Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini...

10
Dina Vallino Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) Vi parlerò dell’incontro con bambini di diverse età che, in quanto psicoanalista, mi vengono portati in consultazione dai genitori. Intendo per INCONTRO un evento di relazione tra due persone che coinvolge direttamente il mondo interno di entrambe e perciò emozioni, affetti, dolore e tutto quanto può riferirsi alla realtà del mondo interno e può quindi venire pensato e ottenere un significato. I genitori che mi portano il figlio o la figlia di solito mi chiedono informazioni intorno ai suoi problemi e suggerimenti di vario tipo in ordine ai loro reciproci sentimenti e ansietà. Nei casi più favorevoli mi domandano di aiutare direttamente il bambino con una terapia. Georges de la Tour: bambino che spegne una lampada Premetto che, pur tenendo presente la necessità e l’utilità della diagnosi, lo considero un momento (quello della diagnosi) successivo all’incontro con il bambino. Penso infatti che nello spazio di due o più sedute di consultazione io debba soprattutto preoccuparmi di che cosa accade al bambino quando è insieme a me. Ciò – naturalmente – mi porta ad essere orientata sul mondo interno del bambino,e sul suo modo di mettersi in relazione con me e con i genitori quando essi siano presenti. Ho avuto diverse volte l’esperienza che per quanto un bambino sia piccolo, sotto i due anni per es., e quindi elementare il suo modo di comunicare e poco comprensibile, qualcosa accomuna me e il bambino come due esseri umani che si incontrano. Posso contare sul fatto che se io sono alla ricerca di intendere il bambino, egli ha sicuramente sollievo se una persona lo intende e gli restituisce risposte appropriate. E' importante tener presente quanto posso essere poco comprensibile per un bambino se non comunico al suo livello. R' per questo che nel nostro incontro c’è una speciale simmetria. Il bambino che viene condotto dai suoi genitori in un luogo straniero e da una persona sconosciuta manifesta emozioni che spesso non sa rappresentare se non con gesti sguardi silenzi o altri discorsi, che di solito non parlano di ciò che sta accadendo in quel momento. L’insolita situazione dell’incontro muove nel bambino qualcosa che fa dire a noi operatori che il bambino è sofferente di qualcosa oppure invece che egli non sa affatto di che soffre e che cosa è venuto a fare da noi e perché i genitori ve l’hanno condotto. Insomma nel modo di incoraggiare un bambino a stare meglio noi teniamo presente precisamente che l’aspetto ignoto dell’incontro provoca nel bambino, se non sofferenza, un “malessere”. Conferenza tenuta il 2 giugno 1984 a Milano per gli Specializzandi in Neuropsichiatria Infantile, Guardia II (Prof. Adriana Guareschi), Università Statale. Ma dopo tutte queste premesse e dubbi io sono con il bambino, il bambino è insieme a me ed io sono responsabile di fronte a lui di almeno una parte di ciò che accade tra noi. Mi devo dunque chiedere che cosa prova un bambino, che non me ne parla, quando è con me, sia che venga lasciato solo, sia che resti con i suoi genitori. La domanda serve a prepararne una successiva: potrò aiutarlo? E in che cosa posso aiutarlo?

Transcript of Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini...

Page 1: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

Dina Vallino

Emozione e sofferenza dei bambini durante ilprimo incontroLa nascita della Consultazione partecipata (1984)

Vi parlerò dell’incontro con bambini di diverse età che, in quanto psicoanalista, mi vengono portatiin consultazione dai genitori. Intendo per INCONTRO un evento di relazione tra due persone checoinvolge direttamente il mondo interno di entrambe e perciò emozioni, affetti, dolore e tutto quantopuò riferirsi alla realtà del mondo interno e può quindi venire pensato e ottenere un significato.

I genitori che mi portano il figlio o la figlia di solito mi chiedono informazioni intorno ai suoiproblemi e suggerimenti di vario tipo in ordine ai loro reciproci sentimenti e ansietà. Nei casi piùfavorevoli mi domandano di aiutare direttamente il bambino con una terapia.

Georges de la Tour: bambino che spegne una lampada

Premetto che, pur tenendo presente la necessità e l’utilità della diagnosi, lo considero un momento(quello della diagnosi) successivo all’incontro con il bambino. Penso infatti che nello spazio di due o piùsedute di consultazione io debba soprattutto preoccuparmi di che cosa accade al bambino quando èinsieme a me.

Ciò – naturalmente – mi porta ad essere orientata sul mondo interno del bambino,e sul suo mododi mettersi in relazione con me e con i genitori quando essi siano presenti. Ho avuto diverse voltel’esperienza che per quanto un bambino sia piccolo, sotto i due anni per es., e quindi elementare il suomodo di comunicare e poco comprensibile, qualcosa accomuna me e il bambino come due esseri umaniche si incontrano.

Posso contare sul fatto che se io sono alla ricerca di intendere il bambino, egli ha sicuramentesollievo se una persona lo intende e gli restituisce risposte appropriate. E' importante tener presentequanto posso essere poco comprensibile per un bambino se non comunico al suo livello. R' per questoche nel nostro incontro c’è una speciale simmetria.

Il bambino che viene condotto dai suoi genitori in un luogo straniero e da una persona sconosciutamanifesta emozioni che spesso non sa rappresentare se non con gesti sguardi silenzi o altri discorsi, chedi solito non parlano di ciò che sta accadendo in quel momento. L’insolita situazione dell’incontromuove nel bambino qualcosa che fa dire a noi operatori che il bambino è sofferente di qualcosa oppureinvece che egli non sa affatto di che soffre e che cosa è venuto a fare da noi e perché i genitori ve l’hannocondotto. Insomma nel modo di incoraggiare un bambino a stare meglio noi teniamo presenteprecisamente che l’aspetto ignoto dell’incontro provoca nel bambino, se non sofferenza, un “malessere”.

Conferenza tenuta il 2 giugno 1984 a Milano per gli Specializzandi in Neuropsichiatria Infantile,Guardia II (Prof. Adriana Guareschi), Università Statale.

Ma dopo tutte queste premesse e dubbi io sono con il bambino, il bambino è insieme a me ed iosono responsabile di fronte a lui di almeno una parte di ciò che accade tra noi. Mi devo dunquechiedere che cosa prova un bambino, che non me ne parla, quando è con me, sia che venga lasciato solo,sia che resti con i suoi genitori.

La domanda serve a prepararne una successiva: potrò aiutarlo? E in che cosa posso aiutarlo?

Page 2: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

Devo inoltre prendere atto che un bambino, persino un bambino molto piccolo, modifica il mioassetto mentale e la mia capacità di accogliere ed elaborare le emozioni per realizzare pensieri sui fatti efarmi delle opinioni. Mi sono per esempio accorta che per quanto un bambino possa sentirsi solo,impaurito, stupido, handicappato, rabbioso, furioso, incapace di parlare e persino di muoversi… ancheun bambino nelle più difficili condizioni trasmette qualcosa a una persona che sta insieme a lui.

Il qualcosa può anche soltanto essere che la persona che sta con lui, io stessa, mi senta altrettantosola impotente irritata o inibita nel pensare, nel parlare, nel sentire…

Questa trasmissione emozionale verbale e non verbale ha un nome: è l’identificazione proiettiva, siacome processo primitivo di comunicazione, sia come una difesa sostenuta dal bisogno di espellerel’angoscia (Klein 1946; Bion 1961).

E' utile tenere presente l’ordine di problemi inerenti alla comunicazione tra me e un bambinopiccolo o spaventato.

Il suo linguaggio è molto primitivo, è fatto di gesti, sguardi; per me è difficile intenderlo, perciòdevo aspettare, ma intanto il mio problema resta: che posso fare per essere sensibile verso il bambino cheè davanti a me e verso quei fatti interni che mi sta manifestando?

Fu da quest’ambito di problemi che nacque in me la domanda: come si esprime un bambinopiccolissimo che soffre di qualcosa, come comunica alla madre quello che soffre e come fa una madre adintuire che cosa soffre il suo lattante e quello di cui ha bisogno?

Il porre questi interrogativi ci introduce nell’area della sofferenza mentale al suo nascere: il modo incui i bambini piccoli la manifestano e la nostra competenza a comprenderla e contenerla.

La mia riflessione sul significato della consultazione in psicoanalisi infantile, e sullo scopo che io leassegno, prende le mosse da considerazioni che sono venuta facendo durante il periodo in cui hocondotto personalmente Osservazioni di bambini piccoli: sto pensando al metodo dell’Osservazione delbambino in famiglia messo a punto da Esther Bick (1968) e al significato che può avere nel lavoro coibambini (Harris 1976). Oltre a fornire approfondite conoscenze sulle diverse modalità di relazione tramadre, bambino e padre, aiuta ad andare avanti nel capire molte cose sullo sviluppo mentale di unbambino. Durante l’osservazione possiamo individuare anche in un neonato elementi di simbolizzazionirudimentali o di protosimbolizzazioni.

Esempio 1- Davide 18 giorni

Davide quando viene tolto dalle braccia della mamma ha un improvviso singhiozzo. L’osservatrice,descrive una sequenza in cui Davide, scosso dal singhiozzo, muove le manine, gira la testa dalla partedella mamma che è chinata su di lui. Quando la mamma lo prende in braccio vezzeggiandolo Davidetorna tranquillo e il singhiozzo scompare.

Ho inteso la sequenza descritta nel modo seguente: Davide è sofferente, ha il singhiozzo, ma, nelmodo di muovere le manine e orientare la testa in direzione della madre, Davide – pur così piccolo –sembra rappresentare una idea di “mamma”, quella che Bion chiama “preconcezione” (1962 ). Lacapacità di simbolizzare permetterà al bambino di esprimere il bisogno, la sofferenza e di chiedere aiuto.Ma la rudimentalità di simbolizzazione di un bambino molto piccolo lo renderebbe più solo e quindipiù esposto all’incomprensione e alla sofferenza se egli non si avvantaggiasse della presenza di una madree di un padre che pensano per lui e che quindi colgono nel suo muovere le mani un gesto di richiamo,un segno verso di loro. Solo dall'incontro con genitori che danno senso agli atti del bambino sistrutturerà in lui, ben presto, la capacità di simbolizzare, attraverso cui potrà esprimere il bisogno, lasofferenza, la gioia e quindi invocare aiuto.

Page 3: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

Quando dei genitori mi portano un bambino piccolo, contando sulla mia esperienza di analista, iomi sono fatta l’idea che essi mi domandino strumenti per raffinare le loro capacità di intendere lasimbolizzazione o le modalità di pensiero del loro bambino.

Chi ha condotto un’osservazione in famiglia è colpito dal rapporto molto intenso e avente qualitàmentale che un bambino piccolo comincia a instaurare con l’osservatore. È un rapporto che si riveladapprima negli sguardi attenti e prolungati che il bambino, persino mentre viene curato e nutrito dallamadre, dirige verso l’osservatore. Col trascorrere dei mesi compaiono poi sorrisi, gesti, saluti, parole concui il bambino reclama l’attenzione dell’osservatore visitatore settimanale.

Durante la consultazione infantile ci avvaliamo dell’esperienza raccolta come “osservatori”, proprioperché i bambini, e i più piccoli in particolare, ci parlano un linguaggio molto primitivo fatto di gesti esguardi. Ma non solo per questo.

Vi racconterò di un primo incontro tra me e una neonata di cinque mesi durante un momento incui la mamma l’aveva lasciata sola con me, ed io avevo il problema di come mantenere una amichevole eincoraggiante presenza, senza sostituirmi alla madre.

Esempio 2- Giuliana, 5 mesi

La bimba è seduta in carrozzina; appena mi vede fa un lieve balzo di sedere e alzando le manine e ipiedi mi sorride largamente. Io la saluto, lei ritorna nella posa ferma e mi guarda. Entra la mamma, leaccomoda il cuscino e in poche parole frettolose mi spiega che lei deve lasciarmela un momento perchédeve andare di sopra, mi chiede se posso stare con Giuliana ed io le dico di sì senza capire molto. Hol’impressione di una estrema concitazione che non permette di comunicare, ma ho anche l’impressioneche la mamma abbia aspettato prima di salire, come se dovesse pensare se era opportuno lasciarmi lapiccola in custodia. Comunque io parlo con Giuliana perché ho la sensazione che la piccola sia un po’spaventata e che la debba aiutare ad aspettare la mamma. Infatti Giuliana sta come in sospeso: gli occhifissi fermi sul mio volto, senza un muover di ciglia, la mano destra appoggiata sulla carrozzina esaldamente aggrappata al bordo, la mano sinistra attaccata alla copertina. Mi sembra che stia così perdiversi minuti. Io le dico qualcosa del tipo “mamma via, mamma torna”; alla parola mamma lei lasciaandare il bordo della carrozzina e si butta in avanti e poi indietro, si afferra con la mano sinistra allacopertina e se la porta tutta sulla bocca, poi tossisce. Si aggiusta in posizione seduta dondolandosi,tossisce, e cade su un lato. Io la aiuto ad appoggiarsi di nuovo e lei mi guarda e ha un’aria di grandeinfelicità: gli occhi sono seri, poi gira la testa e abbassa lo sguardo sulla copertina e di nuovo se la portaverso la bocca e passa le frange sin dentro le labbra e succhia rumorosamente.

Le dico che mi sembra sia triste perché si butta indietro come a farmi vedere che proprio non ce lafa. Allora le offro un dito per appoggiarsi mentre l’aiuto a rialzarsi e lei si afferra al mio dito e mi sorridelievemente. Mi colpisce come non chieda di venire in braccio, non mostri segni che vorrebbe alzarsi, mastia cercando di stare dov’è nel modo migliore.

Poi lascia il mio dito e si porta tutta la mano alla bocca e fa un profondo “ehh”, “ah” una serie divocalizzi. Io le dico “brava, chiami la mamma” e lei comincia a voce più alta quasi a gridare: poco dopoentra la mamma.

Vi farei notare adesso gli elementi che considero centrali di questa osservazione e che ci riportanonell’ambito dei problemi segnalati, relativi all’incontro con un bambino.

Giuliana lascia intendere di che cosa sta soffrendo. La si vede buttarsi avanti e indietro come aesprimere con questo dondolamento che è venuto meno il punto di appoggio, la madre contenitoreesterno che di solito la tiene. Non soltanto Giuliana non ha ancora stabilmente conquistato la posizioneseduta, ma sembra stia lì lì per perderla, quando viene a trovarsi nel nuovo stato dell’essere separata dalla

Page 4: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

mamma e dal sentirsi sola. Guardandomi fissamente, Giuliana cerca di tenersi fermamente a me con losguardo, per non cadere. Dopo aver utilizzato gli occhi per aggrapparsi, cerca nello spazio della cullaconfini e limiti che la sostengano, sinché tastando qua e là e aggrappandosi dove può, prima allacopertina poi al mio dito, prenderà coraggio e inizierà a vocalizzare e a chiamare la mamma.

Secondo me è accaduto che la bambina si trovava esposta a sensazioni forti e invasive di cadere. Nonso cosa passava dentro di lei, so però che sembrava potesse afflosciarsi come uno straccetto e che dalmodo in cui si teneva e mi guardava sembrava impegnata a voler stare dove era. Lo scambio di sguardi,avvenuto tra noi, le parole di incoraggiamento che le ho rivolto, il dito che le ho offerto come punto diappoggio sono stati – secondo il mio punto di vista – segni per la bambina che assistevo alla suaesperienza, che l’avevo intesa e che quindi lei la poteva condividere. Da parte mia c’era stato, con ilpresenziare mentalmente al suo stato, un darle sollievo e da parte della bambina c’è stata la possibilità dipartecipare a un rapporto di qualità mentale, che ha probabilmente permesso che riemergesse il ricordodella madre, come buon oggetto interno, tanto che la bimba l’ha chiamata con dei vocalizzi ( GeneraliL. e Ferrara Mori G. 1980; Generali L. 1982).

Questa esperienza mi diede motivo di riflettere sull’utilità di presenziare e condividere un’esperienzaemotiva di un bambino mentre questa avviene.

Naturalmente è molto importante intendersi sulle parole “presenziare, condividere”. Per quanto neso devo prestare molta attenzione a ciò che accade al bambino e a ciò che accade a me, quando sono inpresenza di un bambino sconosciuto. Se è molto piccolo a maggior ragione dovrò fare attenzione adentrambi, me stessa e lui. Infatti con un bambino piccolo ho difficoltà ad afferrare ciò che lui prova. Miviene meno ogni bagaglio teorico per inquadrare i fatti.

Le mie idee spesso sono vaghe, frammentarie, sento che la cosa più appropriata che posso fare è stareattenta e cercare una descrizione accurata di quanto accade. Ma più spesso ancora il significato dellasituazione interna del bambino mi sfugge. Ho intuizioni ma l’insieme resta oscuro.

Non afferro un senso. Forse ciò non è lontano dalle difficoltà che un bambino piccolo ha adafferrarsi e ad afferrare. Nel caso di Giuliana, che si sentiva cadere, le ho offerto un dito per afferrarsi equesto è bastato per farla star meglio e farla parlare.

Su livelli diversi – come io ho bisogno di punti di riferimento – l’osservazione dei fatti è un punto diriferimento – quanto ha bisogno un bambino di un punto di appoggio? E che cosa ciò significa durantel’incontro con me?

Esempio 3 - Mauro, 19 mesi

La consultazione viene richiesta per un grave ritardo psicomotorio e del linguaggio.

Con un ittero alla nascita e un ricovero di qualche settimana in neonatologia, Mauro è in fisioterapiada cinque mesi e presenta reazioni autistiche. Non cammina, non gattona, striscia per terra seduto. Nonparla.

È segnalato che non differenzia la madre da altre persone, non la guarda, non la chiama, si isola afissare il lampadario e a giocare con le sue dita.

Nel contesto di una revisione più approfondita della terapia il bambino mi viene inviato dallaneuropsichiatra che i genitori consultano e dall'Équipe di lavoro dell'Ospedale in cui viene praticata lafisioterapia.

Mauro arriva in braccio alla madre, è voltato verso di me e mi guarda con occhi vispi. È unbellissimo bambino bianco roseo e paffuto. Spesso - durante la consultazione - accenna a un sorriso fattodi uno stiramento meccanico delle labbra che contrasta con la vivacità dello sguardo. Appena la mammalo depone sul tappeto Mauro si sposta velocemente strisciando sul sedere, facendo leva sui talloni e

Page 5: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

spingendosi con le ginocchia. In questa posizione il bambino attraversa il perimetro della stanzacompiendo un circolo a partire dalla madre, ma senza mai guardarla e afferrando per pochi attimi glioggetti che incontra sul suo percorso, cubi, animali di peluche, una pallina, e buttandoseli dietro lespalle, mentre procede in questa veloce strisciata. Ha un modo molto particolare di farsi sentire; modulaun prolungato mugolio con intonazioni diverse e sembra orientarsi con movimenti. Rotatori della testaverso la voce della madre. I genitori lo guardano tristemente commentando: «fa sempre così, è unmovimento continuo».

Segnalo allora all'attenzione dei genitori sia il movimento circolare a partire dalla madre e di ritornoverso di lei, sia i movimenti rotatori della testa con cui il bambino sembra tentare di mettersi in contattocon la madre tramite l'udito. Poiché si ferma a fissare le sue scarpe, penso che devono essere rigide echiedo alla madre perché le fissa così. La madre prontamente gliele slaccia e gliele toglie dicendomi che acasa porta delle pantofole. Mauro con una scarpina in mano viene verso di me. Io comincio ad esserecolpita da qualcosa di straordinariamente intenso in questo bambino e offrendogli lo scimmiottino dipeluche, che sfioro sulle orecchie, dico che è uno scimmiottino molto carino. Mauro lo porta vicino allaguancia e fa un lieve movimento di suzione con le labbra, quasi che il morbido scimmiottino stesse perun morbido seno, poi si guarda le dita e si pone in una sorta di perduto rintanamento dentro le manine,mentre fa oscillare lentamente le dita.

Io mi avvicino, e toccandogli lievemente il dorso delle mani, gli dico: «sono belle le tue manine,prendono, mettiamo dentro» e metto un cubo dentro l'altro.

Mauro mi guarda per la prima volta dopo mezz'ora e cerca un lembo del mio vestito, sfiora il miogolf e afferra un bottone del mio maglione. E' il primo momento in cui mi usa come un appiglio e miguarda. Ho inteso questa sequenza come se Mauro avesse apprezzato che io avevo visto le sue difficoltàma anche qualcosa di carino in lui e cosi si è afferrato a me perché io potevo mantenere dei legami sucose che lo riguardavano: le sue difficoltà, ma anche l'uso delle sue manine, il suo isolarsi, ma anche ilsuo cercare, eppoi il disagio per le scarpine.. troppo rigide... I genitori avviliti di uno sviluppo che nonva secondo le previsioni possono essere facilmente distratti da tanti dettagli richiamanti il disastro.

Nella seconda seduta di consultazione, dopo una settimana, c'è una novità. Mauro non getta più glioggetti dietro le sue spalle, ma afferra e trascina dietro di sé un telefono rosso, a cui sembra aggrapparsicome se si trattasse di un sostegno fermo. Il padre commenta che gli telefona spesso dal lavoro. Mauroprende il microfono e rappresenta la scena, il papà lo chiama e Mauro mugola nel microfono. A uncerto punto l'idillio tra padre e bambino si interrompe; Mauro ha infatti scoperto il tasto acceso di untermosifone elettrico e si impegna ad azionarlo spegnendolo e riaccendendolo. Diventando questo unmovimento stereotipo in cui è perduto, il padre lo allontana mettendo di mezzo, tra il bambino e iltermosifone, un tavolino

Palesemente irritato Mauro si infila sotto questo tavolino e, guardando il termosifone verso il qualeannaspa con movimenti disorganizzati, giace per terra e si lamenta. Il padre e la madre lo guardanoimmobilizzati. Io ho l'impressione che essi si sentano proprio come si sente Mauro, immobilizzato inuna condizione in cui la sua gamba si è impigliata in quella del tavolino, egli non può muoversi e giacesupino. Forse i genitori lo sentono come un bambino dagli strani capricci, un bambino malato con cuinon sanno che fare; Mauro si è cacciato nei guai sotto il tavolino e forse secondo i genitori sarà bene cheprovi a stare solo e che impari a chiedere.

Io aspetto qualche momento, il tempo per provare dentro di me tutto questo disagio e per rendermiconto che Mauro - rivolto all'oggetto meccanico - a modo suo sta chiedendo aiuto. Lo aiuto a sollevarsisenza dire niente; papà si riprende e comincia a chiamarlo e Mauro fugge sveltamente semprestrisciando verso la mamma, la quale lo consola, gli offre un cestino, gli sorride e Mauro, diversamentedalla seduta precedente, comincia a infilare nel cestino vari cubetti, uno ad uno.

Faccio notare ai genitori come egli abbia apprezzato l'aiuto offertogli e adesso sta facendo un gioco:

Page 6: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

mettere dentro e fuori qualcosa da un cestino, forse ci racconta cosa gli è successo.

Mauro desidera che mamma tenga il cestino fermo, obliquo e appoggiato solo su un punto, non sututto il fondo. Se mamma accenna a mettere il cestino dritto Mauro frigna disperato. Mauro infila nelcestino il cubo e lo fa rotolare dentro immergendovi il braccio, quindi lo riporta fuori e lo ributtadentro.

Né la madre deve muoversi, né il cestino, né Mauro può lasciare dentro il cestino il cubo che vi hagettato. Mauro, a me sembra, non può perdere il controllo del cubo e della mamma, come non puòperdere il controllo della terra sotto il suo sedere. Mauro deve stare incollato a terra e non può perciò néimparare a gattonare né quindi a camminare. Commentando con i genitori in un colloquio a partequesta seduta e quanto era avvenuto sotto la nostra osservazione, la madre mi aveva raccontato che,quand'era molto piccolo, Mauro stava da solo nel lettino per ore, mentre la mamma faceva le puliziecantando vicino a lui. Mauro stava buono e non pareva accorgersi della differenza tra stare con lamamma e stare senza. È possibile ipotizzare che Mauro deve aver fatto il possibile per contenersi da solo,forse si aggrappava alla voce della madre che cantava: è possibile che la voce che Mauro ascolta conattenzione sia un punto di riferimento a cui si aggrappa.

Ma il gioco col cestino ci porta a pensare che Mauro stia imparando ad avvicinarsi alla mamma e chei suoi movimenti per tenere l'attenzione della mamma siano un passo nuovo al servizio del potercomunicare con lei.

Nello strano modo di Mauro di far percorrere al cubo la superficie interna del cestino, senzapropriamente tenerlo, né lasciarlo andare, ma lasciandolo andare per poi riprenderlo, intravedo la pauradel bambino di cadere e quindi la difficoltà a lasciarsi andare, perdendo il controllo della terra sotto ilsedere. La peculiare sofferenza del piccolo Mauro sembra quindi centrata su un'esperienza di perdita e diseparazione identica a uno stato di disorganizzazione complessiva, in cui fisico e mentale sono intrecciatie quindi anche la madre, l'oggetto, non è percepita del tutto differenziata dal Sé.

Posso confermare alcune di queste ipotesi perché Mauro tre mesi dopo, in una seduta diconsultazione, mostra di avere con la madre un tenero e dedito rapporto in braccio a lei, mentre primala sfuggiva. Inoltre Mauro, che ormai gattona, si aggrappa alla linea del sedile del divano e prova adalzarsi in piedi da solo facendo una rotazione di novanta gradi per poi lasciarsi cadere. Ripetutamenteesegue questo gioco assecondato dalla madre che lo incoraggia. Che cosa è dunque avvenuto in questoincontro con Mauro?

Premetto che il mio scopo è soltanto di amplificare al massimo le risposte appropriate che genitoriche intendono possono dare al loro bambino. Se le difficoltà del bambino sono viste accanto alle suerisorse, perciò stesso l'intensità della sofferenza del bambino diminuisce, in quanto il bambino vieneaiutato o si cerca di aiutarlo in maniera appropriata. Se tutto ciò è molto semplice e persino ovvio, ciòche non è semplice per niente è il lasciare che il bambino mi trasmetta la sua esperienza e le sueemozioni. Devo dispormi ad essere nelle condizioni del bambino, ignara, incapace e con poche parole adisposizione. Sono in una condizione di oscurità e attendo che qualcosa emerga. Si tratta di aspettareche i momenti di riunificazione avvengano, del bambino con i genitori, attraverso di me. Quello cheemerge infatti a un certo punto, sempre, è che il bambino ha bisogno di qualcuno che lo tolga dai guai.Ma chi può toglierlo dai guai? Chi può capire «cosa» il bambino e «chi» cerca? Il mio scopo è quello didiventare nell'incontro un punto di appoggio di cui il bambino ha bisogno, un punto di riferimentomentale intendo. Devo cioè prestare la mia mente e il mio vissuto affinché il bambino possa ritrovare iltipo di legame interno che ha perduto.

Non è me che il bambino cerca, ma prima di tutto un posto adatto a lui, in cui è fermamente tenutoe ottiene sollievo nel superare la sensazione di cadere, in termini fisici, e, in termini mentali, di sbagliareo di essere buono a nulla. Se l'intensità della sofferenza mentale diminuisce in rapporto a un provvisoriocontenimento, qualcosa, nel muoversi senza scopo del bambino, riacquista senso ed egli può ristabilire

Page 7: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

un contatto con chi si cura di lui. Gli stessi genitori, presenti nella stanza, possono ristabilire uncontatto mentale con il bambino, scoprendo che non è poi così complicato mettersi in relazione.

Ma può essere che il bambino soffra di un dolore che non può condividere con nessuno perché nonha significato per alcuno.

Teniamo presente che riguardo al dolore se esso non ha significato per nessuno è più tormentoso epiù violento. Quindi più solo è il bambino nel provare disagio più sarà sofferente. La sua fortuna è checome operatore anch'io sono sola e come il bambino anch'io annaspo per trovare compagnia alla ricercadi un significato. Non è detto che ci riesca sempre, ma della mia ricerca il bambino si avvantaggia (DiChiara 1985).

Esempio 4- Matteo, 9 anni

Davanti a Matteo, di cui so molto poco perché la madre non mi ha rilasciato intervista preliminare,ed è voluta venire con lui la prima volta, io sento che le parole, le mie parole, sono per Matteo comesuoni vuoti, rotolano nell’aria prive di significato, mentre Matteo sta contratto sul divano, con gli occhifissi per terra, occhi che ogni tanto ruota nella mia direzione, quasi dovesse spiare una mia mossa diattacco. Io ripenso a come sua madre, 10 minuti prima entrando, ha sparato su di lui una serie di accusee di lamentele e che adagio Matteo si era rintanato sul divano. Lo sguardo di Matteo è ancora moltoimpaurito quando la madre esce dalla stanza. Tra noi potrebbe cadere un silenzio impenetrabile; la miamente è vuota di ogni risorsa, io taccio, poi faccio dei tentativi del tipo giocare insieme, disegnare,notizie sui vicini, sui compagni… niente. Matteo fissa le punte delle sue scarpe e ruota gli occhi verso là– dove io sto. Questo è il momento in cui mi dico: “come posso stare con lui in quest’ora e in questaseduta? Come posso stare con lui se egli ha tanta paura”? Decido di proporre aspetti del mio mondointerno che possano spaventarlo meno e nel contempo essere uno spunto per una osservazione di ciòche gli accade. Mi fa pensare a un capriolo impaurito, immobilizzato dal terrore di avere a che fare conuno straniero cacciatore. Ma io non sono un cacciatore, vorrei solo parlare con lui, ecco tutto. Dopotutto io comincerò a giocare e se vorrà anche lui potrà usare della mia scatola.

Sorride, si alza, si stropiccia la schiena, fa una smorfia di dolore. Gli chiedo se ha male. Dice: sonocaduto. Ieri. Siede e comincia uno scambio tra noi.

In questo caso non ho fatto fatica a dimenticare tutte le informazioni perché non ne avevo alcuna.Le notizie che gli ho chiesto, per Matteo, erano lettera morta. Non era quello il livello della suadomanda rivolta a me.

Nel colloquio successivo egli mi ha portato i suoi quaderni e mi ha illustrato i suoi lavori scolastici.Lo faceva con piacere e si esprimeva in maniera esauriente, ma aveva dovuto sentire che mi ponevo allivello in cui lui voleva stare. Per stare al suo livello ho provato e raccolto il mio smarrimento comeun’informazione adatta a iniziare un dialogo.

Per raccogliere le mie impressioni devo sgomberare la mia mente da tutto quanto possa allontanare ilnascosto messaggio che il bambino mi invierà, nei modi in cui sa farlo.

Cerco di intravedere se il bambino, dal modo in cui si presenta, sta cercando una qualche personache lo capisca, e se io posso temporaneamente prestarmi per aiutarlo a trovarla. Spesso per il bambinociò che prova è troppo pesante o troppo forte per essere portato da solo. Deve essere condiviso. Matteosta cercando una mamma che apprezzi quel tanto che sa fare e una maestra meno severa con lui. Inquesto momento Matteo, che era uno scolaro modello, sta avendo delle difficoltà. Comincia ainteressarsi ad altri aspetti della vita e si distrae. È inutile sparargli, si potrebbe solo uccidere la suafantasia. Matteo mi osserva durante il primo incontro per intuire se gli sparerò sgridate o lointerrogherò. Niente di tutto questo accade e Matteo quindi condivide con me le sue preoccupazioni.

Page 8: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

Vorrei tornare sul vantaggio di questo tipo di esplorazione del mondo interno del bambino. Esso èfondato prevalentemente sull’incontro con lui e sull’evidenziare e mettere in parole le esperienzeemozionali che la sua presenza evoca. Questo tipo di metodo non si avvale quasi per niente diinterpretazioni delle relazioni interne, e quindi interpretazioni di transfert, ma si avvale invece diosservazioni accurate sul tipo di relazione che va sviluppandosi in tutti i presenti.

Esempio 5 - Daniele, 4 anni

Daniele arriva col papà alla prima intervista. Avevo conosciuto Daniele a tredici mesi per altrimotivi, presumo che egli non si ricordi di me. La mamma di Daniele in una telefonata concitata miaveva chiesto di vederlo, perché Daniele, dopo aver picchiato in testa la sorellina di 8 mesi ed esserestato sgridato, dichiarava di voler morire. Ai genitori sembra depresso, si sentono entrambi preoccupatiche possa farsi male ed io decido di vederlo il giorno dopo.

Daniele ha un’espressione del volto corrucciata e dice a suo padre, dopo aver dato una rapidaocchiata ai cestini coi giochi:

“Papà sono confuso… gioca con me papà… sono confuso”.

Il tono è supplichevole, ma nei gesti Daniele è imperioso con suo padre, lo tira per la manica, glichiede di sedere con lui sul tappeto.

Dopo che il padre mi ha guardato come per chiedermi conferma della sua decisione di stare nellastanza, Daniele continua – “Papà perché siamo venuti? Io non volevo venire.”

Intanto sfiora col dito il materiale nel cestino.

“Come faccio con questi giochi? Non posso rovesciarli, come faccio?”.

In questa situazione Daniele sta dicendo a parole la sua pena, ma c’è qualcosa di più intenso nontrasmesso dalle parole, forse qualcosa inerente a un rapporto ingarbugliato con la mamma. Comunquein questa circostanza precisa c’è l’angoscia di ignorare del tutto se io – signora sconosciuta – sarò unadulto competente ad ascoltarlo con simpatia e rispetto.

Il mio punto di vista in quella circostanza fu che suo padre era tra noi due l’adulto più competente agiocare con lui e a dargli sollievo da un eccesso di angoscia e confusione. Inoltre spero che prima o poila mia attenzione orientata verso Daniele e suo padre permetterà che Daniele produca una qualità dicomunicazione che abbia significato per entrambi.

Intanto padre e figlio cominciano a giocare.

“Dai – lo invita il padre – rovescia i giochi!”

“Comincia tu con gli animali – replica Daniele.”

Il padre commenta, rivolto a me, che il gioco risale alla sera prima: è il gioco di scegliere un animale.

“Papà scegli un animale!”

“Scelgo l’orso” – dice papà.

“L’orso non c’è”, dice il bambino, e sembrano entrambi intimiditi dalla situazione tanto da nonosare iniziare questo gioco. Papà prende coraggio, comincia una specie di lotta – duetto degli animali econ mossa decisa mostra a Daniele che l’animale vinto andrà a finire nel cestino. Per scegliere gli animaliDaniele chiede sempre a papà quale è il più forte. Papà glielo dice, lui sceglie il più forte e papà glielopermette. Ma quando Daniele comincia a voler essere l’animale in coppia con papà ad es. la cavalla colcavallo, papà aggiusta la storia.

Page 9: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

No – dice papà – lui è il cavallo e dietro di lui ci stanno la mamma cavalla e i due puledrini.

Qui Daniele vorrebbe essere i puledrino più piccolo, il neonato puledrino, ma papà introduce ildiscorso di Roberta che è già lei la neonata, e come neonata ha i denti che le bucano le gengive, perquesto piange e da tanto fastidio a Daniele.

Il dialogo tra padre e bambino è stato molto intenso e pieno di intesa ma adesso è arrivato il silenzio.

Io descrivo allora una parte del gioco che ho osservato e dico che è molto interessante e chiedo seanche ieri Daniele e papà giocavano così bene insieme. Spiego che ieri mamma mi ha telefonato.Daniele mi guarda stupito ed è la prima volta che mi guarda.

Il padre gli chiede – “Cosa è successo ieri, ti ricordi cosa dicevi?”

“Dicevo -mormora Daniele con una voce profonda - che volevo morire, che non volevo nascere”.

“Dicevi per scherzo, vero?” – fa il papà allarmato.

“No… seriamente” – replica Daniele, scuotendo il capo. Tace e tocca gli animali distrattamente.Scuote di nuovo il capo fortemente e aggiunge, “Ma non era vero!”.

Non continuerò a parlare di Daniele che ho visto una seconda volta da solo e con cui ho avutomodo di parlare di quanto era accaduto. Successivamente ho discusso coi genitori separatamente quantoio e il padre avevamo osservato insieme.

Penso di dover stare col bambino nel modo più adatto in quel momento a fargli provare sollievo,dato il disagio eccessivo che sta vivendo. In questa consultazione – come in altre – mi rendo disponibilea ciò che il bambino richiede, che molto spesso è che la mamma o entrambi i genitori o il papà assistanoalla prima intervista. Ciò permette di capire se i genitori possano direttamente occuparsi dei problemiinterni del loro bambino e, cosa non secondaria, permette di imparare dai genitori su quale lunghezzad’onda sintonizzarsi per entrare in contatto con il bambino.

La consultazione con i genitori presenti è considerata più impegnativa dagli operatori per imovimenti di gruppo implicati, ansie intense da parte di tutti. La mia impressione è che, se si rinuncia avoler prontamente spiegare la situazione, si arriva ad assorbire l’atmosfera di un’esperienza familiarequotidiana. Più tardi – mantenendosi internamente in uno stato di solitudine e incertezza pari a quellodel bambino che viene da noi – si finisce per trovare il bambino.

Ma “il risultato dell’incontro dipende dalla collaborazione tra noi e il paziente” – dice Bion eparafrasando una sua espressione aggiungo: “la persona dalla quale sono dipendente è il bambino, che èperciò il collaboratore migliore e il più altamente qualificato” .

Nota esplicativa

Questa conferenza è stata pubblicata in Dina Vallino Raccontami una storia (1998), capitolo ottavo;in (a cura di Maria Luisa Algini) Sulla storia della psicoanalisi infantile in Italia, Quaderni di PsicoterapiaInfantile, 55, 2007 (p. 165-181) e in Dina Vallino Fare psicoanalisi con genitori e bambini, Borla, Roma2009 (p.151-167).

Nel 1984 non avevo ancora pensato un nome specifico e parlavo semplicemente di “consultazionepsicoanalitica”. Questo lavoro sulla consultazione della prima metà degli anni ’80 si inserisce in unperiodo della mia vita in cui la pratica dell’Infant Observation, sia come osservatore che comeconduttore di seminari di formazione con l’Infant, mi aveva profondamente influenzato. Il lavoroclinico si accompagnava al lavoro osservativo. Ero stata fulminata dalla bellezza del metododell’osservazione che soddisfaceva le mie esigenze di verità e di rapporto con la realtà. Un bambino sanoè felice, sorride, sa giocare, sa fare straordinari pensieri e ha genitori e un ambiente che lo aiutano ad

Page 10: Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro · Emozione e sofferenza dei bambini durante il primo incontro La nascita della Consultazione partecipata (1984) ... coinvolge

ogni passo. Quel che sto dicendo è un’assoluta banalità, ma purtroppo rendere visibile, renderetrasparente, nel suo sviluppo sano, la realtà psichica di un bimbo e la sua controparte familiare, inter-personale non è una faccenda semplice.

L’aver conosciuto tante mamme e tanti padri attraverso le osservazioni in famiglia (le mie o quelle dialtri ) mi ha permesso di conoscere non solo un lattante e un infante teorici (quelli che derivano dallecostruzioni dell’analista indotte dalle sue teorie di riferimento), ma anche i neonati e gli infanti viventi,con i loro genitori.1) Per arrivare nelle sedute analitiche più vicina alla famiglia nel suo complesso hoquindi progettato e via via attuato un diverso legame terapeutico tra me, i bambini pazienti e i genitori:la Consultazione Partecipata.

In quegli stessi anni desideravo mettere a punto il mio stile di lavoro analitico e perciò ritenniopportuno andare a Londra per conoscere meglio, nell’ambito di supervisioni con analisti kleiniani diseconda generazione, il modello kleiniano. La metafora del < percorso> di pensiero divenneconcretamente < viaggio>: in aereo Milano- Londra, una o due volte al mese, per conoscere ed averesupervisioni da diversi analisti della scuola kleiniana.2 )

Note

1 Sovente, sebbene siano sempre necessarie ipotesi, sono proprio le costruzioni teoriche a creare unabarriera tra l’analista di bambini e il bambino paziente.

2 Hanna Segal , Ruth Riesenberg, Betty Joseph, Martha Harris, Edna Oshaughnessy.

Bibliografia

Bick E. (1968), L’esperienza della pelle nelle prime relazioni oggettuali, In Bonaminio V. e IaccarinoB. (a cura di), L’osservazione diretta del bambino. Torino, Boringhieri 1984.

Bion W.R. (1961), Una teoria del pensiero, in Bion W.R. Analisi degli schizofrenici e metodopsicoanalitico (1967). Armando, Roma 1970.

Bion W.R. (1962), Apprendere dall’esperienza. Armando, Roma 1972.

Generali L, Mori Ferrara G. (1980), Correlazioni fra la relazione analitica e la relazione madrebambino. Comunicazione al IV Congresso Naz. SPI, Taormina.

Generali L. (1982), Introduzione al Panel del Gruppo di Studio sulla relazione analitica. RivPsicoanal. 27.

Harris M. (1976), L’osservazione dei bambini. Formazione e percezione psicoanalitica. Feltrinelli,Milano 1980.

Klein M. (1946), Note su alcuni meccanismi schizoidi. In Scritti 1921-1958. Boringhieri, Torino1978.

Questa articolo è distribuito sotto licenza Creative Commons: sei libero di modificare e ridistribuirlo a patto che venga attribuita la paternità al suo autore, non venga usato per fini commerciali e venga distribuito con licenza identica o equivalente a questa.