DANTE BOCCACCIO Editori Laterza di BOCCACCIO MARCO … · 2013-04-22 · DANTE PETRARCA CAVALCANTI...

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TASSO DANTE PETRARCA CAVALCANTI ARIOSTO LORENZO DE’ MEDICI IL NOVELLINO POLIZIANO LEONARDO DA VINCI RUZANTE ARETINO GALILEI CELLINI BRUNO MARINO CAMPANELLA BOCCACCIO MACHIAVELLI Editori Laterza itrelibri letteratura Origini_Seicento di MARCO SANTAGATA | LAURA CAROTTI | ALBERTO CASADEI | MIRKO TAVONI

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Origini_Seicento

Editori Laterza

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Editori Laterza

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11Le coordinate storiche e culturali

Stati nazionali in Francia, Spagna, Inghilterra

Stati regionali in Italia

Ducato di Milano

(prima Visconti, poi Sforza)

Repubblica di Venezia

(oligarchia mercantile)in lotta per il predominio

sull’Italia centro-settentrionale

trattato di Lodi: inizia periododi equilibrio e pace (1454)

discesa di Carlo VIII di Francia:rottura dell’equilibrio (1494)

Repubblica di Firenze

(oligarchia mercantile, poipotere effettivo dei Medici)

Este a Ferrara

Gonzaga a Mantova

Montefeltro a Urbino

Patrimonio

di San Pietro

Regno di Napoli

(dagli Angioini agli Aragonesi)

TENDENZA ALL’AGGREGAZIONE POLITICA E STATALE

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Le coordinate storicheLa situazione europeaIl tratto saliente della storia europea del XV secolo è la tendenza all’aggregazione politicae statale. Tra la fine del Trecento e per tutto il Quattrocento i regimi monarchici formatisinei secoli precedenti in Francia, Inghilterra e Spagna si rafforzano e cominciano ad acqui-sire la fisionomia di Stati nazionali. Li caratterizzano un territorio definito e unitario, ilconsolidamento del potere regio e la creazione di strutture centralizzate di governo, ammi-

nistrazione e difesa. In Italia e in Germania, paesi for-malmente sottoposti all’autorità imperiale, le spinteunitarie non possono dare vita a Stati nazionali, masi esplicano nella formazione di entità statali di ambi-to regionale e perciò di dimensioni territoriali media-mente superiori a quelle delle signorie trecentesche.

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11. Le coordinate storiche e culturali 433

1. Qual è il tratto peculiare della storia europea del Quat-trocento? 2. Quali paesi europei possono essere defini-ti Stati nazionali? 3. In che modo differiscono le sortidell’Italia e della Germania dal resto dell’Europa?

Guida allo studio

Paolo Uccello, La battaglia di San Romano, 1456 ca.

[Uffizi, Firenze]

Il dipinto di Paolo Uccello (1397-1475) faparte di un ciclo di tre tele dedicate allabattaglia di San Romano, uno scontroavvenuto il 1° giugno del 1432 tra fiorentinie senesi, al termine del quale i primi poserodefinitivamente sotto la propria influenza ilCastello di Montopoli (un piccolo borgo inVal d’Arno, oggi in provincia di Pisa). Nellatavola degli Uffizi sono fissati il momento

più intenso dello scontro e la suaconclusione: sulla sinistra i fiorentini conlance in resta atterrano i nemici; al centroNiccolò da Tolentino (capitano deifiorentini) disarciona Bernardino dellaCiarda (capitano dei senesi); a destra isenesi in fuga; in aperta campagna, insecondo piano, una squadra di fanti esceallo scoperto per inseguire i nemici che si

stanno ritirando.La battaglia di San Romano, forse l’unicoepisodio degno di nota in una guerraaltrimenti povera di successi per ifiorentini, fu un soggetto commissionatoa Paolo Uccello da Cosimo il Vecchio,che volle così celebrare il prestigiopolitico acquisito con il finanziamentodell’impresa.

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434 Quattrocento

La situazione italiana nella prima metà del secoloIl panorama politico dell’Italia nella prima metà del Quattrocento non diverge sostanzial-mente da quello della seconda metà del secolo precedente. Nella Valle Padana, in Roma-gna e nelle Marche è presente un sistema di principati e signorie. Per peso politico e di-mensione territoriale spicca il Ducato di Milano dei Visconti, ma vanno ricordati anche ilMarchesato degli Este a Ferrara, la Contea dei Gonzaga a Mantova e le Signorie dei Mala-testa a Rimini e dei Montefeltro a Urbino. Principati e signorie sono governati da fami-glie che si tramandano il potere per via dinastica e che si appoggiano al “patriziato” lo-cale, cioè al blocco sociale composto dalla parte più ricca della borghesia mercantile e dauna parte dell’antica nobiltà feudale. Nell’Italia settentrionale l’altro Stato eminente èquello della Repubblica di Venezia, che ha esteso il suo dominio su gran parte del Vene-to. Venezia non è retta da ordinamenti di tipo signorile, ma è anch’essa dominata da unapotente oligarchia economica. Analoga è la situazione di Firenze, a lungo in guerra conil Ducato di Milano e con la Repubblica di Venezia per il predominio nell’Italia centro-set-tentrionale. Con Milano, Firenze e Venezia siamo già in presenza di Stati tendenzialmen-te regionali o addirittura sovraregionali. La spinta all’aggregazione fino alla metà del se-colo non interessa ancora l’insieme di piccoli territori e di città-Stato, di fatto autonomi,in cui è frammentato il cosiddetto Patrimonio di San Pietro, germe del futuro Stato del-

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Filippo Brunelleschi, Sagrestia Vecchia, interno

e particolare delle cupole, 1422-28 ca.

[Basilica di S. Lorenzo, Firenze]

L’architettura

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la Chiesa. L’Italia meridionale mantiene la sua natura di Regno, con Napoli come capita-le, e una forte impronta feudale. Cambia, però, la dinastia al potere, perché, dopo un lun-go periodo di crisi e di decadenza, nel 1442 agli Angioini subentrano gli Aragonesi. So-no gli Stati che abbiamo nominato a determinare in gran parte gli equilibri politici dellapenisola nel Quattrocento, in modo particolare dopo che, verso la metà del secolo, allafine di un lungo periodo di guerre espansionistiche, hanno raggiunto un assetto equili-brato che ha consentito un lungo periodo di pace.

11. Le coordinate storiche e culturali 435

Già sul finire del Trecento si avver-tono in Toscana i primi segni di unrinnovamento stilistico che maturaappieno nei primi decenni del seco-lo successivo, in particolare a Firen-ze, dando avvio a quella straordina-ria fioritura delle arti definita Rina-

scimento. Da Firenze, poi, le novitàdel nuovo stile si diffondono pro-gressivamente nelle altre città italia-ne, con esiti molto diversi, anche inconsiderazione delle differenti si-tuazioni politiche e culturali locali edelle diverse tradizioni artistiche.La coscienza di una “rinascita” inve-ste sia gli studi filosofico-letterari, siale arti figurative e l’architettura. Pro-prio come i letterati e gli storici, an-che gli architetti, i pittori e gli scultorisi dedicano allo studio delle opere edei monumenti antichi.Al rinnovato interesse per il mondoclassico si accompagna un intensosviluppo dell’interesse scientifico.L’approfondimento della teoria del-

le proporzioni (la ricerca di una cor-

rispondenza di misura fra due o piùparti in stretta relazione fra di loro) el’elaborazione del metodo della pro-

spettiva [uil punto su, p. 449] so-no le basi tecniche sulle quali poggiala rivoluzione del linguaggio artisti-co, rivoluzione nella quale l’architet-tura svolge un ruolo di primaria im-portanza.Gli architetti medievali costruivanogli edifici basandosi sull’esperienzatramandata dai maestri precedenti,senza un fondamento teorico preci-so. Nell’architettura del Rinascimen-to, invece, l’ideazione, il disegno delprogetto, la definizione della struttu-ra dell’edificio costituiscono la fasepiù importante della costruzione. Artefice del rinnovamento in archi-tettura, e non solo, è Filippo Brunel-leschi (1377-1446), al quale si devela codifica di un linguaggio architet-tonico fondato sull’impiego di for-me geometriche semplici, sullo stu-dio delle proporzioni che devonodeterminare i rapporti fra le parti,

sulla ripresa della sintassi classicabasata sull’ordine architettonico esull’arco a tutto sesto. Un linguag-gio a cui faranno riferimento tutti isuccessivi architetti rinascimentali.Fra i numerosi edifici progettati dal-l’architetto fiorentino, la SagrestiaVecchia di San Lorenzo a Firenzeesemplifica bene il suo stile. Lo spa-zio interno è un ambiente pressochécubico, coperto con una cupola aombrello, da cui si accede a una pic-cola àbside, che riproduce in scalaminore le forme e le decorazioni delvano più grande. Esso è strutturatosu un sistema metrico proporzionaleche ripete, ricorrendo a multipli di 2,una misura base che determina tuttolo sviluppo dell’edificio. Agli elementiplastici delle pareti in pietra serena(grigia) – paraste, trabeazioni e archia tutto sesto desunti dall’architetturaromana – è affidato il compito di evi-denziare la semplicità e il rigore geo-metrico dello spazio dominato dallefigure del quadrato e del cerchio.

La seconda metà del secolo: la svolta del 1454Il 9 aprile 1454, dopo oltre vent’anni di guerre, i maggiori Stati italiani firmarono il trat-tato di Lodi (passato alla storia come “pace di Lodi”): promotori dell’iniziativa furono Mila-

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1. Su cosa fondano il proprio potere le famiglie chegovernano principati e signorie? 2. Che tipo di governovige a Venezia? 3. Possiamo considerare Firenze una

signoria? 4. Quale situazione politica caratterizza nellaprima metà del Quattrocento l’Italia meridionale?

Guida allo studio

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436 Quattrocento

La scultura

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Nell’opera di rinnovamento avve-nuta nell’arte nel corso del Quattro-cento anche la scultura svolge unaparte di primo piano. Proseguendo un processo intra-preso già nel Trecento, la sculturariacquista un valore autonomo,svincolato dalla funzione decorati-va e simbolica dell’edificio. Lo stu-dio dei monumenti antichi porta auna migliore comprensione, e quin-

di a una migliore resa, della figuraumana, delle sue giuste proporzio-ni, della sua anatomia, della suaposizione nello spazio. Ne risultaun’arte maggiormente naturalisti-

ca, più simile al vero.Il primo artista a superare le manie-re del Gotico riallacciandosi allatradizione scultorea greco-romanafu Donatello (1386-1466), che,insieme a Brunelleschi e Masaccio,può dirsi il fondatore dell’arte rina-scimentale e che, fin dalle primeopere, esprime tutte le novità delnuovo linguaggio figurativo.Il San Giorgio, realizzato nel 1416da Donatello per una nicchia ester-na della chiesa fiorentina di Orsan-michele, pur conservando un gu-sto ancora gotico nel sinuoso pan-neggio del mantello, mostra appie-no la capacità dell’autore di infon-dere ai suoi personaggi un’uma-nità e una dignità tutta rinascimen-tale. Il santo esprime orgoglio efermezza: il volto è sereno e con-sapevole, lo sguardo fissa un pun-to lontano; il corpo, composto en-tro schemi geometrici ben definiti,è un solido ben piantato grazie al-le gambe leggermente divaricatee allo scudo che serve da punto di

appoggio; i piedi, il destro di pocoarretrato rispetto al sinistro, e unaleggera torsione del busto sugge-riscono il movimento appena com-piuto per assumere la posturanonché l’idea dello spazio circo-stante.Nel basamento della statua Dona-tello raffigura San Giorgio e il dra-go mostrando di aver appreso ap-pieno la tecnica brunelleschianadella rappresentazione prospettica[u11.9]. L’episodio, infatti, è inseri-to in un paesaggio costruito conuna prospettiva digradante verso ilfondo. Sulla destra, dietro la princi-pessa, il portico classico-rinasci-mentale, da un lato, evidenzia le li-nee prospettiche che corrono ver-so il punto di fuga posto in alto alcentro della lastra, alle spalle delsanto guerriero, dall’altro, introdu-ce il passaggio dai personaggi inbassorilievo alle forme del paesag-gio appena percepibile sullo sfon-do. Colto questa volta in movimen-to, l’eroe è ancora ritratto naturali-sticamente, nel pieno della lottacontro il drago, con il mantello svo-lazzante e il piede sinistro che ser-ra la pancia del cavallo per evitaredi essere disarcionato.

Donatello, San Giorgio e San Giorgio e il drago (rilievo del basamento), 1416-20

[Museo Nazionale del Bargello, Firenze]

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no e Venezia, ai quali si unirono poi il Papato, Firen-ze e Napoli. Nasceva così la “Lega italica”, un’al-leanza che si impegnava a mantenere gli equilibripolitici esistenti e a impedire qualsiasi tentativo diaggressione ai danni degli Stati membri della Lega.Il trattato avrà per l’Italia un’importanza fondamen-tale perché garantirà per quarant’anni un equilibrio

delle forze, che, per quanto precario e costante-mente insidiato, consentirà un significativo svilup-po politico e culturale del paese. Due soli eventi lomisero seriamente a repentaglio: la guerra di Ferra-ra (1482-84), che vide Venezia minacciare pericolo-samente la libertà del piccolo Ducato di Ferrara, ela “congiura dei Baroni” (1484-86), ordita dai gran-di feudatari del Sud ai danni della monarchia arago-nese di Napoli.

11. Le coordinate storiche e culturali 437

CONFEDERAZIONESVIZZERA

DUCATO DISAVOIA

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DUCATO DI FERRARA

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CORSICA(a Genova)

STATODELLACHIESAREP. DI

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Benevento(Stato pont.)

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MARIONIO

DOMINIOASBURGICO

Il quadro politico italiano intorno al 1454

1. Quali Stati hanno stipulato la pace di Lodi? 2. Qualiconseguenze ha avuto quell’accordo sulla situazione

della penisola italiana?Guida allo studio

La discesa di Carlo VIIIA quarant’anni di distanza dalla pace di Lodi, l’Italia fu teatro di un evento che, di lìa poco, avrebbe scardinato per sempre l’assetto politico sancito da quel trattato: ladiscesa in armi del re di Francia Carlo VIII nell’estate del 1494. L’obiettivo di CarloVIII era conquistare il Regno di Napoli. I francesi, attraversata tutta l’Italia senza in-contrare resistenza, raggiunsero Napoli e la occuparono nel febbraio del 1495. Ma fuuna conquista effimera: battuto a Fornovo sul Taro nel luglio dello stesso anno da unalega antifrancese alla quale avevano aderito l’Impero e la Spagna, Carlo VIII dovetterientrare in Francia. Benché di breve durata, l’intervento francese mise a nudo la fra-

gilità di un’Italia politicamente divisa nei confronti delle monarchie nazionali. Seianni dopo la penisola diventerà il teatro delle guerre (le cosiddette “guerre d’Italia”)tra spagnoli e francesi, guerre che termineranno con la conquista da parte delle po-

tenze straniere di gran parte del territorio italiano.

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1. In quale anno Carlo VIII invade l’Italia? 2. Qual era loscopo dell’invasione? 3. Come si conclude la discesa di

Carlo VIII in Italia?Guida allo studio

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Consolidamento degli Stati regionali e cambiamento della classe politicaIl 1454, anno della pace di Lodi, è una data simbolica. Durante il lungo periodo di stabi-lità politica da essa inaugurato giunge a maturazione quel consolidamento degli Stati regio-nali cominciato negli anni Quaranta. Insomma, molte signorie si trasformano in veri e pro-pri principati. Nel 1442, abbiamo detto, nuovi sovrani provenienti dall’Aragona si eranoinstallati nel Regno di Napoli [u11.2]; la pace di Lodi sancisce a Milano il passaggio dina-stico dai Visconti agli Sforza; intorno alla metà del secolo perfino il Papato getta le basiper trasformare il caotico dominio di San Pietro in quello che sarà lo Stato della Chiesa;pressappoco negli stessi anni comincia il periodo di effettivo dominio dei Medici in Firen-ze. Altre date simboliche danno l’idea di quanto il processo di consolidamento sia esteso ediffuso in tutta la penisola: gli Este riescono a trasformare il Marchesato di Ferrara in Duca-to (1450, 1471); nel 1433 erano stati i Gonzaga di Mantova a diventare da conti marche-si; nel 1443 i Montefeltro di Urbino avevano ottenuto il loro primo effimero titolo ducale,reso stabile nel ’74.

Gli Stati si consolidano ma in molti casi cambiano anche i massimi dirigenti. Il datointeressante è che alcune delle nuove dinastie, anche delle più importanti, non hanno unaillustre nobiltà da esibire. È facile immaginare che cosa avrebbe potuto scrivere Dante Ali-

ghieri, così ostile all’emergente potere dellafinanza, di un banchiere senza passato comeLorenzo de’ Medici. Rispetto alla grandenobiltà dei Visconti gli Sforza, capitani di

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438 Quattrocento

Pedro Berruguete, Ritratto di Federico da Montefeltro e del figlio Guidobaldo,

1476-77 ca.

[Galleria Nazionale delle Marche, Urbino]

Succeduto al fratellonella guida dellaSignoria di Urbino,Federico daMontefeltro funominato duca dalpapa Sisto IV nel 1474.Abile politico e validocondottiero, fu ancheappassionato studiosodelle lettere e grandemecenate. Il ritratto del principe illustra con estrema chiarezzail connubio tra il suoruolo di condottiero e quello di intellettualee di patrono delle arti.Federico daMontefeltro, infatti, da un lato indossa unapesante armatura edesibisce ai suoi piedi

un elmo, simboli delpotere militare epolitico, dall’altro, èraffigurato mentrelegge un libro, asottolineare anche la sua figura diumanista. Il ritratto è ambientato nelfamoso Studiolo delPalazzo Ducale, unastanza dalle dimensioniassai ridottecommissionata dalduca stesso e destinataai suoi studi, le cuipareti sono riccamentedecorate da una seriedi ritratti di “Uominiillustri” e da unrivestimento a tarsielignee particolarmenteprezioso.

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11. Le coordinate storiche e culturali 439

1. Quali famiglie si avvicendano al potere a Milano? 2.Come cambia l’assetto politico all’interno degli altri pic-

coli Stati italiani? 3. E nell’Italia meridionale cosa avvie-ne?

Guida allo studio

Le coordinate culturaliLa situazione sociale, politica e culturale del Quattrocento è determinata in gran parte dadue grandi fenomeni, molto diversi tra loro ma capaci entrambi di trasformare profonda-mente il modo di vivere e di concepire la cultura: l’Umanesimo e la corte come istituzio-ne politico-sociale.

L’UmanesimoIL CULTO DELL’ANTICO Nel Quattrocento giunge al culmine quel movimento di ritornoall’antico e di recupero del latino classico, iniziato da Petrarca [u9.3] e Boccaccio [u10.1]e sviluppatosi negli ultimi decenni del Trecento, che va sotto il nome di Umanesimo. Laparola si è imposta in ambito storiografico soltanto nel Novecento: all’origine dei termini“umanesimo” e “umanista” è l’espressione ciceroniana studia humanitatis, letteralmente:‘studi relativi all’uomo’. Secondo gli umanisti, infatti, lo scopo della cultura è di formarel’uomo nella sua interezza, sviluppandone armonicamente le facoltà morali e intellettuali.Gli studia humanitatis, intesi come studio delle discipline letterarie e, in particolare, delleletterature latina e greca, sono il cardine di questa educazione integrale. Gli autori anti-chi, infatti, oltre che di stile letterario sono anche modelli di virtù civili e morali: le loroopere trasmettono un ideale di humanitas nel quale si fondono amore per la conoscenza,senso del valore e della dignità dell’uomo, tensione alla gloria e alla realizzazione monda-na, apprezzamento del bello, esercizio della vita attiva. Il culto dell’antico, dunque, è ilcomune denominatore dell’Umanesimo, quale che sia la configurazione che esso assume.La riscoperta della civiltà classica gradualmente matura una nuova consapevolezza delladistanza storica che separa gli uomini moderni da quelli vissuti nell’antichità, e ciò si allar-ga alla consapevolezza della specificità di ogni epoca. Nasce così una visione prospet-

tica della storia, un embrione di storicismo del tutto assente dalla cultura medievale che,al contrario, tendeva a collocare ogni manifestazione umana sullo stesso piano. È anchegrazie a questo nuovo modo di concepire la storia che il richiamo all’antichità si proiettasul presente, che il dialogo con il passato può tradursi in un insegnamento per l’oggi.

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ventura, sono poco più che dei parvenus. A Napoli il mutamento è ancora più traumatico:agli Angiò, stranieri ma acclimatati nel Regno fin dalla seconda metà del Duecento, suben-tra una dinastia sicuramente illustre, ma estranea. Così estranea, che per decenni la linguadella cancelleria e della corte è stata il catalano.

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440 Quattrocento

L’UMANESIMO LA SOCIETÀ DI CORTE

novità rispetto alle corti feudali e trecentesche

grande egemonia culturale

elaborazione di un nuovo codice comportamentale

di lunghissima durata

nuova figura sociale: il gentiluomo

che si sposta da una corte all’altra

bisogno di coesione nel sistema delle varie corti

notevole sviluppo nella seconda metà delQuattrocento della letteratura in volgare

condivisione di un vocabolario, di uncostume e di un sistema di valori

idea centrale: dignità dell’uomo artefice del proprio

destino

educazione integrale dell’uomo incentrata sugli studiahumanitatis, con alla base le letterature classiche

autori antichi come modelli di lingua, di stile, di valori

studio del latino, del greco, dell’ebraico

scoperta di testi antichi

nascita della filologia

umanista: intellettuale impegnato con ruoli importanti nell’educazione e in politica

due innovazioni fondamentali

stampa a caratteri mobili la prospettiva

velocizzazione del processo di produzione del libro

e abbattimento dei costi ampliamento del pubblico dei lettori

Salutati Bruni Bracciolini

ASPETTI CENTRALI DEL QUATTROCENTO

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LO STUDIO DELLE LINGUE CLASSICHE Alla base del culto umanistico per l’antico c’èl’esaltazione delle lingue della classicità: in un primo tempo, del latino, poi anche del gre-co. Per gli umanisti il latino non era una lingua come le altre, era la lingua della civiltà:era attraverso il latino, infatti, che i Romani avevano diffuso la cultura, le arti e i valoridell’uomo libero in tutto il mondo. Pertanto è una concezione ideologica a far sì che illatino sia per gli umanisti una lingua di dignità molto superiore a quella del volgare; permolti di loro, addirittura, l’unica lingua che possa essere usata nella scrittura. Gli umani-

sti cominciano anche a studiare il greco, ignoto a Dante e di cui Petrarca e Boccaccioavevano conosciuto solo pochi rudimenti grammaticali. Nella seconda metà del Quattro-cento emerge pure l’esigenza di comprendere più a fondo la Bibbia, e così nasce l’inte-

resse per l’ebraico.

LA RISCOPERTA DELLE OPERE CLASSICHE Il movimento umanista era animato, dun-que, dal bisogno di conoscere i testi degli antichi, ma questi, in larga parte, giacevanochiusi e dimenticati nelle biblioteche dei conventi, delle cattedrali e delle grandi abbazieeuropee. Il Medioevo aveva tramandato solo un piccolo numero di opere latine e greche:molte erano conosciute attraverso compendi, riassunti o citazioni; di alcune si era addirit-tura persa memoria. I pionieri delle ricerche bibliografiche erano stati Petrarca e Boc-

caccio. Nel nuovo secolo il più attivo nel portare alla luce grandi testi della latinità è Pog-

gio Bracciolini (1380-1459), che nel corso dei suoi frequenti viaggi nell’Europa settentrio-nale, tra il 1415 e il 1417, scopre opere di Cicerone, Quintiliano [uD10] e Lucrezio. Dopola caduta di Costantinopoli (1453) cominciano a circolare anche importanti opere greche;

sullo scorcio del Quattrocento riemerge laPoetica di Aristotele, che sarà fondamentaleper gli ulteriori sviluppi della cultura europea.

11. Le coordinate storiche e culturali 441

Antonello da Messina, San Gerolamo nello studio,

1460-75

[National Gallery, Londra]

Formatosi sulla culturafiamminga importata aNapoli da Renato d’Angiòe da Alfonso d’Aragona,Antonello da Messina(1430 ca.-1479) puòdefinirsi uno dei piùgrandi pittori delQuattrocento. In questasua famosa opera siavverte pienamente lospirito della culturaumanistica. Antonellorinnova l’iconografia disan Gerolamo,raffigurandolo non piùnelle vesti di eremita main quelle di studioso,posto al centro di unospazio profondo,articolato e misurabile.Anche il riferimento alla

leggenda del santo, checavò una spina dallazampa di un leone, passain secondo piano con lafigura del leone divenutapoco più di un’ombrascura (sotto gli archi, adestra). L’artistamessinese non èinteressato al racconto:ciò che gli preme èsottolineare la dignitàintellettuale e morale delpersonaggio, ponendoloal centro di un fascioluminoso che, entrandodalle ampie aperture,investe gli oggetti e lefigure.

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La “liberazione” dei classici

Poggio Bracciolini, Epistolario, I, 5; trad. di Eugenio Garin

Nel passo di una lettera indirizzata il 15 dicembre 1416 da Costanza (in Germania) a GuarinoVeronese, il più grande pedagogista dell’Umanesimo, Poggio Bracciolini racconta con grandeemozione il ritrovamento dei libri di Quintiliano.

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442 Quattrocento

Molti essendo stati gli autori latini, come sai,egregi nell’arte di perfezionare e adornare il di-scorso, fra tutti illustre ed eccellente fu M. FabioQuintiliano1, il quale così chiaramente e compiu-tamente, con diligenza somma, espone le doti ne-cessarie a formare un oratore perfetto, che non misembra gli manchi cosa alcuna, a mio giudizio,per raggiungere una somma dottrina o una sin-golare eloquenza. [...] Ma egli presso di noi italia-ni era così lacerato, così mutilato, per colpa, iocredo, dei tempi, che in lui non si riconosceva piùaspetto alcuno, abito2 alcuno d’uomo. Finoraavevamo dinanzi un uomo «con la bocca crudel-mente dilacerata, il volto e le mani devastati, leorecchie strappate, le nari sfregiate da orrende fe-rite3». Era penoso, e a mala pena sopportabile, chenoi avessimo, nella mutilazione di un uomo sì

grande, tanta rovina dell’arte oratoria; ma quan-to più grave era il dolore e la pena di saperlo mu-tilato, tanto più grande è ora la gioia, poiché lanostra diligenza gli ha restituito l’antico abito el’antica dignità, l’antica bellezza e la perfetta sa-lute. [...] E [...], per Ercole, se non gli avessi reca-to aiuto, era ormai necessariamente vicino algiorno della morte. Poiché non c’è dubbio chequell’uomo splendido, accurato, elegante, pienodi qualità, pieno di arguzia, non avrebbe più po-tuto sopportare quel turpe carcere, lo squalloredel luogo, la crudeltà dei custodi. Era infatti tri-ste e sordido come solevano essere i condannatia morte, con la barba squallida4 e i capelli pienidi polvere, sicché con l’aspetto medesimo e conl’abito mostrava di essere destinato a un’ingiustacondanna.

1. M. Fabio Quintiliano: scrittore latino (35-95d.C.), autore dell’Institutio oratoria (‘L’istituzio-ne oratoria’), opera dedicata alla formazione

dell’oratore, dalla prima infanzia all’ingressonella vita politica come cittadino.2. abito: ‘aspetto’.

3. con la bocca... ferite: citazione da Virgilio,Eneide, VI, vv. 496-498.4. squallida: ‘incolta’.

LA FILOLOGIA Il ritrovamento delle opere della classicità costituì solo il primo passo ver-so il recupero della civiltà antica. A esso seguì, ancora sulla scia di quanto aveva fattoPetrarca, il tentativo di ricostruire la loro veste originale. Gli umanisti, infatti, erano con-sapevoli che i testi usciti dall’oblio di secoli erano stati alterati da errori, aggiunte, modi-fiche, omissioni di cui si erano resi responsabili copisti e traduttori. La disciplina che essifondarono, la filologia, cercava per l’appunto di porre rimedio ai guasti della tradizione edi avvicinarsi il più possibile alla lezione genuina di un testo.

LA FIGURA INTELLETTUALE DELL’UMANISTA L’umanista non è solo un ricercatore e unostudioso, è una compiuta figura di intellettuale immerso nel dibattito culturale e politicodel suo tempo. Già a partire dalla fine del Trecento questo intellettuale di professione, anti-cipato da Petrarca e Boccaccio, entra stabilmente nel panorama della cultura italiana. Gli

umanisti occupano ruoli importanti nel sistema dell’insegnamento a tutti i livelli ed

esercitano funzioni anche di notevole importanza all’interno dei governi sia repubbli-cani, sia principeschi. Il potere, infatti, si accorge ben presto di quanto questi nuovi intel-lettuali possano essere determinanti per la sua politica culturale. Se con gli scritti essi sono

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in grado di elaborare mitologie a sostegno di specifiche scelte politiche o, più generica-mente, di dinastie bisognose di consenso, grazie alle competenze retoriche e alla culturastorica formate sugli studia humanitatis possono svolgere incarichi delicati di tipo ammi-nistrativo e diplomatico. Alcuni esempi: il cancelliere della Repubblica fiorentina ColuccioSalutati (1331-1406) elabora il mito della ‘libertà fiorentina’ (florentina libertas) contro la“tirannide” della nemica tradizionale, la Milano dei Visconti [uD11]. Più tardi LeonardoBruni (1370 ca.-1444), cancelliere come Salutati, nel momento in cui torna a farsi pres-sante la minaccia viscontea celebra la città di Firenze come novella Roma e novella Atene,e ne scrive una storia (Historiae florentini populi, ‘Storie fiorentine’) che è un monumentograndioso alla virtù repubblicana. Ancora: a Napoli Alfonso d’Aragona, durante la guerracondotta per assicurarsi il trono di Napoli, fra i vari modi esperiti per conferire legittima-zione al suo diritto contestato dal pontefice ricorre anche al contributo dei due più gran-di umanisti del tempo: lo stesso Leonardo Bruni e Lorenzo Valla (1405-1457). Quest’ulti-mo, su commissione di Alfonso, scrive nel 1440 il trattato De falso credita et ementita Con-stantini donatione (‘La donazione di Costantino creduta e asserita con falsità’), nel qualedimostra la falsità della donazione della parte occidentale dell’Impero romano, Roma inclu-sa, fatta da Costantino a papa Silvestro I, donazione sulla quale il Papato fondava la legit-timazione del suo potere temporale [u12.4].

Inno alla libertà fiorentina

Coluccio Salutati, Invettiva contro Antonio Loschi da Vicenza

Coluccio Salutati, cancelliere del Comune di Firenze dal 1375 al 1406, unì costantemente l’impe-gno politico all’amore per gli studi umanistici. Di lui riportiamo un’appassionata difesa della cittàdi Firenze, tratta dalla risposta (scritta in latino nel 1403) al cancelliere del Ducato di Milano,Antonio Loschi, sostenitore della politica espansionistica dei Visconti. Salutati esalta le originiromane della sua città, identificando la libertà repubblicana con l’autentica tradizione del popo-lo romano.

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11. Le coordinate storiche e culturali 443

Che cosa significa infatti essere fiorentino, se nonessere per natura e per legge cittadino romano, eper conseguenza libero e non schiavo? È infattiproprio della nazione e del sangue romano queldono divino che si chiama libertà; ed è tanto suaproprietà che chi smette di essere libero non puòpiù ragionevolmente essere chiamato cittadino ro-mano e neppur fiorentino. Tal dono, tal nome glo-rioso, chi vorrà mai perdere, fatta eccezione per co-loro cui non importa diventare da liberi schiavi?

Credimi: noi siamo molto più pronti ad affer-mare e a difendere la nostra libertà di quanto voi

non siate abituati a sopportare una turpe servitùcon la vostra ignavia e pusillanimità1, di cui almondo non ve n’è maggiore. Ho detto abituati enon disposti, per non sembrar giudice temerario,quale tu sei, del nascosto sentire2 degli altri. Forse,poiché talora ritorna nei precordi3 l’antico valore,potrà un giorno tornare anche in voi lo spirito ita-lico, se non siete davvero sangue e stirpe di Vinili,ossia di Longobardi4; forse potrete ancora riscuo-tere in voi il vigore dell’animo, e chiamarvi giusta-mente liberi e cittadini romani; potrete, se Dio vuo-le, scuotere il turpe giogo e ricordare la Gallia Ci-

1. ignavia e pusillanimità: ‘pigrizia morale eviltà’. Qui Salutati si rivolge ai cittadini milanesi.2. nascosto sentire: ‘sentimenti nascosti’.3. precordi: ‘parti più profonde dell’animo

umano’.4. se non siete... Longobardi: l’affermazioneè evidentemente provocatoria; Salutati insinuail dubbio che gli abitanti di Milano discendano

non dall’antico popolo romano ma dai Longo-bardi (o Vinili, ossia ‘guerrieri’ nella lingua lon-gobarda) che invasero l’Italia nel VI secolo d.C.

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salpina5, e la gloriosissima stirpe gallica di cui èproprio il godere di una libertà regia, e odiare i ti-ranni, e abbominare come qualcosa di orrendo an-che il più lieve servaggio. Ma per tornare a noi, sel’animo regge, se soccorran le forze, se ci assista ilvalore, confidiamo senza esitazione di difendere lanostra terra. Tu soggiungi di non vedere in noi for-ze bastevoli per opporci a quattro legioni di cava-lieri che, come dici, vengono armate contro di noi;ben le vediamo e le sentiamo noi, consapevoli chein guerra il coraggio vale le mura; consapevoli chela vittoria non è nella moltitudine dei soldati manelle mani di Dio; consapevoli che per noi combat-te la giustizia. Noi ricordiamo quel che tu neghi, diessere di stirpe romana; noi leggiamo che i nostrimaggiori6 hanno spesso resistito contro forze so-verchianti di nemici, e con piccole schiere non so-lo hanno difeso le cose loro, ma hanno anche ot-tenuto insperata vittoria. [...]

Non posso credere che il mio Antonio Loschi,che ha visto Firenze, o alcun altro, chiunque l’ab-bia vista, a meno che non sia del tutto folle, pos-sa negare che essa sia davvero il fiore d’Italia e lasua parte più bella. Qual città, non soltanto in Ita-lia ma in tutto il mondo, è più salda nella cintadelle sue mura, più superba di palazzi, più ador-na di templi, più bella di edifizi, più splendida diporticati, più ricca di piazze, più lieta di ampiestrade, più grande di popolo, più gloriosa di cit-tadini, più inesauribile di ricchezze, più fecondanei campi? [...] Qual città, priva di porto, ha tan-to traffico di merci? Dove maggiore il commer-cio, più ricco per varietà di scambi, più abile persottili accorgimenti? Dove uomini più illustri, eper tacer degl’infiniti che sarebbe fastidioso ri-cordare, così insigni per imprese, valenti nelle ar-mi, potenti per giusti domini, e famosi? doveDante, dove Petrarca, dove Boccaccio?

444 Quattrocento

5. Gallia Cisalpina: con Gallia Cisalpina siintendeva anticamente l’Italia del Nord, che i

Celti occuparono verso il V secolo a.C. costi-tuendo una minaccia per Roma fino alla fine del

III secolo a.C.6. maggiori: ‘antenati’.

CENTRALITÀ DELL’UOMO Quello umanistico è stato un movimento “totale”. Nato dalcontatto con i testi dei classici, nel corso del tempo elabora una visione del lavoro intel-lettuale e, più in generale, del ruolo dell’uomo nella società e della sua collocazione nelmondo che si riverbera su tutti i settori della vita, dalla politica alla storia, dalla moralealla filosofia, alla pedagogia e, naturalmente, alla letteratura. Non esiste un sistema di valo-ri nel quale tutti gli umanisti si possano riconoscere, perché il movimento è molto varie-gato al suo interno. Esistono però alcuni concetti basilari comuni a gran parte di loro: inprimo luogo, l’idea della dignità dell’uomo che, grazie al libero arbitrio e alle facoltà intel-lettuali di cui Dio lo ha dotato, può essere artefice del proprio destino e, pertanto, orien-tare la storia e trasformare il mondo intorno a lui. Da questa idea discendono alcune con-seguenze anche di ordine pratico, quali l’impegno nella vita attiva e una nuova idea di

otium, cioè del tempo dedicato allo studio e alla riflessione. A differenza dell’ascetismomonastico, l’otium umanistico si iscrive in un orizzonte mondano.

1. Quando si è imposto il termine “umanesimo”, e in qualeaccezione? 2. Quali valori sono compresi nell’ideale di hu-manitas? 3. Per quali ragioni lo studio delle lingue classi-che assume così grande importanza nella cultura umanisti-ca? 4. In che modo la riscoperta autentica della civiltàclassica favorisce la nascita di un embrione di storicismo?5. In quale modo viene incrementata la conoscenza dei te-

sti latini antichi? 6. Chi è Poggio Bracciolini? 7. Di cosa sioccupa la filologia? 8. Quali ruoli svolge l’intellettualeumanista nel panorama culturale italiano del Quattrocen-to? 9. Quale contributo fornisce l’intellettuale umanista alconsolidamento dell’autorità politica dei principali Stati ita-liani nel Quattrocento?

Guida allo studio

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La corteLA NUOVA CORTE QUATTROCENTESCA Nella seconda metà del Quattrocento il consoli-darsi degli Stati regionali provoca profondi cambiamenti nella composizione e nel ruolo del-l’antico istituto della corte. Intorno alla metà del secolo nasce quella civiltà delle corti che,passando attraverso varie trasformazioni, eserciterà in tutta Europa un’influenza determi-nante sulla formazione dei ceti dirigenti e degli strati elevati della società. Un’influenzache sarà decisiva in epoca rinascimentale, ma che resterà attiva ancora per molto tempo,perfino dopo la Rivoluzione francese. Il codice delle buone maniere, cioè del modo di vive-re in società, formatosi tra Quattro e Cinquecento si è mantenuto per secoli e su di esso siè fondata in gran parte anche la buona educazione della classe borghese. La corte princi-pesca del secondo Quattrocento è diversa non solo dalle corti feudali del Medioevo, maanche da quelle signorili che l’hanno immediatamente preceduta. Essa, infatti, è il luogo

centrale di governo dello Stato, cioè è il centro effettivo del potere, ma è anche, nello

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11. Le coordinate storiche e culturali 445

Andrea Mantegna, La corte di Ludovico Gonzaga, 1467-74 ca.

[Camera degli Sposi, Palazzo Ducale, Mantova]

La corte, nella quale risiedono ilsignore e i suoi familiari, insieme condiverse centinaia di ufficiali, funzionari,servitori, ha un carattere ibrido, fra ilpubblico e il privato: è una residenzaprivata, ma anche il luogo in cui simette in scena il teatro del potere realee in cui si esercita la sovranità. Tanto lospazio fisico che la ospita quanto le

persone che la frequentano devonotestimoniare la natura eccezionale dellacorte stessa; per questo motivo igrandi signori del Rinascimentochiamano, accolgono e stipendiano ipiù grandi artisti perché costruiscano oadornino gli edifici riservati all’eserciziodel potere. Andrea Mantegna (1431-1506), pittore di corte della famiglia

Gonzaga dal 1459, esegue e dirige ilavori di decorazione di molte residenzedei signori di Mantova. Fra i suoi lavoriil più noto è la decorazione dellaCamera degli Sposi nel Palazzo Ducaledi Mantova, dominata dal grandeaffresco che ritrae Ludovico IIIGonzaga e sua moglie Barbara diBrandeburgo con la famiglia e la corte.

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stesso tempo, il teatro della vita mondana e, quindi, il luogo dove si producono e si con-sumano gli eventi culturali.

LA SOCIETÀ DI CORTE La società di corte produce una cultura che rispecchia il suo mododi vivere e che, insieme, esprime la consapevolezza che essa ha di sé e del suo ruolo. Sic-come quanto è prodotto a corte nei campi della cultura, dell’arte e del comportamentosociale si riverbera, grazie al prestigio di cui la corte gode, anche sugli strati sociali chenon gravitano direttamente intorno a essa, la corte principesca finisce per esercitare unaegemonia culturale che va molto al di là del ristretto mondo cortigiano [uD12]. La societàche si riunisce in una corte, comunque, è assai meno ristretta di quanto si possa pensare.In essa si ritrovano il patriziato cittadino, l’antica nobiltà feudale, la nuova nobiltà dellemagistrature, i funzionari, i militari, gli amministratori, i giocolieri, i buffoni, senza dimen-ticare gli artisti, i letterati e gli uomini di cultura. Un insieme eterogeneo, dunque, cheperò tende sempre più a uniformarsi in una nuova figura sociale, quella del “gentiluo-

mo”, cioè del nobile o del nobilitato che dalla corte dipende economicamente e social-mente. Ma il gentiluomo non dipende tanto – ed è questa la novità – da una singola e deter-minata corte, quanto dal sistema delle corti. In effetti le varie corti italiane, per compo-sizione sociale, struttura gerarchica, comportamenti culturali e gusti artistici, sono omo-genee fra loro al di là delle differenze territoriali. I gentiluomi cortigiani, dunque, posso-no passare da una all’altra senza avvertire differenze sostanziali.

Un insieme tanto eterogeneo, ovviamente, aveva problemi di fusione: necessitava diun costume e di un vocabolario comuni e, soprattutto, necessitava di un sistema di valori chepotesse essere condiviso da tutti. Si aggiunga che i signori e i sovrani, o perché stranieri o per-ché di dubbia nobiltà, dovevano legittimare il potere loro e quello dei ceti che con loro erano

cresciuti. A ciò provvide soprattutto la letteratura in

volgare. Ecco perché nella seconda metà del secolo al-l’interno del mondo delle corti assistiamo a un impetuo-so sviluppo di quella letteratura in volgare che, nellaprima metà del secolo, il movimento umanistico avevafatto così gravemente deperire.

446 Quattrocento

1. Che cosa rappresenta la corte principesca nel secon-do Quattrocento? 2. Da chi è composta la corte? 3. Chiè il gentiluomo? 4. Quale ruolo svolge la letteratura involgare nel quadro culturale della società di corte?

Guida allo studio

Un aneddoto di corte

Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri

Il libraio fiorentino Vespasiano da Bisticci è testimone di un curioso caso accaduto alla corte di Na-poli e relativo al cambiamento della moda e del gusto presso la società nobiliare. Nella seconda metàdel Quattrocento si affermano gusti austeri e raffinati, per cui passano di moda le stoffe dorate e ditinte vivaci in favore dei tessuti neri. Ma nella provinciale Siena non se ne erano ancora accorti. Ilpovero ambasciatore senese è vittima di uno scherzo di gusto abbastanza dubbio.

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Era a Napoli uno ambasciadore sanese, dellaloro natura, molto borioso1. La Maestà del re ilpiù delle volte vestiva di nero, con qualche fer-

maglio nel cappello, o qualche catena d’oro alcollo: i broccati e vestiti di seta poco gli usava.Questo ambasciadore vestiva di broccato d’oro

1. della loro... borioso: ‘molto vanitoso, come sono per indole i senesi’.

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molto ricco, e sempre quando veniva al re ave-va questo broccato d’oro. Il re più volte con que-gli sua domestici2 se ne rideva di questo vestiredi broccato. Un dì, ridendo disse a uno de’ sua;per certo che io voglio che noi facciamo chequesto broccato muti colore; e per questo ordinòuna mattina di dare udienza in uno luogo mol-to misero3; e fece chiamare tutti gli ambasciado-ri, e ordinò con alcuno de’ sua4, che la mattinain quella calca ognuno si stropicciasse addossoallo ambasciadore sanese, e stropiciassino quel-lo broccato. La mattina, non solo dagli amba-

sciadori, ma dalla Maestà del re era pinto e stro-picciato5 in modo quello broccato, che uscendoda corte, non era uomo che potesse tenere le risa,vedendo quello broccato, ch’era di chermisi6, colpelo allucignolato7, e cascatone l’oro, e rimastala seta gialla, che pareva la cosa più brutta delmondo. A vederlo la Maestà del re uscir dallasala, col broccato tutto avviluppato e guasto8,non poteva tenere le risa; e stette parecchi dì,che mai fece altro che ridere di questa novella diquesto ambasciadore sanese; e lui mai s’avvidequello che gli era suto9 fatto.

11. Le coordinate storiche e culturali 447

2. quegli sua domestici: ‘gli amici più intimi’.3. misero: ‘povero, squallido’.4. con alcuno de’ sua: ‘per mezzo di qualcunodei suoi intimi’.

5. pinto e stropicciato: ‘urtato e sgualcito’.6. chermisi: ‘colore rosso vivo’.7. allucignolato: ‘attorcigliato come stoppinidi candele’.

8. avviluppato e guasto: ‘aggrovigliato e sciu-pato’.9. suto: ‘stato’.

L’invenzione della stampaL’invenzione della stampa a caratteri mobili rappresenta nella storia della cultura una rivo-luzione paragonabile soltanto a quella prodotta nel XX secolo dal computer e dalle nuovetecnologie telematiche. Nel 1454, a Magonza, l’orefice tedesco Johann Gutenberg stam-pa con i caratteri mobili una Bibbia latina. È la prima volta che questa tecnologia vieneimpiegata. Un carattere mobile è un supporto di metallo o di legno su cui è impressa unalettera dell’alfabeto. Accostati fra di loro, i caratteri possono comporre qualunque parola equalunque pagina, ma, soprattutto, possono essere riutilizzati senza limiti. La pagina di

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Le biblioteche umanistiche

FOC

US

Nel Quattrocento la biblioteca ènon solo il luogo dove si conserva-no i libri, ma è anche un luogo di

produzione e di scambio cultura-

le. I dotti, infatti, in ossequio anchea precise direttive dei signori, sidedicano alla ricerca di nuovi libri ealla loro copiatura (e ciò anchedopo l’avvento della stampa). Inol-tre è frequente l’interscambio sottoforma di prestito di libri manoscrittida un centro all’altro. Nel corso delXV secolo per la prima volta labiblioteca si dota di funzionari (dalbibliotecario al contabile) e mantie-

ne un rapporto stabile con le botte-ghe dei copisti e, più tardi, con lestamperie. Tra le biblioteche piùcelebri del tempo va innanzituttoricordata quella fiorentina del con-vento di S. Marco voluta da NiccolòNiccoli (1364-1437), instancabilericercatore e trascrittore di testigreci e latini. Nel 1444, adempien-do alle sue volontà testamentarie,Cosimo de’ Medici ne aveva trasfe-rito la cospicua biblioteca privata inS. Marco e l’aveva aperta a tutti i cit-tadini amanti degli studi ancheattraverso il prestito esterno. Come

ampliamento di questa, sempre aFirenze, nasce la biblioteca Lauren-ziana, voluta da Lorenzo il Magnifi-co; in seguito fu collocata in un edi-ficio progettato da MichelangeloBuonarroti. La biblioteca Marcianavenne costituita a Venezia nel 1468per iniziativa del cardinale e umani-sta greco Giovanni Bessarione(1403-1472). Infine, la bibliotecaVaticana fu istituita da papa NiccolòV (1447-55) e aperta al pubblico dapapa Sisto IV (1471-84). Si tratta diistituzioni prestigiose ancora oggioperanti.

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caratteri così composta viene inchiostrata e poi, permezzo di un torchio, impressa sul foglio. Questosistema rende obsoleto il lento, faticoso e costosissi-mo lavoro di copiatura a mano in vigore fin dalle ori-gini della scrittura. I vantaggi sono evidenti: in tem-

pi rapidi è possibile stampare un numero elevatis-

simo di copie di uno stesso testo e, quel che piùconta, abbattendo i costi di produzione. La possi-

bilità di acquistare a prezzi ragionevoli (rispetto aquelli astronomici di un codice manoscritto) ognitipo di libro determina un cambiamento profondo nelrapporto fra i lettori e i libri, tanto che, nell’arco dicirca un cinquantennio, si forma un pubblico di let-tori molto diverso per ampiezza e per qualità socialee culturale da quello, ristretto ed elitario, che avevaavuto accesso ai libri fino ad allora. L’invenzione diGutenberg dilaga rapidamente in tutta Europa. In Ita-lia la prima officina tipografica è allestita a Subiaco

nel 1465. In un breve giro di anni nasce un numero elevatissimo di stamperie un po’ intutta la penisola. E parallelamente decadono le botteghe dei copisti (scriptoria), alcuneanche di grandi dimensioni, come quella organizzata a Firenze dal libraio e letterato Vespa-siano da Bisticci (1421-1498).

L’editoria a stampa dispiegherà tutte le sue potenzialità a partire dai primi decenni delCinquecento. A cavallo fra i due secoli, a Venezia, opera l’umanista e tipografo Aldo Manu-

zio (1450-1515), che può essere considerato il primo editore nel senso moderno della

parola: a lui, fra l’altro, si deve l’invenzione del libro di piccolo formato e quella dei carat-teri in corsivo. Ancora nella seconda metà del Quattrocento, però, l’industria tipografica sirivolge soprattutto a un pubblico medio-basso, quando non addirittura “popolare”: perquesto pubblico di scarse pretese culturali stampa testi didattici, devozionali, manuali diuso pratico e qualche opera di intrattenimento. Gli umanisti e i rappresentanti delle clas-si più elevate guardano con distacco il nuovo strumento di diffusione della cultura e segui-tano ad affidare al manoscritto le opere colte o ritenute di livello superiore. È sintomaticodi tale atteggiamento che il signore di Urbino Federico da Montefeltro proibisca formal-mente che nella sua nutritissima e selezionatissima biblioteca entrino testi a stampa.

448 Quattrocento

L’interno di una stamperia, XV sec.

Nell’immagine si riconoscono, da sinistra a destra, un tipografoche prepara i tamponi con i quali inchiostrare la forma distampa, l’impressore, che aziona il torchio, l’addetto alla letturadelle bozze, il compositore dietro alla cassetta dei caratteri, cheallinea le lettere nel compositoio (l’oggetto che regge nellamano sinistra), e, in primo piano a destra, il proprietario dellabottega che verifica i fogli stampati.

1. Come funziona la stampa a caratteri mobili? 2. Qual èil primo libro a essere stampato? E dove? 3. Quali con-seguenze produce la diffusione del metodo della

stampa sul piano socio-culturale? 4. Chi è Aldo Manu-zio? 5. Quale atteggiamento assumono gli umanistinei confronti della nuova invenzione?

Guida allo studio

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11. Le coordinate storiche e culturali 449

La pittura

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Nel campo della pittura il passag-gio dallo stile gotico a quello rina-scimentale è leggermente più tardi-vo rispetto alle altre arti: nei primidecenni del Quattrocento è il pitto-re fiorentino Masaccio che operaun cambiamento cruciale dandoinizio alla “maniera moderna” dellapittura. L’affermazione del nuovolinguaggio non è tuttavia così sem-plice e immediata; per lungo tempomolti artisti del Quattrocento prefe-riscono adottare uno stile piùmediato, in cui elementi stilisticinuovi si mescolano agli influssi del-la cultura tardogotica.Sulla scia di una lenta rivoluzione av-viata nel secolo precedente da Giot-to, Masaccio (1401-1428) abbando-na i contenuti astratti e simbolicidell’arte gotica per fare della rap-

presentazione “verosimile” delcorpo umano e della natura un prin-cipio fondamentale a cui ispirarsi. Lafigura umana, di cui studia a fondol’anatomia e le espressioni del volto,acquista nelle sue opere una posi-zione predominante e la sua collo-cazione nello spazio è eseguita conestrema coerenza. Fondamentalerisulta l’uso della prospettiva uni-centrica [u11.9], grazie alla quale sistabilisce un preciso rapporto tra isoggetti e gli oggetti rappresentatie lo spazio della narrazione: all’inter-no della scena, figure e cose, dotatedi una consistenza plastica concre-ta, vengono a occupare uno spaziogeometricamente definito e imme-diatamente comprensibile.La Trinità, l’ultima opera realizzatada Masaccio prima della prematurascomparsa, riassume in sé tutti i ca-ratteri innovativi dell’arte del mae-stro fiorentino, che qui opera unasintesi perfetta fra il realismo sculto-reo donatelliano e le regole pro-spettiche di Brunelleschi.In una finta cappella Masaccio raf-figura l’immagine della Trinità, conil Cristo crocifisso sorretto dalla fi-gura di Dio Padre e la colomba del-lo Spirito Santo colta nell’atto discendere verso terra. Maria e Gio-vanni sono disposti simmetrica-mente ai due lati della croce, men-

tre sui gradini della cappella sonorappresentati gli anonimi commit-tenti dell’opera. Nella parte piùbassa della composizione si trovaun sarcofago dipinto su cui giaceuno scheletro.Un preciso sistema metrico regola ilrapporto proporzionale e le distan-ze tra le figure, sottolineandone l’im-postazione piramidale che scala inprofondità secondo gli assi prospet-tici della composizione convergentisulla figura del Cristo, fulcro dram-matico della scena.Inserendo perfettamente le figurein uno spazio costruito prospettica-mente, profondo e misurabile, ilmaestro raffigura la Trinità nonsimbolicamente, come avrebbe fat-to un pittore medievale, ma razio-nalmente, attraverso forme chiaree concrete. La figura di Dio sorreg-ge la croce poggiando i piedi suuna solida mensola di legno, occu-pando uno spazio reale e i duecommittenti, ritratti con grandeprecisione fisionomica, diversamen-te da quanto avveniva nel Me -dioevo, hanno la stessa dimensio-ne delle figure sacre (a parte ilmaestoso Dio Padre). Il dogma per-de così il suo alone di mistero, perdivenire qualcosa che l’uomo conla propria intelligenza può com-prendere.

Masaccio, La Trinità, schema prospettico

Masaccio, La Trinità, 1426-27 ca.

[S. Maria Novella, Firenze]

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La prospettivaAnche nel settore della raffigurazione pittorica si produce una innovazione destinata a cam-biarne il corso, l’invenzione della prospettiva. La prospettiva è un complesso di regole e dicalcoli che consente di rappresentare oggetti a tre dimensioni su una superficie piana, cioèbidimensionale, facendone scaturire un effetto di realtà. Essa si fonda sulle leggi elementa-ri dell’ottica e, in particolare, sul fatto che gli oggetti distanti appaiono all’occhio più picco-li e meno definiti rispetto a quelli vicini. Le leggi geometriche della prospettiva sono messea punto tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento. È il grande architetto Filippo Bru-

nelleschi (1377-1446), famoso per aver progettato la cupola del Duomo di Santa Maria delFiore a Firenze, che ne codifica le regole in alcune “tavolette prospettiche” andate perdute,ma delle quali rimangono precise descrizioni. Nel 1435 l’umanista e architetto Leon Batti-

sta Alberti nel trattato latino De pictura [u12.6] riprende le acquisizioni di Brunelleschi efissa le regole fondamentali della rappresentazione prospettica, regole che saranno applica-te dai grandi pittori del secolo, primi fra tutti Masaccio (1401-1428), Paolo Uccello (1397-1475), Piero della Francesca (1415/20-1492) e Andrea Mantegna (1431-1506). La prospet-tiva è un nuovo modo di interpretare la realtà fondato sui rapporti proporzionali e armoniciche la regolerebbero. È dunque una tecnica che vuole far apparire come naturale un punto divista parziale e costruito. Per impostare un’immagine in prospettiva, infatti, è necessario sta-bilire il punto di vista dal quale l’osservatore deve guardare il dipinto; l’immagine raffigura-ta è quella visibile solo da quel determinato punto e gli oggetti e le figure in essa contenutisono disegnati in proporzione alla minore o maggiore distanza da esso. Quanto non ricadenello spazio così delimitato è escluso dalla rappresentazione. Grazie alla prospettiva l’uomoè in grado di riprodurre un’immagine simile al vero ma ordinata secondo la ragione.

9

450 Quattrocento

1. Che cosa è la prospettiva in ambito pittorico? 2. Qualeimportante merito viene riconosciuto all’architetto FilippoBrunelleschi? 3. In quale trattato vengono rigorosamen-

te codificate le regole della prospettiva e per opera di chi?4. In che senso la prospettiva può essere considerata unnuovo modo di vedere e rappresentare la realtà?

Guida allo studio

La situazione europea Nel XV se-colo la tendenza all’aggregazione

politica e statale porta le monar-chie formatesi nei secoli preceden-ti in Francia, Inghilterra e Spagnaad acquisire la fisionomia di Statinazionali. In Italia e in Germania siformano invece entità statali di am-bito regionale.

La situazione italiana nella prima

metà del secolo Nell’Italiacentro-settentrionale spiccano ilDucato di Milano, retto daiVisconti, e le Repubbliche diVenezia e di Firenze, governate dapotenti oligarchie. Questi Statiregionali o sovraregionali sono alungo in guerra tra loro per il

predominio territoriale. Importantisono poi il Marchesato degli Este aFerrara, la Contea dei Gonzaga aMantova, le Signorie dei Malatestaa Rimini e dei Montefeltro aUrbino. Nel Centro Italia ilcosiddetto Patrimonio di SanPietro, germe del futuro Stato dellaChiesa, è frammentato in piccoliterritori di fatto autonomi. Il Regnodi Napoli, che ha ancora una forteimpronta feudale, nel 1442 passadagli Angioini agli Aragonesi.

La seconda metà del secolo: la

svolta del 1454 Nel 1454, dopoun lungo periodo di guerreespansionistiche, i maggiori Statiitaliani firmano il trattato di Lodi,dando così origine alla “Lega

italica”, alleanza di fondamentaleimportanza perché garantirà perquarant’anni un equilibrio delleforze e consentirà un significativosviluppo politico e culturale delpaese.

La discesa di Carlo VIII Questoequilibrato assetto politico èscardinato per sempre nel 1494: ilre di Francia Carlo VIII scende inItalia per conquistare il Regno diNapoli, occupato nel 1495 senzaalcuna difficoltà e abbandonatonello stesso anno. L’evento mostra lafragilità dell’Italia che, politicamentedivisa, diventerà nei decennisuccessivi teatro di uno scontro cheporterà alla conquista straniera digran parte del suo territorio.

SIN

TESI

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11. Le coordinate storiche e culturali 451

Consolidamento degli Stati

regionali e cambiamento della

classe politica Durante il periododi stabilità politica inaugurato daltrattato di Lodi, il sistema degliStati regionali si consolida. Ilprocesso di consolidamentointeressa: il Ducato di Milano, chepassa dai Visconti agli Sforza, inorigine capitani di ventura; laRepubblica di Firenze, in cui iMedici, in origine banchieri,cominciano a esercitare uneffettivo dominio; il Regno diNapoli, dal 1442 governato dagliAragonesi. Si assiste dunque ancheal cambiamento della classepolitica, i cui rappresentanti sonoin alcuni casi esponenti di famigliedi origine tutt’altro che illustre.Con il conferimento di nuovi titolinobiliari, si rafforzano anche idomìni degli Este a Ferrara, deiGonzaga a Mantova, dei Montefeltroa Urbino. Anche il caotico dominiodi San Pietro si avvia a diventare ilfuturo Stato della Chiesa.

L’Umanesimo Uno dei grandifenomeni che caratterizzano ilQuattrocento è la diffusionedell’Umanesimo, movimento diritorno all’antico e di recupero dellatino classico, iniziato nel Trecentocon Petrarca e Boccaccio. Iltermine deriva dall’espressioneciceroniana studia humanitatis(‘studi relativi all’uomo’): scopo dellacultura diventa la formazioneintegrale dell’uomo, di cui siafferma la dignità in quanto arteficedel proprio destino. Cardine diquesta educazione sono leletterature classiche: lo studio del

latino e del greco diventa centralee gli autori dell’antichità sonoassunti a modello non solo di stileletterario, ma anche di virtù civili emorali. Continua anche la

riscoperta di manoscritti antichi enasce una nuova disciplina: lafilologia, che mira a ricostruire lalezione originale dei testieliminando le modifiche effettuatedai copisti medievali.L’umanista non è solo unostudioso, è un intellettualeimmerso nel dibattito culturale epolitico del suo tempo che spessooccupa ruoli importanti nelsistema dell’insegnamento e nellepratiche di governo. Salutati eBruni ricoprono l’incarico dicancelliere della Repubblicafiorentina; Valla scrive il trattato Defalso credita et ementitaConstantini donatione (‘Ladonazione di Costantino creduta easserita con falsità’) sucommissione di Alfonso d’Aragona,per legittimare il diritto di questicontro le pretese papali.

La corte La corte del secondoQuattrocento è diversa dalleprecedenti: è il luogo centrale digoverno dello Stato, ma è anche illuogo dove si producono e siconsumano gli eventi culturali.Nasce in questo periodo quellaciviltà delle corti che eserciteràper secoli un’influenza decisivasulla formazione degli strati altidella società. La corte, per il suoprestigio, esercita una notevoleegemonia culturale anche suglistrati sociali a essa esterni. Al suointerno emerge una nuova figura

sociale, quella del “gentiluomo”:il nobile o nobilitato che dipendedalla corte e che può passare dauna corte all’altra, data lasostanziale omogeneità socio-culturale del sistema. Unimportante strumento di coesioneè dato dalla letteratura in

volgare, che nella seconda metàdel secolo conosce un impetuoso

sviluppo dopo la crisi del periodoumanistico e contribuisce così acreare un costume e unvocabolario comuni e, soprattutto,un sistema di valori condiviso.

L’invenzione della stampa Nel1454, a Magonza, stampando unaBibbia latina, Gutenberg utilizzaper la prima volta i caratteri

mobili. Questa tecnologiarappresenta nella storia dellacultura una rivoluzione che ha tra ivantaggi più evidenti la velocità el’abbattimento dei costi diproduzione dei libri, ponendo lebasi per la formazione di unpubblico molto più ampio.L’invenzione si diffonderapidamente in Europa e in Italia,dove la prima officina tipografica èallestita a Subiaco nel 1465 e doveriveste un ruolo decisivo, a cavallofra Quattro e Cinquecento,l’officina veneziana di Aldo

Manuzio. L’industria tipograficadispiegherà tutte le suepotenzialità dai primi decenni delCinquecento.

La prospettiva Anche nel settoredella raffigurazione pittorica siproduce un’innovazione decisiva:l’applicazione della prospettiva. Laprospettiva è un complesso diregole e di calcoli che consente dirappresentare oggetti a tredimensioni su una superficie piana,cioè bidimensionale, facendonescaturire un effetto di realtà. Leleggi della prospettiva sonocodificate dall’architetto Filippo

Brunelleschi e riprese erielaborate nel De picturadall’umanista e architetto Leon

Battista Alberti. Le regole fissatedall’Alberti saranno applicate daigrandi pittori del secolo (Masaccio,Paolo Uccello, Piero dellaFrancesca, Andrea Mantegna).

SINTESI

Fonti

Poggio Bracciolini, Epistolario, inProsatori latini del Quattrocento, a curadi Eugenio Garin, Ricciardi, Milano-Napoli 1952.

Coluccio Salutati, Inno alla libertàfiorentina, in Prosatori latini delQuattrocento, a cura di Eugenio Garin,Ricciardi, Milano-Napoli 1952.

Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini

illustri, a cura di Paolo d’Ancona eErhard Aeschlimann, Hoepli, Milano1951, citato in Michael Baxandall, Pitturaed esperienze sociali nell’Italia delQuattrocento, Einaudi, Torino 1978.

BIB

LIOG

RA

FIA

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12La letteratura della prima metàdel Quattrocento

predominio della crisi della

LETTERATURA IN LATINO LETTERATURA IN VOLGARE

Roma

Alberti

Salutati, Bruni, Bracciolini

Valla

autore in latino:De pictura;

De re aedificatoria;Intercoenales

lirica in formeanaloghe a quelle

trecentesche

grande filologo(De falso credita et

ementita Constantinidonatione; Annotazioni al Nuovo Testamento)

Burchiello

(sonetti)

promotore del volgare:Certame coronario;autore della prima

grammatica del volgare

Giusto de’ Conti

di Valmontone

(La bella mano)grande conoscitore

del latino(Elegantie latine

lingue)

sperimentalismolinguistico

autore in volgare:Libri della famiglia

modello petrarchesco

lirica con insertirealistici e giochi

linguistici

Italia

settentrionaleFirenzeFirenze

LETTERATURA DELLA

PRIMA METÀ DEL QUATTROCENTO

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12. La letteratura della prima metà del Quattrocento 453

Caratteri fondamentali della letteraturadel QuattrocentoIl bilinguismoIl bilinguismo latino-volgare è il fenomeno che più di ogni altro modella il panorama cul-turale e letterario del Quattrocento. Anche i due secoli precedenti erano stati bilingui: l’al-ta cultura considerava il latino la sua lingua naturale e nessuno ne contestava veramenteil primato. D’altra parte, gli esponenti della cultura più elevata non solo non polemizzava-no contro l’impiego del volgare, ma, addirittura, potevano essi stessi ricorrere a questa lin-gua per le scritture di invenzione. Si pensi ai giuristi universitari del Duecento dediti allacomposizione di poesie amorose in volgare e, nel Trecento, ai casi clamorosi di Petrarca eBoccaccio. Il fatto nuovo che peserà sullo sviluppo della letteratura in volgare per tutto ilQuattrocento è che, tranne pochissime eccezioni e già a partire dagli ultimi decenni delTrecento, gli umanisti considerano il latino l’unica lingua praticabile e guardano alla lette-ratura in volgare con sufficienza, quando non con disprezzo. Colpita dall’ostracismo delmovimento umanistico, tutta la letteratura in volgare finisce per scivolare ai piani più

bassi del sistema culturale. Ben inteso, nella prima metà del Quattrocento la lettera-tura in volgare non scompare, ma è come relegata in un angolo, incapace di tenere testaal grande prestigio del latino. Uno dei tratti più singolari della storia della nostra lette-ratura è che, dopo aver prodotto capolavori come la Commedia di Dante, il Canzoniere diPetrarca, il Decameron di Boccaccio, dopo cioè essersi rafforzata ed espansa come nessun’al-tra letteratura in volgare in Europa, essa, in tempi rapidi, quasi si inabissa, incapace di pro-durre autori e opere di rilievo. Un bell’esempio di quanto l’ostilità degli umanisti abbiapesato è fornito dalle vicende del cosiddetto “Certame coronario”. Nel 1441 Leon Batti-sta Alberti, un umanista sensibile allo sviluppo del volgare, approfittando della presenza aFirenze della Curia papale in occasione di un concilio, aveva promosso una gara (certame)per rimatori in volgare, il cui premio sarebbe stato una simbolica corona di alloro in argen-to (coronario). La giuria era costituita dagli umanisti della Curia papale. Scopo dell’Alber-ti era di promuovere il volgare attraverso un’autorevole certificazione rilasciata da espo-

nenti della cultura latina. Ebbene, i giudici non asse-gnarono il premio e Alberti perse clamorosamente lasua scommessa. Ancora nel 1441, dunque, i tempinon erano maturi perché la cultura umanistica rico-noscesse la dignità di quella volgare.

1

1. Quale atteggiamento assumono gli umanisti nei con-fronti della letteratura in volgare? 2. Con quale scopoviene organizzato il “Certame coronario”, da chi, e conquale esito?

Guida allo studio

La rinascita della letteratura in volgare nella seconda metà del QuattrocentoIl latino seguiterà a essere egemone per tutto il secolo e oltre. Tuttavia nella secondametà del Quattrocento la letteratura in volgare rifiorisce con un vigore che i decenni pre-

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cedenti non lasciavano sospettare. Per la letteratura italiana è quasi una seconda nasci-ta. La culla è rappresentata dal sistema delle corti. Sono i nuovi gentiluomini che, comeautori o come lettori, fanno della letteratura in volgare il loro principale strumento cul-turale. Ciò accade soprattutto perché la letteratura volgare è in grado di fornire quel vo-

cabolario comune e di insegnare quei codici di comportamento dei quali il variegatomondo delle corti aveva bisogno. Non è un caso che il genere letterario più importan-

te ritorni a essere quello lirico, cioè proprio quel genere che già dai primi decenni delTrecento era scaduto ai livelli più bassi nella scala delle dignità letterarie (Petrarca è uncaso a sé). Ed è ancor meno casuale che la lirica rinasca come lirica d’amore. Come in

epoca medievale la lirica cortese aveva forgiato l’i-deologia delle classi nobiliari, in questo periodo lalirica delle corti, che possiamo chiamare “cortigia-na”, modella i codici comportamentali della nuo-

va nobiltà.

454 Quattrocento

Lo spirito classicista della nuova letteratura volgareLa lirica d’amore del secondo Quattrocento si differenzia notevolmente da quella dominan-te nei centocinquant’anni precedenti perché alla varietà tematica e alla libertà formale hasostituito un punto di ispirazione quasi unico, Petrarca, tanto che, per la prima volta, pos-siamo parlare di petrarchismo [u9.3]. Anche gli altri generi letterari coevi tendono ad ade-guarsi a dei modelli, classici o volgari. Ad adeguarsi, non a replicare in modo stretto: nelQuattrocento non esiste ancora, infatti, un concetto chiaro di classicismo come imitazio-ne e replica di modelli letterari del passato. Questa prassi sarà teorizzata solo nei primidecenni del Cinquecento. Esiste tuttavia un movimento spontaneo, non guidato da rego-la alcuna, verso l’imitazione, col risultato di produrre testi letterari che tendono ad asso-migliarsi tra loro e ad assomigliare, complessivamente, a qualche grande testo del passato(il Canzoniere di Petrarca, il Decameron di Boccaccio, le Bucoliche di Virgilio). Ciò succedeperché la letteratura in volgare, sebbene si sforzi di svincolarsi dall’ipoteca del sovrastan-te Umanesimo, non può non risentire dell’impostazione classicista tipica della produzioneumanistica in latino. In questo secolo, dunque, non troviamo più i grandi monumenti rea-listici come la Commedia e il Decameron, e nemmeno il realismo psicologico del Canzonie-re di Petrarca, ma una letteratura che progressivamente si slega dal rapporto con la vitaper privilegiare quello con altri testi letterari.

3

1. Quali tratti differenziano la produzione lirica in volga-re del Quattrocento da quella precedente? 2. In chemodo lo spirito umanista condiziona la produzione in

volgare? 3. Quale spazio occupa la dimensione realisti-ca nella produzione letteraria del Quattrocento?

Guida allo studio

1. In quale ambiente rinasce la letteratura in volgare? 2.Quali generi in volgare vengono praticati? 3. Quali valo-ri trasmettono le opere in volgare?

Guida allo studio

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12. La letteratura della prima metà del Quattrocento 455

La letteratura della prima metà del QuattrocentoLa letteratura in latinoI CANCELLIERI FIORENTINI Nella prima metà del Quattrocento – ma il fenomeno eracominciato già negli ultimi decenni del Trecento – prevale nettamente la produzione in lati-no. I centri più importanti della cultura umanistica sono Firenze, dove aveva operatoGiovanni Boccaccio, e Roma, sede della Curia papale. A Firenze vivono alcune delle perso-nalità più eminenti del primo Umanesimo: Coluccio Salutati (1331-1406), Leonardo Bru-

ni (1370 ca.-1444) e, dopo un lungo periodo romano, Poggio Bracciolini (1380-1459).Tutti e tre ricoprono in successione la carica di cancelliere della Repubblica fiorentina, adimostrazione di quanto fossero rilevanti i ruoli pubblici che i nuovi intellettuali umanistipotevano ricoprire. Il loro legame con la città è talmente stretto che sia Bruni, sia Braccio-lini scrivono, oltre a numerose altre opere, una storia di Firenze.

LORENZO VALLA Una delle figure di maggiore spicco di tutto il movimento umanistico èLorenzo Valla (1405-1457), attivo soprattutto a Roma, ma anche nella Napoli di Alfonsod’Aragona, detto il Magnanimo. Valla è, insieme a Poliziano, il più grande filologo dell’U-

manesimo e, nello stesso tempo, uno dei maggiori conoscitori della lingua latina. Sua

caratteristica principale è quella di non concepire la filologia come una scienza fine a séstessa e chiusa dentro il recinto della letteratura, ma di metterla al servizio di obiettivi

politici o ideologici. Abbiamo già ricordato come, su richiesta del re di Napoli, egli abbiaprovato la falsità della donazione di Costantino al papa [u11.6]. Il De falso credita et emen-tita Constantini donatione (‘La donazione di Costantino creduta e asserita con falsità’) costi-

4

Caratteri della letteratura del Quattrocento

il BILINGUISMO

è il tratto dominante nel panorama culturale e letterario del Quattrocento

nella prima metà del

Quattrocento la letteratura

volgare è incapace di fronteggiare il prestigio del latino

nella seconda metà

del Quattrocento

la letteratura volgare

rinasce

codifica linguaggio e comportamenti

fa del volgare ilprincipale strumento di

comunicazione tra i“gentiluomini”

si caratterizza per unmovimento spontaneo

verso l’imitazione

lirica “cortigiana”

spirito classicista

della nuova letteratura

in volgare

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tuisce la prima grande applicazione della filologia ai documenti storici e pertanto può esse-re considerato il testo fondatore della diplomatica, cioè della scienza che studia i docu-menti storici tramandati in forma scritta. Non meno significativo della grande libertà men-tale con la quale Valla si pone nei confronti della tradizione è il fatto che egli applichi glistrumenti dell’analisi filologica alla stessa Sacra Scrittura. Nelle Annotazioni al Nuovo Testa-mento sottopone a verifica il testo latino corrente, la Vulgata, confrontandolo con l’anticatraduzione di san Gerolamo. Il suo capolavoro, comunque, sono i dodici libri delle Elegan-tie latine lingue (‘Le eleganze della lingua latina’, redazione definitiva del 1449), un testo

fondamentale sia per la definizione del classicismoumanistico, sia per il ruolo avuto nel diffondere unanuova sensibilità nei confronti della lingua la tina

[uT74]. Il latino di Valla, infatti, si forma sul rappor-to diretto con i grandi scrittori della classicità e inpolemica con quello, ancora medievaleggiante, deiprimi umanisti, Petrarca compreso.

456 Quattrocento

Nella cosiddetta “donazione diCostantino” l’imperatore romanoconcedeva al papa: il primato sulleChiese d’Oriente; le chiese delLaterano, di S. Pietro e S. Paolo Fuorile Mura, oltre a beni in varieprovince; le insegne imperiali; ilprivilegio di promuovere i senatori alclericato; ogni potere sul Laterano, laChiesa di Roma, l’Italia. Redatto negliambienti della Curia romana nell’VIIIsecolo, questo documento costituìdall’XI secolo in poi l’argomentoprincipale a sostegno dellasupremazia del papa, fino alladimostrazione della sua falsità aopera di Lorenzo Valla nel 1440 nelsuo De falso credita et ementitaConstantini donatione.

1. Quali sono i centri più attivi della cultura umanistica eperché? 2. In che modo la filologia diventa anche stru-mento per obiettivi politici o ideologici? 3. Che cosa èla diplomatica? 4. Quali ragioni rendono importante iltrattato Elegantie latine lingue di Lorenzo Valla?

Guida allo studio

Lorenzo Valla

LA VITA Lorenzo Valla è il più eminente rappresentante della seconda generazione degliumanisti italiani, quelli che portarono la cultura umanistica alla sua affermazione definitiva.La vita e la carriera di Valla sono state quelle tipiche di un intellettuale umanista del Quat-trocento: le caratterizzano sia gli spostamenti per tutta l’Italia presso diversi signori, sia lavarietà delle professioni svolte. Valla nasce nel 1405 a Roma da una ricca famiglia piacenti-na e lì compie i primi studi; nel 1419 si trasferisce a Firenze dove studia greco e latino sottola guida di Giovanni Aurispa (1376-1459). Dal 1431 al 1435 vive in vari luoghi dell’Italia cen-tro-settentrionale (fra l’altro, ricopre la cattedra di Retorica allo Studio di Pavia); dal 1435 al

AN

TOLO

GIA

La “donazione di Costantino”,

XIII sec.

[Chiesa dei Quattro Santi Coronati,Roma]

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12. La letteratura della prima metà del Quattrocento 457A

NTO

LOG

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1448 è al servizio del re di Napoli Alfonso d’Aragona (di cui è storiografo ufficiale) e, infine,dal 1448 alla morte torna definitivamente a Roma, come impiegato presso la Curia papale epoi nuovamente come insegnante di Retorica. Muore a Roma nel 1457.

LE ELEGANTIE Valla comincia a scrivere le Elegantie latine lingue (‘Le eleganze della lin-gua latina’) nel 1433, poco dopo aver lasciato l’insegnamento a Pavia. Nel 1439 sono giàcompleti i primi sei libri, che costituiscono il nucleo fondamentale dell’opera. NonostanteValla non la consideri finita, essa comincia subito a circolare fra gli umanisti. Nei succes-sivi dieci anni le Elegantie sono ampliate fino a raggiungere i dodici libri della redazionedefinitiva del 1449. Il continuo accrescimento delle Elegantie era reso possibile dalla lorostruttura “modulare”, cioè dall’essere costruite come una serie di schede linguistiche rac-colte in capitoli dedicati a questioni grammaticali, lessicali e sintattiche. Alle prefazioni aisingoli libri è affidato il compito di esporre i princìpi generali ai quali l’opera si ispira, insintesi l’identificazione della lingua latina con la cultura della classicità. Le Elegantiesono un grandioso trattato sul latino classico costruito su esempi di autori, di epoche diver-se e attivi in generi letterari diversi, nessuno dei quali costituisce una auctoritas. Ciò distin-gue il classicismo di Valla da quello che si andrà affermando nei decenni successivi, basa-to in larga parte sul solo modello ciceroniano. Gli esempi illustrati e discussi hanno lo sco-po di individuare i princìpi di “eleganza” del latino classico e mettere all’indice ciò che aquei princìpi non è rispondente (in sostanza, il latino del Medioevo e quello dei primi uma-nisti). Per Valla l’“eleganza”, più che un significato estetico, ha un significato logico-semantico. L’eleganza di una lingua, infatti, risiede nella sua chiarezza, logicità, econo-mia, in sintesi nella capacità di comunicare in modo univoco, razionale, sintetico. Qua-lità funzionali alla comunicazione retorico-scientifica più che a quella letteraria.

La lingua latina fondamento della civiltà antica e dell’Europa moderna

Elegantie, I, Proemio; trad. di Mariangela Regoliosi, con alcune modifiche

Nei paragrafi iniziali del proemio al primo libro delle Elegantie latine lingue Valla enuncia unadelle idee centrali dell’opera, e cioè che il grande merito dell’Impero romano è stato di aver fat-to della lingua latina uno strumento di unificazione culturale e civile dei popoli. È su quellaeredità che l’Europa moderna può ancora costruire la sua identità culturale.

Quando, come mi avviene spesso, rifletto sulle imprese dei nostri padri e su quelle de-gli altri popoli e re, ritengo che i nostri padri sono stati superiori a tutti gli altri nonsolo per l’estensione del dominio, ma anche per la diffusione della lingua. È noto in-fatti che i Persiani, i Medi, gli Assiri, i Greci1 e molti altri popoli hanno fatto conqui-ste in lungo e in largo, e che gli imperi di alcuni fra questi, anche se inferiori per esten-sione a quello romano, furono molto più duraturi. Ma nessuno di quei popoli diffu-se la propria lingua come hanno fatto i Romani, che in poco tempo – per tacere del-le coste dell’Italia chiamate Magna Grecia, della Sicilia che fu anch’essa greca, e ditutta l’Italia – in quasi tutto l’Occidente, e in gran parte del settentrione e dell’Africaresero la lingua di Roma famosa e quasi regina, quella lingua che si definisce latina

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1. Persiani... Greci: popoli che dominarono anticamente l’area del Mediterraneo o del vicino Oriente.

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dal Lazio, dove si trova Roma, e, per quanto riguarda le province, la offrirono agli uo-mini come un’ottima messe2 per farne una semina: un’opera di certo molto più illu-stre e molto più preziosa della propagazione dell’impero. Infatti gli uomini che esten-dono il loro impero sono di solito molto onorati e sono definiti imperatori; ma colo-ro che hanno fatto del bene all’umanità, essi sono celebrati con una lode degna nondegli uomini ma degli dèi, perché non hanno provveduto all’allargamento e alla glo-ria della loro città, ma anche al bene e alla salvezza dell’umanità intera. È per questoche i nostri padri furono superiori agli altri popoli nei fatti di guerra e per molti altrimeriti; tuttavia, nella diffusione della loro lingua furono superiori a loro stessi, co-me se avessero abbandonato l’impero sulla terra, avessero ottenuto nei cieli la com-pagnia degli dèi. O diremo forse che, mentre Cerere per aver trovato il grano, Baccoil vino, Minerva l’olio3, e molti altri sono stati collocati tra gli dèi per dei benefici delgenere, sarà considerato un merito minore avere distribuito ai popoli la lingua lati-na, una messe meravigliosa e anzi divina, un nutrimento non del corpo ma dell’ani-ma? Fu infatti la lingua latina ad educare quelle genti e tutti i popoli in tutte le artiliberali4; fu essa ad insegnare le leggi più giuste; fu essa ad aprire loro la strada adogni sapienza; fu essa infine a far sì che quei popoli non fossero più dei barbari. Perqueste ragioni, quale giusto esaminatore non preferirà coloro che furono famosi peril culto delle lettere a coloro che lo furono combattendo delle guerre spaventose? Que-sti5 si potrebbero definire uomini regali, ma si potrebbero definire, e con piena giu-stezza, divini coloro che non solo come uomini accrebbero lo Stato e la maestà delpopolo romano, ma provvidero anche, come dèi, alla salvezza del mondo. Tanto piùche i popoli sottomessi al nostro dominio pensavano, e forse non a torto, di perdereil proprio, e, perdita ancora più dolorosa, di essere privati della libertà; invece capi-vano che la lingua latina non mortificava la loro, ma per così dire la insaporiva, co-sì come il vino, introdotto successivamente, non eliminò l’uso dell’acqua, e la setanon eliminò la lana e il lino, e l’oro non cacciò via gli altri metalli, ma aggiunse unarricchimento agli altri beni. E come un gioiello incastonato su un anello d’oro nonlo imbruttisce ma lo adorna, così la nostra lingua, aggiungendosi alle lingue locali diquei popoli, aggiunse splendore non lo tolse. [...] E questo basti a proposito del para-gone tra la lingua latina e l’impero romano. Quell’impero, già da tempo genti e po-poli lo scrollarono via da loro come un peso insostenibile; questa lingua, essi la con-siderarono più dolce di ogni nettare, più lucente di ogni tessuto di seta, più preziosadi ogni oro o di ogni gemma, e la custodirono presso di sé come un dio disceso dalcielo. Grande è dunque il mistero sacro della lingua latina, grande è di certo la suadivina potenza. E questa lingua presso gli stranieri, presso i barbari stessi, presso i ne-mici viene custodita piamente e religiosamente da tanti secoli che noi Romani nondobbiamo dolerci ma rallegrarci e gloriarci davanti al mondo intero che ci ascolta.Romani, abbiamo perso, è vero, il regno e il potere, anche se non per colpa nostra maa causa dei tempi; eppure con questo più splendido dominio noi continuiamo a re-gnare in tanta parte del mondo. Nostra è l’Italia, nostra la Gallia, nostra la Spagna, laGermania, la Pannonia, la Dalmazia, l’Illirico e molte altre nazioni, poiché l’imperoromano è ovunque regna la lingua di Roma.

458 Quattrocento

2. messe: ‘raccolto’, ‘frutto’.3. mentre Cerere... olio: alle tre divinità eraattribuita l’introduzione delle risorse fonda-

mentali dell’agricoltura mediterranea.4. arti liberali: le discipline e le attività nonasservite a scopi pratici, quelle che richiedono

una libera applicazione intellettuale.5. Questi: cioè quelli che combatterono leguerre.

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12. La letteratura della prima metà del Quattrocento 459A

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Lettura guidataIL MANIFESTO DELL’UMANESIMO EUROPEO Iproemi alle Elegantie hanno uno straordinario valo-re storico-culturale: essi, infatti, sono ritenuti con-cordemente dagli studiosi una sorta di dichiarazio-

ne dei princìpi dell’Umanesimo. Valla vi sostieneche il latino ha svolto una missione civilizzatrice cheè passata in eredità dagli antichi Romani all’Europamoderna.

IL LATINO COME FATTORE DI CIVILIZZAZIONE

DEL MONDO ANTICO Nel passo antologizzato delprimo proemio Valla afferma che l’espansione dellalingua latina in tutto il mondo conquistato dalle ar-mi romane, cioè a dire la latinizzazione linguistica eculturale di gran parte dell’Europa e del Mediterraneoantichi, costituisce la differenza essenziale tra l’Im-pero romano e gli altri Imperi dell’antichità. Egli esal-ta, pertanto, la lingua latina come veicolo di civiltà

e come fattore primario di unificazione culturale

dell’Europa antica: è stato attraverso il latino, infat-ti, che essa ha potuto accedere al patrimonio cultu-rale della civiltà greco-latina. Riproponendo motivitradizionali della cultura classica, come l’antitesi trail valore delle armi e il valore della parola, Valla affer-ma inoltre la superiorità dei valori civili e cultura-

li sulla politica di potenza e di conquista e conclu-de che la benemerenza eterna, “divina”, di Roma nonè stata la conquista di un Impero, ma la latinizzazio-

ne del mondo. Non a caso questa è sopravvissuta

alla fine del dominio politico-militare.

LA NASCITA DELLA VISIONE UMANISTICA DEL

MONDO ANTICO Nell’ultimo paragrafo Valla rove-scia il lamento per la perduta grandezza passata nel-la celebrazione dell’attualità e della vitalità dell’e-

redità culturale latina. Il dominio romano sui po-poli è finito, ma continua la missione civilizzatricedella lingua latina, la lingua universale dell’Europamoderna. In questa posizione di Valla, che ne fa unodei maestri dell’Umanesimo, si fondono una nuova

coscienza storica, quella della discontinuità, a li-vello geopolitico e istituzionale, dell’Europa moder-na rispetto a quella antica e, nello stesso tempo, laconsapevolezza della continuità culturale assicura-ta dal latino. È questa nuova sensibilità che spingead abbandonare le nostalgie tardomedievali per unImpero politico come ideale continuatore di quelloromano e a operare affinché possa diffondersi una vi-sione della cultura funzionale alla rinascita civile eculturale dell’Europa. Si può dunque sostenere chel’umanista Lorenzo Valla è uno dei padri dell’idea

moderna di Europa.

analisi

1. Il primo proemio alle Elegantie è costruito come unelogio del protagonista dell’opera, il latino classico.Cerca di ricostruire, eventualmente anche in formaschematica (distinguendo, per esempio, con dei nume-ri le tesi fondamentali e con delle lettere le affermazio-ni e gli argomenti a loro sostegno) la struttura argomen-tativa del passo antologizzato, “traducendo” il linguag-gio di Valla, ricco di immagini e di figure retoriche, in undiscorso semplice e neutro che metta in rilievo le ideechiave e i nessi logici del ragionamento.2. Le idee enunciate in questo passo sono espresse daValla in un linguaggio ricco di figure retoriche: ricostrui-

scine le caratteristiche distinguendo, con una schedatu-ra il più possibile sistematica (per esempio attraverso unatabella a due colonne), le figure retoriche e i campi lessi-cali e di immagini utilizzati e citando tra parentesi la paro-le o i passi relativi.

interpretazione e contestualizzazione

3. Per quali ragioni Lorenzo Valla può essere conside-rato uno dei padri fondatori dell’idea moderna di Euro-pa? Trovi spunti di attualità nelle sue parole? Facendoriferimento al testo che hai letto e al contesto socio-cul-turale in cui opera l’autore, esponi le tue considerazio-ni in un elaborato di circa 300 parole.

Esercizi

La letteratura in volgareITALIA SETTENTRIONALE: LA LIRICA Nei primi decenni del Quattrocento la letteratura involgare non si differenzia sostanzialmente da quella del secolo precedente. Nell’Italia setten-

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trionale continua il predominio del genere lirico in forme analoghe a quelle trecentesche: va-rietà tematica, occasionalità, sperimentalismi metrici al limite del capriccio, dispersione deisingoli testi. Petrarca non ha fatto scuola, con una sola ma rilevantissima eccezione, quelladel rimatore Giusto de’ Conti di Valmontone. Della sua biografia si sa molto poco: nacqueprobabilmente a Roma intorno al 1390 e visse a lungo a Rimini, presso la corte di PandolfoMalatesta, dove morì nel 1449. Giusto è autore di un canzoniere lirico, intitolato La bellamano, che narra la storia del suo amore per una certa Isabetta. Ultimato nel 1440 a Bologna,vi fu stampato per la prima volta nel 1472. Giusto è rilevante perché è il primo fedele imi-

tatore di Petrarca e perché, essendo il suo canzoniere uno dei libri più letti e diffusi di tut-to il secolo, svolge un ruolo fondamentale affinché la lirica amorosa della seconda metà delQuattrocento faccia suoi il vocabolario, i temi e le immagini di Petrarca [uT76].

LA TOSCANA La Toscana, e in modo particolare Firenze, sono i luoghi dove la letteratura involgare manifesta la maggiore vitalità. Qui è viva, perfino negli ambienti umanistici, la le-zione di Dante, rilanciata nel secolo precedente da Boccaccio; una lezione che si innesta sul-la tendenza tipica dei poeti fiorentini a introdurre nei loro componimenti inserti realistici etonalità popolareggianti e a compiacersi di giochi linguistici che sfruttano la particolare ric-chezza lessicale ed espressiva del volgare di Firenze. Il caso più emblematico è rappresenta-to da Domenico di Giovanni detto il Burchiello (1404-1449), sotto il cui nome circolanoun numero molto elevato di sonetti, di cui solo in parte egli è stato autore, che si sono dif-fusi singolarmente in tutta Italia. Si tratta di poesie del tutto particolari nelle quali la sin-tassi è integralmente rispettata, ma i nessi logici tra le parole sono del tutto aboliti [uT75].

IL REGNO DI NAPOLI Ben poco si potrebbe dire delRegno di Napoli, perché fino all’avvento degli Arago-nesi la letteratura in volgare è qui ridotta ai minimitermini.

460 Quattrocento

1. Chi è Giusto de’ Conti di Valmontone? 2. In qualeregione opera il Burchiello? 3. Cosa accade dal puntodi vista letterario nel Regno di Napoli?

Guida allo studio

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GIA Burchiello (Domenico di Giovanni)

LA VITA Figlio di artigiani di media condizione economica, Domenico, nato a Firenze nel1404, non compie studi regolari, ma è subito avviato al mestiere di barbiere (all’epoca ibarbieri svolgevano anche elementari funzioni mediche). Nel 1432 si iscrive all’Arte (cioèall’associazione professionale) dei medici e degli speziali. Politicamente avverso ai Medici,che stanno diventando la famiglia più eminente di Firenze, al momento del loro avvento alpotere è esiliato da Firenze (1434). Si rifugia a Siena e, poi, a Roma, dove vive in miseriafino alla morte, avvenuta nel 1449.

I SONETTI A Burchiello sono stati attribuiti numerosi sonetti, molti dei quali, però, pro-babilmente non sono suoi. I sonetti possono essere distinti in tre gruppi: quelli comico-

realistici, aventi per oggetto le miserie della vita quotidiana e le persecuzioni politiche;quelli di satira letteraria, contro i petrarchisti e la letteratura alta; e, infine, quelli “alla

burchia” (‘barca’), che affastellano parole alla rinfusa come merci in fondo a un battello[uT75]. In questi sonetti, pur nell’organizzazione apparentemente casuale, sono pre-senti alcune costanti. Per esempio, l’enumerazione di oggetti, accostati senza una logicaevidente, ha l’effetto di creare una sorta di realtà “altra”, surreale, addirittura opposta a

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12. La letteratura della prima metà del Quattrocento 461A

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quella vera. Il medesimo effetto straniante è prodotto dall’accostamento di riferimenti dot-ti, mitologici e biblici, a notazioni prese dalla vita quotidiana dei mercanti e degli artigia-ni di Firenze. Insomma Burchiello smonta la realtà nei suoi elementi costitutivi e la rimon-ta cambiando di posto ai tasselli in modo da costruirne una nuova, non dotata di senso insé stessa, ma illuminata dalla luce surreale che scaturisce dai traslati, dagli accostamentiinusuali, dagli ossimori.

Nominativi fritti e mappamondi

Sonetti

Questo è forse il più noto dei sonetti di Burchiello, un esempio emblematico di pura arbitra-rietà linguistica. Molti interpreti, tuttavia, nel corso dei secoli hanno cercato di interpretarloattribuendogli significati satirici di volta in volta differenti.Metro: sonetto caudato (cioè chiuso da una “coda” costituita da un settenario e due endeca-sillabi) con schema ABBA, ABBA; CDC, DCD; dEE.

Nominativi fritti e mappamondi,e l’arca di Noè fra duo colonnecantavan tutti «Kyrieleisonne»,

4 per la ’nfluenza de’ taglier mal tondi.La Luna mi dicea «Ché non rispondi?»

et io risposi «I’ temo di Giansonne,però ch’i’ odo che ’l dïaquilonne

8 è buona cosa a fare i cape’ biondi». Et però le testuggine e ’ tartufi

m’hanno posto l’assedio alle calcagne11 dicendo «Noi vogliàn che tu ti stufi»,

e questo sanno tutte le castagne:perché al dì d’oggi son sì grassi e gufi,

14 c’ognun non vuol mostrar le suo magagne. E vidi le lasagne

andare a Prato a vedere il sudario,17 e ciascuna portava lo ’nventario.

T75

1. Nominativi fritti: ‘Invitati unti’, oppure,secondo altri, ‘nomi citati e ricitati’, o, alla lette-ra, ‘nominativi’, il caso del soggetto nella lingualatina. – mappamondi: letteralmente: ‘mappedi navigazione’, ma forse, con un audace trasla-to, potrebbero significare ‘vecchioni’, dal nasodeformato e percorso da vene come quelledisegnate sulle mappe.3. Kyrieleisonne: deformazione del liturgicokyrie eleison, che significa: ‘Signore, abbi pietà’.4. per... tondi: ‘per la fame’, intendendo itaglier mal tondi come ‘piatti poco pieni’. Altri,invece, interpretano taglier mal tondi comecorpi celesti irregolari e quindi fonte di cattiviinflussi, opposti alla luna, che sarebbe, al con-trario, perfettamente tonda. Sempre che Lunasia il pianeta e non il nome di una donna.5. Ché non rispondi?: ‘Perché non ti unisci alla

preghiera?’.6. Giansonne: Giasone, eroe mitologico, capodella spedizione degli Argonauti alla ricerca delVello d’oro (da cui i cape’ biondi).7. dïaquilonne: deformazione di ‘diàchilo’,impiastro farmaceutico.8. è buona cosa: ‘è una cosa adatta’.9-10. Et però... calcagne: ‘E per questa ragio-ne calli e vesciche (testuggine e’ tartufi) mi han-no assalito i talloni (calcagne)’; ma testugginepotrebbero essere anche le ‘macchine daguerra’.10. m’hanno... calcagne: ‘mi inseguono’, lette-ralmente: ‘mi stanno alle calcagna’.11. vogliàn... stufi: ‘vogliamo che tu non nepossa più’, ‘che tu prenda a noia tutte questecose’.13. gufi: ‘babbei’, ma per altri interpreti sareb-

bero i ‘canonici’, cioè degli ecclesiastici.14. c’ognun... magagne: ‘che nessuno vuolmostrare i suoi difetti’.16. sudario: letteralmente sarebbe una reli-quia sacra, cioè il velo su cui è impresso il vol-to di Gesù sanguinante, che è, però, conserva-to a Roma. A Prato si conservava un’altra reli-quia, il “Sacro Cingolo”, una cintura appartenu-ta alla Madonna. Ma su tutti prevale il gioco frale lasagne, e il loro sugo, e il sudore dei pelle-grini.17. ’nventario: ‘elenco’, forse delle magagnedel v. 14, oppure il registro delle entrate e del-le uscite che però presupporrebbe un ‘vende-re’ al posto di vedere (v. 16) e, di conseguenza,una polemica contro la compravendita dioggetti sacri.

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Lettura guidataNONSENSE E PLURILINGUISMO Del sonetto èimpossibile fare una parafrasi. In nota ci siamo limi-tati a riportare le spiegazioni più plausibili; adessocerchiamo di esaminarne il suo aspetto più eviden-te, cioè il disordinato affastellamento di parole. Intanto apparente disordine è possibile individuarealcuni criteri a cui il poeta si è ispirato nella sceltae nella distribuzione delle parole. Innanzitutto haoperato tramite accostamenti fonici (allitterazio-ni, omoteleuti) e richiami semantici di tipo analo-gico (è possibile individuare la filiera “gastronomi-ca”: fritti, v. 1; taglier, v. 4; tartufi, v. 9; castagne,v. 12; lasagne, v. 15); e poi per mezzo di slittamen-

ti semantici, come quello, blasfemo, che possiamoipotizzare fra il “sugo” delle lasagne, o il “sudore”dei pellegrini, e il sudario (v. 16) che è meta di pel-legrinaggio in quel di Prato. Pur nell’ambiguitàcomplessiva, ne scaturisce un quadro di particolarericchezza semantica, al quale fa riscontro una gam-

ma di registri stilistici altrettanto variegata: modidi dire popolari («m’hanno posto l’assedio alle cal-cagne», v. 10) convivono con citazioni di nomibiblici e mitologici (Noè, al v. 2, e Giansonne, al v.6) e con sintagmi attestati nella lirica alta («cape’biondi», v. 8).

IPOTESI INTERPRETATIVE I lettori, però, non sisono accontentati del puro divertimento linguistico,ma hanno cercato di individuare i significati che pos-sono nascondersi sotto la veste giocosa. Si tratta, na-turalmente, di significati che non esulano dall’ambi-

to scherzoso. C’è chi propone un’interpretazione ba-sata sulla linea “culinario-gastronomica”, attribuen-do, per esempio, il significato di invitati e ghiottoniai «Nominativi fritti» (v. 1) e quello di spiedo gigan-te all’«arca di Noè fra duo colonne» (v. 2): il sonetto,allora, sarebbe la descrizione di un’“epica mangiata”.Altri, invece, vi hanno scorto un intento satirico con-tro la cultura alta e il mondo ecclesiastico. Secondoquesta interpretazione la prima strofa conterrebbe unelenco di oggetti “culturali” di tradizione umanisticae cristiana degradati, per esempio, attraverso l’ag-gettivo fritti (v. 1), inteso nel senso di “triti e ritriti”;la seconda conterrebbe, insieme al riferimento mito-logico (Giansonne, v. 6), una satira dell’immagine deicapelli biondi tipici delle donne cantate dalla liricaamorosa (si pensi alla Laura petrarchesca). Nel defor-mato Kyrieleisonne (v. 3) e nei gufi (v. 13), forse iden-tificabili con gli ecclesiastici, si nasconderebbero al-lusioni anticlericali, che proseguirebbero con la pro-cessione di lasagne in visita a una specie di “voltosanto” (sudario, v. 16) pratese. Non manca neppurechi del sonetto ha dato un’interpretazione in chiaveoscena: i riferimenti alla sessualità si dipanerebberoa partire dal significato di ‘posteriori’ popolarmenteattribuito ai mappamondi (v. 1) e si dispiegherebbe-ro pienamente nella seconda quartina, dove i capellibiondi starebbero a indicare la riduzione dell’uomo al-lo “stato di femmina” e alluderebbero, quindi, a unrapporto omosessuale maschile. Su questa linea nonmancano altre interpretazioni basate, invece, su al-cuni traslati che potrebbero essere riferiti agli orga-ni sessuali femminili.

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comprensione e analisi

1. Rifletti sul significato delle parole del sonetto, eriporta sul tuo quaderno quelle che appartengono all’i-taliano contemporaneo in un’accezione diversa daquella utilizzata dal poeta.

interpretazione

2. Quale lettura preferisci fra quelle proposte? Lascian-

do libera la tua fantasia riesci a costruire un’altra ipote-si interpretativa?

contestualizzazione

3. Sapresti fare altri esempi di nonsense e giochi diparole, tratti dalla poesia contemporanea o da canzoniche conosci? A quale scopo ti sembra che gli autori nefacciano uso?

Esercizi

Giusto de’ Conti di Valmontone

LA VITA Delle vicende biografiche di Giusto de’ Conti si conosce poco: nasce probabilmen-te a Roma alla fine del Trecento o nei primi anni del secolo successivo, compie studi di

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12. La letteratura della prima metà del Quattrocento 463A

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giurisprudenza a Padova ed è impiegato come cameriere privato (cubiculario) presso il papaEugenio IV; compie soggiorni a Firenze, Ferrara e Bologna. Nel 1447 si trasferisce a Rimi-ni presso la corte di Pandolfo Malatesta, al servizio del quale è apprezzato consigliere segre-to e giudice. A Rimini muore nel 1449. Coltivò amicizie con molti rimatori, letterati e uma-nisti, in modo particolare con Leon Battista Alberti [u12.6].

LA BELLA MANO Giusto è autore di una raccolta poetica di imitazione petrarchesca, unvero e proprio “canzoniere”, intitolata La bella mano [uT76]. Narra la storia del suo amo-re per la bolognese Isabetta, identificata con una certa Isabetta Bentivoglio, che andò spo-sa a Guido de’ Pepoli, dottore in Legge. Ultimato nel 1440, e subito diffuso manoscrittocon grande successo, il libro fu pubblicato a stampa, postumo, a Bologna nel 1472. È com-posto da 135 sonetti, 5 canzoni, 3 sestine, 3 ballate e 4 capitoli in terzine. Nel Quattro-cento La bella mano conobbe una grandissima fortuna, documentata dall’elevato numerodi manoscritti che ce la tramandano e dall’influenza che essa esercitò su autori importan-ti quali Boiardo e Sannazaro. Gran parte della sua fortuna è dovuta al fatto che Giusto èimitatore attento e fedele di Petrarca, sia nella scelta delle immagini che in quella dei moti-vi e delle situazioni. Anche il vocabolario e la metrica tendono ad avvicinarsi al modello.Giusto è un petrarchista fuori stagione: ai suoi tempi, infatti, Petrarca non aveva ancorafatto scuola. Se quest’ultimo, nella seconda metà del Quattrocento, si imporrà come pun-to di riferimento principale della lirica d’amore, lo si deve anche, se non soprattutto, allamediazione di Giusto.

Rimena il villanel fiaccato et stanco

La bella mano, 120

Questo sonetto è intessuto di reminiscenze petrarchesche sia nelle immagini, sia nel lessico;ed è, a sua volta, la probabile fonte di poeti più moderni, come Leopardi. Si osservi infatti chele parole posa, squille, cale riecheggeranno spesso nei versi leopardiani.Metro: sonetto con schema ABBA, ABBA; CDE, CDE.

Rimena il villanel fiaccato et stancole schiere sue, donde il mattin partille,vedendo di lontan fumar le ville

4 e il giorno a poco a poco venir manco.Et poi si posa. Et io pur non mi stanco

al tardo sospirar, come alle squille.Io me ne ingegno che ognior più sfaville

8 il foco et l’esca nel mio acceso fianco;e sogni tristi infin che l’alba nasce,

e il giorno disïar sempre il mio male,11 col fiero rimembrar di mille offese.

T76

1-4. Rimena... manco: ‘Il pastorello (villanel)affaticato e stanco riconduce (Rimena) il suogregge (le schiere sue) là da dove l’aveva fattopartire il mattino, quando vede di lontanofumare i casolari (le ville) e il giorno venir menoa poco a poco’.

5-6. Et poi... squille: ‘E poi trova riposo (posa).Io invece (Et) non mi stanco mai (pur) di sospi-rare, a tarda ora (al tardo), cioè di notte, comedurante il giorno (come alle squille)’; cioè quan-do le campane segnano le ore.7-11. Io... offese: ‘Io mi impegno in ogni modo

affinché il fuoco e il combustibile (esca) cheardono nel mio petto avvampino (sfaville) sem-pre più; e (faccio) sogni tristi fino al sorgere del-l’alba, e durante il giorno desidero continua-mente la mia infelicità, mentre ricordo crudel-mente le tante offese ricevute’.

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Così dì et notte piango, et così pascela fragil vita questa, a cui non cale

14 vedermi dentro al foco, ch’ella accese.

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12-14. Così... accese: ‘Così piango giorno enotte, e in questo modo nutre (pasce) la mia

fragile vita questa donna, alla quale non impor-ta vedermi ardere dentro il fuoco (d’amore) che

lei stessa ha acceso’.

Lettura guidataUNA SIMILITUDINE LETTERARIA Il sonetto ècostruito su una similitudine. Il poeta si paragonaa un pastore che alla sera riporta dal pascolo ilgregge e trova riposo dalle fatiche quotidiane. Ma èun paragone al contrario: lui, a differenza delpastorello, non trova la pace serale, ma alimentacontinuamente il fuoco d’amore che lo brucia. Anzi,fa di tutto per aumentare la propria pena, attizzan-do il suo desiderio frustrato con il ricordo dellerepulse dell’amata (le «mille offese», v. 11). La ter-zina finale riprende, con il verbo pasce (v. 12), l’im-magine del pastore, capovolgendola con unametafora ardita: è la donna, infatti, incurante del-le pene che gli infligge, a essere padrona della vitadell’innamorato, a guidarla al pascolo e a nutrirla.

IL TESSUTO FORMALE La poesia è completamen-te intessuta di reminiscenze letterarie. L’immagi-ne del villanello che torna dalla campagna mentrescendono le prime ombre della sera fonde due luo-ghi petrarcheschi della canzone 50 del Canzoniere:

il primo ha per protagonista lo «zappador» (v. 18)che rincasa quando «discende / dagli altissimi mon-ti maggior l’ombra» (vv. 16-17); il secondo ha perprotagonista il «pastor» (v. 29) che rientra anchelui, al tramonto, nella sua casetta. Petrarca, a suavolta, traduceva quasi alla lettera il v. 83 della pri-ma Bucolica di Virgilio: «Maioresque cadunt de mon-tibus umbrae» (‘E più grandi scendono dai monti leombre’). I sospiri, il pianto, le mille offese, lametafora del fuoco amoroso provengono dalla tradi-zione della lirica d’amore e, più specificamente, diquella petrarchesca. Petrarchesco è, naturalmente,anche il lessico, del quale facciamo solo qualcheesempio: Rimena al v. 1, che ricorda: «Zephiro tor-na, e ’l bel tempo rimena» (Canzoniere, 310, v. 1);le parole-rima stanco: fianco, che sono già in Can-zoniere, 16, v. 1: «Movesi il vecchierel canuto etbiancho», sonetto che ha appunto per protagonistaun «vecchierel» foneticamente parente stretto delvillanel (v. 1) di Giusto; per non parlare, infine, del-la rima squille: sfaville, che rimanda a Canzoniere,109, v. 1: «Lasso, quante fïate Amor m’assale»,sonetto in cui si ritrovano le stesse parole in rima.

comprensione

1. Contrapponi in una tabella a due colonne gli aspettiche caratterizzano la condizione del pastore e quelladel poeta.

interpretazione

2. Giusto parla in questo sonetto della sua pena d’amo-re. Come la connota? È una condizione passiva o attiva?

Esprimi la tua opinione sulla base dei rilievi fatti sultesto.

contestualizzazione

3. Confronta il sonetto di Giusto con una lirica trecen-tesca scelta tra quelle che hai studiato sulla base diun’analogia o di un contrasto nella condizione del poe-ta-amante, quindi argomenta in un testo di circa 300parole le ragioni della tua scelta.

Esercizi

Leon Battista Alberti tra latino e volgareLE VICENDE BIOGRAFICHE Nel panorama dell’Umanesimo della prima metà del Quattro-cento Leon Battista Alberti occupa un posto particolare e di grande rilievo. Nato a Geno-

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va nel 1404 da una famiglia di grandi banchieri esiliata da Firenze, compie studi umani-stici e scientifici, soprattutto di matematica e di fisica, fra Padova e Bologna. Si lega allaCuria papale e soggiorna in varie città italiane fino a quando, nel 1438, si trasferisce aFirenze, dove la famiglia Alberti era potuta rientrare a seguito della revoca del bando. Anchenegli anni successivi, comunque, si allontana più volte da Firenze per soggiornare in mol-te città d’Italia, nelle quali progetta edifici privati e chiese di grande valore architettoni-co. Muore a Roma il 20 aprile 1472.

LA FIGURA ARTISTICA E INTELLETTUALE La particolarità della figura intellettuale diAlberti consiste nel suo muoversi su più campi: è un umanista formato sugli studi clas-

sici, ma, nello stesso tempo, è anche un sostenitore della dignità del volgare; scrive testidi carattere letterario, ma anche trattati di impostazione tecnica e scientifica; alla produ-

zione letteraria in latino e volgare affianca una importante attività di architetto e di

ingegnere. Le sue realizzazioni architettoniche, quali il Tempio Malatestiano a Rimini, lafacciata di Santa Maria Novella e Palazzo Rucellai a Firenze, le chiese di Sant’Andrea e diSan Sebastiano a Mantova, sono improntate a quei princìpi di ordine e misura propri delclassicismo di ispirazione umanistica.

OPERE LATINE Nell’ampia produzione di Alberti, caratterizzata da un grande eclettismoe dal-la ricerca di varietà, spicca un filone di carattere tecnico-scientifico incentrato sulla pittura el’architettura. Molto importante è il De pictura (‘La pittura’), scritto fra il ’34 e il ’35 e dedicato aFilippo Brunelleschi, da considerarsi il primo trattato sulla pittura della nostra tradizione; im-portantissimo il De re aedificatoria (‘L’architettura’), scritto fra il ’43 e il ’52, un trattato in diecilibri nel quale Alberti fornisce le coordinate tecnico-scientifiche per la costruzione di un edifi-cio, dalla progettazione alla messa in opera delle fondamenta, alla sua decorazione finale, e do-

Chiesa di S. Maria Novella, facciata e disegno con i tracciati proporzionali, Firenze

Attorno al 1458-60 Leon BattistaAlberti (1404-1472) progettò lafacciata di S. Maria Novella, sucommissione di Giovanni Rucellai,per il quale lo stesso Alberti avevagià progettato anche il Palazzo difamiglia. Per organizzare la

decorazione della facciata einglobare anche i preesistentielementi trecenteschi presentinell’ordine inferiore che nonpotevano essere rimossi, Albertiseguì i suoi stessi dettami inmateria di proporzioni (di cui si

era ampiamente occupato neltrattato De re aedificatoria) e fecericorso a un moduloproporzionale quadrato cheregola tutta la facciata, inun’armonica corrispondenza tra leparti.

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ve afferma la funzione sociale dell’architetto, capace di progettare razionalmente e di realizza-re «opere che nel modo migliore si adattino ai più importanti bisogni dell’uomo». Vanno ricor-dati inoltre gli scritti di cartografia, di agrimensura e perfino di crittografia.

ALBERTI E IL VOLGARE La finalità pratica, quasi da manuale, di queste opere è eviden-ziata dal fatto che lo stesso Alberti traduce in volgare il trattato sulla pittura. Ad Alberti, in-fatti, interessava che le regole della rappresentazione prospettica fissate nel suo libro potes-sero essere apprese dai pittori, i quali, nella loro maggioranza, non conoscevano il latino. Al-

berti, del resto, era molto sensibile alla diffusione della cultura e pertanto anche alla dif-fusione del volgare. Si deve a lui la composizione, fra il 1437 e il 1442, della prima gram-

matica del volgare, nella quale egli intende dimostrare che anche questa lingua, come il la-tino, possiede una sua struttura grammaticale e perciò non è regolata soltanto dall’uso, co-me ritenevano gli umanisti.

I LIBRI DELLA FAMIGLIA Rientra nella stessa linea di promozione del volgare quella garapoetica di cui abbiamo già parlato, il “Certame coronario” del 1441 [u12.1]. Non è dun-que casuale che l’opera più celebre di Alberti siano i Libri della famiglia, un dialogo in vol-gare, scritto probabilmente tra il 1433 e il 1443, che affronta il tema della gestione di unafamiglia dai punti di vista dell’economia, dei legami interni al gruppo familiare e dei rap-porti con l’esterno. In quest’opera i temi più tipici della riflessione umanistica sulla storiae la società, come quelli della virtù e della fortuna [uT77], si mescolano in maniera signi-ficativa con un’attenzione precisa alle questioni di ordine pratico, a dimostrazione che nel-la concezione albertiana gli studi umanistici non separano dalla vita, ma, al contrario,sono un efficace strumento di interpretazione e di governo della realtà.

INTERCOENALES Un altro modo di collegarsi alla realtà sociale è quello della pittura

d’ambiente, condotta con levità e ironia, che Alberti compie in brevi prose latine (moltein forma di dialogo) raccolte sotto il titolo di Intercoenales (‘Intercenali’), perché «da ascol-tare o leggere seduti comodamente a cena». Quest’opera, portata a termine intorno al 1439,viene considerata il capolavoro letterario dell’Alberti latino. Al 1450 circa risale una dellesue opere più enigmatiche e irriverenti, il dialogo Momus, una satira sulle ingiustizie e suldisordine che regnano nel mondo.

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1. In quali ambiti spazia l’attività di Leon Battista Alber-ti? 2. Quali princìpi sottendono le sue realizzazioniarchitettoniche? 3. Quale valore attribuisce Leon Batti-sta Alberti alla figura dell’architetto? 4. Quale atteggia-

mento assume Leon Battista Alberti nei confronti del vol-gare e perché? 5. Qual è l’opera più celebre di Alberti?6. Che cosa sono le Intercoenales?

Guida allo studio

Leon Battista Alberti

LA VITA Leon Battista Alberti nasce a Genova il 14 febbraio 1404, figlio naturale di Loren-zo, appartenente a una ricca e potente famiglia di mercanti fiorentini in esilio. Dopo avertrascorso la fanciullezza a Venezia, a circa quattordici anni si trasferisce a Padova, dovecompie studi umanistici, imparando anche il greco. Intraprende poi studi universitari didiritto a Bologna. Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1421, entra in conflitto con laA

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famiglia per questioni di eredità. Superata una serie di difficoltà legate a ragioni di saluteed economiche, nel 1428 si laurea in Diritto canonico, ma nel frattempo ha seguìto anchestudi scientifici (di matematica e di fisica) e ha coltivato interessi letterari, scrivendo siain latino, sia in volgare. Dal 1431 entra come abbreviatore apostolico (redattore delle let-tere ufficiali) nella Curia pontificia, alla quale rimarrà legato per tutta la vita. Nel 1432prende gli ordini ecclesiastici, ottenendo così i benefici di una piccola pieve nel contadofiorentino. Dal 1431 al 1434 vive stabilmente a Roma, dove frequenta gli ambienti umani-stici. Compie anche molti viaggi al seguito della Curia: a Bologna, a Ferrara, a Perugia, aVenezia. Dal 1438 al 1441 vive stabilmente a Firenze e qui stringe amicizia con i più impor-tanti artisti e letterati dell’epoca: Filippo Brunelleschi, Donatello, Leonardo Bruni, Cristofo-ro Landino. A Firenze organizza nel 1441 il Certame coronario, gara di poesia in volgare.Nel 1443 fa ritorno a Roma, ma continua a viaggiare per l’Italia, spostandosi da Firenze aRimini e a Mantova. In queste città realizza le sue più importanti opere di architetto. Muo-re a Roma il 20 aprile 1472.

I LIBRI DELLA FAMIGLIA I Libri della famiglia sono un trattato in forma di dialogo com-posto da quattro libri e scritto fra il 1433 e il 1440-43. Il dialogo, ambientato a Padovanel 1421, si svolge tra i familiari che si raccolgono intorno al letto di morte di LorenzoAlberti, padre di Leon Battista. Fra questi spiccano le figure di Adovardo, il teorico chefonda sui libri gran parte della sua esperienza, e Giannozzo, il pratico per eccellenza, chemeglio di ogni altro impersona la figura del tradizionale padre di famiglia. L’opera si aprecon un Prologo nel quale Alberti dedica il trattato ai giovani della sua famiglia e discutesul ruolo giocato nella storia dalla virtù e dalla fortuna (cioè dal valore e dalla saggezzadegli individui e dal caso: uT77). Il primo libro tratta del rapporto tra padri e figli; ilsecondo del matrimonio e dell’unità della famiglia. Il terzo è preceduto da un proemio eporta la dedica a un altro esponente della famiglia Alberti, Francesco d’Altobianco: se l’in-tento dei primi due libri era di descrivere come rendere «la famiglia populosa [numerosa]e avviata a diventar fortunata» (III, Proemio), questo terzo ha come argomento l’econo-mia domestica in senso stretto, e perciò tratta della «masserizia», cioè dell’arte di ammi-nistrare oculatamente i beni al fine di garantire alla famiglia una vita serena. Il quartolibro (il cui sottotitolo latino è De amicitia [‘L’amicizia’]) ha come argomento i rapportiche la famiglia intrattiene con il mondo esterno: parla pertanto dell’amicizia in generalee, in particolare, di come si possa guadagnare la benevolenza dei potenti.

Alberti sostiene che la prosperità di una famiglia può nascere solo dall’operosità intel-ligente e dalla sollecitudine del padre di famiglia, il massaio: tali virtù sono il contrariodell’ozio e dello sperpero. Intorno a questi contenuti Alberti costruisce una «filosofia delconcreto ragionare» che dà ampio spazio al sapere acquisito con l’esperienza e all’auto-rità del pratico massaio. Nel leggere i Libri della famiglia occorre sempre tener presente cheAlberti non politicizza e non socializza la sua tesi. La famiglia è il cuore, la cellula dellacivitas, cioè della società e della vita civile; ma della civitas Alberti non parla mai. Egli limi-ta le sue considerazioni alle dinamiche interne alla famiglia, alla dimensione autarchica,alle norme comportamentali e morali che valgono per la famiglia e per essa sola. Nelle suepagine non s’incontrano, pertanto, proposte che riguardino la società e gli Stati: e non ècasuale che il dialogo si chiuda con un libro dedicato all’amicizia, cioè a quella forma dirapporto particolarissima, individualistica e tutt’altro che politica, che lega un essere uma-no a un altro essere umano.

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Fortuna e virtù

Libri della famiglia, Prologo

Il passo che segue fa parte del Prologo. Alberti vi affronta il dilemma se la fortuna abbia tan-to potere nella vita dell’uomo da mandare in rovina grandissime e potentissime famiglie. Nelformulare la risposta estende la propria analisi alla storia in generale, definendo la sfera d’a-zione della virtù.

Da molti veggo la fortuna più volte essere sanza vera cagione inculpata, e scorgomolti per loro stultizia scorsi ne’ casi sinistri, biasimarsi della fortuna e dolersi d’es-sere agitati da quelle fluttuosissime sue unde, nelle quali stolti sé stessi precipito-rono1. E così molti inetti de’ suoi errati dicono altrui forza furne cagione2.

Ma se alcuno con diligenza qui vorrà investigare qual cosa molto estolla e accre-sca le famiglie, qual anche le mantenga in sublime grado d’onore e di felicità, costuiapertamente vederà gli uomini le più volte aversi d’ogni suo bene cagione e d’ognisuo male, né certo ad alcuna cosa tanto attribuirà imperio, che mai giudichi ad ac-quistare laude, amplitudine e fama non più valere la virtù che la fortuna3. Vero, e cer-chisi le republice, ponghisi mente a tutti e’ passati principati: troverassi che ad ac-quistare e multiplicare, mantenere e conservare la maiestate e gloria già conseguita,in alcuna mai più valse la fortuna che le buone e sante discipline del vivere4. E chidubita? Le giuste leggi, e’ virtuosi princìpi, e’ prudenti consigli, e’ forti e constantifatti, l’amore verso la patria, la fede, la diligenza, le gastigatissime e lodatissime os-servanze de’ cittadini sempre poterono o senza fortuna guadagnare e apprendere fa-ma, o colla fortuna molto estendersi e propagarsi a gloria, e sé stessi molto commen-darsi alla posterità e alla immortalità5. Co’ Macedoni fu seconda la fortuna e prospe-ra quanto tempo in loro stette l’uso dell’armi coniunto con amor di virtù e studio dilaude6. Vero, doppo la morte d’Allessandro Grande, subito ch’e’ prìncipi macedoni co-minciarono ciascuno a procurare e’ suoi propri beni, e aversi solliciti non al publicoimperio, ma curiosi a’ privati regni, fra loro subito nacquero discordie, e fra essi cuo-centissime fiamme d’odio s’incesoro, e arsero e’ loro animi di face di cupiditate e fu-rore, ora d’ingiuriare, mo di vendicarsi7: e quelle medesime armi e mani trionfali, lequali aveano occupato e suggette la libertà e forze d’innumerabili populi, le qualiaveano compreso tanto imperio, colle quali già era il nome e fama de’ Macedoni per

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1. Da molti... precipitorono: ‘Noto che la for-tuna è spesso accusata ingiustamente da mol-ti uomini e vedo molti uomini, che sono incorsi(scorsi) in disgrazie a causa della loro pocaintelligenza, lamentarsi della fortuna e dolersidi essere sballottati dalle sue onde tempesto-se (fluttuosissime) nelle quali si sono stolta-mente gettati (sé stessi precipitorono)’.2. E così... cagione: ‘E così molti incapaci attri-buiscono la causa dei loro errori (errati) a unaforza esterna’.3. Ma se... fortuna: ‘Ma se qualcuno vorràindagare accuratamente che cosa innalzi mol-to e faccia prosperare (accresca) le famiglie,che cosa le mantenga in un altissimo grado dionore e di felicità, costui vedrà con chiarezzache nella maggior parte dei casi gli uominisono la causa prima (aversi... cagione) di ogniloro bene e di ogni loro male, e non ricono-scerà mai ad alcuna cosa tanto potere da esse-

re indotto a ritenere che la virtù conti menodella fortuna nell’acquistare lode, grandezza efama’.4. Vero... vivere: ‘Così è, e si esaminino lerepubbliche, si considerino tutti i principati delpassato: si scoprirà che in nessuna repubblicao principato la fortuna ha mai avuto più poteredelle regole di una retta e onesta convivenzacivile’.5. E chi... immortalità: ‘E chi potrebbe dubitar-ne? Le leggi giuste, i buoni princìpi morali, ledecisioni prudenti, i comportamenti decisi ecostanti, l’amore verso la patria, la lealtà, la dili-genza, lo strettissimo e lodevole rispetto delleregole da parte dei cittadini hanno sempre fat-to sì che le repubbliche o i principati guada-gnassero e acquistassero fama, anche senzal’aiuto della fortuna, oppure, con l’aiuto di quel-la, che si estendessero e incrementassero laloro gloria e si consegnassero all’immortalità

presso i posteri’.6. Co’ Macedoni... laude: ‘Con i Macedoni lafortuna fu favorevole e propizia finché manten-nero unito l’uso delle armi con l’amore per lavirtù e la ricerca dell’onore’.7. Vero... vendicarsi: ‘Ma (Vero), dopo la mortedi Alessandro Magno, non appena ciascuno deiprincipi macedoni iniziò a procacciarsi beni per-sonali e, invece di preoccuparsi dell’Impero co-mune, a occuparsi dei regni personali, subito traloro nacquero discordie e divamparono ardentifiamme d’odio, e i loro animi si accesero (arsero...di face) del desiderio di ricchezza e della smaniaora di offendere, ora di vendicarsi’. Alberti riper-corre qui in sintesi i fatti che seguirono la mortedi Alessandro Magno, re di Macedonia (356-323a.C.). Con la sua scomparsa, il grande Impero cheegli aveva fondato si dissolse, frammentandosiin tanti piccoli sottoregni, guidati da luogotenen-ti e successori (il cui nome era “Diadochi”) con-

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tutto el mondo celebratissima, queste armi medesime invittissime, sottoposte a’ pri-vati appetiti di pochi rimasi ereditarii tiranni, furono quelle le quali discissero e di-sperderono ogni loro legge, ogni loro equità e bontà, e persegorono ogni nervo del-le sue prima temute forze8. Così adunque finirono non la fortuna, ma loro stultizia e’Macedoni la conseguita sua felicità9, e trovoronsi in poco tempo senza imperio e sen-za gloria. Ebbe ancora seco la Grecia vittoria, gloria e imperio, mentre ch’ella fu af-fezionata e officiosa non meno a reggere, regolare e contenere gli animi de’ suoi cit-tadini, che in adornar sé con delizie e sopra dell’altre con pompa nobilitarsi10.

E della nostra Italia non è egli manifesto el simile?11 Mentre che da noi furono leottime e santissime nostre vetustissime discipline osservate, mentre che noi fummostudiosi porgere noi simili a’ nostri maggiori e con virtù demmo opera di vincere le lo-de de’ passati, e mentre ch’e’ nostri essistimorono ogni loro opera, industria e arte, eal tutto ogni sua cosa essere debita e obligata alla patria, al ben publico, allo emolu-mento e utilità di tutti e’ cittadini, mentre che si esponeva l’avere, il sangue, la vita,per mantenere l’autorità, maiestate e gloria del nome latino, trovoss’egli alcun popo-lo, fu egli nazione alcuna barbara ferocissima, la quale non temesse e ubidisse nostrieditti e legge?12 Quello imperio maraviglioso sanza termini, quel dominio di tutte legenti con nostre latine forze acquistato, con nostra industria ottenuto, con nostre ar-mi latine amplificato, dirass’egli ci fusse largito dalla fortuna?13 Quel che a noi ven-dicò la nostra virtù, confesseremo noi esserne alla fortuna obligati?14 Statuiremo noiin la temerità della fortuna l’imperio, quale e’ maggiori nostri più con virtù che conventura edificorono?15 Stimeremo noi suggetto alla volubilità e alla volontà della for-tuna quel che gli uomini con maturissimo consiglio, con fortissime e strenuissime ope-re a sé prescrivono?16 E come diremo noi la fortuna con sue ambiguità e inconstanzepotere disperdere e dissipare quel che noi vorremo sia più sotto nostra cura e ragioneche sotto altrui temerità?17 Come confesseremo noi non essere più nostro che della for-tuna quel che noi con sollicitudine e diligenza delibereremo mantenere e conserva-re?18 Non è potere della fortuna, non è, come alcuni sciocchi credono, così facile vin-cere chi non voglia essere vinto. Tiene gioco la fortuna solo a chi se gli sottomette19.

tinuamente in guerra tra loro.8. e quelle... forze: ‘e quelle medesime maniarmate (armi e mani è un’endiadi) che avevanotrionfato, che avevano sopraffatto e sottomes-so la libertà e le forze di numerosissimi popoli,che avevano riunito un Impero tanto grande,grazie alle quali la fama e la gloria dei Macedo-ni era già celebrata in tutto il mondo, questimedesimi eserciti (armi) mai vinti prima (invit-tissime), obbedendo alle brame personali dipochi che si erano fatti tiranni ereditari, furonoloro che fecero a brani e annullarono (discisse-ro e disperderono) ogni legge, ogni senso digiustizia e di clemenza, e recisero (persegoro-no) ogni nervo delle forze prima tanto temute’.9. Così... felicità: ‘così, dunque, fu la stoltezzae non la fortuna a far perdere ai Macedoni lafelicità che avevano conseguito’.10. Ebbe... nobilitarsi: ‘La Grecia riuscì ancoraad avere vittoria, gloria e potenza finché fuintenta e dedita più a reggere e a moderare glianimi dei suoi concittadini che ad abbellirsi e aimporsi col fasto sulle altre popolazioni’.11. non è... el simile?: ‘non è evidente che èaccaduta la stessa cosa?’.

12. Mentre... legge?: ‘Finché presso di noi so-no state osservate le antichissime regole diconvivenza civile, finché abbiamo cercato dimostrarci (porgere noi) simili ai nostri antenati eabbiamo operato con la virtù per superare la fa-ma dei nostri predecessori, e finché i nostri con-cittadini stimarono che ogni loro azione, attivitàe abilità e ogni loro cosa dovesse essere intera-mente dedicata e dovuta (debita e obligata) albene pubblico, al vantaggio e all’utilità di tutti icittadini, finché si rischiavano gli averi, il san-gue, la vita per mantenere l’autorità, la maestàe la gloria del popolo romano, si trovò un popo-lo, vi fu una nazione barbara e ferocissima, chenon avesse timore e non obbedisse ai nostri de-creti e alla nostra legge?’.13. Quello... fortuna?: ‘Quello stupefacenteImpero senza confini, quel dominio di tutti ipopoli acquistato con il nostro coraggio roma-no (latine forze), mantenuto con la nostra intel-ligente operosità, ampliato con i nostri esercitiromani, si potrà forse dire che ci è stato rega-lato dalla fortuna?’.14. Quel che... obligati?: ‘Di ciò che a noi pro-curò la nostra virtù, affermeremo di essere

debitori alla fortuna?’.15. Statuiremo... edificorono?: ‘Fonderemonoi sulla casualità (temerità) della sorte quel-l’Impero che i nostri antenati edificarono piùcon il valore che con la fortuna?’.16. Stimeremo... prescrivono?: ‘Giudichere-mo soggetto alla volubile volontà della fortunaciò che gli uomini stabiliscono per sé con benponderata decisione e con azioni forti e valo-rose?’.17. E come... temerità?: ‘E come potremo direche la fortuna, con i suoi alti e bassi e la suaincostanza, può disperdere e dissipare quelche vorremmo che fosse sotto il nostro con-trollo razionale piuttosto che soggetto all’irra-gionevole casualità (temerità) d’altri?’.18. Come confesseremo... conservare?: ‘Co-me potremo ammettere che dipenda più dallafortuna che da noi ciò che decidiamo di mante-nere e conservare con diligenza e premura?’.19. Non... sottomette: ‘La fortuna non ha ilpotere, come alcuni sciocchi credono, di vince-re chi non voglia essere vinto, cosa che non ècosì facile. La fortuna domina solo chi le siassoggetta’.

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Lettura guidataVIRTÙ E FORTUNA SI EQUIVALGONO? La tesisostenuta da Alberti è che virtù e fortuna rappre-sentano i due motori della storia. Alberti sottoli-nea innanzitutto la stoltezza e l’inettitudine di que-gli uomini che attribuiscono la responsabilità delleproprie disgrazie alla fortuna, paragonata a un fiu-me in piena («fluttuosissime... unde», r. 3), conun’immagine che sarà spesso ripresa nella letteratu-ra quattro-cinquecentesca sull’argomento. A taliuomini contrappone quelli che, animati da volontàinvestigativa, concepiscono l’uomo come dotato di

virtù, cioè di capacità e valore individuale, che lorendono artefice della propria storia. L’equipollen-za di virtù e fortuna è, dunque, progressivamenteattenuata nel corso dell’argomentazione: secondoAlberti, infatti, la fortuna può, sì, ritardare e osta-colare con le sue «ambiguità e inconstanze» (r. 49)le azioni guidate dalla virtù, ma non annullarle ovanificarle, ed è dunque inevitabile («E chi dubi-ta?», rr. 12-13) che sia destinata a perdere la sfida.

LA STORIA TESTIMONIA IL POTERE DELLA

VIRTÙ La tesi è argomentata con esempi tratti

dalla storia antica: i Macedoni, dopo la morte diAlessando Magno, furono vittime non dell’ostilitàdella sorte, bensì della loro incapacità politica edella loro avidità; allo stesso modo la Grecia conob-be l’umiliazione nel momento in cui abdicò alle tra-dizionali virtù civili (le «ottime e santissime nostrevetustissime discipline osservate»). Anche l’Italia,che Alberti sembra collocare in continuità conquell’Impero romano che era nato dallo spirito diiniziativa e dalla rettitudine morale, e non certo«largito dalla fortuna» (r. 44), rimase indenne daogni sventura finché i suoi uomini furono: «studio-si... con virtù demmo opera di vincere le lode de’passati» (rr. 36-37). Con la menzione dell’Italia ini-zia una serie di domande retoriche tese a ribadireche alla violenza e alla volubilità della fortuna l’uo-mo può opporsi facendo ricorso alle virtù di giusti-zia, intelligenza, temperanza, ragione, prudenza.Quelle domande sostengono e preparano i dueenunciati marcatamente sentenziosi che dei casidella storia chiamati in causa sono postilla e com-mento: 1) «Solo è sanza virtù chi nolla vuole»; 2)«Tiene gioco la fortuna solo a chi se gli sottomet-te» (r. 54).

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comprensione e analisi1. Il concetto di fortuna è uguale o diverso rispetto aquello dell’italiano contemporaneo? Hai ritrovato inqualche altro autore (tra quelli studiati finora) un usoanalogo?2. Dividi in sequenze il testo, quindi riproduci in formadi scaletta le argomentazioni e gli esempi addotti dal-l’autore, evidenziando l’idea centrale intorno alla qualela trattazione verte.3. Diviso in sequenze il testo, assegna a ciascuna untitoletto, quindi utilizza questi ultimi per produrre unriassunto nel minor numero di parole possibile.

interpretazione4. Nel passo del Prologo Alberti contrappone i terministultizia e prudenza. Che cosa significano per lui? E inche senso possiamo intendere prudenza come sinoni-mo di virtù? Scrivi un breve saggio sull’argomento in unmassimo di 300 parole.5. All’interno del passo che segue (tratto dal I libro) indi-vidua i termini che si riferiscono ai concetti di “virtù” edi “fortuna” e spiega se e in che senso le considerazio-ni lì contenute rispecchiano il pensiero albertiano enun-ciato nel passo del Prologo:

Le avversità sono materia1 della virtù. E chi è colui el quale disua fermezza d’animo, di sua constanza di mente, di sua for-za d’ingegno, di sua industria e arte vaglia di sé nelle secon-de e quiete cose, nell’ozio e tranquillità della fortuna, tantomeritare e acquistare laude e nome quanto nella avversa e dif-ficile?2 Però3 vincete la fortuna colla pazienza, vincete la ini-quità4 degli uomini collo studio5 delle virtù, adattatevi allenecessitati e a’ tempi con ragione e prudenza, agiugnetevi al-l’uso e costume degli uomini6 con modestia, umanità e discre-zione, e sopratutto con ogni vostro ingegno, arte, studio eopera, cercate molto in prima essere, e apresso parere virtuo-si7. Né a voi sia più caro, né prima desiderata alcuna cosa che

Esercizi

1. materia: ‘campo di prova’.2. E chi è... difficile?: ‘E chi è colui che con la sua determinazione, lasua costanza, la sua intelligenza, la sua operosa attività sia capace diacquistare merito, lode e fama tanto nelle circostanze tranquille efavorevoli (seconde e quiete cose), cioè nell’ozio e nella benevolenzadella sorte, quanto in quelle sfortunate e difficili?’.3. Però: ‘Perciò’.4. iniquità: ‘malvagità’.5. studio: ‘ricerca’.6. agiugnetevi... uomini: ‘conformatevi alle abitudini di vita degliuomini’.7. cercate molto... virtuosi: ‘impegnatevi fortemente in primo luogo(in prima) a essere virtuosi e, dopo (apresso), a sembrarlo’.

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12. La letteratura della prima metà del Quattrocento 471A

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La masserizia

Libri della famiglia, III libro

Il vecchio Giannozzo, l’uomo “pratico” della famiglia Alberti, l’interprete più fedele dei tradizio-nali princìpi di saggia gestione familiare, interviene per la prima volta nel terzo libro; nel passoche riportiamo parla della «masserizia», la virtù fondamentale del buon padre di famiglia.

Giannozzo [...] Quanto la prodigalità è cosa mala, così è buona, utile e lodevolela masserizia1. La masserizia nuoce a niuno, giova alla famiglia. E dicoti, conoscola masserizia sola essere sofficiente a mantenerti che mai arai bisogno d’alcuno2.Santa cosa la masserizia, e quante voglie lascive, e quanti disonesti appetiti ribut-ta indrieto la masserizia!3 La gioventù prodiga e lasciva, Lionardo mio, non dubi-tare, sempre fu attissima a ruinare ogni famiglia4. I vecchi massari e modesti sonola salute della famiglia5. E’ si vuole essere massaio, non fosse questo per altro senone che a te stessi resta nell’animo una consolazione maravigliosa di viverti bel-lamente con quello che la fortuna a te concesse6. E chi vive contento di quello chepossiede, a mio parere non merita essere riputato avaro7. Questi spendenti veramen-te sono avari, i quali perché e’ non sanno saziarsi di spendere, così mai si sentonopieni d’acquistare e da ogni parte predare questo e quello8. Non stimassi tu peròessermi grata alcuna superchia strettezza9. Ben confesso questo; a me pare da dislo-dare troppo uno padre di famiglia se non vive più tosto massaio che godereccio10.Lionardo Se gli spenditori, Giannozzo, dispiaciono, chi non spenderà vi doveràpiacere. L’avarizia, bench’ella stia, come dicono questi savi, in troppo desiderare,ella ancora sta in non spendere11.Giannozzo Bene dici il vero.Lionardo E l’avarizia dispiace?

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la virtù, e in voi stessi arete statuito sempre alla scienza e sa-pienza posporre ogni altra cosa, e indi ogni utile della fortu-na apresso di voi riputerete da non molto essere pregiato8.

contestualizzazione6. Confronta il valore attribuito alla virtù e alla fortunada parte di Leon Battista Alberti con quanto dice Boc-caccio a proposito della fortuna e dell’ingegno nellesue novelle. Infine scrivi un testo di circa 300 parole incui evidenzierai affinità e divergenze, motivate median-te riferimenti ai testi.

8. e in voi... pregiato: ‘e se dentro di voi avrete deciso di posporresempre ogni altra cosa alla sapienza e alla saggezza giudicherete daparte vostra (apresso di voi) di poco valore ogni vantaggio della for-tuna’. – arete statuito: ‘avrete deciso’.

1. Quanto... masserizia: ‘Quanto lo spendereeccessivamente (prodigalità) è cosa riprovevo-le, così è cosa utile e fonte di lode la saggia emoderata amministrazione dei beni’.2. conosco... alcuno: ‘so che la masseriziabasta da sola a mantenerti in modo da nondover ricorrere mai all’aiuto di alcuno’.3. quante... masserizia!: ‘quanti desideri licen-ziosi e quante voglie immorali (disonesti appe-titi) tiene a freno (ributta indrieto) la masseri-zia!’.4. La gioventù... famiglia: ‘I giovani spendac-cioni e dissoluti, non dubitare, Leonardo mio,sono sempre stati adattissimi a mandare in

rovina ogni famiglia’.5. I vecchi... famiglia: ‘ I vecchi economi (mas-sari, aggettivo) e moderati (alieni dal lusso)sono la salvezza (salute) della famiglia’.6. E’ si... concesse: ‘Si deve essere massaio senon altro perché (a esserlo) resta nell’animo lameravigliosa consolazione di vivere comoda-mente (bellamente) con quello che la fortuna tiha concesso’. – none: ‘non’.7. avaro: il termine è usato da Alberti nel dop-pio significato di ‘eccessivamente parco’ e di‘avido’.8. Questi... quello: ‘Sono veramente “avari”questi spendaccioni, i quali, poiché non si

appagano (sanno saziarsi) mai di spendere, nonsono mai sazi (pieni) di acquistare e di depre-dare da ogni parte l’uno o l’altro’.9. Non stimassi... strettezza: ‘Non devi pensa-re però che mi piaccia una eccessiva econo-mia’.10. a me... godereccio: ‘io ritengo che deveessere molto biasimato (da dislodare) un padredi famiglia se non vive preferibilmente da mas-saio che da spendaccione (gaudente)’.11. L’avarizia... spendere: ‘L’“avarizia”, ben-ché consista, come dicono questi saggi, neldesiderare troppo, consiste anche nel nonspendere’.

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Giannozzo Sì troppo12.Lionardo Adunque questa vostra masserizia che cosa sarà?Giannozzo Tu sai, Lionardo, che io non so lettere13. Io mi sono in vita ingegnatoconoscere le cose più colla pruova mia che col dire d’altrui, e quello che io intendopiù tosto lo compresi dalla verità che dall’argomentare d’altrui14. E perché uno di que-sti i quali leggono tutto il dì, a me dicesse «così sta», io non gli credo però se io giànon veggo aperta ragione, la quale più tosto mi dimonstri così essere, che convincaa confessarlo15. E se uno altro non litterato mi adduce quella medesima ragione, co-sì crederrò io a lui senza allegarvi autorità, come a chi mi dia testimonianza del libro,ché stimo chi scrisse pur fu come io uomo16. Sì che forse io testé17 non saprò così ate rispondere ordinato quanto faresti tu a me18, che tutto il dì stai col libro in mano.Ma vedi tu, Lionardo, quelli spenditori, de’ quali io ti dissi testé, dispiaciono a me,perché eglino spendono sanza ragione, e quelli avari ancora mi sono a noia, perchéessi non usano le cose quando bisogna, e anche perché quelli medesimi desideranotroppo19. Sa’20 tu quali mi piaceranno? Quelli i quali a’ bisogni usano le cose quantobasta e non più; l’avanzo serbano; e questi chiamo io massai21.Lionardo Ben v’intendo, quelli che sanno tenere il mezzo tra il poco e il troppo22.Giannozzo Sì, sì.Lionardo Ma in che modo si conosce egli quale sia troppo, quale sia poco?Giannozzo Leggermente, colla misura in mano23.Lionardo Aspetto e desidero questa misura24.Giannozzo Cosa brevissima25 e utilissima, Lionardo, questa. In ogni spese prevede-re ch’ella non sia maggiore, non pesi più, non sia di più numero che dimandi lanecessità, né sia meno quanto richiede la onestà26.

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12. troppo: ‘molto’.13. io... lettere: ‘io non sono un uomo colto’.14. Io... d’altrui: ‘Io durante la mia vita mi sonoadoperato (ingegnato) per conoscere le cosepiù con la mia esperienza personale che con idiscorsi degli altri, e quello che capisco l’hocompreso dalla verifica concreta più che dalledimostrazioni astratte degli altri’.15. E perché... confessarlo: ‘E per il fatto cheuno di questi che stanno tutto il giorno a leg-gere i libri mi venisse a dire «la cosa sta così»,non per questo (però) gli crederei, a meno cheio non scorgessi un ragionamento limpido, ilquale mi dimostri che così è, che mi convincaad ammetterlo’.16. così... uomo: ‘così gli crederò, senza che

lui debba citare (senza allegarvi) alcuna auto-rità, come se mi portasse a testimonianza illibro, perché ritengo che anche chi lo ha scrit-to era un uomo come me’.17. testé: ‘ora’.18. ordinato... me: ‘con un ragionamento ordi-nato quanto lo sarebbe il tuo’.19. Ma... troppo: ‘Ma vedi, Leonardo, queglispendaccioni, dei quali ti dicevo poco fa (testé)non mi piacciono perché spendono senzaragione, e anche quegli “avari” mi danno fasti-dio, perché non usano le cose quando ce n’èbisogno, e anche perché desiderano troppo’.20. Sa’: ‘Sai’.21. Quelli... massai: ‘Quelli che al momento delbisogno usano le cose quanto basta e non di

più; quello che è avanzato lo mettono da parte;questi io li chiamo massai’.22. Ben... troppo: ‘Vi capisco bene, quelli chesanno mantenersi a metà strada tra il poco e iltroppo’.23. Leggermente... mano: ‘Facilmente, con ilmetro in mano’.24. Aspetto... misura: ‘Desidero con ansia disapere che cos’è questo metro’.25. brevissima: ‘che si può dire in poche paro-le’.26. In ogni... onestà: ‘Per ogni spesa che si faprovvedere che non sia più grande, più gravo-sa, e di maggior entità di quanto esige la neces-sità e non sia minore di quanto richiede il deco-ro’.

Lettura guidataTEORIA E PRATICA DELLA MASSERIZIA Albertielegge a padre di famiglia esemplare il vecchio Gian-nozzo, riconoscendo suprema autorevolezza alla suaesperienza personale. A nessun altro che a Giannoz-zo, uomo di grandissima umanità e di costumi integer-rimi, poteva essere affidato il compito di definire l’ar-te di rendere e mantenere felice la famiglia, l’arte del-

la masserizia. Di masserizia Alberti ha già fatto parla-re nel secondo libro Adovardo (uomo di lettere): que-sti aveva enunciato la teoria, ma a declinarne la prati-ca è Giannozzo, che si proclama inesperto di lettere efavorevole ad accettare l’autorità della concreta espe-rienza piuttosto che quella della parola scritta.

MASSERIZIA, GIUSTA MISURA Ma masserizia èqualcosa di più che buona amministrazione: è

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12. La letteratura della prima metà del Quattrocento 473A

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anche saggezza del giusto mezzo. Poiché si poneagli antipodi sia dell’avarizia, sia della prodigalità,e ha nella giusta misura il proprio criterio di base(«tenere il mezzo tra il poco e il troppo», r. 36),Giannozzo può affermare, puntualizzando quantoha detto poco prima, che «tutta la masserizia stanon tanto in serbare le cose quanto in usarle a’bisogni». È dunque, a tutti gli effetti, una virtùsociale e una regola di vita. Depositario di questavirtù è il padre di famiglia, al quale spetta garanti-re prosperità, stabilità e decoro: non lesinare né

sprecare i beni a disposizione. La masserizia diven-ta così sicurezza e garanzia del futuro, in quantocapitale di beni materiali e, nello stesso tempo, disolidarietà di affetti e di legami di sangue. Il gover-no oculato dei beni di famiglia è “virtù” che sioppone alla “fortuna” e, quindi, strada per il con-seguimento della felicità. Il richiamo al giusto mez-zo definisce un tipo di saggezza, legata alla buonaamministrazione di sé e dei propri beni, che deriva,più che dall’autorità dei libri, dall’esempio degliantenati e dall’esperienza di vita.

comprensione1. Elenca, riportando le citazioni dal testo, le qualitàdella masserizia che vengono vantate da Giannozzo inquesto passo.2. Qual è l’opposto della masserizia?3. Riporta con parole tue le tesi sostenute da Giannoz-

zo a proposito dell’avarizia.

interpretazione4. Illustra in un testo di circa 300 parole la compresen-za di aspetti economici e aspetti morali nel concetto dimasserizia.

Esercizi

Evadere le tasse agli inizi del Quattrocento

Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordi, parte III

Il mercante fiorentino Giovanni Morelli scrive i suoi Ricordi tra la fine del Trecento e il primodecennio del Quattrocento. Si tratta di una storia della famiglia Morelli che parte dalle origininel Mugello e si sviluppa, poi, fra cronaca privata e cronaca degli eventi pubblici della città diFirenze. Nella terza parte Giovanni Morelli, traendo spunto dall’esperienza personale, si soffer-ma su una serie di consigli, sia nel campo della morale che in quello dell’economia, destinatiai giovani rimasti precocemente orfani. Nel passo che riportiamo consiglia quali comportamen-ti tenere per non pagare le tasse imposte dal Comune di Firenze che potrebbero danneggiare ilpatrimonio del mercante.

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Ora, conchiudendo, queste sopra dette cose sonoutile a divenire isperto e ’ntendente al mondo1, afarsi bene volere e essere onorato e riguardato2; eragionevolemente con queste cose vertudiose tuti debbi difendere e dalle gravezze e da ogni tor-to che ti fusse voluto fare3. E dove elle non vales-sono e trovassiti pure nelle gravezze grandi, le

quai fussono sofficienti a disfarti, non le pagare4.Rubellati dal Comune, acconcia il tuo in formanon ti possa essere tolto: fallo difendere o per do-te o per obbrighi fatti in cui ti fidassi; e se non puoidifendere, lascia istare: sì tosto non si vende5. Sehai danari contanti, acconciali per modo non sisappia sieno tuoi6: o tu ne gli porta, se se’ saputo

1. queste... mondo: ‘le cose dette sopra sonoutili per farti diventare esperto e competentedelle cose del mondo’.2. riguardato: ‘rispettato’.3. ragionevolemente... fare: ‘in giusta misura(ragionevolemente) grazie a queste tue virtuo-se qualità ti devi difendere dalle tasse (gravez-ze) e da ogni torto che ti si tenti di fare’.

4. E dove... pagare: ‘E nel caso che le tue qua-lità non ti dessero autorità (valessono) e ti tro-vassi oberato da tasse molto gravose, chesarebbero in grado di mandarti in rovina (adisfarti), non le pagare’.5. Rubellati... si vende: ‘Ribellati al comune,sistema il tuo patrimonio (acconcia il tuo) inmodo che non ti possa essere confiscato:

difendilo mostrando che è impegnato in doti oin prestiti già contratti con persone di cui ti fidi;e se non puoi difenderlo, lascia stare: non riu-sciranno a vendere tanto in fretta un patrimo-nio confiscato’.6. acconciali... tuoi: ‘sistemali in modo taleche non si sappia che ti appartengono’.

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474 Quattrocento

a guardarli e trafficarli, o tu ne fa una investita dilana, dove istanno assai i danari, e di poi la ven-di alla scritta in Vinegia o in Genova, o tu la favenire in nome altrui: e ’n ciò piglia consiglio7.Ma non usare mai parole ingiuriose contra il Co-mune né contra persona8; ma, fatto la pace o fat-to una ragunata di molte prestanze, fa d’avere unbullettino: ricorri a’ Signori, metti una petizionedi pagare il terzo o due quinti a perdere, o che ’Signori e ’ Collegi abbino a ricorreggere la tuaprestanza, con informarli tutti della tua impoten-

zia, e agli amici loro; e qui fa gran punga9. E senon puoi al tempo d’un priorato, aspettane tantiti venga fatto, ché sono cose che chi dura di se-guirle, vengono una volta fatte10; o, se non ven-gono fatte, dimostri a tutto il populo tu se’ grava-to e non puoi pagare, e con questo ne se’ altra vol-ta di più agevolato11. E sopra tutto, mai, e spezial-mente per questa cagione, non torre danari a co-sto: innanzi vendi il meglio che tu hai, però chetogliendo a costo tu ti disfaresti: pagheresti gl’in-teressi e la fine ti converrebbe vendere12.

7. o tu... consiglio: ‘(puoi) o portarli con te, sesei in grado di custodirli e di impegnarli negliaffari, o investirli (fa una investita) nell’acquistodi lana, dove si impiegano molti capitali, e poivenderla con una lettera commerciale a Vene-zia o a Genova, oppure farla arrivare sotto ilnome di un altro: e a questo proposito fatti con-sigliare (da persone di fiducia)’.8. Ma... persona: ‘Ma non rivolgere mai attac-chi offensivi al comune o a chicchessia’.9. ma... punga: ‘ma, trovato un accordo o mes-se insieme diverse prestanze, cerca di avereuna ricevuta che certifichi l’esonero dal paga-mento (bullettino): ricorri ai Signori, fai la richie-sta di pagare un terzo o due quinti del dovuto

senza obbligo di restituzione (a perdere), oppu-re chiedi che i Signori e le Magistrature correg-gano al ribasso il tuo prestito, informandoli tut-ti della tua impossibilità di pagare, e chiediloanche ai loro amici; e a questo proposito fai for-ti pressioni’. – prestanze: una sorta di prestitoa interesse, che però difficilmente veniva rim-borsato, imposto dal Comune di Firenze. Chi loesibisce dimostra di essere creditore delcomune.10. E se... fatte: ‘E se non ti riesce mentre è incarica un priorato, aspettane tanti altri (di prio-rati) finché non riesci a ottenerlo; perché sitratta di cose che a chi è tenace nel perseguir-le (chi dura di seguirle) alla fine riescono (ven-

gono... fatte)’.11. o... agevolato: ‘o, se non riesci a ottenerle,puoi dimostrare a tutta la cittadinanza che seieccessivamente tassato e non sei in grado dipagare, e in questo modo potrai essere agevo-lato maggiormente in un’altra occasione’.12. E sopra tutto... vendere: ‘E soprattutto nonprendere mai, specialmente per questo motivo,denaro a prestito con interesse: piuttosto (in-nanzi) vendi i tuoi beni migliori, perché, pren-dendo i soldi in prestito, andresti in rovina; pa-gheresti gli interessi e alla fine saresti costrettoa vendere’.

Il bilinguismo Nel contesto delbilinguismo latino-volgare, checaratterizza il panorama delQuattrocento, il latino è per gliumanisti l’unica lingua degna diessere usata in letteratura e, diconseguenza, la letteratura involgare nella prima metà delsecolo scivola ai piani più bassi delsistema culturale. Esempiodell’ostilità degli umanisti è ilfallimento del “Certame

coronario” organizzato da Albertinel 1441.

La rinascita della letteratura in

volgare nella seconda metà del

Quattrocento Nella secondametà del Quattrocento laletteratura in volgare rifiorisce

all’interno del sistema delle corti acui può fornire un vocabolario

comune e codici dicomportamento condivisi. Ilgenere letterario più importantetorna a essere la lirica d’amore.

Lo spirito classicista della nuova

letteratura volgare Petrarcadiviene fonte di ispirazione per ilirici; pur non esistendo ancora unconcetto chiaro di classicismo, chesarà teorizzato nei primi decennidel Cinquecento, anche gli altrigeneri letterari tendono a imitaredei modelli. La letteratura siallontana dal rapporto con larealtà vissuta per privilegiarequello con altri testi letterari.

La letteratura in latino Nellaprima metà del Quattrocentoprevale nettamente la produzionein latino. I centri più importanti

della cultura umanistica sonoFirenze e Roma.A Firenze operano fra gli altriSalutati, Bruni e Bracciolini; tuttie tre ricoprono la carica dicancelliere della Repubblica e siaBruni che Bracciolini compongono,tra le numerose opere, anche unastoria di Firenze.Soprattutto a Roma, ma anche aNapoli, opera Lorenzo Valla, il piùgrande filologo dell’Umanesimo,insieme a Poliziano, e uno deimaggiori conoscitori della lingualatina. Le sue opere più importantisono: il De falso credita et ementitaConstantini donatione (‘Ladonazione di Costantino creduta easserita con falsità’), in cui applicaper la prima volta la filologia aidocumenti storici mostrando la

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12. La letteratura della prima metà del Quattrocento 475

falsità della donazione diCostantino e fondando ladiplomatica; le Annotazioni alNuovo Testamento, in cui applical’analisi filologica alla SacraScrittura; le Elegantie latine lingue(‘Le eleganze della lingua latina’),che hanno un ruolo chiave perdiffondere una nuova sensibilitànei confronti della lingua latina.

La letteratura in volgare Neiprimi decenni del Quattrocento laletteratura in volgare non sidifferenzia sostanzialmente daquella del secolo precedente.Nell’Italia settentrionale continua ilpredominio del genere lirico informe analoghe a quelletrecentesche, con l’eccezione diGiusto de’ Conti di Valmontone,che, con il suo canzoniere La bellamano, svolge un ruolofondamentale per la diffusione delvocabolario, dei temi e delleimmagini di Petrarca nella lirica

amorosa della seconda metà delQuattrocento.In Toscana, e soprattutto a Firenze,dove è molto viva la lezione diDante e la tendenza a inserire neitesti letterari inserti realistici,tonalità popolareggianti e giochilinguistici, la letteratura in volgaremanifesta la maggiore vitalità. Quiè attivo il Burchiello, sotto il cuinome circola un numero moltoelevato di sonetti caratterizzati daun forte sperimentalismo

linguistico.

Leon Battista Alberti tra latino e

volgare Nel panoramadell’Umanesimo della prima metàdel Quattrocento occupa un postodi grande rilievo Leon BattistaAlberti: scrittore in latino e involgare, architetto e ingegnere, èattivo a Firenze e in altre cittàd’Italia, dove progetta edifici digrande valore.Scrive in latino fondamentali

trattati di impostazione tecnica escientifica: il De pictura (‘Lapittura’), primo trattato sullapittura della nostra tradizione, poitradotto da lui stesso in volgare, eil De re aedificatoria(‘L’architettura’). Il suo capolavorolatino sono le Intercoenales(‘Intercenali’), brevi prose latineper lo più in forma di dialogo.È anche un grande sostenitoredella dignità del volgare, perpromuovere il quale progetta nel1441 un “Certame coronario”

(una gara di poesia volgare), ecompone la prima grammatica delvolgare, con cui intendedimostrare che anche questalingua, come il latino, possiede unastruttura grammaticale e non èdunque regolata soltanto dall’uso.La sua opera più celebre sono iLibri della famiglia, un dialogo involgare che affronta il tema dellabuona gestione di una famiglia, deisuoi beni e dei suoi componenti.

Fonti

Lorenzo Valla, Elegantie latine lingue, inMariangela Regoliosi, Elaborazione emontaggio delle «Elegantie», con inappendice «Il primo proemio delleElegantie», traduzione di MariangelaRegoliosi, Bulzoni, Roma 1993.

I sonetti del Burchiello, a cura diMichelangelo Zaccarello, Einaudi, Torino2004.

Giusto de’ Conti di Valmontone, inAntologia della poesia italiana, diretta daCesare Segre e Carlo Ossola, Einaudi,

Torino 1997.

Leon Battista Alberti, I Libri dellafamiglia, a cura di Ruggiero Romano eAlberto Tenenti, nuova ed. a cura diFrancesco Furlan, Einaudi, Torino 1994.

Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordi, inMercanti scrittori: ricordi nella Firenzetra Medioevo e Rinascimento, a cura diVittore Branca, Rusconi, Milano 1986.

Studi

Emilio Pasquini, Le botteghe dellapoesia. Studi sul Tre-Quattrocentoitaliano, il Mulino, Bologna 1991.

Italo Pantani, L’amoroso Messer Giustoda Valmontone. Un protagonista dellalirica italiana del XV secolo, SalernoEditrice, Roma 2006.

Carlo Dionisotti, Discorsosull’Umanesimo italiano, in Geografia estoria della letteratura italiana, Einaudi,Torino 1967.

Mirko Tavoni, Il Quattrocento, in Storiadella lingua italiana, a cura di FrancescoBruni, il Mulino, Bologna 1992.

Francisco Rico, Il sogno dell’umanesimo,Einaudi, Torino 1998.

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14Niccolò Machiavelli

Vita e profilo intellettuale e letterario

Le radici della scritturaLa vita di Niccolò Machiavelli appare nettamente divisa in due fasi: da una parte quindicianni di attività politica febbrile (1498-1512), che lo vedono protagonista di spicco sullascena politica della Repubblica fiorentina; dall’altra gli anni di confino e di emarginazione,in seguito alla caduta della Repubblica e al ritorno al potere dei Medici, nel 1512. Questanetta partizione è senz’altro valida dal punto di vista biografico, ma lo è meno dal punto divista della scrittura. Se infatti è vero che è negli anni di ozio forzato che Machiavelli com-pone i suoi capolavori, vero è anche che la sua attività letteraria si radica fortemente nelquindicennio di attività politica e, quindi, tra la fine del Quattrocento e il primo decenniodel Cinquecento: in parte perché già in questi anni Machiavelli risulta essersi cimentato invari tipi di scrittura (dispacci politici, ma anche opere in versi e di finzione); in parte, so-prattutto, perché la riflessione sulla politica da parte di Machiavelli non si spiega senza

la prassi coltivata in prima persona. Con Machia-velli nasce, infatti, un nuovo pensiero, che per la pri-ma volta ambisce a rappresentare l’attività politicasulla base di quella che lo scrittore definisce la «ve-rità effettuale»: il volto duro dell’agire umano; unvolto terribile che può essere affrontato vittoriosa-mente solo da parte di chi sa prendere decisioni cheprescindano dalla legge morale, obbedendo soltan-to alle leggi proprie della sfera politica. La concre-tezza spassionata di questo nuovo sguardo informaanche le altre opere di Machiavelli, dai testi storio-grafici fino alle commedie di ispirazione classicista.Machiavelli, in questa luce, in un lettore odierno at-tento e disincantato può ancora accendere entusia-smo e nel contempo incutere, forse, paura. Lo scrit-tore fiorentino, infatti, ambisce a definire le costan-ti di ogni azione pubblica, insegnando a distingue-re fra l’uomo come dovrebbe essere e l’uomo comeeffettivamente è: un uomo sospeso fra l’energia be-

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Lo studio di Niccolò Machiavelli all’Albergaccio

di Sant’Andrea in Percussina

Dal 1512 Machiavelli, caduto in disgrazia al rientro dei Medici inFirenze, visse confinato nel suo podere di Sant’Andrea inPercussina (San Casciano, Firenze), noto come l’Albergaccio.

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14. Niccolò Machiavelli 555

nefica e civilizzatrice di istituzioni politiche volte all’interesse comune e l’insopprimibile, fe-rina negatività che si cela dietro tali istituzioni.

1. Quale evento divide in due parti la biografia di Ma-chiavelli? 2. La sua attività di scrittore e letteratocoincide del tutto con il periodo di ozio forzato a cui

lo costringe l’emarginazione politica, oppure no? 3.Quale duplicità individua Machiavelli nell’uomo politi-co?

Guida allo studio

La vitaLA FORMAZIONE INTELLETTUALE E I PRIMI INCARICHI PUBBLICI Niccolò Machiavellinacque a Firenze il 6 maggio 1469 da una famiglia borghese abbastanza agiata. Ricevet-te una solida educazione letteraria, senza però avere l’opportunità di approfondire gli stu-di umanistici (apprese il latino, ma non il greco). Durante la sua giovinezza, di cui pocosappiamo, assisté a episodi traumatici nella storia di Firenze e dell’Italia: la congiura anti-medicea del 1478 nota come congiura dei Pazzi (si attentò alla vita di Lorenzo il Magni-fico e fu ucciso il fratello di questi Giuliano); la discesa in Italia dell’esercito francese gui-dato dal re Carlo VIII (1494), l’episodio che diede inizio a una lunga contesa fra la Spagnae la Francia per l’egemonia nella penisola [u11.4]; la conseguente caduta del governo deiMedici a Firenze (il figlio di Lorenzo il Magnifico, Piero, fu costretto a fuggire); l’avventodi una Repubblica spirituale ispirata dal frate domenicano Girolamo Savonarola (1494-98).Al seguito di questi eventi, dopo la caduta di Savonarola (arso vivo in Piazza della Signo-

2

Francesco di Lorenzo Rosselli, Il supplizio di Girolamo Savonarola in Piazza della Signoria, 1498

[Museo di S. Marco, Firenze]

Fra i diversi episodi chesegnarono la giovinezzadi Machiavelli a Firenze,la condanna diSavonarola fu senz’altrouno dei più memorabili.Abile oratore e personacolta, il domenicanoGirolamo Savonarola erastato chiamato a Firenzeda Lorenzo il Magnificocome lettore nelconvento di S. Marco.Con le sue predichecontro la corruzione deicostumi era riuscito aconquistare i fiorentini,orientandoli verso unmodello di vita piùaustero. Nel periodo dellaRepubblica ildomenicano continuò apredicare, scontrandosi

così con il papaAlessandro VI. Nel 1495gli fu proibito dicontinuare nella suaattività oratoria, maSavonarola osòdisubbidire all’ordinepapale andando incontroalla scomunica. I suoinemici ne approfittaronoper seminare ilmalcontento tra ifiorentini. Catturato etorturato, vennesottoposto a ben treprocessi, al termine deiquali fu condannato, pereresia e impostura, aessere impiccato a unacroce e bruciato. Lasentenza fu eseguita nelmaggio del 1498 inPiazza della Signoria.

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ria), la Repubblica fiorentina si riorganizzò attorno alla figura di Pier Soderini, il quale,eletto gonfaloniere, volle accanto a sé il giovane e promettente Niccolò in qualità di segre-

tario di cancelleria. Inizia così, nel 1498, la carriera politica di Machiavelli, che sarebbedurata per 15 anni, fino al ritorno dei Medici in città.

LE MISSIONI DIPLOMATICHE In questi quindici anni vissuti intensamente («né dormiti,né giocati», come scriverà all’amico Francesco Vettori), il segretario fiorentino riceverà inca-richi di grande importanza e sarà spesso ambasciatore della Repubblica fiorentina. Da ricor-dare in particolare le missioni in Italia, presso la corte del papa a Roma e presso Cesare Bor-gia (1502), il quale, in quegli anni, attendeva a fondare uno Stato personale in Romagna edera celebre con il soprannome di duca Valentino (epiteto ricavato dal feudo francese di Va-lentinois). Sulla formazione politica di Machiavelli influirono inoltre le successive missioniin Francia, presso il re Luigi XII e in Germania presso l’imperatore Massimiliano d’Asburgo.

L’ALLONTANAMENTO DALL’ATTIVITÀ POLITICA La carriera politica di Machiavelli si arre-sta bruscamente quando, nel 1512, per un contraccolpo dovuto alla sconfitta a Ravenna deifrancesi (con i quali la Repubblica era alleata), cade il governo di Soderini e i Medici torna-

no al potere. Per sua ulteriore disgrazia Machiavelli restò poi coinvolto in una congiura an-ti-medicea, alla quale era estraneo. Fu così costretto al confino, che scontò poco lontano daFirenze, nella tenuta di famiglia a San Casciano in Val di Pesa, nel podere noto come l’Alber-gaccio. Il seguito della vita di Machiavelli è povero di eventi, ma è in questi anni di inatti-vità politica forzata, dal 1513 in poi, che egli produce le sue opere più importanti. Nel corsodel nuovo principato mediceo, l’esilio fu via via mitigato (a partire dal 1515); e Machiavellipoté rientrare a Firenze, dove frequentò l’ambiente repubblicano degli Orti Oricellari, nel qua-le i giovani aristocratici della città si riunivano per discutere di letteratura e di politica.

GLI ULTIMI ANNI Nei suoi ultimi anni l’ex segretario riuscì finalmente a conquistare unpo’ di fiducia da parte dei Medici: nel 1520 ricevé il compito di redigere una storia di Firen-ze e dal 1525, quando fu revocata la sua interdizione dai pubblici uffici, ottenne qualchepiccolo incarico pratico. Ma la fortuna ormai gli aveva voltato le spalle. Nel 1527, dopo il

556 I Grandi Autori

Nasce aFirenze1469

1498-1512

È segretario dellaRepubblica fiorentina

1527

Muore a Firenze1525

Viene riammesso daiMedici a incarichi

politici minori1513

Ha inizio il suo ritiroforzato all’Albergaccio

Con la caduta della Repubbicafiorentina è privato di tutti gli

incarichi e incarcerato inquanto ritenuto complice diuna congiura anti-medicea

1512 Può far ritorno aFirenze, dove frequenta

gli Orti Oricellari 1516

Con il ripristino dellaRepubblica viene

nuovamente privatodegli incarichi politici

1527

La vita di Niccolò Machiavelli

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14. Niccolò Machiavelli 557

La figura intellettuale«L’ARTE DELLO STATO» In qualità di segretario, Machiavelli fu anzitutto un funzionariodi spicco nella Repubblica fiorentina guidata da Pier Soderini: un funzionario di famigliaagiata che aveva ricevuto una buona, anche se non sistematica, educazione umanistica eche coltivava, quando gli impegni politici glielo consentivano, la scrittura in volgare comeforma di analisi e come strumento di conoscenza: si spiegano così alcuni opuscoli storio-grafici, dove il segretario analizza il corso di avvenimenti coevi come l’omicidio a tradimen-to dei propri nemici organizzato a Senigallia dal duca Valentino (si ricordi almeno la Descri-zione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto daFermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini). Fin dai suoi esordi Machiavelli mostrauno sguardo affilato tutt’altro che circoscritto alla situazione locale di Firenze: al contra-rio, dal suo punto d’osservazione privilegiato e grazie anche ai suoi continui spostamentiin Italia e oltre le Alpi, egli osserva con estrema attenzione la crisi del sistema delle signo-rie quattrocentesche e i nuovi assetti della penisola, attraversata da eserciti stranieri incontesa fra loro. Non senza orgoglio, scrivendo all’amico Francesco Vettori dal confino diSan Casciano, Machiavelli definisce gli anni di segretariato come uno studio sul campodell’«arte dello Stato». Ora, l’esilio del 1512 venne a modificare in modo traumatico il pro-filo intellettuale di Machiavelli. L’«arte dello Stato», che non poté più essere esercitata inprima persona, fu da Machiavelli elevata allo stato di vera e propria scienza autonoma,dotata di leggi proprie e universali.

LA POLITICA COME SCIENZA AUTONOMA Gli scritti teorici di Machiavelli dopo il 1512 so-no l’opera di un emarginato in cerca di riscatto; di un umanista che, anziché sentirsi massi-mamente libero nel suo studiolo (secondo il modello di Petrarca), si sente invece massima-mente frustrato e cerca nel dialogo con i classici l’unico conforto degno all’inattività forza-ta. Sembra difficile, tuttavia, classificare le opere che uscirono da quello studiolo come purae semplice letteratura. In particolare, le due opere principali (Il Principe e i Discorsi sopra laprima Deca di Tito Livio) sono trattati teorici che è impossibile non considerare letteratura(con tutte le ambiguità che il termine comporta) per le loro straordinarie qualità retoriche estilistiche. Ma queste opere rientrano a tutti gli effetti non solo nella storia letteraria, ma an-che nella storia del pensiero politico e, per certi aspetti (per la loro vocazione a definire lecostanti del comportamento umano), nell’ambito della filosofia morale. È con Machiavelli in-fatti che nasce in Europa, e non solo in Italia, la politica come sapere autonomo, come vera

3

1. In quali circostanze e da parte di chi Machiavelli rice-ve il primo incarico politico? 2. Quali circostanzecostringono Machiavelli ad allontanarsi da Firenze? 3.

Quali circostanze gli consentono di rientrare a Firenze?4. In che modo cambia il suo rapporto con la famigliaMedici nel corso del tempo?

Guida allo studio

Sacco di Roma, il potere dei Medici fu di nuovo abbattuto. Venne così restaurata la Repub-blica e Machiavelli, che anni prima era stato esiliato in quanto filo-repubblicano, passò aquel punto per filo-mediceo. Morì poco dopo, del tutto emarginato, il 21 giugno 1527.

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e propria scienza. Detto altrimenti, è nel Principe e nei Discorsi che viene drasticamente in-trodotto un nuovo punto di vista sulla realtà: il punto di vista del politico, il quale giudicai comportamenti non secondo la morale, bensì secondo l’utilità pubblica; valuta non secon-do il dover essere, bensì secondo quella che Machiavelli chiama la «verità effettuale»: la ca-pacità concreta di garantire il buon governo con il realismo politico. È vero sì che i due trat-tati, Il Principe e i Discorsi, si collocano su due piani tra loro ben differenti, dal momento cheil primo esamina il potere monarchico e il secondo esalta l’ordinamento repubblicano. Tutta-via, entrambe le opere promuovono, da due angolazioni diverse, un’identica concezione del-la politica come sapere a sé stante, in grado di guidare le azioni degli uomini indipendente-mente dalla morale.

CLASSICISMO ED ESPERIENZA La riflessione teorica di Machiavelli si regge su una for-ma di classicismo politico, in base al quale l’interpretazione della realtà coeva non puòprescindere dall’interpretazione (e dall’imitazione) delle realtà politiche vissute da ebrei,Greci e Romani, considerati depositari e modelli – in particolare questi ultimi – di ogni per-fetto agire politico. Uno dei presupposti di tale concezione è che la natura umana sia sem-

pre uguale a sé stessa e che, di conseguenza, sia possibile individuare alcune grandi leg-gi e costanti nella storia universale che rendano possibile l’analisi e la soluzione di ognisituazione politica. Nel contempo, le riflessioni di Machiavelli si nutrono di continuo dellasua esperienza diretta di uomo politico nell’Italia del primo Cinquecento, facendo riferi-mento a una situazione complessa e inedita che ha bisogno di essere affrontata con glistrumenti dell’esperienza personale (basti pensare alla recente introduzione delle armi dafuoco nei campi di battaglia). Significativamente un altro versante nel quale Machiavelliimpegna le sue energie intellettuali è l’arte militare. Oltre a vari passi del Principe, faccia-mo riferimento a un intero dialogo intitolato all’Arte della guerra, nel quale la tattica mili-tare e la formazione degli eserciti – sulla base di milizie non mercenarie, ma di cittadini –viene proposta come una parente strettissima dell’«arte dello stato».

MACHIAVELLI TRA FINZIONE E STORIA L’esperienza intellettuale di Machiavelli non silimita però alla riflessione sulla politica e sulla natura dell’uomo. Gli anni d’emarginazionepolitica permisero, infatti, all’ex segretario di coltivare anche quella letteratura di finzio-ne che già l’aveva sedotto negli anni trascorsi al servizio della Repubblica. In particolare,risulta fondamentale il ruolo di Machiavelli nella storia del teatro comico: come LudovicoAriosto alla corte estense di Ferrara, anche Machiavelli, nella speranza di acquistare favo-re presso i Medici, torna ai modelli del teatro comico greco e latino, proponendo una for-ma classicista di commedia in lingua volgare (Mandragola e Clizia). Il ritorno agli antichisi traduce, però, in un’azione comica del tutto moderna e quanto mai vitale nella costru-zione dell’intreccio. Si tratta di un teatro che concilia l’attenzione ai caratteri psicologicipropria dei drammaturghi greci (Menandro) e latini (Plauto e Terenzio), la spassionatariflessione sulla natura umana implicita nei trattati politici e, infine, il gusto per la beffa eper l’intrigo tipico di molte novelle del Decameron. Non a caso Machiavelli compone ancheuna novella singola (sciolta da ogni cornice di tipo boccacciano): Belfagor arcidiavolo.Parallelamente, un’altra forma di scrittura nella quale Machiavelli si cimenta con l’auspiciodi trovare il favore dei Medici è quella storiografica: una scrittura che per gli antichi, e anco-ra per gli uomini del Rinascimento, era intesa come opera altamente letteraria. Anche inquesto ambito Machiavelli porta la lucidità feroce del proprio sguardo, sovvertendo i model-

558 I Grandi Autori

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14. Niccolò Machiavelli 559

li, in gran parte fastosi e celebrativi, della storiografia quattrocentesca e proponendo unnuovo tipo di racconto storico, basato sull’analisi spregiudicata delle cause e dei moventiposti alla radice dei fatti.

1. A quale intento sono ispirati gli opuscoli storiograficiche Machiavelli scrive nella prima fase della sua attivitàpolitica e letteraria? 2. Che cosa intende Machiavellicon l’espressione «arte dello Stato»? 3. A che titolo leopere maggiori di Machiavelli si possono definire opereletterarie? Quali altri ambiti del sapere coinvolgono? 4.Quale idea ha Machiavelli della politica? 5. Perché si

può parlare di “classicismo politico” nella riflessione teo-rica di Machiavelli? 6. Quale importanza conferisceMachiavelli all’arte militare e quale rapporto individuatra questa e l’arte dello Stato? 7. Quali elementi carat-terizzano il teatro di Machiavelli? 8. Quali innovazioniintroduce Machiavelli nel genere storiografico?

Guida allo studio

I tratti salienti della produzione letterariaVARIETÀ E UNITÀ DEGLI SCRITTI DI MACHIAVELLI Nell’orizzonte classicista del Cinque-cento il genere del trattato, del dialogo o del racconto storico rientrano nel campo dellaletteratura, non meno della novella o della commedia o di altre opere di finzione. Dentroquesto orizzonte Machiavelli è scrittore quanto mai poliedrico e la sua opera sfugge a ognisistemazione di comodo. Il Principe e i Discorsi appartengono in modo diverso al genere deltrattato o – usando un termine più moderno – del saggio (letteralmente ‘tentativo’ di giun-gere a una verità condivisibile): mentre il primo, breve ed estremamente sintetico, si reg-ge su una struttura argomentativa ferrea e perentoria, i secondi, concepiti in dialogo conl’opera storiografica dello scrittore latino Livio, molto devono al genere umanistico del com-mentarium, sequenza asistematica di osservazioni generate dalla lettura del testo in esa-me. Per trattare la materia militare, nell’Arte della guerra, Machiavelli sceglie, invece, la for-ma del dialogo, sfruttando un altro genere classicista molto diffuso fra Cinque e Seicento(si pensi alle coeve Prose della volgar lingua di Pietro Bembo [u16.3] e al Cortegiano diBaldassarre Castiglione [u16.4], fino ai dialoghi di Tasso [u19.9] nel secondo Cinquecen-to e al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo [u21.3] edito nel 1632).Esiste una strategia letteraria comune a questi diversi tipi di trattato, nonché alle operestoriografiche, fino ai testi teatrali? Probabilmente, se si vuole indicare una legge comunenella straordinaria varietà degli scritti di Machiavelli, essa consiste nella spregiudicata

acutezza con la quale si indagano i rapporti reciproci (pubblici e privati) fra gli uomi-

ni. Da questo punto di vista la scrittura di Machiavelli assomiglia davvero a una sorta dibisturi che incide con precisione ogni aspetto della realtà cui si accosti, forte di una reto-rica argomentativa quanto mai duttile, in grado di distinguere accanitamente i diversi vol-ti di un unico aspetto con quella che è stata definita una scrittura di tipo dilemmatico(«o... o...»), ma al tempo stesso di trasferire la complessità di un nucleo concettuale in ungrumo di metafore e similitudini di straordinaria evidenza. Per quanto riguarda, infine, lalingua, Machiavelli rifiuta di tornare al fiorentino del Trecento, secondo la proposta coevadi Bembo; ripudia ogni tipo di lingua cortigiana, ottenuta con gli apporti di varie regionidi Italia; e adotta invece il fiorentino contemporaneo, considerato lo strumento più dut-tile ed efficace per rappresentare le realtà oggetto di analisi.

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LA RICEZIONE POSTUMA Machiavelli, consapevole del proprio talento, ambì senz’altroa essere riconosciuto come uno dei grandi scrittori del suo tempo. Intorno al 1516, quan-do lesse nel canto finale dell’Orlando furioso la galleria dei grandi contemporanei saluta-ti da Ariosto alla fine del romanzo, l’ex segretario, in una lettera rivolta a un amico, la-mentò con un’imprecazione oscena la propria assenza. Il fatto è che gli scritti di Machia-velli, a parte la Mandragola, non trovarono successo immediato. Machiavelli addiritturavide ben pochi dei propri testi mandati a stampa (il Decennale primo nel 1506; l’Arte del-la guerra e la Vita di Castruccio Castracani nel 1521). La maggioranza di essi – Principe eDiscorsi compresi – ebbe dapprima una circolazione manoscritta, ma fu edita solo dopo lamorte del suo autore. La fama di Machiavelli, a quel punto, divenne immediata; ma altempo stesso si caricò di ombre sinistre. La dirompente novità del punto di vista politi-co introdotto nei suoi scritti teorici si impose, infatti, in tutta la sua evidenza, ma nelcontempo si fece presto sensibile il bisogno di censurare gli aspetti più inquietanti con-nessi alla netta distinzione fra legge morale e legge politica imposta da Machiavelli.Non a caso nel 1559 gli scritti di Machiavelli furono in toto censurati e il nome del se-gretario fiorentino, anche fuori dall’Italia, divenne sinonimo di persona astuta, subdola,immorale. Non era, questo, il segretario fiorentino, bensì la sua deformazione cinica e op-portunistica; non era il Machiavelli, per così dire, bensì il machiavellismo. Machiavelli,tuttavia, si poté leggere a lungo solo a queste condizioni e la sua ricezione – almeno fi-no alla riscoperta del suo pensiero fra Otto e Novecento – non poté scompagnarsi dellasua censura. Con perfida ironia, nei Promessi sposi, Manzoni alluderà a questa anomala ri-cezione di Machiavelli servendosi del personaggio di don Ferrante, l’erudito pedante, ap-passionato lettore del Principe e dei Discorsi «del celebre segretario fiorentino; mariolo sì,diceva don Ferrante, ma profondo» (cap. XXVII).

560 I Grandi Autori

1. A quale genere letterario appartengono Il Principe e iDiscorsi e come si differenziano fra loro? 2. Quale formatestuale presenta l’Arte della guerra? 3. Quale strategialetteraria accomuna gli scritti di Machiavelli? 4. Quale

lingua sceglie Machiavelli per le sue opere? 5. Quale for-tuna incontrano le opere di Machiavelli tra i contempora-nei dell’autore? 6. Quando sarà censurata la produzioneletteraria di Machiavelli e per quali ragioni?

Guida allo studio

Scrive laDescrizionedel modotenuto dal

ducaValentino

nelloammazzareVitellozzo

Vitelli

1498-1512

Anni dell’impegnopolitico a Firenze

1513-25

Anni dell’esilio all’Albergaccio e dell’astensione forzata dalla politica

Compone varieopere letterarie,

fra cui ilDecennale primo e la traduzionedell’Andria di

Terenzio Componeil Principe

1513

Scrive iDiscorsisopra laprima

Deca diTito Livio1513-19

Scrive laMandragolae Belfagor

1518

Lavoraall’Artedellaguerra 1519-

20

Scrive laVita di

CastruccioCastracani

1520

Lavora alleIstorie

fiorentine1520-25

Lavoraforse alDiscorso o dialogo

dellanostralingua 1524

Scrive la Clizia 1525

Inizia ilDecennalesecondo1514

Inizial’Asino1516-

17

Le opere di Niccolò Machiavelli

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14. Niccolò Machiavelli 561

Le opereDalla politica all’ozio forzato: l’EpistolarioAnche se la parte più importante degli scritti di Machiavelli risale al periodo successivo alladestituzione, la vocazione letteraria del segretario fiorentino trova già modo di esprimersidurante il frenetico quindicennio di incarichi politici (1498-1512). In questi anni Machia-velli redige una fitta corrispondenza diplomatica nella veste ufficiale di segretario (Lega-zioni, Commissarie, Scritti di governo). Analizza alcuni degli eventi contemporanei che piùcolpiscono la sua attenzione, come la feroce gestione del potere del duca Valentino, cheMachiavelli considerò sempre esemplare (Descrizione del modo tenuto dal duca Valentinonello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di GravinaOrsini). Scrive a Perugia, nel 1506, alcune riflessioni sul rapporto conflittuale tra fortuna ecapacità politica individuale: i Ghiribizi indirizzati a Giovan Battista Soderini. È autore diuna cronaca in versi della storia fiorentina recente, il Decennale (letteralmente, cronaca didieci anni), oltre che di varie altre opere in versi (sonetti, ballate, canti carnascialeschi).Si interessa di teatro cercando di tornare ai modelli del teatro classico: volgarizza l’Andria,una commedia del poeta latino Terenzio. Inizia a comporre il poemetto in terzine L’Asino.Tuttavia è solo con l’emarginazione dalla vita pubblica, dopo l’annus terribilis 1512, che

Machiavelli ha, suo malgrado, l’agio di dedicarsi allascrittura a tempo pieno. Ascoltiamo dalla voce dellostesso Machiavelli la genesi della sua vocazione diteorico, leggendo la lettera all’amico Francesco Vet-tori del 10 dicembre 1513 [uT93].

5

1. Quali argomenti tratta Machiavelli nella sua corrispon-denza diplomatica? 2. Fra quali generi spazia la produ-zione letteraria di Machiavelli prima del 1512?

Guida allo studio

Epistolario

L’epistolario di Machiavelli comprende un’ottantina di lettere. Non si tratta di un insiemeorganico, dal momento che l’autore non provvide mai, come aveva fatto Petrarca, a racco-gliere i suoi testi per dare un’immagine ideale di sé. Le lettere del segretario fiorentino, alcontrario, costituiscono un efficacissimo esempio di scrittura privata. In questi testi emer-ge una straordinaria varietà di registri espressivi e di temi: accanto a meditazioni sulpotere della fortuna, si leggono rappresentazioni auto-ironiche e battute salaci; accanto apenetranti osservazioni di carattere politico, compaiono deformazioni comiche della realtàprivata, nelle quali è facile riconoscere le affinità coi testi teatrali.

Le giornate all’Albergaccio e la composizione del Principe

Epistolario, 216

Questa è la lettera forse più celebre della letteratura italiana. È l’epistola che Machiavelli scris-se il 10 dicembre 1513, per narrare all’amico Francesco Vettori il tenore della propria vita inseguito alla caduta della Repubblica e alla restaurazione del potere dei Medici (1512). Estro-messo da ogni incarico e falsamente accusato di aver preso parte a una congiura anti-medicea,

T93

AN

TOLO

GIA

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l’ex segretario vive ora confinato nel podere di famiglia noto come Albergaccio, nei pressi diSan Casciano in Val di Pesa. Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino a Roma, ha appena nar-rato all’amico esule le sue splendide giornate presso la corte del papa. Machiavelli gli rispon-de narrando, per contrasto, lo squallore delle proprie. Nella prima parte della lettera (dopo unpreambolo che si è scelto di non riportare) egli descrive con amarezza le proprie condizioni: digiorno è costretto a trattare con persone triviali, per tutelare i propri interessi, e a “ingagliof-firsi” (‘involgarirsi’) per non annoiarsi. La sera, invece, può finalmente dedicarsi allo studio deiclassici latini e alla riflessione sulla storia e sul potere politico. Da questo studio – riferiscel’autore – è nato il trattatello De principatibus, ovvero Il Principe.

Io mi sto in villa, et poi che seguirno quelli miei ultimi casi, non sono stato, ad acco-zarli tutti, venti dì a Firenze1. Ho fino a qui uccellato a’ tordi di mia mano2. Levavo-mi innanzi dì, impaniavo, andavone oltre con un fascio di gabbie addosso, che pare-vo el Geta quando e’ tornava dal porto con e libri d’Amphitrione3; pigliavo el menodua, el più sei tordi4. Et così stetti tutto settembre; dipoi questo badalucco, ancora chedispettoso et strano, è mancato con mio dispiacere5; et qual la vita mia vi dirò6. Io milievo la mattina con el sole et vommene7 in un mio boscho che io fo tagliare, dovesto dua hore a rivedere l’opere del giorno passato, et a passar tempo con quegli ta-gliatori, che hanno sempre qualche sciagura alle mane8 o fra loro o co’ vicini. Et cir-ca questo bosco io vi harei a dire mille belle cose che mi sono intervenute, et con Fro-sino da Panzano et con altri che voleano di queste legne9. Et Fruosino in spetie mandòper certe cataste senza dirmi nulla, et al pagamento mi voleva rattenere 10 lire, chedice haveva havere da me quattro anni sono, che mi vinse a cricca in casa AntonioGuicciardini10. Io cominciai a fare el diavolo; volevo accusare el vetturale, che vi eraito per esse, per ladro; tandem Giovanni Macchiavelli vi entrò di mezzo, et ci posed’accordo11. Batista Guicciardini, Filippo Ginori, Tommaso del Bene et certi altri cit-tadini, quando quella tramontana12 soffiava, ognuno me ne prese una catasta. Io pro-messi a tutti; et manda’ne una a Tommaso, la quale tornò in Firenze per metà, perchéa rizzarla vi era lui, la moglie, le fante, e figliuoli, che paréno el Gabburraquando elgiovedì con quelli suoi garzoni bastona un bue13. Di modo che, veduto in chi era gua-

562 I Grandi Autori

1. Io mi sto... Firenze: ‘Io me ne sto in campa-gna (villa) e, dopo le mie ultime vicende, nonsono stato a Firenze, a contarli (accozarli) tutti,nemmeno venti giorni’. – quelli miei ultimi

casi: si allude alla destituzione dalle carichepubbliche, nonché al carcere e alla torturadovuti all’accusa di aver preso parte a una con-giura anti-medicea.2. uccellato... mano: ‘sono andato a caccia ditordi da solo (di mia mano)’.3. Levavomi... Amphitrione: ‘Mi alzavo da let-to prima dell’alba, preparavo le gabbie dispo-nendovi sopra la pania, proseguivo con unfascio di gabbie addosso, così che sembravoGeta quando tornava dal porto con i libri diAnfitrione’. – Levavomi... impaniavo, andavo-

ne: il verbo all’imperfetto serve per designareun’azione abituale per un certo tempo, poi nonpiù praticata. – pania: materiale vischioso sulquale gli uccelli restano invischiati; ‘impaniare’è termine tecnico proprio della caccia). – Geta:

lo schiavo di Anfitrione nel racconto in ottave(tecnicamente detto cantare) intitolato Geta eBirria, ispirato alla celebre commedia del com-mediografo latino Plauto (259 ca.-184 ca. a.C.).

Machiavelli dipinge sé stesso in modo grotte-sco, alludendo al brano in cui Geta, carico dilibri, precede Anfitrione di ritorno da Atenedove era andato per studiare.4. pigliavo... tordi: ‘pigliavo due tordi quandoandava male (el meno), sei quando andavabene (el più)’.5. dipoi... dispiacere: ‘dopo, questo diverti-mento (badalucco), per quanto (ancora che)fatto con rabbia e non usuale, non è stato piùpossibile con mio dispiacere’.6. qual... dirò: ‘vi dirò quale (sottinteso: sia) lamia vita’ (dopo che non ho più potuto cacciare)’.7. vommene: ‘me ne vado’.8. sciagura alle mane: ‘lite in corso’.9. Et circa... legne: ‘E a proposito di questobosco io vi avrei a dire mille belle cose che misono capitate (intervenute), sia con Frosino daPanzano, sia con altri che volevano un poco diquesto legname’. – Frosino da Panzano: pos-siamo immaginare che fosse un conoscente diMachiavelli e di Vettori.10. Et Fruosino... Guicciardini: ‘E Frosino inparticolare (in spetie) mandò a prendere(mandò) alcune cataste senza dirmi nulla e, al

momento di pagarmi, voleva trattenere (ratte-nere) dieci lire che a suo dire doveva avere(haveva havere) ormai da quattro anni, daquando mi aveva battuto a cricca (un gioco dicarte) in casa di Antonio Guicciardini’. – Anto-

nio Guicciardini: è un’altra figura di cui nullasappiamo, così come degli altri personaggi cheappaiono nel seguito del racconto.11. Io cominciai... d’accordo: ‘Io cominciai afare una sfuriata (a fare el diavolo); volevoaccusare come ladro il carrettiere (vetturale)che era venuto lì per prenderle (le cataste); poifinalmente (tandem, avverbio latino) GiovanniMacchiavelli fece da mediatore (vi entrò di mez-zo) e ci mise d’accordo’.12. quella tramontana: ‘quella famosa tra-montana’. La tramontana è un vento gelido, ilcui soffiare fa sì che aumenti il consumo dilegna da ardere (che era ovviamente la primafonte di riscaldamento).13. et manda’ne... un bue: ‘e a Tommaso nemandai una a Firenze: catasta che a Firenzerisultò la metà di quella che era davvero, per-ché a caricarla sul carro (rizzarla) ci s’eranomessi lui, la moglie, le serve (fante) e i figli, che

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dagno, ho detto agl’altri che io non ho più legne; e tutti ne hanno fatto capo grosso,et in spetie Batista, che connumera questa tra l’altre sciagure di Prato14.

Partitomi del bosco, io me ne vo a una fonte, et di quivi in un mio uccellare15.Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o un di questi poeti minori, come Tibullo,Ovvidio et simili: leggo quelle loro amorose passioni et quelli loro amori, ricordo-mi de’ mia, godomi un pezzo in questo pensiero16. Transferiscomi poi in su la stra-da nell’hosteria, parlo con quelli che passono, dimando delle nuove de’ paesi loro,intendo varie cose, et noto varii gusti et diverse fantasie d’huomini17. Vienne inquesto mentre l’hora del desinare, dove con la mia brigata mi mangio di quelli cibiche questa povera villa et paululo patrimonio comporta18. Mangiato che ho, ritor-no nell’hosteria: quivi è l’hoste, per l’ordinario, un beccaio, un mugniaio, dua for-naciai19. Con questi io m’ingaglioffo per tutto dì giuocando a criccha, a triche-tach,et poi dove nascono mille contese et infiniti dispetti di parole iniuriose, et il più del-le volte si combatte un quattrino et siamo sentiti nondimanco gridare da SanCasciano20. Così rinvolto entra questi pidocchi traggo el cervello di muffa, et sfogoquesta malignità di questa mia sorta, sendo contento mi calpesti per questa via, pervedere se la se ne vergognassi21.

Venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l’uscio mi spo-glio quella veste cotidiana, piena di fango et di loto, et mi metto panni reali et curia-li22; et rivestito condecentemente entro nelle antique corti degli antiqui huomini, do-ve, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et che ionacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro, et domandarli della ragio-ne delle loro actioni23; et quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento per 4hore di tempo alcuna noia, sdimenticho ogni affanno, non temo la povertà, non misbigottiscie la morte: tucto mi transferisco in loro24. E perché Dante dice che non fascienza sanza lo ritenere lo havere inteso25, io ho notato quello di che per la loro con-

sembravano il macellaio Gaburra coi suoi aiu-tanti quando di giovedì bastona un bue’. Conquesta immagine grottesca Machiavelli alludeal fatto che Tommaso coi suoi aiutanti si eradato da fare per far sembrare la legna presa aSan Casciano la metà di quello che era in effet-ti, percuotendo la catasta con una forza similea quella di un macellaio che bastona il bue coisuoi garzoni. Gaburra era appunto un macel-laio fiorentino celebre per la sua prestanza.14. Di modo che... Prato: ‘In questo modo,avendo visto a chi veniva tutto il guadagno, hodetto agli altri che non avevo più legna; e tuttigli altri se ne sono avuti a male (hanno fattocapo grosso) e in particolare Battista, chenumera questa fra le altre sciagure di Prato’;Prato fu saccheggiata dagli spagnoli nel 1512,l’anno in cui Battista Guicciardini era podestàdella città. Machiavelli ironizza sulle reazionieccessive dei suoi altri acquirenti. Tommaso ei suoi aiutanti avevano compattato la catastaper farla sembrare meno di quella che era eMachiavelli era stato truffato (la legna era ven-duta non a peso, ma a volume).15. uccellare: ‘uccellatoio’ (un bosco dovesono collocate le trappole).16. Ho un libro... pensiero: ‘Ho un libro sottobraccio (sotto), o di Dante o di Petrarca o di unodi questi poeti minori come Tibullo, Ovidio ealtri simili: leggo quelle loro amorose passionie quei loro amori, mi ricordo dei miei (de’ mia),

godo a lungo di questi pensieri. – Tibullo, Ovvi-

dio: Albio Tibullo (55-18 a.C.) e Publio OvidioNasone (43 a.C.-18 d.C.) sono due poeti latiniqui ricordati per le loro poesie elegiache, chehanno per tema l’amore. – poeti minori: proba-bilmente una definizione ironica, dovuta allaleggerezza del tema.17. dimando... huomini: ‘chiedo notizie (nuo-ve) dei loro paesi, ascolto (intendo) varie cosee noto la varietà dei gusti e dei caratteri degliuomini’.18. Vienne... comporta: ‘Nel frattempo (inquesto mentre) viene l’ora di pranzo, alla quale(dove) con la gente di casa (brigata) mangioquei cibi che consentono (comporta) questapovera dimora di campagna (villa) e il miseropatrimonio’. – villa: il podere detto Albergac-cio. – paululo: ‘piccolissimo’, latinismo.19. quivi... fornaciai: ‘qui si trovano di solito(per l’ordinario) l’oste, un macellaio (beccaio),un mugnaio, due operai che lavorano in forna-ce (fornaciai)’.20. Con questi... San Casciano: ‘Con questiindividui mi involgarisco (m’ingaglioffo) tutto ilgiorno giocando a carte (criccha è un anticogioco di carte), a dadi (triche-trac), da cui poi(et poi dove) nascono mille litigi, infinite ripic-che e offese ingiuriose, e il più delle volte sigioca per pochi soldi (un quattrino) e tuttavia(nondimanco) le nostre grida si sentono fino aSan Casciano’.

21. Così rinvolto... vergognassi: ‘Così, deditoa queste misere occupazioni (pidocchi), evitoche il cervello mi si ammuffisca (traggo el cer-vello di muffa) e sfogo la malignità della mia sor-te, consentendo (sendo contento) che essa (lasorte) mi calpesti in questo modo (per questavia), per vedere se arriverà a vergognarsene’.22. Venuta... curiali: ‘Venuta la sera, torno acasa ed entro nel mio studio (scrittoio) e sullasoglia mi tolgo l’abito quotidiano, pieno di fan-go e mota, e indosso gli abiti reali e degni diuna corte (curia in latino significa corte)’.23. et rivestito... actioni: ‘E dopo essermirivestito in modo decoroso (condecentemen-te), entro nelle antiche corti degli uomini anti-chi, dove, da loro ricevuto con amore, mi nutrodi quel cibo che è il solo che sento mio e per ilquale io sono nato; dove non mi vergogno aparlare con loro (gli uomini antichi) e a interro-garli (domandarli) sulle ragioni delle loro azio-ni’. – solum: ‘soltanto’ (avverbio latino).24. et quelli... in loro: ‘e quelli per la loro cor-tesia (humanità) mi rispondono, e io per quat-tro ore non provo alcun fastidio (noia), dimen-tico ogni affanno, non temo la povertà, la mor-te non mi incute timore (sbigottiscie): mi trasfe-risco completamente (tucto) fra di loro’.25. non fa... inteso: «ché non fa scienza, / san-za lo ritenere, avere inteso», Paradiso, V, 41-42(‘capire qualcosa, se poi non lo si ricorda, nonequivale a conoscere’).

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versatione ho fatto capitale, et composto uno opusculo De principatibus, dove io miprofondo quanto io posso nelle cogitationi di questo subbietto, disputando che cosaè principato, di quale spetie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, per-ché e’ si perdono26. Et se vi piacque mai alcuno mio ghiribizo27, questo non vi dover-rebbe dispiacere; et a un principe, et maxime28 a un principe nuovo, doverrebbe es-sere accetto; però io lo indirizzo alla Magnificenza di Giuliano29. Filippo Casavec-chia30 l’ha visto; vi potrà ragguagliare in parte et della cosa in sé, et de’ ragionamen-ti ho hauto seco, anchor che tuttavolta io l’ingrasso et ripulisco31.

Voi vorresti, magnifico ambasciadore, che io lasciassi questa vita et venissi agodere con voi la vostra32. Io lo farò in ogni modo, ma quello che mi tenta hora ècerte mia faccende che fra 6 settimane l’harò fatte33. Quello che mi fa stare dubbioè che sono costì quelli Soderini, e quali io sarei forzato, venendo costì, vicitarli etparlar loro34. Dubiterei che alla tornata mia io non credessi scavalcare a casa, etscavalcassi nel Bargiello, perché, ancora che questo stato habbi grandissimi fonda-menti et gran sicurtà, tamen egli è nuovo, et per questo sospectoso, né ci manca de’saccenti, che, per parere come Pagolo Bertini, metterebbono altri a scotto, et lascie-rebbono pensiero a me35. Pregovi mi solviate questa paura, et poi verrò infra el tem-po detto a trovarvi a ogni modo36.

Io ho ragionato con Filippo di questo mio opusculo, se gli era ben darlo o nonlo dare; et, sendo ben darlo, se gli era bene che io lo portassi, o che io ve lo man-dassi37. El non lo dare mi faceva dubitare che da Giuliano e’ non fussi, non ch’al-tro, letto, et che questo Ardinghelli si facessi honore di questa ultima mia faticha38.El darlo mi faceva la necessità che mi caccia, perché io mi logoro et lungo temponon posso star così che non diventi per povertà contennendo39. Appresso al desi-derio harei che questi signori Medici mi cominciassino adoperare, se dovessinocominciare a farmi voltolare un sasso40; perché, se poi non me gli guadagnassi, io

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26. io ho notato... perdono: ‘io ho annotatociò di cui (di che), conversando con loro, ho fat-to tesoro (capitale), e ho composto un libricino(opusculo) intitolato De principatibus, nel qualeapprofondisco più che posso le riflessioni(cogitationi) su questo tema (subbietto), discu-tendo (disputando) che cos’è il principato, diquali specie essi siano (sottinteso i principati),come si conquistano, come si conservano (simantengono), per quali ragioni si perdano’. –De principatibus: titolo latino del Principe (let-teralmente: ‘sulle monarchie’).27. ghiribizo: ‘stravagante fantasia’, detto conmodestia.28. maxime: ‘soprattutto’ (latino).29. Giuliano: figlio di Lorenzo il Magnifico, Giu-liano de’ Medici sarebbe morto però molto pre-sto, nel 1516. Forse in seguito a questa morte oforse in precedenza, Il Principe fu dedicato, inve-ce, a Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino e figliodi Piero (primogenito di Lorenzo il Magnifico).30. Filippo Casavecchia: l’amico comunemenzionato all’inizio della lettera.31. vi potrà... ripulisco: ‘vi potrà in parte dareinformazioni (ragguagliare), sia (et) sul libro insé, sia (et) sui discorsi che ho avuto con lui, seb-bene io accresca il trattato e lo corregga conti-nuamente (tuttavolta)’. Con questa specificazio-ne Machiavelli intende dire che al Casavecchiasfuggono alcune delle idee che Machiavelli haaggiunto nel frattempo.32. a godere... vostra: nella lettera del 23 no-

vembre Vettori aveva parlato all’amico della vi-ta oziosa e piacevole che stava trascorrendo aRoma.33. ma quello... fatte: ‘ma ciò che ora mi trat-tiene (tenta) sono certi miei affari (faccende)che avrò concluso fra sei settimane’.34. Quello che... loro: ‘Quello che mi rendeincerto (mi fa stare dubbio) è che lì a Roma(costì) si trovano i Soderini e, se io venissi lì,sarei costretto (forzato) a visitarli e a frequen-tarli’. In quel momento risiedeva a Roma PierSoderini, col fratello cardinale. Prima del ritor-no dei Medici, Pier Soderini era stato il gonfa-loniere della Repubblica fiorentina. Machiavelliera stato uno dei suoi collaboratori più stretti,perciò teme che i Medici, dai quali vuole esse-re ora riabilitato, non vedano di buon occhio unsuo eventuale contatto con l’ex gonfaloniere.35. Dubiterei... a me: ‘Temerei che al mio ritor-no, credendo di smontare da cavallo (scavalca-re) a casa mia, dovessi invece smontare al Bar-gello (il carcere) perché, sebbene il principatomediceo di Firenze (questo stato) abbia fonda-menta solidissime e grande sicurezza (sicurtà),tuttavia (tamen) è di recente formazione (nuo-vo) e per questo sospettoso (i Medici erano tor-nati padroni di Firenze solo un anno prima), enon mancano persone intriganti come PaoloBertini (personaggio a noi ignoto) che, permettersi in mostra (per parere), mi inviterebbe-ro all’osteria (a scotto), e poi lascerebbero a mela cura di pagare’; fuor di metafora il passo

significa: ‘mi manderebbero in prigione e lasce-rebbero a me la preoccupazione di togliermidai guai’. – altri: è impersonale, ma qui va rife-rito al me specificato subito dopo. – scotto: èil prezzo che si paga all’osteria o alla locanda;per metonimia indica il pasto o l’ospitalità.36. Pregovi... a ogni modo: ‘Vi prego che miliberiate da questa paura, che poi verrò a tro-varvi sicuramente entro (infra) il tempo detto’.37. Io ho... mandassi: ‘io ho discusso con Filip-po (Casavecchia) di questo mio libricino, se erail caso di offrirlo (sottinteso: a Giuliano de’Medici) oppure no; e, posto che fosse beneoffrirlo, se era il caso che io glielo portassi dipersona o glielo spedissi’.38. El non... faticha: ‘Mi faceva credere che fos-se meglio non offrirlo il dubbio che Giuliano nonl’avrebbe letto neppure (non ch’altro) e che l’Ar-dinghelli (il segretario del papa Leone X, fratel-lo di Giuliano) si sarebbe preso il merito (si fa-cessi honore) di questa mia ultima fatica’ (dicen-do che l’opera fosse sua e non di Machiavelli).39. El darlo... contennendo: ‘Mi spingeva a of-frirlo la necessità (economica) che mi incalza(caccia), perché io mi consumo e non posso sta-re a lungo in questa condizione senza diventareun povero spregevole (per povertà contennen-do: letteralmente: ‘spregevole a causa della po-vertà)’.40. Appresso... sasso: ‘Oltre al desiderio cheavrei che questi signori Medici cominciasseroa servirsi di me (mi cominciassino adoperare),

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mi dorrei di me; et per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe che quindicianni che io sono stato a studio all’arte dello stato, non gl’ho né dormiti né giuoca-ti41; et doverrebbe ciascheduno haver caro servirsi d’uno che alle spese d’altri fus-si pieno di experienzia42. Et della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché,havendo sempre observato la fede, io non debbo imparare hora a romperla; et chiè stato fedele et buono 43 anni, che io ho, non debbe potere mutare natura; et del-la fede et della bontà mia ne è stimonio la povertà mia43.

Desidererei adunque che voi ancora mi scrivessi quello che sopra questa mate-ria vi paia, et a voi mi raccomando. Sis felix44.

Die x Decembris 151345.Niccolò Machiavelli in Firenze

anche se (se) dovessero cominciare col farmirotolare una pietra’, cioè ‘mi dessero un compi-to anche da poco, faticoso e inutile’.41. perché... giuocati: ‘perché, se poi non lirendessi ben disposti verso di me (non me gliguadagnassi, i Medici), sarebbe solo colpa mia(e non della fortuna avversa); e grazie a questo(libricino, Il Principe), se venisse letto, sivedrebbe che i quindici anni che mi sono appli-cato all’arte della politica (sono stato a studioall’arte dello stato), non li ho trascorsi né dor-mendo, né giocando’.

42. et doverrebbe... experienzia: ‘e dovreb-bero tutti apprezzare (haver caro) la possibilitàdi servirsi di qualcuno che si è riempito di espe-rienza al servizio di altri’, cioè ‘sotto un altrogoverno’.43. Et della fede... povertà mia: ‘E della miafedeltà (fede, latinismo) non si dovrebbe dubi-tare, perché, avendo io sempre rispettato lafedeltà, non imparerò certo ora a infrangerla; ecolui che è stato fedele e onesto per 43 anni,che è la mia età, non potrà certo (non debbepotere) cambiare la sua natura; e testimonian-

za (stimonio) della mia fedeltà e della mia one-stà è la mia povertà’.44. Desidererei... felix: ‘Desidererei dunqueche anche (ancora) voi mi scriveste la vostraopinione (quello che... vi paia) riguardo al dub-bio se dedicare o no il Principe ai Medici (sopraquesta materia). Sii felice’. – Sis felix: formulalatina tipica dello stile epistolare.45. Die x Decembris 1513: ‘il giorno 10 dicem-bre 1513’ (latino).

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Lettura guidataAUTORITRATTO DI GIORNO Nel narrare le propriegiornate di esule all’Albergaccio, Machiavelli ribalta,con amara autoironia, quanto aveva riferito di sé ilsuo interlocutore Francesco Vettori. Mentre l’amico,ambasciatore a Roma, gode di prestigiosi incontricon le alte personalità della corte papale, Machiavel-li è costretto invece a una vita avvilente. Dopo cheanche un piccolo divertimento come la caccia ai tor-di è venuto a mancare, la giornata standard dell’esu-le in campagna ci viene narrata come una serie di vi-cende degradanti. Il primo tempo della giornata èquello in cui Machiavelli si reca al bosco della pro-pria tenuta, per difendere dai profittatori un beneprezioso come la legna: l’autoritratto è quello di unuomo pronto alla lite e alla zuffa (letteralmente a«fare el diavolo», r. 14) pur di tutelare i propri inte-ressi. Questo degrado sembra interrompersi nel tem-po successivo, quando, prima di pranzo, presso unafonte, l’autore ha l’agio di leggere un poco di poesia(Dante, Petrarca, Tibullo e Ovidio). Ma il terzo tem-po della giornata fa sprofondare di nuovo l’autore

nell’abbrutimento. All’osteria Machiavelli si auto-rappresenta in tutto e per tutto simile agli altri av-ventori: un macellaio, un mugnaio e due operai. As-sieme a questa umile compagnia, con la quale litigaa squarciagola per pochi soldi, Machiavelli affermadi “ingaglioffirsi” volentieri, pur di non fare ammuf-fire il cervello.

AUTORITRATTO DI SERA Questo autoritratto digiorno, così sarcastico e impietoso nei propri con-fronti, è in antitesi violenta e ben studiata con l’au-toritratto di sera, il momento in cui Machiavelli puòentrare nel proprio scrittoio e dedicarsi alla letturadei classici antichi. La metafora che qui impiega Ma-chiavelli è quella del cambio di abito: depone la ve-ste diurna, piena di fango (la degradazione morale dicui si è detto); e indossa vesti pulite, pomposamen-te definite «panni reali et curiali» (rr. 39-40). Evi-dentemente, questo cambio d’abito è, sì, concreto,ma soprattutto è simbolico: indossando nuove vestie ritraendosi nello studio, Machiavelli si astrae dallaumile realtà in cui è confinato e può dialogare libe-ramente con gli autori antichi. Si noti, fra l’altro, che

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IA tali autori vengono evocati come se fossero dei verie propri interlocutori in carne e ossa, che Machiavel-li può interrogare e ai quali può domandare le ragio-ni del loro operato politico. Questo dialogo nelloscrittoio, che viene metaforicamente designato co-me un pasto spirituale («quel cibo, che solum èmio», r. 41), è il perfetto opposto del dialogo volga-re all’osteria. Si badi però che entrambi i momentidella giornata costituiscono per Machiavelli occasio-ne di conoscenza. Anche di giorno, sulla strada da-vanti all’osteria, egli aveva domandato ai passanti«nuove de’ paesi loro» (r. 27) per conoscere «variigusti et diverse fantasie d’huomini» (r. 28). La voca-

zione di Machiavelli alla conoscenza dell’uomo ealle costanti del suo agire è identica, anche se ovvia-mente è solo di sera che può essere degnamente sod-disfatta.

DUE STILI DISTINTI Il contrasto fra i due autori-tratti, quello diurno e quello serale, si regge su unaben studiata differenza stilistica. Nel primo caso Ma-chiavelli impiega un registro colloquiale, che non dirado sfocia nel comico, come quando, per evocare latruffa subìta da Tommaso del Bene, ricorre alla simi-litudine del macellaio Gaburra che il giovedì basto-na il bue in piazza. Nella seconda metà della lettera,invece, lo stile si fa più sostenuto, ricco di terminilatineggianti e di espressioni auliche: «panni reali etcuriali» (rr. 39-40), «entro nelle antique corti degli

antiqui huomini» (r. 40), «mi pasco di quel cibo» (r.41). Con la rappresentazione grottesca della primaparte, Machiavelli si dipinge coscientemente comecolui che è prostrato dalla fortuna, ma non teme diaccettare le conseguenze della mala sorte («et sfo-go questa malignità di questa mia sorta, sendo con-tento mi calpesti per questa via, per vedere se la sene vergognassi», rr. 35-37). Raffigurandosi inveceintento a nobili studi, Machiavelli esalta la propriasete di conoscenzae la propria ricerca di una “virtù”politica, vale a dire di una capacità di governare loStato: «arte dello stato» (r. 74).

IL PRINCIPE A questa arte di governare lo Stato èdedicato il frutto degli studi serali: il trattatelloteorico intitolato Il Principe (qui recante il titololatino De principatibus). Con questa opera, che quiappare ancora destinata a Giuliano de’ Medici, mache in seguito sarebbe stata dedicata a Lorenzo diPiero de’ Medici duca d’Urbino, Machiavelli intende-va mostrare ai nuovi padroni di Firenze tutta la suacompetenza politica, con l’orgoglio di chi sapevadi aver messo a frutto come meglio non si poteva iquindici anni di esperienza: «si vedrebbe chequindici anni che io sono stato a studio all’arte del-lo stato, non gl’ho né dormiti né giocati» (rr. 73-75). L’auspicio dunque è quello di ricevere nuoviincarichi, quand’anche fossero state fatiche inutilicome «voltolare un sasso» (r. 72).

comprensione e analisi

1. Dividi la lettera in sequenze e isola i singoli momen-ti della giornata dell’autore.2. Evidenzia i verbi che caratterizzano le azioni svoltenei diversi momenti della giornata.3. Sottolinea i paragoni e le similitudini presenti neltesto.4. Riassumi il testo nel minor numero di parole possibi-le, usando la terza persona.5. Nel brano è utilizzata la parola scotto (r. 62). In qua-le accezione? Conosci qualche espressione dell’italianocontemporaneo in cui si usa ancora questa parola?

interpretazione

6. Sottolinea tutti i riferimenti alla nuova opera che Ma-chiavelli dichiara di aver composto presenti nella lettera.7. Isola nel testo alcuni passi che rivelino le differenzestilistiche fra l’autoritratto diurno e quello serale.

8. Il trapasso dalla prima alla seconda parte della lette-ra viene simboleggiato con un cambio d’abito. Che signi-ficato attribuisci a questo trapasso? Spiegalo usandocirca 100 parole.

interpretazione e contestualizzazione

9. Nella scena all’osteria è implicita una ben precisaconcezione antropologica. In quali altri passi hai vistoMachiavelli insistere sull’attaccamento degli uomini alproprio interesse?10. Dal testo affiora in modo chiaro la volontà da partedi Machiavelli di tornare a dedicarsi alla vita politica.Ripercorri, a partire dai riferimenti presenti nella lette-ra e sulla base delle tue conoscenze, le circostanze chelo hanno visto protagonista della politica fiorentina, isuoi incarichi, le vicende che lo hanno costretto adallontanarsi da Firenze; scrivi sull’argomento un testo dicirca 300 parole.

Esercizi

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Il PrincipeCOMPOSIZIONE DEL TRATTATO E SCELTA DELL’ARGOMENTO La genesi del Principe èdocumentata dalla celebre lettera che Machiavelli scrisse all’amico Francesco Vettori il 10 di-cembre 1513 dall’Albergaccio [uT93]. Qui l’autore lamenta l’esilio al quale è costretto dopola caduta della Repubblica fiorentina e la restaurazione del potere dei Medici. Trascorrendonell’ozio le proprie giornate, l’ex segretario della Repubblica si dedica alla lettura degli sto-rici antichi e alla riflessione sul potere politico. Da questa riflessione – ci viene narrato – ènato l’«opusculo» (libretto) intitolato De principatibus, titolo latino che significa letteral-mente ‘i principati’ o ‘le monarchie’ (anche i singoli capitoli dell’opera recano tutti un’indi-cazione di argomento in latino). Il Principe è un breve trattato politico, di soli 26 capitoli, ilcui oggetto è la forma politica della monarchia o, come spiega l’autore all’amico, «che cosaè principato, di quale spetie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché e’si perdono». La scelta del tema, la monarchia e le sue forme, è funzionale al desiderio di Ma-chiavelli di essere riammesso agli incarichi politici. L’opera infatti era stata pensata per es-sere dedicata a un esponente di spicco fra i Medici. Da una parte, l’ex segretario scrive Il Prin-cipe per mostrare ai nuovi padroni di Firenze tutta la competenza politica maturata nei suoiquindici anni al servizio della Repubblica: non a caso il principato che viene più diffusamen-te analizzato è quello che viene definito «nuovo», vale a dire la monarchia di recente forma-zione, come era quella medicea a Firenze. D’altro canto, l’autore si rivolge ai signori di Firen-ze per spronarli a estendere la loro egemonia su tutta l’Italia, così da liberare la penisola dal-l’influenza delle potenze straniere, la Francia, la Spagna e l’Impero germanico. La forma po-litica del principato viene proposta in una luce eroica e ideale: essa risulta la risposta più

efficace alle drammatiche condizioni dell’Italia contemporanea, nella quale il sistemadelle signorie quattrocentesche era venuto meno con la morte di Lorenzo il Magnifico (1492)e la calata in Italia dell’esercito francese di Carlo VIII, nel 1494.

Machiavelli scrisse Il Principe (o quantomeno il suo nucleo) in pochi mesi e con grande vee-menza: per dedicarsi all’«opusculo», egli interruppe i più ampi Discorsi sopra la prima Deca diTito Livio. Non sappiamo tuttavia quanto del Principe fosse composto all’altezza della letteraal Vettori. Alcuni pensano che nel dicembre 1513 l’intera opera fosse conclusa; altri pensanoinvece che a quella data fossero pronti solo i primi undici capitoli e che il resto sia stato com-posto intorno al 1515, con eventuali, successive aggiunte. La dedica dell’opera non aiuta asciogliere l’incertezza. Nel 1513 Machiavelli aveva previsto di offrire a Giuliano de’ Medici iltrattato, che in seguito fu invece dedicato a Lorenzo di Piero de’ Medici, duca di Urbino. Maquando e perché l’autore modificò la dedica? Nel 1516, dopo la morte di Giuliano? Oppure frail 1515 e il 1516, mentre Giuliano era ancora vivo, ma Lorenzo, nel frattempo, veniva elettocapitano generale dei fiorentini e nominato duca di Urbino? L’incertezza sussiste. Certo è so-lo che Lorenzo si rivelò una figura abbastanza scialba: la straordinaria novità del trattato pas-sò inosservata e il testo fu stampato solo nel 1532, dopo che il suo autore era già scomparso.

STRUTTURA Alla lettera dedicatoria a Lorenzo de’ Medici seguono i 26 capitoli che com-pongono la trattazione teorica: essi si possono raggruppare in quattro sezioni principali.Nella prima sezione (capp. I-XI) Machiavelli distingue fra tre tipi di principato: l’eredita-rio, il misto e il nuovo. Il primo e il secondo vengono discussi nei capp. II-V: si tratta diquelle monarchie, nelle quali il principe o ha ereditato il potere (principato ereditario), ol’ha in parte ereditato, in parte conquistato di recente (principato misto). Il terzo tipo di

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monarchia, il principato nuovo, è quello in cui il principe ha conquistato l’intero regno conla sua capacità politica, sfruttando a proprio favore la sorte o fortuna. Questo tipo vienetrattato diffusamente (capp. VI-XI) ed è quello che più sta a cuore a Machiavelli, il qualesi rivolge ai Medici, principi nuovi di Firenze, e confida in loro, affinché siano risollevatele sorti dell’Italia. Dopo avere additato alcuni modelli antichi [uT95], Machiavelli indugiasull’operato di due principi nuovi vissuti di recente, il cui operato egli considera esempla-re: Francesco Sforza, duca di Milano; e il duca Valentino, signore di Romagna [uT96].Nella seconda sezione, assai breve (capp. XII-XIV), oggetto di analisi è la cruciale questio-

ne delle milizie: l’autore esalta le milizie proprie, fedeli al loro principe e motivate dal-la difesa di interessi personali; al contrario, deplora le milizie mercenarie, allora impie-gate da molti Stati, ma considerate da Machiavelli del tutto inaffidabili.

Nella terza sezione (capp. XV-XXIII), Machiavelli prende in esame i vizi e le virtù del prin-

cipe. Le virtù che egli propone al principe non sono dettate dal criterio di dovere morale, ben-sì da quello di utilità politica. Secondo Machiavelli, infatti, è indispensabile separare il pun-

to di vista morale dal punto di vista politico: se il primo considera gli uomini per quello chedovrebbero essere, il secondo li fa conoscere per quello che effettivamente sono («verità ef-fettuale»). I vizi e le virtù del principe, di conseguenza, non sono da misurare secondo il cri-terio morale, bensì secondo quello politico [uT97]. È in quest’ottica che Machiavelli si indu-ce a consigliare al perfetto principe alcune virtù esclusivamente politiche: essere parsimo-nioso piuttosto che generoso, crudele piuttosto che pietoso, usare l’astuzia della volpe e laviolenza del leone, non sentirsi obbligato a rispettare la parola data [uT98]. Nella quarta eultima sezione (capp. XXIV-XXVI) Machiavelli conclude analizzando la drammatica situazionepolitica dell’Italia contemporanea [uT99]. Insistendo sulla dialettica fra la capacità politicadel principe e la fortuna avversa, Machiavelli auspica l’avvento di un principe nuovo (il desti-natario Lorenzo de’ Medici), che con risolutezza sappia liberare l’Italia dai barbari [uT100].

UNA NUOVA VISIONE DELLA POLITICA Per rendersi conto della straordinaria novità deltrattato di Machiavelli occorre tener conto che la precedente trattatistica sul potere regaleaveva sempre invitato il principe a conformarsi a un modello di virtù morale. Questa tradi-zione, che prende il nome di Speculum principis (‘specchio di virtù nel quale il principe è in-vitato a specchiarsi e a conformare le proprie azioni’), viene liquidata da Machiavelli e sosti-tuita con una concezione del tutto nuova di virtù politica. La virtù del regnante, infatti, nonsi misura sulla sua capacità di conformarsi a un modello etico, bensì sulla sua capacità di con-

servare il potere e di garantire la felicità pubblica, secondo un principio di vera e propriaemancipazione della politica dalla morale. Questa visione della politica, del tutto laica edisincantata, poggia su una concezione dell’uomo pessimistica, una vera e propria antropo-

logia negativa, secondo cui è impossibile, sia ai sudditi sia al principe, conformarsi alla mo-rale; da tale concezione scaturisce di conseguenza che il principe debba guardare in faccia larealtà concreta delle cose («verità effettuale»). Ma oltre alla verità effettuale, a guidare ilprincipe devono essere alcuni modelli antichi e recenti, che Machiavelli di continuo propo-ne all’attenzione come paradigmi di comportamento: il più esplicito dei modelli da lui pro-posti è un principe nuovo appena uscito di scena, il cosiddetto duca Valentino, capace di unagestione efficacissima in quanto risoluta e astuta. Ma altrettanto influenti sono i modelli an-tichi per lo più ricavati dalla lettura dei classici (nelle lettera al Vettori, del resto, il Principeviene presentato come il frutto degli studi umanistici coltivati la sera).

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UN NUOVO ORIZZONTE IDEALE La nuova visione politica proposta nel Principe, come sipuò immaginare, era destinata a risultare scandalosa: non a caso nel 1559, nel clima deldisciplinamento cattolico promosso dal Concilio di Trento, tutte le opere di Machiavellisarebbero state incluse nell’Indice dei libri proibiti; e “machiavellismo” sarebbe prestodiventato sinonimo di gestione scaltra e cinica del potere. Tuttavia il “machiavellismo” cini-co è ben altra cosa rispetto al Machiavelli autentico. Nella fattispecie, la carica ideale chepervade Il Principe è fortissima: non è una carica di natura morale e tanto meno religiosa,bensì esclusivamente politica. L’esercizio del potere, infatti, viene immaginato da Machia-velli come una grande lotta contro la fortuna, capricciosa e maligna. Se il principe sapràcome dare solide basi al suo Stato, otterrà reputazione per sé e darà ai suoi sudditi il buongoverno, una volta liberata l’Italia dai barbari.

1. In quale testo Machiavelli annuncia la composizionedel Principe e il suo argomento? 2. In quale periodo del-la sua vita scrive il trattato? 3. A chi dedica Il Principe eperché? 4. Come è organizzato il trattato e quali argo-menti affronta? 5. Quali innovazioni introduce Il Principe

rispetto alla precedente trattatistica politica? 6. Qualevisione politica e quali modelli devono guidare il princi-pe? 7. Quale significato assume nel corso del tempo iltermine “machiavellismo”? In che modo questa definizio-ne si discosta dal pensiero di Machiavelli?

Guida allo studio

Il Principe

Distinzioni preliminari

Il Principe, cap. I

La lunghezza dei capitoli del Principe è variabile. Il primo capitolo, brevissimo, ha la funzionedi preambolo. Qui Machiavelli distingue fra «repubbliche» e «principati», ma soprattutto fra trediversi tipi di principato: l’ereditario, il nuovo e il misto.

Quot sint genera principatuum et quibus modis acquirantur1

Tutti gli stati, tutti e’ dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini,sono stati e sono o repubbliche o principati2. E’ principati sono o ereditari, de’ qua-li el sangue del loro signore ne sia suto lungo tempo principe3, o sono nuovi. E’nuovi, o e’ sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco Sforza4, o sono come mem-bri aggiunti allo stato ereditario del principe che gli acquista, come è el regno diNapoli al re di Spagna5. Sono questi dominii così acquistati o consueti a vivere sot-

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1. Quot sint... acquirantur: ‘Di che genere sia-no i principati e in che modo si acquistino’. Tut-te le indicazioni di argomento premesse aicapitoli del trattato sono in latino. Si ricordi delresto che lo stesso titolo originale è in latino(De principatibus: ‘Sulle monarchie’).2. Tutti... principati: ‘Tutti gli Stati, i potentati(dominii) che hanno avuto e hanno potere sugliuomini, sono stati e sono o Repubbliche o mo-narchie’. I principati si contrappongono alle re-pubbliche, ovvero agli Stati in cui il potere non ènelle mani di uno solo (il termine ‘Repubblica’

viene dal latino res publica: ‘cosa pubblica’).3. de’ quali... principe: ‘sui quali la dinastia (elsangue) del loro signore sia stata (ne sia suto)a lungo al potere’.4. o e’ sono... Sforza: ‘o sono totalmente nuo-vi come fu Milano per Francesco Sforza’. Fran-cesco Sforza (1401-1466) fece fortuna comecapitano di ventura e poté sposare BiancaMaria, figlia del duca di Milano, Filippo MariaVisconti. Dopo la morte di questi (1447), Mila-no si proclamò Repubblica e nominò lo Sforzacapitano nella guerra contro Venezia. Ma que-

sti prese accordi con l’esercito veneziano econ la forza costrinse i repubblicani a cedergliil potere. Iniziò così il “principato nuovo” degliSforza su Milano.5. o sono... Spagna: ‘oppure sono come parti(membri) aggiunte allo Stato ereditario delprincipe che se ne impossessa come è il Regnodi Napoli per il re di Spagna’. Il re di Spagna èFerdinando il Cattolico, il quale sconfisse Fede-rico di Aragona re di Napoli e gli sottrasse ilregno nel 1503. Più avanti Machiavelli chia-merà questi Stati principati mis.

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to uno principe o usi a essere liberi6; e acquistonsi o con l’arme d’altri o con le pro-prie, o per fortuna o per virtù7.

6. Sono... liberi: ‘Gli Stati conquistati in questomodo o sono abituati (consueti) a vivere sottoun governo monarchico oppure sono liberi,

abituati alla Repubblica’.7. acquistonsi... virtù: ‘si acquistano o con glieserciti (arme) propri o altrui, o grazie a un’oc-

casione favorevole o per la propria capacitàpolitica (virtù)’.

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Lettura guidataLO STILE DILEMMATICO Nelle prime righe del Prin-cipe Machiavelli impiega subito uno stile che ricorrein molti altri brani del trattato: uno stile che è statodefinito dilemmatico per il largo impiego dalla con-giunzione disgiuntiva ‘o / oppure’. Il concetto esa-minato, infatti, viene presentato da Machiavelli co-me un dilemma, come una scelta fra due o più ele-menti in conflitto tra loro, che vengono posti al let-tore quali dati di fatto inconfutabili. Proviamo aorientarci fra le molte possibilità condensate nellepoche righe appena lette. A un primo livello, secon-do Machiavelli, gli Stati o sono Repubbliche oppuresono monarchie. Le Repubbliche non sono oggettodi analisi del Principe, bensì dell’altra opera politicadi Machiavelli, i Discorsi sopra la prima Deca di TitoLivio. Non c’è quindi ragione di procedere a ulterioridistinzioni in proposito. Da distinguere, invece, so-no le monarchie: il potere di un principe può dunqueessere o completamente ereditato, o completamen-te acquisito, ma può essere, infine, anche misto,

quando una parte dello Stato è ereditata e un’altraparte acquisita di recente.

ALTRE DISTINZIONI Di tutti i principati, comevedremo nei capitoli successivi, quello che più inte-ressa a Machiavelli è il principato nuovo e tale eraanche quello dei Medici, ai quali l’autore si sta rivol-gendo. Ecco che allora sono necessarie ulteriori pre-cisazioni circa i principati acquisiti. Quando unoStato viene conquistato, infatti, o la popolazioneamministrata passa da dominio monarchico a unaltro di identica natura, oppure passa dalla repub-blica alla monarchia. Ci si soffermi infine su un’ul-tima distinzione: l’acquisto del regno da parte delprincipe dipende o dalla sua virtù o dalla fortuna.Entrano qui in gioco le due forze principali del mon-do di Machiavelli, due forze che vedremo spessoall’opera nei capitoli successivi: la sorte e la capa-cità politica del principe (si tenga conto fin da subi-to che il termine virtù nel Principe di norma signi-fica sempre e solo ‘capacità politica’, senza assume-re mai alcuna connotazione morale).

analisi1. Visualizza la casistica prevista da Machiavelli con unoschema ad albero.

interpretazione2. Cosa distingue la monarchia dal principato?3. Quali sono i tre tipi di principato per Machiavelli?Come si distinguono tra loro?

Esercizi

Il principe nuovo: la perfezione dei modelli antichi

Il Principe, cap. VI

Nei capitoli II-V, che non abbiamo riportato, sono analizzati i principati ereditari e quelli misti. NelVI capitolo si analizza il terzo tipo: il principato nuovo. Qui Machiavelli adotta un punto di vista mol-to peculiare: il principato recente viene discusso tramite alcuni esempi antichi che vengono addita-ti come modelli perfetti, tratti dalla storia e dal mito (Mosè, Ciro, Romolo, Teseo, Gerone). È a que-sti esempi antichi che i moderni principi nuovi devono rifarsi, secondo un criterio di imitazione.

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De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur1

Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi e diprincipe e di stato, io addurrò grandissimi esempli2. Perché, camminando gli uomi-ni sempre per le vie battute da altri e procedendo nelle azioni loro con le imitazio-ni, né si potendo le vie d’altri al tutto tenere né alla virtù di quegli che tu imitiaggiugnere, debbe uno uomo prudente entrare sempre per vie battute da uominigrandi e quegli che sono stati eccellentissimi imitare3: acciò che, se la sua virtù nonvi arriva, almeno ne renda qualche odore4; e fare come gli arcieri prudenti, a’ qua-li parendo el luogo dove desegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino aquanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il luogo desti-nato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere con loaiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro5.

Dico adunque che ne’ principati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe, si truo-va a mantenergli più o meno difficultà secondo che più o meno è virtuoso colui chegli acquista6. E perché questo evento, di diventare di privato principe, presupponeo virtù o fortuna, pare che l’una o l’altra di queste dua cose mitighino in parte mol-te difficultà7; nondimanco, colui che è stato meno in su la fortuna si è mantenutopiù8. Genera ancora facilità essere el principe constretto, per non avere altri stati,venire personalmente ad abitarvi9.

Ma per venire a quegli che per propria virtù e non per fortuna sono diventati prin-cipi, dico che e’10 più eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili11. E benchédi Moisè non si debba ragionare, sendo suto uno mero esecutore delle cose che glierano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato, solum per quella grazia che lofaceva degno di parlare con Dio12. Ma considerato Ciro e li altri che hanno acquista-to o fondati regni, gli troverrete tutti mirabili; e se si considerranno le azioni e ordi-ni loro particulari, parranno non discrepanti da quegli di Moisè, che ebbe sì grandeprecettore13. Ed esaminando le azioni e vita loro non si vede che quelli avessino al-tro da la fortuna che la occasione, la quale dette loro materia a potere introdurvi den-

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1. De principatibus... acquiruntur: ‘Sui princi-pati nuovi che si conquistano con le armi pro-prie e con la virtù’.2. Non si... esempli: ‘Non si meravigli nessunose, parlando dei principati del tutto nuovi, in cuiè nuova sia la dinastia (di principe), sia il gover-no monarchico (di stato), io porterò esempirelativi a personaggi illustri’.3. Perché... imitare: ‘Dal momento che gliuomini seguono sempre le strade percorse(battute) da altri e agiscono imitando i modelli(con le imitazioni), e poiché non è possibile imi-tare in tutto e per tutto (al tutto) l’esempioofferto da altri, né raggiungere la capacità(virtù) di quelli che vengono imitati, un uomoprudente deve imboccare sempre (entraresempre per) le vie percorse dagli uomini gran-di e imitare quelli che sono stati i più grandi ditutti (eccellentissimi)’.4. acciò... odore: ‘in modo tale che se la suacapacità politica non è all’altezza di quelli, neconservi almeno qualche profumo’, cioè mani-festi a quale modello ci si è ispirati.5. e fare... loro: ‘e (deve) comportarsi come gliarcieri accorti, i quali, apparendo loro troppolontano il luogo del bersaglio che vogliono col-

pire e conoscendo la gittata (a quanto va lavirtù, letteralmente: ‘fin dove arriva la potenza’)del loro arco, mirano molto più in alto del ber-saglio prestabilito (luogo destinato), non percolpire con la loro freccia un punto così alto,ma per arrivare al loro bersaglio (al disegnoloro) con l’aiuto di una mira tanto alta’.6. Dico... acquista: ‘Dico dunque che nei prin-cipati del tutto nuovi, dove salga al potere unprincipe nuovo, si riscontra (si truova) unamaggiore o minore difficoltà a seconda che siapiù o meno capace (virtuoso) colui che li con-quista’.7. E perché... difficultà: ‘E poiché questoevento, da privato cittadino diventare principe,presuppone o fortuna o abilità individuale(virtù), è evidente (pare) che l’una o l’altra diqueste due forze (virtù o fortuna) attenuano inparte molte difficoltà’.8. nondimanco... più: ‘nondimeno, colui cheha fatto meno affidamento sulla fortuna hamantenuto il potere più a lungo’.9. Genera... abitarvi: ‘Facilita inoltre la conser-vazione del potere il fatto che il principe siacostretto ad abitarvi (nello Stato acquisito), peril fatto che è privo di altri Stati’.

10. e’: ‘i’ (questo vale anche per i casi succes-sivi).11. Moisè... simili: gli esempi additati come imodelli perfetti del principato nuovo sono trat-ti dall’antichità ebraica e da quella classica:Mosè liberò gli ebrei dalla schiavitù d’Egitto e,dopo averli ricondotti in Palestina, fu il loro legi-slatore; Ciro il Vecchio (VI sec. a.C.) diede origi-ne al Regno persiano; Romolo è il mitico fonda-tore di Roma; altro eroe leggendario, infine, èTeseo, il liberatore di Atene dal dominio di Cre-ta.12. E benché... con Dio: ‘E anche se di Mosènon si deve parlare, essendo stato (sendo suto)un semplice esecutore delle cose che gli era-no ordinate da Dio, tuttavia (tamen, latino) deveessere ammirato, solamente (solum, latino) perquel privilegio (grazia) che lo rendeva degno diparlare con Dio’.13. e se si considerranno... precettore: ‘e sesi considereranno le azioni e i metodi (ordini)propri di loro (particulari), risulteranno esserenon discordanti da quelli di Mosè che ebbe unmaestro di arte politica (precettore) tanto gran-de (Dio)’.

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tro quella forma che parse loro14: e sanza quella occasione la virtù dello animo lorosi sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano.

Era adunque necessario a Moisè trovare el populo d’Israel in Egitto stiavo eoppresso da li egizi, acciò che quegli, per uscire di servitù, si disponessino a seguir-lo15. Conveniva che Romulo non capessi in Alba, fussi stato esposto al nascere, avolere che diventassi re di Roma e fondatore di quella patria16. Bisognava che Cirotrovassi e’ persi malcontenti dello imperio de’ medi, ed e’ medi molli ed effeminatiper la lunga pace17. Non poteva Teseo dimostrare la sua virtù, se non trovava gliateniesi dispersi18. Queste occasioni per tanto feciono questi uomini felici e la eccel-lente virtù loro fe’ quella occasione essere conosciuta: donde la loro patria ne funobilitata e diventò felicissima19.

Quelli e’ quali per vie virtuose20, simili a costoro, diventono principi, acquista-no el principato con difficultà, ma con facilità lo tengono; e le difficultà che glihanno nello acquistare el principato nascono in parte da’ nuovi ordini e modi chesono forzati introdurre per fondare lo stato loro e la loro sicurtà21. E debbesi con-siderare come e’ non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né piùpericolosa a maneggiare, che farsi capo di introdurre nuovi ordini22. Perché lo intro-duttore ha per nimico tutti quegli che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tiepididefensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene23: la quale tepidezzanasce parte per paura delli avversari, che hanno le leggi dal canto loro, parte da laincredulità degli uomini, e’ quali non credono in verità le cose nuove, se non neveggono nata una ferma esperienza24. Donde nasce che, qualunque volta quelli chesono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altridifendono tiepidamente: in modo che insieme con loro si periclita25.

È necessario pertanto, volendo discorrere bene questa parte, esaminare se questiinnovatori stanno per loro medesimi o se dependono da altri: cioè se per condurrel’opera loro bisogna che preghino, o vero possono forzare26. Nel primo caso, sem-pre capitano male e non conducono cosa alcuna; ma quando dependono da loro

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14. non si... loro: ‘si vede che la fortuna offrìloro soltanto l’opportunità, la quale opportu-nità gli fornì la materia in cui poterono introdur-re quella forma che essi vollero (parse loro)’.Con l’antitesi forma / materia si allude qui allafisica di Aristotele, il quale aveva distinto fra lamateria da una parte, duttile e grezza, e la for-ma dall’altra, che dà ordine alla materia.15. Era... seguirlo: ‘Era dunque necessarioche Mosè trovasse il popolo di Israele schiavoe oppresso dagli Egiziani, affinché quelli, peruscire dalla schiavitù, fossero disposti (si dispo-nessino) a seguirlo’.16. Conveniva... patria: ‘Era necessario cheRomolo non avesse spazio a sufficienza (capes-si) ad Alba (Longa) e che, appena nato, fossestato abbandonato (esposto al nascere), per-ché egli avesse la volontà di diventare re diRoma e fondatore di quello Stato’. Secondo ilracconto di Livio, Romolo e Remo, appena nati,sarebbero stati esposti e allattati da una lupa.17. Bisognava... pace: ‘Bisognava che Ciro tro-vasse i Persiani scontenti di essere comandati(dello imperio) dai Medi e che i Medi fosserorammolliti ed effeminati per la lunga pace’.Medi e Persiani erano due popoli che abitava-no nell’attuale Iran: Ciro il Grande unificò i dueStati nel 550 a.C. sostituendo al potere dei

Medi quello dei Persiani.18. Non poteva... dispersi: ‘Teseo non avreb-be potuto dimostrare la sua abilità politica senon avesse trovato gli Ateniesi dispersi in tantivillaggi’; secondo il mito Teseo avrebbe confe-derato gli sparsi villaggi dell’Attica in una solacittà: Atene.19. Queste... felicissima: ‘Queste occasionipertanto resero fortunati (felici) questi uominie la loro eccezionale abilità politica face sì cheloro riconoscessero tale occasione (e quindisapessero come utilizzarla); per cui (donde) illoro Stato acquistò prestigio e potere (ne funobilitata)’.20. per vie virtuose: ‘con la propria abilitàpolitica (virtuose, da virtù)’.21. le difficultà... sicurtà: ‘le difficoltà che essi(gli) hanno nel conquistare un principatonascono in parte dagli ordinamenti (ordini) edalle forme di governo (modi) che sonocostretti (forzati) a introdurre per rendere sta-bili (fondare) il loro Stato e la loro sicurezza per-sonale (sicurtà)’.22. debbesi... ordini: ‘si deve tenere presente(considerare) che non c’è cosa più difficile da in-traprendere (trattare), né più incerta (dubbia)da portare a compimento (a riuscire), né più pe-ricolosa da attuare (maneggiare) che prendere

l’iniziativa di introdurre nuovi ordinamenti’.23. Perché... bene: ‘Perché chi li introduce hacome nemici tutti quelli che traggono benefi-cio dai vecchi ordinamenti, e ha come timidisostenitori quelli che potrebbero trarne van-taggi (farebbono bene)’; costoro esitano per-ché non sono sicuri di ricevere vantaggi dallanuova situazione politica.24. non credono... esperienza: ‘non hanno inverità fiducia nelle novità se non vedono nasce-re una sua prova certa (ferma esperienza)’.25. Donde nasce... si periclita: ‘Perciò acca-de che ogni volta che i nemici (del principe)abbiano occasione di attaccarlo lo fanno conaccanimento (partigianamente), e quegli altri (isuoi fautori) lo difendono fiaccamente (tiepida-mente), così che con il loro sostegno si corro-no dei rischi (si periclita)’.26. È necessario... forzare: ‘È perciò necessa-rio, volendo discutere (discorrere) bene questoaspetto, considerare attentamente se questiinnovatori sono autonomi (stanno... medesimi)o se dipendono da altri: cioè se per portare atermine la loro impresa devono chiedere l’aiu-to ad altri (bisogna che preghino) o possonousare la forza’.

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propri e possono forzare, allora è che rare volte periclitano27: di qui nacque che tut-ti e’ profeti armati vinsono ed e’ disarmati ruinorno28. Perché, oltre alle cose dette,la natura de’ populi è varia ed è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fer-margli in quella persuasione29: e però conviene essere ordinato in modo che, quan-do non credono più, si possa fare loro credere per forza30. Moisè, Ciro, Teseo eRomulo non arebbono31 potuto fare osservare loro lungamente le loro constituzio-ni32, se fussino stati disarmati; come ne’ nostri tempi intervenne a fra IeronimoSavonerola, il quale ruinò ne’ sua ordini nuovi, come la moltitudine cominciò a noncredergli, e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto né a farecredere e’ discredenti33. Però questi tali hanno nel condursi grande difficultà, e tut-ti e’ loro periculi sono fra via e conviene che con la virtù gli superino34. Ma supe-rati che gli hanno, e che cominciano a essere in venerazione, avendo spenti quegliche di sua qualità gli avevano invidia, rimangono potenti, sicuri, onorati e felici35.

A sì alti esempli io voglio aggiugnere uno esemplo minore; ma bene arà qual-che proporzione con quegli, e voglio mi basti per tutti gli altri simili36: e questo èIerone siracusano37. Costui di privato38 diventò principe di Siracusa; né ancora luiconobbe altro da la fortuna che la occasione39: perché, sendo e’ siracusani oppres-si, lo elessono per loro capitano; donde meritò di essere fatto loro principe40. E fudi tanta virtù, etiam in privata fortuna, che chi ne scrive dice quod nihil illi deeratad regnandum praeter regnum41.

Costui spense la milizia vecchia, ordinò della nuova; lasciò le amicizie antiche,prese delle nuove42; e come ebbe amicizie e soldati che fussino sua, possé in su talefondamento edificare ogni edifizio, tanto che lui durò assai fatica in acquistare epoca in mantenere43.

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27. Nel primo caso... periclitano: ‘Nel primocaso falliscono sempre e non raggiungonoalcun risultato, ma quando dipendono solo dasé stessi e possono usare la forza (i loro eser-citi) allora è raro che corrano rischi (periclita-no)’. – è: ‘accade’.28. di qui... ruinorno: ‘da ciò è conseguito chetutti i profeti armati vinsero (vinsono) e che tut-ti quelli disarmati andarono in rovina’. In veritàl’unico profeta fra i principi sopra ricordati èMosè, ma Machiavelli usa questa espressioneperché subito dopo parla con disprezzo diGirolamo Savonarola.29. la natura... persuasione: ‘l’indole deipopoli è volubile (varia) ed è facile persuaderlidi qualcosa, ma è difficile far sì che mantenga-no quella convinzione’.30. e però... forza: ‘e perciò (però) bisognaessere organizzati (essere ordinato) in modoche quando (i sudditi) non hanno più fiducia(nel principe) si possa costringerli ad aver fidu-cia per forza’.31. arebbono: ‘avrebbero’.32. constituzioni: ‘leggi’.33. intervenne... discredenti: ‘capitò a Girola-mo Savonarola, il quale perse il potere (ruinò)quando da poco aveva riformato lo Stato (ne’sua ordini nuovi), non appena (come) il popoloiniziò a non credere più in lui, né lui aveva mododi far restare fedeli coloro che lo avevano

sostenuto, né di rendere fedeli coloro che nonlo erano stati prima (e’ discredenti)’. Un model-lo negativo per Machiavelli è Savonarola (1452-1498), il celebre frate domenicano, che, dopola cacciata dei Medici da Firenze (1494), provòa trasformare la Repubblica fiorentina in unademocrazia religiosa. Fu avversato dal papaAlessandro VI e dalle più potenti famiglie diFirenze e, in quanto “profeta disarmato”, fallì: fuabbandonato infatti dai suoi sostenitori, accu-sato di eresia e arso sul rogo in Piazza dellaSignoria.34. Però... superino: ‘Perciò questi principinuovi (questi tali) incontrano grande difficoltànel procedere (nella conquista del potere)(condursi), e tutti i loro pericoli sono quelli chesi frappongono durante il cammino (per con-quistare il potere) (fra via) e bisogna che lisuperino grazie alla loro abilità politica (con lavirtù)’.35. Ma superati... felici: ‘Ma una volta che li(gli) hanno superati e quando (che, con valoretemporale) cominciano a essere onorati eobbediti (in venerazione), dopo che hanno eli-minato (avendo spenti) coloro che li invidiava-no (gli avevano invidia) per la loro posizione (disua qualità), rimangono potenti, sicuri, onoratie fortunati’.36. ma bene... simili: ‘ma avrà pure (bene)qualche rapporto di analogia (proporzione)

con quelli, e voglio che mi sia sufficiente pertutti gli altri casi simili’.37. Ierone siracusano: un altro esempio anti-co, tratto dalla storia greca; Gerone II fu il tiran-no di Siracusa (269-215 a.C.).38. di privato: ‘dalla condizione di privato’.39. né ancora... occasione: ‘e anche lui nondovette riconoscere (di aver avuto) alla fortu-na null’altro che l’occasione favorevole’.40. perché... principe: ‘perché, essendo i sira-cusani minacciati, lo scelsero (elessono) comecapitano del loro esercito; e da qui meritò diessere fatto loro monarca’. Nel 282 a.C. Siracu-sa era stata occupata dai Mamertini, guerrierimercenari provenienti dalla Campania, in pre-cedenza assoldati da Agatocle (tiranno di Sira-cusa prima di Gerone).41. fu... regnum: ‘ebbe tanta abilità politica,anche (etiam, latino) da cittadino privato, che lostorico che scrive di lui (Giustino, II sec. d.C.)afferma che non gli mancava nulla per esserere tranne il regno’ (quod... regnum, latino).42. spense... nuove: ‘eliminò il vecchio eserci-to (milizia), ne allestì uno nuovo; lasciò le vec-chie alleanze, ne fece delle nuove’.43. possé... mantenere: ‘poté su tali basi(esercito e alleanze) realizzare ogni progettoper il nuovo Stato (ogni edifizio), in modo chefece molta fatica per acquistare (il potere) epoca per mantenerlo’.

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574 I Grandi AutoriA

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IA Lettura guidataL’IMITAZIONE DEGLI ANTICHI Nel brano appenaletto Machiavelli sostiene la necessità di rifarsi aimodelli antichi. La via da seguire per il principe nuo-vo (quale era Lorenzo de’ Medici dedicatario del trat-tato) consiste nell’imitazione dei principi nuovi

protagonisti della storia antica o della mitologia.Questo ideale si potrebbe definire una forma di clas-sicismo politico, ma è da tener conto che, nel pro-porre il criterio di imitazione, Machiavelli è moltocauto. Ai suoi occhi infatti risulta impossibile rical-care in tutto e per tutto il modello degli antichi, per-ché non è possibile eguagliarne le capacità politiche.Il criterio di imitazione vale dunque come una linea

guida prudenziale. Non a caso Machiavelli usa l’im-magine dell’arciere il quale, per colpire il bersagliopiù lontano, calcola la gittata della freccia mirandoun poco più in alto. Quel mirare un poco più in alto,per chi sappia decifrare la similitudine, consiste nelricorso al modello degli antichi.

LE FORZE IN CAMPO: VIRTÙ E FORTUNA Venen-do al corpo centrale del capitolo, la prima cosa danotare è che nel mondo descritto da Machiavelliagiscono due forze principali: la capacità politicadel principe (virtù) e la sorte (fortuna). Il principeperfetto è colui che sa fondare il proprio potere

solo sulla propria virtù, senza fare alcun affida-

mento sulla fortuna. Alla fortuna può essere debi-tore solo delle circostanze favorevoli che gli hannopermesso di attuare la propria virtù, e nulla più. Aqueste circostanze Machiavelli attribuisce il nomedi occasione. Secondo questo ideale il principe nuo-vo deve tendere a una totale autonomia dal corsodegli eventi: per fare questo egli faticherà molto nel

fondare le basi del potere, ma non avrà problemi nelgestirlo in seguito, una volta fondato.

LE MILIZIE E IL POPOLO Strumento indispensabileper il principe che voglia rendersi autonomo dalla for-tuna sono le milizie. Quasi in forma di proverbio Ma-chiavelli scrive: «tutti e’ profeti armati vinsono ed e’disarmati ruinorno» (r. 58). Solo un esercito fedele alprincipe infatti permette a quest’ultimo di garantirsila fedeltà dei propri fautori e di costringere gli avver-sari a giurargli fedeltà (non a caso alla necessità dimilizie fidate, non mercenarie, è dedicato un interocapitolo del Principe, il XII). Il popolo al quale il prin-cipe deve imporre la propria autorità è volubile, infi-do e oltretutto incapace di leggere i vantaggi che glipossono venire dal principato nuovo. Si noti poi co-me nel capitolo in esame si sente l’eco di quella an-tropologia negativa così tipica di Machiavelli, là do-ve si parla della «incredulità degli uomini, e’ quali noncredono in verità le cose nuove, se non ne veggononata una ferma esperienza» (rr. 49-50); oppure là do-ve si dice che «la natura de’ populi è varia ed è facilea persuadere loro una cosa, ma è difficile fermargli inquella persuasione» (rr. 59-60).

DIO Si presti attenzione, infine, alla anomala com-parsa di Dio in questo capitolo. Colui che per un istan-te si affaccia nel mondo di Machiavelli non è il Diodella Provvidenza che guida gli eventi al posto degliuomini. Gli eventi, al contrario, sono, nel Principe, ilcampo di prova dell’uomo e della fortuna, della virtùe del caso (e sull’antagonismo fra virtù e fortuna siveda il celeberrimo capitolo XXV: uT99). Sebbene sialontano, Dio non è, però, negato. È visto, piuttosto,come il supremo conoscitore dell’arte dello Stato: co-me l’ispiratore del principato di Mosè.

comprensione e analisi

1. Individua i passaggi argomentativi usati da Machia-velli nel capitolo che hai letto, sottolineali, quindi rias-sumi il testo in circa 100 parole.2. Sintetizza in una mappa concettuale il brano che hailetto, utilizzando le parole dello stesso autore.

interpretazione

3. Secondo Machiavelli, che cosa hanno in comune Mo-sè, Ciro, Romolo, Teseo, Gerone? Qual è il rapporto fra

virtù e fortuna che caratterizza i loro regni? Spiegalo periscritto con circa 200 parole.

contestualizzazione

4. Il principio dell’imitazione è uno dei tratti più caratte-rizzanti dei secoli Quattrocento e Cinquecento. A parti-re dalle motivazioni che Machiavelli ne fornisce in que-sto brano, sintetizza le tue conoscenze in un testo di cir-ca 300 parole, facendo riferimento agli autori e ai bra-ni che hai letto.

Esercizi

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14. Niccolò Machiavelli 575A

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Il principe nuovo: un esemplare quasi perfetto

Il Principe, cap. VII

Al capo opposto dei principi che fondano il loro potere su virtù e armi proprie (trattati nel capi-tolo VI) stanno i principi che fondano il potere sulla fortuna e su armi non proprie. Se quellifaticano molto nella conquista del potere, ma poi lo gestiscono senza traumi, questi invecefondano lo Stato senza doversi impegnare in prima persona, ma poi è raro che lo conservino.Machiavelli adduce in proposito due esempi moderni: il duca di Milano Francesco Sforza (1401-1466) come esempio di principe che deve il suo regno alla virtù; e Cesare Borgia (1475-1507),creatore di un nuovo Stato in Romagna, come esempio di principe che deve il regno alla fortu-na. Figlio del papa spagnolo Alessandro Borgia, Cesare aveva ricevuto dal re di Francia Luigi XIIil titolo di duca di Valentinois (feudo francese), da cui il soprannome di duca Valentino. Inseguito, con l’appoggio del potentissimo padre e ricorrendo a truppe mercenarie, era riuscito afondare, all’interno dello Stato della Chiesa, uno Stato personale comprendente le città dellaRomagna e Urbino. Anche se il regno del Valentino ebbe inizio grazie alla fortuna e alle armialtrui, Machiavelli dedica al figlio del papa un intero capitolo: una lunga digressione critica enarrativa. Perché? Perché, subito dopo aver conquistato il potere, Cesare Borgia, conoscendola fragilità della propria posizione, inizia a consolidare il suo Stato con la virtù e con le armiproprie, secondo una strategia politica che Machiavelli considera del tutto esemplare, non menodei modelli antichi di Mosè e Teseo. In più, si tratta di un modello di virtù recente, vicinissi-mo a quello dei suoi interlocutori e, per questo, tanto più coinvolgente e degno di essere imi-tato. Se il Valentino fallì, ciò avvenne solo per un’«estrema malignità di fortuna»; e poi perchéun errore, uno soltanto ma fatale, fu commesso da Cesare Borgia stesso.

De principatibus novis qui alienis armis et fortuna acquiruntur1

Coloro e’ quali solamente per fortuna diventano di privati principi, con poca fatica di-ventono, ma con assai si mantengono; e non hanno alcuna difficultà fra via, perchévi volano: ma tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti2. E questi tali sono quan-do è concesso ad alcuno uno stato o per danari o per grazia di chi lo concede3: comeintervenne a molti in Grecia nelle città di Ionia e di Ellesponto, dove furno fatti prin-cipi da Dario, acciò le tenessino per sua sicurtà e gloria4; come erano fatti ancora quel-li imperadori che di privati, per corruzione de’ soldati, pervenivano allo imperio5.

Questi stanno semplicemente in su la volontà e fortuna di chi lo ha concessoloro, che sono dua cose volubilissime e instabili, e non sanno e non possono te-nere quello grado6: non sanno, perché s’e’ non è uomo di grande ingegno e virtù,non è ragionevole che, sendo vissuto sempre in privata fortuna, sappia comanda-

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1. De principatibus... acquiruntur: ‘Sui princi-pati nuovi che s’acquistano con l’esercito e lafortuna di altri’.2. Coloro... posti: ‘Quelli che da privati cittadi-ni diventano principi solo grazie alla fortuna, lodiventano con poca fatica; ma ne fanno moltaa mantenersi al potere; non incontrano alcunadifficoltà durante l’impresa per la conquista(fra via), perché volano al potere (vi volano); matutte le difficoltà insorgono quando essi (e’)vengono messi al potere’.3. E questi... concede: ‘E questi (che diventa-no principi da privati cittadini) sono coloro ai

quali è stato concesso uno Stato o per denaroo per dono di chi lo concede’.4. come intervenne... gloria: ‘come successea molti (principi) nelle città greche dell’Asiaminore e dell’Ellesponto, dove Dario fece mol-ti principi, affinché le amministrassero per ren-dere solido e prestigioso il suo regno’ (suasicurtà e gloria, sua di Dario)’. L’imperatore per-siano Dario (521-485 a.C.) aveva diviso il suoregno in regni affidati a principi a lui devoti(satrapi). Tali regni, detti satrapie, comprende-vano le città greche dell’Asia minore (Ionia) e loStretto dei Dardanelli (Ellesponto).

5. come erano fatti... imperio: ‘come eranonominati anche quegli imperatori che, da priva-ti cittadini, salivano al potere corrompendo i sol-dati (per corruzione de’ soldati)’. Machiavelli si ri-ferisce qui agli imperatori romani del III secolod.C., dalla fine della famiglia imperiale degli An-tonini sino a Diocleziano (193-284 d.C.).6. Questi... grado: ‘Questi si fondano sempli-cemente sulla volontà e sulla fortuna di chi haconcesso loro il potere, due cose volubilissimee instabili, e non sono capaci di mantenere enon possono mantenere quella posizione dipotere’.

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576 I Grandi AutoriA

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IA re7; non possono, perché non hanno forze che gli possino essere amiche e fedeli8.Di poi gli stati che vengono subito, come tutte l’altre cose della natura che nasco-no e crescono presto, non possono avere le barbe e correspondenzie loro in modoche il primo tempo avverso non le spenga, – se già quelli tali, come è detto, chesì de repente sono diventati principi non sono di tanta virtù che quello che la for-tuna ha messo loro in grembo e’ sappino subito prepararsi a conservarlo, e quellifondamenti, che gli altri hanno fatti avanti che diventino principi, gli faccino poi9.

Io voglio all’uno e l’altro di questi modi detti, circa il diventare principe per virtùo per fortuna, addurre dua esempli stati ne’ dì della memoria nostra10: e questi sonoFrancesco Sforza11 e Cesare Borgia12. Francesco, per li debiti mezzi13 e con unagrande sua virtù, di privato diventò duca di Milano; e quello che con mille affanniaveva acquistato, con poca fatica mantenne. Da l’altra parte, Cesare Borgia, chia-mato dal vulgo duca Valentino, acquistò lo stato con la fortuna del padre e conquella lo perdé14, non ostante che per lui si usassi ogni opera e facessinsi tutte quel-le cose che per uno prudente e virtuoso uomo si doveva fare per mettere le barbesua in quelli stati che l’arme e fortuna di altri gli aveva concessi15. Perché, come disopra si disse, chi non fa e’ fondamenti prima, gli potrebbe con una grande virtùfarli poi, ancora che si faccino con disagio dello architettore e periculo dello edifi-zio16. Se adunque si considerrà tutti e’ progressi del duca, si vedrà lui aversi fattigrandi fondamenti alla futura potenza; e’ quali non iudico superfluo discorrere per-ché io non saprei quali precetti mi dare migliori, a uno principe nuovo, che lo esem-plo delle azioni sue: e se gli ordini sua non gli profittorno, non fu sua colpa, per-ché nacque da una estraordinaria ed estrema malignità di fortuna17.

Aveva Alessandro VI18, nel volere fare grande il duca suo figliuolo, assai difficultà

7. non sanno... comandare: ‘non sono capaci,perché a meno che il principe (e’, ‘egli’) non siauomo di grande ingegno e capacità, non è pos-sibile che, essendo sempre vissuto da privatocittadino, sappia comandare’. L’eccezione aquesta regola, nel seguito del capitolo, saràper l’appunto il caso del duca Valentino.8. non possono... fedeli: ‘non possono, per-ché non hanno forze che possano essere perloro alleati fedeli’.9. Di poi... faccino poi: ‘Inoltre gli Stati che sor-gono all’improvviso, come tutte le altre cosepresenti in natura che nascono e cresconovelocemente, non possono avere le radici (bar-be) e le ramificazioni sotterranee (correspon-denzie) tali da evitare la loro morte alla primatempesta (in modo che il primo tempo avversonon le spenga); a meno che (se già), come giàsi è detto, coloro i quali così all’improvvisosono diventati principi non abbiano tanta capa-cità politica da sapersi subito predisporre (sap-pino subito prepararsi) a conservare ciò che lasorte ha offerto a loro con facilità (ha messoloro in grembo), e (a meno che) non gettino,dopo la presa del potere (poi), quelle fonda-menta che gli altri principi hanno costruito, pri-ma di diventare tali’. – fondamenti: sono le basiche rendono stabile un edificio: la metaforaimplicita è quella dello Stato come palazzo dacostruire. Per la seconda volta in poche righe,Machiavelli insiste accanitamente sull’eccezio-ne alla regola: la possibilità di rifondare dall’in-terno con la virtù uno Stato nato fragile con lafortuna (come cercò di fare il Valentino).

10. Io voglio... nostra: ‘Io voglio all’uno e all’al-tro di questi due modi appena visti – il principeche diventa tale grazie alla sua virtù e quello chediventa tale grazie alla fortuna – accludere (al-l’uno e l’altro... addurre) due esempi accaduti neinostri tempi’, ossia ‘vivi nella nostra memoria’.11. Francesco Sforza: il fondatore della signo-ria degli Sforza a Milano, già ricordato nel capi-tolo I.12. Cesare Borgia: come si è già detto, Cesa-re Borgia (1475-1507) era il figlio del papa spa-gnolo Alessandro VI (Rodrigo Borgia). Fu nomi-nato arcivescovo di Valencia nel 1492 e poi, nel1498, gonfaloniere della Chiesa (cioè coman-dante dell’esercito pontificio). In seguito ricevédal re di Francia il ducato di Valentinois, dondeil titolo di Valentino. Con l’appoggio del padrecreò uno Stato personale in Romagna e in Mon-tefeltro (territorio di Urbino), terra da tempodivisa fra varie signorie locali. Machiavelli ebbedi questo Stato una conoscenza diretta, dalmomento che vi si recò due volte come osser-vatore della Repubblica fiorentina.13. per li debiti mezzi: ‘con gli stumenti dovu-ti, necessari’.14. acquistò... perdé: ‘conquistò lo Stato gra-zie alla fortuna di cui godeva il padre e lo per-se quando tale fortuna (con quella) vennemeno’.15. non ostante che... concessi: ‘nonostanteche da parte sua (per lui) sia stato usato (si usas-si) ogni mezzo e si sia fatto (facessinsi) tutto ciòche doveva esser fatto da un uomo previdentee capace (prudente e virtuoso) per rendere so-

lidi (mettere le barbe... in) quegli Stati che glieserciti (l’arme) e la fortuna di altri gli avevanoconcesso (di conquistare)’. – mettere le barbe:

letteralmente, ‘mettere radici’. Machiavelli ri-prende la metafora usata qualche riga sopra:non possono avere le barbe e correspondenzieloro.16. ancora che... edifizio: ‘sebbene (questefondamenta) si facciano con difficoltà del prin-cipe (architettore) e rischi per lo Stato (edifizio)’.Dopo la metafora vegetale delle barbe, Machia-velli riprende l’altra metafora usata in preceden-za, tratta dall’architettura: lo Stato come edificioche ha bisogno di solide fondamenta.17. Se adunque... fortuna: ‘Se dunque si consi-dereranno tutti i modi di procedere (progressi,comportamenti politici) del duca (il Valentino),ci si renderà conto che lui aveva costruito soli-de fondamenta per il suo potere futuro; le (e’)quali io non ritengo inutile esaminare (discorre-re) perché non saprei quali migliori istruzioni(precetti) dare da parte mia (mi), a un nuovoprincipe, che l’esempio delle sue azioni: e se isuoi metodi non gli furono utili (profittorno), nonfu per colpa sua, dal momento che ciò (il falli-mento) derivò da un’anomala ed estrema mal-vagità della sorte (papa Alessandro VI, padredel Valentino, morì proprio mentre quest’ultimoera malato). – mi dare: è fiorentinismo della lin-gua parlata.18. Alessandro VI: Rodrigo Borja (italianizzatoBorgia), nato nel 1431 a Valencia in Spagna;eletto papa nel 1492 con il nome di AlessandroVI; morto nel 1503.

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14. Niccolò Machiavelli 577A

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presenti e future. Prima, e’ non vedeva via di poterlo fa-re signore di alcuno stato che non fussi stato di Chie-sa19: e, volgendosi a tòrre quello della Chiesa, sapevache il duca di Milano e ’ viniziani non gliene consenti-rebbono20, perché Faenza e Rimino erano di già sotto laprotezione de’ viniziani. Vedeva oltre a questo l’arme diItalia, e quelle in spezie di chi si fussi potuto servire, es-sere nelle mani di coloro che dovevano temere la gran-dezza del papa, – e però non se ne poteva fidare, – sen-do tutte nelli Orsini e Colonnesi e loro complici21. Era

adunque necessario si turbassino quelli ordini e disordinare gli stati di Italia, per po-tersi insignorire sicuramente di parte di quelli22. Il che gli fu facile, perché e’ trovò e’viniziani che, mossi da altre cagioni, si erano volti a fare ripassare e’ franzesi in Ita-lia: il che non solamente non contradisse, ma lo fe’ più facile con la resoluzione delmatrimonio antico del re Luigi23.

Passò adunque il re in Italia con lo aiuto de’ viniziani e consenso di Alessandro:né prima fu in Milano che il papa ebbe da lui gente per la impresa di Romagna, laquale gli fu acconsentita per la reputazione del re24. Acquistata adunque il duca laRomagna e sbattuti e’ Colonnesi, volendo mantenere quella e procedere più avan-ti, lo impedivano dua cose25: l’una, le arme sua che non gli parevano fedeli; l’altra,la volontà di Francia; cioè che l’arme Orsine, delle quali si era valuto, gli mancas-sino sotto, e non solamente gl’impedissino lo acquistare ma gli togliessino lo acqui-

19. non fussi... Chiesa: ‘non facesse parte del-lo Stato della Chiesa (che comprendeva Lazio,Umbria, Bologna, Romagna e Marche)’.20. volgendosi... consentirebbono: ‘se si fos-se risolto a impadronirsi dei beni della Chiesa,sapeva che il duca di Milano e i veneziani nonglielo avrebbero consentito’. Lo Stato dellaChiesa non era unitario: sussistevano al contra-rio forti autonomie locali, che impedivano alpapa di disporre a suo piacere all’interno deivari sotto-Stati (come le città della Romagna).Forlì e Pesaro erano sotto la protezione delduca di Milano Ludovico il Moro, figlio di Fran-cesco Sforza. Faenza e Rimini, come si dicesubito dopo, erano invece sotto la protezionedella Repubblica di Venezia.21. Vedeva... complici: ‘Oltre a questo vedevache le milizie mercenarie disponibili in Italia (l’ar-me di Italia), e quelle in particolare delle quali sisarebbe potuto servire, erano nelle mani di co-loro i quali dovevano temere la grandezza delpapa (cioè dei suoi avversari) – e perciò non sene poteva fidare – essendo tutte nelle mani de-

gli Orsini e dei Colonna e dei loro alleati (compli-ci)’. Orsini e Colonna sono antiche e potenti fa-miglie romane nemiche dei Borgia.22. Era adunque... di quelli: ‘Era dunquenecessario che fossero turbati gli equilibri eche fossero trasformati gli Stati italiani, perpotersi impadronire senza rischi (insignoriresicuramente) di una parte di quegli Stati’.23. perché... re Luigi: ‘perché egli (e’, Alessan-dro) trovò i veneziani, che, spinti da altre moti-vazioni, con un cambio di politica si erano risol-ti a far tornare i francesi in Italia: cosa che (Ales-sandro) non contrastò, ma agevolò con lo scio-glimento del precedente matrimonio di Luigi(re di Francia)’. Interessati a occupare partedella Lombardia (mossi da altre cagioni), i vene-ziani nel 1499 avevano preso accordi col re diFrancia, anch’egli interessato alla Lombardia(Machiavelli dice fare ripassare i francesi, per-ché pochi anni prima, nel 1494, l’esercito fran-cese di Carlo VIII aveva già attraversato la peni-sola per occupare il Regno di Napoli). Alessan-drò VI facilitò l’alleanza fra Venezia e Luigi XII,

sciogliendo il matrimonio che legava quest’ul-timo con Giovanna di Francia e consentendo ilnuovo matrimonio con la vedova di Carlo VIII,Anna di Bretagna. Così facendo, Alessandro VIsi assicurò l’appoggio dei francesi.24. né prima... del re: ‘e il re non era ancoragiunto (né prima fu) a Milano, che il papa aveva(già) ricevuto da lui milizie (gente) per l’impre-sa in Romagna (cioè per la conquista dellaRomagna); impresa che gli fu consentita (daiveneziani) grazie al prestigio del re’. Luigi XIIscese in Italia nell’ottobre del 1499; già nelnovembre successivo il Valentino iniziò la con-quista della Romagna con un esercito merce-nario in buona parte fornito dal re francese.25. Acquistata... cose: ‘Dopo che il duca ebbeconquistato la Romagna e debellati (sbattuti) iColonna, se voleva conservare quella regionee continuare (la conquista) (procedere piùavanti), glielo impedivano due cose’. Da qui inpoi il protagonista della vicenda narrata è ilfiglio di Alessandro VI, il “principe nuovo” Cesa-re Borgia.

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Ritratto di Cesare Borgia

[Museo di Palazzo Venezia, Roma]

Cesare Borgia non era soltanto unavventuriero intelligente e senzascrupoli, ma anche un diplomaticoaccorto e un capace amministratoredelle terre di Romagna, da luiconquistate ai danni di piccoli signorilocali. L’illusione che il suo Stato

potesse essere il primo nucleo di unapiù vasta entità politica indusseMachiavelli, che l’aveva incontrato aImola e a Urbino nell’ottobre 1502, aispirarsi alle sue imprese per tracciareun compiuto ritratto del principeideale.

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578 I Grandi AutoriA

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IA stato, e che il re ancora non li facessi il simile26. Delli Orsini ne ebbe uno riscontroquando, dopo la espugnazione di Faenza, assaltò Bologna, che gli vidde andarefreddi in quello assalto; e circa il re conobbe lo animo suo quando, preso el duca-to d’Urbino assaltò la Toscana: da la quale impresa il re lo fece desistere27.

Onde che28 il duca deliberò di non dependere più da le arme e fortuna d’altri; e,la prima cosa, indebolì le parte Orsine e Colonnese in Roma29: perché tutti gli ade-renti loro, che fussino gentili uomini, se gli guadagnò, faccendoli suoi gentili uomi-ni e dando loro grandi provisioni, e onorògli, secondo le loro qualità, di condotte edi governi: in modo che in pochi mesi negli animi loro l’affezione delle parti si spen-se e tutta si volse nel duca30. Dopo questo, aspettò la occasione di spegnere e’ capiOrsini, avendo dispersi quelli di casa Colonna: la quale gli venne bene, e lui la usòmeglio31. Perché, avvedutosi gli Orsini tardi che la grandezza del duca e della Chie-sa era la loro ruina feciono una dieta alla Magione nel Perugino32; da quella nac-que la ribellione di Urbino, e’ tumulti di Romagna e infiniti periculi del duca, e’ qua-li tutti superò con l’aiuto de’ franzesi33. E ritornatoli la reputazione, né si fidandodi Francia né di altre forze esterne, per non le avere a cimentare si volse alli ingan-ni34; e seppe tanto dissimulare l’animo suo che li Orsini medesimi, mediante ilsignore Paulo, si riconciliorno seco, – con il quale il duca non mancò d’ogni ragio-ne di offizio per assicurarlo, dandoli danari veste e cavalli, – tanto che la simplicitàloro gli condusse a Sinigaglia nelle sua mani35.

Spenti adunque questi capi e ridotti e’ partigiani loro sua amici, aveva il duca git-tati assai buoni fondamenti alla potenza sua, avendo tutta la Romagna col ducato diUrbino, parendoli massime aversi acquistata amica la Romagna e guadagnatosi quel-li populi per avere cominciato a gustare il bene essere loro36. E perché questa parte èdegna di notizia e da essere da altri imitata, non la voglio lasciare indreto37. Presa che

26. cioè che... simile: ‘(il duca temeva) cioèche le milizie degli Orsini, di cui si era servito (siera valuto), defezionassero (gli mancassino sot-to), e non solo gli impedissero di conquistare(nuovi domìni), ma lo privassero di quanto ave-va già conquistato, e che anche (ancora) il re(Luigi XII) non facesse lo stesso (non li facessi ilsimile)’, cioè ‘venisse meno ai patti’.27. Delli... desistere: ‘Degli Orsini ebbe unaprova (riscontro) quando, dopo la presa diFaenza, attaccò Bologna (aprile 1500), poichéli vide andare a quell’attacco privi di determi-nazione (freddi), e riguardo al re conobbe il suointendimento (animo) quando, dopo aver presoil Ducato di Urbino, attaccò la Toscana; impre-sa dalla quale il re lo fece desistere’. Nel 1502il Valentino, dopo la conquista di Urbino, provòad ampliare il suo regno muovendo contro laToscana, ma Luigi XII, che era alleato di Firen-ze, lo impedì.28. Onde che: ‘Cosicché’.29. la prima... Roma: ‘per prima cosa indebolìle fazioni (parte) degli Orsini e dei Colonna aRoma’.30. perché tutti... nel duca: ‘perché (spiega inche modo indebolì le fazioni) si guadagnò il fa-vore di tutti i loro sostenitori, che fossero nobili(gentili uomini), nominandoli nobili nel proprioregno e dando loro ricchi stipendi (grandi provi-sioni), e li gratificò (onorògli), ognuno secondoil proprio grado, con comandi di eserciti (con-dotte) e incarichi di governo (governi): così che

in pochi mesi nei loro animi il loro attacamento(l’affezione) alle fazioni (dei Colonna e degli Or-sini) si spense e fu tutto rivolto al duca’.31. aspettò... meglio: ‘aspettò l’occasione dieliminare fisicamente (spegnere) i capi degli Or-sini, avendo già in precedenza disperso le forzedei Colonna, occasione che gli giunse al mo-mento giusto e che lui seppe usare al meglio’.32. Perché... Perugino: ‘E questo perché, ac-cortisi in ritardo gli Orsini che la grandezza delduca e della Chiesa era la loro rovina (ruina), fe-cero una riunione alla Magione, villaggio nel ter-ritorio di Perugia (nel Perugino)’. – dieta: letteral-mente un’adunanza che dura un giorno (dal lati-no dies, giorno); in realtà la riunione degli Orsinidurò dal 24 settembre all’8 ottobre del 1502.33. da quella... franzesi: Machiavelli allude allerivolte avvenute alla fine del 1502 all’interno delRegno di Romagna, fomentate dagli Orsini e pie-gate dal duca con l’aiuto dei francesi.34. E ritornatoli... inganni: ‘E recuperata lapropria autorità, non fidandosi né della Franciané di altre forze straniere, per non dover speri-mentare la loro fedeltà (per non le avere acimentare), ricorse (si volse) all’inganno’.35. seppe... mani: ‘(il duca) seppe tanto bendissimulare il proprio animo che gli stessi Orsi-ni, tramite Paolo, della loro famiglia (il signorePaulo), si riconciliarono con lui (seco) – e conlui usò ogni genere (ragione) di cortesia (offi-zio) per rassicurarlo, facendogli dono di dena-ri, vesti e cavalli, – tanto che la loro stupidità

(simplicità) li fece cadere nelle sue mani a Seni-gallia’. Il 25 ottobre 1502 Paolo Orsini andò aImola per trattare la pace col Valentino; il 31dicembre 1502 il Valentino fece arrestare euccidere i condottieri ribelli a Senigallia, dove liaveva invitati per ratificare la pace. Quest’epi-sodio di ferocia politica, che non riceve alcunacondanna morale e viene anzi additato amodello, era già stato analizzato da Machiavel-li in una sua relazione: Descrizione del modotenuto dal duca Valentino nello ammazzareVitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signorPagolo e il duca di Gravina Orsini (1503).36. Spenti... loro: ‘Uccisi dunque questi capi-fazione e resi a sé favorevoli (sua amici) i lorosostenitori, il duca aveva gettato basi assaibuone per il suo Stato, poiché teneva tutta laRomagna con il Ducato di Urbino, e soprattut-to (massime) perché gli pareva di essersi con-quistata l’amicizia della Romagna e di essersiguadagnato il favore di quei popoli, per il fattoche avevano cominciato a gustare il benesse-re’ (il benessere garantito dal buon governodel Valentino). – per avere cominciato: infini-to sostantivato con valore causale.37. E perché... indreto: ‘E poiché questa parte(della sua opera politica) è degna di essere co-nosciuta (degna di notizia) e di essere imitata daaltri, non la voglio tralasciare (lasciare indreto)’.Prima di continuare a trattare i nemici esterni al-lo Stato del Valentino (la Francia), Machiavelliapre una sotto-sezione di politica interna.

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14. Niccolò Machiavelli 579A

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ebbe il duca la Romagna e trovandola suta comandata da signori impotenti, – e’ qua-li più presto avevano spogliati e’ loro sudditi che corretti, e dato loro materia di di-sunione, non d’unione, – tanto che quella provincia era tutta piena di latrocini, di bri-ghe e d’ogni altra ragione di insolenzia, iudicò fussi necessario, a volerla ridurre pa-cifica e ubbidiente al braccio regio, dargli buono governo: e però vi prepose messerRimirro de Orco, uomo crudele ed espedito, al quale dette plenissima potestà38. Co-stui in poco tempo la ridusse pacifica e unita, con grandissima reputazione39. Di poiiudicò il duca non essere necessaria sì eccessiva autorità perché dubitava non dive-nissi odiosa, e preposevi uno iudizio civile nel mezzo della provincia, con uno presi-dente eccellentissimo, dove ogni città vi aveva lo avvocato suo40. E perché conosce-va le rigorosità passate avergli generato qualche odio, per purgare li animi di quellipopuli e guadagnarseli in tutto, volse mostrare che, se crudeltà alcuna era seguita,non era causata da lui ma da la acerba natura del ministro41. E presa sopra a questooccasione, lo fece, a Cesena, una mattina mettere in dua pezzi in su la piazza, con unopezzo di legne e uno coltello sanguinoso accanto: la ferocità del quale spettaculo fe-ce quegli popoli in uno tempo rimanere satisfatti e stupidi42.

Ma torniamo donde noi partimmo43. Dico che, trovandosi il duca assai potente ein parte assicurato de’ presenti periculi, per essersi armato a suo modo e avere in buo-na parte spente quelle arme che, vicine, lo potevano offendere, gli restava, volendoprocedere collo acquisto, el respetto del re di Francia44: perché conosceva come dalre, il quale tardi s’era accorto dello errore suo, non gli sarebbe sopportato45. E comin-ciò per questo a cercare di amicizie nuove e vacillare con Francia, nella venuta che ’franzesi feciono verso el regno di Napoli contro alli spagnuoli che assediavano Gae-ta; e lo animo suo era assicurarsi di loro: il che gli sarebbe presto riuscito, se Alessan-dro viveva46. E questi furno e’ governi sua47, quanto alle cose presenti.

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38. Presa... potestà: ‘Dopo la conquista dellaRomagna, vedendo che era stata amministrata(suta comandata) da signori incapaci – i qualiavevano derubato i loro sudditi piuttosto (piùpresto) che governarli (corretti), e avevanodato loro (ai sudditi) motivo (materia) di disu-nione anziché di unione –, di modo che quellaregione (provincia, latinisimo) era ovunque pie-na di furti, di scontri violenti (brighe) e di ognialtro genere di abuso (insolenzia), ritennenecessario, per renderla pacifica e sottomessaall’autorità del principe (al braccio regio), darleun buon governo: e perciò vi mise a capo ilsignor Rimirro de Orco, uomo crudele e risolu-to (espedito), al quale diede potere assoulto(plenissima potestà)’. – Rimirro de Orco: Rami-ro de Lorqua, spagnolo come il Valentino, fufatto governatore della Romagna nel 1501; nel-le assenze del duca disponeva di poteri larghis-simi.39. Costui... reputazione: ‘Questi in poco tem-po la pacificò e la fece diventare unita, congrandissima autorità (reputazione)’.40. iudicò... avvocato suo: ‘il duca ritenne chenon era necessario un potere a tal punto illimi-tato (sì eccessiva autorità), perché temeva chediventasse odioso, e allora istituì un tribunalenel bel mezzo della regione (a Cesena), con unpresidente meritevolissimo, nel quale (tribuna-le) ogni città aveva un suo rappresentante(avvocato)’. Si allude al Tribunale della Rota,una magistratura civile centralizzata aventesede a Cesena, nel cuore della Romagna: fufondata nell’ottobre del 1502 e presieduta da

Antonio dal Monte.41. E perché... ministro: ‘E poiché sapeva chei precedenti eccessi di rigore (dovuti a Rimirrode Orco) avevano suscitato qualche odio neisuoi confronti (suoi del duca), per liberare (dal-l’odio) gli animi di quei popoli e guadagnarsicompletamente il loro favore, volle dimostrareche, se c’era stata qualche crudeltà, questanon era stata causata da lui, ma dall’indole effe-rata (acerba natura) del governatore (del mini-stro)’, cioè di Rimirro de Orco. – era seguita:

letteralmente: ‘si era verificata’.42. E presa... stupidi: ‘E cogliendo l’occasioneda questo (questo è il malcontento della popola-zione appena descritto), una mattina, sulla piaz-za a Cesena, lo fece esporre decapitato, con ac-canto un ceppo e una mannaia insanguinata, e laferocia (ferocità) di questo spettacolo lasciòquelle popolazioni soddisfatte e sbigottite (sati-sfatti e stupidi) nello stesso tempo (in uno tem-po)’. La caduta di Rimirro de Orco fu repentina.La sua decapitazione ebbe luogo il 26 dicembredel 1502. Anche di questi fatti Machiavelli fu te-stimone diretto e ne redasse una relazione.43. Ma... partimmo: ‘Ma torniamo al punto dipartenza’. Si chiude l’excursus sul buon gover-no del duca e sugli affari interni. L’attenzionetorna ora agli affari esteri: al secondo ostacolodel Valentino, la Francia (il primo, già debella-to, erano gli Orsini e i Colonna).44. Dico che... Francia: ‘Dico che il duca, tro-vandosi assai potente e in parte riparato daipericoli immediati, dal momento che si eradotato di un esercito tale quale lo voleva (a suo

modo, ossia un esercito fedele) e aveva in buo-na parte debellato quegli eserciti che lo avreb-bero potuto colpire, se fossero rimasti vicini(vicine, predicativo dell’oggetto), gli restava,volendo procedere nella conquista, il timoreverso il re di Francia’, ossia: ‘che Luigi XII siopponesse’.45. perché... sopportato: ‘perché capiva cheil re, il quale tardi si era accorto del suo errore(aver aiutato il Valentino a fondare il suo Statopersonale), non avrebbe tollerato (sottinteso‘ulteriori conquiste’)’.46. cominciò... viveva: ‘cominciò per questomotivo a cercare nuove alleanze (amicizie) e atentennare (cioè a sottrarsi all’alleanza) con laFrancia in occasione della spedizione (venuta)dei francesi nel Regno di Napoli contro gli spa-gnoli che assediavano Gaeta; e la sua intenzio-ne (animo suo) era di tutelarsi nei loro confron-ti (rendersi inattaccabile dai francesi), il che glisarebbe in breve riuscito, se Alessandro nonfosse morto (proprio allora)’. Francia e Spagnasi stavano contendendo il Regno di Napoli e l’I-talia era teatro dei loro scontri. Alessandro VI eil Valentino presero accordi segreti con la Spa-gna, tradendo la Francia con la quale eranostati alleati fino a quel momento. Proprio nelcorso delle trattative, Alessandro VI morì con-tro ogni aspettativa (18 agosto 1503). Questamorte segnò il declino del potere del figlio, pro-prio nel momento in cui aveva quasi terminatola rifondazione del suo regno.47. e’ governi sua: ‘la sua condotta’.

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IA Ma quanto alle future, lui aveva a dubitare in prima che uno nuovo successore al-la Chiesa non gli fussi amico e cercassi torgli quello che Alessandro li aveva dato48.Di che pensò assicurarsi in quattro modi: prima, di spegnere tutti e’ sangui di quellisignori che lui aveva spogliati, per tòrre al papa quella occasione; secondo, di gua-dagnarsi tutti e’ gentili uomini di Roma, come è detto, per potere con quelli tenere ilpapa in freno; terzo, ridurre il Collegio più suo che poteva; quarto, acquistare tantoimperio, avanti che il papa morissi, che potessi per sé medesimo resistere a uno pri-mo impeto49. Di queste quattro cose, alla morte di Alessandro ne aveva condotte tre,la quarta aveva quasi per condotta50: perché de’ signori spogliati ne ammazzò quan-ti ne possé aggiugnere e pochissimi si salvorno, e’ gentili uomini romani si aveva gua-dagnati, e nel Collegio aveva grandissima parte; e quanto al nuovo acquisto, avevadisegnato diventare signore di Toscana e possedeva di già Perugia e Piombino, e diPisa aveva presa la protezione51. E come e’ non avessi avuto ad avere rispetto a Fran-cia, – che non gliene aveva ad avere più, per essere di già e’ franzesi spogliati del Re-gno da li spagnuoli: di qualità che ciascuno di loro era necessitato comperare l’ami-cizia sua, – e’ saltava in Pisa52. Dopo questo, Lucca e Siena cedeva subito, parte perinvidia de’ fiorentini, parte per paura; e’ fiorentini non avevano rimedio53. Il che segli fussi riuscito, – che gli riusciva l’anno medesimo che Alessandro morì, – si acqui-stava tante forze e tanta reputazione che per sé stesso si sarebbe retto e non sarebbepiù dependuto da la fortuna e forze di altri, ma da la potenza e virtù sua54.

Ma Alessandro morì dopo cinque anni che egli aveva cominciato a trarre fuorala spada55: lasciollo con lo stato di Romagna solamente assolidato, con tutti li altriin aria, in fra dua potentissimi eserciti inimici e malato a morte56. Ed era nel ducatanta ferocità e tanta virtù, e sì bene conosceva come li uomini si hanno a guada-gnare o perdere, e tanto erano validi e’ fondamenti che in sì poco tempo si avevafatti, che s’e’ non avessi avuto quelli eserciti addosso, o lui fussi stato sano, arebberetto a ogni difficultà57.

E che e’ fondamenti sua fussino buoni, si vidde58: che la Romagna lo aspettò più

48. lui aveva... dato: ‘egli doveva temere anzi-tutto (in prima) che un nuovo pontefice, suc-cessore di Alessandro, non gli fosse amico ecercasse di sottrargli quello (Stato) che Ales-sandro gli aveva concesso’. Si ricordi che loStato del Valentino è uno Stato nuovo internoallo Stato della Chiesa.49. Di che... impeto: ‘E da questo (Di che) pen-sò a tutelarsi in quattro modi: per prima cosaeliminare tutti i consanguinei di quei nobili cheaveva privato (dei loro possedimenti), pertogliere (per tòrre) al nuovo papa quella oppor-tunità (di restituire loro i territori legittimi);come seconda cosa guadagnarsi il favore ditutti i nobili (e’ gentili uomini) di Roma, come siè gia detto, per controllare il (nuovo) papa (tra-mite l’influenza delle famiglie nobili); come ter-za cosa rendere a sé favorevole (ridurre... suo)quanto più possibile il Collegio dei cardinali;come quarta cosa acquistare tanto potere, pri-ma che il papa (Alessandro) morisse, da poterresistere a un primo assalto (impeto) con le suesole forze’, ossia ‘ampliare a tal punto il suo ter-ritorio così da rendersi inattaccabile’.50. Di queste... condotta: ‘Di queste quattrocose alla morte di Alessandro ne aveva attuate(condotte) tre e la quarta riteneva di averlaquasi attuata’.

51. perché... protezione: ‘perché dei signoriche aveva privato dei loro beni (spogliati) ne am-mazzò quanti poté catturare (aggiugnere, lette-ralmente: ‘raggiungere, acciuffare’) e pochissimise ne salvarono, i nobili romani li aveva attirati asé (si aveva guadagnati), e nel Collegio dei cardi-nali moltissimi erano dalla sua parte; e quanto al-l’acquisizione di nuovi territori (nuovo acquisto)aveva progettato (disegnato) di diventare signo-re della Toscana e possedeva già Perugia ePiombino, e Pisa era sotto la sua protezione’.52. E come... Pisa: ‘E non appena fosse stato nel-la condizione di non avere alcun timore della Fran-cia (avere rispetto a Francia) – timore che non do-veva avere più, visto che i francesi erano già statiprivati del Regno (di Napoli) dagli spagnoli: di mo-do che (di qualità che) l’uno e l’altro di loro (france-si e spagnoli) era costretto a comprare la sua al-leanza –, avrebbe assaltato (saltava in) Pisa’.53. Lucca... rimedio: ‘Lucca e Siena avrebberoceduto subito, in parte per odio verso i fioren-tini e in parte per paura (verso il duca), e i fio-rentini non avrebbero avuto scampo (rimedio)’.Machiavelli continua a dedurre gli eventi a par-tire da alcune premesse, immaginando unastoria che non si è potuta dare a causa delpotere della fortuna.54. si acquistava... virtù sua: ‘avrebbe acqui-

stato tanta forza e autorità, che si sarebbe dife-so con le sue sole forze, e non sarebbe più dipe-so (dependuto) dalla fortuna e dalle forze di altri,ma dalla sua forza e dalla sua capacità politica’.55. dopo... spada: ‘dopo cinque anni che egli(il duca) aveva sguainato la spada’, ossia (fuordi metafora): ‘aveva cominciato a combattereper uno Stato’. Machiavelli calcola i cinque annia partire dall’agosto 1498, anno in cui il Valen-tino era stato nominato gonfaloniere dellaChiesa. Esattamente cinque anni dopo, nell’a-gosto 1503, morì Alessandro.56. lasciollo... morte: ‘(Alessandro) lasciò ilfiglio (lo) con il solo Stato di Romagna consoli-dato (assolidato), con tutti gli altri ancora pococonsistenti (in aria), fra due potentissimi eser-citi nemici (Francia e Spagna) e malato arischio di morte’.57. Ed era... difficultà: ‘Eppure c’era nel ducatanta fierezza e capacità politica, e lui sapevacosì bene che ci si deve rendere amici (guada-gnare) gli uomini oppure annientarli (perdere),ed erano tanto solide le basi che in così pocotempo si era costruito, che se non avesse avutoquegli eserciti addosso, o non si fosse ammala-to, avrebbe saputo far fronte a ogni difficoltà’.58. si vidde: ‘si vide bene’, ossia: ‘fu chiaro atutti’.

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d’uno mese59; in Roma, ancora che mezzo vivo, stette sicuro, e, benché BaglioniVitelli e Orsini venissino in Roma, non ebbono séguito contro di lui60; possé fare,se non chi e’ volle, papa, almeno ch’e’ non fussi chi e’ non voleva61. Ma se nellamorte di Alessandro fussi stato sano, ogni cosa gli era facile62: e lui mi disse, ne’ dìche fu creato Iulio II, che aveva pensato a ciò che potessi nascere morendo el padre,e a tutto aveva trovato remedio, eccetto ch’e’ non pensò mai, in su la sua morte, distare ancora lui per morire63.

Raccolte io adunque tutte le azioni del duca, non saprei riprenderlo: anzi mi pare, co-me io ho fatto, di preporlo imitabile a tutti coloro che per fortuna e con le arme di altrisono ascesi allo imperio64; perché lui, avendo l’animo grande e la sua intenzione alta,non si poteva governare altrimenti65, e solo si oppose alli sua disegni la brevità della vi-ta di Alessandro e la sua malattia. Chi adunque iudica necessario nel suo principato nuo-vo assicurarsi delli inimici, guadagnarsi delli amici; vincere o per forza o per fraude; far-si amare e temere da’ populi, seguire e reverire da’ soldati; spegnere quelli che ti posso-no o debbono offendere; innovare con nuovi modi gli ordini antiqui; essere severo egrato, magnanimo e liberale; spegnere la milizia infedele, creare della nuova; mantene-re l’amicizie de’ re e de’ principi in modo ch’e’ ti abbino a benificare con grazia o offen-dere con respetto; non può trovare e’ più freschi esempli che le azioni di costui66.

Solamente si può accusarlo nella creazione di Iulio pontefice, nella quale il ducaebbe mala elezione67. Perché, come è detto, non potendo fare uno papa a suo modo,poteva tenere che uno non fussi papa68; e non doveva mai consentire al papato diquelli cardinali che lui avessi offesi o che, divenuti papa, avessino ad aver paura dilui: perché gli uomini offendono o per paura o per odio69. Quelli che lui aveva offe-so erano, in fra li altri, San Piero ad vincula, Colonna, San Giorgio, Ascanio70; tuttili altri avevano, divenuti papi, a temerlo, eccetto Roano e gli spagnuoli71: questi per

59. la Romagna... mese: le città della Roma-gna rifiutavano di tornare sotto il controllodiretto del papa; cedettero solo quando ilValentino fu fatto prigioniero (dicembre 1503).60. in Roma... contro di lui: ‘a Roma, sebbenefosse gravemente malato (mezzo vivo), noncorse pericoli e, sebbene i Baglioni, i Vitelli e gliOrsini (le famiglie che aveva combattuto) fos-sero venuti a Roma, non trovarono alleati(séguito) contro di lui’.61. possé... non voleva: ‘poté, se non far eleg-gere papa chi egli voleva, almeno evitare(fare... ch’e’ non fussi) chi non voleva’. Si alludea Pio III, non ostile al Valentino, ma per sua«malignità di fortuna» morto solo un mesedopo essere stato creato. Subito dopo infatti fucreato papa Giuliano della Rovere, che sisarebbe rivelato nemico del Valentino.62. Ma se... facile: ‘Ma, se al momento dellamorte di Alessandro, egli (il Valentino) fossestato sano, ogni cosa gli sarebbe stata facile’.63. e lui... morire: ‘e lui mi disse, nei giorni che fueletto papa Giulio II, che aveva pensato a ciò chesarebbe potuto accadere se il padre fosse mor-to, e a tutto aveva trovato rimedio, tranne chenon pensò mai che sarebbe stato anche lui sulpunto di morire al momento della morte del pa-dre’. Dopo il brevissimo pontificato di Pio III, nelnovembre del 1503 fu eletto papa Giuliano dellaRovere (1443-1513) con il nome di Giulio II. Perdiventare papa aveva fatto fronte all’astuzia delValentino con le armi dell’astuzia: si era garanti-to i voti dei cardinali spagnoli, promettendo al du-

ca la restituzione del suo grado (gonfalonieredella Chiesa) e dei suoi possedimenti in Roma-gna; dopo l’elezione a pontefice non mantennela parola e procurò la rovina del Borgia. Machia-velli fa riferimento a una testimonianza diretta,ossia ai colloqui privati tenuti col Valentino (pro-babilmente a Roma, quando vi fu inviato per se-guire il conclave, nell’autunno-inverno del 1503).64. Raccolte... imperio: ‘Raccontate dunquele gesta del duca, non saprei come biasimarlo,anzi, ritengo opportuno, come ho fatto, propor-lo come un esempio da imitare per tutti coloroche sono saliti al potere con la fortuna e con glieserciti altrui’.65. perché... altrimenti: ‘perché, avendo l’ani-mo ardente (grande) e progetti ambiziosi (lasua intenzione alta), non si poteva comportarealtrimenti (governare altrimenti)’.66. Chi adunque... di costui: ‘Chi dunque ritie-ne necessario nel suo principato di nuova acqui-sizione tutelarsi dai (assicurarsi delli) nemici,guadagnarsi degli alleati; vincere o con la forzao con l’inganno (fraude); farsi amare e temeredalle popolazioni, farsi obbedire e rispettare daisoldati; uccidere quelli che ti possono o ti devo-no danneggiare; rinnovare gli ordinamenti anti-chi creando nuove istituzioni; essere severo e in-sieme gradito, magnanimo e generoso (libera-le); disfarsi della milizia infedele e crearne dellanuova; conservare le alleanze di re e principi inmodo che essi ti favoriscano cortesemente (congratia) o esitino nel danneggiarti (offendere conrespetto, letteralmente: ‘attaccare con esitazio-

ne’); non può trovare esempi più recenti (freschi)delle azioni di questi (cioè del Valentino)’.67. Solamente... elezione: ‘L’unico errore chegli si può imputare è l’elezione di Giulio a pon-tefice, nella quale egli (il duca) fece una cattivascelta’.68. Perché... papa: ‘Perché, come si è detto,non potendo fare eleggere papa chi lui voles-se (a suo modo), poteva impedire l’elezione apapa di qualcuno (qualcun altro a sé ostile)’.69. e non doveva... per odio: ‘e non avrebbemai dovuto permettere che divenisse papa qual-cuno di quei cardinali (di quelli cardinali, partiti-vo) che aveva offeso o che, divenuto papa, aves-se ad aver paura di lui: perché gli uomini colpi-scono o per paura o per odio’. Si noti il chiasmo:per paura corrisponde a avessino ad aver paura;per odio corrisponde a che lui avessi offesi.70. San Piero... Ascanio: Giuliano della Rove-re, che prima di essere eletto papa era cardina-le della chiesa di San Pietro in Vincoli; Giovan-ni Colonna; Raffaello Riaro, cardinale dellachiesa di San Giorgio; Ascanio Sforza. San Pie-ro e San Giorgio sono metonimie che designa-no i rispettivi cardinali.71. eccetto... spagnuoli: ‘eccettuati Georgesd’Amboise, cardinale di Rouen (Roano), e i car-dinali spagnoli’. Machiavelli ha appena fatto ilcalcolo che avrebbe dovuto fare il Valentino persalvarsi: sapendo che gli uomini sono nemici oper paura o per odio, bisognava sottrare al no-vero dei cardinali papabili sia coloro che odiava-no Cesare Borgia, sia coloro che lo temevano.

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Lettura guidataUNA PARABOLA SUL POTERE Con il raccontodella breve vicenda politica di Cesare Borgia, dura-ta appena cinque anni, Machiavelli propone unagrande parabola della virtù (intesa sempre comecapacità di governare) richiesta al principe nuovo.Il Valentino non è il principe nuovo che fonda inprima persona lo Stato, come Francesco Sforza e glialtri eroici fondatori di Stati passati in rassegna nelcapitolo precedente (Mosè, Teseo, Romolo e glialtri). Al contrario, la virtù del Valentino viene allaluce, dopo che il regno gli viene messo in mano dal-la sorte (fortuna), grazie al potere del padre, ilpotentissimo papa Alessadro VI, il quale gli consen-te di fondare un dominio personale all’interno del-lo Stato della Chiesa. Ben sapendo che la fortunarende instabile qualsiasi dominio, il Valentinoingaggia una lotta feroce contro i propri nemici perdare al suo regno quelle fondamenta e quelle radi-ci – come dice Machiavelli ricorrendo a metaforearchitettoniche e vegetali – senza le quali essosarebbe svanito con la morte del padre.

E così fu in effetti. La virtù del Valentino fusconfitta dalla fortuna (anzi «da una estraordinariaed estrema malignità di fortuna», r. 35) e il suo Sta-to crollò alla morte di Alessandro VI. Ciononostan-te, i suoi provvedimenti vengono minutamente nar-rati in quanto esempio (quasi) perfetto. Machiavel-li li analizza con tanta abbondanza di dettagli, per-ché gli eventi si riferiscono a un contesto ancoraattualissimo per sé e i suoi lettori. Si ricordi delresto che in molti casi l’autore fa qui riferimento a

fatti che ha visto da vicino e dei quali ha già scrit-to, in veste di osservatore della Repubblica fioren-tina. Alla fine del capitolo, non a caso, egli ricordaesplicitamente i dialoghi avuti col Valentino.

LA VIRTÙ DEI BORGIA Proviamo a ripercorrere lemosse che Machiavelli attribuisce ad Alessandro VIe a suo figlio. Le prime azioni sono del papa, che usail proprio potere spirituale a fini apertamente tem-porali: sciogliendo Luigi XII dal suo primo matrimo-nio, Alessandro si allea con la Francia, e con l’aiutodelle truppe mercenarie francesi consente al figlio,senza che Venezia possa intromettersi, di fondare unnuovo Stato in Romagna. Senza soluzione di conti-nuità, il testimone passa dal padre al figlio, il qualeper prima cosa elimina i Colonna presenti nel proprioStato e inizia a confrontarsi con due necessità: 1)dotarsi di un esercito fidato (non mercenario); 2) de-bellare i sostenitori di una seconda fazione avversa-ria (dopo quella dei Colonna), quella degli Orsini. IlValentino si arma quindi di milizie proprie e neutra-lizza il potere degli Orsini, facendo ricorso all’elimi-nazione fisica dei propri avversari con un’astuzia fe-roce: fingendo di essersi riconciliato con loro, il Bor-gia fa cadere in una trappola i capi Orsini, li catturae li uccide.

Il primo grande nemico esterno del Valentino èdunque neutralizzato: i Colonna e gli Orsini sono sta-ti debellati. Resta l’altro grande ostacolo, la Francia,la quale, dopo aver aiutato il Valentino nella fonda-zione del suo Stato, ora ne teme l’eccessiva poten-za. Prima di toccare quest’altro versante, tuttavia,Machiavelli apre una breve parentesi relativa alla po-

72. questi... Francia: ‘questi (gli spagnoli), inquanto connazionali e obbligati nei suoi con-fronti, quello (il cardinale di Rouen) in quantomolto potente (per potenza), dal momento cherappresentava il Regno di Francia’.73. doveva... vincula: ‘doveva consentire l’ele-

zione del cardinale di Rouen, non di quello diSan Pietro in Vincoli (il della Rovere)’.74. E chi crede... s’inganna: ‘E chi crede chenei potenti (personaggi grandi) i nuovi beneficifacciano dimenticare le offese vecchie, siinganna’. Questa massima allude al fatto che il

recente favore che il Valentino faceva al dellaRovere, contribuendo alla sua elezione, nonpoteva fargli dimenticare le precedenti offese’.75. Errò... ruina sua: ‘Il duca dunque sbagliòin questa scelta (elezione), e (tale errore) fucausa della sua definitiva caduta’.

coniunzione e obligo, quello per potenza, avendo coniunto seco el regno di Francia72.Pertanto el duca innanzi a ogni cosa doveva creare papa uno spagnuolo: e, non po-tendo, doveva consentire a Roano, non a San Piero ad vincula73. E chi crede che ne’personaggi grandi e’ benifizi nuovi faccino sdimenticare le iniurie vecchie, s’ingan-na74. Errò adunque el duca in questa elezione, e fu cagione dell’ultima ruina sua75.

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litica interna del Valentino. La Romagna, terra tradi-zionalmente lacerata e divisa da odi di parte (si ri-cordi il canto XXVII dell’Inferno), era un regno nonfacile da governare. Anche per instaurare il buon go-verno, il Valentino ricorre all’astuzia. Prima, egli af-fida la gestione degli affari interni al severo e fero-cissimo Rimirro de Orco, che diventa in breve il suorappresentante più potente. In un secondo tempo,dopo che i provvedimenti impopolari di Rimirro han-no messo ordine nello Stato, il duca fa uccidere il suobraccio destro, placando la sete di vendetta dei suoisudditi e saldando il consenso intorno alla propriapersona. Trattata la politica interna, Machiavelli tor-na a esaminare la politica estera. Per difendersi dal-la minaccia francese, il Valentino deve fare in modoche il proprio Stato sia così solido che alla morte delpadre un nuovo pontefice non possa opporsi al suodominio. Per ottenere questo risultato, il Valentinoattua un piano in quattro punti: 1) elimina fisica-mente gli eredi dei signorotti spodestati in Roma-gna, in modo che diventi impossibile per chiunquerestaurare i poteri preesistenti; 2) si fa alleate le fa-miglie nobili a Roma, così da arginare il potere degliOrsini e dei Colonna; 3) si fa alleato il collegio deicardinali destinati ad eleggere il nuovo papa, in mo-do da impedire l’elezione di un nuovo papa a sé osti-le; 4) comincia ad ampliare i propri territori assal-tando le città toscane. Secondo Machiavelli, si trat-ta di una strategia perfetta, grazie alla quale, se fos-se stato possibile applicarla fino in fondo, lo Statodel Valentino, nato dalla fortuna, sarebbe stato so-lido e duraturo tanto quanto uno Stato nato con lavirtù. A questo punto però interviene l’imprevisto: lafortuna, finora propizia al Valentino, in un istante glivolta le spalle.

LA MALIGNITÀ DI FORTUNA E L’ERRORE DEL

DUCA Del tutto inaspettatamente, nell’agosto del1503, muore Alessandro VI e in quello stessomomento anche il Valentino giace malato in peri-colo di vita. Come rivela Machiavelli con una dram-matica testimonianza diretta, il Valentino avevapensato a tutto tranne che a una simile coinciden-za. Lo Stato del Borgia tuttavia non barcolla, nécede subito, a riprova del fatto che i fondamenticreati in soli cinque anni erano ottimi. Cede peròquando (per ulteriore sfortuna) muore anche il suc-cessore di Alessandro VI, Pio III (pontefice nonostile al duca), e viene creato papa Giulio II dellaRovere. In questa elezione Machiavelli addita l’uni-co vero errore del duca: non aver impedito l’elezio-ne di colui che sapeva essergli nemico, illudendosidi poterselo fare alleato semplicemente favorendola sua elezione, come se i favori recenti potesserocancellare le offese antiche.

UN MODELLO DA IMITARE Nonostante questounico errore, il Valentino viene presentato da Ma-chiavelli come un modello da imitare in tutto e pertutto. Come si vede qui (e ancor più nei capitoli XV:uT97 e XVIII: uT98), il buon governo che ha inmente Machiavelli richiede al principe una gestione

feroce, astuta e crudele del potere. I fatti narrati inquesto capitolo parlano chiaro: il papa non vienegiudicato come pastore di anime, ma come abile sta-tista; suo figlio, che uccide a tradimento gli Orsini efa decapitare in piazza il suo braccio destro Rimirrode Orco, non riceve la benché minima condanna mo-rale. Evidentemente, secondo Machiavelli, chi vogliatenere in pugno lo Stato e garantire il buon gover-no, non può comportarsi altrimenti.

comprensione1. Elenca i personaggi che Machiavelli cita nel brano,associando a ciascuno le informazioni su di loro che for-nisce, arricchendole eventualmente con una tua ricer-ca personale.

analisi e interpretazione2. Quali sono le metafore che Machiavelli impiega perdescrivere la rifondazione dello Stato da parte delValentino? Raccoglile e spiega il loro significato in rela-

zione al problema dei principati nati non dalla virtù indi-viduale, bensì grazie alla fortuna (usa 300 parole circa).3. Quali sono le azioni del Valentino che Machiavelliconsidera esemplari? Quali sono i colpi della sfortunache egli subisce? Qual è l’errore che egli commette?

contestualizzazione4. In cosa consiste la “virtù” del Valentino? Spiega l’usodel termine “virtù” in Machiavelli servendoti degli altribrani del Principe che hai letto.

Esercizi

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La «verità effettuale»

Il Principe, cap. XV

Nella prima sezione del Principe vengono presi in esame i diversi tipi di principato (capp. I-XI).Nella sezione successiva (capp. XII-XIV), riservata alle milizie del principe, Machiavelli si espri-me energicamente a favore degli eserciti personali e contro le milizie mercenarie. Nella terzasezione (capp. XV-XXIII), inaugurata dal presente capitolo, viene proposta una definizione teo-rica dei comportamenti del principe. All’inizio di questa sezione, che è sempre apparsa la piùscandalosa e dirompente rispetto a tutta la riflessione politica anteriore, Machiavelli renderagione del suo punto di vista: la virtù morale non si può accordare con la virtù intesa comesinonimo di capacità politica. Ogni idealizzazione del potere monarchico dipinge uomini chein realtà non esistono. Al contrario, è necessario guardare in faccia la «verità effettuale» (effet-tiva), nella quale bene morale e potere politico sono due sistemi di valori da tenere rigorosa-mente distinti.

De his rebus quibus homines et praesertim principes laudantur aut vituperantur1

Resta ora a vedere quali debbino essere e’ modi e governi di uno principe o co’ sud-diti o con li amici2. E perché io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scri-vendone ancora io, non essere tenuto prosuntuoso, partendomi massime, nel dispu-tare questa materia, da li ordini delli altri3. Ma sendo l’intenzione mia stata scrive-re cosa che sia utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare dreto allaverità effettuale della cosa che alla immaginazione di essa4. E molti si sono imma-ginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti in vero esse-re5. Perché gli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, checolui che lascia quello che si fa, per quello che si doverrebbe fare, impara più pre-sto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte leparte professione di buono, conviene che ruini in fra tanti che non sono buoni6.Onde è necessario, volendosi uno principe mantenere, imparare a potere essere nonbuono e usarlo e non usarlo secondo la necessità7.

Lasciando adunque addreto le cose circa uno principe immaginate, e discorrendoquelle che sono vere, dico che tutti li uomini, quando se ne parla, e massime e’ prin-cipi, per essere posti più alti, sono notati di alcune di queste qualità che arrecano lo-ro o biasimo o laude8. E questo è che alcuno è tenuto liberale, alcuno misero, – usan-

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1. De his rebus... vituperantur: ‘Di quelle cosedi cui gli uomini, e specialmente i principi, sonolodati o biasimati’.2. Resta... amici: ‘Resta ora da considerarequali debbano essere i comportamenti e i modidi governo di un principe nei confronti dei sud-diti e degli alleati (amici). – e’ modi e governi:

è un’endiadi e va sciolta come ‘modi di com-portarsi e di governare’.3. E perché... altri: ‘E poiché io so che molti han-no scritto su questo (argomento), temo, se nescrivo anche (ancora) io, di essere ritenuto pre-suntuoso, soprattutto (massime) perché neltrattare questa materia mi allontano (partendo-mi) dall’impostazione (ordini) degli altri’. Machia-velli allude in modo indeterminato a tutti coloroche lo hanno preceduto nel trattare la moraledel principe.4. Ma sendo... di essa: ‘Ma poiché mi sono pro-

posto di scrivere qualche cosa di utile per colo-ro che sono in grado di intenderla, mi è parsopiù opportuno seguire la realtà dei fatti (veritàeffettuale della cosa) piuttosto che la loroimmagine ideale’.5. in vero essere: ‘esistere, essere nellarealtà’.6. Perché... buoni: ‘Infatti (Perché), c’è tantadistanza (discosto) tra come si vive e come sidovrebbe vivere, che colui che abbandona ilcriterio di ciò che si fa (lascia quello che si fa)in nome di quello che si dovrebbe fare (ovvero:‘colui che si attiene alle prescrizioni morali’)conosce la propria rovina, piuttosto (più pre-sto) che la propria salvezza (perservazione, let-teralmente: ‘conservazione’): perché colui chein tutte le situazioni (in tutte le parte) vogliacomportarsi da uomo buono è inevitabile (con-viene) che vada incontro alla propria rovina, dal

momento che si trova a operare fra tanti chebuoni non sono’.7. Onde... necessità: ‘Perciò è necessario cheun principe, se vuole conservare il propriopotere (volendosi... mantenere), impari a saper-si comportare da malvagio e a usare o non usa-re tale potere a seconda delle necessità’. –potere essere non buono: è infinito sostanti-vato, complemento oggetto del nesso usarlo enon usarlo: ‘usare o non usare’, all’occorrenza,la capacità di essere malvagio.8. Lasciando... laude: ‘Tralasciando dunque lecose immaginate a proposito di un principe etrattando quelle che sono vere, dico che tutti gliuomini, quando la gente parla di loro (quando sene parla), e soprattutto i principi, per il fatto chesono posti in posizione più elevata, vengonogiudicati secondo alcune di queste qualità cheprocurano loro o riprovazione o lode’.

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do uno termine toscano, perché avaro in nostra lingua è ancora colui che per rapinadesidera di avere: misero chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo9;– alcuno è tenuto donatore10, alcuno rapace11; alcuno crudele, alcuno piatoso12; l’u-no fedifrago, l’altro fedele13; l’uno effeminato e pusillanime, l’altro feroce e animo-so14; l’uno umano15, l’altro superbo; l’uno lascivo, l’altro casto; l’uno intero, l’altroastuto16; l’uno duro, l’altro facile17; l’uno grave, l’altro leggieri18; l’uno religioso, l’al-tro incredulo19, e simili. E io so che ciascuno confesserà che sarebbe laudabilissimacosa uno principe trovarsi, di tutte le soprascritte qualità, quelle che sono tenute buo-ne20. Ma perché le non si possono avere tutte né interamente osservare21, per le con-dizioni umane che non lo consentono, è necessario essere tanto prudente ch’e’ sappifuggire la infamia di quegli vizi che gli torrebbono lo stato; e da quegli che non glie-ne tolgono guardarsi, s’e’ gli è possibile: ma non possendo, vi si può con meno re-spetto lasciare andare22. Ed etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizi,sanza e’ quali possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considera bene tutto,si troverrà qualche cosa che parrà virtù, e seguendola sarebbe la ruina sua: e qualcu-na altra che parrà vizio, e seguendola ne nasce la sicurtà e il bene essere suo23.

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9. E questo... il suo: ‘E questo significa chequalcuno (alcuno) è ritenuto generoso (libera-le), qualcuno misero (nel senso toscano di‘gretto’, come si spiega subito dopo) – per usa-re una parola toscana, visto che avaro in linguaitaliana (in nostra lingua) è anche colui che èavido (letteralmente: ‘colui che desideraimpossessarsi con la violenza dei beni altrui’),noi (toscani) invece chiamiamo misero chi ten-de a non spendere i beni propri’.10. donatore: ‘prodigo’.11. rapace: ‘accaparratore’.12. piatoso: ‘pietoso, compassionevole’.13. l’uno fedifrago... fedele: ‘l’uno traditore,l’altro leale’.14. l’uno... animoso: ‘l’uno fiacco e vigliacco,l’altro fiero e coraggioso’.

15. umano: ‘cordiale’.16. l’uno... astuto: ‘l’uno integro e l’altro infido’.17. l’uno... facile: ‘l’uno intransigente, l’altrocompiacente’.18. l’uno... leggieri: ‘l’uno serio, l’altro frivolo’.19. l’uno... incredulo: ‘l’uno credente, l’altronon credente’.20. io so... buone: ‘io so che ciascuno ammet-terà (confesserà) che sarebbe una cosa moltoapprezzabile che un principe avesse (uno prin-cipe trovarsi), di tutte le qualità dette sopra,quelle che sono ritenute (tenute) buone’.21. osservare: ‘praticare’.22. è necessario... andare: ‘è necessario che(il principe) sia tanto accorto (prudente) dasaper fuggire la pubblica condanna (infamia) diquei vizi che gli toglierebbero lo Stato (cioè ‘gli

farebbero perdere il potere’); e (retto sempreda tanto prudente) da tenersi lontano (guardar-si), se gli è possibile, da quelli (vizi) che non glie-lo fanno perdere: ma non potendo (guardarsida questi vizi meno gravi), a questi si puòlasciare andare con meno scrupoli (respetto)’.23. Ed etiam... suo: ‘E anche (etiam, latino) (ilprincipe) non si preoccupi di incorrere nel pub-blico biasimo (infamia) di quei vizi senza i qualidifficilmente potrebbe conservare lo Stato,perché, a ben considerare ogni cosa, si potreb-be trovare qualche comportamento che sem-brerà virtuoso, seguendo il quale sarebbe lasua rovina: e (viceversa) qualche altro compor-tamento che sembrerà vizioso, seguendo ilquale, però, si genera la sicurezza e il benesse-re del principe (suo).

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Lettura guidataL’AUTONOMIA DELLA POLITICA Dal capitolo ap-pena letto emerge con chiarezza la dirompente no-vità del pensiero politico di Machiavelli. Prima delPrincipe nessuno aveva mai messo in discussione lanecessità di adattare la politica alle prescrizioni del-la morale, anzi nei principi si erano spesso additatimodelli di virtù (si pensi solo al grande filosofo gre-co Platone che aveva addirittura auspicato un’oligar-chia retta dai filosofi). A questa tradizione ideale,perpetuata dall’Umanesimo, Machiavelli contrappo-ne quella che egli ritiene la realtà concreta dei fatti(la «verità effettuale», r. 7). Il presupposto di una si-mile distinzione fra ideale ed effettuale consiste inun’antropologia pessimistica, secondo la quale il

divario fra come ci si dovrebbe comportare e come sicomporta davvero è per natura incolmabile. Se il pri-mo ambito (il dovere morale) spetta alla morale, ilsecondo (la realtà effettiva) compete alla politica,la quale risponde a leggi sue proprie, irriducibili alleprime. Si parla quindi in questo senso di una auto-

nomia del giudizio politico, il cui punto di vista de-ve essere tenuto ben distinto, secondo Machiavelli,dal giudizio morale.

VIZI E VIRTÙ Anche se la morale dipinge un uomoche nella realtà dei fatti non esiste, i comportamen-

ti morali hanno però una ricaduta politica, ed è aquesta ricaduta che il principe deve fare attenzione.La lode o il biasimo in materia morale, infatti, pos-sono rispettivamente rafforzare o indebolire il pote-re del principe. Machiavelli allega in proposito dodi-

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ci coppie di vizi e di virtù (liberale / misero; donato-re / rapace; crudele / piatoso; fedifrago / fedele; ef-feminato / pusillanime; feroce / animoso; umano /superbo; lascivo / casto; intero / astuto; duro / faci-le; grave/ leggiero; religioso/ incredulo). È chiaro cheil massimo consenso verrebbe al principe in tutto eper tutto virtuoso. Ma poiché viene ritenuta impos-sibile la compresenza di tutte le virtù in una sola per-sona, Machiavelli raccomanda al principe di guardar-si almeno dai vizi che gli toglierebbero autorità, e,

di conseguenza, potere. Per quanto concerne invecei vizi che non mettono a repentaglio lo Stato, abban-donarvisi o meno è a discrezione del principe. Vice-versa, nel caso in cui un vizio si renda indispensabi-le per la conservazione del potere, il principe è tenu-to a non rispettare la morale e a correre il rischio diun pubblico biasimo (come viene spiegato nel capi-tolo XVIII: uT98, due vizi indispensabili alla gestio-ne del potere sono, all’occorrenza, l’astuzia e la vio-lenza).

586 I Grandi Autori

comprensione

1. Dividi il capitolo in sequenze (premessa, corpo cen-trale, esemplificazioni, conclusioni), sintetizzando cia-scuna sequenza con parole tue.

analisi e interpretazione

2. Spiega cosa intenda Machiavelli per «verità effettua-le», usando circa 200 parole.

3. Riporta in una tabella le dodici coppie di vizi e di virtùelencati nel capitolo, mettendo accanto il significato diciascuno dei termini usati da Machiavelli.4. Alla base del pensiero politico di Machiavelli c’è unavisione pessimistica della natura e del comportamentoumani: sottolinea nel testo le espressioni che, a tuo giu-dizio, lasciano trasparire in modo più evidente questopunto di vista.

Esercizi

«Usare la bestia»: la volpe e il leone

Il Principe, cap. XVIII

Il capitolo XVIII è forse il più famoso e il più controverso del Principe. Continuando a esplora-re quella «verità effettuale», alla quale si è proclamato fedele (nel capitolo XV: uT97), Machia-velli sostiene qui la necessità da parte del principe di essere, all’occorrenza, immorale. Lette-ralmente, se gli eventi lo richiedono, egli deve saper «entrare nel male», al fine di conservarel’integrità dello Stato: anche la parola data, di conseguenza, dovrà essere disattesa, se l’oppor-tunità politica lo impone.

Quomodo fides a principibus sit servanda1

Quanto sia laudabile in uno principe il mantenere la fede e vivere con integrità enon con astuzia, ciascuno lo intende; nondimanco si vede per esperienza ne’ nostritempi quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco con-to e che hanno saputo con l’astuzia aggirare e’ cervelli delli uomini: e alla fine han-no superato quelli che si sono fondati in su la lealtà2.

Dovete adunque sapere come e’ sono dua generazioni di combattere3: l’uno, conle leggi; l’altro, con la forza. Quel primo è proprio dello uomo; quel secondo, dellebestie. Ma perché el primo molte volte non basta, conviene4 ricorrere al secondo:

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1. Quomodo... servanda: ‘In che modo i prin-cipi debbano tener fede alla parola data’.2. Quanto... lealtà: ‘Quanto sia lodevole cheun principe mantenga la parola data (fede) eviva con lealtà e non con astuzia ogni uomo lo

capisce; nondimeno (nondimanco) si vede peresperienza che ai nostri tempi hanno fattograndi cose quei principi che hanno tenutopoco conto della parola data e hanno saputoraggirare le menti degli uomini con astuzia: e

alla fine hanno avuto la meglio su (hanno supe-rato) quelli che hanno confidato nella lealtà’.3. come... combattere: ‘che esistono duegeneri di combattimento’.4. conviene: ‘è necessario’.

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pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo5. Questaparte è suta insegnata alli principi copertamente da li antichi scrittori, e’ quali scri-vono come Achille e molti altri di quelli principi antichi furno dati a nutrire a Chi-rone centauro, che sotto la sua disciplina li custodissi6. Il che non vuole dire altro,avere per precettore uno mezzo bestia e mezzo uomo, se non che bisogna a unoprincipe sapere usare l’una e l’altra natura: e l’una sanza l’altra non è durabile7.

Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe diquelle pigliare la golpe e il lione8: perché el lione non si difende da’ lacci, la golpenon si difende da’ lupi; bisogna adunque essere golpe a conoscere e’ lacci, e lionea sbigottire e’ lupi: coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne inten-dono9. Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede quan-do tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono pro-mettere10. E se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono: maperché e’ sono tristi e non la osserverebbono a te, tu etiam non l’hai a osservare aloro; né mai a uno principe mancorno cagioni legittime di colorire la inosservan-zia11. Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e mostrare quante pace,quante promisse sono state fatte irrite e vane12 per la infidelità de’ principi: e quel-lo che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato13. Ma è necessario questanatura saperla bene colorire ed essere gran simulatore e dissimulatore14: e sono tan-to semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui cheinganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare15.

Io non voglio delli esempli freschi tacerne uno16. Alessandro sesto17 non fece maialtro, non pensò mai ad altro che a ingannare uomini, e sempre trovò subietto18 da po-terlo fare: e non fu mai uomo che avessi maggiore efficacia in asseverare, e con mag-giori iuramenti affermassi una cosa, che la osservassi meno19; nondimeno sempre glisuccederno gl’inganni ad votum, perché conosceva bene questa parte del mondo20.

A uno principe adunque non è necessario avere in fatto tutte le soprascritte qua-lità, ma è bene necessario parere di averle21; anzi ardirò di dire questo: che, aven-dole e osservandole sempre, sono dannose, e, parendo di averle, sono utili; come

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5. usare... uomo: ‘ricorrere sia alla forza (pro-pria della bestia) sia alla legge (propria dell’uo-mo)’.6. Questa... custodissi: ‘Questa parte (dell’ar-te di governare) è stata (suta) insegnata ai prin-cipi allegoricamente (copertamente) dagliscrittori antichi, i quali scrivono come Achille emolti altri principi antichi fossero stati affidatialle cure del centauro Chirone, affinché li edu-casse secondo i suoi precetti (disciplina)’. Nel-la mitologia antica Chirone era il più saggio deicentauri: uomini bestia, per metà cavalli e permetà uomini. Achille, il più valoroso dei Grecinella guerra contro Troia, era stato educatonella sua giovinezza da Chirone.7. non è durabile: ‘non è durevole’ (e quindinon permette al principe di conservare il pote-re).8. Sendo... lione: ‘Essendo dunque obbligato asapersi comportare a tempo debito (bene)come una bestia, il principe, fra le bestie, deveprendere a modello la volpe e il leone’.9. perché... intendono: ‘perché il leone non sadifendersi dalle trappole (lacci), mentre la vol-pe non sa difendersi dai lupi (cioè dalle bestieferoci); bisogna dunque essere astuti come lavolpe per riconoscere le trappole e forti come

il leone per spaventare i lupi; quelli che usanosoltanto la forza (stanno... lione) non se neintendono (di politica)’.10. Non può... promettere: ‘Un principeaccorto (prudente) pertanto non può né devetener fede alla parola data, quando tale fedeltàvada contro il suo interesse e quando (che)sono venute meno le ragioni che lo avevanoindotto a promettere’.11. ma perché... inosservanzia: ‘ma poichéessi (gli uomini) sono malvagi (tristi) e non man-terrebbero la parola che ti hanno dato, nean-che (etiam) tu devi mantenere la parola che haidato loro; né mai a un principe mancarono giu-stificazioni per dare una parvenza legittima allatrasgressione della parola data’ – colorire:

‘mascherare’.12. sono... vane: ‘sono state rese inefficaci(irrite) e inutili’.13. e quello... capitato: ‘e quello che ha sapu-to meglio usare l’astuzia della volpe ha ottenu-to risultati migliori’.14. Ma è necessario... dissimulatore: ‘Ma ènecessario saper mascherare questa indoleastuta (natura) ed essere bravi a simulare (ilvero) e dissimulare (il falso)’.15. e sono... ingannare: ‘ma gli uomini sono

tanto sciocchi (semplici) e sono tanto condizio-nati dalle (ubbidiscono alle) necessità contin-genti (presenti) che chi inganna troverà semprechi si lascerà ingannare’.16. non voglio... uno: ‘non voglio tacere nes-suno degli esempi recenti (freschi)’.17. Alessandro sesto: Rodrigo Borja (italianiz-zato Borgia), nato nel 1431 a Valencia in Spa-gna; eletto papa nel 1492 con il nome di Ales-sandro VI; morto nel 1503: è il padre del ducaValentino.18. subietto: ‘materia’.19. non fu mai... meno: ‘e non ci fu mai uomoche avesse maggiore energia nel proclamare(qualcosa), e che facesse tanti giuramenti nel-l’affermare un cosa (un’intenzione), e che poimeno rispettasse la parola data’.20. nondimeno... mondo: ‘ciononostante isuoi inganni sempre si conclusero secondo ilsuo auspicio (ad votum, latino), perché cono-sceva bene questo aspetto dell’esistenza (par-te del mondo)’.21. A uno principe... averle: ‘A un principe,dunque, non è necessario avere effettivamen-te (in fatto) tutte le qualità sopra elencate (inquesto e nel cap. XV: uT97), ma è davveronecessario sembrare di averle’.

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parere piatoso, fedele, umano, intero, religioso, ed essere: ma stare in modo edifi-cato con lo animo che, bisognando non essere, tu possa e sappia diventare il con-trario22. E hassi a intendere questo, che uno principe e massime uno principe nuo-vo non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono chiamati buo-ni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, con-tro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione23. E però bisogna che egliabbia uno animo disposto a volgersi secondo che e’ venti della fortuna e la varia-zione delle cose gli comandano; e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, poten-do, ma sapere entrare nel male, necessitato24.

Debbe adunque uno principe avere gran cura che non gli esca mai di bocca cosache non sia piena delle soprascritte cinque qualità; e paia, a udirlo e vederlo, tuttopietà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione: e non è cosa piùnecessaria a parere di avere, che questa ultima qualità25. E li uomini in universaliiudicano più alli occhi che alle mani26; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire apochi: ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’; e quelli pochinon ardiscono opporsi alla opinione di molti che abbino la maestà dello stato chegli difenda; e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudi-zio a chi reclamare, si guarda al fine27.

Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi sempre fie-no iudicati onorevoli e da ciascuno saranno laudati28; perché el vulgo ne va presocon quello che pare e con lo evento della cosa29: e nel mondo non è se non vulgo,e’ pochi non ci hanno luogo quando gli assai hanno dove appoggiarsi30. Alcunoprincipe de’ presenti tempi, il quale non è bene nominare31, non predica mai altroche pace e fede, e dell’una e dell’altra è inimicissimo: e l’una e l’altra, quando e’ l’a-vessi osservata, gli arebbe più volte tolto e la riputazione e lo stato32.

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22. anzi... il contrario: ‘anzi oserò dire questo:che, avendole e seguendole sempre, sono dan-nose, ma, facendo mostra di averle, sono utili;come (è utile) apparire pietoso, leale, cordiale,onesto, religioso, ed essere davvero così; madisporsi con l’animo in modo che (stare inmodo edificato con lo animo che), quando ser-va non essere più così, tu possa e sappia diven-tare l’opposto (spietato, superbo, sleale, diso-nesto, empio)’.23. hassi... religione: ‘si deve capire (hassi aintendere) questo, che un principe e soprattut-to (massime) un principe nuovo non può segui-re (osservare) tutti quei comportamenti per iquali gli uomini sono giudicati (chiamati) buoni,essendo spesso costretto, per conservare loStato, ad agire contro la parola data, contro lacarità, contro l’umanità, contro la religione’.24. E però... necessitato: ‘E perciò (però)bisogna che egli abbia un animo disposto amutare, a seconda di quanto gli impongono i

venti della sorte e la variazione dello stato dicose; e, come ho detto sopra, (bisogna) cheegli non si allontani dal bene, se può, ma chesappia scegliere il male, se costretto’.25. e non è... qualità: ‘e non c’è cosa piùnecessaria che sembrare di avere quest’ultimaqualità (la religione)’.26. li uomini... mani: ‘gli uomini in generale (inuniversali) giudicano più secondo l’apparenzache la realtà’; letteralmente: ‘giudicano senzatoccare con mano, limitandosi a guardare’.27. perché tocca... al fine: ‘perché a tutti èdato vedere, solo a pochi percepire da vicino(sentire): ognuno vede come appari, pochi toc-cano con mano (sentono) come tu sei davvero;e quei pochi non osano opporsi all’opinione deimolti che abbiano dalla loro (che gli difenda)l’autorevolezza dello Stato; e nelle azioni di tut-ti gli uomini, e soprattutto dei principi, contro iquali non c’è un tribunale contro cui reclama-re, si bada al risultato (si guarda al fine)’.

28. Facci... laudati: ‘Il principe dunque facciain modo di prevalere e conservare lo Stato: imezzi sempre saranno giudicati encomiabili eda ciascuno saranno lodati’.29. perché... cosa: ‘perché il popolo sciocco(vulgo) viene attirato (ne va preso) con le appa-renze (quello che pare) e con il risultato effetti-vo (lo evento della cosa)’.30. e nel mondo... appoggiarsi: ‘e al mondonon c’è che popolo sciocco (vulgo), i pochi(sottinteso: che capiscono qualcosa) non han-no spazio quando la maggioranza ha una soli-da base (l’autorità del principe)’.31. il quale... nominare: ‘che non è il caso dinominare. Probabilmente si allude al re di Spa-gna Ferdinando il Cattolico (1452-1516).32. e l’una... stato: ‘e l’una e l’altra (pace eparola data), se egli le avesse messe in pratica,lo avrebbero privato del suo prestigio e del suoStato’.

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Lettura guidataL’ALLEGORIA DEL CENTAURO In questo capitolotrova spazio uno dei concetti centrali del Principe: l’e-

mancipazione della politica dalla sfera morale, chegià era stata proclamata nel capitolo XV [uT97]. Il

nuovo punto di vista proposto da Machiavelli va ad ab-battere una lunga tradizione di riflessione sul potereche aveva idealizzato il principe, facendone un model-lo di virtù. Machiavelli contrappone a questa tradizio-ne quella che si potrebbe chiamare la pedagogia del

centauro, la mitica creatura dalla natura umana e in-

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sieme animale: per metà uomo e per metà cavallo (dal-la cintola in giù). Con un’ardita interpretazione alle-gorica del mito classico, l’autore sostiene infatti chegli antichi avessero attribuito ad Achille il centauroChirone come maestro per un motivo ben preciso: per-ché il principe perfetto è quello che sa usare insiemela natura umana, morale, e la natura ferina, immorale.Il principe perfetto è colui che sa «bene usare la be-stia e lo uomo» (r. 10). Il presupposto di questa teo-ria, naturalmente, è quell’antropologia negativa chericorre di continuo nel Principe: il male infatti, secon-do Machiavelli, è connaturato alla natura umana; se ilprincipe non lo sa usare a proprio vantaggio, il suo re-gno e tutti i sudditi con lui sono destinati alla rovina.

VOLPE E LEONE L’allegoria del potere politicoproposta da Machiavelli non si esaurisce con l’im-magine del centauro. Se l’uomo deve essere anchebestia, occorre poi specificare quali siano le bestieche il principe dovrà prendere a modello. E questebestie sono la volpe e il leone, che, sotto forma dimetonimia, stanno per l’astuzia e la forza. Machia-velli insiste sul fatto che il principe deve possede-re simultaneamente queste due doti, perché ciascu-na delle due, di per sé, non basta a garantire la con-servazione del potere. Con la forza, infatti, e noncon l’astuzia, si abbattono i nemici violenti (i lupi);con l’astuzia, viceversa, e non con la forza, si aggi-rano le trappole (i lacci). Come l’astuzia da sola nonè sufficiente, così non lo è neppure la forza.

IL PROBLEMA DELLA PAROLA DATA Il problemaa partire dal quale Machiavelli svolge queste rifles-sioni è l’opportunità che il principe tenga o nontenga fede alla parola data. Come si vede, Machia-velli indica qui la necessità di usare l’astuzia (la vol-pe): se le circostanze consentono di mantenere lepromesse, nulla osta alla fede del principe; ma se,mantenendo la parola data, il principe corre ilrischio di perdere il potere, ecco che allora diventanecessario violare la fede. La fede però va violatacon astuzia, adducendo ragioni plausibili, con lequali la trasgressione dovrà apparire meno grave oaddirittura legittima (Machiavelli usa in propositol’efficace immagine «colorire la inosservanzia», rr.24-25, cioè coprire la trasgressione con una manodi colore, ossia con una parvenza legittima).

ALESSANDRO VI Una perfetta applicazione del mo-dello proposto viene indicata in papa Alessandro VI,quel Rodrigo Borgia che già era stato lodato nel capi-tolo VII [uT96]. L’autonomia dalla morale, propriadel progetto politico, non può prescindere, infatti,dalla morale e dal senso comune dei sudditi. Nel mo-mento in cui si viene meno alle proprie promesse, ènel contempo necessario dare l’impressione di esseresempre nel giusto. Capiamo quindi per quale ragione,in quello stesso capitolo VII, Machiavelli lodi tantoanche il figlio di Alessandro VI, il duca Valentino, perla sua capacità di trasgredire la parola data al momen-to opportuno: per rafforzare il suo regno, il figlio delpapa, non a caso, aveva tradito il proprio braccio de-stro Rimirro de Orco; e aveva finto di riconciliarsi coisuoi nemici Orsini, per poi trucidarli. Per il Valentino,secondo Machiavelli, non ci poteva essere altra stra-da in vista della conservazione del suo Stato. L’«en-trare nel male» del principe è condizione necessariaper il bene dello Stato e per la pubblica utilità.

UNA CONCEZIONE TRAGICA DELLA NATURA

UMANA “Il fine giustifica i mezzi”: è questa la for-mula cinica, nata in ambito gesuitico, con la quale ilpensiero di Machiavelli è stato banalizzato dai suoidetrattori o, viceversa, fatto proprio dai suoi segre-ti ammiratori. A questa formulazione, tanto famige-rata quanto impropria, sfugge però la concezionetragica dell’uomo sopra la quale poggia la teoria po-litica di Machiavelli, secondo il quale fare il bene èimpossibile in un mondo dove tutti gli uomini sonotristi (malvagi) e dove conservare la parola data ècontroproducente, perché nessuno è in grado di te-ner fede alle proprie promesse. Machiavelli non hamai detto che il fine giustifichi alcunché: semmai, aisuoi occhi, la condizione umana impone determina-ti mezzi che, se non hanno giustificazione morale,quanto meno ne hanno una politica. Si aggiunga poila forte carica ideale che Machiavelli attribuisce al-l’agire politico e alla figura del principe, proteso asoddisfare i suoi sudditi non solo con le apparenze(«quello che pare», r. 59), ma anche e soprattuttocon il buon governo effettivo («lo evento della co-sa», r. 59). Carichi di questo slancio ideale sono inmodo particolare gli ultimi capitoli del trattato, e inispecie il XXVI [uT100].

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Virtù contro fortuna

Il Principe, cap. XXV

Negli ultimi tre capitoli del trattato (XXIV-XXVI) Machiavelli deplora lo stato della penisola ita-liana, in balìa delle potenze straniere e resa instabile dai continui rovesci di fortuna. Nel cap.XXV leggiamo in particolare una grande riflessione sul potere della fortuna. Al potere della sor-te, per quanto esteso esso sia, Machiavelli sostiene che non è impossibile resistere. Anche sespesso la virtù è destinata a soccombere (esemplare, in proposito, la vicenda del Valentino),esistono tuttavia alcune strategie che permettono al principe di giocare d’anticipo contro ilpotere distruttivo della sorte.

Quantum fortuna in rebus humanis possit, et quomodo illi sit occurrendum1

E’ non mi è incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mon-do sieno in modo governate, da la fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenza lo-ro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potreb-bono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare al-la sorte2. Questa opinione è suta più creduta ne’ nostri tempi per le variazione gran-de delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dì, fuora di ogni umana coniettura3. Ache pensando io qualche volta, mi sono in qualche parte inclinato nella opinione lo-ro4. Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere esse-re vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei nelasci governare l’altra metà, o presso, a noi5. E assimiglio quella a uno di questi fiu-mi rovinosi che, quando si adirano, allagano e’ piani, rovinano li arbori e li edifizi,

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comprensione

1. Riscrivi in italiano contemporaneo i capoversi 5, 6 e7 del brano che hai letto.

interpretazione

2. Indica con parole tue le qualità che secondo il giudi-zio di Machiavelli devono essere proprie del principe, e

il modo e i contesti in cui debbano essere impiegate.

contestualizzazione

3. Leggi (o rileggi) il cap. VII [uT96] e spiega in chemodo i princìpi dell’agire politico enunciati nel capito-lo XVIII trovano una loro manifestazione esemplare nel-l’operato politico del duca Valentino.

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1. Quantum... occurrendum: ‘Quanto grandesia il potere della fortuna nelle vicende umanee in che modo le si possa resistere’.2. E’ non mi è... sorte: ‘Non mi è ignoto (inco-gnito) che molti hanno ritenuto e tuttora riten-gono che le cose del mondo siano dispostedalla fortuna e da Dio in modo tale (in modogovernate), che gli uomini non possono modifi-carle (correggerle) con la loro accortezza (pru-denza), anzi non dispongano di alcun rimedio:e per questo potrebbero credere (potrebbonoiudicare) che non sia il caso di affannarsi moltonell’azione (insudare molto nelle cose), ma (chesia meglio) lasciarsi guidare dalla (governarealla) sorte’.3. Questa... coniettura: ‘Questa opinione è

stata quella più ascoltata (più creduta) neinostri tempi a causa dei grandi mutamenti poli-tici (le variazione grande delle cose) che si sonovisti e continuano a vedersi ogni giorno, al di làdi ogni previsione umana’. Machiavelli alludeall’instabilissima situazione politica dei diversiStati presenti nell’Italia del Cinquecento, dicontinuo contesi dalla Francia e dalla Spagna aseguito della discesa del re di Francia Carlo VIII(1494).4. A che pensando... loro: ‘E io, riflettendo suquesto, talora mi sono in qualche modo acco-stato all’opinione di costoro’ (la posizione deifatalisti). Si ricordi del resto che fu proprio unimprovviso rovescio di fortuna a far cadere laRepubblica a Firenze e a ridare il potere ai

Medici, privando Machiavelli del proprio ruoloaccanto a Pier Soderini (1512).5. Nondimanco... a noi: ‘Tuttavia, affinché nonsia dichiarata nulla (non sia spento) la nostralibertà d’azione, credo che possa essere veroche la fortuna stabilisca il corso di metà dellenostre azioni, ma che lei pure (etiam, congiun-zione latina) lasci governare a noi (uomini) l’al-tra metà, o quasi’. Si noti come Dio, che pocosopra era stato evocato accanto alla fortuna,sia ora sparito: l’unica forza è la fortuna. Si notiinoltre che viene usata un’espressione di origi-ne cristiana come libero arbitrio non nel signi-ficato di libertà di scelta fra bene e male, macome sinonimo di possibilità d’intervento sullarealtà politica.

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lievano da questa parte terreno, pongono da quella altra6: ciascuno fugge loro dinan-zi, ognuno cede all’impeto loro sanza potervi in alcuna parte ostare7. E, benché sie-no così fatti, non resta però che gli uomini, quando sono tempi queti, non vi potes-sino fare provedimento e con ripari e con argini: in modo che, crescendo poi, o egli-no andrebbono per uno canale o l’impeto loro non sarebbe né sì dannoso né sì licen-zioso8. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenza dovenon è ordinata virtù a resisterle: e quivi volta e’ sua impeti, dove la sa che non sonofatti gli argini né e’ ripari a tenerla9. E se voi considerrete la Italia, che è la sedia diqueste variazioni e quella che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna san-za argini e sanza alcuno riparo: che, s’ella fussi riparata da conveniente virtù, comeè la Magna, la Spagna e la Francia, o questa piena non arebbe fatto le variazioni gran-de che la ha, o la non ci sarebbe venuta10. E questo voglio basti aver detto, quanto al-lo opporsi alla fortuna, in universali11.

Ma ristringendomi più a’ particulari, dico come si vede oggi questo principe feli-citare e domani ruinare, sanza avergli veduto mutare natura o qualità alcuna; il checredo che nasca, prima, da le cagioni che si sono lungamente per lo addreto discor-se12: cioè che quel principe, che si appoggia tutto in su la fortuna, rovina come quel-la varia13. Credo ancora che sia felice quello che riscontra il modo del procedere suocon la qualità de’ tempi: e similmente sia infelice quello che con il procedere suo sidiscordano e’ tempi14. Perché si vede gli uomini, nelle cose che gli conducono alfine quale ciascuno ha innanzi, cioè gloria e ricchezze, procedervi variamente: l’u-no con rispetto, l’altro con impeto; l’uno per violenzia, l’altro con arte; l’uno conpazienza, l’altro col suo contrario; e ciascuno con questi diversi modi vi può per-venire15. E vedesi ancora dua respettivi, l’uno pervenire al suo disegno, l’altro no;e similmente dua equalmente felicitare con diversi studi, sendo l’uno rispettivo el’altro impetuoso: il che non nasce da altro, se non da la qualità de’ tempi che siconformano, o no, col procedere loro16. Di qui nasce quello ho detto, che dua, diver-samente operando, sortiscono el medesimo effetto: e dua equalmente operando, l’u-no si conduce al suo fine e l’altro no17. Da questo ancora depende la variazione del

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6. E assimiglio quella... altra: ‘E paragonoquella (la fortuna) a uno di questi fiumi impe-tuosi (rovinosi) che, quando sono rabbiosi(metafora per indicare la piena), allagano lepianure (e’ piani), abbattono (rovinano) gli albe-ri e le case, asportano il terreno da una parte,lo ammucchiano in un’altra’.7. ostare: ‘opporre resistenza’.8. E, benché... sì licenzioso: ‘E, benché sianofatti così (i fiumi), nulla vieta però che (non restaperò che) gli uomini, col bel tempo (tempi que-ti), non possano adottare provvedimenti conbarriere e con argini: in modo che, quando poiingrossano, o confluiscano in un canale oppureil loro impeto non sia tanto dannoso e sfrenato’.9. Similmente interviene... tenerla: ‘Ugual-mente accade con la fortuna, la quale dà pro-va del proprio potere dove non c’è capacitàpronta a resisterle: e indirizza (volta) i suoiassalti (impeti) là dove sa che non sono statifatti gli argini e i ripari per frenarla (tenerla)’.10. E se voi... venuta: ‘E se voi considererete(considerrete) l’Italia, la quale è sede di questicambiamenti, nonché la loro causa scatenante(quella che ha dato loro il moto), vedrete che es-sa è una campagna senza alcun argine o riparo;perché, se essa fosse stata riparata da una capa-

cità adeguata (conveniente), com’è il caso dellaGermania (Magna è abbreviazione di Alemagna),della Spagna e della Francia, o questa piena nonavrebbe causato i grandi mutamenti che ha cau-sato, oppure non sarebbe nemmeno venuta’. L’I-talia (come abbiamo già ricordato) era contesadalla Spagna e dalla Francia, due Stati dove, co-me nota Machiavelli, il potere centralizzato si eraaffermato prima che nella nostra penisola, divi-sa invece fra molteplici Stati e Staterelli.11. questo... in universali: ‘mi pare sufficienteaver detto queste cose in generale (in univer-sali) per quanto riguarda l’opporsi alla fortuna’.12. Ma... discorse: ‘Ma per entrare più nel detta-glio (a’ particulari) dico che (come) si vede unostesso principe (questo principe) oggi prospera-re (felicitare) e domani cadere in rovina, senzaavergli visto cambiare natura o qualità alcuna, eciò credo che abbia origine, in primo luogo (pri-ma) dalle cause che si sono in precedenza di-scusse’ (si allude ai capitoli VI: uT95 e VII: uT96).13. quel principe... varia: ‘quel principe che facompleto affidamento sulla fortuna cade inrovina non appena quella (la fortuna) muta’.14. Credo... tempi: ‘Credo anche (ancora) chesia prospero quel principe che fa corrisponde-re (riscontra) il suo modo di agire alla natura dei

tempi (con la qualità de’ tempi): e allo stesso mo-do (credo) che fallisca (sia infelice) quello al cuimodo di agire non si accordano i tempi’.15. Perché... pervenire: ‘Perché si vede che gliuomini si comportano in diversi modi (variamen-te) secondo le diverse operazioni necessarie araggiungere il fine che ciascuno si è prefissato(quale ciascuno ha innanzi): l’uno con prudenza(rispetto), l’altro con veemenza; l’uno per mezzodi violenza, l’altro per mezzo di astuzia; l’uno conpazienza, l’altro con impazienza; e ciascuno vipuò arrivare con questi diversi comportamenti’.16. E vedesi... loro: ‘E si vede anche che di dueuomini prudenti (respettivi) uno realizza il suoprogetto, l’altro no; e, allo stesso modo, chedue uomini hanno uguale successo (equalmen-te felicitare) con metodi (studi) diversi, essendol’uno prudente (rispettivo) e l’altro impulsivo(impetuoso): e ciò non deriva da altro se nondalla natura dei tempi, i quali sono più o menoconformi al loro modo di agire’.17. Di qui... l’altro no: ‘Da ciò consegue quel-lo che ho detto, cioè che due individui, agendoin modo diverso, ottengono (sortiscono) lostesso effetto: e di due, che agiscono allo stes-so modo (equalmente), uno raggiunge il suoobiettivo (si conduce al suo fine) e l’altro no’.

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bene18; perché se uno, che si governa con rispetti e pazienza, e’ tempi e le cose gira-no in modo che il governo suo sia buono, e’ viene felicitando: ma se e’ tempi e le cosesi mutano, rovina, perché e’ non muta modo di procedere19. Né si truova uomo sì pru-dente che si sappia accommodare a questo20: sì perché non si può deviare da quello ache la natura lo inclina, sì etiam perché, avendo sempre uno prosperato camminandoper una via, non si può persuadere che sia bene partirsi da quella21. E però l’uomorespettivo, quando e’ gli è tempo di venire allo impeto, non lo sa fare: donde e’ rovi-na; che se si mutassi natura con e’ tempi e con le cose, non si muterebbe fortuna22.

Papa Iulio II23 procedé in ogni sua azione impetuosamente, e trovò tanto e’ tem-pi e le cose conforme a quello suo modo di procedere che sempre sortì felice fine24.Considerate la prima impresa ch’e’ fe’ di Bologna, vivendo ancora messer Giovan-ni Bentivogli25. Viniziani non se ne contentavano; el re di Spagna, quel medesimo;con Francia aveva ragionamenti di tale impresa26. E lui nondimanco con la sua fero-cità e impeto si mosse personalmente a quella espedizione27. La qual mossa fece sta-re sospesi e fermi Spagna e viniziani, quegli per paura e quell’altro per il desiderioaveva di recuperare tutto el regno di Napoli28; e da l’altro canto si tirò dietro il redi Francia perché, vedutolo quel re mosso e desiderando farselo amico per abbas-sare e’ viniziani, iudicò non poterli negare gli eserciti sua sanza iniuriarlo manife-stamente29. Condusse adunque Iulio con la sua mossa impetuosa quello che maialtro pontefice, con tutta la umana prudenza, arebbe condotto30. Perché, se egliaspettava di partirsi da Roma con le conclusioni ferme e tutte le cose ordinate, comequalunque altro pontefice arebbe fatto, mai gli riusciva: perché il re di Francia aeb-be avuto mille scuse e li altri li arebbono messo mille paure31. Io voglio lasciare sta-re le altre sua azioni, che tutte sono state simili e tutte gli sono successe32 bene: ela brevità della vita non li ha lasciato sentire il contrario33; perché, se fussinosopravvenuti tempi che fussi bisognato procedere con respetti, ne seguiva la suarovina: né mai arebbe deviato da quegli modi alli quali la natura lo inclinava34.

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18. Da questo... bene: ‘Da questo dipendeanche (ancora) il tramutarsi del bene (in male)’.Ma si può intendere anche ‘la relatività delcomportamento giusto’, ovvero il fatto che nonesiste un comportamento valido per tutte lesituazioni.19. perché... procedere: ‘perché uno che sicomporta con cautela e pazienza, se i tempi ele circostanze si volgono in modo che il suocomportamento sia valido, continua a prospe-rare: ma se i tempi e le circostanze cambiano,egli cade in rovina, perché non cambia il suocomportamento (modo di procedere)’.20. si sappia accommodare a questo: ‘sap-pia adattarsi a questo cambiamento’.21. sì perché... da quella: ‘sia perché non puòdeviare dalle inclinazioni che gli sono naturali,sia anche (etiam, congiunzione latina) perché,dopo che uno ha sempre avuto successo com-portandosi in un certo modo (camminando peruna via) non può convincersi che sia giustocomportarsi altrimenti (partirsi da quella,‘allontanarsi da quella via’)’.22. E però... fortuna: ‘E perciò (però) l’uomocauto (respettivo), quando è il momento diessere risoluti (venire allo impeto) non lo safare, per cui perde il potere (rovina); ma secambiasse natura col mutare dei tempi e deglieventi, la sua sorte non cambierebbe’.23. Papa Iulio II: Giuliano della Rovere (1443-

1513), papa dal 1503 al 1513 con il nome di Giu-lio II.24. e trovò... fine: ‘e trovò i tempi e le situazio-ni adatte a quel suo modo di procedere tantoche ottenne sempre un esito favorevole’.25. Considerate... Bentivogli: ‘Prendete inconsiderazione la prima impresa che fece aBologna, quando viveva ancora Giovanni Ben-tivoglio’. Nel 1506 il papa mosse guerra controBologna, signoria dei Bentivoglio.26. Viniziani... impresa: ‘I veneziani non neerano contenti; e il re di Spagna lo stesso (quelmedesimo, cioè non era soddisfatto); con laFrancia (il papa) stava trattando (aveva ragio-namenti) in merito a tale impresa’.27. E lui... espedizione: ‘Ma lui, nondimeno(nondimanco) con la sua fierezza (ferocità) e lasua impulsività (impeto) guidò personalmentequella spedizione’.28. La qual mossa... Napoli: ‘E questa risoluzio-ne rese incerti e bloccò gli spagnoli e i venezia-ni: i veneziani per il timore, il re di Spagna (Ferdi-nando il Cattolico) per il desiderio di recupera-re tutto il Regno di Napoli’. Il timore dei venezia-ni era quello di perdere i porti conquistati in Pu-glia nel 1494, porti che invece il re di Spagna vo-leva inglobare nel Regno di Napoli.29. e da l’altro canto... manifestamente: ‘e (ilpapa) d’altronde trascinò con sé il re di Francia(nell’impresa di Bologna), perché, quel re,

avendo visto che il papa aveva già cominciatol’impresa (vedutolo quel re mosso), e deside-rando averlo come alleato per diminuire lapotenza (per abbassare) dei veneziani, ritennedi non potergli negare i suoi eserciti senzaoffenderlo chiaramente (sanza iniuriarlo mani-festamente)’.30. Condusse... condotto: ‘Dunque Giulio conla sua mossa impulsiva portò a termine (Con-dusse) quello che nessun altro pontefice, contutta la prudenza umana, avrebbe mai portatoa termine (arebbe condotto)’.31. Perché... paure: ‘Perché, se egli avesseaspettato di muovere (con l’esercito) da Romacon le trattative (conclusioni) terminate e tutti ipiani fissati, come avrebbe fatto qualunquealtro pontefice, non gli sarebbe mai riuscita (laconquista di Bologna): perché il re di Franciaavrebbe addotto mille scuse e gli altri (Veneziae Spagna) gli avrebbero avanzato mille minac-cie (paure)’.32. gli sono successe: ‘gli sono andate’.33. sentire il contrario: ‘fare la prova di un esi-to contrario (negativo)’.34. perché... lo inclinava: ‘perché, se fosserosopraggiunti tempi in cui ci fosse stato bisognodi agire con prudenza, ne sarebbe seguita lasua rovina, perché mai egli avrebbe deviato daquei comportamenti ai quali la sua natura loinduceva (inclinava)’.

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Concludo adunque che, variando la fortuna e’ tempi e stando li uomini ne’ loromodi ostinati, sono felici mentre concordano insieme e, come e’ discordano, infeli-ci35. Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo: perchéla fortuna è donna ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla36. E sivede che la si lascia più vincere da questi, che da quegli che freddamente procedo-no37: e però sempre, come donna, è amica de’ giovani, perché sono meno respetti-vi, più feroci e con più audacia la comandano38.

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35. Concludo... infelici: ‘Poiché la fortunamuta i tempi e gli uomini restano ostinati neiloro comportamenti, concludo dunque che (gliuomini) hanno successo (sono felici) fin tantoche (mentre) si adeguano ai tempi, ma fallisco-no (sono... infelici) appena sono in contrasto(coi tempi)’.

36. Io iudico... urtarla: ‘Nonostante tutto pen-so che sia sicuramente meglio essere impetuo-so che prudente, perché la fortuna è donna edè quindi necessario, per sottometterla, pic-chiarla e farle violenza’.37. E si vede... procedono: ‘E si può vedereche si lascia sottomettere più da questi (gli

impetuosi) che non da quelli che agiscono confreddezza (con prudenza)’.38. e però... comandano: ‘E perciò, in quantodonna, (la fortuna) è sempre amica dei giovani,perché sono meno prudenti, più aggressivi(feroci), e con più audacia le impongono ordi-ni’.

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Lettura guidataMETÀ ALL’UOMO E METÀ ALLA FORTUNA Nelleprime righe del capitolo Machiavelli prende in con-siderazione l’ipotesi di coloro che ritengono la for-tuna padrona assoluta delle vicende umane, negan-do che l’uomo abbia la benché minima facoltà d’in-tervento. L’autore stesso ammette di essersi taloraaccostato a questa posizione (a un terribile rove-scio di fortuna, del resto, egli doveva la fine dellasua carriera politica). Subito dopo, però, questa pri-ma ipotesi viene negata e sostituita con un’altra:una metà degli eventi è in mano alla fortuna, maun’altra metà, o pressappoco, viene messa in mano

alla virtù dell’uomo. Per spiegare in che modo que-sto sia possibile, Machiavelli ricorre all’immaginedel fiume: quando il fiume è in piena, è vero che lasua forza devastatrice non si può arginare; vero èanche però che prima della piena l’uomo puòcostruire argini e predisporre altri ripari in modo daneutralizzare la violenza dell’acqua. Allo stessomodo anche la virtù dell’uomo, secondo Machiavel-li, può arginare il potere devastante della fortunaprima che si manifesti: prevedendo i rischi e calco-lando in anticipo i rimedi possibili.

FORTUNA E CARATTERE: IL «RISCONTRO» Dopoquesta enunciazione generale, Machiavelli entra nel-lo specifico distinguendo fra i vari tipi di carattereche gli uomini presentano di fronte agli eventi, insi-stendo soprattutto su due diverse indoli: quella cal-da, impetuosa e risoluta da una parte; e quella fred-

da, prudente e respettiva (cauta) dall’altra. SecondoMachiavelli la possibilità di successo di un principa-to dipende da una ben precisa corrispondenza, o«riscontro», fra l’indole del principe e la natura

delle circostanze in cui il principe si trova ad agire.Se gli eventi si adattano a una gestione del poterecauta e guardinga, allora avrà successo un principerespettivo. Ma se gli eventi chiedono una gestione ri-soluta, sarà invece il principe impetuoso a prevale-re. La tragica conseguenza di questa teoria del ri-scontro è che, se un principe si trova ad affrontareuna situazione che gli impone di comportarsi diver-samente da come ha fatto fino a quel punto, difficil-mente farà violenza a sé stesso, comportandosi daimpetuoso anziché da respettivo o viceversa. A que-sta contraddizione Machiavelli non trova rimedio.Semplicemente, si limita a constatare la felice corri-spondenza fra il carattere di Giulio II e le circostan-ze tra le quali egli si trovò a esercitare il proprio po-tere: una coincidenza che permise al papa di averlasempre vinta sui propri avversari, messi in scaccodall’imprevedibilità delle sue manovre. Sennonché,si chiede Machiavelli, cosa sarebbe successo se Giu-lio II avesse dovuto fronteggiare una situazione cheavesse richiesto una gestione cauta, fredda e respet-tiva?

INVITO ALL’AUDACIA A questa domanda non sem-bra esserci risposta. E tuttavia alla fine del capitoloMachiavelli vira bruscamente verso una soluzionepossibile. Pur sapendo che un comportamento sem-pre valido non esiste, l’autore privilegia una gestio-

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Giorgio Inglese: virtù e fortuna nel Principe

Giorgio Inglese, Introduzione a Niccolò Machiavelli, Il Principe

Giorgio Inglese (nato nel 1956) è autore dell’ultima edizione critica del Principe, quella che ab-biamo usato in questa antologia. In un saggio complessivo sul capolavoro di Machiavelli, pub-blicato ora anche come introduzione a un’edizione tascabile del trattato, Inglese riflette su untema cruciale: il rapporto fra virtù e fortuna e la legge del riscontro (o corrispondenza) fra l’indo-le del principe e la natura dei tempi. Ne riportiamo qui di seguito un breve passo.

Pur nel caldo tono esortativo – che spiegabilmente accentua i segni del favore divinoper i Medici – Machiavelli non manca di sottolineare che la redenzione sarà opera divirtù e sarà opera umana. «Dio non vuole fare ogni cosa»: ha dato il segno, ma «el ri-manente dovete fare voi». La redenzione «non fia molto difficile, se vi recherete innan-zi le azioni e vita de’ sopra nominati». Non vi potrà essere grande difficoltà, «pure chequella [Casa] pigli delli ordini di coloro che io ho preposti per mira»1. Come nel VI, co-sì nel XXVI, il motivo della «occasione» si colora di provvidenzialismo, perché tendea trascorrere in una idea della storia per cui il negativo, la rovina, la distruzione – inquanto premessa necessaria del positivo, dello stato, della potenza – vengano alla fi-ne compresi e razionalmente dominati. Simbolo di questa esigenza concettuale è Dio.Ma «Dio non vuole fare ogni cosa»: tra la rovina e la redenzione, sta l’ardua prova del-la virtù, che può riuscire o fallire («se vi recherete innanzi [...] pure che quella pigli»);e allora tra rovina e redenzione, tra negativo e positivo, ogni necessità si scioglie, e ciritroviamo in una storia di conflitto assoluto, dall’esito non predeterminabile.

Se si volesse ricondurre tutto il pensiero machiavelliano a un motivo generatoree onnipresente, bisognerebbe meditare proprio su questo confronto con il momentooscuro e negativo della storia. Quel che resiste alla interpretazione razionale degli ac-

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ne audace e veemente del potere, facendo leva sul-la motivazione che «la fortuna è donna» e che, diconseguenza, essa vada trattata come una donna vo-lubile e capricciosa: vale a dire con la violenza fisicae con l’impeto brutale che è proprio dei giovani, dai

quali ogni donna, secondo Machiavelli, preferisceessere comandata piuttosto che dai vecchi. Allostesso modo, in linea di massima, anche un principeimpetuoso si conquisterà i favori della fortuna più fa-cilmente che un principe respettivo.

comprensione

1. Rappresenta in forma di schema il procedere argo-mentativo dello scrittore: dalla premessa alla conclusio-ne. Ricorda di evidenziare gli esempi, le obiezioni, tuttele strategie che l’autore mette in opera per sostenerela propria tesi.2. Riassumi il capitolo a diversi livelli di sintesi: prima in100 parole circa e poi in 50 circa.

analisi e interpretazione

3. Due similitudini principali sorreggono il presente

capitolo: individuale e spiega il loro significato usandocirca 200 parole.

contestualizzazione

4. Confronta questo capitolo con quelli che hai lettoprecedentemente e prova a individuare il lessico ricor-rente nel Principe: verifica poi se le espressioni cheavrai individuato sono ancora presenti nell’italiano con-temporaneo oppure no, e qualora lo siano, se l’accezio-ne in cui sono usate si è conservata nell’italiano con-temporaneo oppure no.

Esercizi

1. Dio non vuole... preposti per mira: citazioni tratte dal cap. XXVI [uT100].

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cadimenti, e perciò resiste allo sforzo di previsione, è «fortuna». Il lavoro dell’inter-pretazione è tutto rivolto a superare questa resistenza, a cancellare il margine irra-zionale-imprevedibile della «fortuna» (la malattia del Valentino, per esempio). Nel-l’interpretazione della rovina d’Italia, Machiavelli ha toccato la soglia della integra-le razionalizzazione («questi nostri principi [...] non accusino la fortuna»), ma subitoha dovuto restituire al quadro un fattore di rischio, che la previsione deve considera-re ma non può dissolvere: «perché, non avendo mai ne’ tempi quieti pensato ch’e’possono mutarsi»2. L’interpretazione-previsione non può eliminare il rischio: la sus-sistenza irriducibile del quale deve essere ragionata come “calcolo” del massimo pe-ricolo3 (e, quindi, della migliore attrezzatura: «fare provedimento e con ripari e conargini»). Questa ineliminabile insicurezza fa, dell’agire, un agire politico in senso pro-prio; da essa – come si è visto – e non da altro, nasce la necessità della forza e dellafrode («perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, con-viene che ruini in fra tanti che non sono buoni», XV, 5).

Nel capitolo XXV, l’esame dei limiti imposti all’agire conosce il massimo del rigo-re: «In universali», esso è consegnato all’attesa di un «fiume rovinoso» la cui potenzasfugge a ogni misura: quanto al «particulare», gli individui che agiscono politicamen-te sono vincolati a caratteristiche di comportamento (in ultima analisi: scatto e pru-denza, «impeto» e «respetto») il cui riscontro positivo con la necessità del momento –la «qualità dei tempi», che richiede l’impiego dell’uno o dell’altro «modo» – è affattocasuale. È come se, di là dai suoi già riconosciuti lineamenti costituzionali [...], l’agi-re politico rispondesse a una doppia velocità, a un duplice principio operativo (azio-ne risolutiva/azione logoratrice: Scipione/Fabio4); e in questa determinazione estre-ma riflettesse tuttavia la «naturale» predisposizione alla cautela o all’audacia dell’in-dividuo che di caso in caso è investito di comando, non già il risultato di una sceltarazionale conseguente all’esame della realtà. Si intende che per Machiavelli la crisiitaliana esige impeto, non respetto; ma sarebbe vano consigliare «impeto» a un «re-spettivo» e viceversa. «Infine, non consiglar persona né piglar consiglo da persona,excepto un consiglo generale: che ognun facci quello che li detta l’animo et con au-dacia», aveva scritto nel 1506, in margine ai Ghiribizi al Soderino.

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2. questi nostri principi... possono mutarsi:

queste citazioni sono tratte dal cap. XXIV, il pri-mo dei tre capitoli conclusivi, non riportato nel-la nostra antologia.3. la sussistenza... pericolo: ‘la permanenzaineliminabile del quale (rischio) deve essere

concepita (dal principe) come un calcolo delmassimo pericolo’.4. Scipione/Fabio: allude a due eroi della sto-ria romana, campioni, rispettivamente, di riso-lutezza e di cautela nell’azione: Publio CornelioScipione Africano (235-183 a.C.), vincitore di

Annibale a Zama (202) e Quinto Fabio Massimo(275-203 a. C.), il quale si era opposto ad Anni-bale eludendo il confronto diretto; per questofu soprannominato il Temporeggiatore.

Esortazione a liberare l’Italia

Il Principe, cap. XXVI

Dopo che nei precedenti 25 capitoli ha analizzato in una luce razionale e obiettiva la forma digoverno monarchica, nell’ultimo capitolo Machiavelli adotta uno stile appassionato e profeti-co. Esortandolo a mettere in pratica i consigli dispensati nel trattato, Machiavelli si rivolge oraal suo destinatario Lorenzo de’ Medici (nipote di Lorenzo il Magnifico) affinché si metta a capodegli Stati italiani e ponga fine alla dominazione straniera sull’Italia cominciata vent’anni pri-ma, con la discesa di Carlo VIII (1494).

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Exhortatio ad capessendam italiam in libertatemque a barbaris vindicandam1

Considerato adunque tutte le cose di sopra discorse, e pensando meco medesimo seal presente in Italia correvano tempi da onorare uno nuovo principe, e se ci era ma-teria che dessi occasione a uno prudente e virtuoso d’introdurvi forma che facessionore a lui e bene alla università delli uomini di quella, mi pare concorrino tante co-se in benefizio di uno principe nuovo, che io non so qual mai tempo fussi più atto aquesto2. E se, come io dissi, era necessario, volendo vedere la virtù di Moisè, che ilpopulo d’Isdrael fussi stiavo in Egitto; e a conoscere la grandezza dello animo di Ci-ro, che e’ persi fussino oppressati da’ medi; e la eccellenza di Teseo, che li ateniesi fus-sino dispersi; così al presente, volendo conoscere la virtù di uno spirito italiano, eranecessario che la Italia si riducessi ne’ termini presenti, e che la fussi più stiava che liebrei, più serva che ’ persi, più dispersa che gli ateniesi: sanza capo, sanza ordine, bat-tuta, spogliata, lacera, corsa, e avessi sopportato d’ogni sorte ruina3.

E benché insino a qui si sia mostro qualche spiraculo in qualcuno, da potere iudi-care ch’e’ fussi ordinato da Dio per sua redenzione, tamen si è visto come di poi,nel più alto corso delle azioni sua, è stato da la fortuna reprobato4. In modo che,rimasa come sanza vita, aspetta quale possa essere quello che sani le sua ferite eponga fine a’ sacchi di Lombardia, alle taglie del Reame e di Toscana, e la guariscada quelle sue piaghe già per lungo tempo infistolite5. Vedesi come la priega Iddioche li mandi qualcuno che la redima da queste crudeltà ed insolenze barbare6. Vede-si ancora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera, pur che ci sia uno che lapigli. Né ci si vede al presente in quale lei possa più sperare che nella illustre Casavostra, la quale con la sua fortuna e virtù, favorita da Dio e da la Chiesa, della qua-le è ora principe, possa farsi capo di questa redenzione7. Il che non fia molto dif-ficile, se vi recherete innanzi le azioni e vita de’ sopra nominati8; e benché quelliuomini sieno rari e meravigliosi, nondimeno furno uomini, ed ebbe ciascuno diloro minore occasione che la presente9: perché la impresa loro non fu più iusta diquesta, né più facile, né fu Dio più amico loro che a voi. Qui è iustizia grande:

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1. Exhortatio... vindicandam: ‘Esortazione adifendere l’Italia e liberarla dai barbari’. I barba-ri sono ovviamente le potenze straniere: Spa-gna e Francia.2. Considerato... a questo: ‘Considerati dun-que tutti gli argomenti appena trattati (di sopradiscorse), e chiedendomi (pensando meco me-desimo) se al presente in Italia non ci siano lecondizioni (correvano tempi) che permettano aun principe nuovo di guadagnarsi l’onore (daonorare uno nuovo principe), e (chiedendomi) senon ci siano le premesse tali da dare (se ci eramateria che dessi) a un principe accorto e capa-ce l’occasione di introdurre in Italia una nuovaforma politica, che a lui procuri onore e (faccia il)bene di tutti gli italiani (università delli uomini diquella), mi sembra che concorrano a favore (inbenefizio) di un principe nuovo tante circostan-ze, che io non so quale mai altro momento stori-co sia stato più propizio (atto) a questo (scopo)’.3. E se... ruina: ‘E se, come io dissi (nel cap. VI:uT95), affinché si manifestasse la capacità poli-tica (volendo vedere la virtù) di Mosè, eranecessario che il popolo di Israele fosse schia-vo in Egitto; e per conoscere la magnanimità diCiro, (era necessario) che i Persiani fosserooppressi dai Medi; e (per conoscere) l’eccellen-

za di Teseo, (era necessario) che gli Ateniesifossero politicamente divisi; così nel momentopresente, affinché si riconosca la capacità poli-tica di un spirito italiano, era necessario che l’I-talia si riducesse nelle (misere) condizioniattuali, e che essa fosse più schiava degli ebrei,più serva dei Persiani e più divisa degli Atenie-si; senza un capo, senza un ordinamento, per-cossa (battuta), saccheggiata, lacerata, attra-versata da eserciti stranieri (corsa, letteral-mente: ‘percorsa’), e avesse sopportato ognisorta di sciagura (d’ogni sorte ruina)’.4. E benché... reprobato: ‘E sebbene sino aquesto punto si sia mostrato (mostro) in qual-cuno un qualche barlume (spiraculo, spiragliodal quale filtra il barlume) tale da indurre a cre-dere che egli fosse stato destinato (ordinato)da Dio per la salvezza (redenzione) dell’Italia(sua), tuttavia (tamen, congiunzione latina) si èvisto come in seguito, all’apice delle sue impre-se, sia stata respinto (reprobato, latinismo) dal-la fortuna’. Quest’uomo della Provvidenza è ilduca Valentino (cfr. cap. VII: uT96).5. In modo... infistolite: ‘Cosicché (l’Italia),rimasta (rimasa) quasi senza vita, aspetta chipossa essere l’uomo che curi (sani) le sue feri-te e ponga fine ai saccheggi in Lombardia, alle

tasse (taglie, per il loro peso elevato) imposteal regno di Napoli (il “Reame” per antonomasia)e alla Toscana, e la guarisca da quelle piaghegià da lungo tempo incancrenite (infistolite)’.6. Vedesi... barbare: ‘Si vede bene che essaprega Dio (la priega Iddio) che le mandi qualcu-no che la salvi da queste crudeltà e da questeoffese dovute a stranieri’.7. Né ci si vede... redenzione: ‘E al presentenon si vede qui (ci, in Italia) in quale famigliaessa (lei, l’Italia) possa sperare più che nellavostra illustre famiglia (la casata dei Medici), laquale con la sua fortuna e la sua capacità, favo-rita da Dio e dalla Chiesa, della quale ora è acapo (nel momento in cui Machiavelli scrisse IlPrincipe, nel 1513, era appena stato eletto pon-tefice Giovanni de’ Medici, papa Leone X), pos-sa capeggiare questa riscossa (redenzione)’.8. Il che... nominati: ‘E questo non sarà (fia)molto difficile, se terrete a mente le azioni e lavita di coloro che ho appena nominati (Mosè,Ciro, Teseo)’.9. e benché... presente: ‘e benché quegliuomini siano rari e tali da destare meraviglia,nondimeno furono uomini anche loro, e ciascu-no di loro ebbe un’occasione meno favorevole(minore) della presente’.

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iustum enim est bellum quibus necessarium et pia arma ubi nulla nisi in armis spesest10. Qui è disposizione grandissima: né può essere, dove è grande disposizione,grande difficultà, pure che quella pigli delli ordini di coloro che io ho preposti permira11. Oltre a di questo, qui si veggono estraordinari sanza esemplo, condotti daDio: el mare si è aperto; una nube vi ha scorto il cammino; la pietra ha versatoacque; qui è piovuto la manna12. Ogni cosa è concorsa nella vostra grandezza13. Elrimanente dovete fare voi: Dio non vuole fare ogni cosa, per non ci tòrre el liberoarbitrio14 e parte di quella gloria che tocca a noi.

E non è maraviglia se alcuno de’ prenominati italiani non ha possuto fare quel-lo che si può sperare facci la illustre Casa vostra, e se, in tante revoluzioni di Italiae in tanti maneggi di guerra, e’ pare sempre che in Italia la virtù militare sia spen-ta; perché questo nasce che gli ordini antichi di quella non erono buoni, e non ci èsuto alcuno che abbia saputo trovare de’ nuovi15. E veruna cosa fa tanto onore auno uomo che di nuovo surga, quanto fa le nuove legge ed e’ nuovi ordini trovatida lui: queste cose, quando sono bene fondate e abbino in loro grandezza, lo fan-no reverendo e mirabile16. E in Italia non manca materia da introdurvi ogni forma:qui è virtù grande nelle membra, quando la non mancassi ne’ capi17. Specchiatevine’ duelli e ne’ congressi de’ pochi, quanto gli italiani sieno superiori con le forze,con la destrezza, con lo ingegno; ma come e’ si viene alli eserciti, non comparisco-no18. E tutto procede da la debolezza de’ capi: perché quegli che sanno non sonoubbiditi e a ciascuno pare sapere, non ci essendo insino a qui suto alcuno che si siarilevato tanto, e per virtù e per fortuna, che li altri cedino19.

Di qui nasce che in tanto tempo, in tante guerre fatte ne’ passati venti anni,quando gli è stato uno esercito tutto italiano, sempre ha fatto mala pruova20: di

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10. Qui... spes est: ‘Questa impresa è giustapiù di ogni altra: la guerra infatti è giusta percoloro ai quali è necessaria e sono pietose learmi quando non c’è speranza se non nellearmi’. Citazione da Livio, lo storico latino cheMachiavelli prenderà come punto di riferimen-to nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio:il passo viene dall’opera Ab Urbe condita, IX, 1.11. Qui è disposizione... per mira: ‘Ora l’occa-sione è favorevolissima e non può esserci gran-de difficoltà, se l’occasione è favorevole, a pat-to che quella (la famiglia dei Medici) traggaspunto dagli ordinamenti di coloro che io hoadditato a modello. – pigli delli ordini: letteral-mente ‘prenda (alcuni) degli ordinamenti’.12. Oltre a di questo... manna: ‘Oltre a questo,oggi si vedono prodigi (estraordinari) senzaprecedenti compiuti (condotti) da Dio: il mare siè aperto; una nube ha mostrato la strada attra-verso di quello (vi ha scorto il cammino); la roc-cia ha sprigionato acqua, il cibo (manna) è pio-vuto dal cielo’. Machiavelli sta riferendo aiMedici alcuni dei più celebri prodigi narrati nel-la Bibbia, a proposito dell’esodo dall’Egittodegli ebrei sotto la guida di Mosè: il Mar Rossoche si apre per far loro strada; la colonna difuoco e di nubi che segna il cammino; l’acquamiracolosamente sgorgata dalla roccia neldeserto del Sinai; la caduta della manna. Ricor-dando questi eventi narrati nel libro dell’Esodo,Machiavelli allude in forma allegorica all’elezio-ne di Giovanni de’ Medici al soglio pontificio.13. Ogni cosa... grandezza: ‘Tutto ha contri-buito alla vostra grandezza’. Più esplicitamen-

te, ci viene detto che i prodigi dell’Antico Testa-mento si compiono nell’attuale grandezza deiMedici.14. per non... arbitrio: ‘per non toglierci (a noiuomini) la libertà di scelta’; sulla particolareaccezione di “libero arbitrio” proposta daMachiavelli cfr. cap. XXV [uT99].15. E non è... nuovi: ‘E non c’è da meravigliar-si se nessuno dei principi italiani nominati pri-ma (Francesco Sforza e il Valentino di cui parlail cap. VII: uT96) non hanno potuto fare quelloche si può sperare che faccia l’illustre vostrafamiglia, e se, fra tanti sconvolgimenti (revolu-zioni) dell’Italia e tante azioni belliche (maneggidi guerra), il valore militare in Italia appareestinto; il motivo è che gli ordinamenti antichidell’Italia (di quella) non erano buoni, e non c’èstato (suto) nessuno che abbia saputo trovarnedi nuovi’. Come si capirà dal seguito del brano,gli ordinamenti antichi, bisognosi di riforma,sono in primo luogo le istituzioni militari.Secondo Machiavelli infatti è indispensabileche l’Italia passi da un sistema di milizie merce-narie, infedeli, a un sistema di milizie proprie,fedeli.16. E veruna cosa... mirabile: ‘E nessuna cosafa tanto onore a un principe nuovo emergente(a uno uomo che di nuovo surga) quanto fanno(fa) le nuove leggi e i nuovi ordinamenti da luiideati: queste cose, quando sono ben fondate(sono bene fondate) e quando si prefiggonograndi obiettivi (letteralmente: ‘abbiano in ségrandezza’), lo rendono oggetto di reverenza edi ammirazione’.

17. E in Italia... ne’ capi: ‘E in Italia non mancala materia (umana) in grado di ricevere ogniordinamento possibile (da introdurvi ogni for-ma): qui c’è grande valore nelle membra, senon mancasse nei capi’. Fuor di metafora, lemembra sono le popolazioni italiane soggette;i capi i principi italiani, incapaci di guidarle. –materia... forma: sono due termini aristotelici:indicano rispettivamente la materia grezza e ildisegno o progetto in base al quale la materiapuò essere lavorata.18. Specchiatevi... compariscono: ‘Guardatebene come nei duelli e negli scontri fra pochigli italiani siano superiori per forza, agilità,intelligenza; ma non appena si arriva a unoscontro fra eserciti, essi non fanno una buonafigura’.19. E tutto procede... cedino: ‘E tutto deriva(procede) dalla debolezza dei capi, perchéquelli che sanno (cosa fare) non sono ubbiditie a tutti pare di sapere (quello che si deve fare),visto che nessuno, fino a questo momento, si ètanto elevato sopra gli altri, per capacità e perfortuna, al punto da indurre tutti gli altri acedergli il comando (che li altri cedino)’.20. Di qui... pruova: ‘È per questo (Di quinasce) che in tanto tempo, in tante guerre fat-te negli ultimi venti anni, quando c’è stato unesercito tutto italiano ha sempre dato cattivaprova di sé’. Machiavelli calcola il ventennio dal1494 al 1513 (l’anno del Principe). Si ricordi chenel 1494, con la discesa in Italia del re di Fran-cia Carlo VIII, erano cominciate le guerre per ilpredominio in Italia di Francia e Spagna.

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che è testimone prima el Taro, di poi Alessandria, Capua, Genova, Vailà, Bologna,Mestri21.

Volendo adunque la illustre Casa vostra seguitare quelli eccellenti uomini che re-dimerno le provincie loro, è necessario innanzi a tutte le altre cose, come vero fon-damento d’ogni impresa, provedersi d’arme proprie22, perché non si può avere né piùfidi, né più veri, né migliori soldati: e benché ciascuno di essi sia buono, tutti insie-me diventeranno migliori quando si vedranno comandare dal loro principe, e da quel-lo onorare e intrattenere23. È necessario pertanto prepararsi a queste arme, per poter-si con la virtù italica defendersi da li esterni24. E benché la fanteria svizzera e spa-gnola sia esistimata terribile, nondimanco in ambedue è difetto per il quale uno or-dine terzo potrebbe non solamente opporsi loro, ma confidare di superargli25. Perchégli Spagnoli non possono sostenere e’ cavagli, e’ svizzeri hanno ad avere paura de’fanti quando gli riscontrino nel combattere ostinati come loro26: donde si è veduto evedrassi, per esperienza, li Spagnoli non potere sostenere una cavalleria francese, eli svizzeri essere rovinati da una fanteria spagnola27. E benché di questo ultimo nonse ne sia visto intera esperienza, tamen se ne è veduto uno saggio nella giornata diRavenna, quando le fanterie spagnole si affrontorno con le battaglie tedesche, le qua-li servano el medesimo ordine che le svizzere28: dove li Spagnoli, con la agilità delcorpo e aiuto de’ loro brocchieri, erano entrati, tra le picche loro, sotto e stavano si-curi a offendergli sanza che e’ tedeschi vi avessino rimedio; e se non fussi la cavalle-ria, che gli urtò, gli arebbono consumati tutti29. Puossi adunque, conosciuto il difet-to dell’una e dell’altra di queste fanterie, ordinarne una di nuovo, la quale resista a’cavalli e non abbia paura de’ fanti: il che lo farà la generazione delle arme e la varia-zione delli ordini30; e queste sono di quelle cose che, di nuovo ordinate, danno repu-tazione e grandezza a uno principe nuovo31.

Non si debba adunque lasciare passare questa occasione, acciò che la Italia veg-ga dopo tanto tempo apparire uno suo redentore32. Né posso esprimere con quale

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21. di che... Mestri: ‘e di questo sono testimo-nianza prima la sconfitta al Taro, e poi quelle diAlessandria, Capua, Genova, Vailate, Bologna,Mestre’. Si allude a varie sconfitte degli esercitiitaliani da parte di Francia o Spagna. Celebri inparticolare la battaglia di Fornovo sul Taro, nel1495, quando Carlo VIII debellò lo sbarramentodegli eserciti italiani; e la battaglia di Agnadello(vicino a Vailate) che vide soccombere le forzeveneziane sotto quelle francesi (1509).22. Volendo adunque... arme proprie: ‘Sedunque la vostra nobile casata vorrà imitare(seguitare, letteralmente: ‘seguire’) quegliuomini eccellenti (Mosè, Ciro, Teseo) che libe-rarono (redimerno) i loro paesi, è necessarioprima di tutto provvedersi di un esercito pro-prio (cioè, non mercenario), il che è il vero fon-damento di ogni impresa.23. perché... intrattenere: ‘perché non si pos-sono avere soldati più fedeli, né più sinceri(veri), né più validi (migliori): e benché ciascu-no di essi sia valoroso, tutti insieme diventeran-no migliori quando si vedranno comandati dalloro principe, e da quello essere onorati e trat-tati con rispetto (intrattenere)’.24. È necessario... esterni: ‘È necessario per-tanto dotarsi di questi eserciti, per potersi difen-dere dagli stranieri (esterni) con il valore italico’.25. E benché... superargli: ‘E sebbene la fan-teria svizzera e quella spagnola siano reputate

(sia esistimata) terribili, tuttavia in entrambe sitrova un difetto, a causa del quale una fanteriadiversamente ordinata (uno ordine terzo)sarebbe in grado non solo di opporsi a loro, mapotrebbe sperare di vincerle’.26. Perché... loro: ‘Perché gli spagnoli nonsono in grado di resistere alla cavalleria, men-tre gli svizzeri hanno ragione di temere dellafanteria quando la trovino tenace al par di loronel combattere’.27. donde... spagnola: ‘per cui si è visto e sivedrà, per esperienza, che gli spagnoli nonpossono resistere a una cavalleria francese eche gli svizzeri sono sgominati (rovinati) da unafanteria spagnola’.28. E benché... le svizzere: ‘E benché di que-sto ultimo (caso) non se ne si sia avuta espe-rienza diretta, tuttavia (tamen, congiunzionelatina) se n’è avuto un segno (saggio) nella bat-taglia (giornata) di Ravenna, quando le fanteriespagnole affrontarono i battaglioni (le batta-glie) tedeschi, che impiegano (servano) l’iden-tico schieramento dei battaglioni svizzeri’.Machiavelli allude alla battaglia di Ravenna (11aprile 1512), dove una coalizione di esercitiveneziani e spagnoli, uniti insieme da Giulio IInella Lega Santa, affrontò l’esercito dei france-si (coi loro alleati) ed ebbe la peggio.29. dove li Spagnoli... tutti: ‘nella quale battaglia(dove) gli spagnoli, con l’agilità del corpo e con

l’aiuto dei loro brocchieri (piccoli scudi rotondimuniti di una punta al centro) si erano incuneatifra le loro picche (aste lunghe) e potevano colpir-li senza correre rischi (stavano sicuri a offender-gli), senza che i soldati tedeschi (alleati dei france-si) potessero impedirlo (vi avessino rimedio): e senon fosse stato per la cavalleria, che caricò con-tro di loro (gli urtò), (gli spagnoli) li avrebbero ster-minati (consumati) tutti (i tedeschi)’. Con questaevocazione della battaglia di Ravenna, Machiavel-li prova che la debolezza degli svizzeri e dei tede-schi è messa in crisi da una fanteria tenace comequella spagnola; ma che gli spagnoli, a loro volta,non possono difendersi dalla cavalleria.30. Puossi adunque... ordini: ‘È dunque possi-bile, una volta riconosciuto il punto debole del-l’una e dell’altra fanteria, organizzare una (fante-ria) di nuova concezione (di nuovo), la quale re-sista alla cavalleria e non si lasci intimorire daifanti (tenaci, come quelli spagnoli); e questasarà resa possibile dal tipo di armamento (gene-razione delle arme) e dalla riforma del modo dischierarsi (la variazione delli ordini)’.31. e queste... nuovo: ‘e questo è il genere dicose che, inventate come nuove, attribuisconoa un principe nuovo prestigio e grandezza’.32. Non si... redentore: ‘Non si deve (debba,congiuntivo esortativo) dunque lasciar passarequesta occasione, affinché l’Italia veda appari-re, dopo tanto tempo, un suo redentore’.

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amore e’ fussi ricevuto in tutte quelle provincie che hanno patito per queste illu-vioni esterne, con che sete di vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, conche lacrime33. Quali porte se li serrerebbono?34 Quali populi gli negherebbono laobbedienza? Quale invidia se li35 opporrebbe? Quale italiano gli negherebbe lo osse-quio?36 A ognuno puzza questo barbaro dominio37. Pigli adunque la illustre Casavostra questo assunto, con quello animo e con quella speranza che si pigliono leimprese iuste, acciò che, sotto la sua insegna, e questa patria ne sia nobilitata e, sot-to e’ sua auspici, si verifichi quel detto del Petrarca38, – quando disse:

Virtù contro a furoreprenderà l’armi, e fia el combatter corto,che l’antico valorenelli italici cor non è ancor morto39.

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33. Né posso... lacrime: ‘Né posso esprimerecon quale amore (questo nuovo principe)sarebbe accolto (ricevuto) in tutte le regioni(provincie) che hanno sofferto di queste inon-dazioni venute dall’esterno (metafora per leinvasioni straniere); con quale sete di vendet-ta, con quale radicata fedeltà (ostinata fede);con che devozione (pietà, latinismo), con qualilacrime (di commozione)’.34. Quali... serrerebbono?: ‘Quali porte reste-rebbero chiuse a lui (li, cioè al principe nuovo)?’.

35. se li: ‘gli si’.36. ossequio: ‘obbedienza, reverenza’.37. A ognuno... dominio: ‘Fa puzza a tutti ildominio degli stranieri (sull’Italia)’. – puzza:

corposa metafora per ‘ripugna’.38. Pigli adunque... Petrarca: ‘Il vostro illustrecasato assuma dunque su di sé questo compi-to (assunto) con quella risolutezza e con quel-la fiducia, con le quali (che) si intraprendono leazioni giuste, affinché (acciò che) sotto il suovessillo (insegna) questa patria (Firenze) sia

nobilitata e, sotto la sua protezione (e’ suaauspici), si realizzi (si verifichi) quel che disse ilPetrarca’.39. Virtù... morto: ‘La virtù (italiana) si armeràcontro il furore (straniero) e il combattimentosarà breve; perché il valore antico (ereditatodai Romani) non è ancora morto nei cuori ita-liani’. Machiavelli conclude il trattato usandocome epigrafe i vv. 93-96 della canzone politi-ca di Petrarca Italia mia, benché ’l parlar siaindarno (Canzoniere, 128).

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Lettura guidataUN’ESORTAZIONE DALLE FONDAMENTA SOLIDE

Raccogliendo le fila di tutto il trattato, nell’ultimocapitolo del Principe Machiavelli si rivolge diretta-mente alla casata dei Medici e in particolare a Loren-zo duca di Urbino, che ne è il dedicatario [u14.6].Si tratta di un’esortazione a liberare l’Italia dai bar-bari, vale a dire dal dominio di Francia e Spagna. Met-tendo a frutto quanto ha detto nei capitoli dedicatial principato nuovo (specie nei capp. VI: uT95e VII:uT96), Machiavelli insiste sul fatto che la sua esor-tazione è tutt’altro che infondata e che, al contrario,poggia su ragioni teoriche solidissime: sulle analisipresentate nei capitoli precedenti. Secondo Machia-velli, infatti, nell’Italia del 1513 (l’anno in cui fuscritto il trattato) ci sarebbero le stesse condizioni

favorevoli che permisero ai grandi principi nuovi

del passato (Mosè, Ciro, Teseo, Romolo, ecc.) di as-

sumere il potere e di liberare i loro popoli da unacondizione sfavorevole. Per questo è impossibile chegli Stati italiani, tempestati dalla sfortuna, non sisottomettano all’autorità di un principe nuovo, a

patto che sia dotato di sufficiente “virtù” (capacitàpolitica), ovvero: a patto che il principe nuovo met-ta in pratica i modelli e i comportamenti additati nelPrincipe.

LA VOCE DI UN PROFETA Oltre a insistere su soli-de ragioni politiche, l’esortazione a liberare l’Italiasi impone soprattutto come una grande invocazio-

ne profetica. Dopo che nei precedenti capitoli, Dioè sempre stato tenuto ai margini (se non proprio aldi fuori) delle vicende terrene, ecco che nell’ultimocapitolo, sorprendentemente, la liberazione dell’I-talia dai barbari viene presentata dall’autore in unaluce biblica e veterotestamentaria. Proprio comeMosè fu ispirato da Dio quando liberò gli ebrei dal-la schiavitù d’Egitto, così anche Lorenzo de’ Mediciviene spronato da Machiavelli ad assumere ilcomando e a liberare l’Italia. Addirittura, in formaallegorica, il segretario fiorentino può riferire aiMedici i prodigi dell’Antico Testamento (lo spalan-carsi del mare, il miracoloso sgorgare delle acquedalla roccia, la discesa della manna). E non a casopuò invitare il suo destinatario a cogliere l’occasio-ne di farsi redentore dell’Italia («Non si debba adun-

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que lasciare passare questa occasione, acciò che laItalia vegga dopo tanto tempo apparire uno suoredentore», rr. 78-79). Profetico, inoltre, è lo stiledi tutto il capitolo: uno stile patetico, fatto di fra-si spezzate e ricco di interrogative retoriche. Némancano metafore corpose, di gusto dantesco,come quella celeberrima che conclude il trattato:«A ognuno puzza questo barbaro dominio» (r. 84).

UN SEGRETO MILITARE È da notare tuttavia comel’autore non si allontani mai da un orizzonte concre-tamente politico. Non a caso, poco prima della con-clusione, vediamo tornare alla ribalta il Machiavelliteorico, esperto di tattica militare. L’ultima provache egli fornisce ai Medici delle proprie capacità po-litiche – tenuta volontariamente alla fine, in posizio-ne di rilievo – concerne la necessità di riformare le

milizie. Per contrastare la temutissima fanteria del-la Spagna e quella dei mercenari svizzeri, Machiavel-li prima illumina i rispettivi punti deboli: gli spagno-li non reggono l’urto della cavalleria; gli svizzeri (co-me i tedeschi) non sanno far fronte a una fanteria ag-guerrita. L’ultimo consiglio dispensato da Machia-velli è dunque quello di istruire un nuovo metodo di

combattimento, in grado di resistere, al tempo stes-so, alla cavalleria e alla fanteria.

PER NON EQUIVOCARE Come si può facilmenteintuire, questo brano del Principe ebbe straordinariafortuna nell’Ottocento, quando il problema dell’u-nità d’Italia fu particolarmente urgente e gli storiciitaliani rilessero in chiave risorgimentale la storiadella nostra letteratura. E tuttavia è indispensabilenon equivocare le reali intenzioni di Machiavelli. Co-me Petrarca, di cui sono citati in epigrafe i versi diuna celebre canzone politica, anche Machiavelli nonha in mente l’unità d’Italia in chiave nazionale, ciòche potrà attuarsi solo nel 1861. L’Italia ai suoi oc-chi è un’entità geografica e culturale, è la culla del-l’Impero romano, depositaria di quell’«antico valo-re» di cui parlano anche i versi petrarcheschi. Di con-seguenza, ciò che propone il segretario fiorentinonon è un’unità politica forte, bensì la semplice ege-monia di uno Stato (fiorentino) sopra gli altri: unacondizione analoga, insomma, a ciò che aveva ini-ziato a fare il Valentino a partire dal suo Stato per-sonale in Romagna, prima che la fortuna si abbattes-se su di lui.

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comprensione

1. Sottolinea nel testo le informazioni principali, poi sul-la base di queste scrivi un riassunto della lunghezza dicirca 80 parole.2. Nel capitolo che hai letto sono numerosi i riferimen-ti a personaggi o eventi della cultura classica e biblica.Riportali sul tuo quaderno e, se li hai già incontrati inqualche altro passo letto, indica in quale capitolo e ache proposito.

analisi e interpretazione

3. Fai un’analisi retorica e stilistica del capitolo indivi-

duando i tratti essenziali dello stile profetico adottatoda Machiavelli.4. All’interno di un brano così ricco di pàthos comequello appena letto trova spazio una questione teoricafondamentale: quella delle milizie proprie. Spiega laposizione di Machiavelli, usando circa 200 parole.

contestualizzazione

5. Sulla base delle argomentazioni presenti nel brano edelle tue conoscenze, spiega le ragioni della scelta di Lo-renzo de’ Medici come destinatario dell’opera e della pre-senza dell’esortazione in questa sua parte conclusiva.

Esercizi

Federico Chabod: il primato dell’immaginazione

Federico Chabod, Metodo e stile di Machiavelli

Federico Chabod (1901-1960) è stato uno dei massimi storici italiani: i suoi studi su Machia-velli, coltivati fin dalla tesi di laurea e mai interrotti, sono ben poco datati e ancora oggi essen-ziali. Proponiamo qui un brano dal saggio Metodo e stile di Machiavelli (1955) dove lo storico

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sconfina nel campo della critica letteraria, mettendo in luce il “metodo” teorico tipico del Prin-cipe: un metodo fatto di continue intuizioni, che si sorreggono su uno “stile” immaginoso,basato su similitudini folgoranti.

Il vero è che il Machiavelli lascia, ben fermo, l’ideale morale: e lo lascia fermo per-ché non se n’ha da occupare. Tutto e soltanto preso com’è dal suo «demone» inte-riore, dal suo furor1 politico, dal suo non saper parlare che di cose di Stato – o, altri-menti, tacere: tutto contenuto in quel principio e termine del suo vivere interiore,ch’è l’affisarsi2 nell’agire politico, il resto rimane al di fuori del suo sguardo. «Imma-ginazione» la sua, anzitutto: e, cioè, intuizione simile a quella del grande poeta edel grande artista, a cui il mondo si presenta sotto quella forma, ed egli quella sol-tanto può vedere: altri vede solo forme o colori, e taluno dirà che tutto quel chesente deve esprimerlo, non può che esprimerlo in note musicali; ed egli – lo diceapertamente – quel che pensa e sente, una volta spogliati gli abiti di fango e di loto3,lo vede e lo pensa sotto la forma sola dell’agire politico.

Non quindi un loico4 anzitutto, che muova da principî e per virtù progressiva diragionamento ne deduca, con rigore e consequenziarietà, tutto un sistema; ma, anzi-tutto, un immaginativo, che afferra di colpo, con illuminazione folgorante, la suaverità, e solo successivamente si affida al ragionamento, per commentare quellaverità. La sua «verità» è la politica, scoperta nella sua ferina nudità: come coordina-re questa verità con le altre già prima riconosciute – e anzitutto con il vero morale– questo il Machiavelli lo lascierà ai posteri, rimanendo perciò per quattro secoli dipensiero europeo nel centro del continuo, aspro, angoscioso travaglio fra kratos edethos5.

Massimo fra i pensatori politici di ogni tempo, il Machiavelli ha in comune coni grandissimi fra gli uomini politici – così simili, anch’essi, all’artista, per il pri-meggiare assoluto del momento intuitivo su quello della logica e della dottrina –ha in comune con essi, precisamente, l’iniziale «illuminazione» interiore, il veder,per intuizione, d’un colpo gli eventi e il loro significato – soltanto poi trascorren-do alla, diremo, applicazione per ragionamento. E, certo, nella prosa del Machia-velli si ripete con frequenza «è ragionevole», oppure «non è ragionevole che sia»:ma il ragionevole o no è l’applicazione, potrebbesi dire tattica, il commento par-ticolare che segue il grande momento intuitivo e creativo, ed è, rispetto a quello,di secondo piano.

[...] Del prevaler del momento immaginativo su quello puramente logico è, infi-ne, espressione compiuta la prosa del Machiavelli. In luogo del giudizio preciso esoppesato, proprio là dove men facile è concludere, l’immagine plastica che risol-ve, per via immaginativa e non logica, il dubbio: come nel capitolo XXV del Prin-cipe sulla fortuna, questa necessaria premessa alla esortazione finale, per aprir lavia al Principe redentore d’Italia: «io iudico bene questo: che sia meglio essere impe-tuoso che respettivo; perché la fortuna è donna, ed è necessario, volendola teneresotto, batterla e urtarla... e però sempre, come donna, è amica de’ giovani, perchésono meno respettivi, più feroci, e con più audacia la comandano».

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1. furor: ‘furore’ (latino).2. affisarsi: ‘concentrarsi, guardare fissamen-te’.3. spogliati... loto: Chabod allude al simbolico

cambio d’abito che Machiavelli descrive nellalettera al Vettori del 10 dicembre 1513: «et insu l’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, pie-na di fango et di loto (‘mota’), et mi metto pan-

ni reali et curiali» [uT93].4. loico: ‘logico’.5. kratos ed ethos: ‘potere politico e costumemorale’ (sostantivi greci).

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Plastica immagine della donna battuta e tenuta sotto; potente finale che fuga ildubbio: ma, appunto, con la forza di un’immagine, non di un giudizio logico. Il pro-cedimento dilemmatico, raziocinante, polemico, cede, anche stilisticamente, neimomenti supremi ad un’onda impetuosa che sostituisce al giudizio logico l’imma-gine. E avete l’improvviso alzarsi al tono biblico della esortazione finale del Prin-cipe, l’evocare i miracoli voluti da Dio «el mare si è aperto; una nube vi ha scortoel cammino; la pietra ha versato acqua; qui è piovuto la manna».

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Altre opere teoricheDISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO: GENESI E COMPOSIZIONE Non cono-sciamo con esattezza i tempi e le fasi di stesura dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio,ma senza dubbio l’opera ebbe una gestazione alquanto diversa rispetto al Principe. Secon-do le ipotesi più accreditate, i Discorsi sarebbero stati avviati nel 1513, nell’immediato del-la destituzione, interrotti in quello stesso anno per fare spazio a una rapida composizionedel Principe e, in seguito, ripresi, completati e rilavorati fino al 1519. Ma il secondo trat-tato non differisce dal primo solo per i tempi di stesura: a mutare sono soprattutto l’og-getto e l’impostazione argomentativa. Se Il Principe affronta in una sintesi concitata edrammatica il regime monarchico, i Discorsi analizzano invece lo Stato repubblicano in for-ma asistematica, più quieta e divagante. Le proposte politiche, in questo caso, nascono dalconfronto con la pagina dello storico latino Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.), della cui opera –Ab Urbe condita libri, narrazione della storia di Roma a partire dalla sua fondazione –Machiavelli commenta i primi dieci libri («prima deca»), dove si narra la mitica fondazio-ne di Roma da parte di Enea, l’iniziale assetto monarchico, la costituzione e il rafforzamen-to territoriale della Repubblica. I Discorsi di Machiavelli rientrano, così, nel genere umani-stico del commentarium, inteso come libera divagazione in margine, non come commentoserrato al testo in esame. Nel corso della composizione dei Discorsi, Machiavelli fu partico-larmente stimolato dalla frequentazione di quei gruppi aristocratici di orientamento repub-blicano che si riunivano negli Orti Oricellari (giardino di Palazzo Rucellai) per discutere dipolitica e letteratura. Non a caso l’opera fu dedicata a due giovani membri di questo grup-po repubblicano: Zanobi Buondelmonti e Cosimo Rucellai.

DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO: STRUTTURA E MOTIVAZIONI I Discor-si si dividono in tre libri. Nel primo Machiavelli si interroga sulla fondazione dello Stato ro-mano, occupandosi del grado di coesione politica garantito dalle sue istituzioni: in partico-lare, Machiavelli addita nella religione pagana dei Romani un fattore di coesione sociale, men-tre vede nella Chiesa romana un’istituzione destabilizzante, perennemente in conflitto congli Stati moderni. Nel secondo libro vengono esaminate le condizioni che resero possibile l’e-spansione dello Stato romano e i nessi fra virtù e fortuna. Nel terzo libro, di vario argomen-to, tornano alla ribalta alcuni temi già affrontati nei primi due libri, con un indugio partico-lare sul contributo dei grandi protagonisti nella storia della Repubblica di Roma. A lungo siè voluta vedere una contraddizione fra l’impostazione monarchica del Principe e la vocazio-ne repubblicana dei Discorsi. In realtà occorre tenere conto che si tratta di opere che rispon-

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dono a fini ben diversi l’una dall’altra. Mentre Il Principe, conce-pito indialogo col principato nuovo dei Medici, va in cerca di unarisposta immediata alla «ruina di Italia» e addita nella monar-chia l’unica istituzione in grado di sollevare in tempi rapidi le sor-ti tragiche degli Stati italiani, i Discorsi indugiano, invece, sugliassetti di uno Stato già consolidato, riflettendo sui metodi cherendano possibile la sua sopravvivenza. D’altro canto le due ope-re condividono il metodo speculativo, basato sulla “verità effet-tuale” e sul classicismo politico, inteso come introiezione e imi-

tazione dei modelli antichi; nonché la concezione dello Stato come una sorta di organismobiologico che necessita di leggi ben precise per fortificarsi e mantenersi in vita.

DELL’ARTE DELLA GUERRA Il dialogo intitolato Dell’arte della guerra fu composto da Ma-chiavelli fra il 1519 e il 1520 e fu edito a Firenze da Giunti nel 1521. Composto di seguito alPrincipe e ai Discorsi, il testo affronta un tema già affrontato con grande premura nei trattatipolitici: la gestione degli eserciti. I sette libri che compongono il dialogo passano in rasse-gna le tecniche di arruolamento, di addestramento, la tattica militare nelle diverse situazioni(battaglia campale, marcia in terra straniera, assedio, fortificazione). Il dialogo si immaginasvolto nel 1516 nell’ambiente degli Orti Oricellari, dove primeggiano Zanobi Buondelmonti eCosimo Rucellai (i due dedicatari dei Discorsi) intenti a interrogare il grande condottiero Fa-brizio Colonna ormai vecchio e prossimo alla morte. Anche in questa opera l’esperienza diret-ta del protagonista fittizio (che è anzitutto l’esperienza diretta dell’autore) si fonde con unideale classicista, che induce Machiavelli a evocare fonti classiche come i resoconti militari diGiulio Cesare, le storie di Livio e di Polibio. Particolarmente urgente, all’interno del dialogo, èil problema delle truppe mercenarie, che Machiavelli, come già aveva fatto nel Principe, con-danna senza riserve, proponendo invece una gestione della cosa militare strettamente inte-grata con quella della cosa pubblica. Ai suoi occhi, infatti, l’unico modello positivo di eserci-to è quello composto da cittadini che difendano al tempo stesso i propri interessi e quelli del-la collettività: condizioni che le truppe mercenarie, per quanto fossero molto impiegate nel-l’Italia e nell’Europa della prima età moderna, non potevano evidentemente soddisfare.

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Scuola del Bronzino, Ritratto di Giovanni dalle Bande Nere, XVI sec.

[Uffizi, Firenze]

Nel dialogo Dell’arte della guerraMachiavelli analizza gli svantaggi diun sistema militare fondatosull’utilizzo di eserciti mercenari,che, per loro natura, non assicuranola dovuta stabilità e fedeltà alloStato. Questo dipinto ritrae uno deicapitani di ventura più celebri delCinquecento, Giovanni de’ Medici,

detto “dalle Bande Nere”. Dopo avermilitato al servizio del papa Leone X,alleato con l’imperatore Carlo Vcontro Francesco I, passò poi dallaparte dei francesi (su richiesta delsuccessivo papa). Morì ferito a unagamba da un “falconetto”, unpiccolo cannone d’avanguardia perl’epoca.

1. Quali caratteristiche testuali differenziano i Discorsidal Principe? 2. Qual è l’argomento dei Discorsi? 3. Achi è dedicata l’opera? 4. Qual è la struttura dei Discor-si? 5. Per quali ragioni si potrebbe essere indotti a scor-gere una contraddizione tra Il Principe e i Discorsi? 6.Quali sono i fondamenti metodologici che accomunanole riflessioni politiche dei due trattati? 7. L’argomento

dell’Arte della guerra costituisce una novità nella rifles-sione e nella produzione letteraria di Machiavelli, oppu-re no? 8. Quali personaggi intervengono nei dialoghiche compongono l’opera Dell’arte della guerra? 9. Era-no comparsi già in altre opere? 10. Chi è Fabrizio Colon-na? 11. Perché Machiavelli considera pericolose letruppe mercenarie?

Guida allo studio

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604 I Grandi Autori

Le opere storicheLA VITA DI CASTRUCCIO CASTRACANI Intorno al 1520 l’unica mansione che i Medici sem-brano disposti ad affidare a Machiavelli è quella di redigere una storia ufficiale della città diFirenze. Nell’estate di quell’anno, per dare un saggio del proprio stile storiografico, Machiavel-li compone una breve biografia di un condottiero ghibellino del Trecento, il lucchese Castruc-cio Castracani. Si tratta di un’opera che rientra nel genere umanistico della biografia esempla-re, secondo i modelli classici di Cornelio Nepote e Plutarco. Non a caso il breve testo si con-clude con una serie di massime morali attribuite al condottiero ghibellino, seguendo un gu-sto tipico della biografia morale prima antica e poi umanistica. Per quanto il Castracani fossestato nemico della Firenze guelfa trecentesca, Machiavelli lo sceglie come condottiero esem-plare, indicando in lui un modello di “virtù” in grado di resistere all’opposizione della “fortu-na”. L’opera viene pubblicata già nel 1521 in appendice all’Arte della guerra.

LE ISTORIE FIORENTINE Nel novembre del 1520, Machiavelli riceve finalmente l’incarico diredigere la storia di Firenze, un compito che svolge nell’arco di circa cinque anni. Nel maggiodel 1525 il novello storico di Firenze – si ricordi che a questo compito già si erano dedicati, nelQuattrocento, umanisti illustri come Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini [u11.6] – si reca aRoma per consegnare il manoscritto dell’opera al suo dedicatario, Giulio de’ Medici, recente-mente eletto papa col nome di Clemente VII. L’opera – che sarebbe stata pubblicata postumanel 1532 – si compone di otto libri: vi si narra la storia d’Italia dal crollo dell’Impero romano fi-no al 1434, anno in cui i Medici conquistano il potere in Firenze (libro I); si viene, di seguito,alla storia di Firenze dall’origine fino allo stesso 1434 (libri II-IV); si conclude, infine, trattan-do la storia della Firenze medicea, terminando il racconto con la morte di Lorenzo il Magnifico(1492), giustamente indicata come il momento in cui crollano gli equilibri politici delle signo-rie quattrocentesche (libri V-VIII). Quella di Machiavelli è una scrittura storiografica che, no-nostante la committenza medicea, rifugge da ogni logica encomiastica. Al contrario, da profon-do conoscitore di “arte dello Stato” e “arte della guerra”, Machiavelli evita di indugiare nell’a-nalisi di documenti o in resoconti minuti; concentra invece la sua attenzione sui moventi profon-di delle azioni umane, facendo procedere di pari passo il racconto dei fatti e la loro interpreta-zione.

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1. A quale genere letterario appartiene la Vita diCastruccio Castracani? 2. Per quali ragioni Machiavellila compone? 3. A chi sono dedicate le Istorie fiorenti-ne? 4. In quali anni vengono composte? 5. Nelle Isto-

rie, dati i delicati rapporti con i suoi committenti, i Medi-ci, Machiavelli assume un atteggiamento encomiasticooppure no? 6. Quando vengono pubblicate le Istorie?

Guida allo studio

Il teatro e gli scritti letterariPRIMA DEL 1512: IL DECENNALE PRIMO E I CAPITOLI MORALI Fin dalla giovinezzaMachiavelli aveva coltivato la scrittura in versi come una forma di interpretazione dellarealtà socio-politica di Firenze. Seguendo in parte il modello dantesco della Commedia, già

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nell’autunno del 1504 Machiavelli aveva composto una cronaca in terzine dei dieci anni distoria di Firenze e di Italia compresi fra il 1494 e il 1504, edita nel 1506 col titolo di Decen-nale. Sempre nel metro della terzina, molto usato nel Cinquecento per componimenti dinatura discorsiva di carattere morale (detti ‘capitoli in terza rima’), fra il 1506 e il 1512Machiavelli aveva inoltre composto quattro capitoli morali dedicati a temi tipici della suariflessione sulla condizione umana: la fortuna, l’ingratitudine, l’ambizione e l’occasione.

DUE OPERE INCOMPIUTE: IL DECENNALE SECONDO E L’ASINO Negli anni di estromis-sione dalla politica, dopo il 1514, Machiavelli avvia la composizione di un altro decenna-le, detto Decennale secondo, che si arresta però alla cronaca del 1509, per rimanere incom-piuto. Ma soprattutto l’ex segretario fra il 1516 e il 1517 avvia la composizione di un piùambizioso poema comico in terzine intitolato Asino. Il poema consiste nella narrazione diuna metamorfosi da uomo in asino che la maga Circe avrebbe inflitto al protagonista, nar-ratore in prima persona. Purtroppo il frammento del poema non giunge a riferire la meta-morfosi asinina, ma ci manifesta comunque quelle che erano le intenzioni di Machiavelli:costruire un mondo alla rovescia nel quale la condizione animale è resa specchio comicodella condizione umana, in una sorta di rito di iniziazione grottesco. Il modello di questavicenda sono le Metamorfosi di Apuleio (dove si narra una metamorfosi analoga), nutriteperò con la retorica profetica della Commedia dantesca.

BELFAGOR E LE COMMEDIE Più ancora che nella scrittura in versi, la vena comica diMachiavelli si traduce in opere in prosa. Già in molte delle lettere è evidente una vena comi-ca (quanto mai sensibile nella lettera al Vettori: uT93). Si tratta di un comico amaro e,alle volte, sarcastico, che riflette una condizione umana lacerata al proprio interno e for-temente negativa. Questa vocazione comica si realizza compiutamente in una breve novel-la intitolata Belfagor arcidiavolo e in due commedie (esse pure in prosa) intitolate Mandra-gola e Clizia. La novella Belfagor, che si suppone composta intorno al 1518, è una novelladi beffa, secondo il modello del Decameron (si pensi soprattutto alle giornate VII e VIII).La comicità del racconto si basa sulla rappresentazione misogina della realtà e sulla defor-mazione grottesca del mondo diabolico. Il diavolo protagonista del racconto, infatti, persperimentare quanto affermano i dannati (ossia che le mogli sono molto peggio dell’Infer-no), si risolve a prendere moglie. Questa scelta si rivelerà funesta e porterà il povero arci-diavolo a essere beffato da un villano che, con l’ingegno, saprà sfruttare a proprio vantag-gio l’orrore del demonio per le donne. Per quanto concerne il teatro non si dimentichi chegià negli anni di segretariato Machiavelli aveva volgarizzato l’Andria di Terenzio. Con spi-rito diverso, negli anni di estromissione politica, Machiavelli compone invece due comme-die nuove, non tanto “traducendo”, quanto “imitando” – il che comporta, secondo un’este-tica di tipo classicista uno spirito di emulazione e una ricerca di novità – i commediogra-fi latini Terenzio e Plauto. Nascono così le due commedie nuove Mandragola (1518) e Cli-zia (1525), dove Machiavelli allestisce intrighi borghesi a sfondo amoroso (secondo ilmodello della commedia latina), arricchendoli però di un gusto moderno e boccacciano per

la beffa e proiettandovi una psicologia moderna e quanto mai vivida [uT101 e T102].Paradossalmente furono proprio queste opere a dare a Machiavelli maggiore successo negliultimi anni della sua vita, ben più che Il Principe o i Discorsi. Ancora oggi la Mandragolaviene rappresentata con una certa frequenza ed è universalmente riconosciuta come il testoteatrale più bello e più efficace del Cinquecento in Italia.

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DISCORSO O DIALOGO DELLA NOSTRA LINGUA Degno di nota è infine il breve opusco-lo intitolato Discorso o dialogo della nostra lingua (databile al 1524 e non da tutti attribui-to all’ex segretario). Qui Machiavelli entra nel vivo della questione di quale lingua gli scrit-tori moderni debbano usare per comunicare tra loro, un problema assai dibattuto in segui-to all’invenzione della stampa. La tesi di fondo consiste in una difesa del fiorentino par-

lato: un fiorentino ben diverso da quello proposto da Pietro Bembo, arcaico e formalizza-to nei testi di Petrarca e Boccaccio. Ma la polemica di Machiavelli va a colpire soprattuttol’ipotesi di una lingua curiale, nella quale si assommino le diverse parlate d’Italia, filtratee nobilitate. Si trattava di un’idea che proprio in quegli anni, in seguito alla riscoperta delDe vulgari eloquentia, il letterato vicentino Giovan Giorgio Trissino aveva attribuito a Dan-te. Il breve opuscolo di Machiavelli nella sua parte centrale diventa così un dialogo para-dossale fra Niccolò e l’ombra di Dante, dove il primo, con comica superiorità, mostra alsecondo che la lingua usata nella Commedia è il fiorentino e che tale fiorentino nulla avreb-be a che spartire con la lingua curiale teorizzata nel De vulgari eloquentia.

606 I Grandi Autori

1. A quale periodo risale il Decennale primo? 2. In qua-li anni viene composto il Decennale secondo? 3. A qua-le genere letterario appartengono i Decennali? 4. Aquale genere letterario appartiene l’Asino? 5. Che cosaracconta la novella Belfagor? 6. Quali opere componeMachiavelli per il teatro e in quali anni? 7. Quale fortu-

na riscuotono le commedie di Machiavelli presso i suoicontemporanei? 8. In quale opera Machiavelli esponela sua opinione sulla cosiddetta “questione della lin-gua”? In quali anni? 9. Quale scelta linguistica sostienee per quali ragioni?

Guida allo studio

AN

TOLO

GIA Mandragola

LA TRAMA La Mandragola è una commedia in cinque atti in prosa, ambientata a Firenzenel 1504. Il giovane Callimaco Guadagni, dopo aver a lungo vissuto a Parigi, è tornato nel-la città natale, Firenze, appositamente per sedurre Lucrezia, gentildonna sposata con l’an-ziano notaio Nicia Calfucci. Callimaco si è innamorato di Lucrezia per sentito dire: a Pari-gi gliene hanno parlato come della donna più bella e più virtuosa mai esistita. Ora egliintende farne la sua amante, raggirando il marito, famoso anche lui, ma per la sua stupi-daggine. Il nucleo della trama è la beffa che Callimaco intende giocare ai danni di Niciaper soddisfare la propria concupiscenza carnale e diventare l’amante di Lucrezia. Callima-co, tuttavia, da solo non è capace di architettare nulla di buono e deve affidarsi alla scal-tra inventiva del suo servo Ligurio. È costui il geniale architetto della beffa: sfruttando ildesiderio di paternità di Nicia, il quale, dopo sei anni di matrimonio, ancora non ha potu-to avere figli con Lucrezia, Ligurio induce Callimaco a travestirsi da medico. Su suggerimen-to di Ligurio, Callimaco fa credere a Nicia che nulla renda fertile una donna come una pozio-ne di mandragola, un’erba miracolosa. L’unica controindicazione è che il primo uomo cheabbia un rapporto sessuale con la donna, dopo che questa abbia assunto la pozione, è desti-nato a morte certa. Spaventato, Nicia si tira indietro, ma Ligurio e Callimaco lo persuado-no a servirsi di un ragazzo di strada (un «garzonaccio») per fecondare la moglie, sacrifi-cando senza scrupoli la vita di quel giovane. Questo giovane, però, non sarà scelto a caso:al contrario, sarà Callimaco travestito, il quale in questo modo potrà giacere indisturbato

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con Lucrezia, ovviamente senza correre alcun rischio di morte. Proprio Lucrezia, tuttavia,costituisce l’ultimo ostacolo da aggirare. Se Nicia non ha scrupoli, Lucrezia al contrario èdonna pia e timorata di Dio; e si rifiuta di causare la morte di qualcuno. Per convincerla aobbedire al marito, Ligurio si serve del frate confessore e della madre della donna, Timo-

teo e Sostrata, i quali la inducono ad accettare, ciascuno dei due sollecitato dal propriotornaconto. La fecondazione tramite mandragola può dunque avere luogo. In camera daletto, Callimaco depone il suo travestimento da «garzonaccio» e rivela a Lucrezia l’ingan-no: dopo un’iniziale resistenza, la donna si induce a mettere da parte i suoi scrupoli e aprendere come amante colui che ha raggirato sia lei, sia suo marito. Alla fine risultano tut-ti più o meno soddisfatti, compreso Nicia, del tutto ignaro di essere stato beffato.

UNA COMMEDIA MODERNA Le circostanze in cui la commedia fu composta sono ignote,ma è probabile che sia stata scritta da Machiavelli all’Albergaccio fra il gennaio e il febbraiodel 1518, forse in occasione del matrimonio fra Lorenzo de’ Medici e Maddalena de la Tourd’Auvergne. Come le commedie di Ariosto, anche la Mandragola è una commedia cosiddet-

ta regolare, ossia basata sui modelli del teatro comico latino (quelli di Terenzio e di Plau-to): un intreccio di ambientazione urbana e borghese; un complicato intrigo basato su unapassione amorosa ostacolata; personaggi diversi l’uno dall’altro, dalla psicologia ben carat-terizzata. Nel rapportarsi ai modelli antichi, tuttavia, Machiavelli agisce con grande libertàe sa creare un intreccio e una psicologia del tutto moderni, in grado di rinnovare le situa-zioni drammatiche dei commediografi latini. L’intreccio basato sulla beffa ai danni di unmarito stupido, in particolare, deve molto al modello novellistico moderno del Decame-ron di Boccaccio: la comicità del dramma nasce infatti dal contrasto fra il disegno raziona-le di Ligurio (e Callimaco) e la stupidità di Nicia, che si lascia irretire in una trappola con-gegnata alla perfezione. La psicologia dei personaggi, d’altronde, è efficacemente caratte-rizzata: Nicia è lo stupido disposto ad agire con malvagità, pur di raggiungere il suo sco-po; Callimaco l’innamorato audace, ma non del tutto capace di agire con lucidità; lucidis-simo invece è Ligurio, regista della beffa e attentissimo a sfruttare a proprio vantaggio

la stupidaggine e la bassezza morale altrui: quella di Nicia, di Timoteo e Sostrata. L’uni-co personaggio moralmente virtuoso è Lucrezia (anche il suo nome, del resto, richiama l’an-tica eroina della storia romana): ma lei pure, alla fine, si induce ad accettare i compromes-si del vivere sociale e prende Callimaco come amante.

Le fantomatiche virtù della mandragola

Mandragola, Atto II, scena 6

In questa scena cruciale, Ligurio e Callimaco mettono in atto, ai danni di Nicia, l’inganno chepermetterà a Callimaco di appartarsi con Lucrezia e farne la sua amante. Callimaco si è trave-stito da medico e, su suggerimento di Ligurio, fa credere allo stupido Nicia che il toccasana,per rendere gravida una donna, sia una pozione di mandragola. Con un effetto collaterale, tut-tavia: il primo uomo che giacerà con la donna dopo l’assunzione della mandragola è destinatoa morire di lì a poco. Sfruttando la malvagità di Nicia e il suo ostinato desiderio di paternità,Ligurio e Callimaco lo inducono a servirsi di un ragazzaccio preso dalla strada per fecondare lamoglie. Ovviamente, quel ragazzaccio sacrificato alla causa di Nicia altri non sarà se non Calli-maco travestito.

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Ligurio, Callimaco, Messer Nicia

Ligurio (piano, a Callimaco). El dottore fia facile a persuadere: la difficultà fia ladonna, ed a questo non ci mancherà modi1.Callimaco (a messer Nicia). Avete voi el segno?2

Nicia E’ l’ha Siro, sotto3.Callimaco (a Siro). Dàllo qua. (Dopo aver osservato il segno). Oh! questo segnomostra debilità4 di rene.Nicia E’ mi par torbidiccio5; eppur l’ha fatto ora ora.Callimaco Non ve ne maravigliate. Nam mulieris urine sunt semper maioris gros-sitiei et albedinis, et minoris pulchritudinis quam virorum. Huius autem, inter cete-ra, causa est amplitudo canalium, mixtio eorum que ex matrice exeunt cum urinis6.Nicia (a parte). Oh! uh! potta di san Puccio!7 Costui mi raffinisce in tralle mani8;guarda come ragiona bene di queste cose!Callimaco Io ho paura che costei non sia la notte mal coperta, e per questo fa l’o-rina cruda9.Nicia Ella tien pure adosso un buon coltrone; ma la sta quattro ore ginocchioni ad in-filzar paternostri, innanzi che la se ne venghi al letto, ed è una bestia a patir freddo10.Callimaco Infine, dottore, o voi avete fede in me, o no; o io vi ho ad insegnare unrimedio certo, o no. Io, per me, el rimedio vi darò. Se voi arete fede in me voi lopiglierete; e se, oggi ad uno anno11 la vostra donna non ha un suo figliuolo in brac-cio, io voglio avervi a donare12 dumilia ducati.Nicia Dite pure, ché io son per farvi onore di tutto, e per credervi più che al mioconfessoro13.Callimaco Voi avete ad intender questo, che non è cosa più certa ad ingravidareuna donna14 che dargli bere una pozione fatta di mandragola. Questa è una cosaesperimentata da me dua paia di volte15, e trovata sempre vera; e, se non era que-sto16, la reina di Francia sarebbe sterile, ed infinite altre principesse di quello stato.Nicia È egli possibile?Callimaco Egli è come io vi dico. E la Fortuna vi ha in tanto voluto bene che io hocondutto qui meco tutte quelle cose17 che in quella pozione si mettono, e poteteaverla a vostra posta18.Nicia Quando l’arebbe ella a pigliare?Callimaco Questa sera dopo cena, perché la luna è ben disposta, ed el tempo nonpuò essere più appropriato.

608 I Grandi Autori

1. El dottore... modi: ‘Sarà facile persuadere ildottore (Nicia): le difficoltà piuttosto si avrannocon la donna (Lucrezia, moglie di Nicia), ma perquesto non ci mancherà il sistema’.2. segno: il campione di urina di Lucrezia.3. sotto: sotto il mantello.4. debilità: ‘debolezza’.5. torbidiccio: ‘piuttosto torbido’.6. Nam mulieris... urinis: ‘L’urina della donnainfatti è sempre di maggiore consistenza ebiancore e di minore bellezza di quella degliuomini. Causa di ciò, tra l’altro, è l’ampiezza deicanali (urinari) e la mescolanza di ciò che escedalla matrice con l’urina’.7. potta di san Puccio: esclamazione oscena.– potta: ‘vulva’, qui comicamente attribuita a

un santo (maschio) immaginario, come se sitrattasse di una reliquia da venerare.8. Costui... mani: ‘Questi (Callimaco) mi appa-re sempre più fine quanto più lo frequento (let-teralmente: ‘lo tengo fra le mani’)’.9. Io ho... cruda: ‘Io temo che costei di nottesia coperta male e che per questo fa l’orinadensa’. – mal coperta: è un doppio sensoosceno: significa infatti ‘mal riparata contro ilfreddo’ (come intende Nicia); ma anche ‘coper-ta malamente’ dal marito nei rapporti sessuali.10. Ella tien... freddo: ‘Lei si tiene sempre(pure) addosso una grossa coperta; ma sta perquattro ore inginocchiata a sciorinare preghie-re prima di venire a letto, ed è una sciocca apatire tanto freddo’.

11. oggi ad un anno: ‘di qui a un anno’.12. io voglio avervi a donare: ‘intendo esser-vi debitore di’.13. ché io son... confessoro: ‘perché io sonodisposto a rendervi ogni onore e a prestarvifiducia più che al mio confessore’.14. cosa... donna: ‘metodo più sicuro per ren-dere gravida una donna’.15. dua paia di volte: significa genericamente‘molte volte’.16. se non era questo: ‘se non ci fosse statala pozione di mandragola’.17. cose: ‘ingredienti’.18. a vostra posta: ‘a vostra disposizione’.

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Nicia Cotesto non fia molto gran cosa19. Ordinatela in ogni modo20: io gliene faròpigliare.Callimaco E’ bisogna ora pensare a questo: che quello uomo che ha prima a fareseco, presa che l’ha, cotesta pozione, muore infra otto giorni, e non lo camperebbeel mondo21.Nicia Cacasangue!22 Io non voglio cotesta suzzacchera! A me non l’apiccherai tu!Voi mi avete concio bene!23

Callimaco State saldo24, e’ ci è rimedio.Nicia Quale?Callimaco Fare dormire subito con lei un altro che tiri, standosi seco una notte, asé tutta quella infezione della mandragola: dipoi vi iacerete voi sanza periculo25.Nicia Io non vo’ fare cotesto.Callimaco Perché?Nicia Perché io non vo’ fare la mia donna femmina e me becco26.Callimaco Che dite voi, dottore? Oh! io non vi ho per savio come io credetti27. Sì chevoi dubitate di fare28 quello che ha fatto el re di Francia e tanti signori quanti sono là?Nicia Chi volete voi che io truovi che facci cotesta pazzia? Se io gliene dico, e’ nonvorrà; se io non gliene dico, io lo tradisco, ed è caso da Otto: io non ci vo’ capita-re sotto male29.Callimaco Se non vi dà briga altro che cotesto, lasciatene la cura a me30.Nicia Come si farà?Callimaco Dirovelo: io vi darò la pozione questa sera dopo cena; voi gliene dare-te bere e, subito, la metterete nel letto, che fieno circa a quattro ore di notte31.Dipoi ci travestiremo, voi, Ligurio, Siro ed io, e andrencene cercando32 in Merca-to Nuovo, in Mercato Vecchio, per questi canti33; ed el primo garzonaccio che noitroverremo scioperato34, lo imbavagliereno, ed a suon di mazzate lo condurrenoin casa ed in camera vostra al buio. Quivi lo mettereno nel letto, direngli quel chegli abbia a fare, non ci fia difficultà veruna35. Dipoi, la mattina, ne manderetecolui innanzi dì36, farete lavare la vostra donna, starete37 con lei a vostro piace-re e sanza periculo.Nicia Io sono contento, poiché tu di’ che e re e principi e signori hanno tenuto que-sto modo38. Ma, sopratutto, che non si sappia, per amore degli Otto!39

Callimaco Chi volete voi che lo dica?

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19. Cotesto... cosa: ‘Questo (che dite) nonsarà molto difficile’.20. Ordinatela... modo: ‘Preparatela con ognicura’.21. E’ bisogna... el mondo: ‘È necessario pen-sare ora a questo: colui che per primo si accop-pia con lei, dopo che ha preso questa pozione,muore di lì a otto giorni, e nulla al mondopotrebbe salvarlo’.22. Cacasangue: altra esclamazione volgare:letteralmente significa ‘dissenteria’.23. Io non voglio... concio bene: ‘Io nonvoglio questa schifezza (la suzzacchera è unmiscuglio di zucchero e di aceto). A me tu nonme la appioppi! Voi mi vorreste (letteralmente:‘volete’) sistemare bene’.24. saldo: ‘calmo’.25. Fare dormire... sanza periculo: ‘Subito(dopo che la donna ha bevuto la pozione) faredormire con lei qualcun altro che assorba (tiri...

a sé) tutte le proprietà infettive della mandra-gola. Dopo voi potrete giacere con lei senzacorrere pericoli’.26. Perché... becco: ‘Perché non voglio fare dimia moglie una sgualdrina (femmina) e di meun cornuto’.27. io non vi ho... credetti: ‘io non vi trovo giu-dizioso (savio) come avevo pensato’.28. dubitate di fare: ‘esitate a fare’.29. se io... male: ‘ma se io non lo metto al cor-rente, sono un traditore, ed è un caso da tribuna-le criminale. Non ci voglio rimettere’. – caso da

Otto: allude alla corte penale detta “degli Otto”.30. Se non... a me: ‘se non vi infastidisce altroche questo (cioè: se avete deposto lo scrupolodi rendere sgualdrina vostra moglie e voi stes-so cornuto), lasciate sia io a preoccuparmene’.31. Dirovelo... notte: ‘Ve lo dirò: io vi darò lapozione stasera dopo cena; voi gliene faretebere (a Lucrezia) e la farete coricare non appe-

na saranno trascorse circa quattro ore dal tra-monto’. – che fieno... quattro ore di notte: let-teralmente: ‘non appena saranno circa le quat-tro di notte’.32. andrencene cercando: ‘ce ne andremo acercare’.33. canti: ‘quartieri’.34. el primo... scioperato: ‘il primo giovina-stro (garzonaccio) che troveremo con le maniin mano (scioperato)’.35. direngli... veruna: ‘gli diremo quel che do-vrà fare, non ci sarà alcuna (veruna) difficoltà’.36. ne manderete... dì: ‘lo manderete via pri-ma che spunti il sole’.37. starete: ‘giacerete’.38. poiché... modo: ‘perché tu dici che re, prin-cipi e signori si sono comportati in questo modo’.39. per amore degli Otto: comica esclamazio-ne ricalcata sull’espressione ‘per amor di Dio!’.Nicia non teme la giustizia di Dio, bensì quella

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Nicia Una fatica ci resta, e d’importanza.Callimaco Quale?Nicia Farne contenta mogliama, a che io non credo ch’ella si disponga mai40.Callimaco Voi dite el vero. Ma io non vorrei innanzi essere marito, se io non ladisponessi a fare a mio modo41.Ligurio Io ho pensato el rimedio.Nicia Come?Ligurio Per via del confessoro.Callimaco Chi disporrà42 el confessoro, tu?Ligurio Io, e danari, la cattività nostra, loro43.Nicia Io dubito, non che altro, che per mio detto la non voglia ire a parlare al con-fessoro44.Ligurio Ed anche a cotesto è rimedio.Callimaco Dimmi.Ligurio Farvela condurre alla madre45.Nicia La le presta fede46.Ligurio Ed io so che la madre è della opinione nostra. Orsù! avanziam tempo47, chesi fa sera. (a parte, a Callimaco). Vatti, Callimaco, a spasso, e fa’ che alle ventitréore noi ti ritroviamo in casa con la pozione ad ordine48. Noi n’andreno a casa lamadre49, el dottore ed io, a disporla, perché è mia nota50. Poi ne andreno al frate, evi raguagliereno di quello che noi areno fatto51.Callimaco (c.s. a Ligurio). Deh! non mi lasciar solo.Ligurio (c.s. a Callimaco) Tu mi par’ cotto52.Callimaco (c.s.) Dove vuoi tu ch’io vadia ora?Ligurio (c.s.) Di là, di qua, per questa via, per quell’altra: egli è sì grande Firenze!Callimaco (c.s.) Io son morto53.

610 I Grandi Autori

terrena degli Otto.40. Farne... mai: ‘Rendere consenziente (con-tenta) mia moglie in merito a questo (progetto);del quale non credo che lei si convincerà mai’.– mogliama: secondo l’uso del toscano antico,l’aggettivo possessivo enclitico è accorpatocon il sostantivo.41. Ma io... a mio modo: ‘Ma io vorrei piutto-sto (innanzi) non essere marito, se non fossi ingrado di convincerla a fare a modo mio’.42. disporrà: ‘persuaderà’.

43. Io... loro: ‘(Lo convinceremo) io e i denari,la nostra malizia e la loro (dei frati)’.44. Io dubito... confessoro: ‘Io temo, fra l’altro,che, se sono solo io a dirglielo (di andare dal fra-te), lei non voglia andare a parlare al confessore’.45. Farvela... madre: ‘Farcela portare dallamadre’.46. La le... fede: ‘Si fida di lei’.47. avanziam tempo: ‘affrettiamoci’.48. Vatti... ordine: ‘Callimaco va’ via di qua (let-teralmente: ‘vattene a spasso’) e fatti trovare a

casa (di Nicia) ventitré ore dopo il tramonto(cioè nell’ultima ora di luce, poco prima che ini-zi la notte) con la pozione preparata (ad ordine)’.49. casa la madre: ‘casa della madre’.50. a disporla... nota: ‘a convincerla, perché laconosco bene’.51. vi raguagliereno... fatto: ‘vi informeremodi quel che avremo fatto’.52. cotto: ‘innamorato cotto’.53. Io son morto: ‘Mi sembra di morire perl’ansia’.

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Lettura guidataLIGURIO, ARCHITETTO DELLA BEFFA L’ingannodella mandragola, che qui viene messo in moto, è ilfrutto dell’intelligenza e della malizia di Ligurio, ilservo che organizza la beffa per conto di Callimaco.Si noti come Ligurio non si sia limitato a pensare co-me raggirare Nicia, bersaglio facile in quanto stupi-do e ottuso. Attribuendo alla mandragola virtùstraordinarie – la pozione renderebbe sì gravida la

donna, ma uccidendo l’uomo che l’ha posseduta perprimo dopo la cura – egli ha escogitato uno strata-gemma perfetto, in grado di aggirare anche le resi-stenze di Lucrezia. La moglie di Nicia, infatti, è unadonna devota, che, come abbiamo sentito, indugiain preghiere prima di coricarsi: virtuosa com’è, maiacconsentirebbe all’adulterio. Ligurio però, sfrut-tando l’ostinato desiderio di paternità di Nicia, fa inmodo che sia proprio il marito a costringere la mo-glie all’adulterio. A fare ulteriori pressioni su Lucre-

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comprensione

1. Elenca i personaggi che compaiono nel brano chehai letto, distinguendo quelli che intervengono neldiscorso da quelli che sono solo citati.2. Callimaco e Ligurio per beffare Nicia devono vince-re alcune resistenze. Individua nel brano appena lettotali resistenze, unitamente agli argomenti che i due bef-fatori adducono per aggirarle.

analisi3. La comicità della scena si basa sulla stupidità di Nicia:isola le espressioni e le situazioni deputate a suscitareil riso dello spettatore.

interpretazione

4. Ricostruisci il carattere dei personaggi desumibiledalle parole del testo, riportandole sul tuo quadernoaccanto a ciascun nome.

contestualizzazione

5. I protagonisti della commedia sono esempi, comespiega anche la lettura guidata, di quella antropologianegativa che è già nel Principe. Rileggi il capitolo XVIIIdel trattato [uT98] e, confrontandolo con questo branodella commedia, scrivi sull’argomento un testo di circa300 parole.

Esercizi

zia saranno due figure che la donna considera auto-revoli, ma che in realtà sono corrotte e meschine: ilsuo confessore (Timoteo) e la madre (Sostrata).

CALLIMACO E NICIA Callimaco e Nicia a ben vede-re sono due burattini nelle mani di Ligurio. Il primo,accecato dalla passione, esegue alla lettera le indi-cazioni del suo servitore. Qui si traveste da medico ein seguito si travestirà da garzonaccio. Tuttavia l’in-namorato è incapace di iniziativa personale: si vedacome alla fine della scena si sente perduto nel mo-mento in cui si separa da Ligurio e non a caso vienepreso in giro («Di là, di qua, per questa via, per quel-l’altra: egli è sì grande Firenze!», r. 92). Il secondo,Nicia, è invece il personaggio che più rende comicala scena con le sue esclamazioni volgari e la sua ri-

dicola stupidità. Nicia però è anche personaggio me-diocre e malvagio. Purché Lucrezia abbia un figlio,non disdegna di ricorrere all’omicidio di un garzonac-cio. La sua unica preoccupazione è di non incapparenella giustizia penale degli Otto: altri scrupoli nonne ha. Sembra giusto, insomma, concludere ripor-tando le situazioni psicologiche tipiche della Man-dragola a quella antropologia negativa che tantevolte emerge nel Principe. Gli uomini, secondo Ma-chiavelli, sono per lo più «tristi» (malvagi), o stupi-di come Nicia, oppure astuti e mossi da interessi per-sonali come Ligurio e Callimaco. Tuttavia, se nel Prin-cipe questa concezione produce situazioni altamen-te drammatiche, nella commedia è al servizio di unintreccio faceto e leggero.

Guida a leggere e a capire

La saggezza di Lucrezia

Mandragola, Atto V, scena 4

Callimaco, Ligurio

Callimaco Come io t’ho detto, Ligurio mio, io stetti di mala voglia insino alle noveore1; e, benché io avessi gran piacere, e’ non mi parve buono2. Ma poi che io me lefu’ dato a conoscere3, e che io l’ebbi dato ad intendere4 lo amore che io le portavo,e quanto facilmente, per la semplicità5 del marito, noi potavàno viver felici sanza

T102

1. stetti... ore: ‘fui di malumore fino a notteinoltrata’.

2. e’... buono: ‘non mi sembrò soddisfacente’.3. me... conoscere: ‘mi feci riconoscere’.

4. dato ad intendere: ‘rivelato’.5. semplicità: ‘stupidità, dabbenaggine’.

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GIA infamia alcuna6, promettendole che, qualunque volta Dio facessi altro di lui7, di

prenderla per donna8; ed avendo ella, oltre alle vere ragioni, gustato che differen-zia è dalla giacitura mia a quella di Nicia9, e da e’ baci d’uno amante giovane aquelli d’uno marito vecchio, doppo qualche sospiro, disse: «Poi che l’astuzia tua, lasciocchezza del mio marito, la semplicità di mia madre e la tristizia10 del mio con-fessoro mi hanno condotta11 a fare quello che mai per me medesima arei12 fatto, iovoglio iudicare che e’ venga da una celeste disposizione che abbi voluto così13, enon sono sufficiente a recusare14 quello che ’l cielo vuole che io accetti. Però15 ioti prendo per signore, patrone, guida: tu mio padre, tu mio defensore, e tu voglioche sia ogni mio bene; e, quello che ’l mio marito ha voluto per una sera, voglioch’egli abbia sempre. Fara’ti adunque suo compare16, e verrai questa mattina allachiesa, e di quivi ne verrai a desinare con esso noi17; e l’andare e lo stare starà ate18, e potreno ad ogni ora e senza sospetto convenire insieme19». Io fui, udendoqueste parole, per morirmi per la dolcezza20. Non potetti rispondere alla minimaparte di quello che io arei desiderato. Tanto che io mi truovo el più felice e conten-to uomo che fussi mai nel mondo; e se questa felicità non mi mancassi o per mor-te o per tempo21, io sarei più beato ch’e beati, più santo che e’ santi.

612 I Grandi Autori

●1 UN PRIMO SGUARDO SUL TESTO

La commedia di Machiavelli è giunta quasi alla sua conclusione. Callimaco, innamorato diLucrezia, ha raggiunto lo scopo di possederla, dopo aver ingannato il marito di lei, Nicia.Callimaco racconta al servo-consigliere Ligurio come si sono messe le cose fra lui e Lucreziadopo la prima notte d’amore. Per cominciare a capire la vicenda vai a rivedere il riassunto

della commedia [u14.9] e il ruolo che vi svolgono i diversi personaggi nominati in que-sto breve passo e gli altri che non sono presenti qui. Prima di tutto spiega (in non più di100 parole) in che cosa consiste l’inganno ordito ai danni di Nicia e quale sarebbe la virtùmiracolosa dell’erba mandragola.

●2 COMPRENSIONE DI PRIMO LIVELLO

a. La parte di dialogo riportata appartiene a Callimaco, ma essa riporta al suo interno ancheun discorso di Lucrezia. Questo passo può essere, dunque, segmentato in tre parti:

• Callimaco descrive le azioni compiute per convincere Lucrezia;• Callimaco racconta come Lucrezia abbia accettato di buon grado il suo amore;• Callimaco manifesta all’amico la sua gioia.

Espandi i brevi titoli delle sequenze riassumendone sinteticamente il contenuto.

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6. potavàno... alcuna: ‘potevamo vivere felicisenza alcuna vergogna’.7. qualunque... lui: ‘nel caso Dio decidesse difarlo morire’.8. donna: ‘moglie’.9. che... Nicia: ‘che differenza c’è tra il fare l’a-more con me e farlo con Nicia’.10. tristizia: ‘malvagia scaltrezza’.11. condotta: ‘spinta’.

12. arei: ‘avrei’.13. voglio... così: ‘voglio credere che tutto ciòsia avvenuto per volontà divina’.14. non... recusare: ‘non penso che sia in miopotere rifiutare’.15. Però: ‘Perciò’.16. compare: ‘stretto conoscente’.17. con esso noi: ‘insieme a noi, a casa nostra’.18. l’andare... starà a te: ‘potrai scegliere tu

quando andartene e quando rimanere’.19. convenire insieme: ‘incontrarci’.20. per... dolcezza: ‘sul punto di morire per ilpiacere’.21. non mi... tempo: ‘non dovesse venirmi amancare a causa della morte o per il passaredel tempo’.

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b. I personaggi coinvolti nella scena sono solo due: Callimaco e Lucrezia. Per verificare comeessi si presentino al lettore con quello che dicono e le azioni che compiono compila una

tabella a due colonne su cui registrerai i loro predicati e le loro qualificazioni, riportando,quando è possibile, le parole di Machiavelli, oppure sintetizzandole con parole tue.

●3 ANALISI E INTERPRETAZIONE

Approfondiamo le dinamiche fra i personaggi e analizziamo la lingua di Machiavelli.a. Quali sono gli argomenti usati da Callimaco per convincere Lucrezia? Sono sostanzial-mente tre:

• la stupidità di Nicia garantisce loro libertà di amarsi di nascosto senza incorrere nella ripro-vazione di alcuno (quale frase lo esprime?);• lei, dopo aver verificato la differenza che corre tra lui e il vecchio Nicia, non può esitarea scegliere lui;• lui promette di sposarla nel caso che Nicia muoia.

b. Quali le giustificazioni addotte da Lucrezia per motivare la sua resa? Non dimenti-chiamoci, infatti, che la donna, onesta e timorata di Dio, si è a lungo rifiutata di sottopor-si alla prova della mandragola e ha ceduto solo grazie agli inganni della madre Sostrata edel confessore, fra’ Timoteo. Ora però Lucrezia sostiene che:

• sebbene sia stata obbligata a fare l’amore con Callimaco;• ora è convinta che farlo fosse volontà del cielo, alla quale non ritiene di potersi opporre(con quali parole lo dice?);• perciò accetta di diventare l’amante di Callimaco;• e gli consiglia i comportamenti da tenere per continuare a ingannare Nicia.

c. Dunque Lucrezia accetta di diventare l’amante di Callimaco senza dichiarare apertamentedi aver provato piacere con lui e continuando a sostenere di essere stata manipolata dagliinganni degli uni (trova tu i nomi) e condizionata dalla sciocchezza degli altri (chi sono

questi sciocchi?). Tu pensi che Lucrezia abbia capito appieno la situazione in cui si è tro-vata o che si inganni ancora sul comportamento di qualcuno? Insomma – sembra conclude-re – «quel che è fatto è fatto; vuol dire che non poteva non essere diversamente. Ma oradeve essere fatto per bene». Ciò significa che nelle parole di Lucrezia Callimaco diventa comeun secondo marito (o marito effettivo), compare del primo. Dice infatti: «io ti prendo persignore, patrone, guida: tu mio padre, tu mio defensore, e tu voglio che sia ogni mio bene»(rr. 13-15). La familiarità tra i due uomini servirà di copertura alla loro relazione. C’è unasingolare coincidenza fra le parole usate dai due amanti su questo argomento (metti a con-

fronto le due frasi): la felicità sarà raggiunta a condizione di non apparire, cioè tenendonascosta la relazione, cosa di non difficile attuazione, stante la stupidità di Nicia.d. Tra le parole di Lucrezia dobbiamo notare quel «senza sospetto» che rimanda al v. 129(«soli eravamo e sanza alcun sospetto») del canto V dell’Inferno, il canto di Paolo e France-

sca, che avevano avuto agio di incontrarsi da soli e senza suscitare il sospetto degli altri inquanto cognati, cioè appartenenti alla medesima famiglia. I lettori sanno che quella fami-liarità li aveva portati, inconsapevolmente, verso l’attrazione reciproca e la colpa. La situa-zione di Callimaco e Lucrezia è simile, per quanto collocata a un grado più basso e, perciò,

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comica: la parentela acquisita scade, infatti, al livello di “comparatico”, cioè di amicizia fra“compari”, quali dovrebbero diventare, maliziosamente, Callimaco e Nicia. Ma c’è una diffe-renza sostanziale: la familiarità per Paolo e Francesca è causa dell’adulterio; per Callimaco eLucrezia, invece, dovrà servire da copertura dell’adulterio già avvenuto. Da Dante a Machia-velli siamo scesi dal tragico al comico e si è dissolto il significato morale di “colpa”,“peccato”. Sei d’accordo con questa affermazione? La puoi sostenere con altre provedesunte dall’insieme della commedia?e. Lasciamo per ultime le osservazioni linguistiche. Le note ti hanno segnalato alcune for-me “strane”: potavàno per ‘potevamo’, arei per ‘avrei’. Puoi notare anche il nome confessoroper ‘confessore’, il futuro potreno per ‘potremo’, l’articolo el (al posto del trecentesco il, pas-sato nell’italiano moderno). È presente infine il pronome soggetto e’ («e’ non mi parve buo-no», r. 2, per esempio), quasi obbligatorio nel fiorentino antico, ma nel Cinquecento giàinteso come una forma parlata e popolareggiante (e in questo senso ancora in uso a Firen-ze). Tutte queste particolarità configurano la lingua di Machiavelli come “lingua scritta-par-lata”, cioè come una lingua che imita l’oralità. La lingua di Machiavelli si ispira, infatti, alfiorentino parlato al suo tempo, e, nella Mandragola, al registro popolare. Ciò conferiscealla commedia realismo e vivacità espressiva. Machiavelli, nel Discorso o dialogo della nostralingua, scritto dopo la Mandragola, afferma che una commedia, per funzionare, ha bisognodi «sali», cioè espressioni scherzose attinte dalla lingua parlata, meglio ancora se si trattadella lingua parlata dall’autore. Anzi si dice convinto che in Italia manchi un teatro vivacee solido proprio perché gli autori non scrivono nella loro lingua materna (essendo il fioren-tino lingua parlata da pochi di loro).

●4 CONTESTUALIZZAZIONE

È arrivato il momento di fare una sintesi e di allargare lo sguardo oltre il passo analizzato.a. La vera protagonista del passo è Lucrezia. Subìto l’inganno, è lei che prende in mano lasituazione, quasi per normalizzarla e controllarla. Si tratta di una rivelazione, di un decisocambiamento psicologico oppure il personaggio di Lucrezia fin dall’inizio nascondeva que-sti tratti di “decisione”? Nella prima scena dell’atto primo Lucrezia è presentata da Callima-co con queste parole: «E nominò madonna Lucrezia, moglie di messer Nicia Calfucci, allaquale e’ dette tante laude e di bellezze e di costumi, che fece restare stupidi [stupiti] qua-lunche di noi [tutti]», «ho trovato la fama di madonna Lucrezia essere minore assai che laverità, il che occorre [capita] rarissime volte», «onestissima e del tutto aliena dalle [estra-nea alle] cose d’amore». Nel Prologo, peraltro, l’autore la introduceva come una «giovaneaccorta». Tenendo conto di questi fatti, sviluppa le tue considerazioni intorno alla “deter-

minazione” di Lucrezia, sia nel rifiutare l’esperimento (come hai desunto dal riassunto),sia nel gestirne le conseguenze (come hai letto nel passo analizzato). Per dire le cose essen-ziali ti basteranno circa 300 parole.b. Puoi, infine, provare a mettere in relazione il comportamento di Lucrezia con le teo-

rie politiche esposte da Machiavelli a proposito dell’adattabilità, della capacità dell’in-dividuo “virtuoso” di cambiare la propria indole per conformarla alle condizioni in cui si tro-va. È possibile dimostrare che Lucrezia è un esempio di “virtù”, nel senso che Machiavelli dàa questo termine? Per farlo è necessario anche sostenere l’indipendenza di Lucrezia da valu-tazioni di ordine morale. Rifletti anche sulle parole: «quello che ’l mio marito ha voluto per

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una sera, voglio ch’egli abbia sempre», che sembrano essere non solo decise (voglio) maanche vendicative. Se è vera l’ipotesi di una Lucrezia esempio della teoria del “riscontro”(nel senso di ‘adeguamento alla situazione’), quale giudizio si deve trarre sull’ambiente incui agiscono i personaggi? Machiavelli lo raffigura con uno sguardo ironico e divertito, malo sottopone anche a un giudizio morale? Per discutere di questi problemi devi rileggere lapresentazione della commedia e l’altro passo antologizzato [uT101]. Esponi ordinatamen-

te le tue considerazioni in un saggio di circa 600 parole, nel quale dovranno trovare spa-zio anche alcune considerazioni di base sul Principe.

14. Niccolò Machiavelli 615

Secondo Machiavelli, per realizzare un progetto politico èindispensabile unire all’esperienza una solida conoscenza dei

modelli del passato (prossimo e remoto). Tali modelli devonoessere per quanto possibile imitati (principio di imitazione), in modoche il politico moderno possa colmare le proprie insufficienzefacendo tesoro dell’esperienza maturata da alcuni politici esemplarivissuti prima di lui. Come si desume dalla lettera di Machiavelli alVettori, il Principe nasce da questa fiducia nel principio di imitazione,rivolta ai modelli di massima capacità politica: quelli del mondoromano. Sia il trattato sulla monarchia sia quello sulla repubblica(Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio) furono scritti meditandosui modelli della storia antica. A sua volta Machiavelli, nel momentoin cui raccoglie e analizza i modelli politici del passato, li propone aisuoi lettori come punti di riferimento per il futuro. Il Principe, inparticolare, è indirizzato ai Medici, in modo che essi sappiano imitarei modelli ivi additati.

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E T93 Le giornate all’Albergaccioe la composizione del Principe

T95 Il principe nuovo: laperfezione dei modelli antichi

T96 Il principe nuovo: unesemplare quasi perfetto

T100 Esortazione a liberarel’Italia

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La capacità politica individuale (virtù) si manifesta nel confrontocon la sorte (fortuna). La fortuna è instabile e capricciosa, per cuiessa può sia favorire l’azione politica del principe, sia farla rovinare.Il principe accorto è colui che sa fondare il proprio regno sulla virtù,traendo vantaggio dalle circostanze favorevoli offerte dalla fortuna(occasione). Viceversa se il regno non nasce dalla virtù edall’occasione propizia, bensì da un semplice caso fortuito, èindispensabile rafforzare quel regno con la virtù, pena un rapidotracollo. La dialettica virtù/fortuna si coglie anche nei rapportiumani quotidiani messi in scena nella Mandragola, dove Callimaco eLigurio sanno sfruttare l’occasione favorevole (il desiderio dipaternità di Nicia) per sedurre Lucrezia. Tale dialettica si coglieanche nella lettera al Vettori: il Principe infatti è scritto dopo untracollo di fortuna e viene offerto ai Medici come il frutto di unavirtù politica in cerca di riscatto.

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NA T95 Il principe nuovo: la

perfezione dei modelli antichi

T96 Il principe nuovo: unesemplare quasi perfetto

T99 Virtù contro fortuna

T100 Esortazione a liberarel’Italia

T101 Le fantomatiche virtù dellamandragola

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616 I Grandi Autori

La virtù non potrà mai neutralizzare del tutto il potere della fortuna,che costituisce un fondo oscuro, irriducibile e irrazionale. SecondoMachiavelli, infatti, alla base del successo politico sta unacorrispondenza («riscontro») fra il carattere del politico e la

natura dei tempi. Se i tempi favoriscono un carattere impetuosoallora il principe impetuoso avrà un regno stabile; se invece i tempine favoriscono uno «respettivo» (cauto) il principe impetuoso falliràe avrà successo il «respettivo». Quest’ultimo a sua volta fallirà nelprimo caso, visto che, secondo Machiavelli, è quasi impossibile cheun politico si comporti diversamente da come gli suggerisce ilproprio carattere.

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O» T99 Virtù contro fortuna

Virtù, per Machiavelli, significa sempre virtù politica e non è maisinonimo di virtù morale. La virtù morale infatti viene tenutanettamente distinta dalla capacità politica, perché la prima descriveil dover essere degli uomini e li dipinge quali essi non sono; laseconda invece sa guardare alla realtà concreta degli uomini(«verità effettuale»). È in base a questa «verità effettuale», e non allalegge morale, che il principe deve regolare le proprie azioni. Neconsegue che anche il tradimento può essere legittimo, dal punto divista politico, nel caso in cui la parola data possa portare al tracollodello Stato. Il buon principe, infatti, deve guardarsi dall’offendereapertamente la morale: tuttavia non si può esimere, in molti casi,dall’usare virtù immorali come l’astuzia (della volpe) e la violenza

(del leone). Nel momento in cui distingue fra bene morale e benepolitico (basato sulla «verità effettuale»), Machiavelli fonda la politicacome scienza autonoma, in grado di garantire il benessere materialedei sudditi e la solidità dello Stato. Spostandoci dai rapporti politiciai rapporti familiari, una forma di saggezza, intesa come adesionealla «verità effettuale», si può infine riconoscere a Lucrezia, quandoalla fine della Mandragola si rende conto che il dover essere morale(la fedeltà al marito Nicia) non è più praticabile e si risolve adaccettare Callimaco come amante.

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MA T96 Il principe nuovo: un

esemplare quasi perfetto

T97 La «verità effettuale»

T98 «Usare la bestia»: la volpe eil leone

T102 La saggezza di Lucrezia

I principati sono di tre tipi: del tutto ereditari, del tutto nuovi (orecenti), misti (in parte ereditari e in parte acquisiti). Il principe cheMachiavelli privilegia nel suo trattato è il principe nuovo: il principeche deve cogliere l’occasione fornita della fortuna per gettare lefondamenta di uno Stato del tutto nuovo. Il principe nuovo è quelloche agisce nei momenti storici più travagliati, come un tempoavevano agito i grandi fondatori degli Stati antichi (Teseo, Mosè,Romolo). Nell’Italia coeva del 1513 Machiavelli vede le stessecondizioni propizie per formare un principato nuovo che ebbero igrandi principi dell’antichità. L’Italia di allora, infatti, composta damolti Stati e staterelli, era invasa da potenze straniere che sicontendono l’egemonia. Machiavelli auspica l’avvento di un principe«redentore» che sappia imporre una nuova egemonia, cacciando i«barbari» invasori. In questo progetto aveva fallito, di poco, ilValentino, dopo aver formato un principato nuovo in Romagna.Rivolgendosi ai Medici, e in particolare a Lorenzo, Machiavelliauspica l’avvento di un principato nuovo a partire dallo Statotoscano.

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LIA T93 Le giornate all’Albergaccio

e la composizione del Principe

T94 Distinzioni preliminari

T95 Il principe nuovo: laperfezione dei modelli antichi

T96 Il principe nuovo: unesemplare quasi perfetto

T100 Esortazione a liberarel’Italia

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14. Niccolò Machiavelli 617

Strumento indispensabile del principe sono le milizie, senza le qualiil suo potere è nullo. Mentre però le milizie mercenarie (usatissimenel Cinquecento) non risultano affidabili, le milizie proprie,composte da uomini fedeli al principe, sono l’unico esercito cheMachiavelli considera affidabile.

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MIL

IZIE

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RIE T100 Esortazione a liberare

l’Italia

TEMI E FO

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ENello stile del Principe convivono uno stile raziocinante, che tendea scomporre la realtà politica nelle sue varie possibilità (uno stileche è stato definito dilemmatico); e uno stile metaforico e

immaginoso, che condensa una complessità concettuale in alcunesimilitudini folgoranti: la volpe e il leone, la fortuna come un fiume inpiena, la donna fortuna, il principe nuovo come redentore, ecc.

LO

STIL

E

T94 Distinzioni preliminari

T98 «Usare la bestia»: la volpe eil leone

T99 Virtù contro fortuna

T100 Esortazione a liberarel’Italia

Fonti

Niccolò Machiavelli, Epistolario, in Tuttele opere, a cura di Mario Martelli,Sansoni, Firenze 1971.

Niccolò Machiavelli, Il Principe, a cura diGiorgio Inglese, Einaudi, Torino 1995.

Giorgio Inglese, Introduzione a NiccolòMachiavelli, Il Principe, Einaudi, Torino1995.

Federico Chabod, Metodo e stile diMachiavelli, in Scritti su Machiavelli,

Einaudi, Torino 1964.

Niccolò Machiavelli, Mandragola, a curadi Gennaro Sasso e Giorgio Inglese,Rizzoli, Milano 1980.

Studi

Felix Gilbert, Machiavelli e il suo tempo, ilMulino, Bologna 1964.

Ezio Raimondi, Politica e commedia, ilMulino, Bologna 1972.

Carlo Dionisotti, Machiavellerie, Einaudi,

Torino 1980.

Gennaro Sasso, Niccolò Machiavelli, 2voll., il Mulino, Bologna 1993.

Quentin Skinner, Machiavelli, il Mulino,Bologna 1999.

Giulio Ferroni, Machiavelli odell’incertezza. La politica come arte delrimedio, Donzelli, Roma 2003.

Francesco Bausi, Machiavelli, SalernoEditrice, Roma 2005.

BIB

LIOG

RA

FIA

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618 I Grandi AutoriV

ERIF

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FIN

ALE Verifica delle conoscenze

●1 Assegna una data (o un intervallo temporale) agli eventi e alle circostanze riportate qui di seguito.

a. Nascita di Niccolò Machiavelli: ________________________________________________

b. Periodo del segretariato fiorentino: ________________________________________________

c. Esilio all’Albergaccio: ________________________________________________

d. Composizione del Principe: ________________________________________________

e. Composizione della Mandragola: ________________________________________________

f. Composizione dell’Arte della guerra: ________________________________________________

g. Ritorno a Firenze: ________________________________________________

h. Composizione delle Istorie fiorentine: ________________________________________________

i. Nuovi incarichi pratici ottenuti dai Medici: ________________________________________________

l. Restaurazione della Repubblica fiorentina e conseguente nuovo allontanamento dalla vita politica: ________________________________________________

●2 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

a. Il periodo di attività politica più intensa è vissuto daMachiavelli quando è al servizio dei Medici, ormai signori diFirenze. V F

b. Niccolò Machiavelli nasce a Firenze da una famiglia ari-stocratica che gli garantisce un’istruzione classica moltorobusta e sistematica. V F

c. Niccolò Machiavelli riceve l’incarico di segretario dellaRepubblica fiorentina da Pier Soderini, eletto a sua voltagonfaloniere. V F

d. Machiavelli scrive le opere maggiori nel corso del perio-do di “ozio” forzato a cui è costretto dopo essere statoallontanato da Firenze. V F

e. L’Arte della guerra è un trattato che richiama la forma delcommentarium, in quanto Machiavelli dialoga idealmentecon gli storici antichi, commentandone le opere. V F

f. Con Machiavelli nasce un’idea di politica intesa comevera e propria scienza, come sapere a sé stante e autono-mo. V F

g. Uno dei presupposti della riflessione politica di Machia-velli è che gli uomini del suo tempo, a differenza dei loropredecessori, si sono dimostrati deboli e corrotti. V F

h. Nella sua attività teatrale Machiavelli recupera i model-li del teatro comico latino e greco, ammodernandoli tutta-via con un’analisi lucida e sarcastica della natura umana.

V F

i. La dirompente novità introdotta da Machiavelli nell’anali-si politica ha esposto la sua opera a censure e fraintendi-menti fino a qualche secolo addietro. V F

l. La Mandragola è considerata il testo teatrale più brillantedel Cinquecento italiano. V F

●3 Per ciascuno dei testi che seguono indica se si tratti di un’opera compiuta oppure incompiuta e il genere di appar-

tenenza.

TITOLO COMPIUTA/INCOMPIUTA GENERE

Il Principe ______________________________________________________

Mandragola ______________________________________________________

Belfagor arcidiavolo ______________________________________________________

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Niccolò Machiavelli 619V

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A FIN

ALE

TITOLO COMPIUTA/INCOMPIUTA GENERE

Dell’arte della guerra ______________________________________________________

Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio ______________________________________________________

Asino ______________________________________________________

Discorso o dialogo della nostra lingua ______________________________________________________

Clizia ______________________________________________________

●4 Sintetizza la posizione sostenuta da Machiavelli sulla “questione della lingua” secondo quanto affermato dall’auto-re nel Discorso o dialogo della nostra lingua.

________________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________________

●5 Completa il testo che segue inserendo le parole date.

argomentative • breve • censura • cinica • condottiero • Dell’arte della guerra • dialogo • dialogo • ma-chiavellismo • poliedrico • rigore • trattato • uomini

Machiavelli è scrittore ...................................... e la sua opera sfugge a ogni classificazione. Il Principe, i Discorsi, ......................................appartengono al genere del ......................................, tuttavia si realizzano in forme e con strategie ...................................... assai diver-se tra loro. Il primo è uno scritto piuttosto ......................................, caratterizzato da una prosa efficace; il secondo si presentacome un ...................................... ideale con le pagine dello storico romano Tito Livio; il terzo, infine, richiama il modello cinque-seicentesco del ...................................... tra due amici di Machiavelli e il ...................................... Fabrizio Colonna.È possibile comunque individuare una legge comune nella straordinaria varietà degli scritti di Machiavelli, consistente nel-la spregiudicata acutezza con la quale si indagano i rapporti reciproci (pubblici e privati) fra gli ....................................... Un cosìstraordinario ...................................... nell’analisi politica non riscuote successo presso i suoi contemporanei, anzi viene ben pre-sto sottoposto al limite della ...................................... e assai facilmente frainteso con una sua deformazione ...................................... eopportunistica: quella che è più corretto definire .......................................

Fare ordine tra le idee

●6 In più testi Machiavelli indugia sulla necessità di organizzare in modo rigoroso la componente militare di uno Sta-to, fornendo indicazioni precise al riguardo. Sulla base dei testi che hai letto, prepara un intervento orale sull’argo-mento della durata di 8 minuti.

●7 “Virtù” e “fortuna”, “uomo” e “bestia”, “golpe” e “lione” sono forse tra i binomi più celebri del Principe. Hanno tuttiun ruolo centrale nella particolare visione politica di Machiavelli, basata sulla considerazione della «verità effettua-le» e su una concezione pessimistica dell’uomo. Facendo riferimento ai testi che hai letto, organizza su questo argo-mento un’esposizione orale di circa 8 minuti.

Confrontare, approfondire, scrivere

●8 Sottolinea le informazioni principali e secondarie contenute nel saggio critico di Giorgio Inglese [uLC6], quindi rias-sumilo nel minor numero di parole possibile.

●9 Lo stile di Machiavelli è assai vario, quanto è varia la sua produzione letteraria: ripercorri le opere che hai letto eargomenta la precedente affermazione in un saggio di circa 300 parole, facendo riferimento ai testi.

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620 I Grandi AutoriV

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ALE Verso l’esame

●10 Leggi la pagina del Principe (cap. XVII) che ti presentiamo e analizzala secondo le indicazioni che seguono.

Dico che ciascuno principe debbe desiderare di essere tenuto piatoso e non crudele:nondimanco debbe avvertire di non usare male questa pietà1. Era tenuto Cesare Bor-gia crudele: nondimanco quella sua crudeltà aveva racconcia la Romagna, unitola,ridottola in pace e in fede2. Il che se si considera bene, si vedrà quello essere stato mol-to più piatoso che il populo fiorentino, il quale, per fuggire il nome di crudele, lasciòdistruggere Pistoia3. Debbe pertanto uno principe non si curare della infamia del cru-dele per tenere e’ sudditi sua uniti e in fede: perché con pochissimi esempli sarà piùpietoso che quelli e’ quali per troppa pietà lasciono seguire e’ disordini, di che ne nascauccisioni o rapine; perché queste sogliono offendere una universalità intera, e quelleesecuzioni che vengono dal principe offendono uno particulare4. E in fra tutti e’ prin-cipi al principe nuovo è impossibile fuggire il nome di crudele, per essere gli stati nuo-vi pieni di pericoli5. [...] Nondimanco debbe essere grave al credere e al muoversi, nési fare paura da sé stesso: e procedere in modo, temperato con prudenza e umanità,che la troppa confidenzia non lo facci incauto e la troppa diffidenzia non lo rendaintollerabile6.

Nasce da questo una disputa, s’e’ gli è meglio essere amato che temuto o e conver-so. Rispondesi che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma perché e’ gli è difficile accoz-zarli insieme, è molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbi a mancaredell’uno de’ dua7. Perché degli uomini si può dire questo, generalmente, che sienoingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi del guadagno;e mentre fai loro bene e’ sono tutti tua, offeronti el sangue, la roba, la vita, e’ figliuo-li, come di sopra dissi, quando el bisogno è discosto: ma quando ti si appressa, si rivol-tono, e quello principe che si è tutto fondato in su le parole loro, trovandosi nudo dialtre preparazioni, ruina8. Perché le amicizie che si acquistono col prezzo, e non congrandezza e nobilità di animo, si meritano, ma elle non si hanno, e alli tempi non sipossono spendere; e li uomini hanno meno rispetto a offendere uno che si facci ama-re, che uno che si facci temere: perché lo amore è tenuto da uno vinculo di obligo, il

1. Dico... pietà: ‘Io affermo che ogni principedeve desiderare di essere considerato com-passionevole (tenuto piatoso) e non crudele:ciò nonostante deve badare a (avvertire di) nonusare male questa compassione’.2. Era... fede: ‘Cesare Borgia era consideratocrudele: ciononostante quella sua crudeltàaveva riordinato e riunificato la Romagna, l’ave-va resa pacifica e fedele’.3. Il che... Pistoia: ‘E se si osservano bene que-sti fatti, si potrà notare che (Cesare Borgia) èstato molto più compassionevole del popolofiorentino; il quale, per non essere consideratocrudele, lasciò che Pistoia fosse distrutta’. Nelmarzo del 1502 il governo fiorentino non ricor-se a un’azione risoluta che ponesse fine al con-flitto fra due famiglie rivali di Pistoia, contri-buendo così alla rovina della città.4. Debbe... particulare: ‘Pertanto un principenon si deve preoccupare che gli venga attribui-ta la cattiva fama di crudele se vuol mantenerei suoi sudditi uniti e fedeli a lui (e in fede); per-ché dando solo pochissimi esempi (di crudeltà)

sarà più compassionevole di quanti, per troppapietà, lasciano accadere disordini, dai qualipossono scaturire (di che ne nasca) stragi eruberie: queste, infatti, colpiscono (soglionooffendere) tutti i cittadini (una universalità inte-ra), mentre le esecuzioni ordinate dal principecolpiscono un solo individuo (uno particulare)’.5. E in fra... pericoli: ‘E fra tutti i principi quel-lo nuovo non può evitare la fama di crudele, dalmomento che gli Stati nuovi (di nuova acquisi-zione) sono pieni di rischi’.6. Nondimanco... intollerabile: ‘Ciononostan-te egli deve essere cauto nel (grave al) presta-re fiducia (credere) e nell’agire (muoversi), enon spaventarsi da solo (cioè per pericoliimmaginari): e deve procedere con un misto diprudenza e di umanità in modo che la troppafiducia non lo renda (non lo facci) imprudentee l’eccessiva diffidenza non lo renda intollera-bile’ ai sudditi.7. Nasce... dua: ‘A questo proposito nasce unadiscussione, se sia meglio essere amato che te-muto o il contrario (e converso, latinismo). Si

può rispondere che bisognerebbe essere l’unoe l’altro (cioè amato e temuto); ma poiché è dif-ficile conciliare questi due aspetti (accozzarli in-sieme), rende più sicuri essere temuti piuttostoche amati, quando non sono possibili contem-poraneamente le due cose (letteralmente: ‘nelcaso venga a mancare uno dei due aspetti’)’.8. Perché... ruina: ‘Degli uomini, infatti, si puòdire questo, in generale: che sono ingrati, volu-bili, che fingono il falso e nascondono il vero(simulatori e dissimulatori), che sono vigliacchi(fuggitori de’ pericoli), avidi (cupidi del guada-gno); e mentre fai loro del bene sono tutti conte, ti offrono (offeronti) il loro sangue, i lorobeni, la vita, i figli, come ho detto prima (nelcap. IX), quando il momento del bisogno è lon-tano (discosto): ma quando questo ti si fa piùvicino (ti si appressa), (gli uomini) girano lespalle, e allora il principe che si è basato esclu-sivamente (si è tutto fondato in) sulle loro pro-messe (parole), ritrovandosi privo (nudo) dialtre difese (di altre preparazioni), perde il pote-re’.

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quale, per essere gl’uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto, ma il timo-re è tenuto da una paura di pena che non ti abbandona mai9.

9. Perché... abbandona mai: ‘Infatti (Perché) lealleanze che si acquistano con il denaro (colprezzo), e non con la grandezza e la nobiltà d’a-nimo, le si pagano (si meritano), ma non le si pos-siedono davvero (non si hanno), e al momento

del bisogno (alli tempi, letteralmente: ‘alla sca-denza’) non si può ricorrere a esse (spendere);e gli uomini hanno meno timore (rispetto) a col-pire uno che si faccia amare, rispetto a uno chesi faccia temere; e questo perché l’amore è con-

servato da un legame di riconoscenza il quale,essendo gli uomini malvagi (tristi), è infranto daogni occasione di tornaconto personale, men-tre il timore è conservato da una paura del ca-stigo (pena) che non ti lascia mai’.

Comprensionea. Dividi il passo in sequenze e individua i legami argomentativi che le tengono insieme, evidenziandoli con la costruzionedi una mappa concettuale (puoi esplicitare la natura dei nessi scrivendoli sopra le frecce che collegano le sequenze indi-viduate, che possono essere di diversa ampiezza).

Analisib. Definisci i concetti di crudeltà, pietà e “verità effettuale” che ricorrono in questo passo.c. Riassumi brevemente i due esempi di pietà e di crudeltà che sono qui citati, mettendone in evidenza gli aspetti contrad-dittori (puoi disporli in una tabella che giustapponga effetti negativi e positivi dei due comportamenti).d. Segnala gli avverbi “nondimeno” presenti in questo passo e spiega per ogni occorrenza il legame fra quanto Machiavel-li ha detto prima e quanto si accinge a dire. Valuta l’importanza di questo tipo di argomentazione nella prosa e nel pensie-ro di Machiavelli.e. Quale giudizio sulla natura umana esprime in questo passo Machiavelli? Dopo averlo spiegato vai alla ricerca di eventua-li conferme in altri passi di questo autore.

Interpretazione e approfondimentof. Esponi le conclusioni alle quali arriva Machiavelli intorno al dilemma se il principe debba essere amato o temuto.g. Collega questo argomento al tema del “principe nuovo” che Machiavelli tratta, per esempio, nel cap. VII [uT96] del Prin-cipe ed esponi le sue teorie in un saggio di circa 600 parole.

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