Chi custidirà i custodi?

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numero 5 Il Serale 9 aprile 2012 Chi custodirà i custodi? Chi custodirà i custodi? Settimanale quotidiano Toghe e politica: uno scontro fra poteri

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Toghe e politica, lo scontro fra poteri

Transcript of Chi custidirà i custodi?

numero 5

Il Serale 9 aprile 2012

Chi custodirà i custodi?Chi custodirà i custodi?

Settimanale quotidiano

Toghe e politica: uno scontro fra poteri

Per proteggere o controllareIl ruolo del magistrato tra libertà e ingerenze politiche:custodirlo o tenerlo a bada? Intanto in Parlamento si discutedi nuovo sulla responsabilità civile delle toghe

Il Senato si sta interrogando, in questi giorni,se approvare o meno la legge comunitaria

contenente l’allargamento della responsabilitàcivile di giudici e magistrati. Una misura che èstata fatta passare come pretesa dall’Europa, mache in realtà l’Unione non ci ha mai chiesto.Un’occasione come le altre per far riaffiorare unleitmotiv della storia italiana: il tentativo di unpotere di imporsi sull’altro, la storia di presunteo tentate prevaricazioni, di denunciate osmentite collusioni. Dopotutto Calamandreiaveva messo in guardia circa gli inconvenientidel mestiere di chi si trova di fronte a questescelte arbitrali: “sempre, tra le tante sofferenzeche attendono il giudice giusto, vi è anche quelladi sentirsi accusare, quando non è disposto aservire una fazione, di essere al servizio dellafazione contraria”. La separazione dei tre poteririschia da sempre di trasformarsi in un groviglio.La storia di questo intreccio è un continuoscambio di dita puntate contro. Da una parte lapolitica e dall’altra la magistratura, ognuna fortedelle proprie ragioni. Ma è una storia anticaquasi quanto il genere umano. Platone avevaimmaginato così la sua Repubblica: i temperanticittadini-lavoratori, i coraggiosi guerrieri e isaggi guardiani-filosofi a vigilare sullapopolazione. La domanda che si poneva più diduemila anni fa riaffiora oggi insieme a questoleitmotiv: Chi li custodisce, i custodi?.

di Elisa Gianni

Le mani sopra

L’inchiesta di Mani Pulitesarà ricordata come il de-

tonatore che ha fatto imploderela Prima repubblica e con essa lamaggior parte dei partiti pre-senti nel precedente arco costi-tuzionale. Infatti il 17 febbraiodel ‘92 viene arrestato per cor-

ruzione MarioChiesa, sensaledella famiglia Craxie amministratoredel Pio Albergo Tri-vulzio di Milano. Èpur vero che questa

fortissima contrapposizione tramagistratura e politica, neglianni Settanta, non era così ac-cesa, vuoi la ragion di Stato, vuoiil comune nemico di queglianni: il terrorismo. Cosa ha tra-sformato l’ultimo ventennio distoria italiana in un serrato e

spesso durissimo confronto al-l’arma bianca tra magistratura epolitica? Molto spesso gli attoripolitici della seconda repubblicain questi anni hanno denunciatoun profondo malessere, quasiche la coabitazione tra questidue poteri nell’impianto statalefosse mortificante. Più volte Sil-vio Berlusconi ha affermato chele “ingerenze” della magistraturasono una “emergenze democra-tica”. Al di là delle boutade aduso e consumo dei mass media,le critiche reciproche sono statespesso lanciate come grimaldellie costruite ad hoc per essere suc-cessivamente strumentalizzate.Il termine ingerenza è sicura-mente improprio. Il tema dellaseparazione tra i poteri delloStato ed, al suo interno, quellodell'autonomia e dell'indipen-

Riformarla ad ogni costo: la magistratura nel nostroPaese è un’ossessione e la storia di un braccio di ferro conla politica da “Mani pulite” alla riforma Alfano di Luigi Loi

I padri della Costituzione(a destra Saragat) nonpensarono a limitare ipoteri dei giudici

za della Magistratura da ognialtro potere trova disciplina nel-l'articolo 104 della Costituzione.I padri della Costituzione nonpensarono che la magistraturaavesse potuto influire sulla vitadella politica e non ne limita-rono i poteri: un magistrato inItalia non è eletto come, adesempio, negli Stati Uniti. NegliUsa in ogni contea siede un Pro-curatore distrettuale o Procura-tore di Stato (rappresenta lapubblica accusa), che vieneeletto direttamente dalla popo-lazione della contea con unmandato di quattro anni. Leleggi degli Stati federati stabili-scono se e quante volte può es-sere rieletto. In Italia ilreclutamento dei magistrati av-viene tramite un “concorso peresami di primo grado”, apertocioè a tutti i laureati in Giuri-sprudenza, indipendentementedalla loro votazione finale edall’eventuale possesso di titoliulteriori. Dalla fine degli anniSessanta la progressione di car-riera è legata solo all'anzianità eil Csm decide l'attribuzionedelle posizioni in base a valuta-zioni comparative, ma orientatepoliticamente. I nostri Padri co-stituenti, non valutando la pos-sibilità di un possibile conflittotra potere politico e giudiziario,forse diedero per scontato cheesso non sarebbe nato in quantoi giudici sarebbero stati l’élite

intellettuale della popolazione,quindi in qualche modo comple-tamente esterni e distanti dalclima politico e ideologico delpaese. I padri costituenti non va-lutarono nemmeno l’altro piattodella bilancia, infatti non ipotiz-zarono mai che la classe politicadirigente, uscita mortificata dalventennio fascista, dal secondoconflitto mondiale, figlia dellaresistenza, nell’arco di pochi de-cenni potesse volgersi al siste-matico malcostume e allacorruzione. Se questo è il con-torno storico che fa da cornicealla discussione pubblica in attonel Paese, una serie di atti poli-tici ne hanno reso di stringenteattualità il problema.

Il 30 luglio 2007, a conclu-sione di un percorso parlamen-tare non privo di insidieconsiderando l’estrema delica-tezza politica della materia e deiprecari equilibri instauratisi trale coalizioni parlamentari nella

Nel 2001 nel programma elet-torale del centrodestra entra afar parte anche quella che saràpoi chiamata “riforma Castelli”:una legge delega per riformarela giustizia attraverso la separa-zione delle carriere, le modifi-che all’iter formativo deimagistrati e una più ampia inge-

renza del Ministero nella ge-stione della politica giudiziaria.Proprio quest’ultimo punto con-vinse nel dicembre del 2004 l’al-lora presidente della RepubblicaCiampi a rinviare il testo alleCamere per incostituzionalità(lesione dell’indipendenza dellaMagistratura).

legislatura conclusasi anticipata-mente, giungeva ad approva-zione il Ddl di riformadell’ordinamento giudiziarioproposto dall’allora ministrodella Giustizia Mastella. Il prov-vedimento era in diretta conti-nuità con la precedente riformaCastelli, ma vi apportava nume-rosi mutamenti ai decreti legi-slativi volti a superare gliostacoli incontrati nel 2004. Untesto di legge assai ampio e com-plesso che si concentrava inprimo luogo sulle norme dedi-cate all’accesso in Magistraturaed al tirocinio degli uditori giu-diziari: trasformare cioè il si-stema per il reclutamento deimagistrati ordinari in un con-corso che tende a divenire di se-condo grado, simile a quellotradizionalmente previsto per igiudici speciali. In secondoluogo determinare sin dal mo-mento del loro effettivo ingressonell’ordine giudiziario (coinci-

dente con la nomina a uditore)quella separazione delle fun-zioni requirenti e giudicanti,vale a dire la separazione dellecarriere.Fino ad arrivare alla cronaca

dei nostri giorni, con il disegnodi legge proposto dall’ex guarda-sigilli Angelino Alfano. Oltreall’eterno nodo sulla divisionedelle carriere e oltre anche al-l’allargamento della responsabi-lità civile, il provvedimentovorrebbe prevedere lo sdoppia-mento del Csm, nel quale: unprimo posto sarebbe a sovrin-tendere i giudici, un secondo in-vece i Pubblici ministeri,entrambi guidati dal presidentedella Repubblica. L'azione delPubblico Ministero non sarà piùassolutamente obbligatoria, masarà vincolata ai “criteri stabilitidalla legge”, scavalcandol’art.112 della Costituzione cheindica l’obbligo del pm di eser-citare l’azione penale.Una situazione di perpetuo

braccio di ferro, che sembra an-cora lontana dal concludersi.Anche se il campione dell’antimagistratura Silvio Berlusconiha fatto un passo indietro, in at-tesa che passino le contingenzeeconomiche e i governi tecnicivoluti a dirimerle, la tensionetra magistratura e politica sarànei prossimi anni sarà prevedi-bilmente ancora fortissima.

La riforma (im)possibile

«Sulla giustizia noistiamo lavorando su

tre cose molti importantima non cederemo sulla re-sponsabilità civile dei magi-strati. […] Non cederemo suun punto importante: ilprincipio che chi sbagliapaga si deve applicare a tuttie non a tutti tranne che aimagistrati». La recente di-chiarazione – lo scorso 30marzo - dell’ex GuardasigilliAlfano, in occasione dell’A-cademy di Confagricoltura,appare più che indicativadell’importanza attribuitadal precedente esecutivoalla responsabilità direttadella magistratura, tanto peril merito quanto per il con-testo nel quale il segretariodel Pdl si è espresso – non

esattamente un consesso digiurisperiti. La giustizia, çava sans dire, costituisce dasempre uno dei capisaldidell’azione di governo diSilvio Berlusconi, peraltrosbandierato sin dalla “di-scesa in campo” del 1994.Concetto ribadito dallostesso ex presidente delConsiglio durante l’illustra-zione – letterale, con tantodi schema raffigurante la“bilancia della giustizia”

prima e dopo - in confe-renza stampa, del disegno dilegge costituzionale Alfano,licenziato all’unanimità inun Consiglio dei Ministristraordinario il 10 marzo2011. Trattandosi per l’ap-punto di legge costituzio-nale, la riforma Alfanoavrebbe richiesto un com-plicatissimo iter per giun-gere all’approvazione defi-nitiva: maggioranza assolutasia alla Camera che al Se-nato e doppia deliberazione,con un intervallo minimo ditre mesi fra le due; inoltre,per evitare il referendumconfermativo, alla secondavotazione – quella definitiva- sarebbe stata necessaria lamaggioranza qualificata inentrambi i rami del Parla-

Rivoluzionare la Giustizia è stato uno dei chiodi fissi dei governi dellaSeconda Repubblica. Ultimo a provarci l'ex ministro Alfano: i puntichiave di una legge che tutti vogliono, ma nessuno fa di Pasquale Raffaele

Così Alfano il 30marzo: «Il principioche chi sbaglia paga sideve applicare a tutti,e non a tutti tranneche ai magistrati».

mento, vale a dire i voti fa-vorevoli di due terzi deicomponenti. Benché pog-giasse su una iniziale mag-gioranza blindata, di fatto ilprecedente esecutivo nonha mai goduto del beneficiodell’aritmetica per portareavanti la riforma; oltretutto,in seguito alla scissione deifiniani, il quadro non hafatto altro che aggravarsi,nonostante il salvifico ap-porto dei cosiddetti Respon-sabili, il nuovo gruppoparlamentare sorto nel di-cembre 2010 a sostegno delBerlusconi quater. L’unicasoluzione praticabile sa-rebbe stata la ricerca delconsenso da parte dei partitidi opposizione, che al con-trario si sono mostrati tie-

pidi (Udc e Fli), quando nonapertamente ostili (Idv ebuona parte del Pd). Tutta-via, è bene precisarlo, iltarlo della giustizia da ritoc-care ha praticamente “con-tagiato” l’intera SecondaRepubblica, centrosinistraincluso: nel 1997, la Com-missione parlamentare bica-

merale per le riforme costi-tuzionali voluta e presie-duta dall’allora leader delPds Massimo D’Alema ap-provò la cosiddetta “bozzaBoato” (dal nome del depu-tato dei Verdi firmatario),ovvero un disegno diriforma della giustizia peralcuni aspetti simile proprioalla riforma Alfano; tutta-via, la bozza non vide maidefinitivamente la luce,proprio a causa del Cava-liere che, inizialmente favo-revole alla Bicamerale, fecepoi saltare il tavolo riti-rando il proprio sostegno.Fra le diverse modifiche

sostanziali che la riformaavrebbe apportato, quellache ha scatenato la mag-giore levata di scudi è stataproprio la norma inerente laresponsabilità civile dei ma-gistrati. Nel nostro ordina-mento, tale responsabilità è

Il tarlo della giustizia da ritoccare ha“contagiato” l’intera Seconda Repubblica,centrosinistra incluso: simile al disegno di

Alfano fu la bozza Boato del governo D’Alema

Benché poggiasse su un’iniziale maggioranza blindata, di fatto ilprecedente esecutivo non ha mai goduto dei numeri per portareavanti la riforma, anche prima della scissione dei finiani

prevista dalla legge Vassalli(legge 117 del 1988), laquale sancisce che il magi-strato può essere chiamato arispondere dei danni causatidalle sue decisioni in caso dierrore per “dolo o colpagrave”, ma sempre in ma-niera indiretta: in pratica, ilcittadino che ritiene diavere subito un trattamentoingiusto può fare causa alloStato e, se la vince, quest’ul-timo può eventualmente ri-valersi nei confronti delmagistrato – sebbene taleprocedimento sia piuttostotortuoso, prevedendo addi-rittura nove gradi di giudi-zio per giungere a sentenzadefinitiva. La riforma Al-fano intendeva invece in-trodurre la responsabilitàcivile “diretta”, in sostanzala possibilità di fare causadirettamente al magistrato,con il conseguente paga-

mento di tasca propria alcittadino danneggiato, so-prattutto per i casi di ingiu-sta detenzione. La prin-cipale obiezione sollevatanei confronti di questoprincipio – recentementeribadita dallo stesso Csm inriferimento all’emenda-mento Pini – è che una si-mile spada di Damoclelimiterebbe la serenità in-quirente nel caso del pm,giudicante per quanto at-tiene il giudice. Tale princi-pio appare ancora piùazzardato se si considerache anche la bozza Boato la-sciava immutato questopunto.

GLI ALTRI “POMI DELLA DI-SCORDIA”

1. Csm e scelta deimembri: il Consiglio Supe-riore della Magistratura èl’organo di autogoverno deimagistrati: in sostanzaprende decisioni riguar-danti carriere, concorsi, tra-sferimenti e provvedimentidisciplinari. È composto da21 membri, di cui 2/3 sonomembri cosiddetti “togati” -cioè magistrati ordinarieletti dai propri colleghi – e1/3 membri “laici”, vale adire nominati dal Parla-mento fra docenti universi-tari di diritto e avvocati cheesercitano la professione daalmeno quindici anni; al-l’interno dei membri laici ilCsm sceglie poi il vicepresi-dente che, di fatto, svolge icompiti di presidenza, ca-rica simbolicamente rico-perta dal Presidente dellaRepubblica. La riformadell’ex Guardasigilli propo-neva di elevare la quota dimembri laici, portandolaalla metà del collegio: mo-tivo del contendere era lapotenziale maggiore dipen-denza dell’organo dalla po-litica che ne sarebbescaturita.

Attualmente, in casodi “dolo o colpagrave” il magistrato èperseguibile solo inmaniera indiretta

2. Separazione dellecarriere e sdoppiamento delCsm: il nostro ordinamentoprevede lo stesso concorsoper l’ingresso in magistra-tura sia dei pm che dei giu-dici, a seguito del quale ilvincitore può deciderequale carriera intrapren-dere, senza tuttavia preclu-dersi l’altra in futuro. Alcontrario, la riforma Alfanointendeva separare i con-corsi, dunque gli iter profes-sionali e, di conseguenza,l’organo di autogoverno,creando un Csm per i giu-dici e uno per i pubblici mi-nisteri.

3. Provvedimenti disci-plinari: il Csm prevede unaapposita sezione discipli-nare che si occupa dellacondotta dei magistrati,mentre la riforma Alfanoprevedeva l’introduzione diun nuovo organo, l’AltaCorte di Giustizia, suddivisoin due sezioni: una per igiudici, una per i pubbliciministeri. Anche in questocaso, i membri sarebberostati per metà laici e permetà togati.

4. Polizia giudiziaria: ilpm, secondo quanto recital’articolo 109 della Costitu-zione, “dispone diretta-

mente della polizia giudi-ziaria”. Il testo della riformastabiliva, invece, che “il giu-dice e il pubblico ministerodispongono della poliziagiudiziaria secondo le mo-dalità stabilite dalla legge”,cioè rimandava le limita-zioni a leggi ordinarie daapprovare successivamente:in soldoni, aumentandol’autonomia della poliziagiudiziaria, se ne accrescevala dipendenza dal Ministerodell’Interno e, di conse-guenza, dall’esecutivo.

5. Inappellabilità delle

assoluzioni: avrebbe privatoil pm, in caso di assoluzionedell’imputato in primogrado, della possibilità di ri-correre in Appello. Con lariforma, infatti, il ricorso sa-rebbe stato appannaggioesclusivo del cittadino cheavesse ritenuto la primasentenza non congrua.

6. Obbligatorietà dell’a-zione penale: mentre la Co-stituzione prevede attual-mente “l’obbligo del pub-blico ministero di esercitarel’azione penale”(articolo112), la riforma intendevasubordinare tale azione aisoli casi previsti da unalegge ordinaria – che ri-chiede quindi una maggio-ranza semplice in Parla-mento - da approvare suc-cessivamente.

Con la riforma il pmsarebbe stato privatodel diritto d’appelloin caso di assoluzionedel cittadino in primogrado

Difetti di interpretazioneUn emendamento introduce la responsabilità diretta deigiudici. Dicono ce lo chieda l’Europa e invece…

In Europa avranno pensato che l’Italia abbiaqualche serio problema di interpretazione,visto il voto dello scorso 2 febbraio. Quel giornoa palazzo Montecitorio si votava il disegnodell’annuale legge comunitaria e tra gli articolifigurava un emendamento presentato daldeputato della Lega, Gianluca Pini,vicepresidente della commissione parlamentarerelativa alle politiche dell’Unione Europea. Ifanatici dell’aneddoto politico probabilmentenon lo scorderanno mai: la votazione segreta concui è stato approvato ha infatti segnato la primasconfitta del governo dal giornodell’insediamento di Monti.Andiamo indietro di 25 anni. Era il 1987,

quando poco più dell’80% degli italiani, dallasegretezza delle cabine elettorali, decise che erail caso di appesantire gli oneri per gli arbitri deiprocessi, abrogando tre articoli del codice diprocedura civile, che delimitavano i casi in cuigiudici e magistrati potevano essere consideraticivilmente responsabili per i danni causati a chiera stato erroneamente accusato. Circa un annodopo, l’allora ministro di Grazia e Giustizia,Giuliano Vassalli, con la legge 117, stabiliva chechi avesse subito un danno a seguito delladecisione presa da un magistrato potesserichiedere risarcimento allo Stato. Il magistratodoveva però aver agito con dolo o colpa grave,oppure «per diniego di giustizia». Costituivanocolpa grave i casi in cui un giudice o unmagistrato violavano una legge per «negligenzainescusabile», quelli in cui questi si rifacevano

di Elisa Gianni

ad atti che non rientravano nel procedimentoo, al contrario, si negavano attiincontestabilmente inerenti al procedimentostesso; infine i casi in cui si emetteva unprovvedimento circa la libertà della personasenza motivazione o al di fuori dei casiconsentiti dalla legge.

Più recentemente, due sentenze della Cortedi Giustizia datate 2006 e 2011, hannosanzionato l’Italia proprio a causa della leggeVassalli: perché non era stata ancora modificataal fine di comprendere i casi di violazione deldiritto comunitario, e perché limitava laresponsabilità dello Stato al dolo e alla colpagrave del giudice.

Tutto questo, unito a un minimo di logica –nonché di conoscenza della legge comunitariain quanto strumento per adeguarsi agli standarddell’Unione europea – giustificherebbe lemodifiche apportate da Pini e suggerirebbe chequeste si muovessero nel sensodell’allargamento della responsabilità civile.Vero, solo per metà. Da una parte, ai vincoli deldolo e della colpa grave, l’emendamentoaggiunge la «violazione manifesta del diritto »;dall’altra viene introdotta la possibilità di agirenon più solo contro lo Stato, ma anchedirettamente contro il giudice o il magistratostesso. Peccato che manchino i ritocchi circal’estensione della legge Vassalli alle normecomunitarie, e che l’Unione non abbia maiparlato di responsabilità diretta dei giudici,dichiarando responsabile sempre e solo lo Stato.

Stupiscono allora quei 264 sìall’emendamento, e stupiscono molto meno lereazioni a questa votazione – sulla cui richiestadi segretezza, forse adesso ci saranno menopunti interrogativi. Il ministro Paola Severino

Nel 1988 la leggeVassallistabilì la possibilità dirichiedere un risarcimentoallo Stato per i danni arrecatidall’errore di un magistrato

Per i magistrati sono 5le forme di responsabi-lità, tra cui penale,civile e disciplinare

ha storto il naso e si è detta disposta amodificare la norma, magari ricorrendo però aun unico intervento, anziché un emendamentoqui e una modifica là, anche in vista dellaprossima riforma sulla giustizia. Dello stessoparare si è espresso il Pdl nella figura diAngelino Alfano, che pure si era impegnato conil governo a non far passare l’emendamentoPini. Si è arrabbiato l’Idv, che, per bocca delsuo capogruppo in Senato, Felice Belisario, hadenunciato una «decisione che puzza diimbroglio e di vendetta ». Ma soprattutto sisono arrabbiati i diretti interessati. I magistratihanno gridato al rischio di stallo e di perdita diindipendenza: un giudice, di fronteall’eventualità di essere chiamato in giudizio,potrebbe finire per decidere di non decidere.D’accordo anche Anm e Csm: la prima haannunciato lo sciopero di protesta a quella cheinterpreta come una minaccia alla terzietà deigiudici; il secondo ha bocciato l’emendamento,denunciando il rischio di implosione.Al momento il disegno di legge è sottoposto

al giudizio della Commissione giustizia delSenato. Dopo le dichiarazioni del ministroSeverino e visto che il governo si accinge ariformare la giustizia, parrebbe pocopresumibile il via libera. Ma è pur facileimmaginare che dietro al voto del 2 febbraio aMontecitorio si nascondano queglischieramenti dell’epoca berlusconiana, chepotrebbero riaffiorare al Senato. Non sappiamodirvi se l’emendamento passerà. Resteranno,senza dubbio, quelle 264 luci che si sono accesein segno di approvazione, abbagliatedall’interpretazione di chi sbaglia concoscienza.

Passato alla Camera,l’emendamento è

attualmente indiscussione al Senato

Con l’emendamentoPini risponderebberodirettamente i giudici

dei propri sbagli

L’obiezione del giudice

Asostegno delle modificheintrodotte dalla proposta

di emendamento, il relatoreGianluca Pini adduce un tripliceordine di ragioni sostenendo che:le novità servono ad armonizzareil diritto interno a quello comu-nitario, poiché, negli altri statieuropei, è prevista una responsa-bilità diretta del magistrato; pre-cisa, inoltre, che non vi è alcunaragione per la quale i giudici nondebbano rispondere dei proprierrori allo stesso modo dei liberiprofessionisti e degli altri funzio-nari dello Stato e che la minacciadella responsabilità civile varràad indurli a maggior cura e pru-denza.RITIENE VEROSIMILI QUESTE MO-

TIVAZIONI?«Quanto al primo aspetto va

evidenziato che non esistonosentenze della Corte Ue che trac-cino un percorso nel senso di cuiall’emendamento. Difatti il Con-siglio d’Europa, con Raccoman-dazione del 17/11/10, neldelineare quella che è stata defi-nita la “Magna Charta” dei giu-dici europei, ha espressamentelimitato ai casi di dolo e colpagrave la responsabilità civile deimagistrati, escludendo l’azionecivile diretta, con l’ulteriore pre-cisazione che “i giudici non de-

L’Anm ha accolto con una sassaiola di critichel’emendamento Pini. Intervista a Caterina Marotta* checi spiega le motivazioni dei magistrati

*Il giudice Caterina Marotta lavora comeconsigliere della sezione lavoro presso la Corte

di Appello di Potenza

di Silvia Fiorito

vono essere personalmente re-sponsabili se una decisione èriformata in tutto o in parte a se-guito di impugnazione”.Quanto al secondo aspetto,

non è assolutamente vero che

una norma simile a quella di cuiall’emendamento trovi equiva-lenti negli altri stati europei, adifferenza di quanto sostiene ilministro della Giustizia Paola Se-verino. È vero esattamente ilcontrario dal momento che in al-cuni Stati la legislazione è ancorapiù garantista di quella italiana. La terza motivazione è più so-

stanziale e suggestiva. Concordoin tal senso con l’Anm e il Csm, iquali affermano che l’emenda-mento non tiene conto delle ca-

ratteristiche dell’attività deciso-ria del giudice che rende diversala sua posizione rispetto a quelladi ogni altro pubblico impiegatoo professionista; è altresì un’esi-genza costituzionale quella disalvaguardare l’autonomia e l’in-dipendenza della magistraturaquale presidio indispensabile perla tutela dei diritti fondamentalidi ciascuno. La prevista azionediretta rischia di comprometterel’indipendenza e la serenità delgiudizio del magistrato in quantolo espone a potenziali minacceda parte di privati cittadini dallegrandi disponibilità economiche.Del resto, anche per altre catego-rie è prevista la citazione solodello Stato con diritto di rivalsa,come ad esempio la pubblica di-rigenza e il personale scolastico,proprio per la particolarità e de-

«La responsabilità diretta espone ilmagistrato a potenziali minacce daparte di privati cittadini dalle grandidisponibilità economiche»

La legge Vassalli tuttavia è pesante e richiedealtre riforme, come confermato da RodolfoSabelli (foto), presidente dal 2012 dell’Anm

licatezza delle funzioni esple-tate».QUALI SAREBBERO I RISCHI SE L’E-

MENDAMENTO VENISSE APPROVATOANCHE IN SENATO E DIVENISSELEGGE?

«Innanzi tutto un giudice po-trebbe preferire ruoli con coeffi-ciente di rischio inferiore, anchea costo di sacrificare propensionie competenze individuali, e ri-cercare soluzioni che risultinomeno dannose per sé stesso piut-tosto che conformi al diritto e aifatti.Altra potenziale insidia è la

nascita di una frattura definitivafra giudici singoli e giudici colle-giali, essendo evidente che il giu-dice singolo è più esposto e più

facilmente attaccabile; si rischia,inoltre, un’involuzione del pre-sidio di legalità: attraverso la re-sponsabilità diretta ci si potrebbefacilmente liberare di un giudicescomodo o non gradito, essendosufficiente, per il sistema delleincompatibilità, una citazionepretestuosa per evitarne il giudi-zio. Un effetto alquanto perversodunque. In un passo di una rela-zione del 1984 su "Il ruolo delgiudice nella società che cambia"Rosario Livatino, nell’affrontareanche l'argomento spinoso dellaresponsabilità civile del magi-strato, riassume così le pericoloseconseguenze di cui ho parlato:“sarebbe quindi inevitabile ch'e-gli – il giudice - si studiasse, piùche di fare un provvedimentogiusto, un provvedimento inno-cuo”».

«La “Magna Charta” dei giudicieuropei ha espressamente limitato aicasi di dolo e colpa grave laresponsabilità civile dei magistrati»

A destra Cosimo Ferri, segretario diMagistratura indipendente durante l’audizione

all’ Anm dell’emendamento Pini

COM’È POSSIBILE MIGLIORARE LADISCIPLINA DELLA RESPONSABILITÀCIVILE IN ITALIA?«Si può ridiscutere della mac-

chinosità del sistema disegnatodalla Legge Vassalli, ovvero delsingolare scarso ricorso da partedello Stato. Ciò non può, però,giustificare la scelta di una solu-zione che bypassi lo Stato po-nendo il magistrato direttamentedi fronte al cittadino. È certo chel’emendamento Pini ponga ilproblema degli errori giudiziari,anche gravi, che sconvolgono lavita delle persone. Ma introduce,come ho detto prima, il pro-blema della qualità delle deci-sioni giudiziarie. A questo scopodovrebbero operare in primis ladisciplina delle impugnazioni edel controllo dei provvedimenti,la responsabilità penale per gliabusi, quella disciplinare per lemancanze per limitare le pro-gressioni di carriera in presenzadi accertate inadeguatezze. Al

medesimo scopo dovrebbe ten-dere l’auspicato potenziamentodi strumenti e risorse a supportonell’attività giurisdizionale : sipensi non solo al piano più stret-tamente organizzativo, ma anchea quello tecnologico e informa-tico, aspetti che certamente ri-chiedono oggi di essereperfezionati e resi più efficienti.Se è il giudice europeo che devefungere da modello per una fi-gura di magistrato responsabile,è al complessivo sistema giudi-

ziario in Europa che occorreguardare per realizzare, in con-creto, una più efficace tutela delcittadino».

«Immediate le conseguenze sulprincipio del giudice naturale,poiché ci si potrebbe facilmenteliberare di un giudice scomodo»

Lascia e raddoppia

La giurisprudenza dell’Unione europea impone la responsabilitàcivile agli Stati. L’emendamento Pini è sbagliato e l’Italia non soloha una normativa discorde, ma è lenta a recepire le direttive,trovandosi spesso a pagare due volte

Se un cittadino subisce untorto giuridico in un am-

bito nel quale legifera l’Unioneeuropea, allora lo Stato membrodell’Unione europea risarciscequel cittadino. Questa regola definita di “re-

sponsabilità civile dello Stato aseguito di una violazione del di-ritto comunitario” non è un ar-ticolo né un comma né unalegge scritta su carta: è un prin-cipio generale invalso negli annigrazie all’applicazione della giu-risprudenza comunitaria e valesolo se il giudice sbaglia o inter-preta male una legge dell’Ue. Edè ciò per cui l’Italia è stata con-dannata con una sentenza del2006. Nel 1981 la Traghetti del Me-

diterraneo citò la Tirrenia perconcorrenza sleale e abuso diposizione dominante (ambiti didiritto comunitario). In tutti etre i gradi di giudizio il Tribu-nale di Napoli respinse il ricorso,ma secondo la Traghetti del Me-diterraneo nell’ultimo grado(l’unico di fronte al quale se-condo l’Unione valga la respon-sabilità dello Stato) il giudiceaveva ignorato la normativa eu-ropea, violando quindi il diritto

comunitario. La società, nel frat-tempo finita in liquidazione, citòin giudizio lo Stato italiano e sirivolse al Tribunale di Genovache rinviò tutto alla Corte digiustizia europea. Quest’ultima,nel 2006, non solo condannò loStato italiano a risarcire la Tdm,ma stabilì che il principio gene-rale europeo di responsabilità ci-vile degli Stati membris’imponeva sulle leggi nazionalie quindi anche, e soprattutto, suquella italiana. Indipendentemente da ciò e

indipendentemente dalla sen-tenza Traghetti del Mediterra-neo, c’è da dire che la lentezzacronica dell’Italia nel recepire

(adeguarsi alle norme europee,ndr) le direttive comunitariepone i giudici italiani spessonella condizione di non saperche pesci pigliare. Seguire leleggi italiane o quelle comunita-rie? Le soluzioni sono due. Laprima è che il giudice rinvii pre-

di Lorenzo Ligas

La responsabilità civile degli Stati membrinon è una legge scritta, ma un principio

generale invalso negli anni con l’applicazionedella giurisprudenza europea

giudizialmente il caso alla Cortedi giustizia europea che peròcondanna l’Italia perché la leggediscorda da quella comunitaria.La seconda è che il giudice pre-ferisca la normativa nostrana:allora però il cittadino si rivalein sede europea e la Corte con-

danna l’Italia non solo perché èstato violato il diritto comunita-rio, ma anche perché la nostralegge sulla responsabilità civiledello Stato discorda con il prin-cipio europeo. Comunque simuova il giudice, lo Stato ita-liano paga o, come nel secondo

caso, paga due volte. Dal 2006 la Commissione eu-

ropea non ha fatto altro che ri-cordare più volte all’Italia che lasua legge Vassalli è sbagliata eche va corretta perché a) noncomprende la violazione del di-ritto comunitario e perché b) èlimitata ai soli casi di dolo ecolpa grave del giudice.

I nostri governi non hannomai risposto ai richiami europeifino alla sentenza del 2011(quella che viene ossessiva-mente citata in aula alla Camera,ma che in realtà è solo un ri-corso figlio della sentenza Tra-ghetti del Mediterraneo) cheaccoglie il ricorso della Commis-sione contro il nostro Stato, ob-bligando quest’ultimo a pagarele spese del procedimento. NelRegno Unito vige il principiodella “immunità giudiziaria”: imagistrati non rispondono degliatti compiuti nell’esercizio delleloro funzioni e ciò al fine di tu-

Con la particolarità della Spagna, in cui c’è il filtro di unTribunale che valuta la sussistenza dei requisiti, negli altri

Paesi membri non esiste la responsabilità civile diretta

La nostra legislazione in materia diresponsabilità civile è due volte limitata, mala Corte di giustizia europea (in foto) non cipunisce perché non esiste quella dei giudici

telare la loro indipendenza edautonomia di giudizio; in Fran-cia lo Stato, se condannato, puòrivalersi sul giudice solo in casodi una mancanza “particolar-mente grave”, ossia in caso didolo; in Germania, Portogallo eBelgio la situazione è, grossomodo, paragonabile alla nostra,ma non si prevede la responsa-bilità diretta per gli atti connessiall’esercizio delle funzioni; inSpagna lo Stato e il magistratopossono essere chiamati in giu-dizio in solido, ma dopo una ve-rifica preliminare da parte diun’Alta corte che abbia accer-tato la sussistenza del dolo odella colpa grave del magistrato;nei Paesi Bassi è prevista solo l’a-zione civile contro lo Stato chenon ha azione di rivalsa controil magistrato. Gli altri Paesi non violano il

principio di responsabilità del-l’Ue, nonostante alcuni ordina-menti, come quelli francese e

spagnolo, siano simili al nostro. Il panorama è variegato, fra-

stagliato e, a volte, interpreta-bile; le norme presentanolimitazioni e oscillano tra l’e-stremo britannico e quello spa-gnolo. Ma da un dato non si puòscappare: dobbiamo adeguarcialle norme europee e la respon-sabilità degli errori dei funzio-nari pubblici, e quindi deigiudici, deve cadere sempre in

primo luogo sulle spalle delloStato. Altrimenti, proseguendocon questa riforma o lasciando leleggi in vigore, finiremo per pa-gare sempre. Due volte.

L’Italia è lenta ad applicare le direttiveeuropee e i giudici si trovano spesso di frontea un bivio: scegliere le leggi comunitarie oquelle del nostro Paese?

«Dovevo fare il mafioso,non il Giudice...»

«Questo è il meccanismodi base sul quale si

fonda la criminalità mafiosa».Non ha usato mezzi termini ilgip Giuseppe Gennari per defi-nire i reati contenuti nell’ordi-nanza di cattura emessa il 28marzo nei confronti del suo excollega Giancarlo Giusti, magi-strato di Palmi (Reggio Calabria),ora agli arresti nel carcere di

Opera a Milano conl’accusa di corru-zione aggravata dafinalità mafiosa.

E proprio dallaDirezione distret-tuale antimafia delcapoluogo lombardoè partita nel luglio

2010 l’inchiesta contro gli affi-liati alle cosche Valle-Lampada,portata avanti dal pool del pro-curatore aggiunto Ilda Boccas-sini, in cui si inserisce adesso lavicenda del giudice Giusti, percui gli inquirenti ipotizzanoun’assidua collaborazione con ilboss Giulio Lampada. Premi e re-gali in cambio della sua disponi-bilità verso la ‘ndrangheta,sostiene l’accusa.

In realtà il nome del gip Gian-carlo Giusti era spuntato fuori

già nello scorso novembre,quando tra gli altri erano finiti inarresto il giudice del Tribunale diReggio Calabria Vincenzo Gi-glio, l’avvocato del Foro di PalmiVincenzo Minasi, e il consigliereregionale Francesco Morelli,eletto nella lista "Pdl-Berlusconiper Scopelliti". Per i tre si andavada imputazioni come corruzionee favoreggiamento personale,fino al reato di con-corso esterno in as-sociazione mafiosa.In quell’occasioneGiusti era stato soloperquisito, e gli in-quirenti milanesi,che hanno compe-tenza territorialeperché il reato al centro dell'in-chiesta è quello di associazionemafiosa riguardo agli interessidel clan Valle, legato a quello deiLampada e con base operativa traMilano e Pavia, dovevano ancorachiarire in che modo il magi-strato calabrese avesse potuto ri-cambiare le attenzioni del bossGiulio Lampada.

L’inchiesta della Boccassini sulla ‘ndrangheta in Lombardiacontinua a scavare nella cosiddetta “zona grigia”. Ultimoarrestato il gip di Palmi Giancarlo Giusti. Assolto e poipromosso dal Csm

Corruzione aggravata da finalità mafiosa èl’accusa che pende su Giusti: «È il meccanismosu cui si fonda la mafia» ha commentato il Gip

di Nicola Chiappinelli

Nel 2010 partel’inchiesta dellaBoccassini sugliaffiliati allecosche calabresi Valle-Lampada

Il nome diGiancarlo Giustisalta fuori già a

novembrescorso, ma vienesolo perquisito

Il materiale raccolto nelle set-timane successive, grazie anchealle testimonianze degli arrestati,è quindi servito a rinforzare l’ap-parato accusatorio del Tribunaledi Milano, che ha chiesto ilfermo per il giudice di Palmianche perché la sospensionedalle funzioni e il blocco dellostipendio, a cui era stato sottopo-sto a dicembre, sono state rite-nute misure insufficienti; la suapericolosità deriva piuttosto«dalla intensissima rete di rela-zioni che egli ha maturato e chenon è affatto legata al concretoesercizio delle funzioni giurisdi-zionali». E infatti il gip Gennarilo descrive anche «come media-tore di relazioni sociali e molti-plicatore di obblighi diriconoscenza e debito».

Lo scenario elaborato trova un

suo apice nel diario elettronicotenuto da Giusti, interamente ri-costruito dagli inquirenti, in cuivenivano annotati incontri con iLampada, ma anche performanceamorose e stati d’animo. «Donne,amore, vino e affari», scrive ilgiudice, che davanti al pc si spo-glia dei connotati pubblici e ar-riva a consigliare a se stesso «piùutilitarismo anche nello sceglierecon chi stare».

Le relazioni pericolose prese inesame dalla magistratura si svi-luppano soprattutto dalla fine del2008 al 2010, e sembrerebberoconfermate da una serie di in-contri in cui gli inquirenti rive-dono il fulcro della presuntaattività illecita di Giusti, all’e-poca ancora giudice delle esecu-zioni immobiliari presso ilTribunale di Reggio Calabria: siparla ad esempio di una sua par-tecipazione in una società oc-culta del clan Lampada cheavrebbe acquisito immobili alleaste di cui lo stesso magistrato sioccupava; si parla della "Indres",la società immobiliare intestatain maniera fittizia all’avvocatoVincenzo Minasi (arrestato il 30novembre 2011), ma riconduci-bile in realtà ai Lampada, che

In alto a destra l’ex giudice di Palmi la cuipericolosità secondo il Tribunale deriva «dallaintensissima rete di relazioni maturata [...]»

Le relazioni pericolose prese inesame si sviluppano dalla fine del2008 fino al 2010, confermate dagliincontri “pericolosi” di Giusti

così avrebbero partecipato inmaniera anonima alla vendita diproprietà pignorate; si parla delle116 consulenze su aste immobi-liari affidate al perito “amico”,l’architetto Fabio Pullano, con inpiù i 34 incarichi conferiti alla dilui moglie, l’architetto ConcettaDelfino; si parla di GabrieleQuattrone, un medico che ot-tiene di fare il perito per il Tri-bunale della città dello Stretto,legandosi così a doppio filo, se-condo il teorema inquirente, siacon il magistrato e sia con la fa-miglia ‘ndranghetista che lo so-stiene in maniera attiva.

A queste gravi accuse si devepoi aggiungere che in prece-denza il giudice era già risultatocoinvolto in una vicenda pocolimpida, che gli aveva causatoguai amministrativi, per poi es-sere assolto e addirittura pro-mosso dal Csm.

È il 2005 quando la società“Tridea” si aggiudica un lotto im-mobiliare del valore di 600 milaeuro in un’asta regolata proprioda Giusti, allora in funzionepresso il Tribunale di Reggio Ca-labria. Ma a chi appartiene que-sta “Tridea”? Nientemeno che a

Santo Puntillo, padre di TeresaPuntillo, ex moglie di Giusti,nonché suo avvocato difensorenell’inchiesta milanese. Altri socisono l’architetto Delfino, già ci-tata moglie del “perito di fiducia”Pullano, e un tale Giovanni Ca-talano, che risulta avere come le-

gale proprio l’avvocato TeresaPuntillo.

Considerata l’eccessiva disin-voltura dei legami tra il giudice ei diretti beneficiari del suo ope-rato, il Consiglio superiore dellamagistratura si vede costretto adaprire un’indagine per illecito di-sciplinare, ma nel 2007 la sen-tenza di assoluzione riconosce aGiusti la buona fede «nel tenta-tivo di riorganizzare un ufficio

La disinvoltura dei legami tra il giudice e idiretti beneficiari dell’asta costringe il Csm ad

aprire l’indagine per illecito disciplinare

Nel 2005 la Tridea, dell’ex suocerodi Giusti, vince un’asta fallimentarepresieduta dallo stesso Giusti, cheverrà poi assolto e promosso dal Csm

ereditato in condizioni disa-strose», ed esclude così «unacompromissione del prestigiodell'ordine giudiziario».Diversamente dal Csm la

pensa però il Consiglio giudizia-

rio di Reggio Calabria, che nel-l’aprile del 2010 dà parerenegativo su un suo possibilescatto di carriera sostenendo che,nella vicenda “Tridea”, Giusti«ha di fatto operato una totaledelega gestionale a suoi stretticollaboratori [..] cosi offrendoprova di scarse capacità organiz-zative, effettive e non mera-mente formali del propriolavoro». Per il gip di Milano Giu-seppe Gennari, con queste pa-role, «nei limiti del linguaggio

burocratico consentito dalla sedee dalla natura dell’atto, i colleghidi Giusti gli danno sostanzial-mente del delinquente». E lui locapisce benissimo, tanto da an-notare nel suo diario elettronico,alla data 4 agosto 2010: «Parerenegativo dei bastardi di Reggio».Eppure, nonostante il parere

del Consiglio giudiziario, unanno dopo arriva anche la tantoagognata promozione, con il ri-conoscimento da parte del Csmdel «positivo superamento dellaterza valutazione di professiona-lità». Decisione che vede l’inter-vento dello stesso Giusti, il qualesi attiva per spiegare le difficoltàin cui si sarebbe ritrovato a svol-gere le sue funzioni. Alla fine iconsiglieri scriveranno che idubbi sulla regolarità della prassiseguita comunque «non possono

Il Consiglio giudiziario di Reggio èperò contrario allo scatto di carriera.«Parere negativo dei bastardi diReggio» commentò Giusti sul diario

A differenza del Csm, il Consiglio ha ritenutoche giusti «ha di fatto operato una totale delegagestionale, offrendo prova di scarsa capacità»

fare dimenticare il buon operatoregistrato nell'attività» del giu-dice.

È il novembre del 2011. Nean-che due settimane dopo, da Mi-lano, scattano gli arresti delmagistrato Giglio, del consigliereregionale Morelli e dell’avvocatoMinasi. Saranno le loro testimo-nianze ad aiutare gli inquirenti afare luce sulla vita e gli affari diGiusti, che nel primo interroga-torio si è detto consapevole diaver commesso degli errori «inriferimento ai viaggi, alle cenepagate e alle escort», ma senzaesser stato mai in accordi con la‘ndrangheta. Intanto arriva lanotizia che il magistrato, oltreche dalla procura lombarda, è in-dagato anche dalla Dda di Catan-zaro, in un procedimento peròstaccato che lo vede sotto inchie-sta per episodi specifici risalentia quando prestava servizio neltribunale di Reggio Calabria,dove ha ricoperto vari incarichi.

Torna allora alla mente lagrande «fiducia istituzionale» chegli aveva espresso solo pochimesi fa il Csm. Recentemente, alprogramma di La7 Omnibus, ilvicepresidente dell’organo di au-

togoverno della magistraturaUgo Vietti, alla domanda di pos-sibili errori riguardo alle valuta-zioni professionali positive suGiusti, ha concesso un «forse»,aggiungendo però che «del sennodi poi sono piene le fosse».Quella del Csm è stata insomma,secondo Vietti, una valutazioneregolare fatta in base agli atti dicui si aveva disponibilità in quelmomento, che non potevano im-maginare cosa sarebbe scoppiatodi lì a breve.

A confermarlo, paradossal-mente, è lo stesso giudice impu-tato, che durante una telefonatacol boss Giulio Lampada, senzatroppi giri di parole, ammette:«Tu ancora non hai capito chisono io... sono una tomba, peggiodi.. ma io dovevo fare il mafioso,non il Giudice...».

«Sono una tomba, peggio di...ma iodovevo fare il mafioso, non ilgiudice» disse Giusti al telefono conil boss Giulio Lampada (in foto)

Solo un falso mediaticoNel 2008 i titoli dei giornali ci hanno raccontato di unabattaglia tra la procura di Salerno e quella di Catanzaro.

Quando un titolo è lontano dalla realtà.

L’omino in giacca e cravattache prendeva il caffè al bar

e sbirciava il quotidiano del suovicino si sarà immaginato unabizzarra corsa agli armamenti,toghe schierate, aria di com-plotto, e dulcis in fundo l’inter-vento salvifico del Csm, checome ogni deus ex machina chesi rispetti, risolve l’intreccio, ri-stabilendo l’ordine lì dove regnail caos. “Guerra tra Procure”: igiornali titolavano così la batta-glia di Catanzaro contro Salerno,ma di tutto questo una cosa solaera vera: il caos.

Il personaggio chiave attornocui si snoda tutta la vicenda èLuigi De Magistris, ora sindacodi Napoli, allora pubblico mini-stero alla procura di Catanzaro.Furono tre le inchieste che il pmmise in piedi: Why Not, Posei-

done, e Toghe Lucane. Furonotre le inchieste da cui fu allonta-nato: Why Not, Poseidone eToghe Lucane.

Poseidone gliel’ha tolta il suoallora capo della procura di Ca-tanzaro, Mariano Lombardi;Why Not gli è stata avocata,quindi tolta anch’essa dal procu-ratore generale, Dolcino Favi. A

De Magistris era rimasta la terzaindagine, quella sulle Toghe Lu-cane, che aveva fatto in tempo acompletare, nonostante il trasfe-rimento. Mentre stava scrivendole richieste di rinvio a giudizio,

di Michela Mancini

Poseidone tolta dal capo dellaprocura di Catanzaro, Why Not gli è

stata avocata. De Magistris è lachiave di una guerra che non esiste

da Napoli è partito l’ordine ditrasferimento immediato. Di treinchieste, a De Magistris, nongliene hanno lasciata concludereneppure una. E come se non ba-stasse, l’ex pm venne allontanato

dalla procura di Catanzaro e tra-sferito a Napoli. Prima che De Magistris ve-

nisse trasferito a Napoli, senten-dosi nel mirino di molti colleghi,di ispezioni ministeriali e inter-rogazioni parlamentari, decise dirivolgersi alla procura di Salerno,alla quale spetta il dovere dicontrollare l’operato della pro-cura di Catanzaro. È importante sottolineare che

la competenza di Salerno su Ca-tanzaro non è una “competenza

incrociata”. A vigilare sull’ope-rato di Salerno ci pensa Napoli,non Catanzaro. Da qui l’inesat-tezza della dicitura “guerra traprocure”. Mentre De Magistris si rivol-

geva a Salerno per denunciarepresunte irregolarità all’internodella procura di Catanzaro, que-st’ultima di rivolgeva a Salernoper accusare il pm di tutte le pos-sibili nefandezze. Salerno fa leindagini su entrambi i fronti: ledenunce del pm ai colleghi diCatanzaro e le denunce dei col-leghi sul pm.Dopo mesi di indagini la pro-

cura di Salerno arriva a delleconclusioni. De Magistris si ècomportato bene, è stato cor-retto, tutte le denunce a suo ca-rico vengono archiviate. Mentresi scopre che, le denunce di De

Prima di essere trasferito a Napoli,De Magistris si rivolge alla procuradi Salerno, allla quale spetta dicontrollare l’operato di Catanzaro

Il controllo incrociato tra le procure non esistepiù. Se su Catanzaro la competenza spetta aquella di Salerno, su Salerno vigila Napoli

L’inchiesta “Poseidone” ri-guardava una decina di depura-tori che avrebbero dovuto esserecostruiti in Calabria per ripulireil mare sporco. Questi depuratorierano stati finanziati dall’Unioneeuropea con circa 800 milioni dieuro. Conclusione: i depuratorinon sono mai stati costruiti e isoldi sono spariti. Un gravissima

truffa ai danni dell’Europa, unenorme danno erariale e un’a-mara offesa all’economia delleCalabria. De Magistris indagavasui presunti profili penali dellavicenda. Ancora una volta nellecarte spuntano nomi ingom-branti: politici, prestanome, so-cietà fantasma.

Magistris sui colleghi di Catan-zaro hanno un fondamento:viene scritto il decreto di perqui-sizione e di sequestro probatoriodella Procura della Repubblica diSalerno per andare a prendere

quelle famose cartea Catanzaro. Le fa-mose carte altro nonsono che i fascicolidell’inchiesta WhyNot. Sì, proprioquella dove risultavaindagato l’allora mi-nistro Mastella.

Così un bel giorno, l’omino ingiacca e cravatta andando al barlegge sul quotidiano del vicino:“Guerra tra procure”. E, magari,ci crede. Ma i fatti sono altrove.

Antonello Tomanelli, avvo-cato e curatore del sito di infor-mazione giuridica Difesa dell'informazione, ha scritto:

«Tutto inizia la mattina del 2dicembre 2008, quando undrappello di carabinieri eagenti della Digos irrompenegli uffici giudiziari e nelleabitazioni di alcuni magistratidella procura di Catanzaro,con in mano un decreto di per-quisizione e sequestro. I magi-strati di Salerno avevanoscoperto che l’inchiesta “Whynot”, tolta a De Magistris, erastata spezzettata e affidata asvariati pubblici ministeri prividi un coordinamento e, in al-

cuni casi, della necessariacompetenza. Sembra che fos-sero sparite relazioni tecnichee verbali di polizia giudiziariaredatti sotto De Magistris. Ri-sultato: netta prevalenza dellerichieste di archiviazione, so-prattutto nei riguardi dei poli-tici. Il tutto, pare, in cambio difavori. Per questo la procura diSalerno decide di procederenei riguardi di decine di per-sone, tra cui otto magistrati diCatanzaro, per reati che vannodalla corruzione giudiziaria, alfalso in atto pubblico, al favo-reggiamento. I fascicoli della“Why not” vengono così se-questrati e portati a Salerno.Ma i magistrati campani nonfanno in tempo ad aprirli. Laprocura generale di Catanzaro,formalmente titolare della“Why not”, emana un decretodi sequestro che le permette dirientrare in possesso di quei fa-scicoli, avviando un procedi-mento nei con-fronti dei magi-strati salernitaniper abuso d’ufficioe interruzione dipubblico servizio.Un provvedimento“eguale e contra-rio” a quello deicolleghi salernitani, che fondal’impostazione mediatica dellacosiddetta “guerra tra pro-cure”. Un’impostazione che

Le carte di WhyNot sono contesetra la procura diCatanzaro equella di Salerno

«I fascicoli diWhy Not sono

sequestrati eportati a Salerno,

ma non si fa intempo ad aprirli»

L’inchiesta Toghe Lucane.L’indagine metteva luce su intri-cate vicende fra cui spiccavanonomi di magistrati, avvocati, im-prenditori e funzionari cheavrebbero gestito affari in Basili-cata. Durante le indagini, l’allora

ministro Mastella (sì, proprioquello che risultava indagatonell’inchiesta Why Not) chieseal Csm il trasferimento cautelared'urgenza di De Magistris, perpresunte irregolarità nella ge-stione del caso. Irregolarità scon-

fessate nel 2009 dal gip di Sa-lerno Maria Teresa Belmonteche ha prosciolto De Magistrisdall'accusa di rivelazione di se-greti d'ufficio e abuso d'ufficio.Nel marzo 2011 l'intera inchiestaè stata infine archiviata dal gup

di Catanzaro Maria Rosaria diGirolamo, che ha definito l'im-pianto accusatorio «lacunoso» etale da non presentare elementi«di per sé idonei» a esercitare l'a-zione penale. Tutti e trenta gliindagati sono così stati prosciolti.

Anche nell’indagine Why notsi parla di finanziamenti pubblicieuropei scomparsi nel nulla. In-genti somme che avrebbero do-vuto sviluppare attività econo-miche nel settore informaticomagicamente scomparse nelle ta-sche dei soliti noti. L’ imputatoprincipale era Antonio Saladino,leader della Compagnia delle

Opere, in Calabria. Un’inchiestaparticolarmente scomoda che havisto iscritti nel registro degli in-dagati nomi illustri. Uno fratanti: l’allora ministro della Giu-stizia Clemente Mastella per isuoi rapporti con Saladino e conaltri faccendieri come l’ ex pidui-sta Luigi Bisignani.

genera uno dei più clamorosicasi di disinformazione degliultimi decenni».Il cosiddetto “controsequestro”

dei fascicoli avviato da Catanzaroè giuridicamente inammissibile.Come già detto, Salerno è com-petente sulla procura calabrese.Catanzaro avrebbero dovuto, perottenere giustizia su Salerno, ri-volgersi ai magistrati della pro-cura di Napoli, che è il tribunalecompetente per i reati commessidai magistrati di Salerno. La sim-metria fra le due procure è inesi-stente. La competenza incrociataè decaduta dal 1995.Ma il ministro della Giustizia

Angelino Alfano si comportacome se tale principio di simme-tria esistesse ancora e chiede iltrasferimento dei due magistratidi Salerno che hanno firmato ildecreto di sequestro, dei tre ma-gistrati di Catanzaro firmatari delcosiddetto “controsequestro”,nonché dei rispettivi capi (il pro-curatore di Salerno Luigi Api-cella e il procuratore generale diCatanzaro Enzo Iannelli). Così imagistrati di Salerno si ritrovanopuniti per aver compiuto il lorodovere. Il loro operato vieneequiparato a quello dei magi-strati catanzaresi, i quali hannoesercitato i propri poteri nono-stante la presenza di un evidenteinteresse personale e in paleseviolazione delle norme che rego-lano la competenza territoriale

nei procedimenti penali contro imagistrati.Dal caos mediatico viene fuori

una rissa tra magistrati irrespon-sabili. E senza possibilità dismentita, visto che ai magistratiè fatto divieto rilasciare intervi-ste sui procedimenti che trat-tano.Ma l’opera di disinformazione

non si ferma qui. Il 9 gennaio iltribunale del riesame di Salerno,al quale alcuni indagati si eranorivolti per l’annullamento delprovvedimento di perquisizionee sequestro emesso dalla procuradi Salerno, ha rigettato il relativoricorso. In sostanza, secondo iltribunale, l’impianto accusatorioapprontato dai magistrati dellaprocura di Salerno, con partico-lare riferimento alla qualifica-zione del fascicolo “Why not”, ècorretto. Salerno aveva ragione areclamare quelle famose carte. Di questo poco è stato detto.

Le due procure rimangono ai duelati della bilancia,nonostante un terzotribunale abbia datoragione a Salerno.Quello che ri-

mane è un titolo digiornale. Se l’ominoin giacca e cravattaimmaginasse cosa visi nasconde dietro, forse rimar-rebbe a leggere il resto dell’arti-colo.

Disinformazionee confusione: dalcaos mediaticoviene fuori unarissosa guerra tra

magistrati

*Un tema a settimana,un aggiornamento ogni sera.

Settimanale quotidiano*