DEL PERCORSO FORMATIVO · Cronistoria del Servizio Civile Nazionale gestito pag. 3 dalla Provincia...

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1 PER VOLONTARIE E VOLONTARI IN SERVIZIO CIVILE D D E E L L P P E E R R C C O O R R S S O O F F O O R R M M A A T T I I V V O O

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PER VOLONTARIE E VOLONTARI IN SERVIZ IO C IV ILE

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“Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi”

B. Brecht

Indice allegati relativi ai moduli formativi Cronistoria del Servizio Civile Nazionale gestito pag. 3 dalla Provincia di Torino-Città Metropolitana Mod. Storia dell’obiezione di coscienza pag. 4 Mod. Prospettive nonviolente e elementi di difesa pag. 10 Mod. Gestione dei conflitti livello micro e macro pag. 14 Mod. Istituzioni e Cittadino pag. 31 Mod. Ambiente pag. 34 Mod. Protezione civile pag. 37 Mod. Orientamento e Competenze pag. 38

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Cronistoria del Servizio Civile Nazionale gestito dalla Provincia di Torino-Città Metropolita na

Premessa Anno 2000: con la Legge 331 la difesa militare diventa una scelta , viene sospesa la leva obbligatoria; Cambia il modello di difesa in Italia: non sarà più basato sui giovani chiamati alla leva militare, ma su volontari professionisti.

CADENDO L’OBBLIGO DECADE ANCHE LA MOTIVAZIONE ALL’O BIEZIONE

Anno 2001: con la Legge 64 istitutiva del Servizio Civile Nazionale. Nel dicembre 2001 esce il primo bando di Servizio Civile:

Anno 2004: Viene istituito comitato della consulta sulla difesa civile popolare nonviolenta

Anno 2005: il 1° gennaio, con anticipo di 2 anni (inizialmente era stata programmata per il 2007) viene sancita la sospensione effettiva della Leva obbligatoria,

Anni 2001-2005: a livello nazionale, con un bando all’anno un totale di 107.975 volontari sono avviati al servizio civile La Provincia di Torino si accredita Anno 2004 la Provincia di Torino, ora Città metropolitana, si accredita presso l’Ufficio Nazionale come Ente di prima classe, per promuovere e favorire la diffusione del Servizio Civile sul proprio territorio.

Anno 2006: con due bandi nazionali di Servizio civile un totale di 45.890 volontari/e in tutta Italia intraprendono la scelta del Servizio civile di questi 153 con la Provincia di Torino Anno 2007: analogamente con due bandi nazionali un totale di 43.416 volontari/e in tutta Italia intraprendono la scelta del Servizio civile di questi 248 con la Provincia di Torino Anno 2008: SI PUÒ RINUNCIARE ALLO STATUS DI OBIETTORE . Esce un solo bando per totale di 27.011 volontari/e avviati a livello nazionale e 134 con la Provincia di Torino Anno 2009: vede l’avvio di 27.145 volontari a livello nazionale di cui circa 120 presso l’Ente Provincia di Torino. Anno 2010: in aprile un bando straordinario finanziato dalla Regione Piemonte vede l’avvio di circa 121 volontari/e nella Regione di cui circa 59 presso l’Ente Provincia di Torino. Con un bando nazionale 19.627 volontari/ intraprendono il Servizio civile di questi circa 102 presso l’Ente Provincia di Torino Anno 2012 sono avviati 20.123 volontari/e a livello nazionale, di cui circa 120 presso l’Ente Provincia di Torino Anno 2014: intraprendono il percorso 111 presso l'ente Provincia di Torino Anno 2015: 137 giovani hanno realizzato i progetti relativi al bando ordinario 2015 presso la Città metropolitana di Torino e 20 giovani hanno attuato i progetti relativi all’iniziativa europea “Garanzia Giovani”

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Modulo: 3 D a l l ’ O b i ez i o ne d i C os c i e nz a a l Se r v i z i o c i v i l e n az i o na l e

Excursus storico dell'Obiezione di Coscienza nel nostro Paese tratto da http://www.serviziocivile.gov.it/menu-dx/obiezione-di-coscienza/storia-dellobiezione-di-coscienza/ Premessa La Costituzione Italiana, approvata nel 1947 ed entrata in vigore nel 1948, stabilisce all'art. 52 che "La difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge", senza prevedere alcuna possibilità di obiettare. La parola "obiezione" deriva dal latino "obicere", che significa contrapposizione, rifiuto; l'obiezione di coscienza è infatti il rifiuto di obbedienza ad una legge o ad un comando dell'autorità perché considerato in contrasto con i principi e le convinzioni personali radicati nella propria coscienza. L'obiettore di coscienza è dunque un cittadino che, dovendo prestare servizio militare armato, contrappone il proprio rifiuto all'uso delle armi ed attività ad esse collegate. Il cammino dell'obiezione di coscienza in Italia non è stato facile. La storia La storia dell'OdC, in senso lato, inizia con l'unità d'Italia. La coscrizione obbligatoria introdotta nel 1861, incontrò una grandissima resistenza soprattutto tra la popolazione rurale del meridione, che non ne capiva i motivi ed era costretta a subirla forzatamente. La risposta dello stato fu la massiccia repressione attuata dall'esercito piemontese. Il malcontento popolare non si attenuò, anzi toccò il suo culmine durante la grande guerra del 1915-18: furono circa 470.000 i processi per renitenza alla leva, e oltre un milione per altri reati militari come diserzione, procurata infermità, disobbedienza aggravata, ammutinamento. Nell'Agosto del 1917 gli operai di Torino si rivoltarono contro l'assurdità della guerra: la repressione fu durissima, decine i morti. Dopo la disfatta di Caporetto, che vide un vero e proprio "sciopero militare" tra i soldati, si intensificò la repressione con fucilazioni di interi reparti. La protesta popolare era spontanea, dettata da un'istintiva avversione alle istituzioni militari e gli orrori ( i "macelli" ) della guerra, ma non era incanalata in alcuna forma organizzata. I primi due casi di OdC nel secondo dopoguerra si verificano alla fine degli anni '40, e fanno riferimento a Rodrigo Castiello ( pentecostale) ed Enrico Ceroni (testimone di Geova) che furono inquisiti. Il primo obiettore condannato alla reclusione fu Pietro Pinna (1948), nonviolento, finito in carcere per 10 mesi; liberato fu condannato di nuovo e ritornò in carcere finché fu prosciolto dal dovere del servizio militare. Nel 1949, dopo i primi casi di obiezione di coscienza, il socialista Calossi presentò il primo disegno di legge per il riconoscimento dell'obiezione. Nel '57 e nel '62 il socialista Basso ripropose l'iniziativa, coperta dall'oblio dell'indifferenza parlamentare e dalla ostilità del governo e delle gerarchie militari. All'inizio degli anni '60 si hanno i primi casi di obiettori cattolici che dichiarano di voler vivere integralmente la non violenza evangelica, espressa dai comandamenti "non uccidere" e "ama il prossimo tuo come te stesso". Il primo cattolico che basò il suo rifiuto su motivi di fede fu Gozzini nel 1962, seguito da padre Balducci che fu attaccato dalla chiesa ufficiale e difeso da don Milani che, in questa occasione, scrisse l'opuscolo "L'obbedienza non è più una virtù". I due sacerdoti, Padre Ernesto Balducci e Don Lorenzo Milani, vennero processati per apologia di reato. Don Milani, nel frattempo deceduto (1967), subì l'onta della condanna. Il resto della chiesa sembrò disinteressarsi al problema. Questi processi scossero l'opinione pubblica e portarono alla ribalta il problema dell'obiezione di coscienza, registrando importanti prese di posizione a favore dell'OdC. Intanto, sempre negli anni '60, Il Sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, autorizzò la proiezione del film "Non uccidere" - incentrato sul tema dell'obiezione di coscienza - nonostante il divieto imposto dalla censura. Fino alla fine degli anni '60, il numero degli obiettori rimase basso, quasi tutti testimoni di Geova con poche eccezioni, anarchici, nonviolenti, socialisti e pochissimi cattolici; molti obiettori finirono in carcere, mentre al Parlamento vennero presentati diversi progetti di legge, dei quali però nessuno venne approvato. La legge Pedini (1966) sembrò che potesse offrire una soluzione attraverso una specie di servizio civile nel terzo mondo; ma la legge si rivelò ambigua, insufficiente e la sua applicazione ancora peggiore; una legge fatta per pochi privilegiati i quali potevano mettersi al servizio di ditte private, enti statali e religiosi interessati a impiegare nei paesi sottosviluppati personale poco pagato. Dopo il '68 l'obiezione per motivi politici, oltre a quelli etico-religiosi si afferma come mai prima.

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L'analisi dell'esercito come istituzione che serve a mantenere un rapporto di pericoloso dominio dello stato sulla società civile, si collega alle lotte più ampie per i diritti civili condotte nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri. Cresceva il numero dei giovani che sceglievano il carcere al servizio militare: era ormai un problema da risolvere. Nel 1970/71 gruppi di 6-7 persone fecero obiezioni collettive con motivazioni soprattutto politiche; nel 1972 gli obiettori in carcere erano varie decine, oltre 250 testimoni di Geova. La classe politica, messa alle corde dal vasto movimento d'opinione nato nella società e dal contemporaneo intensificarsi di azioni di protesta condotte dalle organizzazioni non violente, approvò, pur sotto l'influenza delle gerarchie militari e delle forze politiche contrarie, il disegno di legge Marcora, restrittivo e punitivo, invece di quello Fracanzani più attinente alle richieste delle organizzazioni. Passò così la legge 15 dicembre 1972, n. 772 che dava il diritto all'obiezione e al servizio civile sostitutivo per motivi morali, religiosi e filosofici. La legge "Marcora" rese possibile la scarcerazione dei giovani obiettori di coscienza e contemporaneamente segnò un cambiamento storico nella legislazione italiana, perché introdusse la possibilità di rifiutare il servizio militare con le armi sostituendolo con un servizio militare non armato. Con questa legge l'obiezione di coscienza non veniva ancora considerata un diritto, ma un beneficio concesso dallo Stato a precise condizioni e conseguenze: la gestione del servizio civile restava nelle mani del Ministero della Difesa. La legge restrittiva e punitiva (8 mesi di servizio in più, commissione giudicante, esclusione delle motivazioni politiche, dipendenza dai codici e dai tribunali militari) fece nascere subito un movimento di lotta degli obiettori che si unirono nella Lega Obiettori di Coscienza (LOC). Per anni gli Enti e le Associazioni si sono battute per una modifica della legge e per il pieno riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza. Nel 1992 il Parlamento licenziò un nuovo testo di legge, ma l'allora Presidente Francesco Cossiga, rifiutò di firmarla per incostituzionalità, la rinviò al Parlamento con una serie di note di perplessità sul fenomeno OdC. Il giorno dopo il Presidente sciolse le Camere e la legge tornò in alto mare. Il numero di obiettori é andato crescendo: 16.000 domande nel 1990, 30.000 domande nel 1994, 70.000 nel 1998. Dopo una serie di altri tentativi falliti nel corso della XI e XII Legislatura, nel luglio del 1998 si giunge finalmente all'approvazione della legge 230 che sancisce il pieno riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza. Con questa ultima legge l'obiezione di coscienza non è più un beneficio concesso dallo Stato, ma diventa un diritto della persona: il Servizio Civile rappresenta un modo alternativo di "servire la patria", con una durata pari al servizio militare, a contatto con la realtà sociale, con i suoi problemi, con le sue sfide. I giovani possono scegliere di difendere la Patria, con il servizio militare o con il servizio sostitutivo civile. La gestione del servizio civile sostitutivo del servizio militare passa all'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile (dal 1° gennaio 2000). Siamo a una svolta, sono ormai maturi i tempi per una radicale riforma del Servizio Militare. La Legge 14 novembre 2000, n. 331 recante "Norme per l'istituzione del Servizio Militare professionale", muta profondamente la natura del Servizio di leva che diventa volontario e professionale, determinando così la conclusione della obiezione di coscienza a partire dal 2007. Nell'agosto 2004 dopo appena un lustro dalla promulgazione della legge 230, il Parlamento anticipa al 1° gennaio 2005 la sospensione della leva obbligatoria con la legge 23 agosto 2004 n. 226, "Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore". Il Decreto legge 30 giugno 2005, n. 115 prevede, su domanda degli obiettori ancora in servizio, la concessione del congedo anticipato al 1° luglio 2005. Si chiude un capitolo della storia istituzionale del nostro Paese e si schiude una nuova prospettiva al passo coi tempi e con le esigenze della società: il Servizio Civile Nazionale.

Obiezione di coscienza: tutto cominciò con un film: Cinquant’anni fa la battaglia trasversale per "Non uccidere" pellicola antimilitarista di Autant Lara vietata dalla censura di Alberto Papuzzi

articolo apparso su La Stampa cultura in data 21 ottobre 2011

http://www.lastampa.it/2011/10/21/cultura/obiezione-di-coscienzatutto-comincio-con-un-film-Bi96KGbnyvOEBdPynDHWFP/pagina.html

Cinquant’anni fa, la sera del 20 ottobre 1961, via Quattro Fontane a Roma era chiusa al traffico e paralizzata da una manifestazione di protesta, come allora non si vedeva di frequente. Tra chi manifestava c’erano i volti di personaggi noti: leader politici come il socialista Riccardo Lombardi, il filosofo marxista Galvano Della Volpe, l’archeologo e storico Ranuccio Bianchi Bandinelli, intellettuali militanti tra i quali si riconoscevano Carlo Levi e

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Pier Paolo Pasolini, scrittori quali Carlo Bernari e Raffaele La Capria, i registi cinematografici Mario Camerini e Francesco Rosi, e diversi attori: Anna Magnani, Gina Lollobrigida, Sandra Milo, Elsa Martinelli, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi. Ma qual era l’oggetto della protesta? Il divieto della questura alla proiezione del film Tu ne tueras point (in Italia Non uccidere ) del regista francese Claude Autant-Lara, organizzata dalla Comunità europea degli scrittori appunto al cinema Quattro Fontane. La questura accampava gravi motivi di ordine pubblico, in realtà il divieto dipendeva dal fatto che il film raccontava la storia di due obiettori di coscienza. Era un’opera dichiaratamente antimilitarista, in un’epoca in cui il servizio di leva era obbligatorio e l’obiezione di coscienza non era riconosciuta. Ma proprio il caso creato dal film innescò la miccia che portò alla deflagrazione della tradizione militarista e pose le premesse per varare una legge che riconoscesse il diritto di non indossare la divisa e di non imbracciare armi. Autant-Lara (scomparso nel 2000) era un prolifico cineasta francese che aveva già fatto scandalo con la versione cinematografica del romanzo Il diavolo in corpo di Raymond Radiguet. Aveva in testa Tu ne tueras point fin dal 1949, quando l’occhio gli era caduto su un caso di cronaca che riguardava un seminarista processato nel dopoguerra perché era stato costretto a sparare su un partigiano francese. Ma per una decina d’anni nessun produttore aveva accettato il suo progetto, finché alla fine degli Anni Cinquanta incontrò la fiducia dell’italiano Moris Ergas, che dovette però girare il film in Jugoslavia con capitali trovati nel Lichtenstein. Come attore principale si scelse Laurent Terzieff, un giovane e seducente francese che aveva esordito in Peccatori in blue jeans del grande Marcel Carné. La storia narrava di due giovani che diventano amici in un carcere militare: uno vi è rinchiuso perché rifiuta la divisa in nome del Vangelo, l’altro è il seminarista che ha dovuto fucilare un partigiano. Alla fine il primo sarà condannato e il secondo assolto. Presentata alla Mostra di Venezia, la pellicola provocò polemiche, spaccando la giuria. Subito dopo, non ottenne il visto della commissione di censura, con la motivazione che istigava a compiere un reato. Una visione privata riservata ai politici non ottenne risultati. Vani gli appelli, tra cui un’interpellanza di Sandro Pertini. Il film sembrava destinato all’oblio, i distributori cinematografici non volendo rischiare, quando ci fu un colpo di scena. Il 18 novembre 1961, Giorgio La Pira, cattolico e democristiano, amico di Dossetti e sindaco di Firenze, fece proiettare il film di fronte a giornalisti e intellettuali, in barba a tutti i divieti. Questo gesto di trasgressione avviò la svolta che fece di Non uccidere la culla italiana dell’obiezione di coscienza. SCHEDA FILM “Non Uccidere” Un film di Claude Autant-Lara. Con Horst'Frank, Laurent Terzieff, Suzanne Flon Titolo originale Tu ne tueras point. Guerra, b/n durata 90 min. - Francia,Jugoslavia 1961. Ispirato a un caso di cronaca del 1948, è la storia di Francois Cordier che, chiamato a fare il servizio di leva, rifiuta di indossare la divisa. AI tribunale militare il suo caso è abbinato a quello di Adler, giovane sacerdote tedesco che nel 1944, arruolato nella Wehrmacht, ricevette l'ordine di uccidere un partigiano francese. Mentre il secondo è assolto per aver ucciso su ordine superiore, il primo è condannato severamente. E un'arringa e, insieme, un pamphlet: pacifista la prima, anticlericale il secondo. Film oratorio di appassionata eloquenza sulla non violenza, il diritto alla disobbedienza, il contrasto tra legge civile e coscienza morale. Per 12 anni la sceneggiatura scritta con Pierre Bost non trovò un produttore: il tema dell'obiezione di coscienza era tabù nella Francia occupata con le guerre di Indocina e Algeria. Autant-Lara decise di produrselo da solo con l'aiuto di capitali e mezzi stranieri. Distribuito in Francia soltanto nell'estate 1963. In Italia fu vietato ai minori di 16 anni.

A quei tempi non era strano che un film avesse guai con la censura. Sospensioni, sequestri e tagli erano stati subiti da opere come All’Ovest niente di nuovo di Milestone o Rocco e i suoi fratelli di Visconti. Orizzonti di gloria , capolavoro di Kubrick uscito nel 1957, dovette attendere il 1975 per essere proiettato in Francia. Ma nella vicenda di Non uccidere non entrava semplicemente in gioco l’antimilitarismo. Dietro il film e la sua censura c’era un enorme tema culturale, politico e sociale: il riconoscimento o meno dell’obiezione di coscienza. Nel 1949 era stato condannato il primo obiettore non cattolico, Pietro Pinna. Quindi toccò ai Testimoni di Geova. Ma il caso esplosivo fu la condanna a sei mesi del primo obiettore cattolico, Giuseppe Gozzini, un giovane di Cinesello Balsamo, amico di padre Turoldo.

Alla metà degli Anni Sessanta si processano don Milani, il parroco di Barbiana, e un altro prete fiorentino impegnato, Ernesto Balducci. Milani aveva scritto una lettera aperta ai cappellani militari della Toscana in congedo, che avevano parlato di «insulto alla patria» e «espressione di viltà». Erano i semi del movimento che avrebbe ottenuto il riconoscimento dell’obiezione (legge n. 722 del 15/12/1972), anche se solo per motivi di fede. Ci vorranno trent’anni di riforme ma la svolta storica era avvenuta.

Si riporta di seguito lo scambio di opinioni fra don Lorenzo Milani e un gruppo di cappellani militari in congedo della Toscana che riunitisi per l'anniversario della Conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, al termine dei lavori su proposta del presidente della sezione don Alberto Cambi, avevano votato il seguente ordine del giorno sul tema dell'obiezione di coscienza :

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«I cappellani militari in congedo della regione toscana, nello spirito del recente congresso nazionale dell'associazione, svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti d'Italia, auspicando che abbia termine, finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise, che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale della Patria. Considerano un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta "obiezione di coscienza" che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà». L'assemblea ha avuto termine con una preghiera di suffragio per tutti i caduti. Comunicato pubblicato sulla Nazione di Firenze del 12 febbraio 1965. Don Lorenzo Milani, per la lettera di seguito integralmente riportata, fu denunciato e rinviato a giudizio con l’accusa di apologia di reato. Lettera ai cappellani militari tratto da a cura di Michele Gesualdi “ Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana” Mondadori, 1990 (1 ediz. 1970) “Da tempo avrei voluto inviare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo. Avremmo però voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola. Io l’avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente. Primo perché avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno, ch’io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore. Secondo perché avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi di voi. Nel rispondermi badate che l’opinione pubblica è oggi più matura che in altri tempi e non si contenterà né d’un vostro silenzio, né d’una risposta generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti sarò ben lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero sfuggite cose non giuste. Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto. Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona. Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei. Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa. Mi riferirò piuttosto alla Costituzione. Articolo 11. « L’ Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...». Articolo 52. « La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino ». Misuriamo con questo metro le guerre cui è stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia. Se vedremo che la storia del nostro esercito è tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese più la Patria e l’onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici.

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Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L’obbedienza a ogni costo? E se l’ordine era il bombardamento dei civili, un’azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l’esecuzione sommaria dei partigiani, l’uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l’esecuzione d’ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidenti aggressioni, l’ordine d’un ufficiale ribelle al popolo sovrano, le repressioni di manifestazioni popolari? Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la verità in faccia ai vostri « superiori » sfidando la prigione o la morte? Se siete ancora vivi e graduati è segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la più elementare nozione del concetto di obiezione di coscienza. Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioè noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1000 miliardi l’anno) l’esercito, è solo perché difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare, la libertà, la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva più che educaste i nostri soldati all’obiezione che alla obbedienza. L’obiezione in questi 100 anni di storia l’han conosciuta troppo poco. L’obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l’han conosciuta anche troppo. Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare. 1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell’idea di Patria, tentò di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c’erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l’appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d’ Italia un monumento come eroe della Patria. A 100 anni di distanza la storia si ripete: l’ Europa è alle porte. La Costituzione è pronta a riceverla: « L’ Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie... ». I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, così come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell’ Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei. La guerra seguente 1866 fu un’altra aggressione. Anzi c’era stato un accordo con il popolo più attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire 1’Austria insieme. Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant’è vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant’è vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: « L’insurrezione annunciata per oggi, è stata rinviata a causa della pioggia ». Nel 1898 il Re «Buono » onorò della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che è bene ricordare. L’avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento di Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perché i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu né un ferito né un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiare polenta. Poca perché era rincarata. Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare « Savoia » anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l’unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo. Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perché quel giornale considera la vita d’un bianco più che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l’uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa? Idem per la guerra in Libia. Poi siamo al ‘14. L’Italia aggredì l’Austria con cui questa volta era alleata. Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una « inutile strage »? (l’espressione non è d’un vile obiettore di coscienza ma d’un Papa). Era nel ‘22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l’esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l’avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con 1’Obbedienza « cieca, pronta, assoluta » quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra « Patria », quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa). Nel ‘36 cinquantamila soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione. Avevano avuto la cartolina di precetto per andar « volontari » a aggredire l’infelice popolo spagnolo. Erano corsi in aiuto d’un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll’aiuto italiano e al prezzo d’un milione e mezzo di morti riuscì a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato,

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dei partiti, d’ogni libertà civile e religiosa. Ancora oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d’aver difeso allora la Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l’obbedienza dei « volontari » italiani tutto questo non sarebbe successo. Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall’altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l’appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato. Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire? Poi dal ‘39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l’altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia). Era la guerra che aveva per l’Italia due fronti. L’uno contro il sistema democratico. L’altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici più nobili che l’umanità si sia data. L’uno rappresenta il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri. L’altro il più alto tentativo dell’umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri. Non vi affannate a rispondere accusando l’uno o l’altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c’era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d’ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d’ogni giustizia e d’ogni religione. Propaganda dell’odio e sterminio d’innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente). Che c’entrava la Patria con tutto questo? E che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l’ultima guerra è stata un confronto di ideologie e non di Patrie? Ma in questi cento anni di storia italiana c’è stata anche una guerra « giusta » (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano dei civili, dall’altro dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altro soldati che avevano obiettato. Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i « ribelli» quali i«regolari »? È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo per esempio quali sono i «ribelli»? Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l’ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati. Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall’obbedienza militare. Quell’obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un « distinguo » che vi riallacci alla parola di San Pietro: « Si deve obbedire agli uomini o a Dio? ». E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro. In molti paesi civili (in questo più civili del nostro) la legge li onora permettendo loro di servire la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria più degli altri, non meno. Non è colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione. Del resto anche in Italia c’è una legge che riconosce una obiezione di coscienza. È proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti. In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si è ancora pronunziata né contro di loro né contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s’è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l’eroismo patrimonio dei più? Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene. Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l’ha fatto. Più maturo condannò duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita? Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l’esempio e il comandamento del Signore è « estraneo al comandamento cristiano dell’amore » allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? Come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete! Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Libertà, Verità. Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l’errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima. Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano”.

Lorenzo Milani sac. Alberto Trevisan, Ho spezzato il mio fucile. Storia di un obiettore di coscienza, EDB, 2010 a cura di Michele Gesualdi “ Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana” Mondadori, 1990 (1 ediz. 1970)

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Modulo:4

I L DO VE R E D I D I F ES A P R OSP E T TI V E NO NV I O LE N T E Tre tipi di violenza – Tre tipi di pace J. Galtung, tratto da “Peace by peaceful means. Peace, conflict and civilization”. SAGE Publications, 1996. http://kitdidattico.wpengine.netdna-cdn.com/files/2011/05/Pace_con_mezzi_pacifici_Galtung.pdf Con il termine di ‘violenza culturale’ intendo quegli aspetti della cultura, la sfera simbolica della nostra esistenza - esemplificati da religione e ideologia, linguaggio e arte, scienza empirica e scienza formale (logica, matematica) - che possono essere usati per giustificare o legittimizzare la violenza strutturale e la violenza diretta. [...] La violenza culturale fa sembrare - o addirittura sentire - la violenza diretta e strutturale come giusta, o almeno non sbagliata. .. Gli studi sulla violenza affrontano due problemi: l’uso della violenza, e la legittimazione di tale uso. [...] Un modo in cui la violenza culturale opera è cambiando il colore morale di un atto: da sbagliato a giusto (o almeno accettabile): un esempio è quello di uccidere in nome della nazione - che viene considerato giusto, mentre uccidere a nome proprio viene considerato sbagliato. Una tipologia della violenza diretta e strutturale Secondo me la violenza è un insulto evitabile ai bisogni umani fondamentali, e più in generale alla vita, che riduce la possibilità di soddisfazione di tali bisogni al di sotto delle potenzialità. Sulla base di confronti e discussioni svolte in tante parti del mondo, possiamo identificare 4 classi di bisogni primari: il bisogno di sopravvivenza (la sua negazione è la morte); il bisogno di bene-essere (la negazione porta alla miseria, alla malattia); il bisogno di identità e di significato (la sua negazione è l’alienazione); il bisogno di libertà (negazione: la repressione). Combinando i 4 bisogni primari con i tipi di violenza si trova un panorama complesso, schematizzato nella tabella che segue. BISOGNI � sopravvivenza bene-essere identità libertà violenza diretta uccisione mutilazione,

assedio, sanzioni, miseria

desocializzazione, risocializzazione, cittadini di seconda classe

repressione, detenzione, espulsione

violenza strutturale sfruttamento intenso (A)

sfruttamento debole (B)

penetrazione, segmentazione

marginalizzazione, frammentazione

Un primo commento che si può fare alla tabella è che è antropocentrica. Si potrebbe aggiungere una 5° colonna per il resto della Natura, il “sine qua non” dell’esistenza umana: potremmo darle come titolo equilibrio ecologico, o eco-bilancio. Si tratta però di una categoria molto vasta, che comprende elementi viventi (biota) e non viventi (abiota). Se definiamo la violenza come un insulto alla vita, allora gli elementi abiotici ne sarebbero toccati solo indirettamente. Inoltre possono sorgere domande importanti e difficili: ‘bilancio per chi?’ ‘per gli esseri umani?’, ‘per l’ambiente?’. ‘ in che proporzioni?’. Un secondo commento alla tabella: si potrebbero usare le mega-versioni delle parole usate fin qui. Invece di ‘uccisione’ si potrebbe parlare di sterminio, olocausto, genocidio. Dove c’è ‘miseria’ si potrebbe intendere olocausto silenzioso. E al posto di ‘alienazione’ si potrebbe parlare di morte spirituale. ‘Repressione’ va sostituita con gulag; ‘degrado ecologico’ con ecocidio. [...] Altre osservazioni si potrebbero fare sul contenuto della tabella. Le due categorie ‘uccisione’ e ‘mutilazione’ sono chiare, e nel loro insieme costituiscono gli elementi che si prendono in considerazione quando si valuta l’ampiezza di una guerra. Ma ‘guerra’ è solo una particolare forma di violenza, che di solito ha almeno un attore: un governo. Da questa considerazione si può vedere quanto è restrittivo intendere la pace come opposto di guerra, e limitare gli studi sulla pace a studi che tendano a evitare la guerra...

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Blocchi e sanzioni: per alcuni non si tratta di forme di violenza, perché l’uccisione diretta e immediata è evitata. Per le vittime, tuttavia, ciò può significare l’uccisione lenta ma intenzionale commessa tramite malnutrizione e mancanza di cure mediche, che per primi colpiscono i più deboli: i bambini, i vecchi, i poveri, le donne. Ma rendendo la catena causale più lunga l’attore evita di guardare direttamente in faccia la violenza. La categoria dell’alienazione può essere definita in termini di socializzazione, con il significato di internalizzazione della cultura. Due sono le possibilità: la desocializzazione dalla propria cultura, e la risocializzazione in un’altra (per esempio attraverso l’imposizione di una lingua). Anche la categoria della repressione può essere letta in due modi: la detenzione, cioè il chiudere persone dentro (in prigione, in campo di concentramento), e l’espulsione, cioè chiudere persone fuori (il bando, o l’allontanamento dal paese). La struttura violenta archetipa ha - a mio parere - lo sfruttamento come elemento centrale. Questo significa semplicemente che alcuni, nell’interazione con la struttura, ottengono molto di più - in termini di soddisfacimento dei bisogni - di altri. Si parla per esempio di ‘scambio ineguale’: un eufemismo. Alcuni possono essere così svantaggiati da morirne; altri da vivere in uno stato di perenne miseria. Una struttura violenta lascia segni non solo sul corpo, ma anche nella mente e nello spirito. La penetrazione, che si manifesta con la dominazione dei più forti sui più deboli, associata con la segmentazione, che consente ai dominati una visione soltanto parziale di quello che succede, svolgono una prima funzione. La marginalizzazione, che tiene all’esterno gruppi di persone, combinata con la frammentazione, che li tiene divisi tra loro, fa il resto. Che dire poi della violenza contro la Natura? C’è la violenza diretta del distruggere, del bruciare, ecc., tipica di una guerra. La forma strutturale di questa violenza è più insidiosa, perché non intende direttamente distruggere la Natura ma di fatto lo fa: l’inquinamento e il saccheggio associati all’industria moderna, che portano alla morte delle foreste, al riscaldamento globale, ecc. Tre tipi di violenza Dopo aver descritto e discusso i primi due tipi di violenza - quella diretta e quella strutturale - possiamo aggiungere il terzo tipo, la violenza culturale, che costituisce il terzo angolo di un triangolo vizioso. Se ora immaginiamo il triangolo ‘appoggiato’ dul lato che ha per vertici la violenza diretta e la violenza strutturale, il vertice superiore porta la violenza culturale, che rappresenta - in questa posizione - la legittimazione delle altre due. Se invece disponiamo il triangolo con al vertice superiore la violenza diretta, possiamo sottolineare come questa sia frutto delle altre due forme di violenza - quella strutturale e quella culturale. violenza culturale violenza strutturale violenza diretta A parte le varie interpretazioni di una figura che di per sé è simmetrica, vale la pena di notare, invece, le differenze sul piano temporale tra le tre forme di violenza. La violenza diretta è un evento; la violenza strutturale è un processo, con alti e bassi; la violenza culturale è un’invariante, cioè rimane essenzialmente la stessa per lunghi periodi di tempo. Questo modo di vedere le forme di violenza porta a una seconda immagine, - a strati - complementare a quella del triangolo: sul fondo scorre, in flusso stazionario, la violenza culturale, che fornisce il substrato da cui le altre due traggono nutrimento. Nello strato successivo si localizzano i ritmi della violenza strutturale. Sequenze di sfruttamento si costruiscono, poi si perdono o vengono abbattute, con l’accompagnamento protettivo di penetrazione e segmentazione, che impediscono il formarsi della consapevolezza, e di frammentazione-marginalizzazione, che impediscono l’organizzarsi dell’opposizione contro lo sfruttamento. In cima - unico aspetto visibile all’occhio non guidato e all’empirismo di base - si trova la violenza diretta, con la cronaca di crudeltà dirette perpetrate da esseri umani contro i loro simili, o contro altre forme di vita o la natura in generale. Di solito si può identificare un flusso causale a partire dalla violenza culturale, attraverso quella strutturale, fino alla violenza diretta. Però, di fatto, vi sono legami e flussi causali in tutte e sei le direzioni, e i cicli che le connettono tutte e tre possono partire da uno qualsiasi dei vertici.

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Alla fine di tutta questa riflessione, possiamo provare a chiarire il concetto di militarizzazione come processo, e di militarismo come ideologia che accompagna tale processo. Ovviamente un aspetto è l’inclinazione generale verso la violenza diretta, in forma di azione militare reale o minacciata, provocata o no, volta a sedare o ad accendere un conflitto. Questa inclinazione porta con sé la produzione e l’impiego di appropriati hardware e software. Tuttavia sarebbe superficiale studiare la militarizzazione solo in termini di registrazione di attività militari passate, o degli schemi di produzione e delle possibilità di impiego attuali: questo porterebbe alla compilazione di semplici liste in termini di armi, personale, bilancio. Ma nella buona semina di va alle radici: in questo caso alle radici culturali e strutturali, come si è sottolineato in precedenza. In concreto si tratta di identificare gli aspetti culturali e strutturali che potrebbero incoraggiare la disponibilità all’azione militare, alla produzione militare, all’impiego nel settore. Bisognerebbe allora includere la pubblicità che viene fatta nei confronti dei giovani a scuola, la disoccupazione, lo sfruttamento in generale. Inoltre, l’uso della produzione e dei posti di lavoro nel settore militare per incrementare la crescita economica; le ideologie nazionaliste, razziste, sessiste, ecc. Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata agli elementi di insegnamento militare inseriti nei curricula e nelle strutture delle scuole secondarie e nelle università. Finora cultura e struttura non sono stati inclusi negli studi di ‘controllo degli armamenti’, ma si tratta di un tabù che bisognerebbe infrangere. Conclusioni La violenza può incominciare da ogni vertice del triangolo, e facilmente si trasmette agli altri vertici. Con una struttura violenta istituzionalizzata, e una cultura violenta internalizzata, anche la violenza diretta tende ad essere istituzionalizzata, ripetitiva, ritualistica, come una vendetta. Questa sindrome triangolare di violenza dovrebbe essere contrastata, nella mente, da un triangolo di pace, in cui la pace culturale alimenta la pace strutturale, con relazioni di equità tra i diversi partners, e la pace diretta si esprime con gesti di cooperazione, amicizia, amore. Potrebbe formarsi così un triangolo virtuoso, in cui i cicli si autorinforzano. L’inclusione della cultura non estende allora l’agenda degli studi per la pace? Certamente sì. Perché mai gli studi per la pace dovrebbero essere più circoscritti degli studi medici, tanto per fare un esempio? Forse la pace è più facile della salute, meno complessa? E che dire dalle biologia, lo studio della vita? E della fisica, lo studio della materia? O della matematica, lo studio delle forme astratte? Perché tracciare confini in un campo così terribilmente importante per le sue conseguenze, e cos’ attraente per la mente curiosa e indagatrice? [...] Allora il campo degli studi sulla pace si apre a nuove aree di competenza: gli studi umanistici, la storia delle idee, la filosofia, la teologia. In altri termini, è un invito a nuove discipline a unirsi nella ricerca per la pace, e agli studiosi di tali discipline a darsi nuovi strumenti. DIVERSE SCUOLE DI PENSIERO SULL'IDEA DI PACE Nella storia e nella cultura dell'umanità si sono sviluppate diverse idee di pace che si possono raggruppare in tre filoni, o scuole di pensiero, principali: pace negativa, pace positiva, nonviolenza. Come qualsiasi classificazione neppure questa esaurisce ogni possibile sfumatura; tuttavia, è più che sufficiente per compiere un primo passo che permetta di orientarci in questo complesso problema. Per aiutarci a capire in cosa differiscano tra loro le diverse scuole di pace sarà utile la tabella 1, nella quale sono riassunte in modo schematico le principali dimensioni che caratterizzano e distinguono ciascuna scuola. Una prima idea intuitiva di pace è quella di assenza di violenza. Per precisare cosa intendiamo per pace dobbiamo quindi discutere che cosa è la violenza. Lo faremo man mano che presenteremo ciascuna scuola di pensiero. Tab.1.- Le tre principali scuole di pensiero sull’idea di pace.

Pace Violenza Valori fondamentali

Modello di società Diritti umani

Giustificazione della guerra

Negativa

Assenza di guerra (violenza diretta)

Violenza diretta

Libertà, benessere materiale (ben-avere)

Stato (democrazia rappresentativa

Prima generazione (libertà)

Sì come guerra di difesa

Positiva Assenza di guerra e di violenza

Violenza strutturale

Giustizia equilibrio ecologico

Stato (democrazia partecipativa)

Seconda generazione (giustizia)

Sì come guerra rivoluzion

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strutturale (violenza diretta)

, stato mondiale

aria

Nonviolenza

Capacità di risoluzione non distruttiva dei conflitti nel micro e nel macro livello

Violenza diretta, strutturale e culturale

Diritto alla vita, libertà, giustizia, equilibrio ecologico, ben-essere

Superamento dello stato nazionale, società nonviolenta (potere e benessere di tutti)

Terza generazione (difesa, sviluppo)

No mai

Pace Modello di difesa

Modello di sviluppo

Azione per la pace Tempo Conoscen

za

Negativa

Assenza di guerra (violenza diretta)

Difensivo Crescita economica limitata

Istituzionale (diplomazia, eserciti)

Eventi Fatti

Positiva

Assenza di guerra e di violenza strutturale (violenza diretta)

Difensivo Sviluppo sostenibile

Movimenti per la pace

Processi Strutture

Nonviolenza

Capacità di risoluzione non distruttiva dei conflitti nel micro e nel macro livello

Nonviolento Semplicità volontaria

Movimenti nonviolenti

Invarianti Paradigmi

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Modulo: 5

L A G E S TI O NE D E I CO N F L I T T I Livello Micro

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Riferimenti bibliografici ARIELLI E., SCOTTO G.,” I conflitti. Introduzione a una teoria generale”, Mondadori, Milano,1998 CASTELLI S., “La mediazione teorie e tecniche”, Cortina, Milano, 1996 FISCHER R., HURY W., ”L’arte del negoziato”, Mondadori, Milano, 1985 GULLOTTA G., SANTI G., “Dal conflitto al consenso”, Giuffrè, Milano, 1988 Livello Macro Da questi link è possibile scaricare materiale di a pprofondimento su questo tema. � Difesa Popolare Nonviolenta � Bibliografia della Nonviolenza � Tre tipi di Pace � Scheda Nashville � Scheda Cile � Scheda Danimarca � Scheda India � Scheda Polonia � Scheda SudAfrica � Scheda Quale difesa � Articolo J. Galtung M. Juergensmeyer, Come Gandhi. Un metodo per risolvere i conflitti, tr. di F. Galimberti, Laterza, Roma-Bari, 2004

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Modi per risolvere un conflitto 1

1 Tratto da M. Jurgensmeyer “ Un metodo per risolvere i conflitti”

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Fasi del processo di Satyagraha 2

2 Tratto da M. Jurgensmeyer “ Un metodo per risolvere i conflitti”

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Vademecum per la ricerca della verità 3

3 Tratto da M. Jurgensmeyer “ Un metodo per risolvere i conflitti”

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Fasi dell’organizzazione di una campagna di massa 4

4 Tratto da M. Jurgensmeyer “ Un metodo per risolvere i conflitti”

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Modulo: 7 L A CITT ADINANZ A ATTIVA

CITTADINANZA Diritti, doveri, identità, partecipazione. Come diventare cittadini italiani http://www.interno.gov.it/it/temi/cittadinanza-e-altri-diritti-civili/cittadinanza

In termini giuridici la cittadinanza è la condizione della persona fisica (detta cittadino) alla quale l'ordinamento giuridico di uno stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. La cittadinanza, quindi, può essere vista come uno status del cittadino ma anche come un rapporto giuridico tra cittadino e stato. Le persone che non hanno la cittadinanza di uno stato sono stranieri se hanno quella di un altro stato, apolidi se, invece, non hanno alcuna cittadinanza. Un rapporto analogo a quello tra persona fisica e stato può sussistere anche tra persona giuridica e stato; in tal caso, però, non si parla di cittadinanza ma di nazionalità. Riferito alle persone fisiche, questo stesso termine, anche se talvolta è usato impropriamente come sinonimo di cittadinanza, indica invece l'appartenenza ad una nazione, condizione questa che in alcuni ordinamenti può avere rilevanza giuridica a prescindere dalla cittadinanza. L'insieme dei cittadini di uno stato costituisce il suo popolo. È detto invece popolazione l'insieme delle persone che risiedono sul territorio di uno stato (i suoi abitanti), a prescindere dal fatto che siano suoi cittadini. La popolazione, dunque, differisce dal popolo in quanto, da un lato, comprende anche gli stranieri e gli apolidi che risiedono sul territorio dello stato mentre, dall'altro, non comprende i cittadini residenti all'estero. La divergenza tra popolo e popolazione è accentuata negli stati interessati da un forte flusso migratorio, in entrata o in uscita. In senso sociologico, la cittadinanza assume una valenza più ampia, e si riferisce all senso di identità e di appartenenza degli individui ad una determinata comunità politica. Acquisto e perdita della cittadinanza Ogni ordinamento stabilisce le regole per l'acquisto e la perdita della cittadinanza. In molti stati i princìpi al riguardo sono stabiliti a livello costituzionale, in altri invece, tra i quali l'Italia, la disciplina è interamente demandata alla legge ordinaria. LA CITTADINANZA SI PUO ACQUISIRE : * secondo lo ius sanguinis (diritto di sangue), per il fatto della nascita da un genitore in possesso della cittadinanza (per alcuni ordinamenti deve trattarsi del padre, salvo sia sconosciuto); * secondo lo ius soli (diritto del suolo), per il fatto di essere nato sul territorio dello stato; * per il fatto di aver contratto matrimonio con un cittadino (in certi ordinamenti la cittadinanza può essere acquistata dalla moglie di un cittadino ma non dal marito di una cittadina); vi sono anche ordinamenti in cui il matrimonio non fa acquistare automaticamente la cittadinanza ma è solo un presupposto per la naturalizzazione; * per naturalizzazione, a seguito di un provvedimento della pubblica autorità, subordinatamente alla sussistenza di determinate condizioni (come, per esempio, potrebbero essere la residenza per un lungo periodo di tempo sul territorio nazionale, l'assenza di precedenti penali, la rinuncia alla cittadinanza d'origine ecc.) o per meriti particolari. In molti ordinamenti, a sottolinearne la solennità, il provvedimento di concessione della cittadinanza è adottato, almeno formalmente, dal capo dello stato. La scelta fondamentale che si trovano a fare gli ordinamenti è quella tra ius sanguinis e ius soli, avendo gli altri due istituti una funzione puramente integrativa. Lo ius sanguinis (o modello tedesco) presuppone una concezione "oggettiva" della cittadinanza, basata sul sangue, sull'etnia, sulla lingua (Johann Gottlieb Fichte). Lo ius soli (o modello francese) presuppone, invece, una concezione "soggettiva" della cittadinanza, come "plebiscito quotidiano" (Ernest Renan). Attualmente la maggior parte degli stati europei adotta lo ius sanguinis, con la rilevante eccezione della Francia, dove vige lo ius soli fin dal 1515. L'adozione dell'una piuttosto che dell'altra opzione ha rilevanti conseguenze negli stati interessati da forti movimenti migratori. Infatti, lo ius soli determina l'allargamento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul territorio dello stato: ciò spiega perché sia stato adottato da paesi (Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada ecc.) con una forte immigrazione e, al contempo, un territorio in grado di ospitare una popolazione maggiore di quella residente. Al contrario, lo ius sanguinis tutela i diritti dei discendenti degli emigrati, ed è dunque spesso adottato dai paesi interessati da una forte emigrazione, anche storica (diaspora: Armenia, Irlanda, Italia, Israele), o da ridelimitazioni dei confini (Bulgaria, Croazia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Serbia, Turchia, Ucraina, Ungheria). Può accadere che una persona acquisti la cittadinanza dello stato di origine dei genitori, dove vige lo ius sanguinis, e nel contempo quello dello stato sul cui territorio è nata, dove invece vige lo ius soli. Queste situazioni di doppia

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cittadinanza possono causare inconvenienti (si pensi al caso di chi è obbligato a prestare servizio militare in entrambi gli stati di cui è cittadino), sicché gli stati tendono ad adottare norme per prevenirla, anche sulla base di trattati internazionali. La perdita della cittadinanza può essere prevista a seguito di rinuncia, di acquisto della cittadinanza di altro stato o di privazione per atto della pubblica autorità in conseguenza di gravissime violazioni. La cittadinanza si può acquistare o perdere anche a seguito di trattati internazionali che trasferiscono una parte del territorio e la popolazione ivi residente da uno stato all'altro. * Contenuto della cittadinanza * Come si è detto, il concetto di cittadinanza si ricollega alla titolarità di determinati diritti, detti appunto diritti di cittadinanza, enunciati nelle costituzioni e nelle dichiarazioni dei diritti. Nell'ambito dei diritti di cittadinanza si distinguono: * i diritti civili, cui corrispondono obblighi di non fare da parte dello stato e, in generale, dei pubblici poteri e che rappresentano, quindi, una limitazione del loro potere; comprendono la libertà personale, di movimento, di associazione, di riunione, di coscienza e di religione, l'uguaglianza di fronte alla legge, il diritto alla presunzione d'innocenza e altri diritti limitativi delle potestà punitive dello stato, il diritto a non essere privati arbitrariamente della proprietà, il diritto alla cittadinanza e così via;

• i diritti politici, relativi alla partecipazione dei cittadini al governo dello stato (inteso in senso lato, comprensivo anche, ad esempio, degli enti territoriali), sia direttamente (attraverso istituti quali il referendum, la petizione ecc.) sia indirettamente, eleggendo i propri rappresentanti (elettorato attivo) e candidandosi alle relative elezioni (elettorato passivo);

• i diritti sociali, cui corrispondono obblighi di fare, di erogare prestazioni, da parte dello stato e dei pubblici poteri; comprendono i diritti alla protezione sociale contro la malattia, la vecchiaia, la disoccupazione ecc., il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione e così via. Mentre i diritti civili e politici erano già presenti nelle costituzioni ottocentesche, i diritti sociali fanno il loro ingresso solo nel XX secolo con la realizzazione di quella particolare forma di stato nota come stato sociale.

Va notato che lo stato può riconoscere i suddetti diritti, almeno in parte, anche a non cittadini, sulla scorta di impegni internazionali multilaterali (derivanti, ad esempio, dall'appartenenza all'ONU o all'Unione europea) o bilaterali (a seguito di trattati che prevedono un reciproco trattamento di favore per i cittadini di uno stato da parte dell'altro) o anche di una scelta unilaterale (ad esempio, nell'ambito delle politiche d'integrazione degli immigrati presenti sul territorio nazionale). Tali fattori hanno fatto sì che negli stati odierni i diritti civili siano ormai riconosciuti anche ai non cittadini, e tale riconoscimento è di solito sancito a livello costituzionale, mentre i diritti sociali e soprattutto quelli politici tendono ancora ad essere legati alla cittadinanza. Accanto ai diritti, la cittadinanza può comportare doveri sebbene, di solito, gli ordinamenti, se tendono a riservare i diritti ai cittadini, estendendoli eventualmente ai non cittadini, tendono invece ad imporre i doveri a tutti coloro che sono presenti sul loro territorio, a prescindere dalla cittadinanza. Un dovere tradizionalmente associato alla cittadinanza, fin dai tempi più antichi, è quello della difesa dello stato (o, come si usa dire, della patria) che, in certi paesi, può tradursi nel servizio militare obbligatorio. Correlativamente tutti gli ordinamenti vietano e puniscono severamente il servizio militare del cittadino in forze armate straniere. Tra gli altri doveri dei cittadini si possono ricordare, in alcuni ordinamenti, il voto (che nella costituzione italiana è invece ambiguamente qualificato come "dovere civico") e, in molti ordinamenti, la svolgimento delle funzioni di giudice laico (ad esempio, di giurato o di giudice popolare nella corte d'assise italiana).

Riferimenti normativi

Legge 5 febbraio 1992, n. 91. Nuove norme sulla cittadinanza DPR 12 ottobre 1993, n. 572. Regolamento di esecuzione DPR 18 aprile 1994, n. 362 Regolamento dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana Il dibattito sulla cittadinanza in Italia: lo ius soli temperato e lo ius culturae previste dalla riforma in discussione . Alcuni articoli nel vasto dibattito in corso http://www.repubblica.it/solidarieta/dirittiumani/2016/04/13/news/riforma_della_cittadinanza_mai_cosi_vicina_va_approvata_subito_anche_dal_senato_-137540854/ http://www.secoloditalia.it/2015/10/cittadinanza-senato-passa-legge-applausi-dal-pd-proteste-lega/

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L’evoluzione delle leggi sulla cittadinanza: una prospettiva globale Graziella Bertocchi Università di Modena e Reggio Emilia, CEPR, CHILD e IZA Chiara Strozzi Università di Modena e Reggio Emilia e IZA ABSTRACT Il lavoro prende in esame l’evoluzione delle leggi sulla cittadinanza nel mondo. L’analisi è basata su una banca dati che documenta tale evoluzione per 162 paesi nel periodo 1948-2001. Sulla base di uno studio econometrico, i risultati possono essere riassunti come segue. La tradizione giuridica originaria, ovvero l’applicazione dello jus soli piuttosto che lo jus sanguinis, esercita un effetto persistente sulla legislazione corrente. La pressione dei flussi migratori tende a restringere il grado di apertura della legislazione, ovvero tende a limitare l’applicazione dello jus soli. Tra i fattori che determinano maggiore apertura troviamo invece il grado di democrazia e la stagnazione demografica. Per accedere al testo digitare: http://www.economia.unimore.it/Bertocchi_Graziella/RPS.web.pdf Cittadinanza dell'Unione europea La cittadinanza dell'Unione europea è stata istituita dal Trattato di Maastricht del 1992. Completa e non sostituisce la cittadinanza statale. È regolata dalla seconda parte del Trattati di Roma (artt. 17 - 22) nella versione consolidata. È recepita dalla Costituzione europea all'art. I-10. Prevale sulla cittadinanza di uno stato terzo (sentenza Micheletti, Corte di Giustizia, 1992). https://it.wikipedia.org/wiki/Cittadinanza_dell%27Unione_europea

Acquisizione della cittadinanza

Con l'acquisizione della cittadinanza di un paese facente parte dell'Unione Europea si acquista, automaticamente, anche la cittadinanza comunitaria.

Diritti riconosciuti al Cittadino dell'UE

I diritti ad essa connessi non arricchiscono il patrimonio giuridico soggettivo all'interno dell'ordinamento nazionale ma: Entro l'ordinamento di altri Stati membri UE: � Libertà di circolazione e di soggiorno di ogni cittadino europeo nel territorio di uno Stato membro (art.

18). � Diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede, alla pari dei

cittadini di tale Stato (art. 19), e nelle elezioni europee. Entro l'ordinamento internazionale: � Tutela diplomatica e consolare nei paesi extra-europei nei quali il suo Stato non è rappresentato da parte

delle autorità degli altri Stati membri (art. 20). Entro la sfera dell'ordinamento comunitario: � Diritto di petizione al Parlamento europeo (art. 21.1). � Diritto di rivolgersi al mediatore europeo (art. 21.2). � Diritto di scrivere alle istituzioni e ad alcuni organi comunitari in una delle lingue ufficiali della stessa e di

ricevere risposta nella stessa lingua (art. 21.3). Gli Stati membri dell'Unione europea usano anche un passaporto comune, di color rosso bordeaux con impresso il nome dello Stato membro, timbro e il titolo "Unione Europea" debitamente tradotto.

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Modulo: 9

L A DIFES A DELL ’ AMBIENTE

E s p e r i e nz e d i C i t t a d i na nz a A t t i va i n am b i t o Am b i e n t a l e L'impronta ecologica Impronta ecologica è un termine con cui si indica il determinato "peso" che ognuno di noi ha sulla Terra. E’ un metodo di misurazione che indica quanto territorio biologicamente produttivo viene utilizzato da un individuo, una famiglia, una città, una regione, un paese o dall'intera umanità per produrre le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti che genera. Il metodo dell'impronta ecologica per misurare l'impatto pro capite sull’ambiente è stato elaborato nella prima metà degli anni '90 dall'ecologo William Rees della British Columbia University e poi approfondito, applicato e largamente diffuso a livello internazionale da un suo allievo, Mathis Wackernagel, oggi direttore dell'Ecological Footprint Network, il centro più autorevole e riconosciuto a livello internazionale. Il metodo dell'impronta ecologica consente di attribuire, sulla base dei dati statistici di ogni paese e delle organizzazioni internazionali, un'impronta ecologica di un certo numero di ettari globali pro capite come consumo di territorio biologicamente produttivo. Il WWF utilizza dal 2000 il metodo di calcolo dell'impronta ecologica nel suo rapporto biennale Living Planet Report, commissionando a Wackernagel e al suo team il calcolo dell'impronta ecologica di tutti i paesi del mondo. Secondo i calcoli più recenti (dati 2008 – Fonte “Living Placet Report 2012”) l'impronta ecologica dell'umanità è di 2,7 ettari globali pro capite. La Terra impiega un anno e mezzo per rigenerare completamente le risorse rinnovabili che l’umanità utilizza in un solo anno. Quella dell'Italia è di 4,5 ettari; se tutti vivessero come gli italiani, avremmo bisogno di 2,5 Pianeti per sostenerci. L’Italia ha un’impronta ecologica (sui dati 2005) di 4.2 ettari globali pro capite con una biocapacità di 1 ettaro globale pro capite, dimostrando quindi un deficit ecologico di 3.1 ettaro globale pro capite. Nella classifica mondiale (Paesi con una popolazione superiore a 1 milione di persone per i quali siano disponibili dati completi) è al 32° posto, ma in co da rispetto al resto dei paesi europei. E’ di tutta evidenza che anche il nostro paese necessita di avviarsi rapidamente su una strada di sostenibilità del proprio sviluppo integrando le politiche economiche con quelle ambientali. Solo tenendo in conto la “natura” saremo in grado di fornire il giusto valore al nostro “benessere” e di procedere a politiche energetiche, dei trasporti, di uso del territorio capaci di rispettare il nostro straordinario Bel Paese, facendo fruttare al massimo i suoi elementi di qualità. I paesi con oltre un milione di abitanti con l’impronta ecologica più vasta calcolata su un ettaro globale a persona, sono il Qatar, il Kuwait, gli Emirati Arabi Uniti, la Danimarca, gli Stati Uniti d'America, il Belgio, l’Australia, l’Olanda, l’Irlanda, la Finlandia. La Cina si pone circa a metà nella classifica mondiale, al 73° posto, ma la sua crescita economica e il rapido sviluppo economico che la caratterizza giocheranno un ruolo chiave nell’uso sostenibile delle risorse del pianeta nel futuro. Dal 1970, la domanda antropica annuale di risorse naturali ha superato la capacità del Pianeta di rigenerarle. Agli attuali livelli di consumo, molti ecosistemi arriveranno al collasso ancor prima di aver visto completamente esaurite le proprie risorse.

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Il 20 Agosto è l’ Earth Overshoot Day che segna la data in cui l’umanità ha esaurito il suo budget ecologico per un anno. Questo significa che da quella data, nel 2013, l’umanità ha vissuto “oltre il limite”. Dopo questa data viene mantenuto il debito ecologico prelevando stock di risorse ed accumulando anidride carbonica in atmosfera. Proprio come le banche tracciano le uscite e le entrate, il Global Footprint Network misura la domanda e l’offerta di risorse naturali e di servizi ecologici. E i dati fanno riflettere. Il Global Footprint Network stima che in circa 8 mesi consumiamo più risorse rinnovabili e capacità di sequestro della CO2 di quanto il Pianeta possa mettere a disposizione per un intero anno. Nel 1993 l’Earth Overshoot Day – la data in un determinato anno in cui il nostro consumo di risorse naturali supera la capacità rigenerativa del pianeta– è stata il 21 Ottobre. Nel 2003 l’Over Shoot day è è stato il 22 Settembre. Dato il trend attuale una cosa è certa: l’Earth Overshoot Day tende ad arrivare qualche giorno prima ogni anno. L’Earth Overshoot Day, un’idea sviluppata da partner Global Footprint Network e da un gruppo di esperti del new economics foundation del Regno Unito, è il momento dell’anno in cui iniziamo a vivere oltre le nostre possibilità. Ma proprio perché è una stima approssimativa del trend del tempo e delle risorse, l’Earth Overshoot Day è come uno studio della misura del gap tra domanda di risorse ecologiche e servizi rispetto a quanto il pianeta possa metterci a disposizione. Sito per esercitazione in classe http://www.wwf.ch/it/fare/consiglipratici/calcolatore_dellimpronta_ecologica_del_wwf_svizzera/ Il marchio FSC (Forest Stewardship Council) identifica i prodotti contenenti legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. Il MSC e’ il Marine Stewardship Council e, analogamente a quanto fa il FSC (Forest Stuardship Council), concede l’uso di un marchio a quei prodotti che rispondono ad alcuni principi di conservazione dell’ambiente. Per approfondimenti e filmati CINEMAMBIENTE ENVIRONMENTAL FILM FESTIVAL MUSEO NAZ IONALE DEL CINEMA Via Montebello, 15 10124 Torino – Italy Tel 0039 011 81 38 860 fax 0039 011 81 38 896 [email protected] - www.cinemambiente.it - http://www.cinemambiente.tv/ filmati: - CARPA DIEM: http://www.youtube.com/watch?v=t7TH2q17bb0 -HOW TO DETROY THE WORLD: http://www.youtube.com/watch?v=3bKvVk1T6U4 -THINK WHAT DOES IT TAKE TO CHANGE A HABIT: http://www.youtube.com/watch?v=oBiDCEXYWFw -ANIMALS SAVE THE PLANET: http://www.youtube.com/watch?v=zIforUNXrUQ -TURTLE WORLD : http://www.youtube.com/watch?v=KBA_vbwVxRM Sul sito della Città metropolitana di Torino trovat e approfondimenti in merito a questo argomento e all’attività di Agenda 21 e sviluppo sostenibile, educazione e comunicazione ambientale, Vigilanza ambientale, Gev – Guardie ecologiche, Rischio industriale, Acqua, Aria Siti e link utili http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/ambiente

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ModulO: 10

L A PROTEZIONE CIV ILE

Materiale bibliografico sulla protezione civile RSA JUNIOR – Relazione sullo Stato dell’Ambiente (da cui è stato tratto il materiale distribuito ed utilizzato per le attività su acqua – rifiuti)

http://www.arpa.piemonte.it/approfondimenti/educazione-ambientale/rsa-junior

RSA JUNIOR - Manuale guida per gli insegnanti http://www.arpa.piemonte.it/approfondimenti/educazione-ambientale/rsa-junior/RSAJunior.pdf

RSA JUNIOR - Percorso didattico per gli allievi http://www.arpa.piemonte.it/approfondimenti/educazione-ambientale/rsa-junior/RSAJunior_Percorso_didattico.pdf

Water Footprint – calcola la tua impronta idrica sul pianeta

http://www.waterfootprint.org/index.php?page=files/YourWaterFootprint

Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua http://www.acquabenecomune.org/ Forum italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio http://www.salviamoilpaesaggio.it

Sintesi del nuovo rapporto IPCC sui cambiamenti climatici

http://www.nimbus.it/articoli/2013/130927rapportoIPCC.htm

Living Planet Report http://www.wwf.it/il_pianeta/sostenibilita/one_planet_economy/living_planet_report/

Sito del Progetto “Territorio: maneggiare con cura” http://www.territoriomaneggiareconcura.it/

Sito della Piattaforma web per sviluppare una coscienza collettiva sul problema del consumo di territorio.

http://www.myterristory.com/

Spunti operativi, materiali, documenti di riferimento e raccolte di esperienze sulla mobilità sostenibile, strutturati per categoria di utenza.

http://www.cittametropolitana.torino.it/ambiente_cm/agenda21/

LUE e l’aria pulita, breve pubblicazione che descrive le problematiche legate alla qualità dell’aria

http://bookshop.europa.eu/en/eu-focus-on-clean-air-pbCR1298352/

DIPARTIMENTO DI PROTEZIONE CIVILE – ROMA : http://www.protezionecivile.gov.it/ PROVINCIA DI TORINO - SERVIZIO PROTEZIONE CIVILE : http://www.cittametropolitana.torino.it/protciv_cm/ REGIONE PIEMONTE - PROTEZIONE CIVILE: http://www.regione.piemonte.it/protezionecivile/ COMUNE DI TORINO - PROTEZIONE CIVILE : http://www.comune.torino.it/protezionecivile/ UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO–PREFETTURA DI TORINO: http://www.prefettura.it/torino/ ARPA PIEMONTE – Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale: http://www.arpa.piemonte.it/ CNR – IRPI (Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica) di Torino: http://www.irpi.to.cnr.it/ Sul sito della Città metropolitana di Torino approf ondimenti in merito a questo argomento: http://www.cittametropolitana.torino.it/protciv_cm/

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Modulo: 11

ORIENT AMENTO e COMPETENZE

Servizio Civile e acquisizione di conoscenze per il mondo del lavoro

Link utili

http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/lavoro http://www.provincia.torino.gov.it/solidarietasociale/giovani/comincio_me.html Videoguida al videocurriculum (progetto “I giovani e il lavoro: incomincio da me” – Provincia di Torino) Video guida all’utilizzo del web per la ricerca di lavoro (progetto “I giovani e il lavoro: incomincio da me” – Provincia di Torino) Interviste doppie (progetto “Giovani che costruiscono il cambiamento” – Provincia di Torino) http://www.isfol.it/primo-piano/servizio-civile-un-anno-dopo