CONCETTI GENERALI RELATIVI ALL’AMMASSO ROCCIOSO · 2019. 1. 10. · materi siano disponibili...

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SOMMARIO 1. INTRODUZIONE ..................................................................................................................... 2 2. RESISTENZA DEL MATERIALE ROCCIA.......................................................................... 4 2.1 Criterio di rottura di Mohr–Coulomb 4 2.2 Criterio di rottura di Hoek e Brown 5 3. RESISTENZA DI AMMASSO ................................................................................................. 9 3.1 Indici di qualità e classificazioni geomeccaniche 9 3.1.1 Classificazione geomeccanica di Bieniawski ............................................................ 11 3.1.2 Sistema Q di Barton ................................................................................................... 14 3.1.3 Classificazione di Romana ......................................................................................... 16 3.2 Il criterio di rottura di Hoek e Brown per gli ammassi rocciosi 17 4. RESISTENZA AL TAGLIO DELLE DISCONTINUITÀ .................................................... 22 4.1 Criterio di Patton 23 4.2 Criterio di Ladany e Archanbault 24 4.3 Criterio di Barton e Choubey 24 5. FATTORI PREDISPONENTI E DETERMINANTI I FENOMENI DI INSTABILITA’ . 27 6. VERIFICHE DI STABILITA’ ............................................................................................... 29 6.1 Rappresentazione dei dati del rilevamento strutturale 29 6.2 Cinematismi di instabilità 30 6.2.1 Toppling (ribaltamento) ............................................................................................. 32 6.2.2 Crollo ......................................................................................................................... 34 6.2.3 Scivolamento planare: metodo dell’equilibrio limite ................................................ 35 6.2.4 Scivolamento di cunei rocciosi .................................................................................. 40 6.2.5 Influenza dell’acqua sulla stabilità............................................................................. 43 6.2.6 Scivolamento circolare............................................................................................... 48 6.2.7 Creep di versante........................................................................................................ 51 BIBLIOGRAFIA............................................................................................................................. 53 1

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SOMMARIO

1. INTRODUZIONE..................................................................................................................... 2

2. RESISTENZA DEL MATERIALE ROCCIA.......................................................................... 4

2.1 Criterio di rottura di Mohr–Coulomb 4

2.2 Criterio di rottura di Hoek e Brown 5

3. RESISTENZA DI AMMASSO................................................................................................. 9

3.1 Indici di qualità e classificazioni geomeccaniche 9

3.1.1 Classificazione geomeccanica di Bieniawski ............................................................11

3.1.2 Sistema Q di Barton ...................................................................................................14

3.1.3 Classificazione di Romana.........................................................................................16

3.2 Il criterio di rottura di Hoek e Brown per gli ammassi rocciosi 17

4. RESISTENZA AL TAGLIO DELLE DISCONTINUITÀ .................................................... 22

4.1 Criterio di Patton 23

4.2 Criterio di Ladany e Archanbault 24

4.3 Criterio di Barton e Choubey 24

5. FATTORI PREDISPONENTI E DETERMINANTI I FENOMENI DI INSTABILITA’ . 27

6. VERIFICHE DI STABILITA’............................................................................................... 29

6.1 Rappresentazione dei dati del rilevamento strutturale 29

6.2 Cinematismi di instabilità 30

6.2.1 Toppling (ribaltamento) .............................................................................................32

6.2.2 Crollo .........................................................................................................................34

6.2.3 Scivolamento planare: metodo dell’equilibrio limite ................................................35

6.2.4 Scivolamento di cunei rocciosi ..................................................................................40

6.2.5 Influenza dell’acqua sulla stabilità.............................................................................43

6.2.6 Scivolamento circolare...............................................................................................48

6.2.7 Creep di versante........................................................................................................51

BIBLIOGRAFIA............................................................................................................................. 53

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Ordine Regionale dei Geologi della Basilicata

Seminario LA CARATTERIZZAZIONE GEOTECNICA E GEOMECCANICA DELLE TERRE E DEGLI AMMASSI ROCCIOSI Potenza 23/05/2003

Sintesi della lezione tenuta dall’Ing. Enrico Maria Pizzarotti: SCELTA DEI PARAMETRI DI PROGETTO E METODI DI STABILIZZAZIONE DEI PENDII NATURALI E DEI FRONTI DI SCAVO IN ROCCIA

Dott. Geol. Valeria Bellini

Dott. Ing. Elisabetta Scattolini

1. INTRODUZIONE Lo studio della stabilità di un versante o di un fronte di scavo in roccia comporta

innanzi tutto la definizione di un modello geomeccanico in grado di descrivere

compiutamente sia le modalità di manifestarsi e le cause delle potenziali instabilità, in

termini di cinematismi e di azioni instabilizzanti, sia i meccanismi di resistenza intrinseci

del materiale coinvolto, in grado di contrastare la perdita di equilibrio statico.

In altre parole, per ogni potenziale cinematismo occorre definire le azioni e le

resistenze in gioco per analizzare, prevedere ed eventualmente prevenire e contrastare la

perdita di stabilità.

A tal fine un ammasso roccioso può essere definito come un insieme di blocchi

isolati di matrice rocciosa aventi geometria individuata dalle discontinuità di diverso tipo

che li separano.

La matrice rocciosa si può definire come la porzione di materiale roccia, o roccia

intatta, che costituisce i blocchi separati dalle discontinuità.

La discontinuità è invece un qualunque piano di origine meccanica o sedimentaria

che isola o separa i blocchi di matrice rocciosa.

Il considerare la matrice rocciosa, oppure le discontinuità, oppure l’ammasso nella

sua globalità dipende dalla scala del problema da affrontare (Fig. 1). Se il volume di 2

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ammasso roccioso significativo nell’ambito del problema di stabilità considerato è esteso,

ad esempio se si analizza un intero versante oppure lo sviluppo complessivo di un fronte

di scavo, il suo comportamento è governato dall’insieme combinato dei giunti e della

matrice. Invece alla scala di un singolo gradone di cava, ad esempio, nella valutazione

della stabilità può assumere maggiore significato la presenza dei giunti. Ad una scala

ancora più piccola, come può essere quella del piede del gradone, si può ritenere

effettivamente significativo lo stesso materiale roccia.

Figura 1. Rappresentazione dell’effetto scala in un ammasso roccioso.

Si noti che la stessa matrice rocciosa è pervasa da discontinuità (ad esempio

scistosità, foliazione, clivaggio) presenti già alla scala del campione roccioso.

Si può senz’altro affermare che la resistenza del volume di roccia considerato

diminuisce all’aumentare della dimensione del volume medesimo proprio a causa della

presenza delle discontinuità.

Per indagare le capacità dell’ammasso di opporsi alle potenziali instabilità è

necessario definire le seguenti grandezze:

- la resistenza del materiale roccia;

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- la resistenza dell’ammasso roccioso;

- la resistenza delle discontinuità.

2. RESISTENZA DEL MATERIALE ROCCIA La resistenza del materiale roccia si determina indagando il comportamento a

rottura di un provino di roccia in laboratorio. Le prove di uso più comune sono:

- carico puntuale (Point Load Test);

- compressione semplice;

- trazione indiretta (Brasiliana);

- compressione triassiale.

La finalità delle prove è quella di determinare il criterio di rottura (funzione di

plasticità) del materiale roccia, cioè le espressioni analitiche che consentono di

rappresentare la resistenza del materiale in funzione degli sforzi applicati e delle sue

proprietà intrinseche, per permettere una previsione di quando e come avviene la rottura.

2.1 Criterio di rottura di Mohr–Coulomb Esprime la relazione tra gli sforzi normali e tangenziali che agiscono al momento

della rottura attraverso una funzione lineare tra i parametri di resistenza al taglio del

materiale, coesione c e angolo di resistenza al taglio φ:

τ = c + σn tgφ La funzione viene individuata attraverso un inviluppo rettilineo degli stati di sforzo a

rottura rappresentati nel piano τ-σ, o, in funzione degli sforzi principali, nel piano σ1 - σ3.

In questo caso (Fig. 2) il modello mette in relazione gli sforzi principali con l’angolo

φ e la resistenza a compressione monoassiale della matrice.

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Dove:

3c1 sin1sin1

σ⋅φ−φ+

+σ=σ

σc = resistenza a compressione monoassiale

della matrice σc= 2c {(1+senφ)/(1-senφ)}0.5

=2c Kp0.5

σ1 e σ3 = sforzi principali massimi e minimi a

rottura

φ = angolo di resistenza al taglio

Kp = tg (45+φ/2)2

Figura 2. Criterio di rottura di Mohr – Coulomb.

E’ un criterio semplice ma poco realistico poiché l’inviluppo a rottura è palesemente

curvilineo. La resistenza infatti aumenta meno con l’incremento della pressione normale di

confinamento rispetto a quanto ci si aspetterebbe con una legge lineare. Ciò può

comportare errori nella definizione della resistenza all’esterno del campo tensionale per il

quale sono disponibili risultati delle prove di laboratorio.

2.2 Criterio di rottura di Hoek e Brown Il criterio di rottura non lineare proposto da Hoek e Brown per la prima volta nel

1980 è espresso, nel piano τ-σ dalla seguente relazione (Fig. 3):

B

c

tncA

σ

σ−σσ⋅=τ

dove: 5

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σc: resistenza a compressione monoassiale del materiale roccia

σt: resistenza a trazione del materiale roccia

σn: sforzo normale effettivo

A e B: costanti relative al materiale e ricavabili per interpolazioni di dati sperimentali da

prove triassiali.

Inviluppo di rottura nel piano σ/τ

05

101520253035404550556065707580

-15

-10

-5 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65

σ [MPa]

τ [M

Pa]

InviluppocalcolatoDati di prova

Figura 3. Inviluppo di rottura di Hoek e Brown nel piano τ-σ.

Nel piano delle tensioni principali σ1 - σ3 il criterio può essere espresso dalla

seguente relazione (secondo le più recenti formulazioni, Fig. 4):

0

331 1

++=

cic m σσσσσ

5.α

dove

σ1 = sforzo principale massimo a rottura

σ3 = sforzo principale minimo a rottura

σc = resistenza a compressione monoassiale del materiale roccia

mi = costante relativa alle caratteristiche frizionali della roccia intatta

α = costante dipendente dalle caratteristiche della roccia intatta

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igura 4. Inviluppo di rottura di Hoek e Brown nel piano σ1-σ3.

I parametri mi e α si ricavano interpolando i risultati delle prove di laboratorio sul

materi

siano disponibili prove triassiali, gli stessi parametri possono essere

dedott

a resistenza a compressione monoassiale si determina con prove di compressione

in labo

re che la resistenza a compressione della

matric

Inviluppo di rottura nel piano σ1/σ3

0102030405060708090

100110120130140150160170180

-20

-10

0 10 20 30 40 50 60 70

σ3 [MPa]

σ 1 [M

Pa]

Inviluppo calcolato

Dati di prova

F

ale roccia. In particolare studi recenti hanno indicato la seguente relazione tra il

parametro mi (variabile da 1 a 50), la resistenza a compressione monoassiale e la

resistenza a trazione del materiale roccia:

mi ≈ σc / σt

Nel caso non

i dalle tabelle fornite su basi empiriche direttamente da Hoek (α=0.5 e mi in funzione

delle diverse litologie).

L

ratorio, oppure con il Point Load Test.

A tale proposito vale la pena precisa

e non è una proprietà intrinseca del materiale, ma dipende da una serie di fattori, in

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parte dipendenti dalla natura e dalla condizione del materiale stesso e in parte dalle

modalità di prova in laboratorio.

In particolare, per i fattori relativi al materiale si citano:

- la presenza di discontinuità alla scala del provino;

- la mineralogia;

- la dimensione dei grani e la cementazione;

- la porosità;

- la microfratturazione;

- il grado di alterazione.

Invece, per quanto riguarda le condizioni di prova in laboratorio, si richiamano:

- l’orientazione delle discontinuità rispetto alla direzione di applicazione del carico;

- il contenuto d’acqua (w% > → σc <);

- la temperatura (T > → σc <);

- la velocità di applicazione del carico (v > → σc > → ε% <);

- la forma del provino;

- il volume del provino (Vol > → σc <);

- la preparazione del provino (parallelismo delle facce);

- la rigidezza della pressa rispetto al provino.

Nelle analisi di stabilità la resistenza del materiale roccia viene utilizzata solo in casi

specifici, quando, di fatto, corrisponde alla resistenza d’ammasso. Questa condizione si

verifica nel caso delle rocce tenere, ad esempio, dove le discontinuità sono poco influenti,

oppure nei casi in cui le discontinuità sono significative anche alla scala del campione di

laboratorio, come nelle rocce a tessitura finemente scistosa. Oppure quando la porzione di

ammasso considerata non è affetta da discontinuità sia per la sua ottima qualità sia per la

ridotta scala del problema (verifiche di stabilità locali).

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3. RESISTENZA DI AMMASSO Quando l’ammasso roccioso è molto fratturato per la presenza di più sistemi di

discontinuità, che lo scompongono in blocchi, in termini di resistenza si valuta un

comportamento globale dell’ammasso. Per le dimensioni e le collocazioni del volume

significativo dell’ammasso, non è possibile, evidentemente, realizzare prove in situ o in

laboratorio, che forniscano dati rappresentativi del comportamento globale. Si ricorre allora

a:

- metodi indiretti basati su indici di qualità (classificazioni geomeccaniche);

- metodi empirici con ricorso a ipotesi sul ruolo delle discontinuità;

- modelli matematici basati su back analysis.

Gli indici di qualità derivanti dalle classificazioni geomeccaniche permettono una

stima approssimata del comportamento dell’ammasso. Per alcuni di essi vengono fornite

correlazioni tra classi di qualità degli ammassi rocciosi e relativi parametri di resistenza

(coesione c e angolo di resistenza al taglio ϕ).

I metodi empirici si fondano su criteri di rottura che permettono di valutare la

resistenza di un ammasso roccioso in funzione dello stato di sforzo, dalle proprietà del

materiale roccia che costituisce i singoli blocchi dell’ammasso e dell’influenza delle

discontinuità sul comportamento dell’ammasso.

I metodi basati su back analysis permettono di valutare la resistenza dell’ammasso

roccioso tramite la modellazione numerica di un fenomeno reale, di cui sono note le

condizioni intrinseche e al contorno (stratigrafia, spessore, presenza di acqua, ecc.) e il

cinematismo (tipologia della rottura, superficie di scivolamento, ecc).

3.1 Indici di qualità e classificazioni geomeccaniche Gli ammassi rocciosi possono essere studiati in modo semplificato e classificati in

relazione al loro comportamento e alle loro prestazioni, distinguendo vari campi di

applicazione.

Le classificazioni geomeccaniche furono elaborate proprio con l'obiettivo di fornire

indici di qualità mediante l'analisi sistematica, effettuata con criteri il più possibile

standardizzati, di alcuni parametri caratteristici degli ammassi rocciosi. Gli indici di qualità,

espressi da un numero, forniscono indicazioni sulla qualità complessiva dell'ammasso,

sulla base della differenziazione di classi di qualità. Esistono inoltre relazioni che

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permettono, da tali indici, di stimare i parametri di resistenza dell'ammasso e prevedere il

suo comportamento su pendii o in gallerie.

I parametri in ingresso delle più importanti classificazioni utilizzate nella pratica e

nel seguito elencate, riguardano in prevalenza la definizione qualitativa e quantitativa di

alcune caratteristiche delle discontinuità, della matrice o dell’ammasso nel suo complesso:

Spaziatura dei giunti

Orientazione dei giunti

Condizioni dei giunti

Indice RQD

Acqua nei giunti e condizioni di filtrazione

Resistenza della matrice rocciosa

Strutture geologiche, faglie, zone di debolezza nell’ammasso

Stato tensionale.

Le classificazioni geomeccaniche più utilizzate oggi sono:

- la classificazione geomeccanica di Bieniawski (1973 - 1989), utilizzata sia per la

caratterizzazione degli ammassi rocciosi e delle loro proprietà, sia per le sue

applicazioni nel campo della costruzione di gallerie;

- il sistema Q di Barton (1974), utilizzato quasi esclusivamente per le gallerie;

- la classificazione SMR (Slope Mass Rating) di Romana (1988), che è un

adeguamento del sistema RMR di Bieniawski al caso specifico dei versanti in

roccia.

Il principale vantaggio delle classificazioni geomeccaniche è che forniscono una

stima preliminare della qualità dell'ammasso, a basso costo e in modo agevole. Ciò

nonostante, ne deve essere sottolineata l’eccessiva semplificazione quando si voglia trarre

da essi indicazioni progettuali e applicative o la stima dei parametri di resistenza.

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3.1.1 Classificazione geomeccanica di Bieniawski

Per l'applicazione di tale sistema classificativo é necessario rilevare direttamente

sul terreno i parametri di entrata e ad ognuno attribuire un punteggio secondo la

metodologia indicata dall'Autore nelle tabelle e negli schemi esposti nel seguito (Figg. 5-

7).

Una volta ottenuto l’indice di qualità RMR, attribuendo un punteggio ai sei parametri

(R1 – R6) si definisce la classe di ammasso.

Tralasciando la determinazione del parametro R6, relativo all’orientazione dei giunti

rispetto al problema trattato, si ottiene l’indice RMRbase dal quale, con le formule seguenti,

è possibile derivare i parametri di resistenza al taglio dell’ammasso.

baseRMR⋅+=Φ 5,05 [ ]°

005,0⋅= baseRMRc [ ]MPa

Esse tendono a sottostimare la resistenza degli ammassi di migliore qualità e

sovrastimare quella degli ammassi rocciosi deboli, tettonizzati e alterati.

11Figura 5. Classificazione geomeccanica di Bieniawski.

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Figura 6. ratings della classificazione geomeccanica di Bieniawski.

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Figura 7. Abaco di correlazione tra RQD e la spaziatura delle discontinuità (in alto); le figure successive riportano la variazione continua dei ratings relativi alla spaziatura tra le discontinuità, alla resistenza della roccia intatta e ad RQD.

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3.1.2 Sistema Q di Barton

Il sistema di classificazione degli ammassi rocciosi proposto da Barton determina

un indice Q espresso dalla relazione:

Q = (RQD/Jn) x (Jr/Ja) x (Jw/SRF) Dove:

RQD: indice di qualità della roccia

Jn : numero di famiglie di giunti

Jr : rugosità del giunto

Ja : condizioni di alterazione della superficie del giunto

Jw: fattore di riduzione per la presenza di acqua nei giunti

SRF: fattore di riduzione per lo stato tensionale

A ciascuno dei parametri che figurano sopra viene attribuito un valore numerico,

sulla base di valutazioni qualitative e quantitative, come è indicato nella tabella che segue

(Fig. 8).

Il rapporto RQD/Jn tiene conto delle caratteristiche strutturali dell’ammasso roccioso

e fornisce una misura approssimata delle dimensioni del blocco medio che costituisce

l’ammasso stesso.

Il secondo rapporto tiene conto delle caratteristiche di resistenza meccanica dei

giunti.

Il terzo rapporto è un fattore empirico che esprime lo stato di tensione efficace nella

porzione di ammasso in esame.

La classificazione basata sull’indice Q viene prevalentemente utilizzata nel campo

delle gallerie e degli scavi sotterranei.

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Figura 8. Ratings nel sistema Q di Barton.

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3.1.3 Classificazione di Romana

Tale sistema definisce alcuni fattori di correzione da applicare all'indice RMR di

Bieniawski per ricavare un indice SMR, specifico per pendii e fronti di scavo.

L’indice SMR prende in considerazione, in modo particolare, i casi di scivolamento

planare e di ribaltamento (toppling). I fattori correttivi hanno il compito di tradurre gli effetti

sulla stabilità dovuti al rapporto tra la giacitura dei giunti e quella del pendio, oppure

imputabili all’origine del pendio (naturale, piuttosto che creato artificialmente con diverse

tecnologie di scavo). Quantitativamente l’indice SMR si ottiene con la formula:

4321 FFFFRMRSMR +⋅⋅−=I fattori F1, F2, F3, F4 dipendono:

• F1 dal parallelismo tra l’orientazione dei giunti e quella del versante;

• F2 dalla pendenza del giunto;

• F3 dal rapporto tra le inclinazioni dei giunti e del pendio. Di fatto esprime la probabilità

che i giunti vengano a giorno durante lo scavo;

•F4 dal disturbo che il metodo di scavo eventualmente utilizzato induce nella roccia.

Il procedimento da seguire consiste nel determinare l'indice SMR per ogni famiglia

di giunti, quindi considerare il valore minore tra quelli ottenuti. La classificazione non

considera lo scivolamento di cunei di roccia (Fig. 9).

Caso Condizione MOLTO FAVOREVOLE FAVOREVOLE DISCRETO SFAVOREVOLE MOLTO SFAVOREVOLE

scivolamento planare IIMMj - IMMsI 30° < δ < 330°20° < δ ≤ 30°

330° ≤ δ < 340°10° < δ ≤ 20°

340° ≤ δ < 350°5° < δ ≤ 10°

350° ≤ δ < 355°0° ≤ δ ≤ 5°

355° ≤ δ ≤ 360°

ribaltamento IIIMMj - IMMsI - 180° I 30° < δ < 330°20° < δ ≤ 30°

330° ≤ δ < 340°10° < δ ≤ 20°

340° ≤ δ < 350°5° < δ ≤ 10°

350° ≤ δ < 355°0° ≤ δ ≤ 5°

355° ≤ δ ≤ 360°rating F1 0.15 0.4 0.7 0.85 1

scivolamento planare INCLj <20° 20°-30° 30°-35° 35°-45° >45°rating F2 (scivol. planare) 0.15 0.4 0.7 0.85 1rating F2 (ribaltamento) 1 1 1 1 1

scivolamento planare INCLs - INCLj ∆ < -10° - 10° ≤ ∆ < 0° ∆ = 0 0 < ∆ < 10 ∆ >= 10°ribaltamento INCLs + INCLj Γ < 110° 110° ≤ Γ ≤ 120° Γ > 120°

rating F3 0 6 25 50 60

Pendio naturale Presplitting Smooth blasting Reg. blasting Blasting erratorating F4 15 10 8 0 -8

Nella tabella: IMMj = immersione del giunto d = IMMj - IMMs IMMs = immersione del pendio D = INCLs – INCLj INCLj = inclinazione del giunto G = INCLs - INCLj INCLs = inclinazione del pendio

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Figura 9. Classificazione di Romana.

3.2 Il criterio di rottura di Hoek e Brown per gli ammassi rocciosi E’ un criterio di rottura valido per ammassi rocciosi fratturati il cui comportamento

possa essere considerato omogeneo, isotropo in funzione della dimensione del volume

significativo di ammasso considerato, basato sulla valutazione di una serie di fattori che

riguardano sia i blocchi di matrice rocciosa che compongono l’ammasso, sia le superfici di

discontinuità che li suddividono.

Rispetto alla formulazione originaria del 1980, questo criterio è stato modificato

dagli Autori nel corso degli anni e perfezionato anche per l’applicazione alle rocce tenere e

alle formazioni complesse. Nel seguito viene illustrata la versione più recente (2002):

σ1 = σ3 + σci [mb (σ3/σci) + s]a

dove:

σ1 e σ3 sono gli sforzi principali efficaci massimi e minimi applicati a rottura

σci : è la resistenza a compressione monoassiale del materiale roccia intatto

mb, s, a sono coefficienti che dipendono dalle caratteristiche dell’ammasso roccioso, che

possono essere calcolati con le seguenti formule:

17

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)(61

21 3

2015

39100

1428100

−−

−−

−−

−+=

=

=

eea

es

emm

GSI

DGSI

DGSI

ib

Per applicare il criterio di Hoek e Brown, nella valutazione della resistenza e della

deformabilità di un ammasso roccioso fratturato, occorre stimare, le seguenti “proprietà”:

- la resistenza a compressione monoassiale del materiale roccia intatto σci;

- il valore della costante mi del materiale roccia intatto;

- il valore dell’indice GSI (Geological Strength Index) dell’ammasso roccioso;

- lo “stato di disturbo”, in termini di grado di fratturazione e allentamento

dell’ammasso, sia indotto dal metodo di scavo che dovuto alle deformazioni

incassate.

Per la stima della resistenza a compressione monoassiale del materiale roccia

intatto e del parametro mi si veda il Capitolo precedente.

Il GSI è un indice di qualità geomeccanica funzione delle differenti condizioni

geomeccaniche nonché del grado di alterazione.

Gli Autori hanno fornito abachi descrittiva per agevolare la valutazione di GSI (Figg.

10 e 11).

18

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Figura 10. Abaco per la stima di GSI in funzione del grado di fratturazione e delle condizioni di alterazione dell’ammasso roccioso.

In proposito é interessante rilevare che gli Autori hanno anche affrontato il problema

delle formazioni rocciose complesse tipo flysch, formate cioè dall’alternanza di litotipi con

diverse caratteristiche composizionali e diverse proprietà meccaniche (Fig. 12).

19

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Figura 11. Abaco per la stima di GSI nel caso di formazioni complesse.

Figura 12. Modalità suggerite per la stima di σci e mi di un ammasso flyschioide.

Per GSI>25 è fornita inoltre la possibilità di determinare il valore dell’indice GSI

dall’indice RMR anidro di Bieniawski (versione 1989), intendendo per “anidro” l’indice RMR

determinato assumendo la condizione di ammasso completamente asciutto, quindi con il

punteggio massimo del parametro R5 (pari a 15) relativo alle condizioni idrauliche delle

20

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discontinuità e tralasciando la valutazione del parametro R6 relativo all’orientazione dei

giunti, cioè imponendo R6 = 0.

GSI = RMR’ – 5 (per RMR’ > 30) Lo stesso autore, inoltre, chiarisce che per ammassi rocciosi di qualità molto

scadente (quindi RMR’ < 30), il GSI deve essere ricavato direttamente dagli abachi sopra

riportati.

Infine, il coefficiente D è un fattore di disturbo che tiene conto del decadimento dei

parametri in funzione dello stato deformativo, oppure artificialmente indotto per le modalità

con cui si interviene sull’ammasso roccioso (nel caso ad esempio di scavi con esplosivo).

Tale coefficiente viene valutato sulla base di considerazioni del tutto qualitative. Può

variare tra 0 e 1 per le gallerie e tra 0.7 e 1 nel caso di pendii e fronti di scavo. Un valore

uguale all’unità indica il massimo grado di disturbo. Il valore minimo di D per i pendii e i

fronti di scavo pari a 0.7 tiene conto della riduzione di resistenza d’ammasso nel

passaggio dalla scala dell’affioramento a quella del versante.

Il criterio curvilineo di Hoek e Brown è espresso, come visto, in funzione degli sforzi

principali σ1 e σ3 . E’ stata indicata dagli stessi Autori la procedura per la linearizzazione

del criterio curvilineo mediante un metodo basato su un principio di equivalenza, per

passare al criterio di rottura di Mohr – Coulomb, nel quale la resistenza dell’ammasso è

espresso in termini di coesione c’ e angolo di resistenza al taglio φ’, con le seguenti

formule:

[ ]

cinanbb

anbb

anbb

anbnbci

msamaamSam

aamsamaamsmasac

σσσσ

σϕ

σσσσ

/con )'(6)2)(1(2

)'(6sin'

))2)(1/(())'(6(1)2)(1()'(')1()21('

max3313

131

13

133

=

++++

+=

++++++

+−++=

−−

In proposito vale la pena puntualizzare due aspetti:

- la formulazione lineare è stata “tarata” in modo da dare risultati compatibili con

quella curvilinea nel caso di analisi della stabilità di pendii con superfici di

scivolamento circolare, eseguita con il metodo di Bishop;

21

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- per un pendio, la pressione di confinamento σ3max dipende dalla resistenza a

compressione monoassiale globale dell’ammasso e dall’altezza H del pendio.

91.0

max3 '72.0''

⋅=Hcm

cm γσ

σσ

La resistenza a compressione monoassiale globale dell’ammasso si ricava dai

parametri del criterio curvilineo:

Nelle analisi di stabilità si prende in considerazione la resistenza di ammasso nei

casi in cui si ha a che fare con un ammasso roccioso molto fratturato, ma a

comportamento omogeneo e isotropo. I giunti presenti determinano il decadimento della

qualità geomeccanica dell’ammasso ma, alla

)2()1(2)4/())8(4( 1

aasmsmasm a

bbbcicm +⋅+⋅

+⋅−⋅−+⋅=

σσ

scala del problema da affrontare, non

costituiscono piani di debolezza preferenziale.

4.

ento dell’ammasso nell’ambito della

stabilit

nti famiglie

di discontinuità deve essere sistematica e deve includere i seguenti parametri:

RESISTENZA AL TAGLIO DELLE DISCONTINUITÀ I piani di discontinuità presenti all’interno di un ammasso roccioso possono

condizionarne in modo sostanziale le sue proprietà e le sue caratteristiche di resistenza, al

punto che, negli ammassi rocciosi caratterizzati da piani di debolezza preferenziali

isoorientati, la resistenza che governa il comportam

à è quella intrinseca dei piani di discontinuità.

La resistenza al taglio delle discontinuità è determinabile con prove di taglio in situ o

in laboratorio, oppure può essere stimata con metodi empirici che si basano sul

rilevamento geomeccanico delle famiglie di discontinuità presenti in un ammasso roccioso,

cioè sulla descrizione delle loro caratteristiche fisiche e geometriche (ad esempio secondo

lo standard procedurale indicato dalla ISRM - 1978). La descrizione delle differe

- orientazione

- spaziatura

22

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- persistenza

- rugosità e ondulazione

ne superficiale delle pareti del giunto

-

o meccanico delle discontinuità. In tutti i casi è considerata nulla

la resis

noti e utilizzati per la determinazione della resistenza al taglio

del d

- o di rottura nel piano σ - τ, basato

continuità;

- irico che tiene conto della

gosità, della discontinuità e della resistenza di parete.

4.1 C

di base φb , fornisce il valore totale dell’angolo di

resistenza al taglio della superficie φp:

φb + i Il criterio non tiene conto della co

el campione (Fig. 13). In questo caso la resistenza attritiva del

iunto è data da φb + i.

- apertura

- riempimento

- resistenza a compressio

- dimensione dei blocchi

condizioni di umidità e grado di alterazione.

A partire da tali dati sono state introdotti criteri empirici, lineari e curvilinei, per

valutare il comportament

tenza a trazione.

I criteri empirici più

le iscontinuità sono:

il criterio di Patton (1966): propone un modell

sull’influenza della rugosità della dis

- il criterio di Ladany e Archanbault;

il criterio di Barton e Choubey (1976): è un criterio emp

ru

riterio di Patton Le asperità di una superficie di discontinuità sono caratterizzate da un angolo i che

rappresenta l’angolo formato dall’asperità sulla superficie del piano di discontinuità. Tale

angolo, sommato all’angolo di attrito

φp =

esione.

τ = σn tg (φb+i) Se si esercita uno sforzo tangenziale su una superficie di discontinuità sottoposta a

bassi sforzi normali, occorre “sormontare” l’angolo i perché possa avvenire lo spostamento

relativo dei due pareti della discontinuità. Ciò può avvenire attraverso il manifestarsi del

fenomeno della dilatanza (apertura o separazione) sulle pareti della discontinuità, con

aumento del volume d

g

23

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Figura 13. Il concetto di dilatanza.

4.2 Criterio di Ladany e Archanbault La relazione che lega lo sforzo normale allo sforzo tangenziale secondo il criterio di

Ladany e Archanbault è la seguente:

( )

( )

⋅⋅−−

⋅+

+⋅−⋅

τϕστ

tguva

atguva

s

rss

11

1

in cui: as = parametro che determina la porzione della superficie di discontinuità lungo la

quale la rottura interessa il materiale roccia intatto;

ν/u = dilatanza riferita al valore di picco della resistenza al taglio (rapporto tra lo

spostamento lungo la direttrice della componente dello sforzo normale e lo spostamento

lungo la direttrice della componente dello sforzo di taglio);

τr = resistenza al taglio del materiale roccia.Esistono due condizioni limite:

1. per bassi valori di sforzo normale, non si hanno tagli delle asperità (ossia di porzioni di

materiale roccia intatto) e as→0, ν/u→tg(i); in tal caso, la formulazione si riduce

all’equazione di Patton;2. per elevati valori di sforzo normale, la rottura per taglio avviene

esclusivamente nel materiale roccia intatto, as→1 e τ→τr (ossia ad un valore

paragonabile a quello ottenibile da prove di resistenza a compressione triassiale su provini

di roccia intatta caratterizzati da valori di resistenza a trazione non nulla).

4.3 Criterio di Barton e Choubey

24

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+

∗∗= b

nn

JCSLogJRC ϕσ

στ 10tan

Anche per questo criterio si definisce unicamente una resistenza di tipo attritivo che

dipende da tre fattori:

- un fattore “frizionale” rappresentato dall’angolo di attrito di base φb

- un fattore “geometrico” rappresentato dal coefficiente JRC (Fig. 14)

- un fattore che indica la resistenza della parete del giunto, dato dal rapporto JCS/σn.

Il parametro JRC è un numero variabile tra 1 e 20, che viene stimato confrontando il

profilo della superficie di discontinuità rilevato in situ, con una serie di profili standard

pubblicati dagli Autori.

Il parametro JCS, che rappresenta la resistenza a compressione delle pareti del

giunto, nella condizione di alterazione naturale, viene determinato con il martello di

Schmidt.

I parametri JRC e JCS sono influenzati dall’effetto scala:

- per quanto riguarda JRC, i valori ottenuti per confronto con i profili standard si

riferiscono a discontinuità di lunghezza 10 cm. Aumentando la lunghezza del

giunto, quindi la scala, diminuisce il valore di i. Ciò vuole dire che per bassi sforzi

normali il valore della resistenza al taglio del giunto diminuisce. Per alti sforzi

normali, invece, l’influenza dell’effetto scala è minore;

- per quanto riguarda JCS, il suo valore medio diminuisce all’aumentare della scala in

quanto è maggiore la probabilità di incontrare zone deboli su una superficie più

ampia.

Per correggere i dati di JRC e JCS in funzione dell’effetto scala, sono state

proposte le seguenti relazioni (Barton e Bandis, 1982):

JRCn = JRC0 (Ln/L0) – 0.02JRCo

JCSn = JCS0 (Ln/L0) – 0.03JRCo

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dove:

JRC0, JCS0 e L0 si riferiscono a giunti di lunghezza 10 cm

JRCn, JCSn e Ln si riferiscono alle dimensioni dei giunti reali, rilevate in situ.

La resistenza al taglio delle discontinuità entra in gioco nel caso di ammassi rocciosi

discontinui e anisotropi, laddove si debba affrontare un problema di instabilità di blocchi di

roccia di dimensioni variabili separati e svincolati da piani preferenziali di debolezza,

rappresentati appunto dai giunti di discontinuità.

Figura 14. Profili tipici di rugosità.

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5. FATTORI PREDISPONENTI E DETERMINANTI I FENOMENI DI INSTABILITA’ Nella valutazione delle condizioni di equilibrio di un versante o di un fronte di scavo

artificiale, l’azione principale che può determinare una condizione di instabilità, quindi agire

come forza destabilizzante rispetto a una superficie di scivolamento, è rappresentata dalle

forze di massa, cioè dipendenti dal peso della porzione di ammasso considerata, e in

particolare dalla componente del peso orientata parallelamente al piano di scivolamento,

che tende a causare il movimento dell’elemento stesso.

Una variazione della “forza di massa” rispetto ad una condizione originaria di

equilibrio statico può determinare l’instabilità. Questa può essere originata anche da una

variazione delle condizioni al contorno come nel caso dell’indebolimento della zona di

piede o della parte superficiale di un pendio o dell’applicazione di sovraccarichi.

Per quanto riguarda l’indebolimento del piede o della parte superficiale di un pendio

si citano:

- fenomeni erosivi provocati da corsi d’acqua, da onde e correnti marine, dall’azione

del vento, da cicli termici, da ristagni d’acqua;

- a una scala ben più estesa, fenomeni di decompressione derivante dal ritiro dei

ghiacciai o dall’erosione valliva, che provoca scarichi tensionali importanti;

- fenomeni legati ad azioni antropiche come scavi e sbancamenti, con asportazione

di volumi di materiale.

Relativamente ai sovraccarichi che possono interessare un pendio o un fronte di

scavo si citano:

- sovraccarichi artificiali derivanti da rilevati, riempimenti, discariche, peso di edifici o

di altre strutture, ecc;

- sovraccarichi naturali, dovuti, ad esempio, al peso della neve.

Un altro fattore molto importante in grado di determinare un fenomeno di instabilità

è rappresentato dalla pressione interstiziale dell’acqua. In un ammasso roccioso la

struttura geologica e la presenza di alternanze di materiali a diverso grado di permeabilità

influenzano notevolmente la disposizione del livello freatico, quindi la distribuzione delle

pressioni interstiziali su una qualsiasi superficie potenziale di scivolamento. Nel caso di un

pendio in roccia, il caso più frequente è la presenza di acqua confinata nei giunti di

discontinuità, impedita a filtrare in profondità dalla presenza, ad esempio, di una soglia di

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permeabilità. Un altro caso tipico è l’infiltrazione di acqua in fratture di trazione

dell’ammasso.

In particolari situazioni geologiche e stratigrafiche, come quelle descritte, l’acqua

viene ad esercitare una sottospinta idraulica sulla superficie del giunto, con effetti

evidentemente destabilizzanti in quanto, riduce la pressione normale e quindi la resistenza

al taglio sul piano di rottura.

Pure la presenza di un moto di filtrazione dell’acqua su un pendio rappresenta una

condizione importante, che può determinare un abbattimento del coefficiente di sicurezza

dello stesso pendio, calcolato in assenza di filtrazione, anche del 50 % (Fig. 15).

Figura 15. Moto di filtrazione in un pendio.

Vanno inoltre citate le azioni fisiche in grado di innescare spinte destabilizzanti,

oltre a provocare la disgregazione meccanica dell’ammasso roccioso, come ad esempio

l’azione divaricante dovuta alla formazione di ghiaccio nelle fratture, oppure alla presenza

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di apparati radicali fittonanti o ramificati, soprattutto se associati a piante d’alto fusto in

regimi ventosi.

Infine si richiamano le sollecitazioni destabilizzanti di tipo dinamico come quelle

prodotte da un sisma, oppure da un esplosione o semplicemente dal traffico veicolare.

Tali sollecitazioni generano nell’ammasso vibrazioni che si propagano come onde

di differente frequenza. Le componenti orizzontali e verticali dell’accelerazione associata a

queste onde determinano ripercussioni negative sulle condizioni di equilibrio.

6. VERIFICHE DI STABILITA’

6.1 Rappresentazione dei dati del rilevamento strutturale

Molti problemi di Meccanica delle Rocce che coinvolgono rette e piani nello spazio

(vale a dire giunti piani e le loro rette di intersezione) possono essere semplificati, o risolti,

attraverso l’uso dei reticoli stereografici. Nell’analisi di stabilità dei pendii in roccia è di fondamentale importanza il rilievo

sistematico delle discontinuità, la cui rappresentazione grafica favorisce l’interpretazione

del problema, perché consente di visualizzare la geometria e l’orientamento dei solidi di

roccia potenzialmente instabili.

La rappresentazione grafica delle discontinuità presuppone la schematizzazione

della singola discontinuità attraverso un piano nello spazio (Fig. 16). Un piano nello spazio

è univocamente individuato dalla sua inclinazione (dip) e dalla sua immersione (dip

direction). La traccia del piano di riferimento sul piano orizzontale è la direzione (strike).

29

Figura 166. Rappresentazione schematica di inclinazione (dip), immersione (dip direction) e direzione (strike) di un piano di riferimento nello spazio.

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La proiezione sferica dei piani di discontinuità è il mezzo di rappresentazione

utilizzato in Meccanica delle Rocce; in particolare, di uso comune è la proiezione equi-area

di Lambert. Questa proiezione viene utilizzata dai geografi per rappresentare le forme

sferiche della Terra su una superficie piana. Nei problemi geostrutturali, le intersezioni dei

piani con una sfera di riferimento sono utilizzate per definire l’inclinazione e la direzione di

immersione dei piani. Tale sfera di riferimento è libera di traslare nello spazio, ma non di

ruotare; conseguentemente ogni linea radiale che congiunge un punto sulla superficie al

centro della sfera, ha una direzione fissa nello spazio. Se questa sfera viene poi mossa in

modo che il suo centro giaccia sul piano considerato, il cerchio che rappresenta

l’intersezione piano-sfera, definisce univocamente l’inclinazione e l’orientazione del piano

nello spazio.

In Meccanica delle Rocce, per le rappresentazioni stereografiche, si utilizza

convenzionalmente l'emisfero inferiore e si ricorre alla rappresentazione per poli con

plottaggio su un reticolo polare.

6.2 Cinematismi di instabilità

Gli assetti strutturali dei giunti presenti in un ammasso roccioso condizionano i

possibili cinematismi di rottura incidenti sul piano del pendio considerato.

La contemporanea rappresentazione stereografica dei piani delle discontinuità

principali e del piano del pendio sul medesimo reticolo permette un’immediata valutazione

dei potenziali cinematismi di instabilità, secondo gli schemi riportati nella Fig. 17.

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Figura 17.

Cinematismi di instabilità e loro rappresentazione sul reticolo stereografico.

I differenti tipi di rottura di un pendio in roccia sono condizionati dalla resistenza di

matrice e dal grado di fratturazione dell’ammasso roccioso, nonché dall’orientazione e

dalla distribuzione delle discontinuità rispetto al pendio stesso. In ammassi di rocce dure,

la rottura avviene principalmente lungo le discontinuità.

Per contro, in ammassi di rocce tenere è la matrice rocciosa che governa la

generazione del meccanismo di rottura.

31

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Nel seguito vengono brevemente descritti i più frequenti cinematismi di instabilità di

pendii naturali e fronti artificiali in roccia, fornendo per ognuno la soluzione analitica per

l’impostazione della relativa verifica di stabilità.

Generalmente per le verifiche statiche si fa riferimento ai concetti insiti nel metodo

dell’equilibrio limite. Poiché è necessario definire la stabilità del pendio in condizioni

diverse da quelle dell’equilibrio limite, si introduce inoltre il concetto di fattore di sicurezza

come indice del grado di stabilità. Il fattore di sicurezza è il numero per il quale i parametri

di resistenza al taglio utilizzabili (coesione ed angolo d’attrito) debbono essere divisi per

raggiungere la condizione di equilibrio limite.

6.2.1 Toppling (ribaltamento)

Si manifesta su pendii rocciosi dove le principali superfici di discontinuità denotano

un’immersione contraria a quella del pendio, ma una direzione parallela o subparallela allo

stesso. In genere vengono isolati blocchi rocciosi in forma di parallelepipedi perché

separati da giunti perpendicolari alle superfici principali di discontinuità.

Il ribaltamento implica che avvenga una rotazione del blocco roccioso verso

l’esterno del pendio, intorno a un punto o a un asse situato al di sotto del centro di gravità

del blocco spostato.

La condizione generale di equilibrio al ribaltamento per un generico blocco è

verificata se il rapporto tra la lunghezza della sua superficie d’appoggio e la sua altezza è

maggiore della tangente dell’angolo di inclinazione del pendio.

Spostando l’attenzione sulla valutazione della stabilità di un pendio formato da m

blocchi (Figg. 18 e 19), risulta necessario risolvere un sistema di n equazioni di equilibrio

alla rotazione dei blocchi, aventi come incognite le azioni che i blocchi si scambiano

mutuamente. Tali equazioni di equilibrio non sarebbero a priori risolvibili, in quanto

dipendenti da forze di attrito delle quali non si ha modo di conoscere l’effettiva

mobilitazione.

Si ipotizza quindi la condizione di collasso incipiente per m-1 blocchi (metodo

dell’equilibrio limite), valutando poi con i risultati ottenuti l’equilibrio dell’m-esimo blocco.

All’equilibrio di questo blocco viene quindi ricondotto l’equilibrio dell’intero pendio.

Premessa indispensabile alla esecuzione della verifica, è l’individuazione di un

blocco o di un gruppo di blocchi che per la loro geometria non abbiano problemi di

instabilità.A valle di essi si individuerà quindi la porzione di pendio interessata dal rischio di

32

Page 33: CONCETTI GENERALI RELATIVI ALL’AMMASSO ROCCIOSO · 2019. 1. 10. · materi siano disponibili prove triassiali, gli stessi parametri possono essere dedott a resistenza a compressione

instabilità. Genericamente, tale porzione sarà costituita da m blocchi (nella presente

trattazione si indica con m il blocco più a monte di essi).

All’equilibrio del blocco m contribuirà invece l’azione Pm che esso scambia con il

blocco m-1. Ipotizzando per il blocco m la situazione di equilibrio limite, si calcolano i valori

di Pm necessari ad impedire la rotazione e lo scivolamento del blocco m, assegnando poi a

Pm nel seguito della procedura il valore dei due più alto.

Il generico valore di P (Pn), calcolato per l’n-esimo blocco, diventa sollecitante per il

blocco n-1, spingendolo a scivolare e/o a ribaltarsi. Ipotizzando ancora per il blocco n-1 la

condizione di equilibrio limite, si impone di nuovo l’equilibrio e così via. Genericamente,

l’equilibrio limite alla rotazione ed alla traslazione per il blocco n è espresso dalle seguenti:

n

nnnntn L

xyWxMPP )cossin()2/()tan(,1

αϕϕ ∆−⋅⋅+∆−⋅=−

ϕαϕα

2,1 tan1)sintan(cos

−−⋅⋅

−=−n

nsnWPP

La maggiore delle due forze rappresenterà il valore da tenere in considerazione

nell’equilibrio del blocco n-1.

I coefficienti delle equazioni del sistema sono dipendenti dall’angolo di attrito sulle

superfici dei giunti. La procedura può avere quindi diverse finalità.

Se, stimato tale angolo, esso si rivela troppo basso per garantire l’equilibrio

dell’ultimo masso, ciò può suggerire l’introduzione di un’azione stabilizzante da opporre al

piede del pendio per la sua messa in sicurezza.

Se l’angolo di attrito non è invece noto, successive iterazioni della procedura

descritta possono portare alla determinazione del valore limite che garantisce la stabilità.

Figura 18. Verifiche di equilibrio di un sistema di blocchi soggetti a toppling.

33

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Figura 19. Sistema di forze agenti sul singolo blocco.

6.2.2 Crollo Tale tipologia di dissesto si esplica con notevole rapidità su versanti in condizioni di

accentuata pendenza, subverticali o addirittura strapiombanti, privi di copertura e

vegetazione (Fig. 20).

Il piano di distacco è in genere rappresentato da superfici di discontinuità

subverticali preesistenti (faglie, fratture, giunti di strato)

Nel crollo di roccia la dinamica caratterizzante è quella di caduta libera nell’aria, con

una fase iniziale in cui prevale la componente verticale del moto.

La caduta libera si conclude con l’impatto delle masse rocciose alla base del

pendio, in prossimità degli apici dei coni detritici.

L’impatto induce importanti fenomeni di scoppio e di disgregazione dei volumi

rocciosi, i quali provocano da un lato la generale riduzione volumetrica degli elementi in

frana e dall’altro la proiezione di schegge minute anche a notevole distanza.

L’ultima fase del cinematismo è di solito caratterizzata da una discesa per rimbalzi

successivi e rotolamenti lungo il pendio sottostante.

34

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Figura 20. Schematizzazione del fenomeno di crollo in roccia e forze sul blocco.

6.2.3 Scivolamento planare: metodo dell’equilibrio limite Si definisce scivolamento planare il movimento verso la base del versante di una

massa di roccia che avviene in gran parte lungo una superficie di rottura piana o entro una

fascia, relativamente sottile, di intensa deformazione a taglio.

Questo tipo di frana coinvolge, in genere, materiali non omogenei e di diverse

caratteristiche meccaniche.

La superficie di scorrimento di solito consiste in uno strato di modesto spessore,

avente caratteristiche meccaniche peggiori rispetto alle formazioni adiacenti; in altri casi,

come ad esempio negli ammassi rocciosi stratificati, può identificarsi con una semplice

configurazione strutturale (giunti di stratificazione, piani di faglia).

In definitiva le frane di tipo traslatorio sono il risultato della presenza di

un’eterogeneità localizzata in genere ad una modesta profondità dalla superficie del

pendio.

In tale situazione, pertanto, la superficie di scivolamento tende ad essere piana ed

approssimativamente parallela al piano campagna.

Il movimento traslatorio può avere una velocità di esplicazione molto variabile, da

lentissima a rapida; il fattore che influisce sui tempi è normalmente l’acqua sotterranea.

35

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L’analisi di stabilità dello scivolamento planare su un pendio in roccia, in prima

approssimazione, può ricondursi all’analisi di stabilità di un blocco rigido in movimento su

un piano inclinato (Fig. 21). Si consideri dapprima un blocco avente area di base A,

soggetto solo alla forza peso, nell’ipotesi che la resistenza al taglio sulla superficie di

contatto sia espressa dal criterio di Coulomb (c=coesione, φ=angolo di resistenza al

taglio).

Le ipotesi dell’equilibrio limite sono:

• la rottura avviene per scivolamento su una superficie nota;

• la massa che scivola è costituita da uno o più blocchi rigidi che possono spostarsi senza

deformazioni o rotture interne ai blocchi.

EQUILIBRIO LIMITE

Wsenψ = cA + Wcosψ tanϕ

Figura 21. Blocco soggetto a scivolamento planare.

La presenza dell’acqua comporta un peggioramento delle condizioni di stabilità

(Fig. 22). Si consideri lo schema nel quale sul blocco agiscono una forza V dovuta alla

presenza di una spinta idraulica sulla superficie di monte del blocco ed una forza U dovuta

alla sottopressione agente sulla base A del blocco. Lo sforzo normale agente sulla

superficie di scivolamento deve essere considerato in termini di sforzi efficaci. In tale caso

l’espressione del fattore di sicurezza assume la seguente forma:

Figura 22. Azioni dell’acqua sul blocco.

36

( )VWUWAcF

+⋅−⋅+⋅=

ψφψ

sintancos

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Per poter impostare il calcolo di stabilità come un problema piano e applicare le

formule dell’equilibrio limite, sono necessarie le seguenti condizioni (Fig. 23):

1. Ad una qualunque quota lungo l’altezza del pendio, la distanza tra superficie del pendio

e il piano di scorrimento deve essere costante per tutta l’estensione longitudinale del

pendio.

2. Il piano lungo il quale avviene lo scivolamento deve avere immersione analoga a quella

del pendio (è ammessa una tolleranza di ± 20°)

3. L’inclinazione del piano di scivolamento ψp deve essere minore di quella del pendio ψf

4. L’inclinazione del piano di scivolamento ψp deve essere maggiore dell’angolo di attrito φ

del piano.

5. La resistenza tra massa in moto e superfici laterali che geometricamente la delimitano

(release surfaces) deve essere trascurabile.

Figura 23. Schematizzazione dello scivolamento planare.

37

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Per tenere conto dell’esistenza di fratture di trazione piene d’acqua posizionate a

monte del pendio considerato oppure all’interno dello stesso, come negli schemi sotto

riportati (Fig. 24), l’espressione del coefficiente di sicurezza diventa:

pVpWpVUpWAc

Fψψ

φψψ

cossin

tansincos

⋅+⋅

−−⋅+⋅=

Figura 24. Ruolo delle fratture di trazione.

Dove:

A = (H – z) cosecψp

U = ½ γw zw (H – z) cosecψp

V = ½ γw z2w

Se la frattura di trazione si trova al di sopra del pendio:

W = ½ γH2 [(1 – (z/H)2) cotg ψp – cotg ψf]

Se invece la frattura di trazione si trova all’interno del pendio:

W = ½ γH2 [(1 – (z/H)2 cotg ψp (cotg ψptg ψf – 1)]

38

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Per l’applicazione dei metodi di analisi sopra esposti si è assunta come nota la

posizione e la profondità della frattura di trazione sul pendio.

Se però questa è mascherata dalla presenza, ad esempio, di detriti o copertura

vegetale, possono esserne ricavate la profondità e la posizione più probabile

considerando l’altezza e l’inclinazione del pendio, nonché della posizione della superficie

di scivolamento (Figg. 25 e 26).

Figura 25. Abaco per la verifica di stabilità di un pendio con giunto di trazione.

Figura 26. Abaco di correlazione tra Ff, Fp, angolo di resistenza al taglio e Z/H in condizioni di equilibrio limite.

39

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6.2.4 Scivolamento di cunei rocciosi

Tale tipologia di cinematismo caratterizza lo scivolamento di un cuneo di roccia

isolato dall’intersezione con la superficie del pendio di due piani di discontinuità tra loro

incidenti.

La direzione dello scivolamento è definita dalla linea di intersezione dei due piani di

discontinuità.

Le condizioni cinematiche per il movimento di un cuneo sono le seguenti:

- la linea di intersezione delle due superfici di discontinuità deve immergere nella

stessa direzione del pendio;

- l’inclinazione della linea di intersezione deve essere minore di quella del pendio;

- l’inclinazione della linea di intersezione deve essere maggiore dell’angolo di

resistenza al taglio delle due superfici di discontinuità.

Per l’analisi di stabilità di un cuneo roccioso si possono impiegare diversi

procedimenti in funzione del grado di approssimazione richiesto e delle finalità dello

studio.

Nel seguito vengono fornite due note espressioni matematiche che forniscono il

coefficiente di stabilità di un cuneo elaborate da Hoek e Bray nel 1981.

1° Metodo di verifica Il caso più semplice si basa sulle seguenti assunzioni (Fig. 27):

- la resistenza al taglio lungo le due discontinuità che delimitano il cuneo è solo di

tipo attritivo, quindi si trascura la coesione;

- l’angolo di resistenza al taglio è lo stesso per entrambe le discontinuità.

40

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Figura 27. Verifica dello scivolamento di un cuneo roccioso.

Il fattore di sicurezza del cuneo definito nella figura è dato da:

( )i

BA

WRRF

ψsentan

⋅Φ⋅+

=

Dove:

RA ed RB sono le reazioni normali sui piani A e B.

ψi è l’angolo di inclinazione rispetto all’orizzontale della linea di intersezione dei due piani

di discontinuità.

Ricavando le componenti di RA e RB agenti in direzione parallela e perpendicolare

alla linea di intersezione del cuneo e semplificando si ottiene:

2

cosξ

βψ

sen

senWRR BA⋅⋅

=+

quindi il fattore di sicurezza del cuneo è dato da:

41

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i

i

Fψξ

βtantan

2sen

sen Φ⋅=

2° Metodo di verifica

Si considerano coesione e angolo di attrito con valori diversi per ognuno dei piani

che delimitano il cuneo e si introduce la pressione dell’acqua (Fig. 28).

Il fattore di sicurezza è dato dalla seguente equazione:

( ) BW

AW

BA YBXAYcXcH

F Φ

⋅−+Φ

⋅−+⋅+⋅⋅

⋅= tan

2tan

23

γγ

γγ

γ

HOEK E., BRAY J.W., and BOYD J.M., (1973) Dove:

cA e cB sono le coesioni sui piani A e B

φA e φB sono gli angoli d’attrito sui piani A e B

γ e γw sono i pesi di volume della roccia e dell’acqua

X, Y, A, B sono coefficienti adimensionali che dipendono dalla geometria del cuneo

H è l’altezza totale del cuneo

Figura 28. Ipotesi di distribuzione della pressione dell’acqua in un giunto.

I coefficienti dimensionali indicati nell’equazione si ricavano con le espressioni

riportate nel seguito.

42

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nbna

nbnaab

nbna

nbnaba

nbna

B

A

YX

⋅⋅−

=

⋅⋅−

=

⋅=

⋅=

θψθψψ

θψθψψ

θθθ

θθθ

25

25

135

13

245

24

sinsincoscoscos

sinsincoscoscos

cossinsin

cossinsin

Dove:

ψa e ψb sono le inclinazioni dei piani di discontinuità che formano il cuneo

ψ5 è l’inclinazione della linea di intersezione del cuneo

Tutti gli angoli θ possono essere agevolmente misurati ricorrendo alla proiezione

stereografica dei piani che delimitano il cuneo in esame, come illustrato nello schema (Fig.

29).

Figura 29. Rappresentazione di un cuneo su stereogramma.

43

6.2.5 Influenza dell’acqua sulla stabilità

L’influenza dell’acqua sulle condizioni di stabilità di un pendio può essere chiarita

riferendosi per semplicità al caso di un pendio indefinito, cioè al caso ideale in cui la

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rottura allela allo sviluppo del pendio, la cui

estens

omogeneità), è sufficiente analizzare il comportamento di un concio del

pendio

Figura 3 concio e sche su di esso.

Se si esamina l’equilibrio di un elem lla

superficie, in assenza di falda, le forze agent

stessa intensità, la stessa retta d'azione e sono parallele al pendio.

rciò:

φ’/tani

neo e in assenza d’acqua, si ha l’instabilità quando

l’angol ’. L’espressione

di F non dipende dalla profondità.

Se il pendio indefinito e omogeneo è completamente immerso in acqua in quiete

(Fig. 30), occorre tenere conto del peso, della pressione dell’acqua agente al contorno e

avvenga lungo una superficie planare par

ione possa essere considerata indefinita rispetto allo spessore del materiale

movimentato.

In queste condizioni, se la massa di terreno interessata dal movimento presenta le

stesse caratteristiche di resistenza al taglio lungo tutta la superficie di scivolamento

(condizione di

, come quello rappresentato nella Fig. 30 sottostante.

0. Rappresentazione di unma izzazione del sistema di forze t

ento ABCD con la base CD parallela a

i sulle due sezioni verticali AD e BC hanno la

La forza necessaria all’equilibrio vale:

T= W ⋅ sini = (N/cosi) ⋅ sini = N ⋅ tani

La forza tangenziale massima mobilitabile è pari a N ⋅ tanφ’ pe

F = tan

In un pendio indefinito, omoge

o d’inclinazione del pendio è pari all’angolo di resistenza al taglio φ

44

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della f

u4 = γw ⋅ (z + h) u3 = γw ⋅ (z+h+b+tani)

f

e un moto di filtrazione parallelo al pendio

stesso, le r zioni verticali sono uguali e opposte,

ante U della pressione agente su CD (Fig. 31).

(hw ⋅γw), e poiché

hw = MN ⋅ cosi = (h ⋅ cosi) ⋅ cosi, si ha:

1 w

L’equilibrio dell’elemento ABCD consente di scrivere:

W ⋅ sini = T W ⋅ cosi = N’ + U W = b ⋅ h ⋅ γ

Per cui: N’ = (γ - γw) ⋅ b ⋅ h ⋅ cosi T = γ ⋅ b ⋅ h ⋅ sini

In definitiva, si ha : T/N’ = γ / γ’ ⋅tani ed essendo

Tf = N’ ⋅ tanφ’, si ricava

orza N’, risultante delle tensioni efficaci normali a CD e della risultante T delle

tensioni tangenziali su CD. La pressione dell’acqua lungo il contorno ha i seguenti valori:

u1 = z ⋅ γw u2 = γw ⋅ (z + b ⋅ tani)

La risultante delle pressioni dell’acqua sul contorno è verticale e pari a

U = b⋅h⋅γw

Di conseguenza

N’ = W’ ⋅ cosi = b⋅h⋅γ’ ⋅ cosi, T = W’ ⋅ sini = N’ ⋅ tani.

Essendo T = N’ ⋅ tanφ’ vale ancora F = tanφ’/tani.

Figura 31. Concio di un pendio completamente sommerso.

l caso in cui il pendio sia interessato da

isultanti della pressione dell’acqua sulle se

per cui al contorno si ha solo la risult

N

Essendo MN una equipotenziale, il valore u1 è pari a

u = h ⋅γ ⋅ cos2i

45

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⋅=Fγtan i γφ ''tan

46

In presenza di un moto di filtrazione parallelo al pendio, il fattore di sicurezza si

riduce del rapporto γ / γ’.

piana, di due materiali con diverse caratteristiche di resistenza

l taglio φ1 e φ2 (Fig. 32).

Figura 32. Rappresentazione schematica di pendio indefinito con presen a, sulla superficie di scivolamento piana, di due materiali con diverse caratteristiche di resistenza al taglio φ1 e φ2.

Il pendio considerato può rappresentare l’argine di un bacino idrico in cui il livello

Si ipotizzi che la permeabilità del piano di scorrimento del pendio e della frattura

verticale di trazione sia tanto elevata da far sì che il livello dell’acqua in tali giunti coincida

ad ogni istante con il livello dell’acqua nel bacino.

φ φ Ι

iminuire la forza destabilizzante dovuta

al bloc

e quindi il coefficiente di sicurezza ritorna al suo valore originario.

Consideriamo ora un pendio disomogeneo cioè il caso in cui si ha la presenza sulla

superficie di scivolamento

a

z

dell’acqua può subire sensibili variazioni, come nel caso di bacini sbarrati da dighe.

Se 1 < 2, in modo tale che il blocco trasmetta una forza destabilizzante al blocco

ΙΙ, l’innalzamento del livello dell’acqua nel bacino da a a b diminuisce il peso del blocco ΙΙ

(e quindi diminuisce la forza stabilizzante) senza d

co Ι: in queste condizioni il coefficiente di sicurezza diminuisce.

Al crescere del livello dell’acqua da b a c diminuisce anche la forza destabilizzante

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Il medesimo andamento del coefficiente di sicurezza F con il livello dell’acqua nel

bacino (z) si ha anche durante lo svuotamento del bacino. Nel caso in cui Fmin sia minore

di 1, le

Sempre considerando la sponda di un bac

alla presenza, sul piano di scivolament

’attrito lungo il piano di scorrimento é costante, ma nell’ipotes

iunto sia modesta rispetto alla velocità di va

34). I

di massimo riempimento dell’inv o

e io nella situazione

di massim e, la forza Us

te) si annulla, mentre le forze Uf e Ub (destabilizzanti) mantengono

operazioni di riempimento e svuotamento del bacino possono provocare condizioni

di instabilità delle sponde del bacino stesso (Fig. 33).

Figura 33. Andamento del fattore di sicurezza al variare del livello di acqua in un bacino idrico.

ino, un altro esempio interessante è dato

o, di un unico materiale, per il quale l’angolo

i che la permeabilità lungo il

riazione del livello dell’acqua nel bacino (Fig.

d

d

g

n tal caso condizioni di instabilità possono verificarsi a causa di un rapido

svuotamento del bacino.

Figura 34. Sistema di forze sul pendio di un bacino nella situazione.

llo schema sono indicate le pressioni d’acqua agenti sul pend

o riempimento del bacino. Se il bacino è svuotato rapidament

as

N

(stabilizzan

47

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ento del fattore di sicurezza in funzione del tempo (svuotamen

6.2.6 Scivolamento circolare

e scivolamento circolare quello che avviene secondo una superficie

praticamente immutato il loro valore poiché la bassa permeabilità del giunto non consente

un’ista

te che se Fmin < 1 si ha instabilità del

pendio

quindi definire, in funzione della permeabilità dell’ammasso, un valore critico

(dz/dt)

nferiore a tale valore (Fig. 35).

igura 35. Andam to del bacino).

Si definisc

arco

i cerchio.

duce normalmente su pendii in ammassi a

compo

use scatenanti sono l’acqua di infiltrazione (alimentata da apporti piovosi, da

fusione delle nevi, da sorgenti; ma anche spesso da rottura di canali, collettori,

ntanea dissipazione della pressione neutra.

Come conseguenza, si ha una repentina diminuzione del coefficiente di sicurezza

del pendio.

Il minimo valore Fmin del coefficiente di sicurezza viene raggiunto al tempo ts

corrispondente al completo svuotamento. E’ eviden

.

Si può

crit che corrisponde al raggiungimento di un fattore di sicurezza pari ad 1 durante lo

svuotamento del bacino: per evitare movimenti franosi lo svuotamento dovrà avvenire con

velocità i

F

assimilabile a una superficie cilindrica, la cui sezione trasversale si approssima a un

d

Questo tipo di movimento si pro

rtamento omogenei, in rocce tenere o intensamente fratturate in cui blocchi rocciosi

separati dalle fratture hanno una dimensione piccola in rapporto all’estensione del pendio.

Le ca

48

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N Forze P

2 (N – 1) forze X, E

1 fatt. di sicurezza F

N – 1 posizioni forze E

4N - 2 n. totale incognite

acque

eriore passante al di sotto del piede del pendio (rottura profonda);

ndio, si

dis t

geometriche e statiche relative al generico concio.

concio per la verifica di stabilità nel caso di scivolamento circolare.

è il

seguente:

dotti), l’acqua defluente ed erodente al piede del pendio, le escursioni termiche e,

non raramente, i sismi.

La superficie di rottura approssimatamente circolare può essere localizzata:

- con l’estremità inferiore passante per il piede del pendio o incidente col pendio

stesso;

- con l’estremità inf

Per l’impostazione dell’analisi di stabilità, una volta definito il profilo del pe

cre izza la sezione in N strisce verticali. La Figura 36 illustra tutte le caratteristiche

Figura 36. Schematizzazione del generico

Il numero delle incognite

Poiché si possono per o ilibrio, si hanno in

totale 3N equazioni. Quando N > 2 si sso di N – 2 incognite che

necessita di essere comp da alt i aggiuntive. I diversi metodi

reperibili in letteratura si di ano tra e delle ulteriori ipotesi, che in

enere riguardano la direzione e il punto di applicazione delle forze all’interfaccia dei

conci.

utilizzare gni concio 3 equazioni di equ

ha sempre un ecce

ensato rettante condizion

fferenzi loro nell’introduzion

g

Si considerano inoltre le seguenti ipotesi:

49

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ribaltanti forze delle omentoM

o di essi il relativo coefficiente di sicurezza, così da poter localizzare il cerchio di

rottura a minimo.

Metodo di F conci siano parallele alla

a) è nota la pressione dell’acqua u in ogni punto;

b) si assume come linea di rottura un arco di cerchio.

Si tratta di individuare una griglia di centri di istantanea rotazione, stabilendo per

ciascun

che corrisponde al coefficiente di sicurezz

ellenius. Si assume che le forze d’interazione tra i

base del concio. Si considerano le equazioni di equilibrio del generico concio alla

traslazione normale e parallela alla superficie di base e alla rotazione intorno al centro di

rotazione.

Metodo di Bishop. Si assume che le azioni agenti all’interfaccia dei conci abbiano

risultante orizzontale. Esprimendo TR come un’aliquota della resistenza al taglio tramite il

fattore di sicurezza F e ricavando P dall’equilibrio alla traslazione verticale, si può scrivere

(rispetto al centro della circonferenza):

mntestabilizza momento

==R

SMF

( )[ ] [ ]∑ ⋅⋅⋅−+⋅n

buWbc tan φ

M enza dei punti di applicazione delle

i

i φα tantan

etodo di Janbu. Questo metodo ipotizza la conosc

risultanti delle forze di interazione sulle facce dei conci.

( )∑∑ ⋅⋅−+⋅⋅n

iiiii lPlc costancos αφα

Si applica l’equilibrio globale alla

( )

∑=

=

⋅= n

i

iiiiii

W

MF

1

1

sin

/1

α

α

( )

+=

iii F

M αα 1cos con

traslazione dei conci e si ha:

n

∑=

==

⋅= n

iii

ii

PF

1

11

sin α

iu

50

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Risulta necessario poter esprimere il valore delle Pi in funzione delle forze verticali

tra i conci. In una prima iterazione si pone Xi = O e si ottiene il primo valore di F.

Nelle iterazioni successive si ricavano le forze di interazione sfruttando le tre

equazioni di equilibrio per i singoli elementi.

Con questi valori delle forze di interazione si determina il nuovo coefficiente di

sicurez

ssivo.

Le superfici di taglio all'interno di questa sono multiple, temporanee e generalmente

non ve uzione delle velocità nella massa spostata è analoga a

quella

o le manifestazioni più o meno

visibili

stessa del cinematismo e la sua dipendenza dal

tempo

za che, a sua volta, consente un aggiornamento della posizione delle forze di

interazione. Il ciclo si interrompe quando F varia poco da un passo al passo succe

6.2.7 Creep di versante E’ un movimento che interessa la parte corticale di un pendio, caratterizzato da

velocità di spostamento molto basse, distribuito in maniera continua all'interno della massa

spostata con impercettibili deformazioni plastiche (creep).

ngono conservate. La distrib

all'interno di un fluido viscoso.

Gli stessi movimenti possono avvenire lungo diverse superfici di taglio

apparentemente non connesse tra loro; le conseguenze

sono piegamenti, arricciamenti e rigonfiamenti degli strati interessati. Si tratta in

definitiva, di un fenomeno lento che sovente impegna intere strutture montuose.Gli studi di

tali fenomeni, proprio per la tipologia

, possono essere condotti in maniera efficace tramite simulazione numerica con

programmi di calcolo, che implementano, ad esempio, il metodo delle differenze finite e

che consentono l’analisi tensio-deformativa dei mezzi continui tramite la risoluzione per via

numerica delle equazioni differenziali elastiche del continuo, mediante una

discretizzazione del mezzo in elementi ed una approssimazione della soluzione

differenziale in differenze finite, attraverso l’impostazione di adeguate condizioni di

contorno.

51

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Figura 37. Risultato di analisi numerica per lo studio del creep di versante.

La figura 37 illustra, ad esempio, il risultato ottenuto con la simulazione numerica delle

condizioni geostatiche di un versante naturale alpino esteso dai 650m slm ai 3200m slm

(zoom sulla porzione inferiore del pendio). Ad equilibrio raggiunto, l’analisi ha evidenziato

una modesta plasticizzazione superficiale lungo il versante che si amplia notevolmente al

piede a causa della concentrazione e dell’incremento dello sforzo principale massimo (Fig.

38) in corrispondenza del fondo valle.

Figura 38. Risultati della modellazione numerica: andamento dello sforzo principale massimo.

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Le figure del testo sono tratte dai documenti richiamati in bibliografia.

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