quellesfavorevoli. In altre parole, l’organismo necessita delle risorse ambientali per la propria esi-stenza, ma esercita, allo stesso tempo, un’influenza su di esse per garantire il proseguimentodella propria sopravvivenza.

L’adattamento dunque non è semplice accoglimento passivo da parte dell’individuo del-l’ambiente in cui si trova immerso. L’essere vivente, infatti, oltre a subire i cambiamenti del-l’ambiente, a sua volta agisce in modo che questi prendano certe direzioni piuttosto chealtre, vale a dire, spinge i mutamenti ambientali in direzioni maggiormente favorevoli allapropria sopravvivenza. «Come la vita esige l’adattamento dell’ambiente alle funzioni orga-niche, così l’adattamento all’ambiente significa non accettazione passiva di questo, ma un’at-tività tale che i mutamenti ambientali prendano una certa direzione» (Dewey, 1917, 8).

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In altre parole, se da una parte le condizioni ambientali modificano il comportamentodell’organismo, dall’altra è lo stesso organismo che modifica la situazione ambientale. L’am-biente attuale risulta essere in parte prodotto dell’azione dell’organismo, così come l’orga-nismo e il suo comportamento risultano essere in parte prodotti delle sollecitazionidell’ambiente circostante. In tal modo qualsiasi separazione precostituita tra organismo eambiente diventa insostenibile (Szpunar, 2004b).

L’aspetto rivoluzionario della proposta deweyana consiste primariamente proprio nel-l’offrire «una visione dell’organismo come elemento che coevolve con l’ambiente che essocontribuisce a creare piuttosto che come elemento che si conforma passivamente a richiesteambientali date o come meccanismo che opera in conformità con regole interne fisse» (Bre-do, 1998, 456). Il deweyano principio della «coevoluzione organismo-ambiente», elaboratoattraverso la critica al concetto di arco riflesso e la successiva elaborazione del concetto ditransazione, anticipa alcune posizioni della biologia contemporanea che riformulano i con-cetti di adattamento, evoluzione e selezione naturale escludendo qualsiasi separazione pre-supposta tra l’essere vivente e l’ambiente che lo circonda (Lewontin, 1998 e 2000, Szpunar,2008).

La teoria dell’arco riflesso, con la relativa concezione dualistica di stimolo-risposta chepresenta l’arco stesso come un mosaico di parti giustapposte, non è altro che un residuodella tradizionale distinzione filosofica corpo-anima. Questa arbitraria separazione tra idea,stimolo, sensazione e risposta determina il problema del modo in cui questi elementi entrinoin relazione tra loro. La filosofia ha risposto in diversi modi alla questione o considerandoalternativamente la mente o l’attività corporea come effetti secondari l’una dell’altra (ma-terialismo e idealismo) oppure considerando «mente e corpo come due cose distinte cheinteragiscono, ognuna delle quali affetta l’altra» (interazionismo) (Bredo, 1998, 460).

Dewey supera le posizioni filosofiche tradizionali intendendo l’intero arco come un’unitàorganica, come l’unità minima della vita sensoriale. Stimolo e risposta, infatti, esistono perl’atto e perdono ogni significato se vengono considerati isolatamente. L’attività del cervello,il pensare, non può essere compresa considerandola separatamente dall’attività del corpo incui è inserita. L’unica distinzione che può sussistere tra stimolo e risposta è, come abbiamovisto, una distinzione teleologica, cioè di funzione, relativa al ruolo svolto per il raggiungi-mento di un fine e la sua conservazione. Anche il rapporto tra mente e corpo, tra pensare eagire, come la relazione tra organismo e ambiente, va inteso non come un’interazione mec-canica fra elementi irrelati, ma come un condizionamento reciproco e continuo tra partistrettamente connesse tra loro, vale a dire come una transazione (Phillips, 1971, 561-562).

In altre parole il principio della coordinazione implica in modo evidente quel tratto qua-lificante che distingue la prospettiva transazionale da quella meramente relazionale e inte-razionale. Nella coordinazione come nella transazione, infatti, non è mai in gioco unarelazione estrinseca tra due elementi precostituiti che solo in un secondo momento entranoin rapporto tra loro (interazione). Nella coordinazione e nella transazione gli elementi nonsono anteriori al loro rapporto, ma si costituiscono solo al suo interno.

Proprio sulla base delle cornici interpretative rappresentate dalla coordinazione e dallatransazione, i concetti di situazione, di continuità e cumulatività dell’esperienza, la logicagenetica e le fasi del giudizio, il pensiero riflessivo, la continuità tra metodo scientifico esenso comune, la complementarità tra matrice biologica e matrice culturale, il ruolo del lin-guaggio, il circolo esperienza-natura, la continuità tra teoria e prassi, e in generale tutto ilcorpus di concetti che definiscono lo strumentalismo deweyano, vengono chiariti nei loropresupposti teorici di fondo (Shook, 2000 e Smith, 1973). La «ricostruzione filosofica» ope-rata da Dewey, superando quei dualismi di stampo metafisico che avevano imbrigliato la fi-losofia in una condizione di sterilità e confusione, non lascia spazio al conflitto tra

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soggettivismo e oggettivismo, idealismo e realismo, relativismo e assolutismo, empirismo erazionalismo, monismo e atomismo, ma anche tra teoria e prassi, spirito e materia, esperienzae natura, induzione e deduzione, giudizi di fatto e giudizi di valore, determinismo e inde-terminismo, individualismo e collettivismo, teismo e ateismo. L’idea della transazione traorganismo e ambiente e tra mente e corpo, consente a Dewey di superare le assunzioni dua-listiche alla base della filosofia moderna «aggirando la scelta tra centralità del soggetto e cen-tralità dell’oggetto, tra costruzione idealistica e rappresentazione realistica» (Vanderstraeten,2002, 242).

Oltre a prefigurare il concetto di transazione, la riflessione di Dewey sul principio dellacoordinazione anticipa anche alcuni aspetti della logica genetica. Tra gli interpreti recenti,soprattutto Hickman ha evidenziato questo punto, sottolineando la relazione intrinseca chelega la psicologia e la logica di Dewey (Hickman, 1998, X).

L’influenza della psicologia sulla logica va vista principalmente in due direzioni. In primaistanza, la nozione della coordinazione è legata a quegli stessi principi di fondo che caratte-rizzeranno la costruzione del giudizio e il pensiero riflessivo, ossia la ricerca attiva di unequilibrio mai definitivo, la continuità e la cumulatività dell’esperienza, l’unità tra teoria eprassi, l’origine del pensiero in una situazione di conflitto nell’azione. L’apprendimento, co-me sarà anche per Piaget, «non è una serie di archi troncati ma un circuito continuo o unritmo di equilibrio sbilanciato e ristabilito» e colui che apprende è un «giocatore attivo […] che porta con sé un insieme di comportamenti complessi e di aspettative dagli eventi pas-sati». «Ogni individuo che apprende è un organismo vivente con la propria storia, i propribisogni, i propri desideri e, forse cosa più importante, i propri interessi» (Hickman, 2001).

Il rapporto tra la coordinazione e la logica genetica è, però, ancora più profondo. SecondoHickman il circuito senso-motorio descritto da Dewey prefigura in modo diretto le cinquefasi del pensiero riflessivo. Il processo di apprendimento descritto muove da una situazionedi squilibrio: il bambino scopre un oggetto nuovo. Si tratta di una situazione instabile chedetermina una risposta emotiva. Il bambino si trova di fronte a un problema che richiedeuna soluzione in base all’esperienza passata. Per ristabilire l’equilibrio è necessario un inter-vento, intellettuale e pratico al tempo stesso: l’esplorazione. L’esplorazione viene condottain base a un metodo familiare già sperimentato, toccare con mano. Toccare è un esperimento,una verifica della soluzione perseguita. L’oggetto, però, si rivela diverso dai precedenti. Lasituazione problematica è così risolta, il bambino è in un nuovo stato di equilibrio, il circuitodi apprendimento è momentaneamente concluso (Hickman, 2001, Bredo, 1998).

Da qui, la visione di una costante relazione dinamica e reciproca tra organismo e am-biente, che trova la sua origine nel saggio del 1896, caratterizzerà non solo la riflessione re-lativa al campo della logica, ma l’intera opera deweyana in tutte le sue dimensioni. Infatti, ilprincipio della coordinazione, così come la prospettiva transazionale, interpretano l’appren-dimento come un processo di conferimento di senso operato dall’individuo, capace di tra-sformare l’ambiente fisico, in cui l’individuo stesso vive, in un mondo di significati nel qualegli oggetti vengono identificati sulla base delle loro funzioni. Allora, transazione e coordi-nazione convocano necessariamente la dimensione della differenza e della pluralità: l’ap-prendimento, il conferimento di senso, l’istituzione di un mondo sono possibili solo in virtùdi un rapporto organico con l’ambiente circostante e con l’altro. Come la transazione, dun-que, la coordinazione è un principio che implica in modo essenziale lo statuto dialogicodell’individuo e la dimensione polivoca della società, della cultura e della storia (Ballantyne,1996). In questa ottica, la riflessione psicologica, biologica e filosofica si apre costitutivamentealla sfera estetica, pedagogica, etica e politica (Bredo, 1998), in modo da configurare un cir-colo, un richiamarsi costante tra la riflessione teorica e la dimensione pratica.

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SIRD • Studi

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Nel mese di febbraio si è svolto a Roma, presso la Facoltà di Scienze della Formazione del-l’Università di Roma Tre, il Convegno annuale della SIRD dal titolo 10 anni di ricerca edu-cativa in Italia: analisi storica, innovazione didattica, confronti istituzionali.

L’intento è stato quello di proporre un’analisi storica delle tematiche di ricerca educativaaffrontate nell’ultimo decennio, con particolare riferimento ai sei Congressi della Società eai relativi Atti (dopo il testo-manifesto curato dal primo presidente Luigi Calonghi: Nel boscodi Chirone.Contributi per l’identificazione della ricerca didattica), ai PRIN nei nostri previlegiatisettori scientifico-disciplinari Ped/03 e Ped/04, alle ricerche degli IRRSAE-IRRE, chehanno visto numerosi colleghi pedagogisti alle loro presidenze o nei consigli direttivi, finoalle ricerche collegate alle competenze delle Regioni negli ambiti dell’orientamento, dellaformazione professionale e permanente dei giovani e degli adulti.I lavori del convegno, introdotti dalla presentazione di Luciano Galliani, Presidente dellaSIRD, sono cominciati il 24 febbraio con le relazioni proposte dai membri del direttivoRoberta Cardarello, Alessandra La Marca e Piero Lucisano. Roberta Cardarello ha sottolineato come, fin dalla sua costituzione, la SIRD ha inteso pro-muovere la ricerca didattica attraverso la valorizzazione della ricerca empirica come istanzadi produzione di un sapere, circa l’insegnamento e l’educazione, complementare rispetto aquello di più consolidate tradizioni della pedagogia italiana. Analizzando le attività di ricercadella Società negli Atti dei suoi Congressi Scientifici (1995-2008), il sistema della scuola viha rivestito una centralità indiscussa fin dagli esordi, con articolazioni della ricerca sullecomponenti metodologiche, relazionali, tecnologiche, organizzative dell’insegnamento. Con-sistenti filoni di ricerca si sono esercitati su due ambiti: quello delle tecnologie e gli strumentidi e-learning e quello della valutazione ( nelle sue interne accezioni), che oggi vengono ap-plicati e sperimentati sia in ambito scolastico che universitario, e che riguardano anchesettori della formazione professionale. Nel periodo considerato, in conclusione, sono au-mentate le tipologie di strumenti di ricerca impiegati (quantitativi e qualitativi) e, nel com-plesso, appare vistosa la costruzione di nuovi strumenti.Alessandra La Marca ha analizzato nel suo intervento le linee evolutive della ricerca relati-vamente ai PRIN 2000-2008 e ai COFIN 1996-1999 dell’area 11 (settori scientifico- di-sciplinari M-PED/03 ed M-PED/04). I progetti sono stati raggruppati in tre aree: Analisidelle pratiche educative, Insegnamento e apprendimento nei diversi contesti formativi e Valutazione deiprodotti, dei processi e dei sistemi. Nella presentazione è stato seguito un ordine legato all’analisidei temi delle ricerche. L’illustrazione delle linee di ricerca dell’ultimo decennio è stato ac-compagnato da alcune considerazioni trasversali sulla metodologia impiegata, sulla valuta-

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informazioni

Convegno Annuale SIRD: 10 anni di ricerca educativa in Italia

ANTONIO MARZANO

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zione dei risultati ottenuti tenendo conto dei criteri di verificabilità definiti nei vari progettie sulla diffusione dei risultati delle ricerche esaminate.Obiettivo della relazione di Pietro Lucisano è stato di presentare l’effetto dell’interventodelle Regioni e degli Enti Locali, principalmente attraverso il Fondo Sociale Europeo, sullaricerca nelle scienze dell’educazione e della formazione nell’ultimo decennio. È stato rilevatocome l’impostazione complessiva del modello di finanziamento, legato a modalità di eroga-zione e di verifica prevalentemente burocratiche, indirizza i lavori verso un esito di letteraturagrigia. Le ricerche sono infatti sottoposte a verifica di adempimenti formali e solo in minimaparte ad analisi critica degli esiti. Le pubblicazioni non circolano nella comunità scientifica,né esiste una sede che le raccolga e le metta a disposizione dei ricercatori. Emerge quindil’esigenza di individuare modalità che permettano di raccogliere, conservare e analizzare gliesiti delle ricerche educative, anche al fine di disseminare e rendere disponibili le conoscenzeacquisite, evitare la duplicazione di finanziamenti a ricerche già svolte, sintetizzare gli esitiprincipali per metterli a disposizione della comunità scientifica e dei decisori istituzionali epolitici. In questa prospettiva è auspicabile che le Regioni mettano in campo un progettostrategico, magari con la collaborazione della SIRD.

La seconda parte della prima giornata è stata dedicata agli interventi dei Soci, che hannopresentato contributi progettuali e di ricerca intorno a tre ambiti di riflessione/confrontosu l’innovazione didattica nella scuola, nell’università, nella formazione professionale e con-tinua. I lavori nelle tre sessioni parallele,sono stati coordinati dai membri del direttivo Ar-mando Curatola, Giovanni Moretti, Achille Notti e introdotti dalle comunicazioni inplenaria di Cosimo Laneve, Franco Frabboni, Gaetano Domenica rispettivamente su:

• l’analisi delle pratiche educative, come metodologia di ricerca descrittiva, narrativa e rifles-siva sul sapere esperienziale, che fonda l’agire formativo e la stessa professionalità di in-segnanti-educatori-formatori;

• l’insegnamento/apprendimento nei diversi contesti formativi, come processo ridefinibile se-condo nuovi paradigmi psicopedagogici e nuove pragmatiche sociali e tecnologiche, ecome percorsi finalizzati comunque alla costruzione di conoscenze-abilità-com petenze;

• la valutazione dei prodotti, dei processi e dei sistemi formativi, come misurazione dei risultatidi apprendimento e certificazione di competenze, regolazione delle dinamiche comu-nicative e formative, gestione delle risorse umane e organizzative, interpretazione com-parativa e rendicontazione secondo valori educativi e sociali. In appendice si riportal’elenco dei contributi e degli autori.

La seconda giornata del convegno è stata riservata dapprima alla presentazione, a cura deicoordinatori dei tre gruppi di lavoro, delle sintesi circa le tendenze, le evidenze e le risultanzeemerse dalla presentazione dei contributi progettuali e di ricerca dei soci. Le relazioni hannostimolato un vivace dibattito testimoniato dal gran numero dei successivi interventi.

La parte finale del Convegno è stata dedicata al confronto istituzionale e al ruolo che unaSocietà scientifica di ricerca come la SIRD può svolgere nella specifica situazione italianadi riforma dell’intero sistema (scuola primaria e secondaria, formazione tecnica e professio-nale, istruzione universitaria), e delle modalità-strumenti-funzioni della sua valutazione.Nella tavola rotonda, introdotta da Luciano Galliani – che ha sollecitato gli interlocutori arealizzare collaborazioni con la SIRD in quanto società scientifica rappresentativa di unaricerca educativa applicata all’innovazione dei processi formativi, al miglioramento dellepratiche didattiche, alla valutazione dei risultati degli apprendimenti e della qualità delle or-

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ganizzazioni formative – sono intervenuti Giovanni Biondi, Capo Dipartimento Program-mazione del MIUR; Elisabetta Longo, responsabile del Coordinamento tecnico delle Re-gioni per l’FSE; Alessandro Ferrucci di Tecnostruttura delle Regioni e Domenico Sugamieledirigente dell’Area Politiche e sistemi formativi dell’ISFOL. Tutti gli interventi hanno rilevato come la ricerca educativa trovi difficoltà ad incidere sullepolitiche scolastiche e formative sia a livello nazionale che regionale, nonostante la parteci-pazione di singoli ricercatori universitari ai diversi progetti o commissioni per definire in-dirizzi e piani programmatici. Si sente la mancanza, ad esempio, di “Osservatori Nazionalidelle Buone Pratiche di Innovazione Formativa”, a servizio delle istituzioni politiche, delleamministrazioni pubbliche, delle organizzazioni formative, degli operatori del settore, uscen-do da ideologie contrapposte fondate sui sondaggi, piuttosto che suffragate da risultati diricerca scientifica. Fra le proposte sostenute dagli interlocutori intervenuti ed evidenziatenelle conclusioni di Piero Lucisano, vanno sottolineati l’impegno a rendere sistematico ilrapporto tra ricerca universitaria e progettualità innovativa del MIUR e la collaborazionecon Tecnostruttura delle Regioni per realizzare un osservatorio della ricerca che valorizzila progettualità FSE, i PON e i POR e gli altri interventi nell’orientamento, nella formazioneprofessionale, nella formazione continua.

CONTRIBUTI PRESENTATI NEI TRE GRUPPI DI LAVORO:

1. Analisi delle pratiche educative

• Gianbattista Amenta, Università Kore di Enna: La costruzione di esercizi di didattica orien-tativa

• Michele Baldassarre, Università di Bari: Documentare la pratica riflessiva. Una ricerca empi-rica

• Guido Benvenuto, Giuseppe Carci, Università Sapienza di Roma: Riorentarsi all’univer-sità: uno studio sui passaggi di corso

• Giuseppina Cappuccio, Università di Palermo: L’analisi delle buone pratiche educative: comegli insegnanti insegnano con il supporto delle nuove tecnologie

• Lerida Cisotto, Silvia Nardon, Nazzarena Novello, Università di Padova: Il piacere dellalettura. Una ricerca empirica nella scuola primaria e secondaria

• Italo Fiorin, Università LUMSA di Roma: Formazione e ricerca nella scuola dell’infanzia• Valentina Grion, Rossella Giolo, Università di Padova: Dimensioni emergenti del costrutto“buon comportamento scolastico” in docenti e studenti. Uno studio in un contesto valutativo

• Silvia Kanizsa, Università La Bicocca di Milano: Progettare un modello realistico di forma-zione dei maestri

• Daniela Maccario, Università di Torino: Che cosa fa l’educatore quando educa? Contesti eforme dell’azione educativa in ambito extrascolastico

• Antonella Nuzzaci, Università della Valle d’Aosta: Per un’analisi delle pratiche didattico-mu-seali in partenariato locale: il progetto DIDarcheoMUS

• Carmelo Piu, Università della Calabria: Dalla ricerca-Indagine alla ricerca-sperimentazione• Orlando De Pietro, Università della Calabria: Personalizzazione degli ambienti di appren-dimento

• Alessio Surian, Federico Batini, Università di Padova e Perugia: Competenze e metodinarrativi nella messa a livello delle competenze, uno studio di caso sul progetto Rifugio

• Chiara Ferotti: Buone pratiche di didattica personalizzata

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SIRD • Informazioni

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• Leonarda Longo, Universitàdi Palermo: L’interazione tra l’esperienza del laboratorio, del ti-rocinio e degli apprendimenti disciplinari

• Anna Nadin, Ubaldo Rizzo, Università di Padova: Web Ontology e trasformazione dei saperiprofessionali in un contesto formativo

2. Insegnamento e apprendimento nei diversi contesti formativi

• Maria Annarumma, Università di Salerno: Processi di apprendimento e successo formativonella prospettiva di Feuerstein

• Maria Grazia Cementano, Università del Salento: Interfacce e sistemi a realtà virtuale per unapprendimento esperienziale

• Giuseppina CompagnoUniversità di Palermo: Comunicare italiano per integrarsi nel QuadroEuropeo

• Floriana Falcinelli, Chiara Laici,Università di Perugia: E-learning per gli insegnanti. Unambiente collaborativo per la costruzione condivisa della professionalità docente.

• Riccardo Fragnito, Università Telematica Petaso di Napoli: Creatività tra arte e scienza• Paolo Frignani, Loredana La Vecchia, Marco Pedroni, Università di Ferrara: Un documentoper la didattica

• Maria Lucia Giovannini, Massimo Marcuccio,Università di Bologna: La codocenza neiprecorsi integrati di istruzione professionale. I punti di vista degli attori coinvolti.

• Loredana La Vecchia, Antonella Nuzzaci, Università di Ferrara e della Valle d’Aosta: Cre-denze epistemologiche degli studenti universiatri in campo scientifico e apprendimento della scien-za

• Eleonora Marino, Università di Palermo: Insegnamento e apprendimento nei diversi contestiformativi

• Marinella Muscarà, Università Kore di Enna: Integrazione scolastica e sviluppo dell’identitàculturale

• Elisabetta Nigris,Università La Bicocca di Milano: Il passaggio dalla scuola all’università:un’analisi didattica

• Angela Piu, Università de L’Aquila: Giochi di simulazione e apprendimento della matemati-ca

• Alberto Quagliata, Università di Roma Tre: Verso l’I-learning• Ira Tannini, Università di Bologna: Una didattica per gli insegnanti di scuola secondaria. Lavoce degli specializzati alla Scuola di Specializzazione (SSIS) dell’Università di Bologna

• Simon Villani, Università di Catania: Efficacia della comunicazione educativa, contesto scolasticoe apprendimento

• Francesco Ugolini, Università di Perugia: Formazione iniziale e formazione continua: modellidi e-learning universitario nel contesto europeo

3. Valutazione dei prodotti, dei processi, dei sistemi

• Vito Antonio Baldassare, Università di Bari: Didattica della ricerca scientifica in educazionetra fragilità, valutazione e proposta

• Mario Castaldi, Università di Torino: Valutare la qualità dell’insegnamento• Lerida Cisotto, Nazzarena Novello, Università di Padova: Test per la rilevazione delle com-petenze di scrittura degli studenti di Scienze della Formazione Primaria

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• Luciano Galliani, Cristina Zaggia, Sabrina Maniero, Università di Padova: Valutare l’orien-tamento

• Maria Lucia Giovannini,Università di Bologna: Comprendere per riuscire nello studio: analisie riflessione a partire da un’esperienza biennale di sostegno alle matricole universitarie

• Massimo Marcuccio: I punti di vista degli insegnanti di italiano sulla ricaduta didattica dellaprova nazionale introdotta nell’esame di stato del primo ciclo

• Antonio Marzano, Arcisio Brunetti, Università di Salerno: Una sperimentazione di didatticadella geometria

• Corrado Petrucco, Università di Padova: Didaduezero, lo sviluppo delle competenze digitalinella scuola e nel territorio: le opportunità del web 2.0

• Giorgio Poletti, Università di Ferrara: Dall’aula informatica all’informatica in aula• Maria Ranieri, Giovanni Buonaiuti, Università di Firenze: Progettare e valutare risorse di-dattiche per la LIM. Problemi criteri e esperienze

• Vega Scalera, Università di Tor Vergata, Roma: Transizioni faticose, transizioni riuscite: lavalutazione delle difficoltà di inserimento nella scuola superiore

• Francesca Anello: La competenza linguistica tra espressione orale e scritta: la valutazione di in-segnanti in formazione

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SIRD • Informazioni

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NORME DI CARATTERE GENERALE

Documento:• Il contributo, consegnato su file e accompagnato da versione cartacea, deve essere in formato Word,

in cartelle standard di circa 3000 battute, per un massimo di circa 15 cartelle, e deve contenere perogni autore l’indicazione di: nome (per esteso), cognome, ruolo dell’autore/i, istituzione di apparte-nenza e indirizzo di posta elettronica. Nel caso di più autori, i nomi vanno elencati in ordine alfabe-tico.

• Il titolo del contributo deve essere in italiano e in inglese e non deve contenere sottotitoli.• I titoli dei paragrafi devono essere brevi e concisi, evitando possibilmente l’uso di sottoparagrafi. • Vanno evitate le composizioni in carattere neretto, sottolineato, in minuscolo spaziato e integralmente

in maiuscolo.Attenzione: il contributo deve essere inedito. Può contenere eventuali note di commentoa pie’ di pagina e nota bibliografica in chiusura. Il contributo non deve contenere unabibliografia generale. I riferimenti bibliografici interni al testo devono essere inseriti inparentesi tonde: cognome dell’autore a cui segue la virgola e l’anno di edizione, come daesempio riportato alla lettera A) delle note bibliografiche.La nota bibliografica a fine contributo deve rispettare la citazione interna al testo secondole regole di seguito riportate.

Abstact:L’abstract (sia in lingua italiana che in lingua inglese) va collocato dopo il titolo dell’articolo e prima deltesto, e non deve superare gli 800 caratteri ciascuno (spazi esclusi).Deve anche comprendere 6 parole chiave in entrambe le lingue.L’abstract deve contenere il senso dell’intero lavoro e rispondere alle domande: perché il lavoro è statofatto, cosa è stato fatto, cosa si è dimostrato e cosa è stato concluso.

Virgolette: Le virgolette alte (o apici): “ ” si usano sia per le citazioni sia per enfatizzare alcune espressioni come“per così dire”, “il cosiddetto”, ecc... Le virgolette basse (o caporali) si usano per i discorsi diretti e per le citazioni: « ».Nel caso in cui una citazione ne contenga un’altra, riportare la citazione interna con le virgolette alte “” e quella esterna con le virgolette basse « ».

Omissioni: si segnalano con tre puntini tra parentesi quadre […].

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NORME EDITORIALI PER GLI AUTORI E I COLLABORATORI

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Note:Saranno numerate con numeri arabi progressivi. Si raccomanda un attento controllo della corrispondenzadella numerazione delle note con i rinvii indicati a esponente nel testo, sempre con numeri arabi e senzaparentesi.Nel testo, il rimando alla nota al piede va posto all’interno della punteggiatura: testo1. e non testo.1

Fanno eccezione i punti esclamativo e interrogativo che precedono l’esponente di nota.

Citazioni: In caso di citazioni che superino le tre/quattro righe, si devono riportare in corpo più piccolo e con imargini rientrati rispetto al testo principale, staccate da un’interlinea.

Elenco puntato: Riportare l’elenco con il trattino, con rientro del punto elenco di 0,5, e rientro del testo di 0,5. Riportareil punto e virgola alla fine di ogni punto elenco e il punto alla fine dell’elenco.Esempio:– la capacità di collegare in trame concettuali le conoscenze acquisite nei corsi universitari;– l’individuazione di motivati punti di riferimento per la scelta dei contenuti;– l’individuazione dei nodi portanti, della loro valenza didattica e delle relative difficoltà cognitive.Nel caso che il punto elenco abbia un ulteriore punto elenco al proprio interno, riportare il secondopunto elenco con il pallino, con rientro del punto elenco di 1,5 e rientro del testo di 1,5.Esempio:– Possedere padronanza culturale (storico-epistemologica) della disciplina e inquadrare con cognizione

i grandi temi che essa propone, cioè:• padroneggiare i concetti nelle loro articolazioni, e la struttura sintattica, semantica e concettuale

della disciplina;• inquadrare e calare nel contesto le proprie conoscenze, anche integrando quelle acquisite nei corsi

universitari, per cogliere la loro valenza nella formazione culturale dell’allievo.

Lineette: Si distinguono due casi: per unire due parole (es. spazio-tempo), si usa il trattino breve senza nessuno spa-zio, né prima né dopo. Per creare un inciso all’interno di una frase si usa il trattino medio, preceduto eseguito da uno spazio.

Parole straniere:Vanno in carattere tondo le parole straniere che sono entrate nel linguaggio corrente, come: on-line,boom, cabaret, chic, cineforum, computer, dance, film, flipper, gag, garage, horror, leader, monitor, pop,rock, routine, set, spray, star, stress, tea, thè, tic, vamp, week-end, ecc. Esse vanno poste nella forma singo-lare.In genere vanno in carattere corsivo tutte le parole straniere.Vanno inoltre in carattere corsivo: alter ego (senza lineato breve unito), aut-aut (con lineato breve unito),budget, équipe, media (mezzi di comunicazione), passim, revival, sex-appeal, sit-com (entrambe con lineatobreve unito), soft.

Accenti:In italiano le vocali a, i, u, richiedono solo l’accento grave (à, ì, ù); la e richiede l’accento acuto in finaledi parola in tutti i composti di che (poiché, affinché, cosicché ecc.).Si scrivono con l’accento grave: è, cioè, caffè, tè, ahimè, piè; le parole straniere entrate nell’uso della linguaitaliana (gilè, canapè, bignè) e i nomi propri di persona (Noè, Giosuè, Mosè).Si accenta dà (terza persona singolare del verbo dare) e si apostrofa da’ (imperativo presente dello stesso

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verbo) per distinguerle dalla omofona da (preposizione); si afostrofa fa’ (imperativo presente di fare) ma èun grave errore accentare tanto fa (terza persona singolare dello stesso verbo) quanto fa (avverbio o notamusicale).La terza persona singolare del verbo essere, quando è maiuscola, va accentata (È) e non apostrofata (E’).

Parentesi: Le parentesi tonde si usano per isolare dal contesto una frase o una parola e per evidenziare un richiamoad altra parte del testo.Le parentesi quadre si usano all’interno delle tonde, per evidenziare un salto o una mancanza di testo, perintrodurre in una citazione tra virgolette il commento dell’autore.La punteggiatura che si riferisce al testo principale va posta fuori dalla parentesi di chiusura.

Segni di interpunzione e caratteri di stampa:• I segni di interpunzione (, : ; ! ?) e le parentesi che fanno seguito ad una o più parole in corsivo si

compongono sempre in tondo, a meno che non siano parte integrante del brano in corsivo.• I periodi interi fra virgolette o fra parentesi avranno il punto fermo dopo la parentesi di chiusura.Si compongono in tondo:• gli articoli contenuti nelle testate di giornali, riviste, collane e in genere periodici di ogni tipo;Si compongono in tondo fra doppi apici (“tondo”):• all’interno delle citazioni, le parole che normalmente richiedono l’uso delle virgolette basse;• le parole usate in un’accezione diversa dalla loro usuale, o con particolare coloritura.

Numeri delle pagine e degli anni:vanno indicati per esteso (ad es.: pp. 112-146 e non 112-46; 113-118 e non 113-8; 1953-1964 e non1953-964 o 1953-64 o 1953-4).L’ultima pagina di un volume è pari e così va citata. In un articolo la pagina finale dispari esiste, e così vacitata solo qualora la successiva pari sia di un altro contesto; altrimenti va citata, quale ultima pagina, quellapari, anche se bianca.Le cifre della numerazione romana vanno rispettivamente in maiuscoletto se la numerazione araba è innumeri maiuscoletti, in maiuscolo se la numerazione araba è in numeri maiuscoli (ad es.: xxiv, 1987;XXIV, 1987).

Immagini:Le immagini, i grafici, i diagrammi vanno riportati in bianco e nero e con risoluzione di almeno 600 pi-xels.È pertanto necessario verificare che ci sia una buona definizione dei colori all’interno di una scala digrigi. Le immagini vanno inserite nel corpo del testo, ma è bene anche fornire i file a parte delle immaginiin formato .jpg o .tiff o .pdf. Nel caso di grafici e diagrammi è bene fornire anche il file excel da cuisono stati tratti.È comunque necessario cercare di limitare il n. di immagini e grafici presenti nel testo.

Tabelle:Le tabelle vanno inserite nel corpo del testo e non devono superare in larghezza i 13 cm.

Didascalie tabelle, grafici o figure:Riportare l’abbreviazione Tab. per la tabella, Fig. per figura e Graf. per grafico, seguito dal numero, daidue punti e dal titolo.Esempio: (Fig.1: Il progetto della Sird)

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Siti Internet:I siti Internet vanno citati in tondo minuscolo senza virgolette qualora si specifichi l’intero indirizzo elet-tronico (es.: www.libraweb.net; www.supergiornale.it). Se invece si indica solo il nome, essi vanno in cor-sivo alto/basso senza virgolette al pari del titolo di un’opera (es.: Libraweb; Libraweb.net); vanno in tondoalto/basso fra virgolette a caporale qualora si riferiscano a pubblicazioni elettroniche periodiche (es.: «Su-pergiornale»; «Supergiornale.it»).

Riferimenti normativiRiportare i riferimenti per esteso, indicando il tipo di normativa, la data e il numero in grassetto, seguitoda trattino e titolo in stile normale.Esempio: D.P.R. 31 luglio 1996, n. 470 - Regolamento concernente l’ordinamento didattico della Scuola diSpecializzazione per la formazione degli insegnanti di Scuola Secondaria.

GlossariRiportare la parola chiave in grassetto. Riportare la definizione dopo lo spazio di una riga.Esempio: Abilità (Skill)Insiemi più o meno ramificati di contenuti di conoscenza, che possono essere sistemi simbolici, corpi dicredenze, quadri disciplinari, specifici quadri teorici e/o interpretativi della realtà, dell’esperienza, dellacondotta.

Abbreviazioni (alcune)a. = annataa.a. = anno accademicoa.C. = avanti Cristoad es. = ad esempioad v. = ad vocem (c.vo)anast. = anastaticoapp. = appendiceart., artt. = articolo, -iautogr. = autografo, -icap., capp. = capitolo, -icfr. = confrontacit., citt. = citato, -icl. = classecm, m, km, gr, kg = centimetro, ecc. (senza punto basso)cod., codd. = codice, -icol., coll. = colonna, -ecpv. = capoversoc.vo = corsivo (tip.)d.C. = dopo Cristoecc. = ecceteraed., edd. = edizione, -ies., ess. = esempio, -iet alii = et alii (per esteso; c.vo)f., ff. = foglio, -if.t. = fuori testofacs. = facsimilefasc. = fascicoloFig., Figg. = figura, -e (m.lo/m.tto)

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lett. = lettera, -em.lo = maiuscolo (tip.)m.lo/m.tto = maiuscolo/maiuscoletto (tip.)m.tto = maiuscoletto (tip.)misc. = miscellaneams., mss. = manoscritto, -in.n. = non numeraton., nn. = numero, -iN.d.A. = nota dell’autoreN.d.C. = nota del curatoreN.d.E. = nota dell’editoreN.d.R. = nota del redattoreN.d.T. = nota del traduttorenota = nota (per esteso)n.s. = nuova serien.t. = nel testoop., opp. = opera, -eop. cit., opp. citt. = opera citata, opere citate (c.vo perché sostituiscono anche il titolo)p., pp. = pagina, -epar., parr., §, §§ = paragrafo, -ipassim = passim (la citazione ricorre frequente nell’opera citata; c.vo)r = recto (per la numerazione delle carte dei manoscritti; c.vo, senza punto basso)rist. = ristampas. = series.a. = senza anno di stampas.d. = senza datas.e. = senza indicazione di editores.l. = senza luogos.l.m. = sul livello del mares.n.t. = senza note tipografiches.t. = senza indicazione di tipografosec., secc. = secolo, -isez. = sezionesg., sgg. = seguente, -isuppl. = supplementosupra = soprat., tt. = tomo, -it.do = tondo (tip.)Tab., Tabb. = tabella, -e Tav., Tavv. = tavola, -e tip. = tipograficotit., titt. = titolo, -itrad. = traduzionev = verso (per la numerazione delle carte dei manoscritti; c.vo, senza punto basso)v., vv. = verso, -ivedi = vedi (per esteso)vol., voll. = volume, -i

Nelle abbreviazioni in cifre arabe degli anni, deve essere usato l’apostrofo (ad es.: anni ’30). I nomi dei se-coli successivi al mille vanno per esteso e con iniziale maiuscola (ad es.: Settecento); con iniziale minuscola

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vanno invece quelli prima del mille (ad es.: settecento). I nomi dei decenni vanno per esteso e con inizialeminuscola (ad es.: anni venti dell’Ottocento).

NOTE BIBLIOGRAFICHE

Le citazioni bibliografiche devono essere complete di tutti gli elementi, nell’ordine in cui segue: 1. cognome e nome (appuntato) dell’Autore in tondo (se gli autori sono due o più andranno separati da

una virgola);2. data di pubblicazione contenuta tra parentesi tonda (1987);3. titolo dell’opera in corsivo;4. eventuale indicazione del volume con cifra romana;5. numero dell’edizione, quando non è la prima, con numero arabo in esponente all’anno citato (es.:

19322);6. luogo di pubblicazione (seguito da virgola);7. nome dell’editore e, per le edizioni antiche, del tipografo;8. rinvio alla pagina (p.) o alle pagine (pp.): esempio: pp. 1-12, 21-25, 217-218, 315-324, 495-502.Tutti i suddetti elementi vanno separati tra loro da una virgola.

Alcuni esempi

A) Citazioni interne al testo

Il cognome di ogni autore citato va in parentesi tonda seguito da un virgola e dall’anno di edizione. Usareil punto e virgola se gli autori sono più di uno (Berndt, 2002; Harlow, 1983).……… Kernis (1993) ………………Wegener and Petty (1994)Se i nomi degli autori non sono contenuti nel testo (Kernis, 1993) (Wegener & Petty, 1994)In citazioni successive dello stesso volume o dove sono presenti più di sei autori segnalare solo il cognomedel primo autore ed inserire “et al.” Harris et al. (2001) afferma...(Kernis et al., 1993) (Harris et al., 2001)

1. Per autori con lo stesso cognome inserire l’iniziale del nome.(E. Johnson, 2001; L. Johnson, 1998)

2. Per i testi dello stesso autore pubblicati nello stesso anno usare l’ordine alfabetico (a, b,c)La ricerca di Berndt (1981a) illustra.....

3. Citazioni fonti indiretteJohnson afferma che...(come citato da Smith, 2003, p. 102).

4. Fonti elettronicheUsare lo stile autore-dataKenneth (2000) spiega...

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B) Riferimenti generali

Un solo autoreAl cognome segue l’iniziale del nome.Berndt T. J. (2002). Friendship quality and social development. Current Directions in Psychological Science,11, pp. 7-10.

Due o più autoriLista dei nomi, virgola e iniziali dei nomi.Wegener D. T., & Petty R. E. (1994). Mood management across affective states: the hedonic contingencyhypothesis. Journal of Personality & Social Psychology, 66, pp. 1034-1048.

Lista di autoriKernis M. H., Cornell D. P., Sun C. R., Berry A., Harlow T., Bach J. S. (1993). There’s more to self-esteemthan whether it is high or low: the importance of stability of self-esteem. Journal of Personality and SocialPsychology, 65, pp. 1190-1204.Berndt T. J. (1999). Friends’ influence on students’ adjustment to school. Educational Psychologist, 34, pp.15-28.Berndt T. J., Keefe K. (1995). Friends’ influence on adolescents’ adjustment to school. Child Development,66, pp. 1312-1329.Wegener D. T., Kerr N. L., Fleming M. A., & Petty R. E. (2000). Flexible corrections of juror judgments:implications for jury instructions. Psychology, Public Policy, & Law, 6, pp. 629-654.Wegener D. T., Petty R. E., & Klein D. J. (1994). Effects of mood on high elaboration attitude change: themediating role of likelihood judgments. European Journal of Social Psychology, 24, pp. 25-43.

OrganizzazioniAmerican Psychological Association. (2003).

C) Riferimenti bibliografici

Introduzioni e PrefazioniCitare le informazioni sulla pubblicazione specificando se: Introduzione, Prefazione, Postfazione. Tale re-gola è applicabile anche al contributo di un periodico.Funk R. & Kolln M. (1998). Introduction. In E.W. Ludlow (Ed.), Understanding English Grammar (pp. 1-2). Needham, Allyn and Bacon.

ArticoliAutore A. A., Autore B. B., & Autore C. C. (Anno). Titolo del contributo. Titolo del periodico, numero del vo-lume in corsivo (numero del fascicolo), pagine.Harlow H. F. (1983). Fundamentals for preparing psychology journal articles. Journal of Comparative andPhysiological Psychology, 55, pp. 893-896.Scruton R. (1996). The eclipse of listening. The New Criterion, 15(30), pp. 5-13.

Article in quotidiani Henry W. A., III. (1990, April 9). Making the grade in today’s schools. Time, 135, pp. 28-31.

LettereMoller G. (2002, Agosto). Ripples versus rumbles [Lettera all’editore]. Scientific American, 287(2), 12.

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Riferimenti in volumiAutore A. A. (Anno di pubblicazione). Titolo del volume. Lettera maiuscola anche per il sottotitolo. Luogo diedizione: Casa Editrice.Calfee R. C., & Valencia R. R. (1991). APA guide to preparing manuscripts for journal publication. Washington:American Psychological Association.

CurateleDuncan G. J., & Brooks-Gunn J. (Eds.). (1997). Consequences of growing up poor. New York: Russell SageFoundation.

Volumi con autori e curatoriPlath S. (2000). The unabridged journals (K.V. Kukil, Ed.). New York: Anchor.

TraduzioniLaplace P. S. (1951). A philosophical essay on probabilities. (F. W. Truscott & F. L. Emory, Trans.). New York:Dover. (Edizione originale pubblicata 1814).

Articoli o Capitoli contenuti in un VolumeAutore A. A., & Autore B. B. (Anno di pubblicazione). Titolo di capitolo. In A. Editor & B. Editor (Eds.),Tiolo del libro (pagine del capitolo). Luogo: Casa Editrice.O’Neil J. M., & Egan, J. (1992). Men’s and women’s gender role journeys: metaphor for healing, transition,and transformation. In B. R. Wainrib (Ed.), Gender issues across the life cycle (pp. 107-123). New York:Springer.

MultivolumiWiener P. (Ed.). (1973). Dictionary of the history of ideas (Vols. 1-4). New York: Scribner’s.

Altri RiferimentiBergmann P. G. (1993). Relativity. In The new encyclopedia britannica (Vol. 26, pp. 501-508). Chicago: En-cyclopedia Britannica.Coltheart M., Curtis B., Atkins P., & Haller M. (1993). Models of reading aloud: dual-route and parallel-distributedprocessing approaches. Psychological Review, 100, pp. 589-608.Yoshida Y. (2001). Essays in urban transportation (Tesi di Dottorato, Boston, College, 2001). DissertationAbstracts International, 62, 7741A.National Institute of Mental Health. (1990). Clinical training in serious mental illness (DHHS PubbblicazioneADM 90-1679). Washington, Government Printing Office.

ConferenzeSchnase J. L., & Cunnius E. L. (Eds.). (1995). Proceedings from CSCL ‘95: The First International Conferenceon Computer Support for Collaborative Learning. Mahwah: Erlbaum.

Pubblicazioni Web o articoli da un periodico OnlineAutore A. A., & Autore B. B. (Data di pubblicazione). Titolo dell’articolo. Titolo del Periodo Online, numerodel volume(numero del fascicolo, se presente). Estratto da http://www.someaddress.com/full/url/

Articoli presenti in DatabaseSmyth A. M., Parker A. L., & Pease D. L. (2002). A study of enjoyment of peas. Journal of Abnormal Eating,8(3), pp. 120-125.

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Finito di stamparenel mese di GENNAIO 2011

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