COMUNICAZIONE DI CRISI

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SOMMARIO

Introduzione ......................................................................................... 5

L'ambiente, sede di eventi catastrofici ............................................. 8

Crisi, disastro, catastrofe, rischio: uno sguardo ai termini ....... 8

Un focus sulle cause ........................................................................ 9

Micce improvvise o latenti ......................................................... 9

Fattori della crisi ................................................................... 10

Chi è che controlla lo scenario di crisi? ............................... 11

Una questione di comunicazione ...................................................... 11

Quando nasce la gestione della crisi ....................................... 11

Come organizzarsi per evitare le crisi .................................... 12

Il ruolo del comunicatore ......................................................... 12

Cosa accade se non si comunica durante il momento di crisi? .. 14

Comunicare la crisi dall’interno ...................................................... 15

L’unità di crisi, secondo la comunicazione .................................. 15

Regola numero uno: la completezza ............................................ 16

Sintomi spia .............................................................................. 17

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Il ciclo di vita di Seymour e Moore. Tre fasi della crisi

applicati alla comunicazione ......................................................... 17

Un percorso da seguire prima, durante e dopo la crisi ................. 19

Una transizione da analizzare ................................................... 20

Gestire un flusso informativo ................................................... 21

Il lavoro dei cronisti all’esterno ........................................... 21

I giornalisti possono essere causa di una crisi? .................... 21

Simulazione di uno stato di crisi nella comunicazione ..................... 23

Ecco come può agire un comunicatore ......................................... 23

Nessun riccio può battere la crisi ........................................... 24

La collana .......................................................................................... 26

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INTRODUZIONE

La perfezione, si dice, non è di questo pianeta. Ecco che fattori

umani, e non, possono influenzare azioni individuali o sociali

andando a generare stati di crisi che, comunque, modificano un

ordine prestabilito di cose o azioni. Un patatrac che può scoppiare

anche per una puntura di spillo.

Si può essere esenti da crisi? No. Può colpire tutti. Anche chi a

prima vista può sembrarne immune, poi, si dimostra vulnerabile. La

nazione più potente del mondo potrebbe essere messa in discussione

dalla caduta di un asteroide dallo spazio, tanto per fare un

esempio.

A dimostrazione che l’insidia è dietro l’angolo basta pensare alla

vicenda di Seveso del 10 luglio 1976, in Brianza, quando una nube di

tetraclorodibenzoparadiossina (TCDD) viene rilasciata da una nota

fabbrica di pesticidi. Circa 37.000 persone furono esposte ai

livelli più alti mai registrati di diossina. La zona circostante

venne quasi completamente attraversata da una serie di sostanze

ritenute tossiche e cancerogene, anche in micro-dosi. Oltre 600

persone vennero obbligate ad evacuare e altre diverse migliaia

subirono l'avvelenamento da diossina, evidenziando soprattutto gravi

casi di cloracne. Più di 80.000 animali furono macellati per evitare

che le tossine potessero entrare nella catena alimentare. Oggi il

nome di Seveso è usato per indicare una legge europea di tutela

preventiva nel settore chimico.

Diversi anni dopo è la volta del Pcb (policlorobifenili), un

prodotto chimico utilizzato in moltissime lavorazioni industriali

(plastificanti, antiparassitari, vernici, adesivi, trasformatori

elettrici), la cui fabbricazione è stata vietata in Italia dal 1984.

Si scopre un livello abnorme di elementi inquinanti nell'area

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circostante lo stabilimento di uno dei più importanti produttori

italiani di PCB, Caffaro spa, in via Milano a Brescia, e qualche

studioso lo collega con l'elevata percentuale di tumori al fegato,

alla vescica e alle vie linfatiche nel bresciano.

Mentre è di solo qualche giorno fa la notizia che all’Ilva

(privata), ex Italsider (pubblica), l'acciaieria più grande d'Europa

sita a Taranto al centro di diverse inchieste e indagini, sono stati

condannati condannati 27 ex dirigenti per disastro ambientale e

omicidio colposo plurimo. Il giudice ha riconosciuto il nesso di

causalità tra il decesso di 28 operai e l'esposizione all’amianto.

Non solo industria, però.

Più recentemente, è la Costa Concordia, una nave da crociera della

Costa Crociere, compagnia di navigazione italiana leader delle

crociere in Italia ed Europa, che vanta oltre 60 anni di storia, a

mettere in crisi le acque dell'Isola del Giglio. Il 13 gennaio 2012,

infatti, la nave ha urtato uno scoglio nei pressi dell'isola,

riportando l'apertura di una falla lunga circa 70 metri sul lato

sinistro. La collisione provoca il naufragio di 4229 persone tra

membri dell’equipaggio e passeggeri. Trentadue vittime. L’incidente

rischia di trasformarsi anche in un disastro ambientale a causa

delle 2.300 tonnellate di carburante ancora nei suoi serbatoi. Ed

oggi, a due anni dalla tragedia, il relitto è ancora in attesa di

essere rimosso. La crisi non è terminata.

Di esempi di crisi ambientale ce ne sono infiniti.

La comunicazione è il fattore più importante nella lotta alla crisi

ambientale di questi anni. Sconfiggere ciò che danneggia l’ambiente

è possibile solamente se si conosce la materia e se si è in grado di

analizzare cause e conseguenze di ogni azione; non tutti sono in

grado di trattare questa materia, e le informazioni diffuse sono

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spesso poche ed imprecise. L’informazione corretta e precisa, il

pensiero critico e la capacità di analisi sono fondamentali per

riuscire ad analizzare la crisi.

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L'AMBIENTE, SEDE DI EVENTI CATASTROFICI

La Terra, mettiamocelo bene in testa, è nostra. E come tale la

dobbiamo trattare. Nessuno di noi distruggerebbe un bene di sua

proprietà. Eppure accade, con o senza volontà, con conseguenze

dirette ed indirette su tutti quanti noi.

La comunicazione riveste un ruolo fondamentale. Serve ai soggetti

che provocano la crisi. Ed è ancora più utile, se fatta

correttamente, ai soggetti che subiscono la crisi. Perché il panico,

il terrore, gli inganni provocano effetti cumulativi e

moltiplicativi difficili da gestire, e spesso lesivi per le persone.

CRISI, DISASTRO, CATASTROFE, RISCHIO: UNO SGUARDO AI

TERMINI

La crisi è definita, secondo il dizionario Sabatini-Coletti, come il

“deterioramento di una condizione oggettiva con conseguente

instabilità socio-politica e decadenza delle istituzioni civili;

turbamento della pacifica convivenza, della vita in comune”. Viene

considerato anche come un “Periodo caratterizzato da una caduta

della produzione, da disoccupazione, scarsa utilizzazione degli

impianti, riduzione degli investimenti”, come una “incrinatura di un

rapporto, interruzione della precedente armonia: una coppia” come lo

“Sconvolgimento dell'assetto interiore di un individuo”, ma anche,

nel significato medico, come un “cambiamento improvviso nel decorso

di una malattia” o di uno scoppio di uno stato emotivo.

Il disastro, invece, è - sempre secondo il dizionario Sabatini-

Coletti - un “evento avverso di grande forza distruttiva” ma anche,

per estensione, la “conseguenza di tale evento costituita dalla

morte di persone, dalla rovina di cose, da danni gravissimi di ogni

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tipo”, come nel caso dei disastri “prodotti dalla guerra”. Un

sinonimo è il termine catastrofe, che è un “avvenimento disastroso e

sconvolgente” e che nel teatro greco stava anche a significare un

momento decisivo dell'azione drammatica che porta “alla fine della

vicenda”. Il rischio, invece, è la “possibilità che si verifichi un

fatto negativo, che qualcosa non abbia l'esito voluto”.

UN FOCUS SULLE CAUSE

Sono diverse le cause delle crisi ambientali: alcune, di tipo

naturale (causate, dunque, dall'effetto della Terra e del suo

ecosistema o esternamente a questo). Ma non mancano – e sono molte

di più – quelle artificiali causate dall'uomo. Larga parte delle

volte hanno effetti diretti sull'ambiente.

Tra le catastrofi naturali si annoverano quelle causate da

terremoti, maremoti, asteroidi, tempeste solari, nubifragi, frane e

smottamenti, impatti di meteoriti.

Tra le cause artificiali ci sono le industriali (sabotaggi, errori

umani, conflitti nei settori professionali, manomissioni), quelle

politiche (legate ad interessi economici, politici, sociali che

sovente portano al cosiddetto effetto nimby -Not In My Back Yard-),

quelle economiche e sociali (le ecomafie o molti altri fenomeni).

Tutte queste possono portare a danni economici di enormi entità

(spesso, capaci di mettere in ginocchio nazioni intere) e

condizionare la stabilità dello status quo.

Micce improvvise o latenti

Importante è capire le eventuali micce che potrebbero innescare uno

stato di crisi. Possono essere sia improvvise sia latenti. È facile

immaginare quali siano le cause da catalogare come "improvvise".

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Quelle "latenti", invece, spesso sono riferite a mancanze interne

all'azienda, come la demotivazione del personale o la mala gestione

dell'impresa. Nel lungo periodo sono condotte che possono farsi

profondamente sentire. Inoltre, gli errori possono essere divisi in

due macrocategorie: gli errori interni e quelli esterni. In questo

focus sarà analizzato lo stato di crisi aziendale. Ma, in massima

parte, quel che si dirà è valido anche nel settore della pubblica

amministrazione o delle associazioni non governative. I principali

errori interni all'azienda sono diversi e si suddividono in umani

(come quelli manageriali e di gestione aziendale, o legati agli

operatori, come nel caso di sabotaggi se mossi volontariamente),

organizzativi (i fallimenti aziendali), e tecnologici (errori di

design, difetti ai dispositivi, l’avviamento di procedure

scorrette). I principali errori esterni all'azienda possono essere

regolamentativi (come per esempio la carenza di controlli),

infrastrutturali (un disastro ferroviario che può portare a una

crisi aziendale perché non possono essere portate avanti le commesse

a causa della rottura della linea), di preparazione (piani di

emergenza). Possono esserci – inseriti in questa macrocategoria -

anche “errori” naturali, come le catastrofi (un terremoto può

chiaramente mettere in ginocchio un'impresa).

Fattori della crisi

La crisi ambientale in una azienda può essere legata essenzialmente

a due fattori: al prodotto (se difettoso o contaminato, per

esempio), o al processo di produzione (se c’è un caso di

inquinamento, di contaminazione di sostanze nocive o se è avvenuto

un incidente).

Nel settore della pubblica amministrazione, invece, può essere

causata da una emergenza ambientale o di sicurezza del cittadino nel

caso di una cattiva gestione dei servizi pubblici offerti.

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Chi è che controlla lo scenario di crisi?

Alla funzione di controllori degli scenari di crisi assolvono gli

esaminatori: il personale (che altrimenti può veder perso il proprio

posto di lavoro), i fornitori (che non avrebbero più saldati i

pagamenti), le banche (che non avrebbero più soldi per coprire le

esposizioni dell'azienda), i giornalisti (che cercano le notizie e

le diffondono), i sindacati (che devono tutelare il personale), gli

stakeholder in genere (che hanno gli interessi più vari a vedere

quell'azienda in salute).

UNA QUESTIONE DI COMUNICAZIONE

La crisi colpisce tutti, volenti o nolenti. Certo, è pur vero che le

grandi aziende in uno stato di emergenza fanno più notizia, come lo

sono del resto quelle notizie legate a emergenze nazionali o

internazionali. Ed è soprattutto a questi livelli che si ha una

maggiore sensibilità. Ecco perché le grandi imprese – specie le

multinazionali - sono più abituate a gestire eventi del genere.

Loro, nel tempo ordinario, prevedono le possibili emergenze e

programmano tutte le strategie più opportune per rispondere alla

eventualità che si verifichino. Le aziende medie e piccole, invece,

sono molto più vulnerabili poiché, in assenza di programmazione,

quando si verifica l’emergenza spesso, non sanno come gestire la

cosa. E la mancanza di una corretta comunicazione amplifica i danni.

Quando nasce la gestione della crisi

Due casi scatenano il crisis management: l'incidente nucleare di

Three Miles Island nel 1979 e il caso Tylenol del 1982, due episodi

che, in settori diversi – il primo nel campo ambientale, il secondo

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in quello farmaceutico – hanno spinto la nascita della

pianificazione in questo ambito.

Da ciò è dunque nato il Crisis management planning, attività

strutturata per l'emergenza e il Continuity planning, sulla

continuità delle operazioni durante o dopo incidenti previsti.

Come organizzarsi per evitare le cris i

Se c'è qualcosa che mantiene in piedi una impresa (ciò vale anche

per le istituzioni con le loro rappresentanze politiche) questa è la

fiducia che ha da parte del proprio pubblico di riferimento. Quindi,

nei confronti dei propri clienti, dei cittadini o dei propri

elettori. Quando questa si lacera o si perde, vuol dire che si è

davanti a un momento davvero delicato. Un calo della fiducia –

magari a causa di uno stato di crisi ambientale – si può trasformare

in una condanna a morte.

Per far fronte all’esigenza di evitare danni ambientali e, al

contempo, una crisi aziendale è necessario creare un piano delle

emergenze, che individui mediante audit emergenze ed interventi (con

le azioni da compiere in caso di emergenza), gestito, in fase di

redazione e di messa in pratica, da una unità di crisi. E' sullo

studio di cause ed effetti che si basa il crisis management, cioè la

possibilità di gestione della crisi. Compongono l’unità di crisi,

infatti, diverse professionalità (dirigenti, tecnici di diversa

specializzazione, il responsabile del personale, legali, operativi,

ecc.).

Il ruolo del comunicatore

Prevenire è meglio che curare, diceva lo slogan di un vecchio spot

di dentifrici. Come? Per esempio non costruendo in zone

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particolarmente a rischio sismico o a ridosso di territori soggetti

a dissesto idrogeologico. In questo modo, in caso di frane, si

prevengono gli effetti sulla comunità.

Il piano delle emergenze è redatto in quest’ottica. Ma spesso la

prevenzione non basta. Ci sono situazioni che ormai – vuoi il tempo,

vuoi la complessità operativa – non si possono più risolvere con la

prevenzione. Basta pensare all'abitato dei Campi Flegrei, in

Campania, che non sopporterebbe di essere oggetto di un piano di

delocalizzazione. Eppure, in caso di una eruzione del Vesuvio, come

quella che colpì Pompei ed Ercolano, milioni di persone sarebbero a

rischio.

L’insufficienza dei programmi di prevenzione, e dunque l’eventualità

che una certa emergenza ambientale si verifichi comunque anche se

preventivamente gestita, fa sì che tra le professionalità necessarie

all’unità di crisi sia coinvolta anche quella che cura la

comunicazione interna e -soprattutto- esterna.

Qui il ruolo del comunicatore è essenziale perché è lui che si trova

davanti al duro compito di gestire le politiche comunicative nel

momento più complesso. E' lui che dovrà controllare una serie di

aspetti, tra cui quello – di non poco conto – legato alla 'pancia'

del proprio pubblico di riferimento. Le emozioni, le reazioni di una

comunità, dei consumatori, delle vittime potrebbero fare la

differenza.

Nonostante si cerchino di codificare alcune regole di comunicazione,

non è poi così semplice rispettarle a pieno. Il compito del

comunicatore è estremamente duttile e varia a seconda delle

condizioni esterne che gli si paiono davanti.

Parafrasando il filosofo greco Eraclito, quando diceva che nello

stesso fiume non si può scendere due volte semplicemente perché il

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fiume è composto sempre da gocce d'acqua diverse, anche in questo

caso una crisi è sempre diversa dall'altra.

Può cambiare il luogo, possono cambiare gli attori, possono cambiare

i recettori e le vittime, possono cambiare le cause.

Cosa accade se non si comunica durante il momento di crisi?

Si scatena la ricerca dell'informazione, si dà la caccia alla fonte,

anche improvvisata, capace di dare un dettaglio in più che – spera

il cronista – possa aiutarlo a ricostruire il caso. Il giornalista

ha alcuni parametri etici che deve sempre rispettare – dunque, non

può scrivere notizie false, tanto per fare un esempio – ma è normale

che una attività di questo genere potrebbe indurlo in errore. Ed

errare, come dicevano i latini, è umano.

L'obiettivo di un bravo comunicatore sta nel gestire la necessità di

informazione di terzi, sempre nel rispetto delle regole etiche della

professione.

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COMUNICARE LA CRISI DALL’INTERNO

L’UNITÀ DI CRISI, SECONDO LA COMUNICAZIONE

All’interno della cosiddetta unità di crisi aziendale (il crisis

management team) è necessaria la presenza di un'area comunicazione.

Ma cosa fa?. Prima di tutto raccoglie informazioni all'interno e

definisce quali siano i messaggi da trasmettere all'esterno. Il suo

compito è quello di coordinare e gestire la crisi nella maniera più

corretta possibile. Nel tempo ordinario forma e prepara le persone,

valuta zone critiche, individua opinion leader o autorità super

partes che possono supportare l'organizzazione, elabora strategie,

analizza gli stakeholders e tiene il rapporto con loro, accentra le

informazioni in ingresso e in uscita, monitora gli effetti e

gestisce il dopo crisi.

Compongono il comitato di crisi membri permanenti e temporanei,

coordinati da un team manager. Qui c'è anche il responsabile dei

rapporti con i media e chi si occupa di comunicazione interna,

figure che sono basilari per una positiva comunicazione in momenti

particolarmente critici. Tra i componenti temporanei ci sono invece

i consulenti esterni, come lo può essere un ingegnere, o un geologo,

a seconda dell'emergenza che si può avere di fronte.

Il comitato opera in una crisis room. Si tratta di un luogo fisico -

al sicuro rispetto all'area di crisi coinvolta - con telefono, pc,

computer, fax, stampante. È in collegamento diretto con chi opera

sul posto e chi gestisce operativamente le attività di soccorso. Nel

caso di una crisi particolarmente diffusa, può esistere un comitato

di crisi centrale e più comitati di crisi locali. In questo caso il

comitato centrale ha rapporti con i comitati locali e coordina tutte

queste realtà. Inoltre, ha chiaro il punto della situazione e la

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monitora a livello più ampio. Un esempio a più poli di questo genere

è quando si vengono a creare grandi catastrofi (un terremoto, per

esempio, che colpisce più regioni). La protezione civile nazionale

coordina dalla sua sede centrale le diverse realtà regionali, che

coordinano le sedi locali. Non si tratta di un "burocratismo" ma di

un modo semplice per coordinare e gestire una situazione alquanto

complessa.

Regola numero uno: la completezza

E' importante valutare tutti i fattori per evitare di essere

impreparati quando questi poi accadranno (non ce n'è certezza, ma

c'è la probabilità). La conoscenza, lo studio, la preparazione, sono

fondamentali nella società globale. Oggi, infatti, non ci sono solo

i mass media, ma c’è anche quel giornalismo detto partecipativo nel

quale vengono coinvolti i singoli utenti della rete di internet in

maniera istantanea. Dunque, potenzialmente, qualsiasi cittadino può

essere il diffusore di informazioni capaci di amplificare una crisi.

E' nel piano delle emergenze – nel quale ogni attore mette del suo,

a livello tecnico – che un comunicatore può – e deve – cercare di

valutare tutti gli effetti mediatici che potrebbero essere causati

dallo scoppio di un qualsiasi stato critico. Mai – e dico mai – si

può escludere il responsabile della comunicazione da questo atto.

Equivarrebbe a non voler considerare l'aspetto finale del crisis

management.

Non si può fare il piano delle emergenze e poi pensare che tutto sia

concluso. Bisogna provare, testarlo. Studiarne ogni minima

probabilità. Si può organizzare un role playing, simulando uno stato

di crisi. Meglio se tutto viene registrato da una tv a circuito

chiuso: così si possono rivedere e analizzare i movimenti

all'interno dell'impresa.

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Per comunicare alla perfezione in caso di crisi è necessario essere

tempestivi (non ci deve essere alcun ritardo nell'attivazione),

gestire centralmente la comunicazione (troppe voci potrebbero

rendere incomprensibile il messaggio), univoci (il senso deve essere

uno), sintetici (i rapporti devono essere completi e continui) e

deve esserci una relazione tra pubblico e stakeholder.

Sintomi spia

Ci sono diversi elementi che caratterizzano una crisi. Prima di

tutto c'è l'effetto sorpresa (questa può scoppiare in qualsiasi

momento, anche a qualsiasi ora della notte o nei momenti di maggior

relax). Altro elemento è quello dei "sintomi spia". Sono segnali che

passano di solito inosservati ma che, a una diversa analisi, possono

far capire che sta per scoppiare qualcosa. Sintomi spia avvengono in

buona parte dei casi, soprattutto quando si tratta di crisi

scoppiate per cause artificiali. Sono fattori da considerare sempre.

Lo scenario di crisi non è mai statico. Le notizie si susseguono

secondo dopo secondo ed è per questo che si può definire un contesto

"work in progress".

Di tutto questo deve tener conto un comunicatore, che non può

pensare, per esempio, di monitorare e studiare solo una fetta - solo

perché più rilevante - e tralasciare l'altra. In uno scenario di

crisi nulla si può lasciare al caso e tutto deve essere valutato con

attenzione.

IL CICLO DI VITA DI SEYMOUR E MOORE. TRE FASI DELLA CRISI

APPLICATI ALLA COMUNICAZIONE

Seymour e Moore hanno individuato, nei fattori di crisi, un vero e

proprio "ciclo di vita". Si tratta di un percorso comune a tutti

questi eventi.

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La prima fase è quello dello scoppio della tempesta. In questo

momento - quello nel quale si rende evidente il fattore di crisi -

si è scoperti davanti all'opinione pubblica. Gli occhi dei media

sono tutti puntati sull'azienda. Ora è fondamentale trovarsi pronti,

prendere di mano la situazione e tirare fuori dal cassetto tutte le

informazioni che si erano raccolte durante il proprio lavoro

quotidiano, già in passato (importanza della prevenzione). Un

perfetto comunicatore di crisi è più cicala che formica. Preferisce

accumulare, nel corso del tempo, le informazioni che gli servono per

cercare, poi, di rispondere al meglio. È fondamentale essere chiari

e comunicare da subito tutto ciò che si ha a disposizione. Bisogna

spiegare che si tratta di una situazione in divenire e che è giusto

dire – con chiarezza – che non si sa tutto alla precisione.

Importante è continuare a studiare e dire che si sta lavorando per

questo.

La seconda fase è quando infuria la tempesta. La notizia ora è stata

già diffusa dai mass media. Radio, Tv, agenzie di stampa hanno già

lanciato e rilanciato l'informazione. Il danno è stato diffuso alla

massa. I tempi tra la prima e la seconda fase si sono ristretti - e

di molto - con le innovazioni tecnologiche. Se prima era necessario

aspettare il quotidiano del giorno dopo per valutare cosa fare, a

velocizzare tutto hanno pensato la radio e la tv (e internet ha

fatto il resto). Se un'azienda è quotata in borsa c'è da aspettarsi

un crollo del titolo (un tonfo, come si dice). Se si tratta di una

istituzione pubblica c'è da aspettarsi una forte presa di posizione

da parte dell'opposizione al governo. Comunque, c'è da attendersi

anche un fortissimo dibattito sui mass media che va necessariamente

monitorato. Ciò, per una serie di motivi. Prima di tutto va

controllato per evitare che possano esserci delle notizie false. Va

fatto, poi, per cercare di coordinare la comunicazione lanciando la

propria posizione dei fatti e facendo in modo che sia la posizione

preminente. La cosa fondamentale è di dare l'impressione, con fatti

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concreti, di non lasciare mai sole le vittime dell'incidente o chi è

coinvolto dallo stato di crisi. È importante che la cabina di regia

non solo gestisca il rapporto istituzionale e aziendale ma si

rivolga anche a chi è stato duramente colpito dal fatto.

In questo momento c'è da considerare un approccio su più livelli.

Per un'azienda è importante che ci si possa confrontare su più

canali: quello dei media, quello della comunicazione internazionale

(se la crisi supera i confini territoriali), quello delle comunità

locali e quello del mercato.

La terza fase è quando la tempesta passa. In questo momento i

riflettori dei media si stanno spegnendo. L'azienda o l'istituzione

colpita dalla crisi hanno tutto il tempo per rimediare al danno. La

cosa importante è tentare di risolvere le cose e non aspettare che

si risolvano da sole (tra l'altro, impossibile in molti casi).

UN PERCORSO DA SEGUIRE PRIMA, DURANTE E DOPO LA CRISI

Non si può vivere all'ultimo minuto. Anche i militari in guerra

seguono una strategia che permette loro di vivere progettando una

tecnica di combattimento. Per un comunicatore che si occupa di crisi

è fondamentale monitorare eventuali segnali di allarme che prevedono

l'inizio del tracollo. Inoltre, anticipare dando per primi

l'informazione è utile per la comunicazione. Bisogna evitare di

farsi prendere dal panico e dal caos. Spesso – anzi, sempre – non

servono a nulla. Fanno però lavorare molto male e questo poi, nel

corso del tempo, può incidere sia nella nostra reputazione

professionale sia in quella dell'impresa. Bisogna prendere

tempestivamente in mano la situazione e dare l'immagine di una

realtà determinata capace di rispondere immediatamente allo stato di

emergenza. Bisogna farlo, anche perché in questo modo si limitano

eventuali danni comunicativi.

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Prima. È opportuno monitorare eventuali segnali di allarme che

prevedono l'inizio della crisi: per farlo è necessario studiare

tutte le eventuali cause che possono portare a un fatto nefasto.

Anticipare è utile per la comunicazione. Ciò che viene detto nelle

prime 24 ore è fondamentale. Devono esserci pochi passaggi rivolti

alle figure gerarchiche.

Durante. Bisogna evitare di farsi prendere dal panico e dal caos.

Spesso – anzi, sempre – non servono a nulla. Anzi, fanno lavorare

molto male. Bisogna prendere in mano la situazione e dare il senso

di forza, intervenire tempestivamente e limitare i danni.

Dopo. Rimediare al problema, affrontando con la serenità necessaria

l'evolversi degli eventi. E' fondamentale, in questo caso,

partecipare a una unità di crisi che possa monitorare il polso della

situazione attraverso i media e che possa studiare il dibattito sui

social network: è con questi che si interpretano gli umori di una

comunità.

Una transizione da analizzare

In breve tempo, durante uno stato di crisi, si passa da sentimenti

di fiducia e di sicurezza all'ansia che, sotto diverse forme, si può

palesare comunicativamente in due momenti: sia nella fase originaria

– prima della diffusione dell'informazione (perché, magari, si è

partecipi del momento di crisi) sia nella fase di feedback della

notizia (perché si commenta e si valuta quanto è stato

comunicativamente diffuso.

La psicologia dell'essere umano – a seguito di uno stato di crisi -

è varia. Non vuol essere questo un saggio di psicologia (chi scrive,

è un giornalista) e quindi si baserà solo sull'esperienza di chi si

occupa di comunicazione. C'è chi mantiene la calma, per esempio, e

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chi riesce a tenere una discreta lucidità. C'è però anche chi

reagisce in maniera incontrollata, con isteria e collera. Ciò accade

soprattutto se si tratta di crisi dovute a cause ambientali

(radiazioni nucleari, terremoti...) con disastri capaci di colpire

ampie fette del territorio senza che si possa porre rimedio in modo

semplice.

Gestire un flusso informativo

È necessario, in una attività di comunicazione di crisi, arrivare a

gestire il flusso informativo e comunicativo con uno stato di osmosi

comunicativa, che permetta di coinvolgere il pubblico come partner

attivo, facendolo partecipare alle decisioni ambientali.

Nel frattempo, però, il rapporto di osmosi deve essere basato anche

su un fondamentale feedback che possa dar modo all'impresa di

ascoltare gli umori, le preoccupazioni, le soddisfazioni del

pubblico di riferimento. Solo poi si può agire di conseguenza.

Dunque, non solo è importante raccogliere le impressioni, ma anche

capire come queste, dopo l'elaborazione aziendale, siano state

assimilate dal pubblico.

Il lavoro dei cronisti all’esterno

In tutto questo c’e un fattore da considerare: il cronista dei mass

media. Hanno fame di notizie e, soprattutto, di notizie certe.

Soprattutto chi non è abituato con gli stati di crisi può valutare

la non risposta momentanea come un modo di voler evadere malamente

la domanda. Anche se non sempre è così. Per questo ci vuole calma,

serenità e va spiegato lo scenario.

I giornalisti possono essere causa di una crisi?

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Sì. Un esempio tra tanti è il caso Watergate. Tutto nasce da una

inchiesta giornalistica. È questo il genere informativo che può

causare uno stato di crisi (a livello economico, sociale o politico)

ed è difficile da controllare. Diceva Nicholson "è la stampa

bellezza, e tu non puoi farci niente". Non c'è frase più vera. Per

questo un comunicatore dovrebbe fare in modo di prevenire le crisi e

di avere un buon rapporto con chi fa giornalismo d'inchiesta e chi,

eventualmente, potrebbe occuparsi del proprio committente.

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SIMULAZIONE DI UNO STATO DI CRISI NELLA

COMUNICAZIONE

Ecco come può agire un comunicatore

Simulare una crisi non è cosa semplice. Ogni momento è diverso dagli

altri, e dunque è opportuno analizzare ciò che di certo e ricorrente

c'è in una sorta di “evento modello”.

Tra le prime azioni che avvengono in caso di disastro ambientale c'è

la divulgazione del fatto sui mass media. La notizia diventa di

dominio pubblico perché fa notizia. I fatti, nonostante magari siano

particolarmente frammentati, vengono diffusi ugualmente. E'

contestualmente a questa fase che il giornalista si presenta

all'organizzazione e inizia a chiedere informazioni per ottenere

ulteriori conferme delle notizie che già ha e che, magari, ha avuto

validazione da parte di altri organismi (le forze dell'ordine, i

movimenti civici, la politica). Il primo affamato di dati certi è

dunque il giornalista.

Questa è una delle prime difficoltà più grandi per il comunicatore

in area di crisi. Il comunicatore deve cercare di rispondergli punto

per punto, dall'altra il giornalista deve capire che si tratta di

una situazione work in progress.

Immediatamente bisogna monitorare l'impatto emotivo sulle persone e

sui dipendenti al momento della diffusione della crisi.

Contestualmente è giusto che ci sia una posizione – seppur parziale

– ma netta e ben definita dell'impresa (o dell'ente) colpito. Ed è

necessario che ci sia un leader carismatico pronto a metterci la

faccia e a presentarsi davanti ai giornalisti – dunque, anche

davanti alle telecamere – per raccontare minuto dopo minuto come

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stanno andando avanti le cose. E' lui che deve essere l'interfaccia

ultima del duro lavoro che, nel frattempo, sta facendo proprio

l'area comunicazione per cercare di monitorare, studiare e

analizzare il fenomeno.

Sia nella prima fase, sia nella seconda – quella della

stabilizzazione dello stato di crisi, dopo che la notizia ha fatto

il suo tam tam sui media – è necessario rispettare alcuni parametri

nella diffusione dell'informazione. Questi sono la tempestività (non

ci devono essere ritardi nell'attivazione del percorso informativo),

la centralità (una persona sola è meglio che comunichi e che sia la

dimostrazione di una immagine compatta a livello aziendale),

l'univocità del messaggio inviato, la sinteticità dell'informazione

(è più opportuno dare rapporti completi e continui piuttosto che

testi prolissi e difficili da rielaborare).

Nessun riccio può battere la crisi

In un momento di crisi è sempre bene comunicare e non chiudersi a

riccio. L'obiettivo è uno: infondere fiducia. Non dare le

informazioni necessarie porta sempre a fraintendimenti e

incomprensioni. Genera, in pratica, quella mala informazione che poi

porta a danni ancor peggiori.

E' necessario agire su alcune linee ben definite (alle quali non si

deve derogare nonostante si abbiano notizie frammentate). Se queste

sono tali, è opportuno essere chiari e dirlo da subito):

- Informare il pubblico su cosa è successo (se possibile, perché,

anche se probabilmente nei primi istanti a questa domanda è

difficile rispondere)

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- Spiegare al pubblico (attraverso i media) cosa si sta facendo per

risolvere il problema nel miglior modo possibile

- Illustrare le modalità dell'aggiornamento delle notizie.

Nel frattempo, mentre si avvia un percorso di questo genere, è

opportuno che si analizzi il grado della complessità della crisi a

livello comunicativo partendo dal livello di coinvolgimento del

pubblico (sapere se c'è tolleranza o paura è fondamentale per capire

quali risposte dare). E' basilare capire l'impatto del problema sul

pubblico, sui media, sui servizi d'emergenza, sui dipendenti, sui

clienti, sulle comunità locali, sul governo e sugli enti locali.

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LA COLLANA

QUADERNI DI COMUNICAZIONE AMBIENTALE

La rivoluzione industriale è stata seguita, negli anni recenti,

dalla liberalizzazione delle telecomunicazioni e dalla diffusione

massiccia di Internet, determinando la nascita della cosiddetta

«società dell’informazione». Tale espressione, che trova la sua

origine in quella di "società post-industriale" è stata usata per la

prima volta nel 1973 da Daniel Bell, ordinario di sociologia a

Harvard. Sta ad indicare una società moderna che, giunta al culmine

del processo di industrializzazione, deve - per continuare a

crescere - concentrare i propri sforzi verso la produzione non più

soltanto di beni materiali ma anche di servizi immateriali.

Ed è in questa società dell’informazione che si sta assistendo ad

una nuova trasformazione del comunicare che oggi riguarda

innanzitutto gli strumenti utilizzati (basti pensare ai blog e ai

social network cui milioni di persone giornalmente accedono mediante

smartphone e tablet) e la platea raggiunta dall’informazione

(decisamente “globalizzata”). Tant’è vero che il ruolo della

comunicazione tende ad assumere una crescente valenza strategica, in

termini di posizionamento, sviluppo business, networking e

partnership.

In questa stessa società, che spinge necessariamente verso nuovi

stili di vita sotto il cappello della green economy, l’ambiente è

sicuramente il tema centrale della comunicazione; è l’aspetto

attraverso cui si affrontano le questioni di sempre; è cioè il

criterio discriminate con cui informare, leggere, interpretare le

notizie. L’ambiente infatti è una materia fortemente trasversale,

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che interessa la salute come la cronaca, la politica come

l’economia. L’ambiente insomma riguarda tutti.

È importante, però, dal momento che si comunica su temi delicati e

complessi che non possono essere governati da logiche

semplicistiche, emotive o ideologiche, che chi comunica su tematiche

ambientali non può prescindere da conoscenze e competenze tecnico-

scientifiche. Tuttavia, perché la comunicazione sia davvero efficace

è necessario che si arrivi ad un linguaggio comprensibile e

condiviso tra gli operatori dell’informazione, siano essi

pubblicitari, giornalisti degli Uffici Stampa o delle testate

d’informazione e i target group di riferimento.

Trattare l’ambiente significa affrontare un argomento scientifico,

che richiede un linguaggio appropriato ma allo stesso tempo chiaro e

immediatamente fruibile dal pubblico. Non si può rischiare di

parlare solo agli addetti ai lavori o viceversa di “romanzare” la

notizia allontanandoci dai canoni di rigorosità che la scienza

richiede. E’ importante per chi fa comunicazione ambientale avere la

possibilità di informarsi e aggiornarsi per poter meglio rispondere

alle aspettative del lettore.

La comunicazione in ambito ambientale di enti e società di servizi è

spesso evocata come strumento strategico per l'efficacia delle

azioni sul territorio e per l'affermazione delle connesse politiche

ambientali (comunicazione pubblica ambientale).

Nel 1972, con l’adozione della Dichiarazione di Stoccolma, per la

prima volta la comunità internazionale afferma l’importanza

dell’educazione e dell’informazione ambientale quali strumenti

essenziali per la tutela e la valorizzazione dell'ambiente.

La comunicazione ambientale è in tal senso un modo per promuovere

comportamenti a favore della tutela dell'ambiente e dello sviluppo

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sostenibile. Trattandosi di messaggi che coinvolgono l'agire delle

persone, evidenziano i vantaggi che l'assunzione di un determinato

comportamento può garantire, incoraggiando la modifica di abitudini

spesso consolidate.

A livello europeo è il Trattato di Maastricht, con l’articolo 130, a

trattare il diritto all’informazione ambientale, inquadrandolo

nell’ambito del principio della necessaria azione preventiva per la

tutela dell’ambiente. Per l’Italia è il Dlgs 195/05 che prevede il

diritto d’accesso del cittadino all’informazione in campo

ambientale, dando maggiore sostanza all’istituto del diritto di

accesso già introdotto in via generale con riferimento ad ogni

settore dell’attività amministrativa dalla legge 241/90.

La comunicazione pubblica ambientale è dunque l’attività

istituzionale degli enti che operano in campo ambientale ed è

contraddistinta dalla necessità di informare costantemente il

cittadino sullo stato dell’ambiente. L’acqua, l’aria ed il suolo

vengono monitorati ed i dati resi pubblici. Analogamente, viene

portata all’attenzione del cittadino la procedura autorizzativa di

una nuova opera che avrà un impatto sull’ambiente o l’istituzione di

un’area protetta e così via.

I media tradizionali e i nuovi media, insieme allo sviluppo delle

nuove tecnologie, rendono urgente e possibile informare i cittadini

in maniera tempestiva sullo stato dell’ambiente e su eventuali

situazioni di crisi. Basti pensare ai tabelloni elettronici, al web,

agli sms o al televideo per fornire le ultime rilevazioni

dell’inquinamento atmosferico.

In ambito privatistico, la comunicazione ambientale è quel “processo

che un’organizzazione realizza per fornire ed ottenere informazioni

e per intraprendere un dialogo con le parti interessate, interne ed

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esterne, al fine di stimolare una comprensione comune sui temi,

sugli aspetti e sulle prestazioni ambientali” (UNI ISO 14063,

paragrafo 2.1). L’ambiente è quindi uno dei temi cruciali anche per

le imprese e le organizzazioni: è qualcosa di più di una questione

organizzativa e gestionale, in quanto ne coinvolge i valori e

l'essenza stessa.

La collana “Quaderni di comunicazione ambientale” affronta in più

volumi digitali i diversi aspetti della comunicazione ambientale,

definendo sia regole di base sia un approccio etico per una corretta

informazione per giornalisti, addetti stampa, responsabili della

comunicazione e del settore marketing. Si mira ad analizzare il

fenomeno ambientalista sotto diversi punti di vista, anche per

quanto riguarda aspetti più comunicativi e d'azienda, come il green

marketing e il green washing.

Laura Crisci

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GIAMPIERO VALENZA

Giornalista professionista. Laureato in Scienze della comunicazione

con master di I livello in Antropologia filosofica, criminologia e

tecniche investigative avanzate e master di II livello in Scienze

criminologiche. E’ capo redattore di Ais (Agenzia informazione

sanità), corrispondente da Roma del quotidiano della Repubblica di

San Marino La Tribuna sammarinese, dirige Dubidoo, quotidiano on

line per ragazzi. E' il responsabile della comunicazione di

Mastergem, Master che forma i manager della green economy, cura il

Dipartimento di comunicazione e giornalismo ambientale del Cesab,

Centro interuniversitario in scienze ambientali e biotecnologie e il

laboratorio di comunicazione ambientale Eeplus promosso da Livio de

Santoli nel centro di ricerche Citera (Facoltà di Architettura

dell'Università Sapienza di Roma).

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