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Il Sole 24 Ore Domenica 28 Giugno 2020 VII Scienza e filosofia Piumaggio. Pavone sotto il sole splendente di Natalia Goncharova (1911), Galleria Tretyakov di Mosca P er decenni si è ritenuto che lo stomaco fosse sterile e che a causare l’ulcera fos- sero stress, cibi dannosi e soprattutto l’acidità dei succhi ga- strici, capaci di corrodere la muco- sa intestinale. I trattamenti farma- cologici miravano a diminuire le secrezioni acide, secondo l’assio- ma “niente acido, niente ulcera”. Nel 1982 però due ricercatori au- straliani, B. Marshall e J. Warren, compresero che la causa non era fisiologica ma infettiva, e iniziaro- no una serie di esperimenti e pub- blicazioni per dimostrare la loro ipotesi. Cambiare una teoria accre- ditata da decenni non fu facile. La comunità scientifica iniziò a dibat- tere duramente tra chi riteneva l’ipotesi degna di ulteriori ricerche e chi la giudicava insussistente. Nel 1984, esasperato dalle resi- stenze, nel tentativo di fornire pro- ve convincenti, Marshall optò per la via più drastica dell’autosperi- mentazione e ingerì una coltura di Helicobacter Pylori: ebbe crisi di vomito, sviluppò la gastrite e guarì con terapia antibiotica. La ricerca venne pubblicata l’anno successi- vo, diventando una delle più citate nel proprio campo disciplinare, e valse, assieme ad altre prove, ai due ricercatori il Nobel nel 2005. I 23 anni di «frizioni» tra scienziati durante i quali sostenitori e oppo- sitori si confrontarono armati del- le prove che gradualmente si accu- mulavano, si svolsero, com’è tipico della scienza, fuori dai ’riflettori social’: i risultati della scoperta vennero così consegnati alla socie- tà solo dopo avere vinto ogni grado di diffidenza, grazie a verifiche, re- sistenze ed evidenze, senza mai cedere a semplificazioni e a cori da tifoseria. La storia dell’H. pylori ci aiuta a capire come la scienza richieda tempo per rendere sicure ed effica- ci le proprie scoperte, un esempio tra i tanti per spiegare come, dalla scoperta di una possibile molecola terapeutica o di una nuova teoria biomedica sino alla loro accetta- zione da parte della comunità scientifica e infine al loro arrivo «al letto del paziente», possano passa- re anni o anche decenni. Quello della scienza è un tempo che, soprattutto di fronte a una pandemia, non sempre cittadini e decisori pubblici comprendono e sono disposti ad aspettare. Da que- sta divergenza di prospettive tem- porali, entrambe legittime e condi- visibili, sono spesso emerse alcune stridenti incomprensioni tra scienza e società, rese più acute dall’attuale dibattito innescato da Covid-19. Negli ultimi tumultuosi quattro mesi abbiamo visto la comunità scientifica internazionale misu- rarsi con un nuovo oggetto di stu- dio, un virus, SARS-CoV2, appar- tenente a una famiglia di Corona- virus che nel 2002 con la SARS e nel 2012 con la MERS aveva già dimo- strato di saper compiere un salto di specie, innescando due epidemie ad alta letalità. Tuttavia, la novità di Covid-19 consiste nell’aver coinvolto in mo- do esteso la maggior parte dei Pae- si occidentali e nell’essere stata la prima «pandemia social», sovrap- posta a un’infodemia mediatica, condita da fake news e polarizza- zioni d’opinione. Soprattutto, per la prima volta la cittadinanza, glo- balmente intesa, si è trovata ad as- sistere in diretta alla «scienza nel suo farsi», alimentando richieste e urgenza. Prima di Covid-19, la so- cietà aveva un’idea “statica” della scienza: teorie e possibili terapie venivano comunicate al pubblico «a bocce ferme». Oggi si esige invece un vaccino per SARS-CoV-2 nel giro di qual- che mese, spesso senza compren- dere che un’eventualità del genere può realizzarsi solo se esistono piattaforme sperimentali già av- viate su altri patogeni, come av- venne, a epidemie quasi estinte, per l’influenza suina H1N1 del 2009 e per Ebola 2014-16, e come sta avvenendo oggi per il nuovo Coronavirus che gode delle ricer- che vaccinali, inclusi i test sugli animali, sviluppate per SARS e MERS. Ma gli oltre cento vaccini candidati, compresi i pochissimi già in fase di sperimentazione umana, avranno sicurezza ed effi- cacia differenti: alcuni potrebbero attenuare la malattia senza elimi- nare la contagiosità degli infetti, altri produrre un’immunità più breve del necessario. Se alla scien- za si tolgono le condizioni neces- sarie per la conoscenza stabile – che significa tempo, possibilità di esprimere dubbi e ipotesi su dati non consolidati, libertà (anche di sbagliare) e sostegno (economico e fiduciario) — se ne recidono le radici. È pronta la cittadinanza ad accettare questo lento ma sicuro adeguamento alle prove degli scienziati? Un’altra questione largamente discussa in questi mesi riguarda i dibattiti e la «sovraesposizione mediatica degli scienziati» — una critica che ci sembra lunare: chi al- tri dovrebbero essere ascoltati du- rante una pandemia? — sull’utilità delle mascherine, sull’infettività degli asintomatici, sulla contagio- sità e resistenza ambientale di SARS-CoV-2, per citarne solo alcu- ni, che, se esaminati dal punto di vista esperto, non hanno affatto visto gli scienziati «divisi». A parte alcune narrazioni fittizie sui con- flitti tra scienziati perlopiù utili al racconto mediatico e talvolta poli- tico, si è trattato di differenti inter- pretazioni di dati settoriali in co- struzione di uno stesso fenomeno biologico provenienti da punti di vista disciplinari diversi: virologi, epidemiologi, clinici e modellisti. Un modello matematico predice con sufficiente precisione la satu- razione delle terapie intensive in rapporto alla contagiosità di un vi- rus in fase epidemica iniziale, ma assai meno bene le ragioni della sua mitigazione stagionale riscon- trate quotidianamente dai clinici. Evoluzione, comportamento e dif- fusione dei ceppi virali sono invece il pane quotidiano dei virologi, co- me lo sono le procedure profilatti- che e di comportamento per gli epidemiologi. Tutte analisi giuste di una porzione della complessa storia, in attesa che il tempo s’inca- richi di ricomporle in un’unica spiegazione coerente e, nel caso, elimini quelle fattualmente sba- gliate. Come quelle sulle potenziali cause della diffusione del virus per la quale nel dibattito pubblico si sono scomodati (senza prove né senso logico) i nemici preferiti, da- gli OGM, alle polveri sottili, agli al- levamenti intensivi e molto altro. Senza riconoscimento sociale (e politico) del loro ruolo, gli scien- ziati non possono affrontare le sfi- de del futuro imbarcandosi in pro- getti decennali, che possano indi- rizzarsi alle future necessità della società, comprese epidemie e tera- pie. La scienza sapeva bene del possibile ritorno di un coronavi- rus, descritto e raccontato da molti —pubblicazioni scientifiche, bol- lettini OMS, e persino a livello di- vulgativo dalla Bill&Melinda Gates Foundation, o in libri come Spillo- ver di David Quammen o film come Contagion diretto da Steven Soder- bergh. Per questo sono state svi- luppate ricerche e piattaforme vaccinali sui coronavirus, ma per procedere gli scienziati hanno bi- sogno di fiducia e risorse. Raccontare alle nuove genera- zioni la scienza nel suo farsi sarà il nuovo compito degli scienziati. Partecipare non come «tifosi so- cial» ma come attori consapevoli e informati sarà il compito delle nuove generazioni di cittadini, possibilmente con l’aiuto di media meno inclini alla par condicio e ad alimentare pretestuosamente conflitti, che forse servono ad atti- rare i lettori ma nella vera scienza non hanno luogo. Il tempo porterà consiglio, fino alla prossima epi- demia. © RIPRODUZIONE RISERVATA Infodemia e pandemia. Le difficoltà di comunicare in periodi di emergenza La scienza in diretta vittima del tifo «social» Andrea Grignolio ed Elena Cattaneo Biologia evoluzionista. Secondo Richard Prum c’è una soggettività e un’arbitrarietà dell’esperienza estetica che va oltre la prospettiva darwiniana dell’adattamento ambientale Dare un senso alla bellezza L a vista della coda di un pa- vone faceva star male Darwin, perché gli ram- mentava la difficoltà di spiegare gli ornamenti de- gli animali con la teoria della selezione naturale. La coda del pavone, il palco di corna di un cervo, il piumaggio di un uccello del paradi- so appaiono a dir poco stravaganti nei termini dell’adattamento all’am- biente. Sono ingombranti, vistosi e pericolosi: attirano l’attenzione dei predatori, rendono più lenti i movi- menti dell’animale. Per quale ragione si sono evoluti? Darwin immaginò, accanto alla selezione naturale, che agisce sui ca- ratteri che assicurano la sopravvi- venza e la riproduzione, un secondo meccanismo, la selezione sessuale, che agisce sui caratteri che causano differenze nel successo riproduttivo. L’idea è semplice, ma geniale. Imma- giniamo che in origine la presenza di un certo tratto conferisca un vantag- gio all’animale perché costituisce un segnale onesto del suo essere un buon partner sessuale. Avere un grande ciuffo sul capo potrebbe indi- care che sei in buona salute o che sei così veloce e atletico da riuscire a evi- tare le zampate dei predatori: sulla scorta di un tale segnale le femmine ti sceglieranno come partner sessua- le. Se la variabilità nel tratto è almeno in parte ereditabile, i figli delle fem- mine che hanno scelto i maschi con il ciuffo grande godranno dello stesso beneficio (buoni muscoli, buona sa- lute etc.). Si svilupperà perciò una competizione tra i maschi per esibire il ciuffo più cospicuo. Il ciuffo può di- ventare così ingombrante che il ma- schio che lo possiede sarà magari meno veloce a sfuggire ai predatori, ma le femmine continueranno a sce- glierlo per la semplice ragione che un ciuffo grande risulta sessualmente attraente. Scegliendo un maschio con un grande ciuffo, infatti, una femmina avrà dei figli maschi che sa- ranno sessualmente attraenti per le altre femmine, perché avranno ere- ditato dal padre un grande ciuffo, e in questo modo si garantirà di avere molti nipoti. Secondo Richard Prum, biologo evoluzionista e appassionato bird- watcher, la selezione sessuale rap- presenterebbe, per usare la nota espressione del filosofo Daniel Den- nett, la vera «idea pericolosa» di Darwin, proprio perché porrebbe dei limiti al potere esplicativo della sele- zione naturale e della nozione di adattamento come forza evolutiva capace di rendere conto della varietà delle forme biologiche. Prum preferi- sce però usare il termine selezione estetica anziché selezione sessuale, perché a suo parere questo meccani- smo sarebbe in grado di spiegare la bellezza nel mondo naturale. L’idea che la bellezza rappresenti sempre e comunque la manifestazio- ne di un segnale onesto di adatta- mento all’ambiente è stata usata nel 2013 in un famoso discorso che l’allo- ra presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, rivolse ai neolaureati di Princeton: «Ricordatevi che la bel- lezza esteriore è solo il sistema che l’evoluzione ha trovato per assicurar- ci che l’altra persona non abbia troppi parassiti intestinali». Invece, secon- do Prum, la teoria di Darwin implica che la scelta degli animali rifletta davvero un giudizio estetico. Scelgo il maschio con il grande ciuffo perché il ciuffo è attraente, non perché sia il segnale che chi lo possiede ha dei buoni geni. Il dissidio teoretico è forse più ap- parente che reale: dipende se si assu- me il punto di vista del biologo onni- sciente o dell’animale che effettua la scelta. Dal punto di vista di chi sce- glie, il giudizio è estetico e arbitrario: scelgo quel maschio perché lo trovo bello. Dal punto di vista del biologo onnisciente la ragione ultima del giu- dizio estetico è adattativa e non arbi- traria: scelgo il partner bello perché così avrò figli belli che saranno attra- enti per altre femmine che adottino i miei stessi criteri di giudizio. L’arbi- trarietà riguarda i contenuti della «bellezza che capita», come la chia- ma Prum, non il meccanismo adatta- tivo. Per sostenere il suo approccio Prum ci offre esempi di incantevole bellezza etologica, come il corteggia- mento del maschio dell’argo maggio- re (Argusianus grayi), un fasianide che abita le foreste tropicali della Ma- lesia, il quale dispiega le penne delle ali in una spettacolare semisfera, il cui intricatissimo disegno va ad av- volgere la femmina. C’è ovviamente coevoluzione tra la raffinatezza del- l’ornamento e l’altrettanto sofisticata valutazione estetica di chi lo esami- na, la femmina in questo caso (le cir- costanze in cui la scelta sia maschile e gli ornamenti sono portati dalle femmine sono meno frequenti in na- tura, ma esistono per esempio laddo- ve vi sia poliandria, che è rara tra i mammiferi ma si osserva a volte tra gli uccelli, quando più maschi, di so- lito imparentati tra loro, condividono una femmina). L’ornamento si è evo- luto in una forma così elaborata pro- prio perché un gran numero di ver- sioni alternative di questo non sono state scelte dalle femmine, le quali ne sono pertanto le vere artefici, che si tratti delle elaborate pergole degli uc- celli giardinieri o della morfologia del pene degli Anatidi. Prum sottolinea la soggettività e l’arbitrarietà dell’esperienza estetica. Un esperimento condotto dallo psi- cologo Shigeru Watanabe può aiu- tarci a mettere a fuoco questo aspetto (Anim Cogn. 2010, 13: 75-85). Wata- nabe ha chiesto a un gruppo di perso- ne di valutare dei disegni eseguiti da dei bambini classificandoli come bel- li o brutti (gli osservatori mostrano una grande uniformità in questo ge- nere di giudizi). Successivamente lo studioso ha insegnato a dei piccioni a discriminare tra i due esemplari di alcune coppie di disegni. In ciascuna coppia un disegno era stato classifi- cato in precedenza dalle persone co- me bello e l’altro come brutto. I pic- cioni, che ricevevano un premio se sceglievano il disegno bello, impara- vano il compito con facilità. Ovvia- mente ciò non dimostra nulla circa il loro apprezzamento estetico, sem- plicemente discriminavano tra due stimoli differenti. Ma adesso viene il bello (!), perché a questo punto lo scienziato giapponese pescava delle nuove coppie di disegni dall’insieme originario, mai vedute prima dagli animali. Senza bisogno di alcun ad- destramento, sin dalla prima prova i piccioni generalizzavano corretta- mente, scegliendo il disegno catego- rizzato come bello dagli osservatori umani. L’esperimento mostra che i giudi- zi estetici sono largamente i medesi- mi tra i diversi individui e addirittura tra individui di specie diversa. Il giu- dizio dei piccioni sui disegni dei bambini fa il paio con il nostro ap- prezzamento estetico della coda del pavone o del canto dell’usignolo. Pe- rò c’è un problema qui. Se davvero il giudizio estetico è arbitrario, non ri- flettendo un adattamento diretto - un segnale onesto del possesso di un tratto geneticamente utile o even- tualmente un segnale disonesto che ne simuli la disponibilità - per quale ragione non mostra una completa ca- pricciosità, variando nei diversi indi- vidui? Perché i gusti delle femmine non differiscono in maniera indivi- duale? Ovviamente, se ciò accadesse verrebbe meno il meccanismo che sostiene la selezione sessuale: biso- gna che il maschio sia sexy anche per le altre femmine, che debbono mo- strano tutte un simile giudizio, affin- ché la scelta estetica di una particola- re femmina abbia come esito finale la generazione di molti nipoti. Ma que- sto significa che devono esistere meccanismi interni alla costituzione stessa dei sistemi nervosi che vinco- lano i giudizi estetici, che li fanno cioè convergere verso valutazioni simili. Libri come questo di Prum ci ri- cordano che la bellezza è un tutt’uno con la biologia, con la vita e con la morte. Perché, come dice Jep Gam- bardella, il protagonista de La Grande Bellezza: «Finisce sempre così, con la morte. Prima, però, c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. (…) sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura, gli sparuti in- costanti sprazzi di bellezza». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’EVOLUZIONE DELLA BELLEZZA Richard Prum Adelphi, Milano, pagg. 588, € 35 Giorgio Vallortigara In Messico. La tecnologia Lidar ha permesso di individuare la struttura di 3.000 anni fa Archeoastronomia La piramide dove i Maya osservavano i solstizi S abato 20 giugno è stato il sol- stizio d’estate, uno dei quat- tro appuntamenti annuali legati al moto della Terra in- torno al Sole ed all'inclinazione del- l’asse di rotazione terrestre. Alle no- stre latitudini, le giornate sono più lunghe d’estate rispetto all’inverno e il solstizio è il giorno più lungo del- l’anno, o, se preferite, la notte più cor- ta, ma dubito che ve ne siate accorti. Eppure, per i nostri antenati, il solsti- zio d’estate era un giorno sacro, da celebrare. Gli archeologi sanno benissimo quanto importante fosse l’osserva- zione del Sole e quindi pensano sem- pre all’astronomia quando si trovano davanti a grandi costruzioni. Poichè, ogni semestre, il punto di levata del Sole si sposta tra due estremi, che corrispondono al solstizio d’estate e quello d’inverno, tutte le civiltà han- no costruito osservatori solari per se- guire il percorso del Sole. Si chiama archeoastronomia e non smette di sorprendere grazie a nuove potentissime tecniche di os- servazione remota che permettono di mappare il terreno nascosto dalle spesse foreste tropicali. Lo strumento capace di vedere attraverso il foglia- me è il LIDAR (light detection and ran- ging): montato su aerei o droni, usa il segnale di ritorno di un laser diretto verso il suolo coperto da vegetazione impenetrabile per costruire, grazie all’aiuto di supercomputer, un mo- dello di elevazione del terreno e rive- lare se ci sono strutture geometriche nella giungla. È una tecnica che ha ri- voluzionato gli studi degli antichi in- sediamenti Maya permettendo di mappare vaste regioni per poi andare a colpo sicuro nelle indagini in situ. La scoperta più recente si riferisce ad un insediamento ad Aguada Felix nella regione di Tabasco, in Messico dove il LIDAR ha rivelato la presenza di una grande piattaforma, lunga 1.400 m, larga 400 e alta 10, fatta di terra e argilla che risale al 1000 AC. Vicino, giusto a metà del lato lungo, c’è una piramide osservatorio. Gli ar- cheologi le chiamano strutture E per- ché sono orientate verso EST in modo tale che dalla piramide osservatorio, durante i solstizi, si veda il Sole sor- gere ai due estremi dell’imponente piattaforma, certamente la più gran- de delle molte strutture E mappate dagli archeologi nella regione. Quello che colpisce di più è l’età della piatta- forma, chiaramente anteriore all’in- sediamento, quasi a significare che le costruzioni cerimoniali fossero l’ele- mento di partenza per le città Maya. © RIPRODUZIONE RISERVATA Patrizia Caraveo REUTERS

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Il Sole 24 Ore Domenica 28 Giugno 2020 VII

Scienza e filosofia

Piumaggio.Pavone sotto il sole splendente di Natalia Goncharova (1911),Galleria Tretyakovdi Mosca

Per decenni si è ritenuto chelo stomaco fosse sterile eche a causare l’ulcera fos-sero stress, cibi dannosi e

soprattutto l’acidità dei succhi ga-strici, capaci di corrodere la muco-sa intestinale. I trattamenti farma-cologici miravano a diminuire lesecrezioni acide, secondo l’assio-ma “niente acido, niente ulcera”.Nel 1982 però due ricercatori au-straliani, B. Marshall e J. Warren,compresero che la causa non erafisiologica ma infettiva, e iniziaro-no una serie di esperimenti e pub-blicazioni per dimostrare la loroipotesi. Cambiare una teoria accre-ditata da decenni non fu facile. Lacomunità scientifica iniziò a dibat-tere duramente tra chi riteneva l’ipotesi degna di ulteriori ricerchee chi la giudicava insussistente.Nel 1984, esasperato dalle resi-stenze, nel tentativo di fornire pro-ve convincenti, Marshall optò perla via più drastica dell’autosperi-mentazione e ingerì una coltura diHelicobacter Pylori: ebbe crisi divomito, sviluppò la gastrite e guarìcon terapia antibiotica. La ricercavenne pubblicata l’anno successi-vo, diventando una delle più citatenel proprio campo disciplinare, evalse, assieme ad altre prove, aidue ricercatori il Nobel nel 2005. I23 anni di «frizioni» tra scienziatidurante i quali sostenitori e oppo-sitori si confrontarono armati del-le prove che gradualmente si accu-mulavano, si svolsero, com’è tipicodella scienza, fuori dai ’riflettorisocial’: i risultati della scopertavennero così consegnati alla socie-tà solo dopo avere vinto ogni gradodi diffidenza, grazie a verifiche, re-sistenze ed evidenze, senza maicedere a semplificazioni e a cori datifoseria.

La storia dell’H. pylori ci aiuta acapire come la scienza richiedatempo per rendere sicure ed effica-ci le proprie scoperte, un esempiotra i tanti per spiegare come, dallascoperta di una possibile molecolaterapeutica o di una nuova teoriabiomedica sino alla loro accetta-zione da parte della comunitàscientifica e infine al loro arrivo «alletto del paziente», possano passa-re anni o anche decenni.

Quello della scienza è un tempoche, soprattutto di fronte a unapandemia, non sempre cittadini edecisori pubblici comprendono esono disposti ad aspettare. Da que-sta divergenza di prospettive tem-porali, entrambe legittime e condi-visibili, sono spesso emerse alcunestridenti incomprensioni trascienza e società, rese più acute dall’attuale dibattito innescato daCovid-19.

Negli ultimi tumultuosi quattromesi abbiamo visto la comunitàscientifica internazionale misu-rarsi con un nuovo oggetto di stu-dio, un virus, SARS-CoV2, appar-tenente a una famiglia di Corona-virus che nel 2002 con la SARS e nel2012 con la MERS aveva già dimo-strato di saper compiere un salto dispecie, innescando due epidemiead alta letalità.

Tuttavia, la novità di Covid-19consiste nell’aver coinvolto in mo-do esteso la maggior parte dei Pae-si occidentali e nell’essere stata laprima «pandemia social», sovrap-posta a un’infodemia mediatica,condita da fake news e polarizza-zioni d’opinione. Soprattutto, perla prima volta la cittadinanza, glo-balmente intesa, si è trovata ad as-sistere in diretta alla «scienza nelsuo farsi», alimentando richieste eurgenza. Prima di Covid-19, la so-cietà aveva un’idea “statica” dellascienza: teorie e possibili terapievenivano comunicate al pubblico«a bocce ferme».

Oggi si esige invece un vaccinoper SARS-CoV-2 nel giro di qual-che mese, spesso senza compren-dere che un’eventualità del generepuò realizzarsi solo se esistono piattaforme sperimentali già av-viate su altri patogeni, come av-venne, a epidemie quasi estinte,per l’influenza suina H1N1 del2009 e per Ebola 2014-16, e come

sta avvenendo oggi per il nuovoCoronavirus che gode delle ricer-che vaccinali, inclusi i test suglianimali, sviluppate per SARS eMERS. Ma gli oltre cento vaccinicandidati, compresi i pochissimigià in fase di sperimentazioneumana, avranno sicurezza ed effi-cacia differenti: alcuni potrebberoattenuare la malattia senza elimi-nare la contagiosità degli infetti,altri produrre un’immunità più breve del necessario. Se alla scien-za si tolgono le condizioni neces-sarie per la conoscenza stabile –che significa tempo, possibilità diesprimere dubbi e ipotesi su datinon consolidati, libertà (anche disbagliare) e sostegno (economicoe fiduciario) — se ne recidono leradici. È pronta la cittadinanza adaccettare questo lento ma sicuroadeguamento alle prove degliscienziati?

Un’altra questione largamentediscussa in questi mesi riguarda idibattiti e la «sovraesposizionemediatica degli scienziati» — unacritica che ci sembra lunare: chi al-tri dovrebbero essere ascoltati du-rante una pandemia? — sull’utilitàdelle mascherine, sull’infettivitàdegli asintomatici, sulla contagio-sità e resistenza ambientale diSARS-CoV-2, per citarne solo alcu-ni, che, se esaminati dal punto divista esperto, non hanno affattovisto gli scienziati «divisi». A partealcune narrazioni fittizie sui con-flitti tra scienziati perlopiù utili alracconto mediatico e talvolta poli-tico, si è trattato di differenti inter-pretazioni di dati settoriali in co-struzione di uno stesso fenomenobiologico provenienti da punti divista disciplinari diversi: virologi,epidemiologi, clinici e modellisti.Un modello matematico predicecon sufficiente precisione la satu-razione delle terapie intensive inrapporto alla contagiosità di un vi-rus in fase epidemica iniziale, maassai meno bene le ragioni dellasua mitigazione stagionale riscon-trate quotidianamente dai clinici.Evoluzione, comportamento e dif-fusione dei ceppi virali sono inveceil pane quotidiano dei virologi, co-me lo sono le procedure profilatti-che e di comportamento per gliepidemiologi. Tutte analisi giustedi una porzione della complessastoria, in attesa che il tempo s’inca-richi di ricomporle in un’unicaspiegazione coerente e, nel caso,elimini quelle fattualmente sba-gliate. Come quelle sulle potenzialicause della diffusione del virus perla quale nel dibattito pubblico si sono scomodati (senza prove né senso logico) i nemici preferiti, da-gli OGM, alle polveri sottili, agli al-levamenti intensivi e molto altro.

Senza riconoscimento sociale (epolitico) del loro ruolo, gli scien-ziati non possono affrontare le sfi-de del futuro imbarcandosi in pro-getti decennali, che possano indi-rizzarsi alle future necessità dellasocietà, comprese epidemie e tera-pie. La scienza sapeva bene delpossibile ritorno di un coronavi-rus, descritto e raccontato da molti—pubblicazioni scientifiche, bol-lettini OMS, e persino a livello di-vulgativo dalla Bill&Melinda GatesFoundation, o in libri come Spillo-ver di David Quammen o film comeContagion diretto da Steven Soder-bergh. Per questo sono state svi-luppate ricerche e piattaformevaccinali sui coronavirus, ma perprocedere gli scienziati hanno bi-sogno di fiducia e risorse.

Raccontare alle nuove genera-zioni la scienza nel suo farsi sarà ilnuovo compito degli scienziati.Partecipare non come «tifosi so-cial» ma come attori consapevoli einformati sarà il compito dellenuove generazioni di cittadini,possibilmente con l’aiuto di mediameno inclini alla par condicio e adalimentare pretestuosamenteconflitti, che forse servono ad atti-rare i lettori ma nella vera scienzanon hanno luogo. Il tempo porteràconsiglio, fino alla prossima epi-demia.

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Infodemia e pandemia. Le difficoltàdi comunicare in periodi di emergenza

La scienza in direttavittima del tifo «social»Andrea Grignolio ed Elena Cattaneo

Biologia evoluzionista. Secondo Richard Prum c’è una soggettività e un’arbitrarietà dell’esperienza estetica che va oltre la prospettiva darwiniana dell’adattamento ambientale

Dare un senso alla bellezza

La vista della coda di un pa-vone faceva star maleDarwin, perché gli ram-mentava la difficoltà dispiegare gli ornamenti de-gli animali con la teoria

della selezione naturale. La coda delpavone, il palco di corna di un cervo,il piumaggio di un uccello del paradi-so appaiono a dir poco stravagantinei termini dell’adattamento all’am-biente. Sono ingombranti, vistosi epericolosi: attirano l’attenzione deipredatori, rendono più lenti i movi-menti dell’animale. Per quale ragionesi sono evoluti?

Darwin immaginò, accanto allaselezione naturale, che agisce sui ca-ratteri che assicurano la sopravvi-venza e la riproduzione, un secondomeccanismo, la selezione sessuale,che agisce sui caratteri che causanodifferenze nel successo riproduttivo.L’idea è semplice, ma geniale. Imma-giniamo che in origine la presenza diun certo tratto conferisca un vantag-gio all’animale perché costituisce unsegnale onesto del suo essere unbuon partner sessuale. Avere ungrande ciuffo sul capo potrebbe indi-care che sei in buona salute o che seicosì veloce e atletico da riuscire a evi-tare le zampate dei predatori: sullascorta di un tale segnale le femmineti sceglieranno come partner sessua-le. Se la variabilità nel tratto è almenoin parte ereditabile, i figli delle fem-mine che hanno scelto i maschi con ilciuffo grande godranno dello stessobeneficio (buoni muscoli, buona sa-lute etc.). Si svilupperà perciò una competizione tra i maschi per esibireil ciuffo più cospicuo. Il ciuffo può di-ventare così ingombrante che il ma-schio che lo possiede sarà magari meno veloce a sfuggire ai predatori,ma le femmine continueranno a sce-glierlo per la semplice ragione che unciuffo grande risulta sessualmenteattraente. Scegliendo un maschiocon un grande ciuffo, infatti, unafemmina avrà dei figli maschi che sa-ranno sessualmente attraenti per lealtre femmine, perché avranno ere-ditato dal padre un grande ciuffo, e inquesto modo si garantirà di avere molti nipoti.

Secondo Richard Prum, biologoevoluzionista e appassionato bird-watcher, la selezione sessuale rap-presenterebbe, per usare la nota espressione del filosofo Daniel Den-nett, la vera «idea pericolosa» di Darwin, proprio perché porrebbe deilimiti al potere esplicativo della sele-zione naturale e della nozione diadattamento come forza evolutiva capace di rendere conto della varietàdelle forme biologiche. Prum preferi-sce però usare il termine selezioneestetica anziché selezione sessuale,perché a suo parere questo meccani-smo sarebbe in grado di spiegare labellezza nel mondo naturale.

L’idea che la bellezza rappresentisempre e comunque la manifestazio-ne di un segnale onesto di adatta-mento all’ambiente è stata usata nel2013 in un famoso discorso che l’allo-ra presidente della Federal Reserve,Ben Bernanke, rivolse ai neolaureati

di Princeton: «Ricordatevi che la bel-lezza esteriore è solo il sistema chel’evoluzione ha trovato per assicurar-ci che l’altra persona non abbia troppiparassiti intestinali». Invece, secon-do Prum, la teoria di Darwin implicache la scelta degli animali riflettadavvero un giudizio estetico. Scelgoil maschio con il grande ciuffo perchéil ciuffo è attraente, non perché sia ilsegnale che chi lo possiede ha deibuoni geni.

Il dissidio teoretico è forse più ap-parente che reale: dipende se si assu-me il punto di vista del biologo onni-sciente o dell’animale che effettua lascelta. Dal punto di vista di chi sce-glie, il giudizio è estetico e arbitrario:scelgo quel maschio perché lo trovobello. Dal punto di vista del biologoonnisciente la ragione ultima del giu-dizio estetico è adattativa e non arbi-traria: scelgo il partner bello perchécosì avrò figli belli che saranno attra-enti per altre femmine che adottinoi miei stessi criteri di giudizio. L’arbi-trarietà riguarda i contenuti della «bellezza che capita», come la chia-ma Prum, non il meccanismo adatta-tivo.

Per sostenere il suo approccioPrum ci offre esempi di incantevolebellezza etologica, come il corteggia-

mento del maschio dell’argo maggio-re (Argusianus grayi), un fasianideche abita le foreste tropicali della Ma-lesia, il quale dispiega le penne delleali in una spettacolare semisfera, ilcui intricatissimo disegno va ad av-volgere la femmina. C’è ovviamentecoevoluzione tra la raffinatezza del-l’ornamento e l’altrettanto sofisticatavalutazione estetica di chi lo esami-na, la femmina in questo caso (le cir-costanze in cui la scelta sia maschilee gli ornamenti sono portati dallefemmine sono meno frequenti in na-tura, ma esistono per esempio laddo-ve vi sia poliandria, che è rara tra imammiferi ma si osserva a volte tragli uccelli, quando più maschi, di so-lito imparentati tra loro, condividonouna femmina). L’ornamento si è evo-luto in una forma così elaborata pro-prio perché un gran numero di ver-sioni alternative di questo non sonostate scelte dalle femmine, le quali nesono pertanto le vere artefici, che sitratti delle elaborate pergole degli uc-celli giardinieri o della morfologia delpene degli Anatidi.

Prum sottolinea la soggettività el’arbitrarietà dell’esperienza estetica.Un esperimento condotto dallo psi-cologo Shigeru Watanabe può aiu-tarci a mettere a fuoco questo aspetto

(Anim Cogn. 2010, 13: 75-85). Wata-nabe ha chiesto a un gruppo di perso-ne di valutare dei disegni eseguiti dadei bambini classificandoli come bel-li o brutti (gli osservatori mostranouna grande uniformità in questo ge-nere di giudizi). Successivamente lostudioso ha insegnato a dei piccionia discriminare tra i due esemplari dialcune coppie di disegni. In ciascunacoppia un disegno era stato classifi-cato in precedenza dalle persone co-me bello e l’altro come brutto. I pic-cioni, che ricevevano un premio sesceglievano il disegno bello, impara-vano il compito con facilità. Ovvia-mente ciò non dimostra nulla circa illoro apprezzamento estetico, sem-plicemente discriminavano tra duestimoli differenti. Ma adesso viene ilbello (!), perché a questo punto loscienziato giapponese pescava dellenuove coppie di disegni dall’insiemeoriginario, mai vedute prima daglianimali. Senza bisogno di alcun ad-destramento, sin dalla prima prova ipiccioni generalizzavano corretta-mente, scegliendo il disegno catego-rizzato come bello dagli osservatoriumani.

L’esperimento mostra che i giudi-zi estetici sono largamente i medesi-mi tra i diversi individui e addiritturatra individui di specie diversa. Il giu-dizio dei piccioni sui disegni dei bambini fa il paio con il nostro ap-prezzamento estetico della coda delpavone o del canto dell’usignolo. Pe-rò c’è un problema qui. Se davvero ilgiudizio estetico è arbitrario, non ri-flettendo un adattamento diretto - unsegnale onesto del possesso di untratto geneticamente utile o even-tualmente un segnale disonesto chene simuli la disponibilità - per qualeragione non mostra una completa ca-pricciosità, variando nei diversi indi-vidui? Perché i gusti delle femminenon differiscono in maniera indivi-duale? Ovviamente, se ciò accadesseverrebbe meno il meccanismo chesostiene la selezione sessuale: biso-gna che il maschio sia sexy anche perle altre femmine, che debbono mo-strano tutte un simile giudizio, affin-ché la scelta estetica di una particola-re femmina abbia come esito finale lagenerazione di molti nipoti. Ma que-sto significa che devono esisteremeccanismi interni alla costituzionestessa dei sistemi nervosi che vinco-lano i giudizi estetici, che li fanno cioèconvergere verso valutazioni simili.

Libri come questo di Prum ci ri-cordano che la bellezza è un tutt’unocon la biologia, con la vita e con lamorte. Perché, come dice Jep Gam-bardella, il protagonista de La GrandeBellezza: «Finisce sempre così, con lamorte. Prima, però, c’è stata la vita,nascosta sotto il bla bla bla bla bla. (…)sedimentato sotto il chiacchiericcioe il rumore, il silenzio e il sentimento,l’emozione e la paura, gli sparuti in-costanti sprazzi di bellezza».

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L’EVOLUZIONE DELLA BELLEZZARichard Prum Adelphi, Milano, pagg. 588, € 35

Giorgio Vallortigara

In Messico.La tecnologia Lidar ha permesso di individuare la struttura di 3.000 anni fa

Archeoastronomia

La piramide dove i Maya osservavano i solstizi

Sabato 20 giugno è stato il sol-stizio d’estate, uno dei quat-tro appuntamenti annualilegati al moto della Terra in-

torno al Sole ed all'inclinazione del-l’asse di rotazione terrestre. Alle no-stre latitudini, le giornate sono più lunghe d’estate rispetto all’inverno eil solstizio è il giorno più lungo del-l’anno, o, se preferite, la notte più cor-ta, ma dubito che ve ne siate accorti.Eppure, per i nostri antenati, il solsti-zio d’estate era un giorno sacro, da celebrare.

Gli archeologi sanno benissimoquanto importante fosse l’osserva-zione del Sole e quindi pensano sem-

pre all’astronomia quando si trovanodavanti a grandi costruzioni. Poichè,ogni semestre, il punto di levata del Sole si sposta tra due estremi, che corrispondono al solstizio d’estate equello d’inverno, tutte le civiltà han-no costruito osservatori solari per se-guire il percorso del Sole.

Si chiama archeoastronomia enon smette di sorprendere grazie a nuove potentissime tecniche di os-servazione remota che permettono dimappare il terreno nascosto dallespesse foreste tropicali. Lo strumentocapace di vedere attraverso il foglia-me è il LIDAR (light detection and ran-ging): montato su aerei o droni, usa il

segnale di ritorno di un laser direttoverso il suolo coperto da vegetazioneimpenetrabile per costruire, grazie all’aiuto di supercomputer, un mo-dello di elevazione del terreno e rive-lare se ci sono strutture geometrichenella giungla. È una tecnica che ha ri-voluzionato gli studi degli antichi in-sediamenti Maya permettendo di mappare vaste regioni per poi andarea colpo sicuro nelle indagini in situ.

La scoperta più recente si riferiscead un insediamento ad Aguada Felixnella regione di Tabasco, in Messicodove il LIDAR ha rivelato la presenzadi una grande piattaforma, lunga 1.400 m, larga 400 e alta 10, fatta di

terra e argilla che risale al 1000 AC. Vicino, giusto a metà del lato lungo,c’è una piramide osservatorio. Gli ar-cheologi le chiamano strutture E per-ché sono orientate verso EST in modotale che dalla piramide osservatorio,durante i solstizi, si veda il Sole sor-gere ai due estremi dell’imponente piattaforma, certamente la più gran-de delle molte strutture E mappate dagli archeologi nella regione. Quelloche colpisce di più è l’età della piatta-forma, chiaramente anteriore all’in-sediamento, quasi a significare che lecostruzioni cerimoniali fossero l’ele-mento di partenza per le città Maya.

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Patrizia Caraveo

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