CRISI DELLA FISICA CLASSICA e FISICA DEI QUANTI della fisica classica e...1.M. Alonso, E. J. Finn,...

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ISTITUTO LOMBARDO ACCADEMIA DI SCIENZE E LETTERE Ciclo formativo per Insegnanti di Scuola Superiore - anno scolastico 2017-2018 Prima lezione - Milano, 10 ottobre 2017 CRISI DELLA FISICA CLASSICA e FISICA DEI QUANTI Luciano Colombo Dipartimento di Fisica - Universit` a degli Studi di Cagliari Cittadella Universitaria, 09042 Monserrato (Ca) E-mail: [email protected] Website: people.unica.it/lucianocolombo © 2017 Luciano Colombo – AVVERTENZA La riproduzione, anche parziale, di questa dispensa in qualsivoglia formato cartaceo, elettronico o multimediale ` e severamente vietata . Eventuali richieste di autorizzazione all’uso di questa Dispensa vanno indirizzate tramite messaggi di posta elettronica direttamente all’Autore.

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ISTITUTO LOMBARDOACCADEMIA DI SCIENZE E LETTERE

Ciclo formativo per Insegnanti di Scuola Superiore - anno scolastico 2017-2018

Prima lezione - Milano, 10 ottobre 2017

CRISI DELLA FISICA CLASSICA e FISICA DEI QUANTI

Luciano ColomboDipartimento di Fisica - Universita degli Studi di CagliariCittadella Universitaria, 09042 Monserrato (Ca)E-mail: [email protected]: people.unica.it/lucianocolombo

© 2017 Luciano Colombo – AVVERTENZA

La riproduzione, anche parziale, di questa dispensa in qualsivoglia formato cartaceo, elettronico omultimediale e severamente vietata.Eventuali richieste di autorizzazione all’uso di questa Dispensa vanno indirizzate tramite messaggidi posta elettronica direttamente all’Autore.

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Presentazione

A circa 100 anni dalla pubblicazione dell’equazione di Schrodinger, l’equazione costitutiva della mecca-nica quantistica, possiamo a ragione considerare quest’ultima come uno dei pilastri portanti della fisicamoderna, con applicazioni che spaziano da problemi di fisica fondamentale alle moderne nanotecnologie.

Attualmente la meccanica quantistica ha raggiunto un grado di raffinata sofisticazione teorica: appa-rato logico-formale di formidabile robustezza concettuale, formulazione matematica rigorosissima, imple-mentazioni numeriche efficienti e versatili. Le sue predizioni sono tra le piu accurate esistenti in campofisico, con verifiche sperimentali di elevatissima precisione.

Questo stato dei fatti puo indurre a sminuire il faticoso, ma entusiasmante, percorso sperimentalee concettuale che ha portato al superamento dei paradigmi classici e al successivo affermarsi della ipo-tesi quantistica. Il formalismo quanto-meccanico viene in certi contesti addirittura presentato in formaassiomatica, prescindendo dal complesso dei fenomeni che l’hanno necessitato.

In questa dispensa riassumero a grandi linee e in forma semplificata le radici fenomenologiche e ifondamenti teorici della vecchia fisica dei quanti, presentandola come un tentativo davvero innovativodi superamento della fisica classica. Gli sviluppi concettuali ad esso connessi presero forma nel primoquarto del XX secolo, allorquando emersero alcune risultanze sperimentali -non spiegabili classicamente-riguardanti problemi di paradigmatica importanza, quali: i calori specifici dei solidi, l’effetto fotoelettrico,lo spettro di emissione di un corpo nero, la diffrazione di elettroni, la stabilita della materia e la naturadiscreta degli spettri atomici di emissione e assorbimento.

Descrivero questo scenario seguendo un criterio storico-concettuale attraverso tre passaggi: la discus-sione di alcuni esperimenti, la constatazione della inadeguatezza della fisica classica a spiegarli e, infine,l’introduzione di concetti del tutto nuovi e propedeutici alla successivo sviluppo formale della meccanicaquantistica. Sebbene questi modelli pre-quantistici siano ovviamente superati alla luce del moderno for-malismo quanto-meccanico, a mio avviso essi vanno nondimeno studiati perche (i) conservano intatta laloro valenza educativa e (ii) rendono ragione di un rivoluzionario cambiamento di paradigma scientifico.

E doveroso sottolineare che questa dispensa non rappresenta ne un trattato di storia della fisica,ne tantomento un manuale di meccanica quantistica; e da intendere piuttosto come un semplice ausiliodidattico offerto agli Insegnanti che seguono questo ciclo di lezioni e come una guida per approfondimentipersonali. Lo stile di scrittura e molto conciso e le argomentazioni sono spesso di tipo euristico, lasciandoalla cura del Lettore la ricostruzione dettagliata di tutti i passaggi ed il completamento del quadroconcettuale. A tal fine e disponibile un gran numero di eccellenti testi dove gli argomenti discussi inquesta modesta dispensa sono trattati molto piu in dettaglio. Tra i tanti, il mio gusto personale preferisce

1. M. Alonso, E. J. Finn, Fundamental University Physics vol.III (Addison-Wesley Publishing Co.,1968)

2. R. Eisberg, R. Resnick, Quantum physics of atoms, molecules, solids, nuclei, and particles (JohnWiley & Sons, 1974)

3. W. Demtroder, Atoms, Molecules, and Photons (Springer, 2006)

4. P. A. Cox, Introduction to Quantum Theory and Atomic Structure, (Oxford Science Publications,2011)

dove si trovano numerosi dettagli, applicazioni, esempi ed esercizi svolti.

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NOTE

• In linea generale, ho cercato di giustificare ogni affermazione fatta. A volte la giustificazione prende laforma di una dimostrazione formale, altre volte si utilizzano evidenze sperimentali, altre volte ancora siusano argomenti di analogia con risultati noti.

• Quando ho ritenuto non essenziale dimostrare un certo risultato (avendo stimato inutilmente complesso ildoverlo fare) ho inserito una chiara indicazione della cosa.

• Al fine di aumentare la leggibilita della dispensa ho adottato alcuni artifizi grafici: (i) ogni capitolo si aprecon un syllabus; (ii) le parole-chiave sono evidenziati in colore blu; (iii) i risultati piu significativi sonoevidenziati con uno sfondo in colore grigio.

• Per quanta cura e attenzione io possa aver messo nel redigere questa dispensa e inevitabile che abbiacommesso errori. Invito il Lettore a segnalarmeli (a mezzo posta elettronica), senza alcun timore di risultarene inopportuno ne sgradito. Al contrario, apprezzero ogni segnalazione intesa a migliorare questa dispensae saro riconoscente per avermela inviata.

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Indice

Costanti fisiche 6

1 La crisi della fisica classica 71.1 Fatti sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.1.1 Calori specifici di gas bi-atomici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81.1.2 Calori specifici dei solidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.1.3 Lo spettro del corpo nero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121.1.4 L’effetto fotoelettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

1.2 Il concetto di quanto di energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171.2.1 La teoria di Planck per lo spettro di corpo nero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171.2.2 La teoria di Einsten per i calori specifici dei solidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181.2.3 La teoria di Einstein per l’effetto fotoelettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

2 Sviluppo fenomenologico della fisica dei quanti 212.1 Spettri atomici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222.2 Modelli atomici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

2.2.1 L’atomo di Thomson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222.2.2 L’atomo di Rutherford . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232.2.3 L’atomo di Bohr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262.2.4 Estensioni del modello di Bohr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

2.3 Dualismo onda–corpuscolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292.3.1 L’ipotesi di de Broglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292.3.2 La diffrazione di elettroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

2.4 Il principio di indeterminazione di Heisenberg . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 322.5 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

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Costanti fisiche

Simbolo Grandezza Valore

R costante universale dei gas 8.314 J K−1

NA numero di Avogadro 6.022×1023

kB costante di Boltzmann 1.3807×10−23 J K−1

kBT a temperatura T=293K 4.05×10−21 Jme massa elettrone 9.11×10−31 Kgmp massa protone 1.67×10−27 Kge carica elettrone 1.60×10−19 Ce/m rapporto carica/massa elettrone 1.76×1011 C Kg−1

h costante di Planck 6.62×10−34 J s~ h/2π 1.05×10−34 J sc velocita della luce nel vuoto 3.00×108 m s−1

σ costante di Stefan 5.67×10−8 W m−2 K−4

R costante di Rydberg 109677 cm−1

µB magnetone di Bohr 9.27×10−24 J T−1

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Capitolo 1

La crisi della fisica classica

Syllabus - Verso la fine del XIX secolo la fisica aveva raggiunto un livello di sviluppo teorico e speri-mentale molto soddisfacente, grazie al quale si poteva rendere conto della maggior parte dei fenomeninaturali allora conosciuti.La meccanica era stata sistemata secondo le formulazioni lagrangiana e hamiltoniana, raggiungendoun livello di assoluto rigore matematico. La derivazione delle quattro equazioni di Maxwell avevariconciliato in un’unica teoria di campo elettromagnetico la vastissima fenomenologia di effetti elettricie magnetici scoperta e investigata negli ultimi cento anni. Parallelamente, l’ottica (sia geometrica chefisica) aveva spiegato tutti i principali fenomeni ondulatori (sia di tipo luminoso sia di tipo meccanico).Infine, la termodinamica aveva permesso di capire in profondita le leggi che governano la generazione,lo scambio e la trasformazione di energia nella forma di calore, chiarendone -attraverso la teoriacinetica- il vero significato microscopico. Cosa importantissima: le conoscenze teoriche avevano unavivace controparte sperimentale che aveva favorito, a sua volta, un impetuoso sviluppo tecnologico.Questo quadro confortante era destinato a essere sconvolto nel giro di pochissimi anni nella transizionetra i secoli XIX e XX. Stava, infatti, per offrirsi all’attenzione dei fisici una ricca serie di nuovifenomeni che sfuggivano ad ogni tentativo di interpretazione basato sulla meccanica, elettromagnetismo,ottica o termodinamica classica. La risposta che la comunita internazionale dei fisici diede a questasfida rappresento probabilmente il momento di piu grande fertilita intellettuale di questa disciplinascientifica: condusse, infatti, alla elaborazione della meccanica quantistica.La meccanica quantistica rappresenta il modo piu completo e sofisticato mai elaborato dall’Uomo perspiegare in modo quantitativo e predittivo i fenomeni naturali alla scala dei costituenti elementari dellamateria. Il suo faticoso sviluppo rappresenta un esempio rappresentativo di come il metodo scientificosia capace di superare e trasformare i propri paradigmi.In questo capitolo, tra le tante diverse fenomenologie che risultano non spiegabili in base alla fisicaclassica, ne discuteremo tre che, per rilevanza concettuale e storica, rivestono un ruolo di specialeimportanza. Discuteremo in particolare (i) i calori specifici di aggregati molecolari e cristallini, (ii)la termodinamica della radiazione (esperimento dello spettro del corpo nero) e (iii) un particolarefenomeno di interazione tra la radiazione elettromagnetica e la materia (effetto fotoelettrico).Il capitolo termina con l’introduzione del rivoluzionario concetto di “quanto di energia” (alla base deglisviluppi teorici trattati successivamente), in base al quale vengono fornite convincenti spiegazioni perlo spettro del corpo nero e per l’effetto fotoelettrico.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 8

1.1 Fatti sperimentali

1.1.1 Calori specifici di gas bi-atomici

E difficile immaginare una parte della fisica classica piu robusta della termodinamica. Eppure, e proprionel contesto termodinamico che possiamo ambientare la prima scoperta della sua inadeguatezza.

Il calore specifico di una certa sostanza a temperatura T rappresenta il calore che e necessario som-ministrare a una massa unitaria di quella sostanza per aumentarne la temperatura di un grado Kelvin.Quando questo processo e eseguito in condizioni di volume costante, si parla di calore specifico a volumecostante CV . La quantita Q di calore scambiato, la variazione di temperatura ∆T ed il calore specificosono legati dalla semplice relazione:

Q = CV ∆T (1.1)

Il primo principio della termodinamica insegna che il calore Q scambiato tra un sistema e l’ambienteesterno, il lavoro prodotto dal sistema W e la variazione della sua energia interna ∆U sono legati dallarelazione

Q = W + ∆U (1.2)

che, in sostanza, sancisce la conservazione dell’energia per processi termodinamici e puo essere postulatosu base sperimentale. Il modo piu semplice per illustrarlo consiste nel considerare un gas contenuto in unrecipiente a pareti fisse, sormontato da un pistone mobile. Somministrando del calore Q al gas, esso: (i)si scalda o, equivalentemente, aumenta la sua energia interna; (ii) scaldandosi, si espande muovendo versol’alto il pistone compiendo lavoro meccanico W . Se il pistone viene mantenuto fisso, non sara possibilecompiere lavoro esterno e, in base al primo principio della termodinamica, tutto il calore assorbito dalsistema andra in aumento di energia interna.

Questo fenomeno puo essere quantificato in base ai risultati della teoria cinetica dei gas. Per una moledi un gas monoatomico ideale, infatti, si ha che:

Q = CV ∆T = ∆U =3

2R∆T (1.3)

dove R e la costante universale dei gas. Da questa relazione risulta immediatamente che

CV =3

2R gas monoatomico ideale (1.4)

Questo risultato e in buon accordo con il dato sperimentale ed e una conferma convincente del

principio di equipartizione dell’energiaa ciascun grado di liberta traslazionale degli atomi di un gas monoatomico all’equilibrio termicoalla temperatura T compete in media un’energia pari a kBT/2

dove kB e la costante di Boltzmann che lega R al numero di Avogadro NA secondo la nota espressionekB = R/NA.

Le cose cambiano se proviamo a estendere questo risultato al caso di un gas biatomico, i cui costi-tuenti elementari sono molecole formate da due atomi legati chimicamente. Cominciamo col considerarequeste molecole biatomiche come entita rigide. In altre parole, assumiamo che i due atomi mantenganonel tempo la distanza reciproca. Un tale oggetto e animato da due tipi di moto: (i) puo traslare nellospazio (diremo che possiede 3 gradi di liberta traslazionali, associati al moto del centro di massa) e (ii)puo ruotare attorno alle due direzioni perpendicolari al suo asse molecolare (diremo che possiede 5 gradidi liberta rotazionali). Assumendo di poter applicare il principio di equipartizione dell’energia a tutti itipi di gradi di liberta, possiamo concludere che all’equilibrio termico alla temperatura T ogni molecolapossiedera in media una energia pari a 5

2kBT e, quindi, il calore specifico a volume costante risultera essere

CV =3

2R gas biatomico (molecole rigide) (1.5)

Questa volta l’accordo con i dati sperimentali e decisamente insoddisfacente. I valori misurati di CV ,infatti, approssimano quello teorico soltanto in un limitato intervallo di temperature, come illustrato inFig.1.1.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 9

3R/2

5R/2

7R/2

CV

100 500 2500 T [K]

gradi di libertà

vibrazionali

gradi di libertà

rotazionali

gradi di libertà

traslazionali

calore specifico a volume costante per un gas H2

Figura 1.1: Andamento del calore specifico CV a volume costante per il gas biatomico H2 in funzionedella temperatura (riportata in scala logaritmica).

Appare evidente che la predizione teorica risulta questa volta inadeguata sia alle basse, che alle altetemperature. In particolare si osserva che:

• alle basse temperature il gas biatomico sembra comportarsi come un gas monoatomico; in altreparole, sembra che i gradi di liberta rotazionali siano stati “congelati” e che non debbano essereinclusi nella applicazione del principio di equipartizione dell’energia;

• alle alte temperature il gas biatomico sembra acquisire due nuovi gradi di liberta che portano ilvalore di CV a 7

2R.

L’unico modo possibile per riconciliare teoria cinetica e dato sperimentale e ammettere che al progressivoaumentare della temperatura, vengano “accesi” sempre piu gradi di liberta. Alle basse temperature, lamolecola e animata solo da moto traslatorio; a temperature intermedie vengono innescati anche i modi dirotazione; infine, alle alte temperature i due atomi non possono piu essere considerati fissi, ma acquistanociascuno un grado di liberta vibrazionale lungo l’asse molecolare1. In altre parole, cioe, la molecolanon puo piu essere vista come una unita rigida. Questa interpretazione trova solo una giustificazioneeuristica, ma non e pienamente soddisfacente. Infatti, non vi e modo di spiegare perche debba esistereuna dipendenza dalla temperatura del numero e tipo di gradi di liberta molecolari attivi. Questa difficoltarappresenta un importante fallimento della teoria cinetica classica dei gas.

1.1.2 Calori specifici dei solidi

Da un punto di vista strutturale, possiamo descrivere un solido come una distribuzione spaziale ordinatae periodica di atomi. L’insieme di posizioni nello spazio occupate dagli atomi viene chiamato reticolocristallino.

La differenza fondamentale tra un solido e un gas e che, mentre in quest’ultimo gli atomi (o molecole)sono liberi di muoversi nello spazio, in un solido gli atomi sono vincolati ai siti reticolari (per temperatureinferiori a quella di fusione). Essi, al piu, possono oscillare attorno alla loro posizione di equilibrio, conampiezza variabile in funzione della temperatura. Affinche, tuttavia, un atomo possa essere confinatoin prossimita di un sito anche a temperatura finita, e necessario che su di esso agisca un potenziale“confinante”, ovvero che esista una forza di richiamo che impedisca all’atomo il definitivo allontanamento.E chiaro, dunque, che nel caso di un solido non potremo applicare la teoria cinetica del gas ideale dove,invece, si escludono a priori azioni di forza tra gli atomi.

1Questo modo di giustificare i due nuovi gradi di liberta vibrazionali non e rigoroso, come verra discusso piu avanti aproposito del calore specifico dei solidi. Tuttavia esso rappresenta un semplice e efficace modo per visualizzare il fenomenodell’ “accensione” dei moti di vibrazione molecolare.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 10

Per poter procedere, abbiamo bisogno di specificare la natura del potenziale “confinante” che ciascunatomo di un solido sperimenta. Un ottimo modello approssimato (efficace nel descrivere moltissimeproprieta della materia allo stato solido) consiste nell’assumere che ogni atomo oscilli sul fondo di unabuca di potenziale di tipo armonico. In altre parole, possiamo assumere che ogni atomo sia vincolatoalla propria posizione di equilibrio da un potenziale elastico di tipo armonico. Cio equivale a ammetterel’esistenza di una forza di richiamo del tipo F = −γr, dove r rappresenta il vettore spostamento dal sitoreticolare e γ la costante elastica della “molla efficace” di richiamo all’equilibrio. Poiche ciascun atomopuo oscillare nelle tre dimensioni, possiamo facilmente scrivere la sua energia totale ET :

ET =1

2mv2x +

1

2mv2y +

1

2mv2z +

1

2γx2 +

1

2kγy2 +

1

2γz2 (1.6)

avendo, per semplicita, assunto che la costante di forza γ sia la stessa nelle tre direzioni e che il vettorespostamento r abbia componenti (x, y, z).

T [K]

CV

100 200 300

3R

calore specifico a volume costante per un solido di argento

dati sperimentali

legge di Dulong-Petit

Figura 1.2: Confronto tra la legge di Dulong e Petit (linea tratteggiata) e i dati sperimentali (lineacontinua) per il calore specifico a volume costante di un solido di argento.

La differenza fondamentale tra un atomo di un gas ideale e quello di un cristallo armonico consistenella presenza di tre contributi di energia potenziale elastica nell’energia totale di quest’ultimo. Notia-mo, pero, che esiste una caratteristica comune ai contributi cinetici e potenziali nell’espressione di ET :entrambi sono quadratici. I termini cinetici, infatti, dipendono dal quadrato della velocita, mentre quellipotenziali dal quadrato dello spostamento. Questa analogia formale ci consente di giustificare una impor-tante

estensione del principio di equipartizione dell’energiaassumeremo che per un sistema all’equilibrio termico alla temperatura T competa, in media,un’energia pari a kBT/2 ad ogni grado di liberta che introduca un termine quadratico nelleposizioni o nelle velocita nell’espressione dell’energia totale.

Questa formulazione generale del principio puo essere dimostrata rigorosamente con i metodi dellameccanica statistica.

Considerando dunque un solido costituito da N atomi e supponendo che sia all’equilibrio alla tempe-ratura T possiamo immediatamente scrivere la sua energia interna come U = 3NkBT e, per una mole disostanza (cioe N = NA), ricavare il calore specifico:

CV = 3R solido cristallino armonico (1.7)

Questo risultato e noto come legge di Dulong e Petit ed e verificato in buona approssimazione da moltissimisolidi a temperature sufficientemente alte. Quando, tuttavia, si scende in temperatura, le risultanzesperimentali evidenziano forti deviazioni dalla legge di Dulong e Petit, fino a dimostrare che CV siannulla a temperatura zero. Questo risultato e illustrato in Fig.1.2.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 11

L’incapacita di spiegare il calore specifico dei solidi alle basse temperature costituisce un nuovo im-portante fallimento della fisica classica. Per riconciliare teoria e esperimento bisognera, infatti, sostituirela descrizione di un atomo cristallino come oscillatore classico, con quella piu rigorosa di un oscillatoreche obbedisce alle regole della fisica quantistica.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 12

1.1.3 Lo spettro del corpo nero

Generalita sulla termodinamica della radiazione

E esperienza comune che un corpo a temperatura sufficientemente alta irradia calore, facilmente per-cepibile anche senza strumenti sofisticati (si pensi al termosifone o alla stufa usati per riscaldamentodomestico). Questo fatto rappresenta una manifestazione del fenomeno dell’irraggiamento termico: ognicorpo che si trovi a una temperatura superiore allo zero assoluto emette radiazione elettromagnetica.Tale radiazione (che, spesso, e indicata come radiazione termica per ricordare lo stretto legame con latemperatura) e distribuita su tutto lo spettro delle frequenze e la sua intensita aumenta con l’aumentaredella temperatura. La distribuzione spettrale della radiazione termica manifesta un massimo in corri-spondenza di una frequenza νmax che aumenta all’aumentare della temperatura del corpo. Anche questofenomeno rientra nella nostra esperienza quotidiana: limitandosi, per esempio, a quella porzione dellospettro elettromagnetico che corrisponde alla luce visibile (cioe a quella parte dello spettro che puo essererivelata dall’occhio umano) e noto che scaldando sempre piu un pezzo di metallo, il suo colore passa dalrosso, all’arancio, al bianco. Il massimo di emissione di radiazione da parte del metallo avviene, cioe, afrequenze sempre maggiori.

In generale, caratterizziamo la radiazione termica emessa da un corpo qualunque tramite il suo potereemissivo spettrale eν (detto anche brillanza spettrale) che rappresenta la quantita di energia elettroma-gnetica emessa nell’unita di tempo dall’unita di superficie nell’intervallo di frequenze [ν, ν+dν]. Il potereemissivo spettrale e legato da una semplice relazione alla densita di energia elettromagnetica uν emessa:

eν =c

4uν (1.8)

dove c e la velocita della luce2.Naturalmente, un corpo puo anche assorbire radiazione elettromagnetica (infatti, stando al sole ci si

scalda ...). Possiamo quantificare il processo di assorbimento tramite il potere assorbente spettrale aν (oassorbanza spettrale), definito come la quantita di energia elettromagnetica assorbita nell’unita di tempodall’unita di superficie nell’intervallo di frequenze [ν, ν+dν]. E naturale aspettarsi che eν e aν dipendano,presi singolarmente, dalla natura chimico–fisica del corpo che stiamo considerando (un pezzo di metalloesposto all’irraggiamento solare si scalda diversamente da un pezzo di plastica) e dalle caratteristiche dellasua superficie (un corpo di superficie lucida assorbe meno radiazione di un corpo di uguale natura, macon superficie opaca). Tuttavia e possibile dimostrare sperimentalmente che, per ogni fissata frequenzaν, il loro rapporto Σν(T ) e una funzione universale della sola temperatura. In altre parole, vale la seguente

legge di Kirchhoff

Σν(T ) =eνaν

(1.9)

dove Σν(T ) non dipende in alcun modo dallo specifico corpo considerato, ma solo dalla sua temperatura.E utile introdurre a questo punto il concetto di

corpo neroun corpo capace di assorbire tutta la radiazione elettromagnetica su di esso incidente aqualunque frequenza.

In altre parole, un corpo nero e un oggetto che non riflette (ne trasmette) radiazione. Il concetto dicorpo nero e un’astrazione, ma possiamo citare diversi esempi pratici in cui un oggetto si comporta quasiesattamente come un corpo nero. Si pensi, per esempio, a una cavita ricavata dentro a un oggetto comerappresentata in Fig.1.3. La radiazione elettromagnetica puo penetrare entro la cavita (caratterizzata dapareti riflettenti) attraverso una piccola apertura. Una volta entrata nella cavita, la radiazione rimaneivi “intrappolata”, perche e molto poco probabile che riesca a fuoriscire attraverso la piccola fenditura.In altre parole, la cavita assorbe praticamente tutta la radiazione che riceve. E, quindi, un corpo neroa tutti gli effetti pratici. Segue immediatamente dalla definizione data che un corpo nero ha potereassorbente spettrale unitario a qualunque frequenza: aν(corpo nero) = 1. La legge di Kirchhoff, dunque,puo essere interpretata come segue: il rapporto tra potere emissivo e potere assorbente di un corpoqualsiasi a un certa frequenza e temperatura e sempre uguale al potere emissivo del corpo nero a quella

2Questo risultato e ricavato in ogni buon testo di elettromagnetismo.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 13

radiazione elettromagneticaentrante nella cavità

radiazione "intrappolata"

pareti della cavità

schema concettuale di un corpo nero

Figura 1.3: Rappresentazione schematica di un corpo nero come cavita.

frequenza e temperatura. Da questa semplice deduzione, discende l’enorme importanza concettuale che hail corpo nero per quel capitolo della fisica che si occupa di termodinamica della radiazione. Se conosciamolo spettro di emissione del corpo nero, siamo in grado di risalire, tramite la legge di Kirchhoff, allecaratteristiche di assorbimento e emissione di un qualsiasi altro oggetto. Per questo motivo, il corpo nerofu dettagliatamente studiato negli ultimi tre decenni del XIX secolo.

Misura sperimentale dello spettro di corpo nero

Il tipico apparato sperimentale per lo studio dello spettro di emissione del corpo nero e schematicamenterappresentato in Fig.1.4: la cavita rappresenta il corpo nero le cui pareti vengono portate a temperaturadesiderata tramite accoppiamento con il termostato. La materia che forma queste pareti emette radiazionetermica che rimane intrappolata nella cavita3. Se pratichiamo un orefizio attraverso una parete, laradiazione termica puo fuoriuscire, ovvero viene emesso lo spettro di corpo nero che e infine raccolto eanalizzato (sia in intensita sia in distribuzione spettrale) da un rivelatore.

Il risultato sperimentale e descritto in Fig.1.5 dove viene riportata la densita di energia elettroma-gnetica uν emessa da un corpo nero a diverse temperature, in funzione della frequenza ν. L’analisiquantitativa delle curve sperimentali ha permesso di stabilire alcune leggi fenomenologiche:

• la densita totale di energia elettromagnetica u (graficamente: l’area della curva sottesa dalla fun-zione uν) e proporzionale alla quarta potenza della temperatura T del corpo nero:

legge di Stefan (1879)

u =

∫ +∞

0

uνdν = σT 4 (1.10)

dove σ = 5.67× 10−8 Wm−2K−4 e detta costante di Stefan;

• la frequenza νmax alla quale si ha il massimo della densita spettrale della radiazione di corpo nerodipende in modo direttamente proporzionale dalla temperatura:

legge di Wien (1893)νmax

T= costante (1.11)

3Piu rigorosamente, diremo che la radiazione emessa dalle pareti della cavita rimane ivi confinata dando origine a unsistema di onde elettromagnetiche stazionarie.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 14

schema di un apparato sperimenatle

per la misura dello spettro di corpo nero

termostato

cavità di corpo nero radiazione di corpo nero

emessa dalla cavità

rivelatore

radiazione

Figura 1.4: Schema dell’apparato sperimentale per la rivelazione dello spettro di corpo nero.

(questa legge e anche nota come legge dello spostamento).

Il modello classico per lo spettro di corpo nero

Il tentativo classico di spiegazione di queste risultanze sperimentali e delle corrispondenti leggi fenomeno-logiche fu elaborato come segue. Quando la radiazione di corpo nero presente nella cavita e in equilibriotermico con la materia che costituisce le pareti di quest’ultima, allora deve esserci corrispondenza trala distribuzione di energia della radiazione e quella degli atomi che formano il materiale delle pareti4.Calcoliamo quella relativa agli atomi che, essendo animati da moti di oscillazione termica, funzionanocome oscillatori armonici.

Dalla meccanica classica sappiamo che un oscillatore armonico di massa m, frequenza propria ν eampiezza di oscillazione R possiede energia

E(ν,R) = 2π2mν2R2 (1.12)

ovvero puo possedere qualunque valore continuo di energia (purche la frequenza e l’ampiezza di oscillazioneabbiano valori opportuni). Dunque, classicamente la radiazione di corpo nero e descritta come un insiemedi onde stazionarie confinate nella cavita con distribuzione continua di frequenze. E possibile calcolareche il numero dnν di onde per unita di volume con frequenza compresa nell’intervallo [ν, ν + dν] e5

dnν =8π

c3ν2dν (1.13)

cui, a temperatura T , corrisponde una energia media per unita di volume e per intervallo spettrale[ν, ν + dν] pari a:

uνdν = 〈E〉 dnν = kBTdnν (1.14)

dove abbiamo fatto uso del principio di equipartizione dell’energia, imponendo che l’energia media di unoscillatore armonico sia 〈E〉 = kBT all’equilibrio termico. Segue immediatamente che per la densita dienergia uν vale la seguente espressione

4Se cosı non fosse, si osserverebbe un flusso di energia tra parete e radiazione, o viceversa. Possiamo, percio calcolareindifferentemente la distribuzione di energia degli atomi o della radiazione, a seconda della nostra convenienza: le duedistribuzioni sono uguali in virtu di questo equilibrio.

5Questo risultato e ricavato nei primi tre libri citati nella Introduzione.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 15

Figura 1.5: Lo spettro di corpo nero a diverse temperature (linee continue). La linea tratteggiatarappresenta la legge classica di Rayleigh–Jeans.

legge di Rayleigh–Jeans

uν =8π

c3ν2kBT (1.15)

Il confronto tra i risultati sperimentali e il modello teorico che abbiamo fin qui sviluppato e riassuntoin Fig.1.5. Come si vede possiamo ritenere buono tale accordo nel limite di piccole frequenze, mentreesso risulta assolutamente insoddisfacente alle alte frequenze: il modello di Rayleigh–Jeans, infatti, nonprevede l’esistenza di un massimo per uν che, addirittura, cresce in modo monotono fino a divergereper frequenze elevate. La conseguenza di cio e importante: integrando l’eq.(1.15) su tutto lo spettro, siottiene un risultato infinito. Questo risultato negativo fu chiamato catastrofe ultravioletta per indicareil fallimento della teoria alle alte frequenze. Il risultato trovato e particolarmente insoddisfacente perche:(i) contrasta con il principio di conservazione dell’energia6; (ii) non permette di spiegare la legge di Stefan;(iii) non consente di giustificare il valore numerico della costante di Stefan σ.

In conclusione, la fisica classica non riesce a spiegare lo spettro di emissione di un corpo nero.

6Basterebbe scaldare un corpo nero a una qualunque temperatura maggiore di zero per emettere una quantita infinitadi energia.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 16

1.1.4 L’effetto fotoelettrico

Si consideri l’apparato sperimentale di Fig.1.6 (sinistra) dove due armature metalliche A (anodo) e C(catodo) sono inserite in un tubo a vuoto. Le due armature sono collegate a un generatore V di differenzadi potenziale e il circuito e completato da un misuratore di intensita di corrente elettrica G. In condizioninormali, ovviamente, il misuratore G non registra il passaggio di alcuna corrente. Tuttavia, qualora ilcatodo C venga illuminato da una radiazione elettromagnetica opportuna, si osserva passaggio di correntenel circuito. Questo fenomeno, scoperto e analizzato in due fasi distinte da Hertz e da Hallwachs e Lenard,fu chiamato effetto fotoelelettrico.

La cosa importante da sottolineare in modo particolare e che si osserva passaggio di corrente solose la radiazione incidente ha frequenza opportuna. Per esempio, se le due armature C e A sono di tipometallico, si osserva effetto fotoelettrico solo se la frequenza e maggiore o uguale a quella della luceultravioletta. Per frequenze inferiori, non si osservera mai il fenomeno, neanche aumentando di moltol’intensita della radiazione. In condizioni di opportuna illuminazione (cioe fissando la frequenza dellaluce a un valore opportuno), si osserva tra anodo e catodo una corrente elettrica I il cui andamento infunzione della differenza di potenziale V tra C e A e illustrato in Fig.1.6. Questa curva sperimentale haalcune caratteristiche importanti:

• I e diversa da zero anche quando V = 0;

• I satura a un valore massimo, oltre il quale non si riesce a andare, neanche aumentando arbitraria-mente la differenza di potenziale;

• esiste un valore di differenza di potenziale negativo (cioe corrispondende a una situazione di inver-sione di polarita della V) in corrispondenza del quale I si annulla;

• mantenendo la frequenza della luce costante a un valore opportuno, ma aumentando l’intensitadella stessa, la corrente satura a un valore di intensita maggiore.

cato

do a

no

do

generatore

d.d.p.

interruttore

Gtubo a vuoto

differenza di

potenziale V

intensità fotocorrente

radiazione ad alta intensità

radiazione a bassa intensità

potenziale

di arresto

correnti di

saturazioneradiazione

elettromagnetica

Figura 1.6: Sinistra: schema dell’apparato sperimentale per l’osservazione dell’effetto fotoelettrico.Destra: tipiche curve caratteristiche tensione-corrente misurate per questo apparato.

Nessuna di queste quattro caratteristiche fondamentali dell’effetto fotoelettrico e spiegabile con lateoria classica di Maxwell, dove la radiazione elettromagnetica e descritta come un’onda in cui unacomponente di campo elettrico ed una di campo magnetico propagano nello spazio, oscillando lungodirezioni normali.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 17

1.2 Il concetto di quanto di energia

1.2.1 La teoria di Planck per lo spettro di corpo nero

L’enigma dello spettro di corpo nero fu risolto da Planck nel 1900 con l’introduzione di una ipotesi rivo-luzionaria:

ipotesi di Planckciascun oscillatore armonico radiativo potesse emettere (e, equivalentemente, assorbire) energiasolo in quantita proporzionali alla sua frequenza ν.

Questa ipotesi corrisponde a ammettere che ’energia di un oscillatore atomico sia quantizzata. L’aggettivo“quantizzata” significa che tale energia non e piu una funzione continua della frequenza, ma diventa unagrandezza discreta, una situazione in totale discontinuita con la teoria elettromagnetica classica che, inve-ce, prevede che energia emessa (o assorbita) e frequenza di oscillazione siano direttamente proporzionalie variabili con continuita. Operativamente, Planck sostituı l’eq.(1.12) con la seguente espressione

En = nhν (1.16)

dove n = 1, 2, 3, · · · e un numero intero qualunque e h e una opportuna costante di proporzionalita il cuivalore deve essere ancora determinato.

Planck ripercorse il ragionamento che abbiamo gia schematicamente sviluppato in precedenza, utiliz-zando la nuova espressione per l’energia di oscillatore. Ovviamente non possiamo piu utilizzare il principiodi equipartizione per calcolare la loro energia media 〈E〉 perche non possiamo piu basarci su una descri-zione termodinamica classica. Dovremo, piuttosto, ragionare secondo i principi generali della statistica:dunque 〈E〉 si calcola come una opportuna media pesata. Sia p(En) la probabilita che un oscillatoreabbia energia En data in eq.(1.16): possiamo scrivere 〈E〉 =

∑n p(En)En. Il punto-chiave e conoscere

quanto valga p(En): esso e nota come legge di distribuzione di Boltzmann p(En) = exp(−En/kBT )∑n exp(−En/kBT ) ed

e ricavata sperimentalmente7. Il calcolo e svolto nella Esercitazione no.1.Il risultato ottenuto e rappresentato dalla

legge di Planck per lo spettro di corpo nero

uν =8πh

c3ν3

exp(hνkBT

)− 1

(1.17)

Questa formula e in ottimo accordo con i dati sperimentali. Infatti:

• il limite per frequenze infinite e zero;

• il limite per frequenza nulla e zero;

• il limite per frequenze piccole e uν ∼ ν2, in accordo con la teoria di Rayleigh–Jeans;

• la uν data in eq.(1.17) ammette un massimo per una certa frequenza νmax che dipende linearmentedalla temperatura;

• il grafico della uν data in eq.(1.17) per ogni data temperatura e indistinguibile dalle curve speri-mentali su tutto lo spettro di frequenze.

Il valore di h fu ottenuta per calibrazione sulle curve sperimentali. Ad essa e assegnato il valore numerico

7La legge di Boltzmann vale non solo per gli oscillatori armonici, ma per qualunque sistema fisico. L’esperimento piusemplice per verificarla consiste nello studiare come varia la densita di un gas soggetto all’azione della forza di gravita. Enoto che esso e piu denso alla base, piu rarefatto in alto: la densita varia con continuita tra questi due estremi, seguendouna legge di esponenziale inverso data proprio dalla distribuzione di Boltzmann. In questo caso le energie non sono quelledi oscillatore, ma piuttosto le energie potenziali gravitazionali mgz delle particelle del gas di massa m poste ad altezza zdal fondo del recipiente che lo contiene.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 18

costante di Planck

h = 6.62× 10−34 J s (1.18)

L’ipotesi di quantizzazione delle energie introdotta da Planck ebbe, nonostante il suo carattererivoluzionario, grande eco in virtu dell’eccellente accordo teoria–esperimento che essa forniva.

1.2.2 La teoria di Einsten per i calori specifici dei solidi

L’ipotesi di Planck fu immediatamente adottata da Einstein per tentare di risolvere il problema ancoraaperto del calore specifico dei solidi. Considerando, dunque, gli N atomi di un reticolo cristallino comeoscillatori armonici quantizzati tridimensionali, Einstein ricavo una nuova espressione per l’energia in-terna U di un solido, ottenendo:

U = 3Nhν

exp(hνkBT

)− 1

solido cristallino armonico quantizzato (1.19)

Nel caso di volume costante, il primo principio della termodinamica consente di scrivere per una variazionefinita ∆T di temperatura:

CV =∆U

∆T(1.20)

Estendendo questa espressione al caso di trasformazioni infinitesime a volume costante otteniamo imme-diatamente che

legge quantistica per il calore specifico dei solidi

CV =dU

dT= 3R

hνkBT

exp(hνkBT

)− 1

2

exp

(hν

kBT

)(1.21)

dove abbiamo considerato una mole di sostanza per la quale N = NA. Considerando questa nuovaespressione per il calore specifico di un solido, e facile dimostrare che:

• il limite per temperatura nulla e zero;

• il limite per temperatura infinita e 3R.

Inoltre, la rappresentazione grafica di eq.(1.21) riproduce quasi esattamente l’andamento sperimentale diFig.1.2 per tutti i materiali considerati8.

1.2.3 La teoria di Einstein per l’effetto fotoelettrico

L’interpretazione teorica dell’effetto fotoelettrico fu elaborata ancora da Einstein nel 1905. Innanzituttova osservato che affinche circoli corrente nel circuito di Fig.1.6 e necessario ammettere che portatori dicarica (elettroni, in questo caso) siano emessi da catodo. Essi, accelerati dalla tensione generata daV, verranno raccolti sull’anodo e, quindi, rivelati da G. Bisogna, quindi, ammettere che la radiazioneelettromagnetica abbia, in opportune condizioni, la capacita di estrarre elettroni dalla superficie metallicadel catodo.

Utilizzando il concetto di quantizzazione di Planck, venne formulata la

8E possibile migliorare ulteriormente l’accordo con il dato sperimentale, ammettendo che gli N atomi di un cristallopossano oscillare a frequenze diverse. Esisteranno, quindi, per ciascun materiale considerato delle frequenze proprie dioscillazione su ciascuna delle quali si puo ripetere il ragionamento di Einstein, pervenendo a una formula solo leggermentediversa, ma in eccellente accordo con gli esperimenti. Il fatto che gli atomi di un cristallo possano oscillare a diversefrequenze e conseguenza diretta delle loro interazioni reciproche. Questo miglioramento della teoria di Einstein fu dovutoal fisico Debye.

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 19

ipotesi di Einsteinuna radiazione elettromagnetica di frequenza ν e rappresentabile come un flusso di pacchettidi luce, ciascuno avente energia pari a hν.

Questi pacchetti furono chiamati fotoni o quanti di luce. In altre parole Einstein sostituı la descrizionetradizionale della luce come fenomeno ondulatorio, con una descrizione corpuscolare: un raggio luminosodi frequenza ν e un flusso di fotoni di energia hν.

Si chiarisce il meccanismo di interazione radiazione-materia: ciascun fotone incidente sul catodo puointeragire con gli elettroni di conduzione e trasmettere a uno di essi tutta la sua energia. In altre parole,il meccanismo di interazione radiazione–materia tra luce e catodo e descritto come una serie di interazionitra corpuscoli (elettroni e fotoni) che scambiano energia.

Un elettrone che acquista energia hν da un fotone fuoriesce dalla superficie metallica solo se la suaenergia cinetica Ecin e maggiore o al piu uguale al lavoro di estrazione W del metallo. Ricordiamo che illavoro di estrazione di un metallo rappresenta la minima quantita di energia che e necessario trasmetterea un elettrone immerso in un metallo affinche venga rotto il suo legame col metallo stesso. Questagrandezza assume un valore caratteristico tipica per ciascun metallo. Tipicamente W ha il valore dialcuni elettronvolt (eV) per i metalli piu noti. Ricordiamo che l’elettronvolt rappresenta una unita dimisura di energia cosı definita: 1 eV e l’energia cinetica acquistata da un elettrone accelerato da unadifferenza di potenziale pari a 1 volt. Quindi, poiche si ha che

Ecin = hν −W (1.22)

la condizione minima per osservare estrazione di elettroni, ovvero per misurare corrente nel circuito,risulta essere:

hν > W (1.23)

Quindi, l’ipotesi di esistenza del fotone spiega in modo naturale perche la manifestazione dell’effettofotoelettrico dipenda dalla frequenza della radiazione usata. Possiamo, poi, aggiungere una stima quan-titativa per la cosidetta frequenza di soglia ν0 al di sotto della quale non si osservera mai fotoemissionedi elettroni:

ν0 =W

h(1.24)

che corrisponde, per i metalli, a una frequenza ultravioletta.

anodo

cato

do

fotone incidente velocità iniziale

elettrone

fotoemesso

traiettoria

elettrone

fotoemesso

campo

elettrico

anodo

cato

do

fotone incidente

velocità iniziale

elettrone

fotoemesso

traiettoria

elettrone

fotoemesso

campo

elettrico

apparato in condizioni di

polarizzazione diretta V>0

apparato in condizioni di

polarizzazione inversa V<0

Figura 1.7: Analisi grafica qualitativa delle traiettorie degli elettroni fotoemessi dal catodo e acceleratidal campo elettrico esistente tra catodo ed anodo. Si faccia attenzione: la curvatura delle traiettorie estata rappresentata solo in modo qualitativo per dare l’idea del fenomeno discusso nel testo. Solo uncalcolo accurato puo fornire esattamente tale curvatura.

L’ipotesi di Einstein consente anche di spiegare l’andamento della corrente in funzione della tensioneapplicata. Il generico elettrone fotoemesso fuoriesce dalla superficie del catodo con una vettore velocita

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CAPITOLO 1. LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA 20

orientato a caso. Tale velocita iniziale, quindi, possiede una componente orizzontale e una verticale.Poiche tra le due armature esiste un campo elettrico costante e uniforme, l’elettrone subisce l’azione di unaforza costante diretta orizzontalmente, cosı come indicato in Fig.1.7. Il moto risultante e descritto da unarco di parabola, la cui curvatura dipende dal modulo e dalla direzione della velocita iniziale dell’elettronefotoemesso, cosı come dal valore della differenza di potenziale elettrostatico applicata tra catodo ed anodo.In generale, non tutte le traiettorie hanno una curvatura tale per cui l’elettrone possa venire raccoltosull’anodo. Tuttavia, se aumentiamo la differenza di potenziale, riusciremo a curvare sempre piu letraiettorie, fino a raggiungere il valore in corrispondenza del quale tutti gli elettroni fotoemessi dal catodovengono raccolti sull’anodo: questa condizione corrisponde alla condizione di corrente di saturazione.

Al contrario, se invertiamo la polarita del generatore V, otteniamo l’effetto di curvare le traiettoredegli elettroni emessi in direzione opposta, cioe faremo deflettere gli elettroni uscenti verso il catodo.Quando la differenza di potenziale negativa raggiunge un certo valore, allora tutti gli elettroni emessitornano sul catodo e la corrente si annulla. Questo valore di differenza di potenziale negativa si chiamapotenziale di arresto Varresto.

Infine, i diversi valori di corrente di saturazione che si osservano al variare della intensita della radia-zione, sono anch’essi spiegabili in base a questa interpretazione corpuscolare della luce: infatti, aumentarel’intensita di un fascio luminoso, infatti, significa aumentare il numero di fotoni contenuti nel fascio. Unfascio piu intenso (di opportuna frequenza), dunque, depositera un maggior numero di fotoni sulla su-perficie del catodo e conseguentemente fara emettere un maggior numero di elettroni. Cio equivale araggiungere correnti di maggior intensita.

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Capitolo 2

Sviluppo fenomenologico della fisicadei quanti

Syllabus - Questo capitolo si apre con la discussione di una serie di risultanze sperimentali emerseagli inizi del XX secolo a riguardo degli spettri di emissione e assorbimento di radiazione elettroma-gnetica da parte di sistemi atomici. Ancora una volta, le misure risultarono sconcertanti perche nongiustificabili classicamente.Per cercare la risposta ai nuovi enigmi fu prima di tutto necessario elaborare modelli sulla struttura degliatomi, ovvero dei costituenti elementari della materia. Dopo alcuni tentativi fallimentari, Rutherfordpresento il suo modello di atomo planetario (o atomo nucleare), finalmente capace di spiegare il famosoesperimento di diffusione di particelle α.L’esistenza di un atomo planetario alla Rutherford si rivelo presto incompatibile con le leggi dellafisica classica. Questa nuova inadeguatezza produsse un ulteriore gigantesco balzo concettuale verso lameccanica quantistica: infatti, Bohr formulo il primo modello teorico per la struttura dell’atomo capacedi spiegare tutti i fenomeni allora noti. La teoria di Bohr ha la notevole caratteristica di essere fondatasu postulati che (i) sanciscono a priori la quantizzazione di certe grandezze fisiche e (ii) definisconole regole microscopiche di assorbimento/emissione di fotoni. Entrambi questi postulati marcano unaprofonda discontinuita con i paradigmi della fisica classica.Il capitolo termina con la presentazione dell’ultimo mattone concettuale della teoria quantistica, ovvero:il concetto di dualismo onda–corpuscolo, introdotto da de Broglie per rendere conto degli esperimentidi diffrazione di un fascio elettronico da parte di una struttura cristallina. Ad esso e legato il principiodi indeterminazione di Heinsenberg che introduce una novita epistemologica notevole: l’impossibilitadi accedere ad una contemporanea conoscenza esatta di posizione e velocita di una particella. La fisicaclassica e ormai dietro le spalle.

21

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 22

2.1 Spettri atomici

Riferiamoci, per semplicita, all’atomo di idrogeno che, come noto, e formato da un elettrone legato a unnucleo positivo formato da un solo protone. Se si misura sperimentalmente la frequenza della radiazioneelettromagnetica emessa da questo atomo, si ottiene il risultato rappresentato in Fig.2.1 da cui si evinceuna cosa importantissima: la radiazione emessa da un atomo possiede solamente alcune lunghezze d’ondadeterminate (o, analogalmente, alcune frequenze determinate). In altre parole, lo spettro di emissione ediscreto. Tali lunghezze d’onda si raggruppano inoltre in sequenze di righe. Piu in dettaglio, possiamodire che le diverse righe spettrali si raggruppano in sequenze regolari chiamate serie.

Le lunghezze d’onda λ delle diverse righe formanti una serie soddisfano la

regola empirica di Rydberg

1

λ= R

(1

n21− 1

n22

)(2.1)

dove la costante R=109677 cm−1 e detta costante di Rydberg. I numeri n1 e n2 sono numeri interipositivi che individuano le diverse serie secondo le seguenti relazioni

n1 = 1 e n2 = 2, 3, 4, · · · serie di Lymann1 = 2 e n2 = 3, 4, 5, · · · serie di Balmern1 = 3 e n2 = 4, 5, 6, · · · serie di Paschenn1 = 4 e n2 = 5, 6, 7, · · · serie di Brackettn1 = 5 e n2 = 6, 7, 8, · · · serie di Pfund (2.2)

Le serie hanno preso il nome dallo sperimentatore che per primo le ha risolte spettroscopicamente.Un secondo risultato importante consiste nel fatto che gli spettri di assorbimento presentano esatta-

mente le stesse caratteristiche di quelli di emissione. La radiazione elettromagnetica e anch’essa assorbitada un atomo di idrogeno (o da un qualunque altro atomo) a lunghezze d’onda date dalla legge di Rydberg.Le lunghezze d’onda (e le frequenze) di assorbimento/emissione sono esattamente coincidenti.

Figura 2.1: Spettro di emissione/assorbimento dell’atomo di idrogeno.

2.2 Modelli atomici

2.2.1 L’atomo di Thomson

L’interpretazione delle misure sperimentali sugli spettri atomici richiede l’utilizzo di un adeguato modellodi struttura atomica. L’ipotesi allora piu accreditata era basata sul modello atomico di Thomson, secondo

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 23

Figura 2.2: Modello dell’atomo di idrogeno alla Thomson.

il quale un atomo all’equilibrio e formato da una distribuzione continua di carica elettrica positiva1 nellaquale sono presenti cariche elettriche negative puntiformi (gli elettroni) in numero sufficiente a assicurarela neutralita di carica dell’atomo nel suo complesso. Il modello di Thomson e compatibile con la doppiaevidenza sperimentale che (i) la materia e in condizioni ordinarie elettricamente neutra, ma (ii) e possibileestrarvi elettroni, cioe particelle elementari a carica negativa. E dunque necessario ammettere che i suoicostituenti elementari siano dei sistemi elettrostatici di cariche positive e negative che normalmente sicompensano.

Questo modello presenta, tuttavia, due problemi. Il primo e di carattere teorico: era stato dimostratoda Earnshaw che, in base alla elettrostatica classica, una siffatta distribuzione di cariche positive e negativecompenetrate non e stabile. Il secondo problema e ancora piu critico: la struttura atomica alla Thomsonnon e compatibile con le risultanze spettroscopiche descritte nel precedente paragrafo. Si consideri, infatti,il modello di atomo di H rappresentato in Fig.2.2. L’elettrone si trovi inizialmente a distanza r dal centrodella distribuzione di carica positiva. Assumendo che tale distribuzione sia uniforme con densita ρ,sull’elettrone agira una forza F di richiamo al centro facilmente calcolabile con le leggi dell’elettrostatica:F = −(eρ/3ε0)r. Poiche il termine tra parentesi e costante, questa forza risulta essere di tipo armonico:dunque, l’elettrone oscillera di moto armonico lungo la direzione indicata in Fig.2.2 ad una frequenzacostante pari a ω =

√(eρ/3ε0)/me, dove me rappresenta la sua massa. Anche ammettendo che sia

proprio il moto di oscillazione elettronico ad essere la causa dei processi di assorbimento/emissione diradiazione elettromagnetica, dobbiamo nondimeno concludere che secondo il modello di Thomson l’atomodi idrogeno potrebbe emettere o assorbire luce ad una sola frequenza.

2.2.2 L’atomo di Rutherford

Il modello di Thomson fu sostituito dal modello planetario di Rutherford, elaborato nel 1911 a seguito diesperimenti di diffusione di un fascio di particelle α attraverso una sottile lamina metallica2: lo schemasperimentale e rappresentato in Fig.2.3.

L’analisi delle traiettorie delle particelle diffuse dimostrava che si davano tre casi possibili, comeindicato nella Fig.2.4:

• alcune particelle venivano solo leggermente deviate durante l’attraversamento della lamina;

• altre particelle invece venivano deviate fortemente rispetto alla traiettoria di avvicinamento;

• infine alcune particelle venivano addirittura retrodiffuse.

L’unica possibilita che spieghi quanto osservato consiste nel formulare il

modello di Rutherfordogni atomo e costituito da un nucleo massivo, caricato positivamente e praticamentepuntiforme, attorno al quale ruotano gli elettroni

1Per semplicita, possiamo immaginarla come una sfera carica con densita di carica spaziale data da una certa funzioneρ(x, y, z).

2Ricordiamo che una particella α e costituita dal nucleo di un atomo di elio; essa, quindi, e una particelle di caricaelettrica positiva.

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 24

sorgente di

particelle α

αparticelle

incidenti

sottile lamina

metallica

traiettorie a piccola

deviazione

traiettoria ad alta

deviazione

traiettorie

retro-diffusa

Figura 2.3: Traiettorie di diffusione di particelle α come osservate nell’esperimento di Rutherford.

e completandolo con due precisazioni: (i) gli elettroni sono in numero tale da compensare esattamentela carica nucleare positiva e (ii) le orbite elettroniche sono per semplicita considerate perfettamentecircolari. Ne risulta il modello di atomo nucleare o planetario. Sebbene questo nuovo modello rappresentiun significativo passo in avanti nella comprensione della struttura della materia, esso risulta ancorainadeguato a rendere conto di tutto quanto osservato. Per rendercene conto riferiamoci di nuovo all’atomodi idrogeno: l’interpretazione degli spettri atomici nell’ambito del modello di Rutherford passa attraversoil calcolo della radiazione emessa da un elettrone in orbita circolare attorno a un nucleo e soggetto allaforza elettrostatica di attrazione data dalla legge di Coulomb:

Felettrone−nucleo = − 1

4πε0

e2

r2(2.3)

dove abbiamo indicato con e = 1.6 × 10−19 C la carica elettrica elementare: essa e positiva per ilprotone formante il nucleo e negativa per l’elettrone in orbita di rivoluzione, il cui raggio e indicato con r.Poiche l’eq.(2.3) rappresenta una forza radiale di tipo centrale, il moto dell’elettrone sara di tipo circolareuniforme, come studiato in meccanica classica.

Figura 2.4: La struttura dell’atomo planetario (o nucleare) di Rutherford e giustificazione della deviazionedi traiettoria per una particella α nelle tre modalita osservate sperimentalmente.

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 25

Figura 2.5: Traiettoria a spirale seguita da un elettrone in orbita attorno al nucleo atomico secondo lafisica classica.

Se assumiano (la dimostrazione e rimandata al prossimo paragrafo) che r = 0.529 A= 0.529 ×10−8

cm, allora ne segue che i moduli della velocita di rotazione v e della corrispondente accelerazione a valgonorispettivamente:

v =√e2/4πε0mer = 2.19× 106 m s−1

a = v2/r = 9.02× 1022 m s−2 (2.4)

dove me = 9.11× 10−31 kg e la massa dell’elettrone.In generale, la potenza P irraggiata (cioe la quantita di energia elettromagnetica emessa nell’unita di

tempo) da una particella di carica e che si muove con accelerazione a e data dalla espressione

P =e2a2

6πε0c3(2.5)

nota come formula di Larmor3.Sostituendo tutti i valori numerici noti, otteniamo che la potenza PH irraggiata classicamente da un

atomo di idrogeno valePH = 4.72× 1011 eV s−1 (2.6)

Dalla chimica e noto come l’energia di ionizzazione di un atomo di idrogeno (nello stato fondamentale)sia pari a 13.6 eV. In altre parole, bisogna spendere un lavoro pari a 13.6 eV per strappare l’elettrone dalsuo nucleo e portarlo a distanza infinita. La quantita 13.6 eV rappresenta, dunque, la quantita di energiaimmagazzinata in un atomo di idrogeno nello stato fondamentale sotto forma di interazione elettrostatica.Se essa viene dissipata nel tempo secondo la potenza PH che abbiamo calcolato, allora un atomo diidrogeno perde tutta la sua energia in un tempo dell’ordine di 10−11 s. Il risultato e stupefacente: secondola fisica classica, un atomo di idrogeno perde tutta la sua energia in poco piu di un centomiliardesimodi secondo. “Perdere energia” significa dire che l’elettrone diminuisce la sua velocita di rotazione e,conseguentemente, vede diminuire il suo raggio orbitale. In una parola: secondo la fisica classica unelettrone precipita sul nucleo in un tempo dell’ordine di 10−11 s. La materia, cosı come noi la conosciamo,non dovrebbe essere stabile, se fosse formata da atomi alla Rutherford governati dalla fisica classica.

Il quadro e gia abbastanza sconfortante, ma, putroppo, le cose vanno ancor peggio di cosı. Infatti,un elettrone che irraggia e, quindi, rallenta cadendo sul nucleo, si muove di un moto a spirale, piuttostocomplicato, ma schematicamente illustrato in Fig.2.5. Durante questo moto, il suo raggio r(t) varia

nel tempo con continuita secondo una legge del tipo: r(t) = r0 − At13 , con r0 pari al valore iniziale

della distanza elettrone–nucleo e A costante opportuna. Durante questo moto di rivoluzione, l’elettronedovrebbe emettere radiazione elettromagnetica con frequenza variabile con continuita. In altre parole:classicamente gli spettri dovrebbero essere continui.

Il punto a cui siamo arrivati e sconsolante. Riassumendo:

secondo la fisica classica gli atomi (e dunque la materia) non dovrebbero essere stabili edovrebbero emettere spettri continui.

3Questa equazione e ricavata in ogni buon testo di eletromagnetismo classico.

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 26

Invece, la materia esiste stabilmente e gli spettri atomici sono discreti. C’e qualcosa di qualitativamentesbagliato nel modello atomico che fu sviluppato da Rutherford.

2.2.3 L’atomo di Bohr

L’impasse cui si era pervenuti indusse Bohr a formulare nel 1913 un modello per l’atomo di idrogenobasato su due postulati nei quali veniva introdotto il concetto di discretizzazione (quantizzazione) delleorbite elettroniche.

Col

primo postulatosi assume che l’elettrone percorra solo quelle orbite circolari per le quali il suo momento angolarel = r×mev ha modulo dato da un multiplo intero di h/2π

(poiche l’orbita circolare e piana e la forza agente e centrale, la direzione e il verso di l sono perfettemantedeterminate). In altre parole, Bohr impose che

l = mevr = nh

2π= n~ (2.7)

dove n = 1, 2, 3, · · · e detto numero quantico. Al fine di assicurare la stabilita dell’atomo, Bohr imposeulteriormente che l’elettrone accomodato su una tale orbita non irraggiasse energia elettromagnetica. Perquesto motivo, esse furono chiamate orbite stazionarie e i corrispondenti stati furono detti stati stazionari.

Quando un elettrone si trova su un’orbita stazionaria permessa, esiste perfetto bilanciamento tra laforza centrifuga legata alla sua rotazione e la forza di attrazione elettrostatica

mev2

r=

1

4πε0

e2

r2(2.8)

Combinando questa equazione con la regola di quantizzazione del momento angolare data in eq.(2.7), siottiene immediatamente l’espressione per il raggio delle orbite stazionarie:

r =h2ε0πmee2

n2 = a0n2 (2.9)

dove abbiamo posto

a0 =h2ε0πmee2

= 0.529 A (2.10)

detto raggio di Bohr. Questo risultato dimostra in modo naturale che, come conseguenza del primopostulato,

le orbite elettroniche sono quantizzate per quanto riguarda il loro raggio

a0 essendo il valore di tale raggio nello stato n = 1. Questo particolare stato stazionario e chiamato statofondamentale. Tutti gli altri stati, cioe quelli corripondenti a n > 1, sono chiamati stati eccitati. Lacondizione limite di n → +∞ corrisponde allo stato non legato: l’atomo di idrogeno e stato ionizzato,ovvero l’elettrone e il protone sono stati portati a distanza infinita.

Il primo postulato determina un’altra importante regola di quantizzazione: quella sull’energia dell’a-tomo. Calcoliamo, infatti, l’energia totale ET elettronica come somma di un contributo cinetico Ecin euno potenziale Epot:

ET = Ecin + Epot =1

2mev

2 − 1

4πε0

e2

r(2.11)

dove il segno negativo dell’energia potenziale elettrostatica tiene conto del fatto che elettrone e nucleohanno carica opposta. Ricavando il valore di v dalla (2.7) e utilizzando l’espressione quantizzata per rotteniamo

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 27

Figura 2.6: Struttura dei livelli energetici degli stati stazionari dell’atomo di idrogeno secondo il modellodi Bohr.

ET = −mee4

8ε20h2

1

n2= −13.6 eV

1

n2(2.12)

Questo risultato e di fondamentale importanza: seguendo il modello di Bohr abbiamo dimostrato che leenergie degli stati stazionari sono distribuite discretamente. In particolare, l’energia dello stato fonda-mentale risulta essere pari a −13.6 eV (corrispondente al valore n = 1), in eccellente accordo con i datisperimentali: essa, infatti, coincide con l’energia di ionizzazione dell’atomo di idrogeno. La struttura deilivelli energetici e rappresentata nella Fig.2.6.

Il modello e completato dal

secondo postulatola radiazione elettromagnetica viene emessa o assorbita da un atomo di idrogeno solo quandol’elettrone compie una transizione da uno stato stazionario a un’altro.

Inoltre, la frequenza ν della radiazione e legata alle energie elettroniche nello stato iniziale Ei e finale Ef

secondo la semplice relazione:

ν =|Ei − Ef |

h(2.13)

Ovviamente, risulta che:

• se Ei > Ef si ha emissione di radiazione,

• se Ei < Ef si ha assorbimento di radiazione.

Seguendo il concetto di quanto di luce introdotto da Einstein, diremo che

ogni transizione elettronica tra due stati stazionari comporta l’emissione o l’assorbimento diun fotone di energia pari alla differenza tra le energie degli stati coinvolti nella transizione.

Tenuto conto che tali energie sono negative (perche corrispondono a stati legati), allora si ha emissionedi un fotone quando si passa da uno stato piu eccitato a uno meno eccitato. Il viceversa vale perl’assorbimento di radiazione. La Fig.2.7 rappresenta schematicamente i due casi.

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 28

Figura 2.7: Transizioni tra stati stazionari che comportano emissione (a sinistra) o assorbimento (a destra)di un fotone.

Se facciamo uso della eq.(2.12) possiamo quantificare in modo esplicito la lunghezza d’onda λ deifotoni emessi o assorbiti:

1

λ=ν

c=Ei − Ef

ch=

mee4

8ε20h3c

(1

n2f− 1

n2i

)(2.14)

dove ni e nf sono i numeri quantici che definiscono, rispettivamente, lo stato stazionario iniziale e finalecoinvolti nella transizione elettronica.

Questo risultato e notevole per due ragioni: (i) esso fornisce una giustificazione formale per la leggeempirica di Rydberg; (ii) il valore della costante e

mee4

8ε20h3c

= 109737 cm−1 (2.15)

in ottimo accordo con il valore sperimentale della costante di Rydberg R. In altre parole, il modello diBohr non solo spiega qualitativamente il meccanismo di emissione/assorbimento di radiazione da parte diun atomo, giustificando pienamente la natura discreta degli spettri atomici, ma prevede quantitativamentein modo esatto la posizione delle righe spettrali delle diverse serie di Lyman (nf = 1), Balmer (nf =2), Paschen (nf = 3), Brackett (nf = 4) e Pfund (nf = 5). Il quadro concettuale che abbiamo fin quisviluppato e graficamente riassunto nella Fig.2.8.

Figura 2.8: Orbite stazionarie, livelli energetici e transizioni permesse (emissione) per l’atomo di idrogenosecondo il modello di Bohr.

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 29

2.2.4 Estensioni del modello di Bohr

Il modello di Bohr si presta a due semplici estensioni che lo rendono idoneo a spiegare gli spettri atomicidi atomi piu complessi dell’idrogeno e a migliorare l’accordo con i dati sperimentali sulla costante diRydberg.

Consideriamo, infatti, quella classe di atomi detti idrogenoidi. Essi sono, come l’atomo di idrogeno,formati da un solo elettrone in orbita attorno ad un nucleo di carica atomica +Ze, con Z > 1. Conriferimento alla tabella periodica degli elementi e facile convincersi che gli ioni He+, Li++, ... rientranoin questa definizione. Per gli atomi idrogenoidi il problema dell’interazione elettrone–nucleo puo esseretrattato in maniera analoga a quanto fatto nel precedente paragrafo, con l’unica accortezza di considerarela carica nucleare +Ze. Ne segue immediatamente che le formule per i raggi delle orbite stazionarie e perle relative energie sono dati, rispettivamente, da:

r =a0n

2

Z(2.16)

e

ET = −13.6 eVZ2

n2(2.17)

All’aumentare, quindi, del numero atomico Z le orbite stazionarie risultano sempre piu “strette” (a paritadi numero quantico n) e di maggior energia di legame. Cio indica che, fissato n, piu il nucleo e carico,piu fortemente e legato l’elettrone, come e ragionevole aspettarsi.

L’ipotesi fino a ora implicitamente assunta e che la massa del nucleo (sia per l’atomo di idrogeno, cheper gli atomi idrogenoidi) fosse talmente maggiore di quella dell’elettrone, da poter essere considerataa tutti gli effetti pratici infinita. Un’analisi piu rigorosa, invece, attribuisce al nucleo una massa pari aAmp, dove A e il numero di massa per l’atomo considerato, mentre mp = 1.67× 10−27 Kg rappresenta lamassa del protone. In questo caso, il moto di rivoluzione dell’elettrone non e piu quello di una particellain orbita attorno a un centro fisso. Piuttosto, come previsto dalla meccanica classica, si deve parlare delmoto di rotazione di nucleo e elettrone attorno al centro di massa del sistema atomico. E relativamentefacile dimostrare che in questo caso la costante di Rydberg data in eq.(2.15) deve essere riscritta come:

R =mee

4

8ε20h3c

1

1 + me

Amp

(2.18)

Se consideriamo l’atomo di idrogeno (cioe A = 1), allora otteniamo per la costante di Rydberg il valoredi 109678 cm−1 in accordo praticamente perfetto col dato sperimentale di eq. (2.1).

2.3 Dualismo onda–corpuscolo

2.3.1 L’ipotesi di de Broglie

L’introduzione dell’ipotesi di fotone permise a Einstein di spiegare le risultanze sperimentali e introdusseun importante concetto: la radiazione elettromagnetica puo essere equivalentemente descritta in terminiondulatori (elettromagnetismo classico) od in termini corpuscolari (fotoni) a seconda della specifica fe-nomenologia che si consideri. Tutto il capitolo della spettroscopia atomica e, per esempio, sotteso dalconcetto di fotone che diventa la particella scambiata durante l’interazione tra la radiazione e la materia.

Questa idea di dualita e davvero molto suggestiva ed efficace e, pertanto, fu ripresa da L. de Broglienel 1924 che la estese anche alle particelle materiali. L’idea di base fu semplice: se la luce puo manifestarsicome onda (in accordo alla nostra esperienza quotidiana) o come corpuscolo (come in fisica atomica),perche questa cosa non potrebbe essere vera anche per una particella? In altre parole, possiamo ammet-tere che a una particella di quantita di moto p e energia E sia possibile associare una lunghezza d’ondaλ definita dalla

ipotesi di de Broglie

λ =h

p(2.19)

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 30

acceleratore

di elettroni

fascio

elettroni

incidenti

fascio elettroni

diffratti

rivelatore

mobile

θ

d.d.p. di

accelerazione

inte

nsità fascio

diffr

atto

50 V

massimo osservato

all'angolo di diffrazione

θm = 50◦

cristallo di

nickel

Figura 2.9: Schema dell’apparato sperimentale di Davisson e Germer per la diffrazione di un fascio dielettroni da parte di un cristallo.

cui corrisponde una frequenza

ν =E

h(2.20)

Un modo alternativo di esprimere queste due relazioni e quello che fa uso del vettor d’onda k = 2π/λ edella frequenza angolare (o pulsazione) ω = 2πν:

p = ~k E = ~ω (2.21)

In questo contesto spesso si parla di onde di materia associate a una certa particella.

2.3.2 La diffrazione di elettroni

L’ipotesi di de Broglie fu confermata da un esperimento condotto da Davisson e Germer secondo loschema illustrato in Fig.2.9.

Un fascio di particelle (elettroni) viene emesso da un’opportuna sorgente e collimato su un bersagliocostituito da un pezzo di cristallo. Il fascio diffratto viene, invece, raccolto da un opportuno rivelatore.Le risultanze sperimentali dimostrarono che il fascio diffratto presentava, al variare dell’energia deglielettroni incidenti, una serie di massimi di intensita quando risultava verificata la seguente relazione trala lunghezza d’onda di de Broglie λ degli elettroni e la separazione d tra i diversi piani reticolari delcristallo:

2dsinθ = nλ (2.22)

dove θ e l’angolo formato dal fascio di elettroni e la superficie del cristallo, mentre n e un numero intero.La spiegazione di questo esperimento risulta semplice se si considera cosa avviene a livello microsco-

pico quando il fascio di elettroni interagisce col cristallo. La situazione, illustrata in Fig.2.10, corrispondea un fascio di particelle che, riflesse dai diversi piani reticolari, finiscono col creare un fenomeno di inter-ferenza sul rivelatore. Come noto dall’ottica, quando due fasci luminosi emessi da due sorgenti coerenti(cioe a differenza di fase costante e stessa lunghezza d’onda) compiono, per arrivare a un rivelatore, deicammini ottici che differiscono per un numero intero di lunghezze d’onda, allora si manifesta il fenomenodi interferenza costruttiva. Sul rivelatore, cioe, si osservano dei massimi di diffrazione4. Analizzando ilcammino ottico percorso dai diversi fasci di elettroni (si veda Fig.2.10) si deduce immediatamente che

la condizione di massimo fascio diffratto osservata nell’esperimento di Davisson e Germercorrisponde proprio a quella di interferenza costruttiva nota in ottica (condizione di Bragg).

In altre parole, l’esperimento in questione dimostra che un fascio di particelle (elettroni) si comportaesattamente come un’onda luminosa, di lunghezza λ data dalla relazione di de Broglie. Questo esperi-mento, quindi, e la migliore dimostrazione pratica che l’ipotesi ondulatoria espressa anche a proposito diparticelle materiali e vera.

4La discussione del fenomeno di interferenza costruttiva tra onde luminose e descritto in ogni buon testo di ottica oelettromagnetismo.

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 31

θ

cristallo di

nickelpiani cristallini

ϕ

fascio elettroni

diffratti

fascio

elettroni

incidenti

Figura 2.10: Spiegazione della condizione di interferenza costruttiva per il fascio di elettroni diffratto(condizione di Bragg).

In conclusione, sommando l’ipotesi di Einstein sui fotoni (dimostrata dall’effetto fotoelettrico) e quelladi de Broglie sulle onde materiali (dimostrata dalla diffrazione di elettroni) possiamo enunciare compiu-tamente il

concetto di dualismo onda–corpuscoloogni fenomeno naturale si manifesta, a seconda dei casi, o in modo ondulatorio, o in modocorpuscolare.

Nel mondo macroscopico (quello legato alla nostra esperienza quotidiana) le particelle massive sono bendescritte da corpuscoli che seguono la meccanica classica, mentre i fenomeni di propagazione del campoelettromagnetico sono efficacemente descritti dalle leggi dell’ottica (geometrica o fisica). Al contrario,spesso il mondo microscopico (che sfugge alla nostra diretta esperienza sensoriale) si manifesta in modoopposto: la radiazione elettromagnetica e efficacemente descritta come fascio di corpuscoli o fotoni, men-tre le particelle obbediscono alle leggi tipiche delle onde (come, ad esempio, la diffrazione). La descrizionedella natura duale dei fenomeni naturali fu completata da Bohr con l’enunciazione del

principio di complementarieta che sancisce l’impossibilita di misurare in un unicoesperimento le due nature ondulatoria e corpuscolare.

La verifica empirica con esperimenti di laboratorio ha sin qui pienamente confermato la validita di questoprincipio, ma sono comunque in corso ricerche di sue possibili violazioni.

Il dualismo onda-corpuscolo oggettivamente va contro la nostra esperienza soggettiva e, dunque, controil buon senso che su di essa poggia. In fondo, nella esperienza sensibile di ogni giorno noi percepiamo ifenomeni come chiaramente ondulatori oppure corpuscolari, senza ambiguita. Dunque, come riconciliarequesta legge di Natura con la nostra intuizione? Sono stati scritti fiumi di inchiostro su questo problemache, per molti aspetti, e ancora oggetto di riflessione epistemologica. Forse la risposta data dal fisico S.Hawking e tra le migliori (avendo parecchi pregi, tra cui quelli dell’umilta e del buon senso): perche maila Natura dovrebbe comportarsi in un modo che a noi risulti intuitivamente facile da capire? I nostri sensi(quelli su cui costruiamo empiricamente la nostra intuizione del mondo fisico) sono strumenti a potererisolutivo limitato che, pertanto, ci forniscono una conoscenza solo parziale dei fenomeni naturali.

Al fine di renderci conto di come solo su scala microscopica le particelle massive manifestino apprez-zabilmente il loro carattere ondulatorio, consideriamo un fascio di elettroni accelerato dentro a un tubocatodico di una televisione. In questo caso la tipica differenza di potenziale elettrostatico V che agiscesugli elettroni e di circa 104 volt. L’energia cinetica acquistata da ciascun elettrone si ricava facilmentecome

p2

2me= eV (2.23)

per cui la quantita di moto elettronica risulta essere

p =√

2meeV (2.24)

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 32

Figura 2.11: Rappresentazione uno-dimensionale dell’onda materiale associata a una particella libera(sinistra) e a una particella localizzata nella regione di spazio ∆x (destra).

cui corrisponde una lunghezza d’onda di de Broglie

λ =h√

2meeV= 1.23× 10−11 metri (2.25)

E evidente che una tale lunghezza d’onda non e significativa se riferita alla nostra esperienza sensibile,mentre rappresenta una lunghezza tipica del mondo microscopico (basti pensare, per esempio, che latipica distanza tra due atomi dentro un reticolo cristallino e dell’ordine di 1 A cioe di 10−10 metri).

2.4 Il principio di indeterminazione di Heisenberg

Una volta introdotto il concetto di dualismo onda-corpuscolo e quello di onda di materia, possiamochiederci che tipo di onda rappresenti matematicamente una certa particella. La risposta e semplice eimmediata nel caso di una particella libera: in questo caso l’onda materiale a essa associata sara un’ondapiana5 che, in una dimensione, e rappresentata in Fig.2.11 (sinistra).

Un’onda piana ha ampiezza costante. Essa correttamente descrive un’onda di materia (associata auna particella libera) che deve essere simile in tutti i punti dello spazio. Cio e consistente col fatto che,essendo la particella libera, non esiste un potenziale di interazione il quale, agendo sulla particella, possadistorcerne l’onda associata.

Piu complesso, ma molto piu interessante, e il caso di una particella localizzata in prossimita di undeterminato punto dello spazio. Tratteremo il caso uno–dimensionale in cui la regione di localizzazioneha estensione ∆x. L’onda di materia che descrive una tale situazione non potra avere ampiezza costante:e ovvio, infatti, che nella regione ∆x l’intensita dell’onda (che, ricordiamolo, e legata al quadrato dellasua ampiezza) sara massima perche ivi e localizzata la particella. Al contrario, fuori dalla regione dilocalizzazione l’onda dovra avere ampiezza molto minore e, nel limite di distanza infinita da essa, trascu-rabilmente piccola. Una buona rappresentazione matematica di questa onda e data in Fig.2.11 (destra).Questo profilo di onda materiale e chiamato pacchetto d’onda di ampiezza ∆x.

Il numero di lunghezze d’onda λ del pacchetto sara ovviamente legato allo spessore ∆x della zona diconfinamento della particella e, quindi, potremo scrivere

∆x ∼ λ (2.26)

5Ricordiamo che un’onda si dice piana quando il suo fronte d’onda - cioe il luogo geometrico dei punti nello spazio chevengono investiti allo stesso istante dall’onda che avanza - e rappresentato da un piano. Il carattere armonico di un’onda,invece, e legato alla legge matematica che esprime la variazione dell’ampiezza dell’onda nel tempo: quando tale legge eespressa da una funzione trigonometrica seno o coseno, allora l’onda e armonica.

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 33

Ricordando la relazione esistente tra la lunghezza d’onda λ e il numero d’onda k possiamo riformulare laprecedente relazione come

∆x∆k ∼ 2π (2.27)

dove abbiamo introdotto anche un intervallo finito ∆k per il numero d’onda in accordo all’analisi diFourier6. La relazione di de Broglie consente di riscrivere questo risultato nella forma

∆x∆p ∼ h (2.28)

In generale, tuttavia, noi conosciamo la regione di localizzazione di un’onda materiale con ancor minoreaccuratezza di quanto assunto in questo ragionamento. Conseguentemente la precedente equazione nonpuo rappresentare altro che un limite superiore di precisione nella determinazione delle incertezze ∆x e∆p sulla posizione e sulla quantita di moto della particella. In generale, quindi, dovremo ammettere chevalga il

principio di indeterminazione di Heinsnberg

∆x∆p ≥ h (2.29)

Le sue conseguenze concettuali sono molto profonde e scavano un ulteriore solco tra i concetti della fisi-ca classica e quelli della fisica quantistica: a livello microscopico, infatti, risulta impossibile determinarecontemporaneamente con precisione assoluta (cioe con incertezza nulla) la posizione e la quantita di motodi una particella. Questo risultato, che discende direttamente dal dualismo onda-corpuscolo,

impedisce quindi che una certa misura sperimentale determini con assoluta accuratezzacontemporaneamente la posizione e la velocita di un corpuscolo.

Al piu, infatti, potremmo misurare l’una e l’altra con un certo margine di errore per ciascuna grandezza,essendo gli errori di misura legati dalla relazione di cui sopra. Alternativamente, potremmo determinareprecisamente l’una (incertezza nulla) senza tuttavia poter fare previsione alcuna sull’altra (incertezzainfinita).

E importante sottolineare che il principio di indeterminazione non e legato alla precisione degli stru-menti di misura. In altre parole, esso non e dovuto al fatto che ogni misura sperimentale e in variamaniera afflitta da errore. Al contrario,

l’indeterminazione che lega posizione e quantita di moto e la manifestazione di proprietafondamentali della materia legate alla sua duale natura onda-corpuscolo.

Il principio di indeterminazione ha numerose evidenze sperimentali, alcune delle quali molto spetta-colari.

Consideriamo, ad esempio, un sistema costituito da atomi di elio. E stato sperimentalmente dimo-strato che, anche raffreddando questo sistema a una temperatura assoluta praticamente nulla, esso nonsolidifica. L’interpretazione di questo strano fatto e offerta dall’eq.(2.29). Se, infatti, il sistema solidi-ficasse a T = 0 K noi potremmo conoscere con assoluta certezza e contemporaneamente la velocita diciascun atomo di elio (che risulterebbe nulla) e la sua posizione nel sistema solidificato. Cio violerebbe ilprincipio di indeterminazione. E necessario, quindi, che anche a T = 0 K gli atomi siano animati da unflebile moto di vibrazione (detto moto di punto zero) che non ha analogo classico in teoria cinetica deigas, ma che assicura quella indispensabile incertezza su posizione e velocita tale da rispettare l’eq.(2.29).Questo flebile moto di agitazione e sufficiente, nel caso dell’elio, a impedire la solidificazione. In altreparole, la temperatura cinetica associata a esso e superiore alla temperatura di fusione dell’elio.

Il principio di indeterminazione di Heisenberg puo essere esteso anche ad un’altra coppia di grandezzefisiche: l’energia E e il tempo t. In particolare, si puo dimostrare che

6In altre parole, secondo l’analisi di Fourier noi possiamo rappresentare il pacchetto d’onda di figura 2.10 (destra) tramiteun’opportuna sovrapposizione di onde sinusoidali semplici (cioe di onde armoniche). Un pacchetto d’onda di ampiezza ∆xrichiede la sovrapposizione di tutte quelle onde armoniche il cui numero d’onda cada nell’intervallo ∆k definito dall’equazione(2.27).

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CAPITOLO 2. SVILUPPO FENOMENOLOGICO DELLA FISICA DEI QUANTI 34

Figura 2.12: Rappresentazione schematica di una riga spettrale di assorbimento in alta risoluzione.

∆E∆t ≥ h (2.30)

estendendo anche a questa coppia tutte le considerazioni sviluppate per posizione e quantita di moto.Anche questa seconda versione del principio ha una convincente verifica sperimentale legata alla spettro diassorbimento di un atomo. Noi associamo l’assorbimento di un fotone da parte di un atomo alla transizionetra due stati stazionari di energia, rispettivamente, E1 (stato iniziale) e E2 (stato eccitato finale). Unamisura spettroscopica segnala l’avvenuta transizione tramite una riga nello spettro di assorbimento allafrequenza ν definita dalla relazione ν = (E2 − E1)/h. Quando la misura e condotta in condizioni dialtissima risoluzione si osserva che la riga spettrale ha una struttura: in particolare, essa ha la formarappresentata schematicamente nella Fig.2.12 (sinistra).

La larghezza finita della riga corrisponde a un certo intervallo di frequenze ∆ν il cui inverso ∆t einterpretato come il tempo di vita medio dello stato eccitato. Se questo tempo di vita e finito, alloraci deve essere una corrispondente incertezza ∆E2 sull’energia dello stato eccitato raggiunto durante latransizione. Lo schema di Bohr per i livelli energetici degli stati stazionari e conseguentemente modificatocome illustrato in Fig.2.12 (destra). Misure a alta risoluzione hanno effettivamente confermato questainterpretazione, fornendo una stima del tempo di vita di uno stato eccitato e del corrispondente intervallodi energie associate a uno stato stazionario perfettamente in accordo con il principio di indeterminazionedi Heisenberg.

2.5 Conclusioni

A conclusione di questa breve rassegna di risultati sperimentali e relativi tentativi di interpretazione pos-siamo definire quale debba essere la prospettiva concettuale per lo sviluppo di quel nuovo capitolo dellaFisica - che chiameremo Meccanica Quantistica - da indirizzare verso la scoperta delle leggi fondamentalidel mondo microscopico.

Lo sviluppo di una teoria quantistica completa e soddisfacente dovra basarsi inmodo naturale su due pilastri:

• il concetto di quantizzazione

• l’uso di un formalismo ondulatorio per le onde di materia.