Fabiani poeta medievale mauro ferrari

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Titolo: Fabiani poeta medievale

Autore: Mauro Ferrari

Edizione a cura di: In realtà, la poesia

Anno: 2013

Vol.: 2

Il presente documento non è un prodotto editoriale ed è da intendersi a scopo

illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.

Fabiani poeta medievale

di Mauro Ferrari

In realtà, la poesia

2013

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Su questo nostro essere agonia1 Nessun poeta contemporaneo ha dato voce al proprio sentimento religioso con la serena fermezza di Enzo Fabiani: nell’età dell’angoscia e del dubbio (non solo quella novecentesca, bensì quella che angustiava un illustre predecessore, John Donne, per cui "la nuova filosofia" metteva "tutto in dubbio") l’autore de Il cammino e la pietà non mette in scena il perenne contrasto tra fede e ragione, e medita invece sulla tensione tra questo mondo in crisi spirituale, un passato più ideale che storico e un tempo a venire nel quale i valori cristiani si saranno compiutamente realizzati.

1 Si cita da Enzo Fabiani, Il cammino e la pietà. Poesie e poemetti 1954-1999,

Connect, Milano 2000. L’antologia raccoglie tutta la produzione del poeta di Padule di Fucecchio (FI), vale a dire le raccolte: Il legno verde, Cappelli 1954 (Premessa di G. Spagnoletti); Di fronte al nemico, Cino del Duca 1961; Nomen, Mondadori 1969 (nota di R. Crovi); Le ferite, Rusconi 1965 (introduzione di G. Caproni); L’ordinotte (Rusconi 1978); Nel canto del fuoco, Edizioni di Ca’ Spinello in Urbino 1982; La sposa vivente (Edizioni Trentadue, 1991 (Prefazione di G. Spagnoletti); Letane (pubblicata in parte sulla rivista Erba d’Arno, 1983, e in parte presso le Edizioni di Raffaele Baldini, 1994); Il trono d’ombra, con poesie inedite in volume. La poesia di Enzo Fabiani, al di là di occasionali ma spesso attente recensioni sulla stampa nazionale, è stata oggetto di studi confluiti in diverse antologie critiche: si segnalano gli interventi di Guido Sommavilla (La civiltà cattolica 1992 I 1951, poi in Uomo, diavolo e Dio nella letteratura contemporanea, Ed. San Paolo 1993op. cit.), Alberto Frattini (La poesia religiosa dal 1945 a oggi, in Letteratura italiana contemporanea, Lucarini 1985) e Giovanni Raboni (in Storia della Letteratura Italiana. Il Novecento, Garzanti 1980). Si cita dalla presente edizione antologica, che riporta in appendice un’ampia selezione critica, dando solo il numero della pagina.

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La riflessione poetica di Fabiani si sviluppa da una concezione che si dà per acquisita fin dall'inizio: laddove emerge qualche cedimento, esso non è mai l'esito di un dubbio escatologico, ma è solo un vacillamento dell'uomo che si sente debole di fronte alla grandezza del compito e all'enormità del male, è l'angoscia di riconoscersi pellegrino nel lungo cammino che attraverso gli errori spirituali conduce alla pietà e all’illuminazione della Grazia (dalla citazione dantesca di Inferno II, 3-5, che dà il titolo all'antologia). Muovendo da una visione tanto radicale da potersi definire medievale, la voce poetica di Fabiani assume un tono fortemente personale nel delineare l’uomo contemporaneo di fronte a Dio come senso ultimo di tutto. Molto bene ha scritto Caproni nel commentare l'universo poetico di Fabiani:

... la sua anima anacronistica perché ancora incredibilmente intera, ancora anacronisticamente credente nella propria esistenza e in un proprio destino ... l’esprit d’examen par non averlo nemmeno sfiorato. Il tormento religioso, dicevo, continua ad assillarlo e tormentarlo come nell‘anno Mille (432-3).

Le “battaglie dell’anima” (p. 248) sono tutte volte a ripudiare Satana e accettare Dio (padre) tramite Cristo (fratello) come unificante mezzo di purificazione: una visione per cui acutamente Sommavilla parla di “mania dell’eterno” (p. 457). In Fabiani la crisi del mondo attuale è quindi sempre morale e religiosa, e deve trovare la ricomposizione in un Dio di amore, attraverso la figura di Cristo e l'Eucarestia. Anche le immagini più direttamente contemporanee sono ricondotte a un orizzonte moraleggiante quando non apertamente moralistico:

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Non guardare quaggiù: vedresti i nostri crocefissi: i siringati nell’alba dei parchi spirati in posizioni fetali come se il “farsi” fosse una voce che li ha chiamati a rinascere nell’Aldilà. (p.305) [Satana] È con tutti gli eserciti di biondastri lupi che avanzano allucinati cantando: “Dio è con noi!” (p.238) 2

Alla crisi del presente Fabiani oppone una visione chiaramente metastorica di un Medio Evo idealizzato nei valori cristiani:

Era, allora, la campagna salmodia di letizia, e ogni primizia preghiera esaudita dalla Bontà infinita: per i granai e i cieli raccolto pieno. (p.264)

2 Sull’orrore nazista si veda anche Lamentazione 1944, in Letane (343) che rievoca una strage avvenuta proprio nella zona di Fucecchio

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Il percorso ormai cinquantennale di Fabiani (nato nel 1931 a La Torre, nel Padule di Fucecchio, Firenze) viene integralmente ricostruito dalla bella edizione Connect che dà pure conto di un corpus critico non amplissimo ma qualificato: insieme ad alcune testimonianze di stima di carattere privato, l’antologia riporta le prefazioni di Caproni (Le ferite) e Spagnoletti (La sposa vivente), oltre a note critiche di Ramat, Pomilio, Barsotti, Cucchi, Marabini, Chiusano, Sommavilla, Raboni e Frattini. Dagli esordi de Il legno verde (1954) e attraverso le raccolte successive, si giunge a Il trono d’ombra scoprendo 3 una voce dotata di una strana e possente energia, di un timbro che, più che devozionale, definiremmo, con Sommavilla, di “coralità liturgica” (p.456): una lunga preghiera dell’essere (“aperta, alta, corale” secondo Divo Barsotti, p.439) che si dipana con modalità affabulatorie seriali sempre al limite dell’eccesso e, come nelle litanie e nelle laudi, mai riconducibili a una nominabile uniformità tematica. Questo “regime espressivo torrentizio”, di cui già parlava Raboni (p.463) all’altezza de L’ordinotte, si regge soprattutto sull'espediente seriale dell’anafora: come nei polittici medievali, la fabula entra in tensione con il piacere dell'intreccio. Ad eccezione della prima raccolta e dell’ultima, Fabiani pensa infatti i propri libri per grandi sequenze poematiche, sia ricorrendo a varie personae poetico-narrative (la cui individualità storica o cronachistica viene però immediatamente trascesa), sia aprendo il testo a modalità diversificate, alternando la confessione in prima persona, il contrasto dialogico e l'ampia coralità (come Nel canto del fuoco, da questo punto di vista un vero tour de force espressivo).

3 Può essere interessante notare come, rispetto agli esordi presso la grande editoria, Fabiani sia in seguito ricorso a piccole case editrici: al di là di ogni - sacrosanta - disquisizione su certa politica editoriale, questo ha indubbiamente contribuito a un eclissamento della sua già appartata figura.

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Tutti i componimento di Fabiani sono il frutto di una difficile ricerca di equilibrio tra urgenza del dire e reperimento delle forme poetiche adeguate. Di “indifferente arretratezza” parla Cucchi (p.443) riferendosi a una lingua che, per fare un esempio, mantiene in vita fino alle raccolte più recenti l’inversione del complemento di specificazione, troncamenti, elisioni; è un linguaggio che sembra ignorare problemi di stile e ai dibattiti letterari contemporanei proprio perché Fabiani, che non è certo un naïf, assume quale punto di vista la prospettiva sovratemporale del suo stesso arcitema. Spagnoletti parla di un “territorio stabile, persino nella singolarità degli innesti culturali che ritornano e si sovrappongono, dove passioni e sentimenti richiamano in vita un universo a stelle fisse” (p.446). Quella di Fabiani è una poesia caratterizzata da immediatezza referenziale ma lontana dal realismo tematico, tutta intrisa delle risonanze profonde della preghiera; è ricca di suggestioni metaforiche e allegoriche “che rovesciano la normale nozione della realtà, nel senso che, in piena coerenza con le sue radici cristiane, essa gli si presenta tutta abitata dalla trascendenza, e in ogni caso è testimonianza d’‘altro’” (Pomilio, p.437). Ci sono in Fabiani un'asciuttezza e un nitore di accenti che rimandano a Caproni, ma con l'innesto a livello lessicale di forme culte, regionali e rare che conferiscono al testo una forte coloritura espressionista. Del resto i referenti più facilmente rintracciabili, per questo poeta così appartato, sono senz'altro la Bibbia, Dante, Jacopone e Hopkins; altri hanno suggerito Campana, Rebora, Eliot, Jouve, Perse, Dylan Thomas, Esenin. Nei poemi di Fabiani si passa quindi dalla cruda concretezza di certi toni, mutuata dalle rappresentazioni poetiche e pittoriche medievali

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Ah, martoriato andare di noi larve bigiastre, tra macine e marcite, tra pattumi che bollono e boscaglie (239)

al lirico alto degli appelli più accorati e soprattutto di taluni squarci naturalistici:

Non guardare quaggiù: vedresti un vecchio quasi cipresso che disbianca; e tenta or questa o l’altra mano alzare, a chiedere di una presenza la carità, sia pure lo squittire di un topo, o la scintilla di un fringuello, nel suo umiliato aspettare. (p.316)

L'orizzonte tematico della poesia di Fabiani presenta caratteristiche peculiari: innanzitutto è quasi assente il mondo della Erlebnis, della esperienza personale trascritta o trasfigurata a partire dai tratti storici; l’eventuale storicizzazione non punta infatti a individuare la persona poetica in quanto soggetto dotato di un’individualità psicologica e sociale, ma solo a costruire uno sfondo “pittorico” in cui collocare l’azione del dramma, che è tutto e solo morale: i personaggi prendono cioè la parola in un monologo possibile, all'interno di quadri volutamente bidimensionali come in una sacra rappresentazione. Forse l’individualità dei personaggi è solo abbozzata per suggerire l’idea di un Everyman in cui ciascun cristiano possa riconoscersi oltre le determinazioni temporali.

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Così, tra i protagonisti del nostro tempo (spesso ispirati da grandi eventi contemporanei o da fatti di cronaca) troviamo il pilota di Hiroshima alle prese con la propria delirante coscienza; l’astronauta che, “perseguitato da Dio, vorace specchio; / miniato dal dolore” (p.42) sceglie il sacrificio pur di correre a un incontro immediato con la Verità; un giovane suicida che registra le sue ultime parole; il padre che si suicida insieme al figlio disabile per pietà e disperazione (è la poesia eponima dell’antologia); un naufrago australiano ripescato dopo giorni alla deriva, con il cadavere della moglie sulla barca; contadini che trascorrono una veglia discutendo, cantando e raccontando. Tra i protagonisti storici incontriamo Lutero, Masaccio, vari personaggi longobardi (I compagni medievali), Jacopo della Quercia (L’ordinotte), Piero della Francesca e un Cavaliere del Tau (Amen). Il nucleo dinamico di questi poemetti è quasi sempre il confronto tra il mondo terreno in cui male, dolore e ingiustizia vanno sopportati, e un tempo proiettato nel futuro in cui saranno annullati in Cristo:

se io potessi capire che cosa vuol dire questo lungo aspettare Dio, non piangerei come qui piango e mi compiango insanguinata pecora nel bòtro che ha nome ventesimo secolo (p.257)

Le tensioni e le tentazioni messe in gioco da Fabiani avvicinano la sua concezione poetica alle posizioni manichee, gianseniste 4 e catare: così, la meditazione del

4 Alberto Frattini definisce la poesia di Fabiani “Una dura quasi giansenistica opposizione alla civiltà dissacrante del nostro tempo, con implicazioni religiose risalenti all’antica spiritualità cristiana del Medioevo” (Op. cit.); di manicheismo e catarismo

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Cavaliere del Tau insiste sulla lotta individuale contro Satana, e assume una forte coloritura addirittura gnostica: il mondo, vissuto sempre con il sentimento forte della debolezza umana che a tratti allontana la salvezza dell’Eucarestia, è in tutte le sue manifestazioni, ma soprattutto nella sua espressione di sensualità e gioia, il risultato concreto della Caduta di Satana:

Ed è frammento di Satana l’anguilla, l’uva, la mimosa, la formica, il grano, il pomo, l’oliva; e il loro colorirsi, e il sapore; il frusciare e il tacere del torrente; il gemito scarlatto del demente; il profumo del vino; il muoversi attutito della creatura nel ventre materno (pp.237/238)

Siamo in stretta contiguità con le punte estreme del pensiero cristiano medievale, con il suo rifiuto della corporalità e di tutti gli aspetti del piacere fisico, in piena sintonia con varie eresie: visione che però a volte si affianca a quella diametralmente opposta, l’esaltazione mistica della stessa fisicità in quanto tale. Il Cavaliere del Tau supera questa crisi nella preghiera, riconoscendo infine che la corporeità non è da condannare se rimanda continuamente ad altro - alla presenza, nell’assenza, della figura di Cristo:

parla invece Guido Sommavilla, in Enzo Fabiani poeta mistico (Op. cit.). Entrambi gli interventi sono riportati nel presente volume.

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noi sappiamo che il fischio del pastore è richiamo ad una magione di latte e miele, ed invito il canto dell’usignolo a granai asciutti e ricolmi (p.247)

Il corpo dunque diventa per il Cavaliere un possibile strumento che, tra il fuoco delle tentazioni e il travaglio dei dubbi, si offre per il raggiungimento di una meta tutta spirituale. E in Le tentazioni del romito Osanna (p.266), una parabola quasi evangelica, si approda finalmente a un pensiero che riequilibra la “mania di eterno che ci sfibra” (L’ordinotte):

non di solo Dio deve vivere l’uomo, ma anche delle dolcezze e delle speranze della vita, che Lui stesso gli ha dato e donato; e il più a lungo, il più profondamente (p.268)

Si viene così a sfiorare un’altra posizione eretica, che contempla la santificazione della vita tramite l’esaltazione del corpo; non dissimilmente, l’Episcopessa aveva rivolto allo stesso romito parole accorate, come ennesima tentazione satanica: la carne è debole e non va ulteriormente umiliata; perché invece non “essere trasfigurati d’un subito; volar via, volar via, senza dovere concimare la terra”? (p.269) L’Episcopessa propone cioè un annullamento senza dolore né morte, mentre Osanna/Fabiani sa che l’esaltazione della vita fisica e spirituale viene dall’ “essere per la morte”, dal dover passare per quella cruna che dà valore all’esperienza individuale e ne indirizza tanto il dolore quanto la gioia. Osanna, che pure aveva rifiutato questa tentazione e in seguito sofferto persino della scomparsa di Gesù dalla sua

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vita, sceglie di passare gli ultimi anni benedicendo tutto il Creato, fondendo carne e spirito quasi per vendetta verso il silenzio incomprensibile di Dio (e di un Gesù che “tace un po’ troppo”, p.273). È un silenzio che richiama quello che Jahvé oppone a Giobbe; Osanna sceglie quindi un’esaltazione del divino all’interno dell’umano, nel suo momento di maggior debolezza ma prima della disperazione. Significativamente, Dio “a suo ricordo benedisse le fonti delle Cerbaie: dove gli uomini e gli animali vennero e vengono a bere, e a guarirne.” (p.273). All’interno di un percorso poetico così uniforme, spicca il lungo canto in memoria della moglie defunta, Neyda, che costituisce la raccolta La sposa vivente (1991). Chiara la tripartizione del libro, che ricalca i consueti stilemi del poeta: un Compianto (18 parti); un Lamento (29 parti, costruite sulla ripetizione anaforica “Non guardare quaggiù”); una Invocazione (23 parti, con l’altro attacco anaforico “Ricordati di me”). Qui, per la prima volta, Fabiani è alle prese con un dolore personale di cui non comprende la ragione, e per cui, a partire dalla non conoscenza (“io non so quale / sia la tua gloria, né la tua vittoria, / né quale sarà la parola che mi salvi / in tempo, né quale / la mia, la mia futura via”, p.299), interroga implicitamente la divinità come un nuovo Giobbe, presentandosi come

un vecchio cui perdere la fede è stato possibile (p.333)

e ci sorprende addirittura quando afferma di non sopportare più il dolore né l’attesa:

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Io sono stanco di restare immerso in un silenzio che non si illumina, né ho quiete in questa semina di parole e memorie, di accenni opachi nei pensieri a eterni segreti (p. 290)

Siamo di fronte a un uomo “triste / a non capire la morte” (p.295), che si domanda se la parola e la preghiera siano sufficienti, e che presenta la propria vecchiaia solitaria in tutta la sua insoddisfacente nudità:

Mi sono perduto seguendo una mandria di similitudini, e temo di restare caduto per sempre (p. 289)

Aleggia perfino il dubbio del suicidio:

vedi se puoi dirmi se il violento partire da qui è la vittoria, o se conviene tentare qui di restare a vivere, ad aspettare, ad accendere il fuoco e tremare, a tacere, umilmente a guardare, a inchinarsi, ascoltare (p. 298)

Più che di dubbio religioso si tratta di un cedimento, questa volta non incarnato da una persona ma vissuto e raccontato direttamente, senza filtri retorici. Tuttavia, il Fabiani che emerge da questa antologia, che proprio per questo risulta la più ricca e interessante della sua intera produzione, è un uomo più aperto alle ferite

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dell’esistenza terrena, più consapevole dei temi della vecchiaia (e quindi di un'esperienza lirica e personale). È da questa nuova ed estrema maturità che nascono le poesie di Letane (due poemetti: 1983-1994) e quelle fin qui estravaganti de Il trono d’ombra - liriche sui “motivi più amati e sofferti” (p. IX), nelle quali predomina, con equilibrio stilistico più compostamente classico, il tema della tristezza, che qui viene esposto nella forma di un monologo interiore, e che in Letane assume invece la forma di un dialogo tutto umano e letterario con il defunto poeta Alberico Sala. La propria vita in retrospettiva, i moniti a “essere solenne” (p. 401) sono formulati in un linguaggio da cui sembra evaporata la potenza di accenti e toni che investiva i contenuti nelle precedenti raccolte; rimane, soprattutto nell’andamento poematico di Letane, la debordanza affabulatoria, mentre Il trono d'ombra segna un ritorno alla misura della lirica breve e a una maggiore concentrazione espressiva e forse a un tono lirico più pacato, come nel bellissimo congedo degli ultimi versi del volume:

da allora non parlo: invecchio serbando nel cuore, in profonda dolcezza, di quella parola il mistero. In ginocchio, in silenzio. (p. 421)