Cechov Antòn - Novelle

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Antòn Cechov NOVELLE 

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Antòn Cechov

NOVELLE 

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VOLUME SECONDO  

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DALLE MEMORIE DI UN UOMO IRASCIBILE 

Io sono un uomo serio, e il mio cervello ha un indirizzo filosofico. 

Di professione son finanziere, studio diritto finanziario e scrivo una dissertazione daltitolo: "Passato e avvenire della tassa sui cani". 

Convenite che non ho proprio nulla a che fare con fanciulle, romanze, la luna e altresciocchezze. 

Mattina. Ore dieci. La mia "maman" mi versa un bicchiere di caffè. Io bevo ed esco sulbalconcino, per subito por mano alla dissertazione. 

Prendo un foglio di carta pulito, intingo la penna nell'inchiostro e traccio il titolo:"Passato e avvenire della tassa sui cani". Dopo aver pensato un po', scrivo:«Rassegna storica. A giudicare da taluni accenni che si hanno in Erodoto e Senofonte,la tassa sui cani trae origine da... ».

 

Ma qui odo dei passi in sommo grado sospetti. Guardo dal balconcino e vedo unaragazza dal viso lungo e dalla vita lunga. Si chiama, sembra, Nàdenka, o Vàrenka, ciòche, del resto, fa assolutamente lo stesso. 

Ella cerca qualcosa, fa vista che non s'accorge di me, e canticchia: 

«Rammenti il canto pieno di dolcezza... ». 

Io leggo ciò che ho scritto, voglio continuare, ma allora la fanciulla fa mostra d'essersiaccorta di me, e dice con voce triste:

 

- Buon giorno, Nikolài Andreic'! Figuratevi che disavventura ho avuto! 

Ieri, passeggiando, smarrii il fermaglio del braccialetto. 

Rileggo ancora una volta l'inizio della mia dissertazione, ritocco il filetto di una «c» evoglio continuare, ma la ragazza non la smette.

 

- Nikolài Andreic', - dice, - siate così gentile, accompagnatemi a casa. I Karelin hannoun cane così enorme che non mi risolvo ad andar sola.

 

Non c'è che fare, poso la penna e scendo giù. Nàdenka, o Vàrenka, mi prende abraccetto, e ci avviamo alla sua villetta.

 

Quando mi tocca in sorte di dover camminare sotto braccio con una signora osignorina, mi sento sempre, chi sa perché, un uncino a cui abbiano appeso una grossapelliccia; Nàdenka poi, o Vàrenka, è una natura, sia detto fra noi, appassionata (suo

nonno era un armeno), possiede la facoltà di sospendersi al vostro braccio con tutto ilpeso del suo corpo e, come una mignatta, stringervisi al fianco. E così andiamo...Passando accosto ai Karelin, vedo un grosso cane, che mi fa rammentar la tassa suicani. Con angoscia ricordo il lavoro cominciato e sospiro.

 

- Per che cosa sospirate? - domanda Nàdenka, o Vàrenka, e manda lei stessa unsospiro.

 

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Qui devo fare un'avvertenza. Nàdenka, o Vàrenka (adesso rammento che si chiama,pare, Màscenka), ha immaginato, chi sa come, ch'io sia di lei innamorato, e perciòstima dovere di filantropia guardarmi sempre con compassione e curare verbalmente lamia ferita di cuore.

 

- Ascoltate, - dice, fermandosi, - io so perché sospirate. - Voi amate, sì! Ma vi prego in

nome della nostra amicizia, credete, la fanciulla che amate vi stima profondamente! Ilvostro amore non può ripagarvelo del pari, ma ci ha forse colpa lei, se il suo cuore giàda un pezzo appartiene a un altro?

 

Il naso di Màscenka si fa rosso e gonfio, gli occhi le si riempiono di lacrime; ella, aquanto sembra, aspetta da me una risposta, ma, per fortuna, siamo ormai arrivati... Sulterrazzo siede la "maman" di Màscenka, buona donna, ma con pregiudizi; dataun'occhiata al viso turbato della figlia, ferma su di me un lungo sguardo e sospira,come volesse dire: «Ah, gioventù, perfin nascondere non sapete!». Oltre a lei, sonsedute sul terrazzo alcune ragazze variopinte e in mezzo a loro un mio vicino divilleggiatura, ufficiale a riposo, ferito nell'ultima guerra alla tempia sinistra e all'ancadestra. Questo sventurato, al pari di me si è prefisso lo scopo di consacrarequest'estate alla fatica letteraria. Egli scrive "Memorie di un militare". Al par di me, ogni

mattina mette mano al suo rispettabile lavoro, ma appena riesce a scrivere: «Io nacquiil... », che sotto il balconcino compare una qualche Vàrenka, o Màscenka, e il feritoservo di Dio è preso sotto guardia.

 

Tutti quelli seduti sul terrazzo nettano per la confettura certe insipide bacche. Io miaccomiato e voglio andarmene, ma le signorine variopinte con uno strillo agguantano ilmio cappello ed esigono ch'io rimanga. Mi metto a sedere. Mi porgono un piatto dibacche e una spilla. Comincio a ripulire. 

Le signorine variopinte parlano sul tema: uomini. Il tale è carino, il talaltro è bello, manon simpatico, un terzo non è bello, ma è simpatico, un quarto non sarebbe brutto se ilsuo naso non somigliasse a un ditale, e così via.

 

- E voi, "monsieur" Nicolas,-si rivolge a me la "maman" di Vàrenka, - non siete bello,ma siete simpatico... Nel vostro viso c'è qualcosa... Del resto, - ella sospira, - nell'uomoil più non è la bellezza, ma l'intelligenza... 

Le ragazze sospirano e abbassano gli occhi... Esse pure son d'accordo che nell'uomoil più non è la bellezza ma l'intelligenza. Io mi guardo di sbieco allo specchio perconvincermi di quanto son simpatico. Vedo una testa arruffata, barba, baffi, sopraccigliarruffati, peli sulle guance, peli sotto gli occhi: tutt'un boschetto, fuor del quale, a mo' divedetta, guarda il mio solido naso. Bello, non c'è che dire!

 

- Del resto, Nicolas, voi vincerete con le vostre qualità morali, - sospira la "maman" diNàdenka, come riconfortando un suo segreto pensiero.

 

E Nàdenka soffre per me, ma nello stesso mentre la consapevolezza che di fronte le

siede un uomo innamorato di lei le procura, a quanto sembra, il massimo diletto. Finitocon gli uomini, le signorine parlan d'amore. Dopo una lunga conversazione sull'amore,una delle ragazze si alza e se ne va. Le rimaste cominciano a riveder le bucce a quellach'è andata via. Tutte trovano ch'è sciocca, insopportabile, brutta, che ha una scapolafuor di posto.

 

Ma ecco, la Dio mercè, viene infine la cameriera, inviata dalla mia "maman", e michiama a desinare. Ora posso lasciare la sgradita compagnia e andare a continuare la

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mia dissertazione. Mi alzo e prendo commiato. La "maman" di Vàrenka, Vàrenkastessa e le signorine variopinte mi attorniano e dichiarano che non ho alcun diritto diandarmene, avendo dato ieri la parola d'onore di pranzar con loro, e dopo pranzo diandar al bosco per funghi. M'inchino e siedo...

 

Nell'anima mia ribolle l'odio, sento che, ancora un minuto, e non rispondo più di me,

accadrà un'esplosione, ma la delicatezza e il timore di venir meno alle buone manieremi forzano a obbedire alle signore. E obbedisco. 

Ci mettiamo a pranzare. L'ufficiale ferito, al quale, per via della ferita alla tempia, s'èformata una contrattura delle mascelle, mangia con un'aria tale come se fosseimbrigliato e avesse in bocca il morso.

 

Io arrotolo palline di pane, penso alla tassa sui cani e, conoscendo il mio carattereirascibile, mi sforzo di tacere. Nàdenka mi guarda con compassione. Intingolo di carnetritata, lingua con piselli, pollo arrosto e composta. Niente appetito, ma per delicatezzamangio. Dopo pranzo, quando me ne sto solo in terrazzo a fumare, mi si accosta la"maman" di Màscenka, stringe le mie mani e dice ansando: 

- Ma voi non disperate, Nicolas... E' un tal cuore... un tal cuore! 

Andiamo al bosco per funghi... Vàrenka è sospesa al mio braccio e si appiccica al miofianco. Soffro intollerabilmente, ma sopporto.

 

Entriamo nel bosco. 

- Ascoltate, "monsieur" Nicolas, - sospira Nàdenka, - perché siete così triste? Perchéstate zitto? 

Strana ragazza: di che mai posso parlare con lei? Che abbiamo di comune? 

- Su, dite qualcosa... - ella prega. 

Io comincio a escogitare alcunché di popolare, accessibile alla sua comprensione.Dopo aver pensato, dico: 

- Il diboscamento reca un danno enorme alla Russia. 

- Nicolas! - sospira Vàrenka, e il suo naso si fa rosso.- Nicolas, voi evitate, vedo, uncolloquio aperto... Come se voleste punire col vostro silenzio... Non corrispondono alvostro sentimento, e voi volete soffrire in silenzio, da voi solo... ciò è orribile Nicolas! -ella esclama, pigliandomi impetuosamente la mano, e io vedo come il suo nasocomincia a gonfiare. - Che direste, se la fanciulla che amate vi offrisse eterna amicizia? 

Io borbotto qualcosa di sconnesso, perché proprio non so che cosa dirle... Di grazia: inprimo luogo, non amo nessuna fanciulla e, secondariamente, per che cosa mi potrebbeoccorrere un'eterna amicizia? Terzo, son molto irascibile. Màscenka, o Vàrenka, si

copre il viso con le mani e dice a mezza voce, come tra sé: 

- Egli tace... Evidentemente vuole un sacrificio da parte mia. Non posso mica amarlo,se tuttora ne amo un altro! Del resto... ci penserò... Bene, ci penserò... Raccoglieròtutte le forze della mia anima e, forse, a prezzo della mia felicità salverò quest'uomodalle sofferenze!

 

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Non capisco nulla. E' una specie di cabalistica. Proseguiamo e cogliamo funghi. Tutto iltempo restiamo zitti. In viso a Nàdenka v'è l'espressione d'una lotta interiore. Si senteun latrar di cani:

 

questo mi rammenta la mia dissertazione e sospiro rumorosamente. 

Attraverso i tronchi degli alberi scorgo l'ufficiale ferito. Il poveretto zoppicadolorosamente a dritta e a manca: a destra ha l'anca ferita, a sinistra gli pende unadelle fanciulle variopinte. Il volto esprime rassegnazione al destino. 

Dal bosco facciamo ritorno alla casa di villeggiatura a bere il tè, dopo di che giochiamoa "crocket" e ascoltiamo una delle variopinte fanciulle cantare la romanza: "No, tu nonm'ami! No! No!..." Alla parola «No» ella torce la bocca fin proprio all'orecchio.

 

- "Charmant"! (1) - gemono le rimanenti fanciulle. - "Charmant"! 

Vien sera. Da dietro i cespugli striscia fuori una luna repellente. 

Nell'aria v'è quiete e uno sgradevole odore di fieno fresco. Prendo il cappello e voglioandarmene.

 

- Ho bisogno di comunicarvi qualcosa, - mi bisbiglia significativamente Màscenka. -Non andate via.

 

Presento alcunché di poco buono, ma per delicatezza rimango. Màscenka mi prende abraccetto e mi conduce da qualche parte pel viale. Ora poi tutta la figura di lei esprimela lotta. E' pallida, respira a stento e sembra aver intenzione di strapparmi il bracciodestro. Che ha?

 

- Ascoltate... - mormora. - No, non posso... No... 

Vuol dire qualche cosa, ma esita. Ma, ecco, dal suo viso io scorgo che si è risolta. Congli occhi scintillanti, il naso rigonfio, mi afferra la mano e dice rapida: 

- Nicolas, son vostra! Amarvi non posso, ma vi prometto fedeltà! 

Dopo di che si stringe al mio petto e d'un tratto balza indietro. 

- Viene qualcuno... - bisbiglia. - Addio... Domani alle undici sarò al capanno... Addio! 

E scompare. Senza capir nulla, sentendo un doloroso batticuore, me ne vado a casa.Mi aspetta "Passato e avvenire della tassa sui cani", ma lavorare ormai non posso.Sono furioso. Si può perfin dire che sono orrendo. Che il diavolo mi porti, nonpermetterò che mi si tratti come un ragazzuccio! Sono irascibile e scherzar meco èpericoloso! Quando entra da me la cameriera per chiamarmi a cena, le grido:

 

«Andatevene!». Siffatta irascibilità promette poco di buono. 

Il giorno dopo, di mattina. Tempo da villeggiatura, cioè temperatura sotto zero, ventofreddo, pungente, pioggia fango e odor di naftalina, perché la mia "maman" ha tolto dalbaule i suoi mantelli. Mattinata diabolica. Ciò precisamente il 7 agosto 1887, quando vifu l'eclisse di sole. E' d'uopo osservarvi che durante l'eclisse ciascun di noi può recareun enorme vantaggio, senz'essere astronomo. Così, ognun di noi può: 1) determinare ildiametro del sole e della luna, 2) disegnare la corona del sole, 3) misurare la

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temperatura, 4) osservare al momento dell'eclisse animali e piante, 5) annotare leproprie impressioni, e così via. Questo è così importante che io, per intanto, lasciai daparte "Passato e avvenire della tassa sui cani" e risolsi di osservare l'eclisse. Cieravamo alzati tutti prestissimo. Tutto il lavoro imminente l'avevo diviso così: io avreideterminato il diametro del sole e della luna, l'ufficiale ferito avrebbe disegnato lacorona, tutto il resto poi se lo sarebbero assunto Màscenka e le signorine variopinte.Eccoci tutti riuniti ad aspettare.

 

- Perché si ha l'eclisse? - domanda Màscenka. 

Io rispondo: 

- Le eclissi solari avvengono nel caso che la luna, rotando nel piano dell'eclittica, vengaa trovarsi sulla linea congiungente i centri del sole e della terra. 

- E che vuol dire eclittica? 

Io spiego. Màscenka, dopo aver ascoltato attentamente, domanda: 

- Si può attraverso il vetro affumicato scorgere la linea congiungente i centri del sole e

della terra? 

Le rispondo che questa linea si traccia astrattamente. 

- Se è astratta,- non si raccapezza Vàrenka, - come mai può collocarvisi la luna? 

Non rispondo. Sento come a cagione di questa ingenua domanda comincia aingrossarmisi il fegato.

 

- Son tutte frottole, - dice la "maman" di Vàrenka. - Non si può sapere quel che sarà, eper di più voi non siete stato in cielo neppure una volta, come fate dunque a sapere ciòche accadrà alla luna e al sole? Tutto questo è fantasia.

 

Ma ecco una macchia nera muover contro il sole. Confusione generale. 

Mucche, pecore e cavalli, rizzate le code e rugliando, in preda a terrore correvan per icampi. I cani ululavano. Le cimici, immaginando scesa la notte, erano sbucate dallefessure e avevan cominciato a mordere quelli che dormivano. Il diacono, che in questomentre si portava a casa dall'orto i cetrioli, sgomento, balzò dal carro e si nascosesotto il ponte, e il suo cavallo entrò col carro in un cortile altrui, dove i cetrioli furonodivorati dai maiali. L'addetto al dazio, che aveva trascorso la notte non a casa, mapresso una villeggiante, saltò fuori in sole mutande e, corso in mezzo alla folla, prese agridare con voce selvaggia: 

- Si salvi chi può! 

Molte villeggianti, anche giovani e belle, destate dal rumore, balzarono sulla via,

senz'aver calzato le scarpe. Accaddero anche molte altre cose ch'io non mi risolvonarrare.

 

- Ah, che paura! - strillano le fanciulle variopinte. - Ah! E' terribile! 

- "Mesdames", osservate! - grido loro. - Il tempo è prezioso! 

E io stesso mi affretto, misuro il diametro... Mi rammento della corona e cerco con gliocchi l'ufficiale ferito. Egli sta lì e non fa nulla. 

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- Che avete? - grido. - E la corona? 

Egli alza le spalle e, impotente, mi accenna con gli occhi le proprie braccia. Alle duebraccia del poverino si sono appese le fanciulle variopinte, si stringono a lui dal terroree gl'impediscono di lavorare. Prendo il lapis e annoto il tempo coi secondi. Ciò èimportante. Segno la posizione geografica del punto di osservazione.

 

Anche questo è importante. Voglio determinare il diametro, ma in questo mentreMàscenka mi prende per la mano e dice: 

- Non dimenticate dunque, oggi alle undici! 

Io tolgo la sua mano e, facendo caso di ciascun secondo, voglio proseguire leosservazioni, ma Vàrenka convulsamente mi prende a braccetto e si stringe al miofianco. Lapis, vetri, schizzi: tutto ciò precipita nell'erba. Il diavolo sa che cosa! Ma ètempo, infine, che questa ragazza capisca ch'io sono irascibile, che io, incollerito,divento furioso e allora non posso risponder di me. 

Voglio continuare, ma l'eclisse è bell'e finito! 

- Rivolgetemi uno sguardo! - sussurra ella teneramente. 

Oh, questo è ormai il colmo dello scherno! Convenite che siffatto giocare con l'umanapazienza non può che finir male. Non mi fate poi colpa, se accadrà qualcosa ditremendo! A nessuno permetterò di scherzare, di farsi beffe di me e, che il diavolo misbrani, quando sono infuriato non consiglio a nessuno di farmisi accosto, che il diavolomi porti proprio! Son pronto a tutto!

 

Una delle ragazze, probabilmente accortasi dal mio viso che sono infuriato, dice,evidentemente allo scopo di calmarmi:

 

- Ma io, Nikolài Andréievic', ho eseguito il vostro incarico. Ho osservato i mammiferi. Hovisto come prima dell'eclisse un cane grigio è corso dietro un gatto e poi a lungo ha

scodinzolato. 

Così dall'eclisse non è risultato nulla. Vado a casa. In grazia della pioggia non esco sulbalconcino a lavorare. L'ufficiale ferito s'è arrischiato a uscire sul suo balcone e hascritto perfino: «Io nacqui il...» -, e ora io vedo dalla finestra come una delle fanciullevariopinte lo trascina alla sua villetta. Lavorare non posso, perché son tuttora infuriatoe mi sento il batticuore. Al capanno non vado.

 

Ciò è scortese ma, convenitene, non posso già andarvi con la pioggia! 

Alle dodici ricevo una lettera da Màscenka, nella lettera vi sono rimbrotti, la preghieradi recarmi al capanno e il «tu»... All'una ricevo un'altra lettera, alle due una terza...Bisogna andare. Ma prima di andare, devo riflettere a quello di cui parlerò con lei.

 

Agirò come un uomo ammodo. In primo luogo, le dirò che a torto immagina ch'io l'ami.Del resto, tali cose non si dicono alle donne.

 

Dire a una donna: «Io non vi amo» è tanto indelicato come dire a uno scrittore: «Voiscrivete male». Meglio di tutto, esprimerò a Vàrenka le mie vedute sul matrimonio.Metto il cappotto pesante, prendo l'ombrello e vado al capanno. Conoscendo il miocarattere irascibile, temo d'aver a dire qualcosa di troppo. Cercherò di contenermi.

 

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Al capanno mi si aspetta. Nàdenka è pallida e ha pianto. Vedendomi, manda un gridodi gioia, mi si getta al collo e dice:

 

- Finalmente! Tu giuochi con la mia pazienza. Ascolta, io tutta la notte non ho dormito...Ho sempre pensato. Mi sembra che, quando ti conoscerò più da vicino... ti amerò...

 

lo siedo e comincio a esporre le mie vedute sul matrimonio. Dapprima, per non andarlontano, per essere quanto più si può breve, faccio una piccola rassegna storica. Parlodel matrimonio degli indù e degli egizi, dopo di che passo ad epoche posteriori;qualche pensiero di Schopenhauer (1) Màscenka ascolta con attenzione, ma d'untratto, per una strana incoerenza d'idee, stima necessario interrompermi.

 

- Nicolas, baciami! - dice. 

Io sono turbato e non so che cosa dirle. Ella ripete la sua richiesta. 

Non c'è che fare, mi alzo e poso le labbra sul suo lungo viso, nel far che provo lastessa cosa che sentii nell'infanzia, quando un giorno mi fecero baciare alla messafunebre la nonna defunta. Non appagandosi del mio bacio, Vàrenka dà un balzo e miabbraccia impetuosamente. In questo mentre alla porta del capanno si mostra la"maman" di Màscenka... Ella fa un viso spaventato, dice a qualcuno: «Ssst!», esparisce, come Mefistofele nella stiva. 

Conturbato e furioso, me ne torno al mio villino. A casa trovo la "maman" di Vàrenka,che con le lacrime agli occhi abbraccia la mia "maman", e la mia "maman" piange edice:

 

- Io stessa lo desideravo! 

Dopo di che - come vi piace questo? - la maman di Vàrenka mi si accosta e miabbraccia, dicendo: 

- Dio vi benedica! E tu, bada, amala... Ricordati che lei per te fa un sacrificio... 

E ora mi ammogliano. Mentre scrivo queste righe, mi stanno addosso i paggi d'onore emi fan premura. Costoro positivamente non conoscono il mio carattere! Ché io sonoirascibile e non posso risponder di me! Che il diavolo mi porti, vedrete quel cheaccadrà più in là! Condurre a nozze un uomo irascibile, furibondo: questo, secondome, è così poco intelligente come ficcar la mano in gabbia verso una tigre infuriata.

 

Vedremo, vedremo quel che accadrà! 

Così, sono sposato. Tutti mi fanno i rallegramenti, e Vàrenka di continuo si stringe ame e dice:

 

- Capisci dunque che tu ora sei mio, mio! Dimmi dunque che mi ami! 

Dillo! 

E intanto le si gonfia il naso. 

Ho saputo dai paggi d'onore che l'ufficiale ferito è destramente sfuggito a Imeneo. Egliha esibito a una fanciulla variopinta un certificato medico che, in grazia della ferita allatempia, egli non è mentalmente normale, e quindi per legge non ha il diritto di sposarsi.

 

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Un'idea! io pure avrei potuto esibire un certificato. Mio zio aveva accessi d'ubriachezza,un altro zio era molto distratto (una volta, invece del berretto, si mise in testa unmanicotto da signora), una zia sonava molto il pianoforte e, incontrando uomini,mostrava loro la lingua. Inoltre anche il mio carattere in sommo grado irascibile è unsintomo assai sospetto. Ma perché le buone idee vengono così tardi? 

Perché? 

NOTE: 

1) Incantevole, delizioso. 

2) Il grande filosofo pessimista tedesco (1788-1860), autore di "Il mondo come volontàe rappresentazione", "I fondamenti della morale", "Parerga e Paralipomena". 

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SSST!... 

Ivàn Jegòrovic' Krasnuchin, collaboratore giornalistico di mezza tacca, rincasa a nottetarda accigliato, serio e come particolarmente riconcentrato. Ha un'aria come ses'aspettasse una perquisizione o meditasse il suicidio. Dopo aver camminato un po'per la stanza, si ferma, arruffa i capelli e dice col tono di Laerte (1) che si accinge avendicar la sorella (2):

 

- Affranto, stremato nell'anima, in cuore un'angoscia opprimente, ma pure siedi e scrivi!E questo si chiama vita?! Perché nessuno ancora ha descritto la tormentosadiscordanza che nasce nello scrittore, quand'egli è afflitto, ma deve far ridere la folla, oquand'è allegro e deve sparger lacrime su ordinazione? Io debbo esser gaio,indifferentemente freddo, arguto, ma immaginate che mi opprima l'angoscia o,mettiamo, che io sia malato, mi stia morendo un bimbo, che partorisca la moglie!

 

Ciò egli dice scotendo il pugno e rotando gli occhi... Poi va in camera e desta la moglie. 

- Nadia, - dice, - mi metto a scrivere... Per favore, che nessuno mi disturbi. Non si puòscrivere, se strillano i bambini, sbuffano le cuoche... Da' ordine pure che ci sia il tè e...una bistecca, che so io... Tu lo sai, senza il tè non posso scrivere... Il tè è l'unica cosache mi sostenga nel lavoro. 

Tornato nella sua stanza, egli si leva soprabito, panciotto e stivali. 

Si sveste lentamente, dopo di che, data al suo volto l'espressione dell'innocenzaoffesa, siede alla scrivania.

 

Sulla tavola non v'è nulla di occasionale, di usuale, ma tutto, ogni minima inezia, reca ilcarattere della ponderazione e d'un rigoroso programma. Bustini e ritrattini di grandiscrittori, un mucchio di manoscritti in bozza, un tomo di Bielinski (3) con una paginaripiegata, un osso occipitale in luogo di portacenere, un foglio di giornale, piegato connegligenza, ma in guisa che si veda il posto segnato intorno a matita azzurra, con unagrossa scritta in margine:

 

«Ignobile!». Vi son pure una decina di lapis temperati di fresco e di portapenne conpennini nuovi, visibilmente messi lì perché cause e accidenti esteriori, del genere d'unguasto alla penna, non possano interrompere neanche per un secondo il libero volocreativo...

 

Krasnuchin si arrovescia sulla spalliera della poltrona e, chiusi gli occhi, si sprofondanella meditazione del tema. Sente come la moglie strascica le pianelle e spaccalegnetti per il samovàr. Ella non s'è ancor destata del tutto, lo si vede dal fatto che ilcoperchio del samovàr e il coltello di continuo le cascan di mano. Presto giunge ilgrillare del samovàr e della carne rosolata. La moglie non smette di spaccar legnetti e

di sbacchiare intorno alla stufa chiusini, coperchi e sportellini. D'un tratto Krasnuchinsussulta, apre gli occhi spaventato e comincia ad annusar l'aria.

 

- Dio mio, acido carbonico! - geme, contraendo dolorosamente il viso. - Acidocarbonico! Questa donna insopportabile s'è prefissa di avvelenarmi! Orsù, dite, peramor di Dio, posso io scrivere in un ambiente così? 

Egli corre in cucina e là esplode in drammatiche urla. Quando, dopo aver aspettato unpo', la moglie, avanzando guardinga in punta di piedi, gli porta un bicchier di tè, egli

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siede come dianzi in poltrona, con gli occhi chiusi, e immerso nel suo tema. Non simuove, si tamburella leggermente in fronte con due dita e fa mostra di non sentir lapresenza della moglie... Sul suo viso vi è, come poc'anzi, un'espressione d'innocenzaoffesa.

 

Come la ragazzina a cui han donato un prezioso ventaglio, egli, prima di scrivere il

titolo, civetta lungamente con se stesso, posa, fa smancerie... Si preme le tempie, orasi rattrappisce e piega le gambe sotto la poltrona, come per dolore, ora strizza languidogli occhi, come un gatto sul divano... Infine, non senza esitanza, allunga la mano alcalamaio e, con un'espressione come se firmasse una sentenza di morte, fa il titolo... 

- Mamma, dammi dell'acqua! - egli sente la voce del figlio. 

- Ssst! - dice la madre. - Il babbo scrive! Ssst... 

Il babbo scrive lesto lesto, senza cancellature e interruzioni facendo appena in tempo avoltar le pagine. Busti e ritratti degli scrittori celebri miran la sua penna che scorrerapida, non si muovono e sembra che pensino: «Ohi, fratello, come ci hai fatto lamano!». 

- Ssst! - stride la penna. 

- Ssst! - fanno gli scrittori, quando sobbalzano con la tavola per un urto del ginocchio. 

D'un tratto Krasnuchin si raddrizza, posa la penna e tende l'orecchio... Egli sente unsussurro eguale, monotono... Nella stanza attigua l'inquilino, Fomà Nikolàievic', stapregando Iddio.

 

- Sentite! - grida Krasnuchin. - Non vorreste pregare un po' più piano? M'impedite discrivere!

 

- Scusate... - risponde timidamente Fomà Nikolàievic'. 

- Ssst! 

Riempite di scrittura cinque paginette, Krasnuchin si stira e guarda l'orologio. 

- Dio, già le tre! - geme. - La gente dorme, e io solo devo lavorare! 

Rotto, spossato, chinata la testa di fianco, va in camera, desta la moglie e dice convoce languida:

 

- Nadia, dammi ancora del tè! Io... sono affranto! 

Scrive fino alle quattro, e scriverebbe volentieri fino alle sei, se non fosse esaurito iltema. Civettare e posare davanti a se stesso, davanti agli oggetti inanimati, lungi da unocchio osservatore indiscreto, dispotismo e tirannia sul piccolo formicaio dalla sorte

gettato sotto il suo dominio formano il sale e il miele della sua esistenza. E comequesto despota qui, in casa, è dissimile da quel piccolo omino umiliato, privo di favella,incapace, che siamo avvezzi a veder nelle redazioni! 

- Son così spossato che difficilmente prenderò sonno... - egli dice, coricandosi. - Ilnostro lavoro, questo lavoro maledetto, ingrato, da galera, estenua non tanto il corpoquanto l'anima... Dovrei prender del bromuro... Oh, vede Iddio, se non fosse lafamiglia, smetterei questo lavoro... Scrivere su ordinazione! E' tremendo! Egli dormefino alle dodici, o fino all'una del pomeriggio, dorme sodo e profondamente... Ah, come

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ancora dormirebbe, che sogni farebbe, come si scapriccerebbe, se diventasse unoscrittore noto, redattore, o magari editore!

 

- Ha scritto tutta la notte! - bisbiglia la moglie, facendo un viso spaventato. - Ssst! 

Nessuno ardisce né parlare, né camminare, né far rumore. Il suo sonno è cosa sacra,

la cui profanazione il colpevole pagherebbe cara! 

- Ssst! - aleggia nell'appartamento. - Ssst! 

NOTE: 

1) Nell'"Amleto" di Shakespeare. 

2) Ofelia. 

3) Celebre critico e pubblicista russo (1812-1848). 

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LA VENDETTA 

Lev Savvic' Turmanov, un cittadino qualunque, che aveva un capitaluccio, una mogliegiovane e una dignitosa calvizie, giocava, in occasione d'un onomastico, da un amicoal "vint" (1). Dopo una buona perdita, quando fu colto dal sudore, si rammentò d'untratto che da un pezzo non beveva vodka. Alzatosi, in punta di piedi, dondolandosigravemente, avanzò fra le tavole, attraversò il salotto, dove ballava la gioventù (qui eglisorrise indulgente e batté paternamente sulla spalla a un giovane, esile farmacista),dopo di che sgusciò per un piccolo uscio che metteva alla stanza di ristoro. Lì, su untavolino rotondo, stavan bottiglie, caraffe con vodka... Accanto ad esse, fra altriantipasti, verdeggiante di cipolline e prezzemolo, giaceva in un piatto un'aringa ormaimezzo mangiata. Lev Savvic' si mescé un bicchierino, mosse in aria le dita, comeaccingendosi a fare un discorso, bevve e fece un viso sofferente, poi conficcò unaforchetta nell'aringa e... Ma allora di là dalla parete si udirono voci. 

- D'accordo, d'accordo... - diceva arditamente una voce femminile. 

- Solamente, quando sarà? 

«Mia moglie», riconobbe Lev Savvic'. «Con chi è?». 

- Quando vuoi, amica mia... - rispose dietro la parete una piena, pastosa voce dibasso. - Oggi non è del tutto agevole, domani sono occupato tutt'il santo giorno...

 

«E' Degtiariòv!», riconobbe Turmanov nel basso uno dei suoi amici. 

«Anche tu, Bruto, ci sei! (2) Possibile che abbia agganciato anche lui? Ma che donnainsaziabile, turbolenta! Non può vivere un giorno senza romanzetto!». 

- Sì, domani sono occupato,- continuò il basso. - Se vuoi, scrivimi domani qualcosa...Sarò contento e felice... Solo che dovremmo regolare la nostra corrispondenza.

Bisogna escogitare un qualche trucco. Spedire per posta non è punto comodo. Se io tiscrivo, il tuo gallinaccio può intercettare la lettera dal postino; se tu scrivi a me, la miametà riceverà me assente e sicuramente dissuggellerà.

 

- Come fare dunque? 

- Bisogna idear qualche trucco. Per mezzo della servitù del pari non si può inviare,perché il tuo Sobàkevic' (3) di certo tiene con pugno di ferro cameriera e domestico...O che a carte ci giuoca?

 

- Sì. Perde eternamente, il babbeo! 

- Vuol dire che ha fortuna in amore! - rise Degtiariòv. - Ecco, mammetta, che giochetto

ho escogitato... Domani, alle sei di sera in punto io, tornando dall'ufficio, passerò per ilgiardino comunale, dove ho da incontrarmi col custode. Allora ecco tu, anima mia,cerca assolutamente per le sei, non più tardi, di deporre un bigliettino in quel vaso dimarmo che, saprai, si trova a sinistra della pergola di vite...

 

- So, so... 

- Ciò riuscirà poetico, e misterioso, e nuovo... Non lo saprà né il tuo pancione, né lafedel consorte. Hai capito? 

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Lev Savvic' bevve ancora un bicchierino e si avviò alla tavola da giuoco. La scoperta,che proprio allora aveva fatto, non l'aveva colpito, né meravigliato, né punto indignato.Il tempo ch'egli s'indignava, faceva scenate, litigava e perfino veniva alle mani, erapassato ormai da un pezzo; aveva lasciato correre e ora chiudeva gli occhi suiromanzetti della sua volubile consorte. Ma tuttavia gli dispiacque. Espressioni comegallinaccio, Sobàkevic', pancione, eccetera, avevano ferito il suo amor proprio.

 

«Ma che canaglia, però, questo Degtiariòv!», pensava, segnando i meno. 

«Quando lo s'incontra per via, si finge un così caro amico, mette in vista in denti, e falisciatine sul ventre, e ora, guarda un po', che scherzi ti combina! In faccia ti trattad'amico, e di dietro per lui sono un gallinaccio e un pancione...». Quanto più eglisprofondava nei suoi sgraditi meno, tanto più grave si faceva il senso dell'offesa... 

«Sbarbatello... », pensava, spezzando stizzosamente il gessetto. 

«Ragazzaccio... Non ho voglia solo d'impicciarmi, se no ti farei veder io il Sobàkevic'!». 

A cena non poté veder con indifferenza la fisonomia di Degtiariòv, e quello, comeapposta, non finiva d'importunarlo con le domande: aveva vinto? perché era cosìtriste? e così via. E aveva perfin la faccia tosta, in base ai diritti della buonaconoscenza, di riprendere ad alta voce la consorte di lui, perché poco si curava dellasalute del marito. E la consorte, come nulla fosse, guardava il marito con gli occhiettilanguidi, rideva allegra e ciarlava innocentemente, talché il diavolo in persona nonl'avrebbe sospettata d'infedeltà.

 

Tornato a casa, Lev Savvic' si sentiva rabbioso e malcontento come se, invece divitella, avesse mangiato a cena una vecchia soprascarpa. Si sarebbe forse vinto eavrebbe dimenticato, ma il cicaleccio della consorte e i suoi sorrisi a ogni secondo glirammentavano il gallinaccio, l'oca, il pancione...

 

«Consumargli le guance a schiaffi dovrei, al mascalzone... », pensava. 

«Bistrattarlo in pubblico». 

E pensava che sarebbe stato bene, ora, picchiare Degtiariòv, sparargli in duello, comea un passero... sbalzarlo dall'impiego, o porre nel vaso di marmo qualcosa di sconcio,di puzzolente: un topo morto, per esempio... Non sarebbe stato male sottrarreanticipatamente la lettera della moglie dal vaso, e in sua vece mettere qualche versettoscabroso con la firma «La tua Akulka», o qualcosa del genere.

 

A lungo Turmanov camminò per la camera e si dilettò in simili fantasie. D'un tratto sifermò e si batté in fronte.

 

- Ho trovato, bravo! - esclamò, e addirittura raggiò di contentezza. 

- Ciò riuscirà a meraviglia! A me-eraviglia! 

Quando si fu addormentata la sua consorte, egli sedette a tavola e, dopo lungo esitare,alterando la propria scrittura e inventando errori di grammatica, scrisse quel che segue:«Al mercante Dulinov. Egregio signore! Se alle sei di sera di quest'oggi 12 settembrenel vaso di marmo, che trovassi nel giardino comunale a manca del capanno di vite,non staranno messi da voi duecento rubli, sarete ucciso e la vostra bottega di merceriesalterà in aria». Dopo aver scritto una tal lettera, Lev Savvic' balzò dall'entusiasmo.

 

- Com'è pensata, eh? - mormorava, fregandosi le mani. - Splendido! 

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Miglior vendetta satana stesso non l'inventerà! Naturalmente il mercantone avrà paurae subito riferirà alla polizia, e la polizia si apposterà verso le sei nei cespugli, el'acciufferà, il colombello, quando si farà avanti per la lettera!... Sì che si prenderàpaura!

 

Mentre la faccenda si chiarirà, avrà il tempo, la canaglia, di passarne a iosa, e di star

dentro a sazietà... Bravo! 

Lev Savvic' appiccicò il francobollo alla lettera e la recò egli stesso alla cassettapostale. Si addormentò col più beato sorriso e dormì soavemente come da un pezzonon dormiva. Destatosi la mattina e rammentando la sua trovata, canticchiò allegro insordina e prese perfin la moglie infedele per la bazzetta. Avviandosi all'ufficio, e poiseduto in cancelleria, non fece che sorridere e immaginarsi lo sgomento di Degtiariòv,quando sarebbe caduto nel tranello...

 

Dopo le cinque non resse più e corse nel giardino comunale, per contemplare coi suoiocchi la disperata situazione del nemico.

 

«Aah!», fece entro di sé, incontrando una guardia. 

Giunto al capanno di vite, sedette sotto un cespuglio e, puntando gli sguardi bramosisul vaso, prese ad aspettare. La sua impazienza non aveva limiti. 

Alle sei precise spuntò Degtiariòv. Il giovanotto era, a quanto pareva, del più eccellenteumore. La sua tuba posava arditamente sulla nuca e dal suo cappotto apertosembrava occhieggiasse, insieme col cappotto, l'anima stessa. Egli fischiettava efumava un sigaro... 

«Ecco, ora imparerai a conoscere il gallinaccio e il Sobàkevic'!». 

gioì maligno Turmanov. «Aspetta!». 

Degtiariòv s'accostò al vaso e vi cacciò pigramente una mano... Lev Savvic' si sollevò

e gli piantò gli occhi addosso... Il giovanotto trasse fuori dal vaso un piccolo piego, loguardò da tutte le parti e alzò le spalle, poi, irresoluto, lo dissuggellò, tornò ad alzar lespalle e gli si dipinse in viso un'estrema perplessità; nel piego v'erano due bigliettiiridati (4)!

 

A lungo Degtiariòv esaminò questi biglietti. Alla fine, senza smettere di stringersi nellespalle, li ficcò in tasca e pronunciò: «Merci!».

 

L'infelice Lev Savvic' udì questo «Merci». L'intera serata dipoi stette di fronte allabottega di Dulinov, minacciando l'insegna col pugno e borbottando indignato:

 

- Vvvigliacco! Mercantuccio! Spregevole Kit Kitic' (5)! Vvvigliacco! 

Lepre panciuta!... 

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NOTE: 

1) Specie di "Whist", che si giuoca in quattro. 

2) Allusione alle ultime parole di Cesare - «Tu coque, Brute, fili mi?» (anche tu, Bruto,figlio mio?)-nel vedere fra i congiurati che lo colpivano il figlio Marco Bruto (secondoaltri, Decimo Bruto Albino. da Cesare amato come un figlio).

 

3) Forma patronimica burlesca che significa: figlio di cane. 

4) Cioè da cento rubli: i biglietti di banca russi si distinguevano e s'indicavano, nell'usocomune, secondo il colore (rossi, azzurri, grigi, iridati eccetera), in relazione col lorovalore.

 

5) Altra forma patronimica ingiuriosa. Letteralmente: Balena (figlio) di Balena. 

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LINGUA LUNGA 

Natalia Michàilovna, una giovane damina, giunta la mattina da Jalta, pranzava e,menando instancabilmente la lingua, narrava al marito quali fossero gl'incanti dellaCrimea. Il marito, allietato, guardava con intenerimento il viso rapito di lei, ascoltava eogni tanto faceva domande...

 

- Ma, dicono, la vita laggiù è insolitamente cara? - domandò egli fra l'altro. 

- Come dirti? Secondo me, il caro dei prezzi l'hanno esagerato, babbino. Il diavolo nonè così brutto come lo si dipinge. Io, per esempio, con Julia Petrovna avevo una cameracomoda e decorosa per venti rubli al giorno. Tutto, amico mio bello, dipende dal sapervivere. Certo, se ti vien voglia di andartene da qualche parte in montagna... peresempio, sull'Ai-Petri... prenderai cavallo, guida:

 

be' allora, certo, è caro. Tremendamente caro! Ma, Vàssicka, che mo- onti ci son là!Figurati delle montagne alte alte, mille volte più della chiesa... In cima nebbia, nebbia,

nebbia... In basso enormissime pietre, pietre, pietre... E pini... Ah, non possorammentare! 

- A proposito... in tua assenza qui in non so che rivista lessi di certe guide tartare dilaggiù... Schifezze tali! Che, sono in realtà una qualche gente speciale? 

Natalia Michàilovna fece una smorfia sprezzante e crollò il capo. 

- Comuni tartari, nulla di speciale... - disse. - Del resto io li vidi da lontano, di sfuggita...Me li indicavano ma non vi feci caso.

 

Io, babbino, ho sempre nutrito una prevenzione contro tutti quei circassi, greci... mori! 

- Dongiovanni terribili, dicono. 

- Può essere! Ci son donne indegne che... 

Natalia Michàilovna d'un tratto saltò su, come se si fosse ricordata d'alcunché diterribile, guardò per mezzo minuto il marito con occhi spaventati e disse, strascicandoogni parola:

 

- Vàssic'ka, ti dirò che im-mo-ra-li ci sono! Ah, che immorali! Non già, sai, donnesemplici, o di mezza tacca, ma aristocratiche, queste spocchiose d'alto bordo! Unorrore semplicemente, io non credevo ai miei occhi! Sarò morta e non l'avrò scordato!Via, ci si può forse lasciar andare al punto di... Ah, Vàssic'ka, addirittura non voglioparlare! Prendiamo anche solo la mia compagna di viaggio Julia Petrovna... Un maritocosì buono, due bambini... appartiene a gente ammodo, si dà sempre arie di santa, e

d'un tratto, puoi figurarti... 

Solo, babbino, questo, certamente, "entre nous" (1)... Dai la parola d'onore che non lodirai a nessuno? 

- Via, ecco quel che vai ancora a pensare! Si capisce, non lo dirò. 

- Parola d'onore? Bada bene! Io ti credo... 

La damina posò la forchetta, diede al suo viso un'espressione misteriosa e bisbigliò: 

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- Figurati una cosa così... Si recò questa Julia in montagna... Faceva un tempomeraviglioso! Davanti va lei con la sua guida, un po' indietro, io. Avevamo fatto tre oquattro verste (2), d'un tratto, capisci, Vàssic'ka, Julia manda un grido e si porta lamano al petto.

 

Il suo tartaro la prende per la vita altrimenti sarebbe caduta di sella... Io con la mia

guida mi accosto a lei... Che cos'è? Di che si tratta? «Oh», grida, «muoio! Mi sentomale! Non posso proseguire!». 

Figurati il mio spavento! «Allora», dico, «andiamocene indietro!». 

«No», dice, «Natalie, non posso venire indietro! Se faccio un sol passo ancora, muoiodal dolore! Ho degli spasimi!». E prega, scongiura, per amor di Dio, me e il mioSuleiman perché torniamo in città e le portiamo delle gocce di Bestuzev, che a leigiovano.

 

- Ferma... Io non ti capisco del tutto... - borbottò il marito, grattandosi la fronte. - Primahai detto d'aver visto quei tartari solo da lontano, e ora vai raccontando di un certoSuleiman. 

- Su via, ti attacchi di nuovo a una parola! - si accigliò la damina, senza puntoscomporsi. - Non posso soffrir la diffidenza! 

Non posso soffrirla! E' sciocco e poi sciocco! 

- Io non m'attacco, ma... perché dire il falso? Hai scavallato coi tartari, be', così sia, Diot'assista, ma... perché tergiversare?

 

- Uhm!... come sei strano: - s'indignò la damina. - E' geloso d'un Suleiman! Immaginocome te n'andresti tu in montagna senza guida!

 

Immagino! Se non conosci la vita di laggiù, se non capisci, farai meglio a tacere. Taci etaci! Senza guida là non si può fare un passo.

 

- Lo credo bene! 

- Di grazia, senza codesti sorrisi sciocchi! Per tua norma, non sono una Juliaqualunque... Io non la giustifico, ma io..; psss! Sebbene non mi atteggi a santa, non mison però ancor lasciata andare a tanto.

 

Con me Suleiman non usciva dai limiti... No-o! Mametkul se ne stava tutto il tempo daJulia, ma da me, appena scoccavan le undici, subito:

 

«Suleiman, marsc! Andatevene!». E il mio sciocco tartarello se ne va. 

Lo tenevo, babbino, con pugno di ferro... Appena si metteva a brontolare circa iquattrini o altro, io subito: «Co-ome? coosa? Che co-o-osa?». E a lui veniva il sudor

freddo... Ahah-ah'... Gli occhi, capisci, Vàssic'ka, neri neri, come il ca-arbone, unmusetto da tartaro, così sciocco, buffo... Ecco io come lo tenevo! Ecco!

 

- Immagino... - mugolò il consorte, arrotolando palline di pane. 

«sciocco, Vàssic'ka! So bene quali pensieri hai! So quel che pensi... 

Ma, ti assicuro, con me anche durante le gite non usciva dai limiti. 

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NERVI 

Dmitri Ossipovic' Vaksin, architetto, ritornò dalla città alla sua villetta sotto l'impressionefresca della seduta spiritica da poco trascorsa. Svestendosi e coricandosi sul suo lettosolitario (madama Vaksin era partita per la Trinità) (1), Vaksin prese involontariamentea riandare tutto ciò che aveva udito e visto. Una seduta, a dirla propriamente, non c'erastata, e la sera era passata solo in conversazioni paurose. Una signorina di punto inbianco s'era messa a parlare di divinazione del pensiero. Dal pensiero insensibilmenteeran passati agli spiriti, dagli spiriti alle apparizioni, dalle apparizioni ai sepolti vivi... Unsignore e aveva letto il pauroso racconto di un morto che s'era rigirato nella bara. Lostesso Vaksin aveva chiesto un piattino e aveva mostrato alle signorine come bisognadiscorrere con gli spiriti. Aveva evocato, tra l'altro, il proprio zio Klavdi Mirònovic' ementalmente gli aveva domandato: «Non sarebbe tempo per me d'intestar la casa alnome della moglie?», al che lo zio aveva risposto: «A tempo opportuno tutto è bene». 

«Molto v'è di misterioso e di... pauroso in natura... » meditava Vaksin, stendendosisotto la coperta. «Non fanno paura i morti, ma questa incertezza... ». 

Scoccò l'una di notte. Vaksin si girò sull'altro fianco e sbirciò di sotto la coperta lafiammella azzurra del lumino. La luce guizzava e a stento rischiarava la vetrinetta delleicone e un gran ritratto dello zio Klavdi Mironic' appeso di fronte al letto.

 

«E che, se in questa semioscurità apparisse ora l'ombra dello zio?», balenò nella testadi Vaksin. «No, è impossibile!».

 

Le apparizioni sono un pregiudizio, frutto d'intelletti immaturi, ma, nondimeno, Vaksin sitirò pur sempre sulla testa la coperta e chiuse più stretti gli occhi. Nella suaimmaginazione baluginò il cadavere rigiratosi nella bara, passarono le immagini dellamorta zia, d'un camerata impiccatosi, d'una ragazza annegata... Vaksin prese ascacciar dalla testa i pensieri tenebrosi, ma più energicamente li scacciava, più chiare

si facevan le figure e più paurosi i pensieri. 

Egli si sentì oppresso. 

«Il diavolo sa quel che è... Hai paura, come un piccolo... E' sciocco!». 

«Cik... cik... cik», batteva dietro la parete l'orologio. Alla chiesa del villaggio, nelcimitero, il custode cominciò a sonare. Era un rintocco lento, lugubre, che succhiaval'anima... Per la nuca e il dorso di Vaksin corse un freddo formicolio. Gli sembrò chesopra il suo capo qualcuno respirasse penosamente, come se lo zio fosse uscito dallacornice e si fosse chinato sul nipote... Vaksin si sentì intollerabilmente oppresso. Dalterrore strinse i denti e trattenne il respiro. Infine, quando dalla finestra aperta volòdentro un maggiolino e ronzò sopra il suo letto, egli non resse e tirò disperatamente ilcampanello. 

- Demetri Ossipic', "was wollen Sie" (2)? - si sentì di lì a un minuto dietro l'uscio la vocedella governante - Ah, siete voi, Rosalia Kàrlovna? - si allietò Vaksin. - Perché vidisturbate? Gavrila avrebbe potuto...

 

- Chavrila vui stessi l'hai lasciato andare in città, e Glafira è andata in qualche posto diprima sera... Non c'è nessuno in casa...

 

"Was wollen Sie doch" (3)? 

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- Io, "màtuska" (4), ecco quel che volevo dire... Già... Ma entrate, non state insoggezione! Da me è buio...

 

In camera entrò la grossa Rosalia Kàrlovna dalle guance rosse e si fermò inatteggiamento di attesa.

 

- Sedete, "màtuska"... Vedete, ecco di che si tratta... - «Che cosa domandarle?»,pensò Vaksin, guardando di traverso il ritratto dello zio e sentendo come la sua animagradatamente si avviava a uno stato di calma. - Io, a dir propriamente, ecco di checosa volevo pregarvi... Quando domani l'uomo andrà in città, non dimenticate diordinargli che... già.., passi a comprar dei cannellini per sigarette... Ma sedete!

 

- Dei cannellini? Bene! "Was wollen Sie noch" (5)? 

- "Ich will" (6)... Io non "will" nulla, ma... Ma sedete! Io penserò ancora che altro... 

- E' sconveniente per ragazza restare in camera d'uomo... Vui, io vedo. DemetriOssipic', siete un birichino... un burlone... Io capito... Non si desta persona percannellini... Io capito...

 

Rosalia Kàrlovna si volse e uscì. Vaksin, calmato alquanto dal colloquio con lei evergognoso della propria pusillanimità, si tirò sul capo la coperta e chiuse gli occhi. Perun dieci minuti si sentì passabilmente, ma poi nella sua testa tornarono a insinuarsi lestesse assurdità... Egli sputò, cercò a tastoni i fiammiferi e, senz'aprir gli occhi, accesela candela. Ma anche la luce non giovò. 

All'impaurita immaginazione di Vaksin pareva che da un angolo qualcuno guardasse eche gli occhi dello zio ammiccassero. 

- La chiamerò di nuovo, che il diavolo la porti... - decise. - Le dirò che sono malato...Chiederò delle gocce. 

Vaksin sonò. Non seguì risposta. Sonò ancora una volta e, come in risposta alla sua

scampanellata, ricominciarono i rintocchi al cimitero. Colto da terrore, tutto freddo, eglicorse a rotta di collo fuori della camera e, segnandosi, dandosi del pusillanime, volò apiedi scalzi e con la sola biancheria indosso verso la stanza della governante.

 

- Rosalia Kàrlovna!-prese a dire con voce tremante bussando all'uscio. - RosaliaKàrlovna! Voi... dormite? Io... già... sono malato... Delle gocce!

 

Non seguì risposta. Intorno regnava il silenzio... 

- Vi prego... capite? Prego! E a che pro codesta... meticolosità, non capisco, inparticolare, se un uomo... è malato? Come siete delicata e smancerosa però, davvero!Coi vostri anni... 

- Io a vostra moglia dicerò... Non lascia in pacie una figliol'onest... Quando vivio dal

baron Antsig e il baron volse venir da me per fiammifori, io capito... io subito capito,quali fiammifori, e detto al baroness... Io son figliol'onest...

 

- Ah, che diavolo me ne faccio io della vostra onestà? Io sono malato... e chiedo dellegocce. Capite? Sono malato!

 

- Vostra moglie è donna buona, onest, e voi dovete amarla! Ja (7)! Lei è nobil! Io nondesidera esser sua nemico!

 

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- Una sciocca siete, ecco tutto! Capite? Una sciocca! 

Vaksin si appoggiò all'architrave, incrociò le braccia e prese ad aspettare che glipassasse la paura. Di rientrar nella sua stanza, dove guizzava il lumino e guardava dauna cornice lo zietto, non gli bastavan le forze, starsene all'uscio della governante insola biancheria era per ogni verso inopportuno. Che si doveva fare?

 

Batteron le due e la paura tuttora non passava e non diminuiva. Nel corridoio era scuroe da ogni angolo guardava qualcosa di scuro. 

Vaksin si girò col viso all'architrave, ma subito gli parve che qualcuno l'avesseleggermente tirato di dietro per la camicia e toccato nella spalla...

 

- Che il diavolo ti sbrani... Rosalia Kàrlovna! 

Non seguì risposta. Vaksin, irresoluto, aprì l'uscio e gettò un'occhiata nella stanza. Lavirtuosa tedesca dormiva placidamente. Un piccolo lumino da notte rischiarava leprominenze del suo corpo sodo, spirante salute. Vaksin entrò nella camera e sedettesu un baule di vimini che stava accanto all'uscio. In presenza di un essere dormente,ma vivo, si sentì più sollevato. 

«Se la dorma pure, la tedescotta... » pensava. «Starò vicino a lei, e quando faràgiorno, uscirò... Adesso... si fa chiaro presto». 

In attesa dell'alba, Vaksin si rannicchiò sul baule, pose un braccio sotto il capo e simise a pensare. 

«Che significano i nervi, però! Un uomo evoluto, pensante, e intanto... il diavolo sa checosa! Fa perfin vergogna...». 

Ben presto, ascoltando il quieto, ritmico respiro di Rosalia Kàrlovna, egli si calmò deltutto... 

Alle sei di mattina la moglie di Vaksin, tornata dalla Trinità e non avendo trovato ilmarito in camera, andò dalla governante a chiederle degli spiccioli per pagare ilvetturino. Entrando dalla tedesca, ella vide questo quadro: sul letto, tutta spampanatadal caldo, dormiva Rosalia Kàrlovna, e a una tesa da lei, sul baule di vimini, piegato aciambella, russava quieto nel sonno del giusto suo marito. Egli era scalzo e in solabiancheria. Quel che disse la moglie, e come fosse sciocca la fisonomia del marito,quand'egli si destò, lo lascio raffigurare ad altri. Io, già, impotente a farlo, depongo learmi.

 

NOTE: 

1) A sessanta chilometri da Mosca: uno dei due più celebri e grandiosi conventi russi(Paltro era a Kiev). Fondato da San Serio nel 1340 comprendeva tredici chiese,un'accademia religiosa, una scuoia di pittura sacra eccetera, ed era meta di continuipellegrinaggi.

 

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2) Che cosa vuole? (in tedesco). 

3) Che cosa vuole dunque?  

4) Mammina: espressione di rispettosa e familiare cortesia, di uso frequente neldialogo russo con donna di qualsiasi età.

 

5) Che cosa vuole ancora?  

6) Io voglio... 

7) Sì. 

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LO SPECCHIO CURVO 

(RACCONTO DI NATALE)  

Io e mia moglie entrammo in salotto. Vi odorava di muffa e d'umidità. 

Milioni di ratti e di sorci si precipitarono da tutte le parti, quando noi rischiarammo i muriche non avevan visto la luce durante tutt'un secolo. Quando chiudemmo l'uscio dietrodi noi, soffiò una folata e smosse la carta giacente a mucchi negli angoli. La luce caddesu questa carta e noi scorgemmo caratteri antichi e figurazioni medievali. Alle paretiinverdite dal tempo pendevano ritratti di antenati. Gli antenati guardavano altezzosi,arcigni, come se volessero dire:

 

- Frustarti si dovrebbe, fratellino! 

I nostri passi risonavano per tutta la casa. Alla mia tosse rispondeva un'eco, la stessaeco che un tempo aveva risposto ai miei antenati...

 

E il vento urlava e gemeva. Nella canna del camino qualcuno piangeva, e in questopianto si sentiva la disperazione. Grosse gocce di pioggia picchiavano sulle scurefinestre opache, e il loro picchiare dava angoscia. 

- Oh, antenati, antenati! - diss'io, sospirando significativamente. 

- Se fossi scrittore, mirando i loro ritratti scriverei un lungo romanzo. Ché ciascuno diquesti vegliardi fu giovane un dì, e ciascuno, o ciascuna, ebbe un romanzo... e cheromanzo! Guarda, per esempio, questa vecchina, mia bisavola. Vedi, - domandai a miamoglie, - vedi tu lo specchio che pende là nell'angolo?

 

E additai a mia moglie un grande specchio in bronzea guarnitura nera, appeso in unangolo accanto al ritratto della mia bisavola.

 

- Questo specchio possiede proprietà magiche: esso causò la rovina della miabisavola. Lo aveva pagato una somma enorme e non se ne separò fin proprio allamorte. Vi si guardava i giorni e le notti, senza posa vi si guardava perfin quandobeveva e mangiava. Nei coricarsi, ogni volta lo metteva con sé in letto e, morendopregò di deporlo con lei nella bara. Non soddisfecero ii suo desiderio solo perché lospecchio non capiva nel feretro.

 

- Era civetta? - domandò mia moglie. 

- Supponiamo. Ma non aveva forse altri specchi? Perché amò talmente proprio questospecchio, e non un altro qualsiasi? E forse non aveva specchi migliori? No, lì, cara mia,si cela un qualche tremendo mistero. Non può essere altrimenti. La tradizione dice che

nello specchio risiede il diavolo e che la bisavola aveva un debole per i diavoli. Certo, èun'assurdità, ma è indubbio che lo specchio in guarnitura di bronzo possiede una forzamisteriosa. 

Io scossi dallo specchio la polvere, vi guardai e diedi in una risata. 

Al mio riso rispose sordamente l'eco. Lo specchio era curvo e contorceva la miafisonomia da tutte le parti: il naso venne a trovarsi sulla guancia sinistra, e il mento sisdoppiò e si cacciò da un lato. 

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- Strano gusto quello della mia bisavola! - dissi. 

La moglie si accostò irresoluta allo specchio, vi guardò dentro ella pure, e subitoaccadde qualcosa di terribile. Ella impallidì, tremò in tutte le membra e mandò un grido.Il candeliere le cadde di mano, rotolò sul pavimento e la candela si spense. Ciavvolsero le tenebre.

 

Subito dopo intesi la caduta sull'impiantito d'alcunché di pesante: mia moglie si eraabbattuta priva di sensi. 

Il vento prese a gemere ancor più lamentosamente, presero a correre i ratti, nelle cartefrusciarono i sorci. I miei capelli si rizzarono e si mossero, quando da una finestra sistaccò l'imposta e volò da basso. Nel vano della finestra si mostrò la luna...

 

Io afferrai mia moglie, la cinsi e la portai fuori dalla dimora degli avi. Ella rinvenne solola sera del giorno dopo.

 

- Lo specchio! Datemi lo specchio! - disse, riavendosi. - Dov'è lo specchio? 

Tutt'una settimana dipoi ella non bevve, non mangiò, non dormì, e pregava di continuo

che le portassero lo specchio. Singhiozzava, si strappava i capelli in capo, si agitava, einfine, quando il dottore ebbe dichiarato ch'ella poteva morire di esaurimento e che ilsuo stato era in sommo grado pericoloso, io, vincendo il mio terrore, ridiscesi giù e lerecai di là lo specchio della bisavola. Vedendolo, ella rise forte dalla felicità, poi loafferrò, lo baciò e vi fissò gli occhi. 

Ed ecco, son trascorsi ormai più di dieci anni, e lei tuttora si guarda nello specchio enon se ne stacca un solo istante. 

- Possibile che questa sia io? - bisbiglia, e sul suo viso insieme col rossore, si accendeun'espressione di beatitudine e d'estasi. - Sì, son io! Tutto mentisce, fuorché questospecchio! Mentiscono gli uomini, mentisce il marito! Oh, se mi fossi vista prima, seavessi saputo quale sono realmente, non avrei sposato quest'uomo! Egli non è degno

di me! Ai miei piedi devon giacere i cavalieri più belli, più nobili!... 

Un giorno, stando dietro a mia moglie, guardai inavvertitamente nello specchio, escoprii il terribile segreto. Nello specchio scorsi una donna di accecante bellezza, qualemai ho incontrato nella vita. Era un prodigio della natura, un'armonia di beltà, dieleganza e d'amore.

 

Ma di che si trattava? Che cos'era accaduto? Perché mia moglie, brutta, sgraziata,nello specchio pareva così bella? Perché?

 

Ma perché lo specchio curvo aveva storto il brutto viso di mia moglie in tutti i sensi, eper tale spostamento dei suoi tratti esso era diventato casualmente bellissimo. Menoper meno dava più.

 

E ora noi due, io e mia moglie, stiamo davanti allo specchio e, senza staccarcene unsol minuto, vi guardiamo dentro: il mio naso monta sulla guancia sinistra, il mento s'èsdoppiato e spostato da una parte, ma il volto di mia moglie è incantevole, e unapassione furiosa, insensata s'impadronisce di me.

 

- Ah-ah-ah! - sghignazzo io selvaggiamente. 

E mia moglie bisbiglia, in modo appena percettibile: - Come son bella! 

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AL CIMITERO 

"Dove son adesso i suoi raggiri le sue calunnie, gli appigli, le concussioni? 

Amleto. 

- Signori, s'è levato il vento, e già comincia a far buio. Non faremmo bene adandarcene, mentre siam sani e salvi? 

Il vento percorse il giallo fogliame delle vecchie betulle, e dalle foglie ci si rovesciòaddosso una grandinata di grosse gocce. Uno dei nostri scivolò sul terreno argilloso e,per non cadere, si afferrò a una gran croce grigia.

 

- «Consigliere onorario e cavaliere Jegòr Griaznorukov'... (1) » - egli lesse. - Ioconoscevo questo signore... Amava la moglie, portava l'ordine di Stanislao (2), nonleggeva nulla... Il suo stomaco digeriva puntualmente... Non era un bel vivere? Sembrache non si sarebbe dovuto morire, ma - ahimè! -il caso gli faceva la posta... Ilpoveraccio cadde vittima del suo spirito d'osservazione.

 

Un giorno, stando a origliare, ebbe un tal colpo d'uscio in testa che si buscò lacommozione cerebrale (egli aveva un cervello) e morì... Ed ecco, sotto questomonumento giace un uomo che fin dalle fasce odiò i versi, gli epigrammi... Come perderisione, tutto il suo monumento è screziato di versi... Sta venendo qualcuno!

 

Ci arrivò a pari un uomo con un cappotto liso e dalla faccia rasa, paonazza. Sottol'ascella aveva una mezza bottiglia, dalla tasca gli spuntava un cartoccio con salame.

 

- Dov'è qui la tomba dell'attore Muskin? - ci domandò con voce rauca. 

Noi lo conducemmo alla tomba dell'attore Muskin, morto un due anni addietro. 

- Sareste un impiegato? - gli domandammo. 

- Signornò, un attore... Oggidì un attore è difficile distinguerlo da un impiegatoconcistoriale. Questo l'avete sicuramente osservato... E' caratteristico, sebbene per unfunzionario non sia del tutto lusinghiero.

 

A stento trovammo la tomba dell'attore Muskin. Essa aveva ceduto, s'era ricoperta diloglio e aveva perduto la forma di una tomba... La piccola croce da buon prezzo,piegata su un lato, e coperta di muschio verde annerito dal freddo, aveva un'ariasenilmente triste e come malaticcia.

 

- «Al dimenticabile amico Muskin»... - leggemmo. 

Il tempo aveva cancellato l'in e riparato all'umana menzogna. 

- Attori e giornalisti raccolsero i soldi per fargli il monumento e... 

se li bevvero, i colombelli... - sospirò l'attore, inchinandosi fino al suolo e sfiorando coiginocchi e il berretto la terra bagnata.

 

- Cioè, come se li bevvero? 

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- E' molto semplice. Raccolsero i quattrini, lo stamparono sui giornali e se li bevvero...Ciò non per biasimo dico, ma così.. Buon pro vi faccia, angeli! A voi buon pro, e a luimemoria eterna.

 

- Una bevuta fa mal pro, e un'eterna memoria non è che afflizione. Ci conceda Iddiouna memoria temporale, e in quanto all'eterna, che farsene!

 

- Dite giusto. Era pure un uomo noto, Muskin, di ghirlande dietro al feretro ne portaronouna decina, e già l'hanno scordato! Chi l'ebbe in grazia l'ha dimenticato, e quelli a cuifece del male lo ricordano.

 

Io, per esempio, non lo scorderò nei secoli dei secoli, perché, tranne che male, nullamai vidi da lui. Non amo il defunto .

 

- Che male vi fece dunque? 

- Un male grande, - sospirò l'attore, e sul suo viso si diffuse un'espressione di amaraoffesa. - Uno scellerato fu egli per me, un brigante, si abbia il regno dei cieli. Fuguardando lui e ascoltandolo che mi feci attore. Egli m'attirò con la sua arte fuor dellacasa paterna, m'incantò con le artistiche vanità, molto promise, e diede lacrime edolori... Amara sorte quella dell'attore! Perdetti e gioventù, e sobrietà, e l'immagine diDio... Senza un soldo in tasca, coi calcagni storti, la frangia e le pezze a scacchiera suicalzoni, l'effigie come morsicata dai cani... In capo libertà di pensiero e stoltezza... Mitolse anche la fede, il mio manigoldo! Pazienza se ci fosse stato dell'ingegno, ma cosìmi son rovinato per men d'un quattrino... Fa freddo, stimabili signori... Non ne vorreste?Basta per tutti.., Brrr... Beviamo al riposo dell'anima! Sebbene io non l'ami, sebbene siaun morto, pure io ho lui solo al mondo, solo come un dito. Mi vedo con lui l'ultimavolta... I dottori han detto che presto morirò dal bere, e allora, ecco, son venuto aprender commiato.

 

Bisogna perdonare ai nemici. 

Lasciammo l'attore a intrattenersi col morto Muskin e proseguimmo. 

Cominciò a cadere una pioggerella fredda. 

Allo svoltare nel viale principale, cosparso di pietrisco, incontrammo un corteo funebre.Quattro portatori in cinture bianche di calicò e stivali fangosi, con fogliame appiccicato,portavano una bara di color rossobruno. Si faceva buio, ed essi si affrettavano,inciampando e dondolando la barella...

 

- Passeggiamo qui da due ore appena, e in nostra presenza è già il terzo che portano...Se si andasse a casa, signori?

 

NOTE: 

1) Vale: dalle mani sporche. 

2) L'ordine di Santo Stanislao, fondato dal re di Polonia Stanislao Augusto Poniatowskie riconosciuto dallo zar Alessandro primo.

 

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GLI STIVALI 

L'accordatore di pianoforti Murkin, un uomo dal viso giallo, il naso tabaccoso e l'ovattanegli orecchi, uscì dalla sua stanza nel corridoio e con voce tintinnante gridò:

 

- Semiòn! Cameriere! 

E guardando la sua faccia spaventata, si poteva pensare che gli fosse cascatoaddosso l'intonaco, o che in camera sua avesse visto allora allora uno spettro.

 

- Di grazia, Semiòn! - prese a gridare, scorgendo il cameriere che accorreva da lui.-Che è ciò? Io sono un uomo reumatico, infermiccio, e tu mi costringi a uscire scalzo!Perché non mi dai ancora gli stivali? Dove sono? 

Semiòn entrò nella camera di Murkin, guardò nel posto dov'egli aveva l'abitudine diporre gli stivali ripuliti, e si grattò la nuca: gli stivali non c'erano.

 

- Dove potrebbero essere, i maledetti? - disse Semiòn. - In serata, mi sembra, li pulii e

li misi qui... Uhm!... Ieri, confesso, avevo bevuto un po'... E' da supporre che li abbiamessi in un'altra camera. E' proprio così, Afanassi Jegoric', in un'altra camera!

 

Stivali ce n'è molti, e, in cimberli, li distinguerà il diavolo, se tu non hai la testa asegno... Devo averli messi dalla signora che alloggia qui accanto... dall'attrice...

 

- E ora per causa tua ho da andar dalla signora a disturbare! Eccomi per un'inezia adover svegliare una brava donna!

 

Sospirando e tossendo, Murkin si accostò all'uscio della camera attigua e bussòcautamente.

 

- Chi è? - si sentì di lì a un minuto una voce femminile. 

- Sono io! - cominciò con voce querula Murkin, mettendosi nella positura d'un cavaliereche parli con una signora del gran mondo. - Scusate il disturbo, signora, ma io sono unuomo malaticcio, reumatico... A me, signora, i dottori hanno ordinato di tenere i piedi alcaldo, tanto più che ora devo andar ad accordare un pianoforte dalla generalessaScevelitsin. Non posso mica andarci scalzo!... 

- Ma voi che volete? Che pianoforte? 

- Non un pianoforte, signora, ma riguardo agli stivali! 

Quell'ignorante di Semiòn ha pulito i miei stivali e per sbaglio li ha messi nella vostrastanza. Siate così gentile, signora, datemi i miei stivali!

 

Si udì un fruscio, un salto dal letto e un ciabattare, dopo di che l'uscio si aprì un poco, euna paffuta manina di donna gettò ai piedi di Murkin un paio di stivali. L'accordatoreringraziò e si diresse in camera sua.

 

- E' strano... - mormorò, calzando uno stivale. - Si direbbe che non è lo stivale destro.Ma qui ci son due stivali di sinistra! Son tutt'e due sinistri! Ascolta, Semiòn, ma questinon sono i miei stivali! I miei stivali sono con tiranti rossi e senza toppe, e questi soncerti così rotti, senza tiranti!

 

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Semiòn sollevò gli stivali, li rigirò più volte davanti ai propri occhi e corrugò la fronte. 

- Questi son gli stivali di Pavel Aleksandric'... - borbottò guardando di sbieco. 

Egli era strabico dall'occhio sinistro. 

- Che Pavel Aleksandric'? 

- Un attore... viene qua ogni martedì... Dunque è lui che, invece dei suoi, ha calzato ivostri... Vuol dire che in camera da lei ho messo le due paia: i suoi e i vostri. Unbell'impiccio!

 

- Allora va' e cambiali! 

- Salute! - sorrise Semiòn. - Va' e cambiali... E dove ho da prenderlo adesso? E' ormaiun'ora ch'è uscito... Va' a cercare il vento nei campi!

 

- Ma dove abita? 

- E chi lo sa? Viene qua ogni martedì, ma dove abiti noi non si sa. 

Viene, pernotta, e aspettalo fino a un altro martedì... 

- Ecco, vedi, porco, quel che hai combinato! Ebbene che devo fare adesso? E' orach'io vada dalla generalessa Scevelitsin, maledetto che sei! I piedi mi si sono intirizziti!

 

- Cambiar di stivali non è cosa lunga. Calzate questi stivali, camminateci fino a sera, estasera a teatro... Là domandate dell'attore Blistanov... Se a teatro non volete andare,toccherà aspettare quell'altro martedì. Solo i martedì viene qua...

 

- Ma perché mai ci son qui due stivali sinistri? - domandò l'accordatore, prendendo conschifiltà gli stivali.

 

- Come Dio li mandò, così li porta. Per povertà... Dove potrebbe prenderli, l'attore?....

«Ma gli stivali che avete,» dico, «Pavel Aleksandric'! E' pura vergogna!» E lui dice:«Taci», dice, «e impallidisci! In questi stessi stivali», dice, «ho fatto le parti di conti eprincipi!». Gente bizzarra! Artista, in una parola. S'io fossi governatore, o una qualcheautorità, prenderei tutti questi attori, e via in prigione!

 

Gemendo e facendo smorfie senza fine, Murkin calza a forza sulle proprie gambe i duestivali sinistri e, zoppicando, si avviò dalla generalessa Scevelitsin. L'intera giornataandò per la città, accordò pianoforti, e l'intera giornata gli parve che tutto il mondoguardasse i suoi piedi e ci vedesse su degli stivali con le toppe e i tacchi storti! Oltrealle torture morali, gli toccò sperimentare anche quelle fisiche: si buscò un callo.

 

A sera era in teatro. Davano "Barbablù" (1). Solo prima dell'ultimo atto, e anche ciògrazie alla protezione d'un conoscente flautista, lo lasciarono passare dietro le quinte.

Entrato nel camerino degli uomini, vi trovò tutto il personale maschile. Gli uni sitravestivano, altri si truccavano, i terzi fumavano. Barbablù stava con re Bobeche (2) egli mostrava una rivoltella. 

- Comprala! - diceva Barbablù. - L'acquistai io stesso a Kursk d'occasione per otto,ebbene te la lascerò per sei... Un tiro notevole! 

- Attenzione... E' carica! 

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- Potrei vedere il signor Blistanov? - domandò l'accordatore, ch'era entrato. 

- Son proprio io! - si girò verso di lui Barbablù. -Che cosa desiderate? 

- Scusate, signore, il disturbo, - cominciò l'accordatore con voce implorante.-ma,credete... io sono un uomo malaticcio, reumatico... I dottori m'hanno ordinato di tenere i

piedi caldi... 

- Ma voi, propriamente parlando, che desiderate? 

- Vedete... - continuò l'accordatore, rivolgendosi a Barbablù. - Già... questa notte voisiete stato nelle camere mobiliate del mercante Buchteiev... al numero 64...

 

- Via che ciance sono? - sogghignò re Bobeche. - Al numero 64 ci abita mia moglie! 

- Moglie? Molto piacere... - Murkin sorrise. - Lei proprio, la vostra consorte, mi haconsegnato personalmente gli stivali del signore.. Quando lui, - l'accordatore indicòBlistanov, - fu uscito dalla stanza di lei, io mi accorsi dei miei stivali... dò una voce,sapete, al cameriere, e il cameriere dice: «Ma io, signore, i vostri stivali li ho messi alnumero attiguo!». Per sbaglio, essendo in stato di ubriachezza, aveva messo al

numero 64 i miei stivali e i vostri, - si girò Murkin verso Blistanov,-e voi, lasciando,ecco, la consorte del signore, avete calzato i miei...

 

- Ma voi che cosa andate dicendo?- proferì Blistanov, e si accigliò. - O che siete venutoqui a far pettegolezzi?

 

- Nient'affatto! Dio mi guardi! Non mi avete capito.. Di che sto parlando io? Degli stivali!Avete pernottato, non è vero, al numero 64?

 

- Quando? 

- Questa notte. 

- E voi mi ci avete visto? 

- No, non vi ho visto, - rispose Murkin, in preda a vivo turbamento, sedendo ecavandosi rapidamente gli stivali. - Io non vi ho visto, ma, ecco, la consorte di lui m'hagettato fuori i vostri stivali...

 

Ciò invece dei miei. 

- Ma che diritto avete, egregio signore, di affermare simili cose? Non parlo già di me,ma voi offendete una donna, e per di più in presenza di suo marito!  

Dietro le quinte si levò un tremendo baccano. Re Bobeche, il marito offeso, d'un trattos'imporporò e a tutta forza picchiò un pugno sulla tavola, talché nel camerino attiguodue attrici si sentirono male.

 

- E tu credi? - gli gridava Barbablù.-Tu credi a questo mascalzone? O-oh! Lo ammazzocome un cane, vuoi? Lo vuoi? Ne farò una bistecca! Lo frantumerò.

 

E tutti coloro che passeggiavan quella sera nel giardino comunale presso il teatroestivo narrano ora d'aver visto come prima del quart'atto si precipitò dal teatro per ilviale principale un uomo scalzo dal viso giallo e gli occhi pieni di sgomento. Lorincorreva un individuo vestito da Barbablù e con una rivoltella in mano. Quel cheaccadde ulteriormente, nessuno vide. Si sa soltanto che Murkin dipoi, dopo aver fatto

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conoscenza con Blistanov, per due settimane giacque malato e alle parole: «Io sonoun uomo malaticcio, reumatico», prese ad aggiungere ancora: «Sono un uomoferito...».

 

NOTE: 

1) Opera buffa di Offenbach, rappresentata la prima volta in Francia nel 1866, su tematratto dalla celebre fiaba di Perrault. 

2) Personaggio comico del teatro francese, dopo essere stato un guitto realmentevissuto a Parigi sotto l'Impero e la Restaurazione e divenuto celebre, il cui vero nomeera Antoine Mardelard (o Mandelard).

 

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LA GIOIA 

Eran le dodici di notte. 

Mitia Kuldarov, eccitato, arruffato, entrò di volo nell'appartamento dei suoi genitori epercorse rapido tutte le stanze. I genitori s'eran già coricati. La sorella era a letto efiniva di leggere l'ultima pagina d'un romanzo. l fratelli, studenti di ginnasio, dormivano.

 

- Di dove vieni? - si meravigliarono i genitori. - Oh, non domandate! Proprio non mel'aspettavo! No, proprio non me l'aspettavo! E'... è perfino inverosimile!

 

Mitia scoppiò a ridere e sedette in una poltrona, non essendo in grado di reggersi inpiedi dalla felicità.

 

- E' inverosimile! Voi non potete figurarvi! Guardate! 

La sorella saltò giù dal letto e, gettatasi addosso la coperta, si avvicinò al fratello. Gli

studenti ginnasiali si svegliarono. 

- Che cos'hai? Sei tutto convolto! 

E' per la gioia mammina! Ora, sai, mi conosce tutta la Russia! Tutta! 

Prima voi soli sapevate che al mondo esiste il registratore di collegio (1) DmitriKuldarov, e ora tutta la Russia lo sa! Mammina! O Signore. Mitia balzò su, corse pertutte le stanze e tornò a sedere.

 

- Ma che cos'è accaduto? Parla sensatamente! 

Voi vivete come bestie feroci, non leggete i giornali, non fate alcun'attenzione allapubblicità, e nei giornali v'è tanto di notevole! Se accade qualcosa, si sa subito tutto,

nulla si nasconde! 

Come sono felice! Oh, Signore! Si sa bene che solo di uomini illustri stampan neigiornali, e qui senz'altro hanno stampato di me.

 

- Che dici? Dove? 

Il babbo impallidì. La mamma lanciò uno sguardo all'immagine e si segnò. Gli studentidi ginnasio saltarono giù e, com'erano, in sola camicia corta da notte, si accostarono alloro fratello maggiore.

 

- Sissignore! Di me hanno stampato! Adesso tutta la Russia sa di me! 

Voi, mamma, riponete questo giornale per ricordo! Leggeremo ogni tanto! Guardate! 

Mitia cavò di tasca un numero di giornale, lo porse al padre e puntò il dito su un postosegnato torno torno, con matita azzurra.

 

- Leggete! 

Il padre inforcò gli occhiali. 

- Leggete dunque! 

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La mamma volse uno sguardo all'immagine e si segnò. Il babbo tossì e cominciò aleggere:

 

- «Il 29 dicembre, alle undici di sera, il registratore di collegio Dmitri Kuldarov... ». 

- Vedete, vedete? Avanti! 

- « .., il registratore di collegio Dmitri Kuldarov, uscendo dalla birreria sita in via MàlaiaBrònnaia, nella casa di Kozichin, e trovandosi in stato d'ubriachezza... ».

 

- Ero io con Semiòn Petrovic'... Tutto fino alle minuzie è stato descritto! Continuate!Avanti! State a sentire!

 

- «... e trovandosi in stato d'ubriachezza, scivolò e cadde sotto il cavallo d'un vetturinoivi di stazione, contadino della borgata Durìkina, distretto di Jùchnovo Ivan Drotov. Ilcavallo spaventato, dopo aver scavalcato Kuldarov e trascinato su di lui la slitta condentro il mercante moscovita di seconda categoria Stepàn Lukov, si lanciò al galoppoper la via, e venne fermato dai portieri. Kuldarov, da principio trovatosi privo di sensi, fucondotto alla sezione di polizia e visitato dal medico. L'urto ch'egli aveva ricevuto allanuca... » - Fu contro la stanga, babbo. Avanti! Leggete avanti! 

- «... ch'egli aveva ricevuto alla nuca fu giudicato lieve. 

Dell'accaduto fu redatto verbale. All'infortunato furon prestate le cure mediche... ». 

- Mi fecero bagnar la nuca con acqua fredda: Avete letto adesso? Eh? 

Ecco lì! Ora è andato per tutta la Russia! Date qua!  

Mitia afferrò il giornale, lo ripiegò e se lo ficcò in tasca. 

- Corro dai Makarov, lo mostrerò loro... Bisogna ancor farlo vedere agli Ivànitski, aNatalia Ivànovna, ad Anissim Vassilic'... Corro!

 

Addio! 

Mitia si mise il berretto con la coccarda e, trionfante, giulivo, corse in strada. 

NOTE: 

1) Era l'infimo grado (il quattordicesimo dall'alto) della vecchia gerarchia burocraticarussa.

 

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UN PORTIERE INTELLIGENTE 

In mezzo alla cucina stava il portiere Filìpp e faceva un sermone. Lo ascoltavano icamerieri, il cocchiere, due cameriere, il cuoco, la cuoca e due ragazzi sguatteri, figli

carnali di lui. Ogni mattina egli predicava qualcosa quella mattina poi oggetto del suodiscorso era la civiltà.

 

- E vivete voi tutti come un qualche popolo di porci,-diceva, tenendo in mano il berrettocon la placca. - Ve ne state qui senza muovervi di casa e, fuorché ignoranza, non sivede in voi nessun incivilimento. Miska giuoca a dama, Matriona schiaccia le noci,Nikifor mette in mostra i denti. Forse che ciò è intelligenza? Ciò non da intelligenzaproviene, ma da stoltezza. In voi non c'è punto attitudini intellettuali! E perché? 

- E' un fatto, Filìpp Nikandric', - osservò il cuoco. - Si sa, che intelligenza c'è in noi? Dacontadini. Forse che noi comprendiamo?

 

- E perché in voi non ci sono attitudini intellettuali? - continuò il portiere. - Perché voi

altri non avete un vero punto di vista. E libretti non ne leggete, e in fatto di scrittura nonci avete nessun concetto. Dovreste prendere un libriccino, starvene seduti e leggere. 

Saprete leggere, credo, decifrar lo stampato. Ecco, tu, Miscia, dovresti prendere unlibriccino e leggertelo. Profitto a te farebbe, e agli altri piacere. E nei libretti ci sidiffonde su tutti gli argomenti. Ci troverai circa l'essere, e circa la divinità, circa i paesidella terra. Quel che da ogni cosa si ricava, come si esprime la diversa gente in tutte lelingue. E l'idolatria del pari. Di tutto nei libretti troverai, purché ne abbia voglia. Luiinvece se ne sta accanto alla stufa, a pacchiare e bere. Tal quale come bestieinsensate! Oibò! 

- E' ora per voi, Nikandric', di montar di guardia, - osservò la cuoca. 

- Lo so. Non è affar tuo farmelo presente. Ecco, a mo' d'esempio, diremo, prendiamo

non fosse che me. Qual è la mia occupazione, con la mia tarda età? Con chesoddisfare l'anima mia? Non v'ha meglio d'un libretto, o della gazzetta. Ora, ecco,andrò a montar di guardia.

 

Passerò un tre ore al portone. E voi credete che starò a sbadigliare, o a spacciarfrottole con le donnette? No-o, non son di quelli!

 

Prenderò meco un libriccino, mi metterò seduto e me lo leggerò a mio bel piacere.Ecco come.

 

Filìpp tirò fuori da un armadio un libretto frusto e se lo ficcò in seno. 

- Eccola, la mia occupazione. Ci son avvezzo dall'infanzia. Lo studio è luce, l'ignoranzaè tenebra: l'avete inteso, immagino? Ecco lì...

 

Filìpp mise il berretto, fece un raschio e, borbottando, uscì dalla cucina. Varcò ilportone, sedette sulla panchina e si fece scuro come un nuvolone.

 

- Quelli non son gente, ma porci mangiaminestre,-brontolò, pensando tuttora allapopolazione della cucina.

 

Acquetatosi, cavò fuori il libretto, sospirò gravemente e si applicò alla lettura. 

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- «E' scritto che meglio non occorre», pensò, dopo aver letto la prima pagina e storto ilcapo. «Ne dà saggezza, il Signore!».

 

Era un bel volumetto, d'un'edizione moscovita: "La coltura dei rizocarpi. Occorre a noi ilnavone?" Lette le prime due pagine, il portiere scosse significativamente il capo etossicchiò:

 

- E' scritto giusto! 

Letta una terza paginetta, Filìpp si fece meditabondo. Aveva voglia di pensareall'istruzione e, chi sa perché, ai francesi. La testa gli si abbandonò sul petto, i gomiti siappoggiarono ai ginocchi. Gli occhi si socchiusero.

 

E Filìpp fece un sogno. Tutto, egli vedeva, era cambiato: la stessa terra, le medesimecase, il portone di prima, ma la gente non era più quella affatto. Tutta gente saggia,neppure uno sciocco, e per le vie camminano sempre francesi e poi francesi. Unportatore d'acqua, anche lui ragiona: «Io, confesso, son molto scontento del clima evoglio guardare il termometro», e lui stesso ha in mano un grosso libro.

 

- E tu leggi il calendario, - gli dice Filìpp. 

La cuoca è stupida, ma anche lei si mischia alle conversazioni sensate e v'inserisce leproprie osservazioni. Filìpp va in sezione per registrare i clienti, e, strano, perfino inquesto luogo severo non parlano che di cose intelligenti e dappertutto sulle tavole cison dei libretti. Ed ecco, qualcuno s'accosta al cameriere Miscia, lo urta e grida: «Tudormi? A te domando: dormi?».

 

- Di guardia dormi, babbeo? -ode Filìpp la voce tonante di qualcuno. - Dormi, farabutto,bestione?

 

Filìpp saltò su e si fregò gli occhi; davanti a lui stava il vicecommissario di sezione. 

- Eh? Dormi? Ti multerò, furfante! Ti farò veder io come si dorme di guardia, brrutto

muso! 

Di lì a due ore chiamarono il portiere alla sezione. Poi egli fu nuovamente in cucina. Lì,tocchi dalle sue istruzioni, tutti sedevano intorno alla tavola e ascoltavano Miscia, checompitava qualcosa.

 

Filìpp, accigliato, rosso, si accostò a Miscia, batté col guanto a sacco sul libro e dissecupo:

 

- Smetti! 

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NELLA BOTTEGA DEL BARBIERE 

E' mattina. Non sono ancor nemmeno le sette, e la bottega di barbiere di MakàrKuzmìc' Bliostkin è già aperta. Il padrone, giovanotto d'un ventitré anni, non lavato,unto e bisunto, ma vestito con ricercatezza, è occupato a rassettare. Da rassettare insostanza non c'è nulla, ma egli ha sudato, lavorando. Lì netta con un cencio, là grattacol dito, laggiù trova una cimice e la sventola via dalla parete.

 

E' una bottega piccola, strettina, luridetta. Le pareti di travi son coperte d'unatappezzeria che rammenta la camicia stinta d'un postiglione. Tra due finestreappannate, lacrimanti, una sottile porticina che scricchiola, deboluccia, al disopra diessa un campanello inverdito dall'umidità, che tremola e tintinna morbosamente da sésolo, senza ragione alcuna. Ma date un'occhiata allo specchio che pende a una dellepareti, e la vostra fisonomia ve la storcerà da tutte le parti nel modo più spietato!Davanti a questo specchio si tagliano i capelli e si rade. Su un tavolino, non lavato ebisunto al pari dello stesso Makàr Kuzmìc', c'è di tutto: pettini, forbici, rasoi, bastoncinidi pomata per una copeca, cipria per una copeca, acqua di Colonia fortemente

allungata per una copeca. E tutta la bottega non val più d'una monetina da quindicicopeche.

 

Sopra l'uscio risuona il guaito del campanello infermo, e nella bottega entra un uomomaturo in pelliccia corta conciata e stivali di feltro. La sua testa e il collo sonoavviluppati in uno scialle da donna.

 

E' Eràst Ivanic' Jàgodov, padrino di Makàr Kuzmic'. Un tempo servì come custode in unconservatorio, ora invece abita presso lo Stagno Rosso e attende all'arte del magnano. 

- Makàruska, salute, luce mia! - dice egli a Makàr Kuzmic', tutto preso dal rassetto. 

Si baciano. Jàgodov tira giù dalla testa lo scialle, si segna e siede. 

- Che distanza però! - dice, gemendo. - O che è uno scherzo? Dallo Stagno Rosso allaPorta di Kaluga. 

- Come ve la passate? 

- Male, fratello. Ho avuto la febbre ardente. 

- Che dite? Febbre ardente! 

- Febbre ardente. Fui a letto un mese, pensavo che sarei morto. Ebbi l'estremaunzione. Ora mi cadono i capelli. Il dottore m'ha ordinato di tagliarli corti. Verrannonuovi capelli, dice, robusti. Ed ecco, io penso nella mia testa: andrò da Makàr. Anzichéda qualcun altro, è meglio da un parente. E farà meglio, e non prenderà quattrini.

 

Lontanuccio alquanto, è vero, ma che è mai ciò? Una passeggiata. 

- Io, con piacere... Favorite! 

Makàr Kuzmic', strisciando una riverenza, indica la seggiola. Jàgodov siede e siguarda nello specchio, ed è visibilmente soddisfatto dello spettacolo: nello specchiorisulta un muso storto con labbra da calmucco, un largo naso smussato e gli occhi sullafronte. Makàr Kuzmìc' ricopre le spalle del suo cliente con un lenzuolo bianco achiazze gialle e comincia a far stridere le forbici.

 

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- Vi faccio tutto in pulito, a nudo! - dice. 

- Naturalmente, Ch'io somigli a un tartaro, a una bomba. I capelli verranno più fitti. 

- Zietta come sta? 

- Non c'è male, non c'è. L'altro giorno andò dalla moglie del maggiore per un parto. Lediedero un rublo. 

- Così è. Un rublo. Tenete su l'orecchio! 

- Tengo... Non mi tagliare, bada. Oh!, mi fai male! Mi tiri i capelli. 

- Non è nulla. Senza di ciò nel nostro mestiere non è possibile. E come sta AnnaEràstovna?

 

- La figliuola? Non c'è male, è in gamba. La settimana scorsa, mercoledì, l'abbiamfidanzata a Sceikin. Perché non sei venuto?

 

Le forbici smettono di stridere. Makàr Kuzmic' abbassa le mani e domanda spaventato: 

- Chi avete fidanzato? - Ma come mai? A chi? 

- A Sceikin. Prokofi Petròv. Sua zia è economa al vicolo Zlatoùstenski. Una bravadonna. Naturalmente siam tutti contenti, grazie a Dio. Fra una settimana le nozze.Vieni, ce la spasseremo. 

- Ma come mai ciò, Eràst Ivanic'? - dice Makàr Kuzmic', pallido, stupito, e scrolla lespalle. - Com'è mai possibile? Ciò... ciò non è in alcun modo possibile! Perché AnnaEràstovna... perché io...

 

perché io nutrivo dei sentimenti per lei, avevo un'intenzione! Come mai? 

- Ma così. L'abbiamo fidanzata su due piedi. E' un brav'uomo. 

In viso a Makàr Kuzmic' spunta un sudor freddo. Egli posa sulla tavola le forbici ecomincia a fregarsi il naso col pugno.

 

- Un'intenzione avevo... - dice. - Ciò non è possibile, Eràst Ivanic'! Io... io sonoinnamorato e avevo fatto l'offerta del cuore...

 

Anche la zietta aveva promesso. Io vi ho sempre rispettato proprio come un genitore...vi taglio i capelli sempre gratis. Sempre aveste favori da me, e quando il mio babbomorì, voi prendeste il divano e dieci rubli contanti, e non me li avete ridati indietro.Rammentate? 

- Come non rammentare! Rammento. Solo, che partito sei tu mai, Makàr? 

Sei forse un partito? Né quattrini, né stato, un mestiere da nulla... 

- E Sceikin è ricco? 

- Sceikin è un artigiano. Ci ha un migliaio e mezzo di rubli di cauzione. Sicché,fratello... Parlarne o non parlarne, la cosa ormai è fatta. Indietro non si tornaMakàruska. Cercati un'altra fidanzata...

 

Il mondo è grande. Su, taglia! Perché ristai? 

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Makàr Kuzmic' tace e sta immobile, poi cava di tasca un fazzolettino e comincia apiangere.

 

- Su, che fai! - lo consola Eràst Ivanic'. - Smetti! Ve', strilla, come una donna! Finisci lamia testa, e poi piangi. Prendi le forbici!

 

Makàr Kuzmic' piglia le forbici, le guarda un minuto ottusamente e le lascia cader sullatavola. Le mani gli tremano.

 

- Non posso! - dice. - Non posso ora, son senza forza! Disgraziato uomo che sono! Eanche lei è una disgraziata! Ci amavamo l'un l'altro, ci eravamo promessi, e ci hanseparati gente cattiva senz'alcuna pietà. Andatevene, Eràst Ivanic'! Non vi possovedere.

 

- Allora verrò domani, Makàruska. Finirai di tagliare domani. 

- Va bene. 

- Calmati un poco, e io sarò da te domani, la mattina presto. 

Eràst Ivanic' ha mezza testa tosata a nudo, e somiglia a un galeotto. 

E' imbarazzante rimanere con la testa così, ma non c'è che fare. Egli si avvolge la testae il collo con lo scialle ed esce dalla bottega.

 

Rimasto solo, Makàr Kuzmic' siede e continua a piangere piano piano. 

Il giorno dopo, di buon'ora, viene di nuovo Eràst Ivanic'. 

- Che volete? - gli domanda freddamente. Makàr Kuzmic'. 

- Finisci di tagliare, Makàruska. E' rimasta mezza testa ancora. 

- Favorite prima i soldi. Gratis non taglio. 

Eràst Ivanic', senza dir neanche una parola, se ne va e tuttora su una metà della testaha i capelli lunghi e sull'altra corti. Il taglio dei capelli a pagamento egli lo considera unlusso, e aspetta che sulla metà rapata i capelli crescan da sé. E così ha fatto baldoriaalle nozze.

 

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IL CALZOLAIO E IL MALIGNO 

Era la vigilia di Natale. Maria da un pezzo già russava sulla stufa (1), nella lucernettas'era consumato tutto il petrolio, e Fiodor Nilov stava sempre seduto a lavorare. Dalungo tempo ormai avrebbe smesso il lavoro e sarebbe uscito sulla via, ma il cliente delvicolo della Campana, che gli aveva ordinato i tomai due settimane addietro, eravenuto il dì prima, aveva sbraitato e ingiunto di ultimar gli stivali senza fallo per adesso,avanti mattutino.

 

- Vita da galera! - brontolava Fiodor, lavorando.-Gli uni dormono da un pezzo, gli altrise la spassano, e tu, ecco, come un Caino qualunque, stattene qui a cucire il diavolosa per chi...

 

Per non addormentarsi inavvertitamente, traeva di continuo di sotto la tavola unabottiglia e beveva dal collo, e dopo ogni sorso torceva la testa e diceva forte:

 

- Per qual motivo mai, dite di grazia, i clienti se la spassano, e io son tenuto a cucir per

loro? Forse perché loro han quattrini, e io sono un pezzente?! 

Egli odiava tutti i clienti, specie quello che abitava al vicolo della Campana. Era costuiun signore d'aspetto tetro, dai capelli lunghi, il viso giallo, in grandi occhiali azzurri econ una voce rauca. Aveva un cognome tedesco, tale che non saresti riuscito apronunciarlo. Di che condizione fosse e a che cosa attendesse, era impossibile capire.

 

Quando, due settimane addietro, Fiodor era andato da lui a prender la misura, egli, ilcommittente, stava seduto sul pavimento e pestava qualcosa in un mortaio. Non avevafatto in tempo Fiodor a salutare che il contenuto del mortaio era d'un tratto divampato earso con una viva fiamma rossa, mandando puzzo di zolfo e penne bruciate, e lastanza s'era riempita d'un denso fumo roseo, talché Fiodor aveva starnutito un cinquevolte; e facendo ritorno dopo di ciò a casa, pensava - «Chi ha timor di Dio non starà a

occuparsi di simili faccende». 

Quando nella bottiglia non fu rimasto nulla, Fiodor posò gli stivali sulla tavola e prese ariflettere. Appoggiò la testa pesante col pugno e si mise a pensare alla sua povertà,alla penosa vita senz'un raggio di luce, poi ai ricconi, alle loro grandi case, allecarrozze, ai biglietti da cento... Come sarebbe stato bello, se a questi ricconi, che ildiavolo li sbranasse, si fossero spaccate le case, fossero crepati i cavalli, stinte lepellicce e le berrette di zibellino! Come sarebbe stato bello, se i ricconi a poco a pocosi fossero mutati in poveri, che non hanno da mangiare, e il misero calzolaio fossediventato un riccone e avesse, a sua volta, fatto lo spavaldo contro un poveraccio dicalzolaio alla vigilia di Natale! 

Così fantasticando, Fiodor d'un tratto si rammentò del suo lavoro e aprì gli occhi. 

«Ma guarda che storia!», pensò, esaminando gli stivali. «I tomai li ho pronti già da unpezzo, e tuttora me ne sto seduto. Bisogna portarli al cliente!».

 

Egli avvolse il lavoro in un fazzoletto rosso, si vestì e uscì sulla via. Cadeva una minutaneve dura, che pungeva il viso come con aghi.

 

Era freddo, scivoloso, scuro, i fanali a gas ardevano foschi e, chi sa perché, sulla viaodorava di petrolio talmente, che Fiodor sentì un prurito in gola e prese a tossire. Sulselciato scarrozzavano avanti e indietro i ricconi, e ciascun riccone teneva in mano un

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prosciutto e un quarto di vodka. Dalle carrozze e dalle slitte sbirciavano Fiodor ricchesignorine, mostrandogli la lingua, e gridavano ridendo:

 

- Pezzente! Pezzente! 

Dietro a Fiodor camminavano studenti, ufficiali, mercanti e generali, e lo stuzzicavano: 

- Ubriacone! Ubriacone! Empio ciabattino, anima di gambale! Pezzente! 

Tutto ciò era ingiurioso, ma Fiodor taceva e sputava soltanto. Quando però gli venneincontro il mastro stivalaio Kuzmà Lebiodkin, di Varsavia, e disse: «Io ho sposato unaricca, da me lavoran dei garzoni e tu sei un pezzente, non hai nulla da mangiare»,Fiodor non resse e lo inseguì. Lo rincorse finché non si ritrovò nel vicolo dellaCampana. Il suo committente abitava nel quarto caseggiato dall'angolo, in unappartamento all'ultimo piano. Per andar da lui bisognava attraversare un lungo cortilebuio e poi inerpicarsi per un'altissima scala sdrucciolevole, che vacillava sotto i piedi.Quando Fiodor entrò da lui, egli, come allora, come due settimane addietro, stava asedere sul pavimento e pestava qualcosa nel mortaio.

 

- Signoria illustrissima, ho portato gli stivaletti! - disse arcigno Fiodor. 

Il cliente si levò e in silenzio prese a misurar gli stivali. Fiodor, desiderando aiutarlo, sipiegò su un ginocchio e gli cavò uno stivale vecchio, ma subito balzò su e, sgomento,indietreggiò verso la porta.

 

Il cliente aveva non un piede, ma uno zoccolo equino. 

«Eh, eh!», pensò Fiodor. «Ecco lì che storia.». 

Per prima cosa sarebbe occorso segnarsi, poi lasciar tutto e scappar giù; ma subitoegli considerò che lo spirito maligno s'era incontrato con lui per la prima e,probabilmente, l'ultima volta nella vita, e non valersi dei suoi servigi sarebbe statosciocco. Egli si vinse e risolse di tentar la fortuna. Messe le mani dietro il dorso, per

non farsi il segno della croce, tossicchiò rispettosamente e cominciò: 

- Dicono che non c'è nulla di più impuro e di peggiore al mondo dello spirito maligno,ma io così l'intendo, signoria illustrissima, che lo spirito maligno è il più istruito che cisia. Il diavolo, scusate, ha gli zoccoli e la coda di dietro, ma per contro ha in testa piùintelligenza di certi studenti.

 

- Mi sei caro per tali parole, - disse, lusingato, il committente. 

- Grazie, calzolaio! Che vuoi tu dunque? 

E il calzolaio, senza perder tempo, prese a lagnarsi della sua sorte. 

Cominciò col dire che fin dall'infanzia aveva invidiato i ricchi. Si era sempre sentito

offeso che non tutti gli uomini vivessero ugualmente in grandi case e non andassero ingiro su buoni cavalli.

 

Perché, si domanda, è egli povero? In che cosa è peggio di Kuzmà Lebiodkin diVarsavia, che ha casa propria e una moglie che va in cappello? Egli ha lo stesso naso,le stesse braccia gambe, schiena come i ricconi, e allora perché è obbligato a lavorare,quando gli altri se la spassano? Perché è sposato a Maria e non a una signora cheodori di profumi? Nelle case dei clienti ricchi spesso gli accade di veder belle signorinema esse non fanno punto attenzione a lui e solo ogni tanto ridono e si bisbigliano a

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vicenda: «Che naso rosso ha questo calzolaio!». E' vero, Maria è una donna brava,buona, lavoratrice, ma lei, già, è poco istruita, ha la mano pesante e picchia forte, equando capita di parlare in sua presenza di politica, o di qualcosa di sensato, leis'immischia e ne dice di tremendamente grosse.

 

- Ma tu che vuoi? - lo interruppe il cliente - Ma io prego, signoria illustrissima, Ciort

Ivanic' (2) se tale è il piacer vostro, fatemi ricco! 

- E sia. Ma solo, bada, in cambio tu mi devi dar la tua anima! Mentre i galli ancor nonhanno cantato, va' e firma, ecco, su questo foglietto che mi darai la tua anima.

 

- Signoria illustrissima! - disse Fiodor cortesemente. - Quando voi mi ordinaste i tomai,io non presi da voi denaro anticipato.

 

Bisogna prima eseguir l'ordinazione, e poi esigere il denaro. 

- Be', sia pure! - accondiscese il cliente. 

Nel mortaio d'un tratto si accese la vivida fiamma, ne fluì il denso fumo roseo e si sentìil puzzo di penne bruciate e di zolfo. Quando il fumo si fu disperso, Fiodor si strofinò gli

occhi e vide ch'egli non era più Fiodor, né un calzolaio, ma un altr'uomo, in panciotto econ catenina, in calzoni nuovi, e che sedeva in una poltrona a una gran tavola. Duedomestici gli servivano le vivande, inchinandosi profondamente, e dicevano - -Mangiate con buon appetito, illustrissimo!

 

Quale opulenza! I domestici servirono un grosso pezzo di montone arrosto e unazuppierina con cetrioli, poi recarono su una teglia un'oca arrostita; dopo un po', delmaiale bollito con rafano. E come tutto ciò era nobile fine! Fiodor mangiava e primad'ogni piatto vuotava un gran bicchiere d'ottima vodka, come un qualche generale oconte. Dopo il maiale gli servirono il tritello bollito con grasso d'oca, poi una frittata congrasso di maiale e del fegato fritto, e lui mangiava sempre e si estasiava. Ma cheancora? Servirono anche un pasticcio di cipolla e rape in stufato con "kvas" (3). «Ecome mai i signori non scoppiano per un tal mangiare?», pensava egli. A chiusa

presentarono un grosso vaso di miele. Dopo il pranzo comparve il diavolo in occhialiazzurri e domandò, inchinandosi profondamente:

 

- Siete contento del pranzo, Fiodor Panteleic'? 

Ma Fiodor non poteva proferir neanche una parola, tanto si sentiva gonfio dopo ilpranzo. Era una sazietà sgradevole, greve, e, per svagarsi, egli prese ad esaminar lostivale sulla propria gamba sinistra. 

- Per simili stivali io non prendevo meno di sette rubli e mezzo. Che calzolaio li ha fatti?- domandò.

 

- Kuzmà Lebiodkin! - rispose il domestico. 

- Chiamarlo qui, l'imbecille! 

Ben presto comparve Kuzmà Lebiodkin di Varsavia. Egli si fermò in rispettosoatteggiamento presso l'uscio e domandò: 

- Che cosa comandate, signoria illustrissima? 

- Silenzio! - gridò Fiodor e batté il piede. - Guardati bene dal discutere, e rammenta latua condizione di calzolaio, l'uomo che sei!

 

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Tanghero! Tu non sai cucir stivali! Ti pesterò tutto il grugno! Perché sei venuto? 

- Per i quattrini. 

- Che quattrini ti s'ha da dare? Va' via! Vieni sabato! Cameriere, dagliele sullacollottola!

 

Ma subito rammentò come con lui stesso si sbizzarrivano i clienti, e si sentì una penain cuore, e per distrarsi cavò di tasca il grosso portafogli e prese a contare il propriodenaro. Denaro ce n'era molto, ma Fiodor ne avrebbe voluto ancor di più. Il diavolo inocchiali azzurri gli portò un altro portafogli, più grosso, ma egli ne volle più ancora, equanto più a lungo contava, tanto più diventava insoddisfatto.

 

A sera il maligno gli condusse un'alta signora popputa in abito rosso e disse ch'era lasua nuova moglie. Fin proprio a notte egli scambiò baci con lei e mangiò panpepati. Ela notte giacque su un soffice materasso di piume, si girò da un fianco sull'altro e nonpoté in alcun modo prender sonno. Si sentiva oppresso. 

- Quattrini ce n'è molti, - diceva alla moglie, - da un momento all'altro ci vengono incasa i ladri. Dovresti andar con la candela a dare un'occhiata! 

Tutta notte non dormì e si alzò di continuo per sbirciare se il baule era intatto. Verso lamattina bisognava andare in chiesa a mattutino. 

In chiesa v'è uno stesso trattamento per tutti, ricchi e poveri. 

Quando Fiodor era povero, pregava in chiesa così: «Signore, perdona a me,peccatore!». Lo stesso diceva anche ora, diventato ricco. Che differenza c'era? E dopomorte il ricco Fiodor l'avrebbero seppellito non nell'oro, non nei diamanti, ma nellastessa terra nera, come l'ultimo dei poveracci. Sarebbe bruciato Fiodor nello stessofuoco in cui bruciavano i calzolai. Offensivo pareva tutto ciò a Fiodor, e per giunta c'erain tutto il corpo la gravezza del pranzo e, invece della preghiera, s'insinuavano in testa ivari pensieri del baule coi soldi, dei ladri, della venduta, perduta anima sua. 

Uscì di chiesa crucciato. Per fugare i cattivi pensieri, egli, come spesso accadevaprima, intonò a squarciagola una canzone. Ma aveva appena cominciato che accorseun agente e disse, portando la mano alla visiera:

 

- Padrone, non possono i signori cantare in strada! Voi non siete un ciabattino! 

Fiodor si addossò a uno steccato e prese a pensare: come distrarsi? 

- Padrone! - gli gridò un portiere. - Non appoggiarti troppo allo steccato, sporcherai lapelliccia!

 

Fiodor andò in una bottega e si comprò la miglior fisarmonica, poi andò per la viasonando. Tutti i passanti lo segnavano a dito e ridevano.

 

- Ed è anche un signore! - lo stuzzicavano i vetturini. - Come un qualunque ciabattino... 

- Forse che ai signori è lecito far disordini?-gli disse un agente. - Se almeno andaste inun'osteria! 

- Padrone, fate l'elemosina per amor di Cristo! - urlavano i mendicanti, attorniandoFiodor da tutte le parti. - Fate la carità! 

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Prima, quand'egli era un calzolaio, i mendicanti non gli badavano punto, ora invecenon gli davan pace.

 

E a casa gli venne incontro la nuova moglie, la signora, vestita d'una camicetta verde euna gonna rossa. Egli voleva farle dei vezzi e già aveva alzato la mano per darle unabotta sul dorso, ma ella disse stizzosa:

 

- Villano! Screanzato! Non sai trattare con le signore! Se mi ami, fa' il baciamano, ma dipicchiare non permetto. 

«Su via, è una vita maledetta!», pensò Fiodor. «Si è esseri viventi! 

Non puoi cantare una canzone. né sonar la fisarmonica, né scherzare un po' con unadonna... Oibò!».

 

S'era appena accomodato con la signora per bere il tè, che comparve il maligno inocchiali turchini e disse:

 

- Be', Fiodor Panteleic', Io ho mantenuto esattamente la mia parola. 

Ora voi firmate il foglietto e favorite seguirmi. Adesso sapete quel che significa viverriccamente, ne avete abbastanza!

 

E trascinò Fiodor all'inferno, dritto alla geenna, e i diavoli piombavano in volo da tutte leparti e gridavano:

 

- Stupido! Babbeo! Asino! 

All'inferno puzzava terribilmente di petrolio, talché si poteva soffocare. 

E di colpo tutto scomparve. Fiodor aprì gli occhi e vide la sua tavola, gli stivali e il lumedi latta. Il vetro del lume era nero e dalla piccola fiamma sul lucignolo fluiva un fumopuzzolente, come da un tubo. Lì accanto stava il cliente in occhiali azzurri e gridavaadirato: 

- Stupido! Babbeo! Asino! T'insegnerò io, mariuolo! Hai pigliato l'ordinazione duesettimane fa, e gli stivali tuttora non son pronti!

 

Tu pensi ch'io abbia il tempo di bighellonare da te per gli stivali cinque volte al giorno?Mascalzone! Bestia!

 

Fiodor scosse la testa e mise mano agli stivali. Il cliente ancora a lungo sbraitò eminacciò. Quand'egli infine si fu calmato, Fiodor domandò cupamente: 

- Ma di che, signore, vi occupate voi? 

- Io preparo fuochi del Bengala e razzi. Sono pirotecnico. 

Sonarono a mattutino. Fiodor consegnò gli stivali, riscosse il denaro e si recò in chiesa. 

Per la via filavano avanti e indietro carrozze e slitte con coperture di pelle d'orso. Sulmarciapiede, insieme col popolino camminavano mercanti, signore, ufficiali... MaFiodor più non invidiava e non mormorava contro il proprio destino. Adesso gli parevache ricchi e poveri stessero ugualmente male. Gli uni hanno la possibilità d'andare incarrozza, e gli altri di cantar canzoni a squarciagola e sonar la fisarmonica, e ingenerale una sola e stessa cosa aspetta tutti, non altro che una fossa, e nella vita non

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c'è nulla per cui si possa abbandonare al maligno una sia pur piccola parte dellapropria anima.

 

NOTE: 

1) Su certe stufe, lunghe e basse, la gente del popolo usava anche dormire,naturalmente quand'erano spente o prossime a spegnersi.

 

2) Diavolo Ivanic', cioè figlio d'Ivan: il popolino russo, in questa sua espressioneattribuisce al diavolo il patronimico più comune fra i russi (di Giovanni).

 

3) Bevanda fermentata, fatta con farina o pane di segala e malto. 

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RAGAZZI 

- Volodia è arrivato! - gridò qualcuno in cortile. 

- Volòdic'ka è arrivato! - strillò Natalia, correndo in sala da pranzo. - Oh, Dio mio! 

Tutta la famiglia dei Koroliòv, che d'ora in ora aspettava il suo Volodia, si precipitò allefinestre. All'ingresso stava un'ampia slitta bassa, e dalla troica di bianchi cavalliemanava un denso vapore. La slitta era vuota, perché Volodia si trovava già nelvestibolo e con le rosse dita intirizzite stava slegando il cappuccio.

 

Il suo cappotto di studente ginnasiale, il berretto, le soprascarpe e i capelli sulle tempieeran coperti di brina, ed egli tutto dalla testa ai piedi mandava un tal sapido odor digelo che, guardandolo, veniva voglia d'aver freddo e di dire: "brrr!". La madre e la zia sislanciarono ad abbracciarlo e baciarlo, Natalia si buttò ai suoi piedi e cominciò acavargli le calzature di feltro, le sorelle levarono strida, gli usci cigolavano, sbattevano,e il padre di Volodia in sola sottoveste e con le forbici in mano corse in anticamera e

gridò spaventato: 

- Ma noi ti aspettavamo ancora ieri! Sei giunto bene? Felicemente? 

Signore Dio mio, ma lasciategli salutare il padre! O che non sono il padre, forse? 

- Bau! Bau! - ruggiva in tono di basso Milord, un enorme cagnone nero, battendo lacoda contro le pareti e i mobili.

 

Tutto si era fuso in un solo compatto suono gioioso, che si prolungò un paio di minuti.Quando il primo impeto di giubilo fu passato, i Koroliòv osservarono che oltre aVolodia, si trovava in anticamera anche un piccolo essere, imbacuccato in fazzoletti,scialli e cappucci e coperto di brina; stava immobile in un angolo, nell'ombra gettata dauna grossa pelliccia di volpe. -Volòdic'ka, e chi è quello li? - domandò sottovoce la

madre. 

- Ah! - si ricordò Volodia. - E', ho l'onore di presentarlo il mio compagno Cecevitsin,alunno della seconda classe... L'ho condotto con me, ospite per qualche tempo da noi.

 

- Molto piacere, favorite!-disse gioiosamente il padre. - Scusate, io sto alla casalinga,senza giacca... Accomodatevi! Natalia, aiuta il signor Cerepitsin a svestirsi! Signore Diomio, ma cacciate via questo cane! E' un castigo! 

Dopo un po' Volodia e il suo amico Cecevitsin, storditi dalla rumorosa accoglienza etuttora rosei dal freddo, sedevano a tavola e bevevano il tè. Il solicello invernale,penetrando attraverso la neve e i rabeschi delle finestre, tremolava sul samovàr ebagnava i suoi puri raggi nello sciacquadita. Nella stanza era scuro, e i ragazzi

sentivano come nei loro corpi intirizziti, non volendo cedere l'uno all'altro sisolleticavano il caldo e il gelo.

 

- Be, ecco presto Natale! - diceva strasciconi il padre, arrotolando una sigaretta ditabacco bruno rossiccio. - Ed è forse molto ch'era estate e la mamma piangeva,accompagnandoti? E tu sei arrivato... Il tempo, caro, va veloce! Non arrivi a dir «ah!»che viene la vecchiaia.

 

Signor Cibissòv, mangiate, vi prego, non state in soggezione! Da noi s'è alla buona. 

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Le tre sorelle di Volodia, Katia, Sonia e Mascia - la maggiore di loro aveva undici anni -sedevano a tavola e non staccavano gli occhi dal nuovo conoscente. Cecevitsin eradella stessa età e statura di Volodia, non così paffuto e bianco però, ma scarno,abbronzato, coperto di lentiggini. Aveva i capelli ispidi, gli occhi stretti, le labbra grosse,in generale era parecchio brutto e, se non avesse avuto indosso la giubba dellostudente ginnasiale, all'apparenza si sarebbe potuto prendere per il figlio d'una cuoca.Egli era cupo, tacque tutto il tempo e non sorrise neppure una volta. Le ragazzine,guardandolo, capirono di colpo che doveva essere una persona molto intelligente eistruita. Egli pensava continuamente a qualche cosa, ed era così occupato dai suoipensieri che, quando gli domandavano alcunché, sussultava, scoteva il capo e pregavadi ripeter la domanda. 

Le bambine osservarono che anche Volodia, sempre allegro e loquace, questa voltaparlava poco, non sorrideva affatto, e pareva addirittura che non fosse contentod'esser venuto a casa. Mentre stavan seduti a bere il tè, egli si rivolse alle sorelle solouna volta, e per di più con certe parole strane. Indicò col dito il samovàr e disse: 

- In California, invece di tè, bevono gin. 

Egli pure era occupato da chi sa quali pensieri e, a giudicare dagli sguardi che ognitanto scambiava con l'amico suo Cecevitsin, i pensieri dei ragazzi eran gli stessi.

 

Dopo il tè tutti passarono nella camera dei bambini. Il padre e le fanciulline sedettero atavola e si applicarono al lavoro ch'era stato interrotto dall'arrivo dei ragazzi. Essifacevano con carta variopinta dei fiori e una frangia per l'albero di Natale. Era un lavoroattraente e chiassoso. Ciascun nuovo fiorellino fatto le bambine lo accoglievano congrida d'entusiasmo, perfino con grida di sgomento, come se quel fiorellino fosse cadutodal cielo; il babbo pure si beava e ogni tanto gettava le forbici sul pavimento,arrabbiandosi con esse perché erano spuntate. La mamma accorreva nella camera deibambini con un viso molto impensierito e domandava: 

- Chi ha preso le mie forbici? Di nuovo tu, Ivàn Nikolaic', hai preso le mie forbici? 

- Signore Dio mio, perfin le forbici non ti danno! - rispondeva con voce piangente IvànNikolaic' e, arrovesciandosi sulla spalliera della sedia, assumeva l'atteggiamento d'unuomo offeso, ma di lì a un minuto nuovamente andava in estasi. 

Nelle sue venute precedenti anche Volodia si occupava dei preparativi per l'albero diNatale, o correva in cortile a vedere come il cocchiere e il pastore facevan la montagnadi neve, ma ora lui e Cecevitsin non badarono punto alla carta variopinta e nonandarono nemmeno una volta nella scuderia, ma sedettero presso la finestra e preseroa bisbigliarsi qualcosa; poi tutt'e due insieme aprirono un atlante geografico e si miseroa esaminare una carta. 

- Prima a Perm... - diceva piano Cecevitsin. - Di là a Tiumen... 

poi Tomsk... poi... poi... nel Kamciatka... Di qua i samoiedi traversano su battelli lostretto di Behring... Eccoti anche l'America... Li ci son molti animali da pelliccia.

 

- E la California? - domandò Volodia. 

- La California è più giù... Purché si capiti in America, poi la California non è lontana.Procacciarsi di che vivere si può con la caccia e il saccheggio. 

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Cecevitsin tutto il giorno si tenne in disparte dalle ragazzine e le guardò sottecchi.Dopo il tè serale accadde che per un cinque minuti lo lasciarono solo con le bambine.Star zitto era imbarazzante. Egli tossì ruvido, strofinò con la palma destra la manosinistra, guardò cupamente Katia e domandò:

 

- Avete letto Myne-Read? 

- No, non l'ho letto... Ascoltate, voi sapete pattinare? 

Assorto nei suoi pensieri, Cecevitsin non rispose nulla a questa domanda, ma sologonfiò forte le guance e fece un sospiro, come se avesse molto caldo. Alzò ancora unavolta gli occhi su Katia e disse:

 

- Quando un branco di bisonti corre attraverso le "pampas", ne trema la terra e inquesto mentre i "mustang" (1), spaventati, scalciano e nitriscono. 

Cecevitsin sorrise mestamente e soggiunse: 

- Così pure gli indiani assaltano i treni. Ma peggio di tutto sono i moscerini e le termiti. 

- E che cosa sono? 

- Son qualcosa come le formichette, ma solo con le ali. Mordono assai forte. Sapete chisono io?

 

- Il signor Cecevitsin. 

- No. Io sono Montigomo, Artiglio d'Avvoltoio, capo degl'invincibili. 

Mascia, la bambina più piccola, guardò lui, poi la finestra, di là dalla quale già cadevala sera, e disse con esitanza:

 

- E da noi ieri han preparato le lenticchie (2). 

Le parole del tutto incomprensibili di Cecevitsin e il fatto ch'egli bisbigliavacontinuamente con Volodia, e che Volodia non giocava, ma pensava sempre aqualcosa: tutto ciò era enigmatico e strano. E le due ragazzine maggiori, Katia e Sonia,presero a sorvegliare con occhio vigile i ragazzi. La sera, quando i ragazzi andarono aletto, le fanciullette si avvicinarono furtive all'uscio e ascoltarono la loro conversazione.Oh, quel che appresero! I ragazzi si accingevano a correr chi sa dove in America aestrarre oro; avevano già tutto pronto per il viaggio: una pistola, due coltelli, biscotti,una lente d'ingrandimento per far del fuoco, una bussola e quattro rubli contanti. Esseappresero che ai ragazzi sarebbe toccato percorrere a piedi parecchie migliaia diverste (3), e lungo la strada combattere con tigri e selvaggi, poi procurarsi oro e avorio,uccider nemici, farsi pirati, bere gin e alla fin fine sposare bellissime donne e coltivarpiantagioni. Volodia e Cecevitsin parlavano e nella foga s'interrompevano l'un l'altro.Ciò facendo, Cecevitsin chiamava se stesso: «Montigomo, Artiglio d'Avvoltoio», e

Volodia: «Mio fratello viso pallido». 

- Tu, bada, non dir nulla alla mamma, -disse Katia a Sonia, avviandosi con lei adormire. - Volodia ci porterà dall'America oro e avorio, ma se tu lo dirai alla mamma,non lo lasceranno andare.

 

L'antivigilia di Natale Cecevitsin per tutta la giornata esaminò la carta dell'Asia e annotòqualche cosa, e Volodia, languido, gonfio, come punto da un'ape, camminò cupo per le

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stanze e non mangiò nulla. E una volta nella camera dei bambini, si fermò perfinodavanti all'icona, si segnò e disse:

 

- Signore, perdona a me peccatore! Signore, preserva la mia povera, infelice mamma! 

A sera scoppiò a piangere. Andando a dormire, abbracciò a lungo padre, madre e

sorelle. Katia e Sonia capivano di che si trattava, ma la minore, Mascia, non capivanulla, assolutamente nulla, e solo nel guardar Cecevitsin si faceva pensierosa e dicevacon un sospiro: 

- Quand'è giorno di digiuno, dice la bambinaia, bisogna mangiar piselli e lenticchie. 

La vigilia di Natale per tempo Katia e Sonia si alzarono piano piano dal letto eandarono a guardare come i ragazzi sarebbero scappati in America. Si appressaronofurtive all'uscio. 

- Allora tu non verrai? - domandava iroso Cecevitsin. - Parla: non verrai? 

- O Signore! - piangeva piano Volodia. - Come faccio a venire? Mi fa pena la mamma. 

- Fratello mio viso pallido, ti prego, andiamo. Eri tu ad assicurarmi che saresti partito, tustesso mi hai invogliato, e quando s'ha da andare, ecco che ti sei preso paura.

 

- Io... io non mi son preso paura, ma mi... mi fa pena la mamma. 

- Tu parla: verrai o no? 

- Verrò, soltanto... soltanto aspetta. Ho voglia di restare un po' a casa. 

- In tal caso, andrò io! - decise Cecevitsin. - Farò anche senza di te. E volevi pureandar a caccia di tigri, combattere! Quand'è così, ridammi i miei pistoni!

 

Volodia si mise a piangere così amaramente che le sorelle non ressero e anche loropiansero sommesso. Seguì un silenzio.

 

- Allora non verrai? - domandò ancora una volta Cecevitsin. 

- Ve... verrò! 

- Allora vestiti!. 

E Cecevitsin, per persuadere Volodia, lodava l'America, ruggiva come una tigre,raffigurava il piroscafo, imprecava, prometteva di dare a Volodia tutto l'avorio e tutte lepelli di leone e di tigre.

 

E questo ragazzo magrolino, abbronzato, dai capelli ispidi e con le lentiggini, parevaalle bambine straordinario, meraviglioso. Era un eroe, un uomo risoluto, intrepido, eruggiva talmente che, stando dietro l'uscio, si poteva in effetti pensare che fosse una

tigre o un leone. 

Quando le ragazzine rientrarono in camera loro e si vestirono, Katia con gli occhi pienidi lacrime disse:

 

- Ah, ho tanta paura! 

Fino alle due, quando sedettero a pranzare, tutto fu quieto, ma a pranzo d'un trattoapparve che i ragazzi non erano a casa. Mandarono nella stanza della servitù,alla

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IVAN MATVEIC' 

Tra le cinque e le sei di sera. Uno degli scienziati russi abbastanza noti - lochiameremo semplicemente lo scienziato - se ne sta seduto nel suo gabinetto e si

morde nervosamente le unghie. 

- E' semplicemente rivoltante!-dice, guardando senza posa l'orologio. - E' il colmo deldisprezzo per l'altrui tempo e fatica.

 

In Inghilterra un tale individuo non avrebbe guadagnato un soldo, sarebbe morto difame! Orsù, aspetta, verrai...

 

E, sentendo il bisogno di sfogar su qualcosa la sua collera e la sua impazienza, loscienziato si accosta all'uscio che mette in camera della moglie e bussa.

 

- Ascolta, Katia,-dice con voce sdegnata. - Se vedi Piotr Danilic', riferiscigli che la genteperbene non fa così! E' una schifezza! Raccomanda un copista, e non sa chiraccomanda! Il ragazzaccio nel modo più puntuale ritarda ogni giorno di due, di tre ore.Via, forse che quello è un copista? Per me queste due o tre ore sono più preziose cheper un altro due o tre anni! Quando verrà, lo coprirò di contumelie come un cane,denaro non gliene pagherò e lo scaraventerò fuori! Con tal gente non si possono farcerimonie!

 

- Tu ogni giorno dici questo, e intanto lui viene e riviene. 

- Ma oggi ho deciso. Ho già perduto abbastanza per causa sua. Tu scusami, ma glienedirò di quelle, al modo dei cocchieri gliene dirò! 

Ma ecco, infine, si sente il campanello. Lo scienziato fa il viso serio, si raddrizza e,gettando indietro il capo, va in anticamera. 

Lì, presso l'attaccapanni, già sta il suo copista Ivàn Matveic', un giovane sui diciott'anni,dal viso ovale come un uovo, senza baffi, in un cappotto frusto, spelato, e senzasoprascarpe, Egli ansima e strofina con cura i suoi grossi, sgraziati stivali sullo stoino, ilche facendo si sforza di nascondere alla cameriera un buco in uno stivale, da cuiocchieggia una calza bianca. Vedendo lo scienziato, sorride di quel sorriso prolungato,largo, un po' sciocco, che hanno sui visi solo i fanciulli e la gente molto bonaria. 

- Ah, buon giorno! - dice, tendendo una grossa mano bagnata. - Che, vi è passato ilmal di gola? 

- Ivàn Matveic'! - dice lo scienziato con voce vibrante, arretrando e intrecciandoinsieme le dita di tutt'e due le mani. -Ivàn Matveic'!

 

Dopo di che balza verso il copista, lo agguanta per una spalla e comincia a scuoterlo

debolmente. 

- Che fate di me!? - dice, in preda a disperazione. - Tremendo, disgustoso individuo,che cosa fate di me! Voi ridete, vi burlate di me? Sì? 

Ivàn Matveic', a giudicar dal sorriso, che non ha ancor del tutto lasciato il suo volto, siaspettava tutt'altra accoglienza, e perciò, vista la faccia spirante indignazione delloscienziato, stira ancor più in lunghezza la sua fisonomia ovale e stupefatto apre labocca.

 

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- Che... che c'è? - domanda. 

- E domandate anche! - batte le mani lo scienziato. - Sapete com'è prezioso per me iltempo, e ritardate così! Avete tardato di due ore!... Non avete timor di Dio!

 

- Ma ora non vengo mica da casa,-mormora Ivàn Matveic', sciogliendo irresoluto la

sciarpa.- Sono stato dalla zia a un onomastico, e la zia abita a un sei verste da qui...Se venissi direttamente da casa, be', allora sarebbe un'altra cosa.

 

- Su, riflettete, Ivàn Matveic', c'è forse logica nei vostri atti? Qui c'è un lavoro da fare,una cosa urgente, e voi andate in giro per onomastici, e a trovar zie! Ah ma scioglietepresto la vostra orribile sciarpa! Insomma, è una cosa intollerabile!

 

Lo scienziato torna a balzare verso il copista e lo aiuta a distrigare la sciarpa. 

- Che donnetta siete... Su, andate!... Presto, per favore! 

Soffiandosi il naso in un sudicio fazzolettino gualcito e ravviando la sua giacchettagrigiolina, Ivàn Matveic' attraverso la sala e il salotto va nello studio. Là son già prontiper lui da un pezzo e il posto, e la carta, e perfin le sigarette.

 

- Sedete, sedete, - lo sospinge lo scienziato, fregandosi impaziente le mani. - Siete unuomo insopportabile... Sapete ch'è un lavoro urgente, e tardate così. Per forza s'ha dalitigare. Su, scrivete... 

Dov'eravamo rimasti? 

Ivàn Matveic' liscia i suoi capelli ispidi, irregolarmente tagliati, e prende in mano lapenna. Lo scienziato passeggia da un angolo all'altro, si riconcentra e comincia adettare: 

- La sostanza è che... virgola... che talune, per così dire, basilari forme... avete scritto?-forme sono condizionate unicamente dall'essenza stessa di quei principi... virgola...

che trovano in esse la loro espressione e possono incarnarsi soltanto in esse... Acapo... 

Lì, certo, punto... Maggior indipendenza presentano... presentano... 

le forme che hanno un carattere non tanto politico... virgola... 

quanto sociale. 

- Ora gli studenti di ginnasio hanno un'altra uniforme (1) grigia... 

- dice Ivàn Matveic'. - Quand'io studiavo, al mio tempo era meglio: 

portavano le divise... 

- Ah, ma scrivete, per favore! - si stizzisce lo scienziato Sociale... avete scritto?Parlando poi di riforme relative alla struttura... delle funzioni statali, e non allaregolazione del viver popolare... virgola... non si può dire ch'esse si distinguano per lanazionalità delle loro forme... le ultime quattro parole tra virgolette... E-eh... così...Allora che volevate dire circa il ginnasio?

 

- Ma ve lo dissi ieri! Son già tre anni che non studio... Mi ritirai dalla quarta classe... 

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- E perché abbandonaste il ginnasio? - domanda lo scienziato, dando un'occhiata alloscritto di Ivàn Matveic'.

 

- Così, per circostanze di famiglia. 

- Di nuovo s'ha da dirvelo, Ivàn Matveic'! Quando, finalmente, smetterete la vostra

abitudine di strascinare le righe? - in una riga non devono esserci meno di quarantalettere!

 

- Ma che credete, che lo faccia apposta? - si risente Ivàn Matveic'. 

- In compenso, in altre righe le lettere son più di quaranta... 

Contate. E se vi sembra ch'io allunghi, potete ridurmi la paga. 

- Ah, ma non si tratta di ciò! Come siete indelicato. davvero... Per un nonnulla, subitoparlate di denaro. L'essenziale è l'esattezza, Ivàn Matveic', l'esattezza è l'essenziale!Voi dovete avvezzarvi all'esattezza.

 

La cameriera reca nello studio su un vassoio due bicchieri di tè e un cestello con

biscotti... Ivàn Matveic' goffamente, con tutt'e due le mani, prende il suo bicchiere esubito comincia a bere. Il tè è troppo caldo. Per non scottarsi le labbra, Ivàn Matveic'cerca di far sorsi piccoli. Egli mangia un biscotto, poi un altro, un terzo e guardandoconfuso in tralice lo scienziato, allunga timidamente la mano a un quarto... Le suesorsate rumorose, quel masticar di buon appetito e l'espressione di famelica avidità neisopraccigli rialzati irritano lo scienziato. 

- Finite presto... Il tempo è prezioso. 

- Voi dettate. Io posso insieme e bere, e scrivere... Ho fame, lo confesso. 

- Sfido io, andate a piedi! 

- Sì... E che brutto tempo! Dalle nostre parti a questa stagione odora già di primavera...Dappertutto pozzanghere, la neve si scioglie.

 

- Voi, mi pare, siete meridionale? 

- Della regione del Don... E in marzo da noi è primavera fatta. Qui c'è gelo, tutti vannoin pelliccia, e laggiù l'erbetta... dappertutto è asciutto e si posson perfino acchiappar letarantole.

 

- E perché acchiappar le tarantole? 

- Così... dal non saper che fare... - dice Ivàn Matveic' e sospira. 

- Acchiapparle diverte. Attacchi a un filo un pezzetto di pece, cali la pece nel buco ecominci con la pece a percuotere la tarantola sul dorso, e lei la maledetta, si arrabbia,afferra con le zampette la pece, e si appiccica... E che cosa ne facevamo! Neriempivamo tutt'una bacinella e ci mandavamo contro una migale.

 

- Che migale? 

- E' un certo ragno, pure del genere della tarantola. In rissa da sé solo può ucciderecento tarantole. 

- M-già... Scriviamo però... Dov'eravamo rimasti? 

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Lo scienziato detta ancora una ventina di righe, poi siede e s'immerge in unameditazione. Ivàn Matveic', nell'attesa che quello finisca di riflettere, sta seduto e,allungando il collo, cerca di mettere in ordine il colletto della sua camicia. La cravattanon sta a posto, i bottoni dei polsini sono saltati fuori e il colletto si apre continuamente.

 

- M-già...- dice lo scienziato. - Così è... E che, non vi siete ancora trovato un posto,

Ivàn Matveic'? 

- No. E dove lo trovi? Io, sapete, avevo pensato di andare volontario. 

Ma il babbo consiglia d'entrare in una farmacia. 

- M-già... Meglio, se andaste all'università. E' un esame difficile, ma con la pazienza e illavoro assiduo si può superare. Applicatevi, leggete di più... Leggete molto?

 

- Poco, lo confesso...-dice Ivàn Matveic', accendendo una sigaretta. 

- Turgheniev l'avete letto? 

- N-no... 

- E Gogol? 

- Gogol? Uhm!... Gogol... No, non l'ho letto! 

- Ivàn Matveic'! E non vi vergognate? Ahi-ahi! Siete un così bravo ragazzo, c'è tanto dioriginale in voi, e d'un tratto... Perfin Gogol non avete letto! Leggetelo! Io ve lo darò!Leggetelo senza fallo!

 

Altrimenti ci guasteremo! 

Di nuovo si fa silenzio. Lo scienziato è semidisteso sulla sedia a sdraio e pensa, e IvànMatveic', lasciato in pace il colletto, rivolge tutta la sua attenzione agli stivali. Non s'eranemmeno accorto che sotto i piedi, a causa della neve disciolta, gli s'eran formate due

grosse pozze. E' imbarazzato. 

- Qualcosa non va oggi... - borbotta lo scienziato.-Ivàn Matveic', a voi, mi sembra,piace acchiappare anche gli uccelli?

 

- Questo in autunno... Qui non ne acchiappo, ma laggiù, a casa, ne acchiappavosempre.

 

- Così è... bene. Ma scrivere tuttavia bisogna. 

Lo scienziato risolutamente si alza e comincia a dettare, ma di lì a dieci righe torna asedere sulla sedia a sdraio.

 

- Sarà forse il caso che rimandiamo a domattina, - dice. - Venite domattina, solo un po'

presto, verso le nove. Dio vi guardi dal tardare. 

Ivàn Matveic' posa la penna, si alza da tavola e siede su un'altra seggiola. Trascorronoun cinque minuti in silenzio, ed egli comincia a sentire che per lui è ora di andarsene,ch'egli è di troppo, ma nello studio dello scienziato si sta così bene, è così luminoso ecaldo, ed è ancor tanto fresca l'impressione dei biscotti al burro e del dolce tè, che gli sistringe il cuore al solo pensiero della casa. A casa c'è povertà, fame, freddo un padre

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brontolone, rimbrotti, e lì c'è tanta calma e quiete, e s'interessano perfino delle suetarantole e dei suoi uccelli.

 

Lo scienziato guarda l'orologio e mette mano a un libro. 

- Allora voi mi darete Gogol? - domanda Ivàn Matveic', alzandosi. 

- Ve lo darò, ve lo darò. Soltanto, dove mai vi affrettate, colombello? Sedete un po',raccontate qualcosa...

 

Ivàn Matveic' siede e fa un largo sorriso. Quasi ogni sera si trattiene in questogabinetto e ogni volta sente nella voce e nello sguardo dello scienziato un ched'insolitamente molle, attirante, come materno. Vi son fino minuti in cui gli sembra chelo scienziato si sia affezionato a lui, gli si sia abituato, e se lo sgrida per i ritardi, è soloperché sente la mancanza del suo cicaleccio riguardo alle tarantole e a come sul Donsi acchiappano i cardellini.

 

NOTE: 

1) In russo "forma" ha anche questo significato, richiamato alla mente d'Ivan Matveic'dalle "forme" di cui parla lo scienziato.

 

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UN ESSERE INDIFESO 

Per quanto violento fosse stato di notte l'attacco di podagra, per quanto poiscricchiolassero i nervi, Kistunov tuttavia s'avviò la mattina in ufficio e cominciò intempo a ricevere i postulanti e i clienti della banca. Egli aveva un'aria languida,spossata, e parlava a stento, respirando appena, come un morente.

 

- Che desiderate? - si rivolse a una sollecitatrice in un mantello antidiluviano, moltosimile di dietro a un grosso scarabeo stercorario.

 

- Favorite vedere, eccellenza, - cominciò con lesta parlantina la postulante, - miomarito, l'assessore di collegio S'ciukin, è stato malato cinque mesi e mentre, scusate,era a letto in casa e si curava, lo hanno messo a riposo senz'alcuna ragione,eccellenza, e quand'io mi recai a riscuotere il suo stipendio, loro, vedete un po',detrassero dalla sua paga ventiquattro rubli e trentasei copeche! «Per che cosa?»,domando. «Ma lui», dicono «ha percepito dalla cassa sociale e gli altri funzionari hangarantito per lui». Come mai ciò? Forse ch'egli poteva prelevare senza il mio

consenso? E' impossibile, eccellenza. Ma perché codesto? Io sono una donna povera,campo solo sui pigionali... Sono debole, indifesa... Patisco offese da tutti e non sentouna buona parola da nessuno... 

La postulante cominciò a batter gli occhi e ficcò la mano nel mantello in cerca delfazzoletto. Kistunov le prese la domanda e si mise a leggere. 

- Permettete, come mai ciò? - egli alzò le spalle.-Io non capisco nulla. Evidentementevoi, signora, avete sbagliato indirizzo. 

La vostra richiesta, in sostanza, non riguarda affatto noi. Datevi la pena di rivolgervi aldicastero dove faceva servizio vostro marito. 

- I-ih, "bàtiuska" (1), sono già stata in cinque posti e dappertutto neppur la domandahanno preso! - disse la S'ciukin. - Io ho bell'e perso la testa, meno male che il cognatoBoris Matveic', che Dio lo conservi in salute, mi ha suggerito di venir da voi. «Voi»,dice, «mammina, rivolgetevi al signor Kistunov: è un uomo influente per voi può fartutto»... Aiutatemi, eccellenza!

 

- Noi, signora S'ciukin, per voi non possiamo far nulla... Capite: 

vostro marito, da quanto posso giudicare serviva nella sanità militare, e il nostro è unistituto assolutamente privato, commerciale, teniamo una banca. Come non capir ciò!

 

Kistunov ancora una volta alzò le spalle e si girò verso un signore in divisa militare colcatarro.

 

- Eccellenza, - cantilenò con voce querula la S'ciukin, - che mio marito è stato malato,ci ho il certificato medico! Eccolo, favorite guardare!

 

- Benissimo, io vi credo, - disse in tono irritato Kistunov, - ma, ripeto, questo non ciriguarda. E' strano e persin buffo! Possibile che vostro marito non sappia ove doveterivolgervi?

 

- Lui, eccellenza, non sa nulla. Non fa che dire una sola cosa: «Non è affar tuo!Vattene!», e tutto è lì... Affare di chi, allora? L'ho pur io sulle mie braccia! Sulle mi-ie!

 

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Kistunov tornò a girarsi verso la S'ciukin e prese a spiegarle la differenza che passa tral'ufficio di sanità militare e una banca privata. Quella lo ascoltò attenta, fece col capoun cenno d'assenso e disse:

 

- Già, già, già... Capisco, "bàtiuska". In tal caso, eccellenza, ordinate di darmi anchesolo quindici rubli. Son d'accordo di non aver tutto in una volta.

 

- Uff! - sospirò Kistunov, arrovesciando il capo. - A voi non la si fa intendere! Ma noncapite dunque che rivolgere a noi una simile richiesta è strano come presentardomanda di divorzio, per esempio, in farmacia o all'ufficio del saggio? Non vi hannopagato tutto, ma noi che c'entriamo?

 

- Eccellenza, fate ch'io preghi Dio in eterno, abbiate pietà di me, orfanella, - si mise apiangere la S'ciukin. - Sono una donna indifesa, debole... Mi sono sfinita a morte... E incausa con gl'inquilini, e darsi da fare pel marito, e correre per le faccende di casa, e poiancora le mie devozioni e il cognato senz'impiego... E' solo di nome che bevo emangio, ma sto appena in piedi... Non ho dormito tutta la notte.

 

Kistunov sentì palpitazione di cuore. Fatto un viso doloroso e premutasi una mano al

cuore, riprese a spiegare alla S'ciukin, ma la sua voce si spezzò... 

- No, scusate, io non posso parlare con voi, - disse, e agitò una mano.-Mi gira perfinola testa. Voi c'impacciate e perdete inutilmente il tempo. Uff!... Alekséi Nikolaic', - sirivolse a uno degl'impiegati: - spiegate voi, per favore, alla signora S'ciukin! 

Kistunov, eludendo tutti i postulanti, se n'era andato nel suo gabinetto e aveva firmatouna decina di carte, e Alekséi Nikolaic' tuttora si affaccendava con la S'ciukin. Stando asedere nel suo gabinetto, Kistunov udì a lungo due voci: la monotona, contenuta vocedi basso di Alekséi Nikolaic' e la voce piagnucolosa, gemebonda della S'ciukin...

 

- Io sono una donna indifesa, debole, sono una donna malaticcia, - diceva la S'ciukin. -All'aspetto, forse robusta, ma se si va a esaminare, non c'è in me una sola venettasana. A stento mi reggo in piedi e ho perduto l'appetito... Oggi ho bevuto il caffè, e

senz'alcuna soddisfazione. 

E Alekséi Nikolaic' le spiegava la differenza tra le amministrazioni e il complessosistema della trasmissione delle carte. Ben presto fu stanco e lo sostituì il contabile. -Donna supremamente antipatica.-s'indignava Kstunov, torcendo nervoso le dita eaccostandosi di continuo alla caraffa con l'acqua. - E' un'idiota, una tonta! Ha sfinito mee sfiancherà loro, la vigliacca! Uff... mi batte il cuore! 

Di li a mezz'ora sonò. Comparve Alekséi Nikolaic'. 

- Che n'è da voi, di là? - domandò languidamente Kistunov. 

- Ma non gliela facciamo intendere in nessun modo, Piotr Aleksandric'! 

Siamo semplicemente sfiniti. Noi le bussiamo a picche e lei risponde a fiori... 

- Io... io non posso sentir la sua voce... Mi sono ammalato... non ci reggo... 

- Chiamiamo il custode, Piotr Aleksandric', che la faccia uscire. 

- No, no! - si spaventò Kistunov. - Lei leverà alte strida, e in questa casa ci son moltiappartamenti, e il diavolo sa quel che posson pensare di noi... Piuttosto voi,colombello, in qualche modo cercate di spiegarle.

 

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Dopo un minuto si riudì il borbottio di Alekséi Nikolaic'. Passò un quarto d'ora e, dandoil cambio al suo tono di basso, prese a ronzare la robusta voce tenorile del contabile.

 

- Su-per-lativamente vigliacca!- s'indignava Kistunov, con un nervoso tremito di spalle.- Stupida come un'oca, che il diavolo se la porti! Mi si scatena di nuovo la podagra,pare... Daccapo l'emicrania...

 

Nella stanza attigua Alekséi Nikolaic', ridotto allo stremo, picchia infine un dito sullatavola, poi sulla propria fronte. 

- Insomma, voi sulle spalle non avete una testa, - disse, - ma ecco che cosa... 

- Be', non c'è, non c'è da... - si risentì la vecchia. - Dallo a tua moglie il picchio.. Citrullo!Non ti prender troppa libertà.

 

E, guardandola con astio, con esasperazione, come se volesse inghiottirla, AlekséiNikolaic' disse con voce bassa, soffocata:

 

- Via di qui! 

- Che co-osa? - strillò d'un tratto la S'ciukin. - Ma come osate? 

Io sono una donna debole, indifesa, io non permetterò! Mio marito è assessore dicollegio! Ma che citrullo! Se vado dall'avvocato Dmitri Karlic', di te né manco il nomerimarrà! A tre inquilini ho fatto causa, e per le tue parole insolenti ai piedi mi dovraicadere! Andrò fin dal vostro generale (2)! Eccellenza! Eccellenza!

 

- Vattene via di qui, canchero! - sibilò Alekséi Nikolaic'. 

Kistunov aprì la porta e guardò fuori nella sala. - Che c'è? - domandò con voce dipianto. La S'ciukin, rossa come un gambero, stava in mezzo alla stanza e, roteando gliocchi, puntava le dita in aria.

 

Gl'impiegati della banca stavano ai lati e, rossi del pari, visibilmente stremati, siscambiavano occhiate smarrite.

 

- Eccellenza! - si precipitò verso Kistunov la S'ciukin. - Ecco costui, questo stesso...ecco costui... - (ella indicò Alekséi Nikolaic'), - ha dato del dito in fronte, e poi sullatavola... Voi gli avete ordinato di esaminar la mia pratica, e lui si fa beffe! Io sono unadonna debole, indifesa... Mio marito è assessore di collegio e io stessa son figlia d'unmaggiore! 

- Bene, signora, - gemé Kistunov, - esaminerò... provvederò... 

Andate pure... dopo!... 

- E quando riscoterò, eccellenza? I denari mi occorrono oggi! 

Kistunov si passò in fronte una mano tremante, sospirò e riprese a spiegare. 

- Signora, vi ho già detto. Qui è una banca, un istituto privato, commerciale... Chedunque volete da noi? E capite chiaramente che ci disturbate. 

La S'ciukin stette a sentirlo e sospira. 

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- Già, già... - annuì. - Solo, eccellenza, fate la grazia, fatemi pregar Dio in eterno,siatemi padre, difendetemi. Se l'attestato medico non basta, posso presentare ancheun certificato della sezione... Ordinate di versarmi il denaro!

 

A Kistunov s'annebbiò la vista. Egli esalò tutta l'aria, quanta ne aveva nei polmoni e,prostrato, si abbandonò sulla seggiola.

 

- Quanto volete avere? - domandò con voce flebile. 

- Ventiquattro rubli e trentasei copeche. 

Kistunov cavò di tasca il portafogli, ne trasse un biglietto da venticinque e lo porse allaS'ciukin.

 

- Prendete e... e andatevene! 

La S'ciukin avvolse in un fazzolettino il denaro, lo nascose e, raggrinzando il viso in unsorrisetto soave, delicato, perfin civettuolo, domandò:-Eccellenza, e non potrebbe miomarito riprendere il posto?

 

- Io vado via... sono malato... - disse Kistunov con voce languida. 

- Ho una tremenda palpitazione di cuore. 

Partito ch'egli fu, Alekséi Nikolaic' inviò Nikita per le gocce di lauroceraso, e tutti, preseventi gocce a testa, sedettero al lavoro, ma la S'ciukin poi rimase ancora un paio d'orein anticamera a discorrere col custode, aspettando che tornasse Kistunov.

 

Ella venne lì anche il giorno dopo. 

NOTE: 

1) Letteralmente: babbino. Forma di cortesia molto usata nella conversazione russa,parlando a persona maschile di qualsiasi età, e corrispondente a "màtuskca". 

2) La vecchia gerarchia burocratica russa conosceva anche i "generali" civili: il titolomilitare veniva esteso ai più alti capi servizio delle amministrazioni non militari. 

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LE SIGNORE 

Fiodor Petrovic', direttore delle scuole elementari della provincia di N., che si stimauomo giusto e magnanimo, riceveva una volta presso di sé in ufficio il maestroVremionski.

 

- No, signor Vremionski,-diceva,-le dimissioni sono inevitabili. Con la voce che avete,non si può continuare il servizio d'insegnamento. Ma come vi è scesa?

 

- Bevvi, sudato, della birra fredda... - sibilò il maestro - Che peccato! Un uomo haservito per quattordici anni, e d'un tratto una iattura così! Sa il diavolo per quale ineziatocca troncar la propria carriera. E che cosa vi proponete ora di fare?

 

Il maestro non rispose nulla. 

- Avete famiglia? - domandò il direttore. 

- Moglie e due figli, eccellenza... - sibilò il maestro. 

Seguì un silenzio. Il direttore si alzò dalla scrivania e camminò da un angolo all'altro,agitato.

 

- Non raccapezzo quel che ho da fare con voi! - disse. - Maestro non potete essere,alla pensione non siete ancor pervenuto... 

lasciarvi in balia del destino, ai quattro venti, non è punto agevole. 

Per noi siete uno dei nostri, avete servito quattordici anni, è dunque affar nostroaiutarvi... Ma come aiutare? Che posso io fare per voi?

 

Mettetevi nei miei panni: che posso io fare per voi? 

Seguì un silenzio; il direttore camminava e continuava a pensare, e Vremionski,oppresso dal suo affanno, sedeva sull'orlo d'una seggiola e pensava anche lui. D'untratto il direttore si fece raggiante e schioccò perfino le dita.

 

- Mi meraviglio come non mi sia venuto prima in mente! - prese a dire svelto. -Ascoltate, ecco quel che posso proporvi... La settimana entrante il segretario del nostroasilo se ne va a riposo.

 

Se volete, occupate il suo posto! Eccovi! 

Vremionski, che non si aspettava una tal grazia, raggiò egli pure. 

- A meraviglia, - disse il direttore. - Oggi stesso scrivete la domanda... 

Congedato Vremionski, Fiodor Petrovic' risentì sollievo e perfin soddisfazione: davantia lui non stava più la curva figura del sibilante pedagogo, e faceva piacere riconoscereche, offrendo a Vremionski il posto vacante, egli aveva agito rettamente e secondocoscienza, da uomo buono, perfettamente dabbene. Ma questa buona disposizionenon durò a lungo. Quand'egli tornò a casa e sedette a pranzare, sua moglie, NastassiaIvànovna, d'un tratto si rammentò: 

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- Ah, sì, per poco non dimenticavo! Ieri venne da me Nina Serghéievna e siraccomandò per un giovane. Nell'asilo da noi, dicono, si fa un posto vacante...

 

- Sì, ma questo posto è già promesso a un altro, - disse il direttore e si accigliò. - E tusai la mia norma: non dò mai posti per protezione.

 

- So, ma per Nina Serghéievna si può fare, suppongo, un'eccezione. Lei ci ama comeparenti, e noi finora non abbiam fatto per lei nulla di buono. E non pensare, Fedia, di dirdi no! Coi tuoi ghiribizzi e lei offenderesti, e me. 

- E chi raccomanda? 

- Polzuchin. 

- Che Polzuchin? Quello che alla riunione di capodanno faceva il Ciatski (1)? Quelgentiluomo? A nessun patto! 

Il direttore smise di mangiare. 

- A nessun patto! - ripeté. - Dio me ne guardi!. 

- Ma perché? 

- Capisci, mammina, che se il giovanotto non agisce direttamente, ma per mezzo didonne, è, di conseguenza, una nullità! Perché non viene egli stesso da me? 

Dopo pranzo il direttore si sdraiò nel suo studio sul sofà e si mise a leggere i giornali ele lettere ricevute.

 

«Caro Fiodor Petrovic'!», gli scriveva la moglie del sindaco.«Voi diceste un giorno ch'iosono scrutatrice di cuori e conoscitrice d'uomini. Ciò vi spetta ora verificar di fatto.Verrà da voi tra giorni a chiedere il posto di segretario nel nostro asilo un tal K. N.

 

Polzuchin che conosco per un giovane eccellente. Il ragazzo è molto simpatico.

Interessandovi a lui, vi persuaderete», eccetera. 

- A nessun patto! - proferì il direttore. - Dio mi guardi! 

Dopo di ciò non passò giorno che il direttore non ricevesse lettere cheraccomandavano Polzuchin. Una bella mattina comparve anche lo stesso Polzuchin,un giovane pienotto, con volto raso da fantino, in un nuovo completo nero...

 

- Per cose di servizio non ricevo qui, ma in ufficio - disse seccamente il direttore,ascoltata la sua richiesta. 

- Perdonate, eccellenza, ma nostri comuni conoscenti mi han consigliato di rivolgermiproprio qui.

 

- Uhm ! ... - mugolò il direttore, guardandogli con astio le scarpe a punta aguzza. - Perquanto so, - egli disse, - il vostro babbo ha un patrimonio e voi non siete in bisogno,che necessità avete dunque di sollecitare questo posto? E' una paga di soldi!

 

- Io non per la paga, ma così... Ed è sempre un servizio governativo... 

- Già... Tra un mese poi, mi sembra, quest'impiego vi sarà venuto a noia e voi lolascerete, e intanto ci son candidati per i quali questo posto è una carriera per tutta lavita. Vi son poveracci per i quali...

 

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- Non mi verrà a noia, eccellenza! -interruppe Polzuchin.- Parola d'onore, farò del miomeglio!

 

Il direttore si sdegnò. 

- Ascoltate, - domandò, sorridendo sprezzante, - perché non vi rivolgeste di colpo a

me, ma stimaste necessario incomodar preventivamente le signore? 

- Non sapevo che ciò vi sarebbe spiaciuto, - rispose Polzuchin, e si confuse. - Ma,eccellenza, se voi non date importanza alle lettere di raccomandazione, vi possopresentar degli attestati...

 

Egli trasse di saccoccia una carta e la porse al direttore. In calce all'attestato, scritto instile e caratteri cancellereschi, stava la firma del governatore. Da tutto si vedeva che ilgovernatore aveva firmato senza leggere, giusto solo per sbrigarsi di qualcheimportuna signora. - Non c'è che fare, m'inchino... obbedisco... - disse il direttore, lettoch'ebbe l'attestato, e sospirò. - Presentate domani la domanda... Non c'è che fare... 

E quando Polzuchin fu uscito, il direttore si abbandonò tutto a un sentimento didisgusto. 

- Essere dappoco! - sibilava, camminando da un angolo all'altro. - Ha pur ottenutol'intento, striscione buono a nulla, beniamino delle donne! Rettile! Canaglia! 

Il direttore sputò rumorosamente contro l'uscio dietro cui era scomparso Polzuchin, e dicolpo rimase male, perché in quel momento entrava nel suo studio una signora, lamoglie dell'intendente di finanza.

 

- Io per un minutino, un minutino... - cominciò la signora.- Sedete, compare, eascoltatemi attentamente... Dunque, dicono, da voi c'è un posto vacante... Domani,oppur oggi, verrà da voi un giovane, certo Polzuchin... 

La signora cinguettava, e il direttore la guardava con occhi torbidi, intontiti, come uomo

che si prepara a venir meno, guardava e sorrideva per convenienza. 

E il giorno dopo, ricevendo nel suo ufficio Vremionski, il direttore per lungo tempo nonsi risolse a dirgli la verità. Esitava, s'impappinava e non trovava da che cominciare, checosa dire. Aveva voglia di scusarsi col maestro, di raccontargli tutta la pura verità, mala lingua gli s'ingarbugliava, come a un ubriaco, i suoi orecchi ardevano, e gli venned'un tratto vergogna e stizza di dover rappresentare una parte così assurda: nel proprioufficio, davanti ai propri dipendenti. D'improvviso picchiò un colpo sulla tavola, saltò sue gridò iroso:

 

- Io non ho un posto per voi! No e poi no! Lasciatemi in pace! Non tormentatemi!Spiccicatevi, insomma, fate il favore!

 

E uscì dall'ufficio. 

NOTE: 

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1) Protagonista della celebre commedia satirica di Griboiedov (1795-1829): "Il guaio diavere ingegno", tipo di «occidentale» e liberale russo ancora immaturo.

 

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POLINKA 

L'una passata del pomeriggio. Nel gran negozio di mercerie "Novità parigine", che è inuna delle gallerie, ferve la vendita. Si ode il monotono brusio delle voci dei commessi,un brusio quale suol esserci a scuola, allorché il maestro obbliga tutti gli alunni amandar qualche cosa a memoria ad alta voce. E questo rumore uniforme non lospezzano né le risate delle signore, né i colpi della porta vetrata d'ingresso, né il corrersu e giù dei ragazzi.

 

In mezzo al negozio sta Pòlinka, figlia di Maria Andréievna, tenitrice d'un laboratorio dimode, una piccola bionda magrolina, e cerca qualcuno con gli occhi. Accorre a lei unragazzo dai neri sopraccigli e domanda, guardandola con gran serietà:

 

- Che cosa volete, signora? 

- Di me si occupa sempre Nikolài Timofeic', - risponde Pòlinka. 

E il commesso Nikolài Timofeic', un bruno slanciato arricciato, vestito alla moda, conuna grossa spilla sulla cravatta, già ha sgombrato il posto sul banco, ha proteso il colloe con un sorriso guarda Pòlinka. 

- Pelagheia Serghéievna, i miei rispetti! - grida con bella, sana voce baritonale. -Favorite! 

- Ah, buon giorno, - dice Pòlinka, avvicinandoglisi. - Vedete, son di nuovo da voi...Datemi qualche cordoncino. 

- Per che cosa v'occorre propriamente? 

- Per una vita, per un dorso, insomma una piccola guarnizione completa. 

- Sul momento. 

Nikolài Timofeic' mette davanti a Pòlinka parecchi tipi di cordoncino; quella scegliepigramente e comincia a mercanteggiare.

 

- Scusate tanto, a un rublo non è punto caro! - cerca di persuaderla il commesso,sorridendo indulgente. - Questo è cordoncino francese, a otto canti... Volentieri, neabbiamo di quello ordinario, a peso...

 

Quello è a quarantacinque copeche l'"arscìn" (1), non è più la stessa qualità! Scusatetanto! 

- Mi occorre ancora un fianco di conteria con bottoni di cordoncino, - dice Pòlinka,chinandosi sul cordoncino, e, chi sa perché, sospira. 

- E non si troveranno qui da voi dei chicchi di conteria di questa tinta? 

- Ci sono. 

Pòlinka si china ancor più giù verso il banco e domanda sottovoce: 

- Ma perché voi, Nikolài Timofeic', giovedì andaste via da casa nostra così presto? 

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- Uhm!... E' strano che ve ne siate accorta, - dice il commesso con un risolino. -Eravate così perduta dietro al signor studente che...

 

è strano come ve ne siate accorta! 

Pòlinka si fa di fiamma e tace. Il commesso con un tremito nervoso nelle dita chiude le

scatole e, senz'alcuna necessità, le pone una sull'altra. Un minuto trascorre in silenzio. 

- M'occorrono ancora dei merletti di conteria,-dice Pòlinka, alzando due occhi dacolpevole sul commesso.

 

- Come li volete? I merletti di conteria su tulle neri e in tinta sono la finizione più dimoda.

 

- E a quanto li vendete? 

- I neri da ottanta copeche in su, e in tinta a due rubli e cinquanta copeche. E da voi ionon verrò mai più,-soggiunge sottovoce Nikolài Timofeic'.

 

- Perché? 

- Perché? Semplicissimo. Voi stessa dovete capire. A che pro ho da torturarmi? Stranafaccenda! Forse che per me è piacevole vedere come quello studente recita una parteintorno a voi? Io, già, vedo e capisco tutto. Fin dall'autunno vi fa la corte sul serio equasi ogni giorno passeggiate con lui, e quand'è da voi in visita, gli tenete gli occhipiantati addosso, come se fosse un qualche angelo. Ne siete innamorata, per voi nonc'è miglior uomo di lui, e benissimo, non c'è da far discorsi...

 

Pòlinka tace e, imbarazzata, passa un dito sul banco. 

- Io vedo tutto benissimo, - continuò il commesso. - Che ragione ho dunque di venir davoi? Io ho dell'amor proprio. Non a tutti fa piacere esser la quinta ruota del carro. Checosa chiedevate? 

- La mamma mi ha ordinato di prendere molte cose varie, ma ho dimenticato. Ci vuoleancora del piumino. 

- Quale volete? 

- Il migliore, quello più di moda. 

- Il più di moda adesso è quello di piume d'uccello. La tinta di moda, se desiderate, èora l'eliotropio o il color "kanàk", cioè bordò con giallo. Una scelta enorme. Ma a chetenda tutta questa storia, proprio non capisco. Voi, ecco, vi siete innamorata, ma comefinirà ciò? 

Sul viso di Nikolài Timofeic', vicino agli occhi, sono spuntate delle chiazze rosse. Egli

stazzona fra le mani una delicata fettuccia lanuginosa e continua a mormorare: 

- V'immaginate di sposarlo, eh? Be', a questo riguardo levatevelo dall'immaginazione.Agli studenti è vietato prender moglie, e poi forse ch'egli viene da voi per terminar tuttoonestamente? Ma che!

 

Già, loro, proprio questi studenti, noi non ci hanno in conto neppur di persone... Vannodai mercanti e dalle modiste solo per farsi beffe dell'altrui mancanza d'istruzione eubriacarsi. A casa propria e nelle buone case ci si vergogna di bere; sì, ma da gente

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così semplice, non istruita, come noi non han da vergognarsi di nessuno, si può anchecamminare a gambe in su. Sissignora! Così, che piumino dunque prenderete? E se luivi fa la corte e giuoca all'amore, si sa perché... Quando diventerà dottore o avvocato,rammenterà: «Eh, avevo una volta», dirà, «una certa biondina! Dov'è adesso?». Chi sache anche ora, in casa sua fra gli studenti, non si vanti di avere in vista una modistina. 

Pòlinka si mette a sedere su una sedia e guarda pensierosa la montagna di scatolebianche. 

- No, non lo prenderò il piumino! - sospira. - Prenda la mamma stessa quello che vuole,io posso sbagliare. A me date sei "arscini" di frangia per un diplomatico, di quella aquaranta copeche l'"arscìn". Per lo stesso diplomatico mi darete dei bottoni di cocco,coi fori da parte a parte... perché tengano meglio... 

Nikolài Timofeic' le involta frangia e bottoni. Lei lo guarda negli occhi con aria colpevolee visibilmente aspetta ch'egli continui a parlare, ma lui tace arcigno e rimette in ordine ilpiumino.

 

- Che non dimentichi di prendere anche dei bottoni per una cappotta... 

- ella dice dopo un po' di silenzio, asciugandosi col fazzoletto le labbra smorte. 

- Quali v'occorrono? 

- Lavoriamo per una negoziante, datemi dunque qualcosa che esca dall'ordinario... 

- Si, se è per una negoziante, bisogna sceglierli un po' variopinti. 

Ecco i bottoni. Una combinazione di colori turchino, rosso, e oro di moda. I più vistosi.Chi è un po' più fine prende da noi quelli neri opachi con un sol cerchietto brillante.Solo che io non capisco.

 

Possibile che voi stessa non possiate giudicare? Be', a che cosa condurranno quelle...

passeggiate? 

- Io stessa non so... - bisbiglia Pòlinka, e si china sui bottoni. 

- Io stessa non so, Nikolài Timofeic', quel che mi succede. 

Dietro il dorso di Nikolài Timofeic', premendolo verso il banco, si apre un varco ungrave commesso dalle fedine e, raggiando della più raffinata galanteria, grida:

 

- Siate così gentile, "madàm" (2), da favorire in questo reparto! Di camicette "dzerse"(3) Si hanno tre tipi: liscia, con spighetta e con perline! Quale volete?

 

Nello stesso tempo accanto a Pòlinka passa una signora grossa, che dice con vocepastosa, profonda, quasi di basso:

 

- Purché, per favore, siano senza cuciture, tessute, e che i piombini siano affondatidentro.

 

- Fate mostra di osservare la merce, - bisbiglia Nikolài Timofeic', chinandosi versoPòlinka e sorridendo sforzatamente. Voi, che Dio v'assista, avete una cera pallida emalata, vi siete del tutto mutata in viso. Vi lascerà, Pelagheia Serghéievna! E se mai visposerà, non sarà per amore, ma per fame, lusingato dai vostri quattrini. Si farà con ladote un arredo decoroso, e poi si vergognerà di voi. Agli ospiti e ai compagni vi

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nasconderà, perché non siete istruita, e così dirà: la mia orsacchiotta. Forse che voisapete comportarvi in una compagnia di dottori o di avvocati? Voi per loro siete unamodista, una creatura ignorante.

 

- Nikolài Timofeic'! - grida qualcuno dall'altro capo del negozio. 

Ecco, la "mademuasèl" chiede tre arscini di nastro di "nikko" (4) Ce n'avete? 

Nikolài Timofeic' si volge di lato, fa un viso sorridente e grida: 

- Ce n'ho! Ci son nastri di "nikko", "atamàn" (5) con raso e raso con "muar" (6)! 

- A proposito, per non dimenticarmi, Olia m'ha pregata di prendere per lei una fascetta!- dice Pòlinka.

 

- Negli occhi avete... delle lacrime!-si spaventa Nikolài Timofeic'. - Perché questo?Andiamo verso i busti, io vi parerò, se no è una cosa imbarazzante.

 

Con un sorriso sforzato e con esagerata disinvoltura il commesso guida rapido Pòlinkaverso il reparto dei busti e la nasconde al pubblico dietro un'alta piramide di scatole...

 

- Che fascetta volete che vi dia?-domanda forte, e subito bisbiglia: - Asciugatevi gliocchi!

 

- Io... io, di quarantotto centimetri! Soltanto, per favore, lei ha pregato che sia doppiacon fodera... di vera stecca di balena... Io ho bisogno di parlar con voi, NikolàiTimofeic'. Venite oggi!

 

- Ma di che parlare? Non c'è da parlar di nulla. 

- Voi solo... mi amate e, tranne voi, non ho nessuno con cui parlare un poco. 

- Non giunco, non osso, ma vera stecca di balena... Di che mai dovremmo parlare?Parlare non c'è di che... Vero che oggi andrete con lui a passeggio?

 

- Ci an... andrò. 

- Be', allora di che parlare in tal caso? Coi discorsi non si rimedia... Siete innamorata,vero?

 

- Sì... - bisbiglia incerta Pòlinka, e dai suoi occhi sgorgano grosse lacrime. 

- Che discorsi dunque ci posson essere? - mormora Nikolài Timofeic', alzandonervosamente le spalle e impallidendo. - E nessun discorso occorre... Asciugate gliocchi, ed ecco tutto. Io... io non desidero nulla... 

In questo mentre s'avvicina alla piramide di scatole un commesso alto, magro e dicealla sua acquirente:

 

- Non lo vorreste, un ottimo elastico per giarrettiera, che non ferma il sangue,riconosciuto dalla medicina...

 

Nikolài Timofeic' fa da schermo a Pòlinka e, cercando di nascondere l'agitazione di leie la propria, storce il volto a un sorriso e dice forte:

 

- Ci son due qualità di merletti, signorina! Di cotone e di seta! 

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IL CORREDO 

Molte case ho veduto in vita mia, grandi e piccine, in muratura e di legno, vecchie enuove, ma particolarmente mi s'impresse nella memoria una casa. Non è una casa delresto, ma una casetta. E' piccola, a un solo, piccolo piano e con tre finestre, e somigliaoltremodo a una vecchietta piccina, gobba con la cuffia. Intonacata di bianco, con tettodi tegole e un fumaiuolo scortecciato, è tutta immersa nei verde dei gelsi, delle acaciee dei platani piantati dai nonni e dai bisnonni degli odierni padroni. Non la si vede dietroil verde. Questa massa di verzura non le impedisce per altro d'essere una casetta dicittà. Il suo ampio cortile è allineato con altri, pure ampi e verdi cortili, ed entra a farparte di via Moskòvskaia. Nessuno passa mai in vettura per questa via, di radoqualcuno a piedi. 

Le imposte della casetta sono continuamente chiuse: gli inquilini non han bisogno diluce. La luce non è loro necessaria. Le finestre non si aprono mai, perché agli abitatoridella casetta non piace l'aria fresca. La gente che vive costantemente fra i gelsi, leacacie e la bardana è indifferente alla natura. Solo ai villeggianti Iddio ha dato la facoltàd'intendere le bellezze della natura, la restante umanità invece, per quanto riguardaqueste bellezze, ristagna nella più profonda ignoranza. Gli uomini non apprezzano ciòdi cui sono ricchi.

 

«Quel che possediamo, non lo custodiamo (1)»; non basta: quel che possediamo, nonl'amiamo. Attorno alla casetta è il paradiso terrestre, il verde, vivono uccelli giulivi, nellacasetta invece... 

ahimè! D'estate v'è afa e si soffoca, d'inverno v'è un caldo come al bagno, odor dicarbone e una noia, una noia...

 

Per la prima volta visitai questa casetta che ormai è un pezzo, per un'incombenza:portai il saluto del padron della casa, colonnello Cikamassov, a sua moglie e a sua

figlia. Questa mia prima visita la ricordo ottimamente. Né è possibile non ricordarla. 

Immaginatevi una donna piccola, mencia, sulla quarantina, che vi guarda consgomento e stupore mentre voi entrate dall'anticamera in sala. Voi siete un "estraneo",un visitatore, un "giovanotto", e questo è già sufficiente per piombarla nello stupore enello sgomento.

 

Nelle mani non avete né una mazza ferrata, né un'accetta, né una rivoltella, voisorridete amichevolmente, ma vi si accoglie con ansietà.

 

- Chi ho l'onore e il piacere di vedere? - vi domanda con voce tremante una donnamatura, in cui riconoscete la padrona di casa Cikamassov. 

Dite il vostro nome e spiegate perché siete venuto. Sgomento e stupore cedono il

posto a un acuto, gioioso «ah!» e a uno strabuzzar d'occhi. 

Quest'«ah!», come un'eco, si ripercuote dall'anticamera in sala, dalla sala in salotto, dalsalotto in cucina... e così fino alla cantina. 

Ben presto tutta la casetta si riempie di svariati, gioiosi «ah!». Di lì a un cinque minutisiete seduto in salotto, su un grande, soffice, ardente divano e udite come ormaiecheggia di «ah!» tutta la via Moskòvskaia.

 

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Odorava di polvere contro le tarme e di scarpe nuove di capretto, che, avvolte in unapezzuola, stavano accanto a me su una sedia. Alle finestre gerani, straccetti dimussolina. Sugli straccetti delle mosche sazie. Su una parete il ritratto di un qualchevescovo, dipinto a olio e coperto da un vetro con un angolino rotto. Dal vescovo parteuna fila di avi dalle fisonomie d'un giallo limone, zingaresche. Sulla tavola un ditale, unrocchetto di filo e una calza non finita, sul pavimento modelli di taglio e una camicettanera imbastita. Nella stanza attigua due vecchie spaventate, intimidite piglian su dalpavimento modelli e pezzi di "lankort"...

 

- Da noi, scusate, c'è un tremendo disordine! - disse la Cikamassov. 

La Cikamassov conversava con me e sbirciava, confusa, verso l'uscio, dietro al qualetuttora stavan raccattando i modelli. L'uscio, come confuso anch'esso, ora si apriva perun paio di dita, ora si chiudeva.

 

- Su via, che t'occorre? - si voltò la Cikamassov verso l'uscio. 

- "Où est mon cravate, lequel mon père m'avait envoyé de Koursk?" (2) - domandòdietro l'uscio una vocetta femminile. - "Ah, est ce que, Marie, que..." (3) Ah, forse che si

può... "Nous avons donc chez nous un homme très peu connu par nous... (4)Domanda a Lukeria... 

«Ma come parliam bene il francese, noi!», lessi io negli occhi della Cikamassov,arrossita dal piacere. 

Presto si aprì l'uscio, e io vidi un'alta, magra ragazza sui diciannove anni, in un lungovestito di mussolina con cintura dorata, dalla quale pendeva, ricordo, un ventaglio dimadreperla. Ella entrò, fece la riverenza e avvampò in viso. Avvampò dapprima il suolungo naso, alquanto butterato, dal naso il rossore passò agli occhi, dagli occhi alletempie.

 

- Mia figlia! - cantilenò la Cikamassov. - E questo Mànec'ka, è il giovanotto che... 

Io feci conoscenza ed espressi la mia meraviglia a proposito del gran numero dimodelli. Madre e figlia chinarono gli occhi.

 

- Da noi all'Ascensione ci fu la fiera, - disse la madre. - Alla fiera noi comperiamosempre una quantità di stoffe e poi cuciamo tutto l'anno sino alla fiera seguente. Fuoridi casa non diamo mai a far nulla. Il mio Piotr Stepanic' non guadagna moltissimo e noinon possiamo permetterci dei lussi. Tocca farci i vestiti noi stesse.

 

- Ma chi mai in casa vostra porta una tal massa di roba? Siete soltanto in due! 

- Ah... forse che questo si può portare? Non è per portare! Questo è il corredo! 

- Ah, "maman", che dite? - domandò la figlia, e si fece rossa. - Il signore davvero puòpensare... Io mai prenderò marito! Mai!

 

Disse ciò, ma a lei stessa, alla parola "marito", si accesero gli occhietti. 

Portarono il tè, biscotti, conserve di frutta, burro, poi mi rimpinzarono di lamponi con lapanna. Alle sette di sera ci fu una cena di sei portate, e durante questa cena udii unrumoroso sbadiglio; qualcuno aveva sbadigliato forte nella stanza attigua. Io guardaiverso l'uscio con meraviglia: così può sbadigliare soltanto un uomo.

 

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- E' il fratello di Piotr Semionic', Jegòr Semionic'... - spiegò la Cikamassov, avendonotato la mia meraviglia. - Abita in casa nostra dall'anno scorso. Scusatelo, non puòvenire a salutarvi. E' un selvaggio tale... ha soggezione degli estranei... Si prepara adentrare in convento... In servizio ebbe dei dispiaceri... Così, ecco, dal dolore...

 

Dopo cena la Cikamassov mi mostrò una stola che stava ricamando di propria mano

Jegòr Semionic', per poi offrirla alla chiesa. Mànec'ka smise per un momento la suatimidezza e mi fece vedere una borsa da tabacco ch'ella ricamava per il proprio babbo.Quand'io feci vista d'essere stupito per il suo lavoro, arrossì tutta e bisbigliò qualcosaall'orecchio della madre. Questa si fece raggiante e m'invitò ad andare con lei nelladispensa. Nella dispensa vidi un cinque grossi bauli e una quantità di bauletti ecassette. 

- Questo... è il corredo! - mi bisbigliò la madre. - L'abbiamo preparato noi stesse. 

Data un'occhiata a quei malinconici bauli, presi ad accomiatarmi dagli ospitali padroni.E mi fecero dar la parola che un giorno o l'altro sarei ancora stato da loro.

 

Questa parola mi accadde di mantenerla un sette anni dopo la mia prima visita,

quando fui mandato nella Cittadina come perito in una faccenda giudiziaria. Entratonella nota casetta, udii quelle stesse esclamazioni... Mi riconobbero... Sfido! La miaprima visita era stata nella vita loro tutt'un avvenimento, e gli avvenimenti, là dove sonrari, si rammentano a lungo. Quando entrai nel salotto, la madre, ancor più ingrassatae ormai incanutita, stava strisciando sul pavimento e cuciva una qualche stoffa azzurra,la figlia era seduta sul divano e ricamava. Gli stessi modelli, lo stesso odor di polverecontro le tarme, lo stesso ritratto con l'angolino rotto. Ma cambiamenti tuttavia cen'erano. Accanto al ritratto del vescovo era appeso quello di Piotr Semionic' e lesignore erano in lutto. Piotr Semionic' era morto una settimana dopo la sua promozionea generale.

 

Cominciarono i ricordi... La generalessa diede in pianto. 

- Abbiamo un gran dolore!- disse. - Piotr Semionic' - lo sapete? - non è più. Io e leisiamo orfane e dobbiamo noi stesse pensare ai casi nostri. E Jegòr Semionic' è vivo,ma non possiamo dir di lui nulla di buono. In convento non l'hanno preso per via... pervia delle bevande forti. E lui beve adesso ancor di più dal dispiacere. Io mi accingo adandar dal capo della nobiltà (5), voglio lagnarmi.. Immaginatevi, più volte ha aperto ibauli e... portato via roba del corredo di Mànec'ka, e l'ha donata a pellegrini. Da duebauli ha sottratto ogni cosa! Se continuerà così, la mia Mànec'ka rimarrà senza corredoaffatto. 

- Che dite "maman"! - disse Mànec'ka e si confuse. - Il signore davvero può pensareDio sa che cosa... Io mai, mai prenderò marito! 

Mànec'ka con aria ispirata, piena di speranza, guardava il soffitto e, visibilmente, noncredeva a quel che diceva. 

Nell'anticamera guizzò una piccola figuretta maschile dall'ampia calvizie e in soprabitocolor cannella, con le soprascarpe invece degli stivali, e frusciò come un sorcio. 

«Jegòr Semionic', dev'essere», pensai. 

Guardavo la madre e la figlia insieme: entrambe erano terribilmente invecchiate esmagrite. La testa della madre aveva riflessi argentei, e la figlia s'era fatta smortavizza, e pareva che la madre fosse più anziana della figlia d'un cinque anni, non più.

 

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- Mi accingo ad andar dal capo della nobiltà, - mi disse la vecchia, dimenticando chegià aveva parlato di ciò. - Voglio lagnarmi! Jegòr Semionic' ci porta via tutto quel checuciamo, e ne fa dono chi sa dove per la salvezza dell'anima. La mia Mànec'ka èrimasta senza corredo!

 

Mànec'ka si fece di fiamma, ma non disse più nemmeno una parola. 

- Tocca rifar tutto daccapo, e noi non siamo mica Dio sa che riccone! 

Noi due siamo orfane! 

- Siamo orfane! - ripeté Mànec'ka L'anno passato il destino mi riportò nella notacasetta. Entrato in salotto, io scorsi la vecchia Cikamassov vestita tutta di nero, con lemanopole da lutto, era seduta sul divano e cuciva qualcosa. Accanto a lei sedeva unvecchietto in soprabito color cannella e con le soprascarpe in luogo di stivali. Vedutomi,il vecchietto balzò su e corse via dal salotto...

 

In risposta al mio saluto la vecchietta sorrise e disse: 

- "Je suis charmée de vous revoir, monsieur" (6). 

- Che cosa state cucendo? - domandai, dopo aver atteso un poco. 

E' una camicina. La finirò e andrò a darla al reverendo che la nasconda, se no JegòrSemionic' la porterà via. Adesso nascondo tutto dal reverendo, - disse in un bisbiglio.

 

E gettato uno sguardo al ritratto della figlia, che stava davanti a lei sulla tavola, sospiròe disse:

 

- Noi, vedete, siam orfani! 

Ma dov'era la figlia? Dov'era dunque Mànec'ka? Io non facevo domande; non avevovoglia di far domande alla vecchietta vestita a gran lutto, e finché rimasi nella casetta, epoi quando me ne andai, Mànec'ka non m'uscì incontro, io non udii né la sua voce, né isuoi cheti, timidi passi... Tutto era facile a capire e sentivo tanta pena nell'anima!

 

NOTE: 

1) Adagio russo. 

2) Dov'è la cravatta che mio padre m'aveva mandato da Kursk? 

(Questa frase come le due seguenti, è in un francese sgrammaticato e stentato). 

3) Ah, Maria, forse che... 

4) Abbiamo dunque in casa nostra un uomo che noi conosciamo ben poco.  

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5) La nobiltà aveva una sua organizzazione legalmente stabilita, con assemblee e capiprovinciali e distrettuali (questi per lo più indicati, nelle traduzioni occidentali, come«marescialli della nobiltà».

 

6) Sono felice di rivedervi, signore. 

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LE NOZZE 

Un paggio d'onore in cilindro e guanti bianchi, ansimando, si leva in anticamera ilcappotto e, con un'espressione come se volesse comunicare qualcosa di tremendo,entra di corsa in sala.

 

- Lo sposo è già in chiesa!-annuncia, tirando il fiato con difficoltà. 

Segue un silenzio. Tutti si sentono improvvisamente tristi. 

Il padre della sposa, tenente colonnello a riposo dal viso scarno, smunto, sentendo,probabilmente, che la sua figuretta in giubba corta, militare, e in calzoni alla scudieranon è abbastanza solenne, gonfia gravemente le gote e si raddrizza. Egli prende sultavolino l'immagine. Sua moglie, una piccola vecchietta in cuffia di tulle con larghinastri, prende il vassoio col pane e il sale e si mette al suo fianco. Comincia labenedizione.

 

La sposa Liùboc'ka senza rumore, come un'ombra, si inginocchia davanti al padre, e ilsuo velo in quel mentre ondeggia e s'impiglia nei fiori sparsi sull'abito, edall'acconciatura sfuggono alcune forcine. 

Inchinatasi all'immagine e scambiato il bacio col padre, che ancor più forte gonfia legote, Liùboc'ka s'inginocchia davanti alla madre; il suo velo torna a impigliarsi, e duesignorine, agitate, corrono a lei, gliel'assestano, lo ravviano, l'appuntano con spilli...

 

Silenzio, tutti tacciono, nessuno si muove; soltanto i paggi, come focosi bilancini,scalpitano impazienti, quasi attendessero che venga loro permesso di scattar via.

 

- Chi porterà l'immagine? - si ode un bisbiglio affannato.- Spira, dove sei? Spira! 

- Ciubito! - risponde dall'anticamera una voce infantile. 

- Dio sia con voi, Daria Danìlovna! - qualcuno conforta a bassa voce la vecchia, che s'èstretta col viso alla figlia e singhiozza. - Ma forse che si può piangere, che Cristo siacon voi! Bisogna gioire, anima cara, e non piangere. 

La benedizione ha fine. Liùboc'ka, pallida, tutta solenne, severa nell'aspetto, bacia lesue amiche e dopo di ciò tutti rumorosamente, spingendosi l'un l'altro, si slanciano inanticamera. I paggi, con fretta affannosa, gridando senz'alcun bisogno: Pardon,vestono la sposa. 

- Liùboc'ka, lascia che ti guardi almeno ancora una volta! - geme la vecchia. 

- Ah, Daria Danìlovna!- sospira qualcuno con rimprovero.Gioire bisogna, e voi Dio sache cosa avete immaginato...

 

- Spira! Ma dove sei dunque? Spira! E' un castigo con questo ragazzaccio! Camminaavanti!

 

- Ciubito! 

Uno dei paggi prende lo strascico della sposa, e il corteo comincia a scender giù. Alleringhiere della scala e agli stipiti di tutte le porte sono appese le altrui cameriere ebambinaie; esse divorano con gli occhi la sposa si sente il loro brusio di approvazione.

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- Chi sa? Forse, Jefìm Petrovic', Dio ve ne manderà ancora, alta signoria... 

Jefìm Petrovic' guarda con meraviglia Ossipov e ride nella mano. 

- Ancora?- domanda. - Come hai detto? Dio mi manderà ancora bambini? A me? 

Egli soffoca dalle risa e lacrime gli spuntano negli occhi; i musicanti per urbanità ridonoanche loro. Jefìm Petrovic' cerca con gli occhi la vecchia per riferirle quel che ha dettoOssipov, ma lei stessa già piomba difilato su di lui, impetuosamente, irritata, con gliocchi rossi di pianto.

 

- Non hai timor di Dio, Jefìm Petrovic'! - ella dice, giungendo le mani. - Noi cerchiamo,cerchiamo il rum, non stiamo più in piedi, e tu stai qui! Dov'è il rum? Nikolài Mironic'non può fare senza rum, ma tu non ci pensi più che tanto! Va', vedi di sapere da Ighnàtdove ha messo il rum! 

Jefìm Petrovic' va nel sotterraneo dove è situata la cucina. Per la scala sudicia van sue giù donne e domestici. Un giovane soldato, con la giubba gettata su una spalla, haappoggiato il ginocchio a un gradino e gira la manovella della gelatiera; il sudore glicola dalla faccia rossa. Nella scura e angusta cucina, fra nuvole di fumo, lavorano icuochi, presi a nolo al circolo. Uno sventra un cappone, un altro con delle carote fastelline, un terzo, rosso come porpora, ficca nella stufa una leccarda. I coltellipicchiano, le stoviglie tintinnano, il burro sfriggola; Capitato in quell'inferno, JefìmPetrovic' dimentica di che gli ha parlato la vecchia. 

- E voi qui, fratelli, non siete allo stretto? - domanda. 

- Non fa nulla, Jefìm Petrovic'. Siamo allo stretto ma nessuno ci fa torto (2), statetranquillo...

 

- Fate del vostro meglio, ragazzi. 

In un angolo buio sorge la figura di Ighnàt, il credenziere del circolo. 

- State tranquillo, Jefìm Petrovic'! - dice. - Presenteremo tutto nel migliore aspetto. Conche cosa ordinate di fare il gelato: col rum, col "go-sotern" (3) o senza niente?

 

Tornato nelle stanze, Jefìm Petrovic' gironzola a lungo, poi si ferma sulla soglia dellastanza «di passaggio« e torna ad avviare il discorso con Ossipov.

 

- Così è, fratello... - dice. - Rimarremo soli. Finché la nuova casa non sarà asciutta, igiovani vivranno con noi, e poi addio!

 

Abbiamo appena avuto il tempo di vederli... 

Tutt'e due sospirano... I musicanti per urbanità sospirano pure, per il che l'aria si faanche più densa. 

- Sì, fratello, - continua fiaccamente Jefìm Petrovic', - c'era una sola figlia, e diamoanche quella. E' un uomo istruito, parla francese... Soltanto, ecco, sbevucchia, ma chioggigiorno non beve?

 

Tutti bevono. 

- Non fa nulla, che beva, - dice Ossipov. - La principale qualità, Jefìm Petrovic', è chesappia il fatto suo. E se, poniamo, berrà, perché poi non bere? Bere si può. 

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- Certo, si può. 

Si odono singulti. 

- Forse che lui può sentir gratitudine? - si lagna Daria Danilovna con una vecchia. -Vedete, noi a lui madre mia, abbiamo snocciolato diecimila rubli, copeca su copeca, la

casa l'abbiam messa in testa a Liùboc'ka, un trecento "dessiatine" (4) di terra... èpresto detto? Ma forse che lui può sentir gratitudine? Non son così fatti, oggigiorno, daesser riconoscenti. 

La tavola con le frutta è già pronta. Le coppe stanno, fitte, su due vassoi, le bottiglie disciampagna sono avvolte in tovagliuoli, nella sala da pranzo sibilano i samovàr. Undomestico senza baffi, con le fedine, annota su un foglietto i nomi delle persone alla cuisalute annuncerà i brindisi durante la cena, e li legge, come li studiasse a memoria.Dalle stanze caccian fuori un cane altrui, un'attesa ansiosa... Ma ecco, echeggianovoci affannate: 

- Vengono! Vengono! "Bàtiuska" Jefìm Petrovic', vengono! 

La vecchia, stupefatta, con un'espressione di estremo smarrimento, afferra il vassoiocol pane e sale, Jefìm Petrovic' gonfia le gote, e tutt'e due insieme si affrettano inanticamera. I musicanti, con ritegno, accordano frettolosi gli strumenti, dalla via giungelo strepito delle vetture. Di nuovo è entrato dal cortile il cane, lo scacciano, essoguaisce... Ancora un minuto d'attesa, e nella stanza «di passaggio», scattandobruscamente, rabbiosamente, echeggia un'assordante, selvaggia, furiosa marcia.L'aria risuona di esclamazioni, di baci, schioccano i tappi, i domestici hanno faccesevere...

 

Liùboc'ka e il suo consorte, un grave signore in occhiali d'oro, sono sbalorditi. Lamusica assordante, la luce viva, l'attenzione generale, la moltitudine di faccesconosciute li opprimono... Essi si guardano intorno ottusamente, senza veder nulla,senza capir nulla.

 

Si bevono sciampagna e tè, tutto si svolge con decoro e posatezza. I numerosi parenti,certi insoliti nonni e nonne che prima nessuno mai aveva visto, persone del clero,militari a riposo dalle nuche piatte, il padrino e la madrina di nozze dello sposo, icompari stanno in piedi attorno alla tavola e, sorseggiando cautamente il tè, discorronodella Bulgaria; le signorine, come mosche, si stringono alle pareti; perfino i paggihanno perduto il loro aspetto inquieto e stanno pacifici presso l'uscio. 

Ma passano un'ora o due, e tutta la casa già trema per la musica e le danze. I paggihanno di nuovo un'aria come se avessero strappato la catena. Nella sala da pranzo,dove è stata imbandita in forma di p la tavola degli antipasti, si affollano i vecchi e lagioventù che non balla; Jefìm Petrovic', che ha già vuotato un cinque bicchierini, strizzal'occhio, fa schiocchi con le dita e soffoca dal ridere. Gli è venuto in mente che sarebbebello dar moglie ai paggi, e la cosa gli piace, gli sembra spiritosa, divertente, e lui è

felice, tanto felice che non può esprimerlo a parole, e sghignazza soltanto... Suamoglie, che non ha mangiato nulla dal mattino ed è ebbra per lo sciampagna bevuto,sorride beatamente e dice a tutti - Non si può, non si può, signori, andar nella stanzada letto! Non è delicato andar nella stanza da letto! Non guardate lì dentro!

 

Ciò significa: favorite guardar la stanza da letto! Tutta la sua vanità materna e tutte lesue capacità si sono profuse in quella camera! E c'è di che vantarsi! In mezzo allacamera stanno due letti con alte materasse; federe di pizzo, coperte di seta, trapunte,

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con complicati, incomprensibili monogrammi. Sul letto di Liùboc'ka sta una cuffia dainastri rosei, e sul letto di suo marito una veste da camera di color topo con nappinecelesti. Ciascuno degli ospiti, dato uno sguardo ai letti, stima dover suo strizzar l'occhiosignificativamente e dire: «M-già-a!», e la vecchia è raggiante e bisbiglia:

 

- La camera un trecento rubli è costata, "bàtiuska". E' uno scherzo? 

Su via, andatevene, per gli uomini non sta bene venir qui. 

Dopo le due servono la cena. Il domestico dalle fedine annuncia i brindisi e la musicasuona una fanfara. Jefìm Petrovic' si ubriaca definitivamente e non riconosce piùnessuno; gli pare di non essere a casa sua, ma in visita, e di essere stato offeso;nell'anticamera indossa cappotto e berretto e, cercando le sue soprascarpe, grida convoce rauca: 

- Non desidero restar qui oltre! Siete tutti mascalzoni! Farabutti! Io vi smaschererò! 

E accanto a lui sta la moglie e gli dice: 

- Calmati, anima empia che sei! Calmati, testardo, erode, castigo mio! 

NOTE: 

1) Titolo che competeva al colonnello e al tenente colonnello. 

2) Modo di dire russo. 

3) "Haut-Sauternes": uno dei famosi vini bianchi di Sauternes, paese della Gironda, inFrancia.

 

4) La "dessiatina" corrisponde a ettari 1,092. 

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IGNORANZA 

Un giovanotto di campagna, biondiccio e grosso di zigomi, in un pellicciotto strappato egrandi scarpe nere di feltro, attese che il dottore provinciale, terminate le visite, se netornasse dall'ospedale al suo alloggio e gli si avvicinò timidamente.

 

- Vengo da vostra grazia, - disse. 

- Che vuoi? 

Il giovanotto si passò la palma sul naso di sotto in su, guardò il cielo e infine rispose: 

- Da vostra grazia... Qui da te, signoria, c'è nella camerata dei detenuti mio fratelloVaska, il fabbro di Varvàrino...

 

- Sì, e che? 

- Io, dunque, sono il fratello di Vaska... Nostro padre ha noi due: 

lui, Vaska, e me, Kirila. Oltre a noi, ci son tre sorelle, e Vaska ha moglie e unbambinello... Molta gente, e nessuno che lavori... Nella fucina, son già quasi due anniche non s'è acceso il fuoco. Quanto a me, sono alla fabbrica di percalle, fucinare nonso, e il padre che lavoratore gli è? Non soltanto lavorare, diciamo, ma anche mangiar adovere non può, il cucchiaio non sa metterlo in bocca. 

- Che t'occorre dunque da me? 

- Fa' la grazia, manda fuori Vaska! 

Il dottore guardò meravigliato Kirila e, senza dir nemmeno una parola, andò oltre. Ilgiovanotto gli corse avanti e gli si buttò ai piedi. 

-Dottore, signor mio bello!-supplicò, battendo gli occhi e tornando a passarsi la palmasul naso. - Usaci la divina grazia, manda tu Vaska a casa! Fa' che si preghi in eternoDio per te!

 

Signoria, mandalo! Crepan tutti di fame! La madre frigna tutt'il santo giorno. La donnadi Vaska frigna... è proprio una morte! Non vorrei più veder la luce! Fa' la grazia,mandalo fuori, signor mio bello!

 

- Ma sei sciocco, o sei impazzito? - domandò il dottore, guardandolo con ira. - Comeposso io mandarlo fuori? Ma s'è un detenuto!

 

Kirila si mise a piangere. 

- Mandalo! 

- Poh, che strambo! Che diritto ne ho io? Sono il carceriere, o che? 

Me l'han portato all'ospedale in cura, io lo curo, ma di mandarlo via ho lo stesso dirittocome di cacciar te in prigione. Testa di rapa!

 

- Ma lui l'han messo dentro per niente! Infino al processo, quasi un anno è stato incarcere, ma adesso si domanda, per che cosa ci sta?

 

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Manco male se avesse ammazzato, diciamo, o rubato dei cavalli, ma c'è capitato così,per un bel nulla.

 

- Giusto, ma io che c'entro? 

- Han messo dentro un uomo e loro stessi non san per che cosa. Aveva bevuto,

signoria, non aveva coscienza di nulla e perfino il padre aveva ferito all'orecchio, es'era picchiato una guancia contro un ramo, essendo ubriaco, e due dei nostri ragazzi -gli era venuto voglia, vedi, di tabacco turco - presero a dirgli che entrasse con loro dinotte nella bottega dell'armeno, a pigliar tabacco. Lui, essendo ubriaco, diede retta, lostupido. Ruppero, sai, la serratura, entraron dentro, e avanti a fare il diavolo a quattro.Misero tutto a soqquadro, ruppero i vetri, sparpagliarono la farina. Ubriachi, in unaparola! Be', subito il brigadiere... questo e quello poi dal giudice istruttore. Un annointero stettero in prigione, e una settimana fa, mercoledì, fecero il processo a tutti e tre,in città. Un soldato andava dietro col fucile... venne gente a giurare. Vaska è menocolpevole di tutti, e quei signori giudicarono ch'era stato il caporione. I due ragazzi lihan mandati in carcere, e Vaska in una compagnia di detenuti (1) per tre anni. Ma perche cosa? Giudica in coscienza!

 

- Ancora una volta io non c'entro. Va' dall'autorità. 

- Son già stato dall'autorità! Sono andato in tribunale, volevo presentare un'istanza,loro anche l'istanza non la presero. Sono stato anche dal commissario, anche dalgiudice istruttore sono stato, e ognuno dice: non è affar mio! Ma di chi è affare? E quiall'ospedale non c'è nessuno superiore a te. Quel che tu vuoi, signoria, lo fai.

 

- Sei uno stupido tu! - sospirò il dottore. - Una volta che i giurati l'han trovato colpevole,non ci può più far nulla né il governatore, né il ministro perfino, altro che il commissario!Brighi inutilmente!

 

- E chi l'ha giudicato? 

- I signori assessori giurati... 

- Ma che signori eran quelli? I nostri stessi contadini. Andréi Guriev c'era, Alioska Chukc'era.

 

- Be', io prendo freddo a discorrer con te. 

Il dottore scosse la mano e andò rapido verso la propria porta. Kirila voleva già andarglidietro, ma, avendo visto la porta chiudersi con forza, si fermò. Una decina di minuti eglirimase immobile in mezzo al cortile dell'ospedale, guardando, senza mettersi ilberretto, l'alloggio del dottore, poi fece un profondo sospiro, si grattò lentamente e siavviò verso il portone.

 

«Da chi andare dunque?», mormorava, uscendo sulla strada. «Uno dice: 

non è affar mio, l'altro dice: non è affar mio. Di chi dunque è affare? No, certamente,finché non ungi le ruote, non fai nulla. Il dottore parla così, e intanto non faceva cheguardarmi il pugno: non gli avrei dato un biglietto turchino (2)? Be', fratello, io fino algovernatore arriverò».

 

Appoggiandosi ora su un piede, ora sull'altro, voltandosi di continuo a guardaresenz'alcuna necessità, egli si trascinava pigramente per la strada e, visibilmente, eraincerto su dove andare... Non faceva freddo e la neve cricchiava debolmente sotto i

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suoi piedi. Davanti a lui, non più in là d'una mezza versta, si stendeva su una collina lacittaduzza distrettuale in cui di recente avevano giudicato suo fratello. A destranereggiava il carcere col tetto rosso e con le garitte alle cantonate, a sinistra c'era ilgran bosco municipale, ora coperto di brina. V'era silenzio, solo un certo vecchio ingiubbetto da donna e con un enorme berretto a visiera camminava più avanti, tossendoe ogni tanto gridando a una vacca che conduceva in città.

 

- Nonno, salute! - proferì Kirila, giunto a pari col vecchio. 

- Salute... 

- La porti a vendere? 

- No, così... - rispose pigramente il vecchio. 

- Sei un cittadino, o che? 

Si misero a discorrere. Kirila raccontò perché era stato all'ospedale e di che cosaaveva parlato col dottore.

 

- Certo, il dottore queste faccende non le conosce, - gli diceva il vecchio, quandoentrambi erano entrati in città. - Lui, pur essendo un signore, è stato istruito nel curarecon ogni sorta di mezzi, ma quanto a darti un vero consiglio o, diciamo, a scrivere unverbale questo lui non lo può. Per questo c'è un'autorità speciale. Dal conciliatore e dalcommissario sei stato. Questi pure nella tua faccenda non son competenti.

 

- Dove andare dunque? 

- Per le vostre faccende di campagnuoli c'è un capo, e a quello è addetto il membropermanente. Va' dunque da lui. Signor Sineokov. 

- Quello che sta a Zòlotovo? 

- Ma sì, a Zòlotovo. Lui è il vostro capo. Se si tratta di qualcosa che riguarda le vostrefaccende, di fronte a lui perfino l'"ispravnik" (3) non ha pieni poteri.

 

- C'è da andar lontano, fratello. Un quindici verste, penso, o anche più. 

- Chi ha bisogno, anche cento verste farà. 

- E' così... Presentargli un'istanza, o che? 

- Là lo saprai. Se occorre un'istanza, lo scrivano te la farà alla svelta. Il membropermanente ha uno scrivano. 

Separatosi dal "nonno", Kirila sostò in mezzo alla piazza, pensò un poco e tornòindietro dalla città. Aveva stabilito di andare a Zòlotovo.

 

Di lì a un cinque giorni, rientrando, dopo le visite dei malati, nel suo alloggio, il dottorevide nuovamente nel proprio cortile Kirila. 

Questa volta il giovanotto non era solo, ma con un certo vecchio scarno, pallidissimo,che senza posa ciondolava il capo, come fosse stato un pendolo, e biascicava con lelabbra.

 

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- Signoria, ricorro di nuovo alla tua grazia! - cominciò Kirila. - Ecco, son venuto colpadre, fa' la carità, manda fuori Vaska! Il membro permanente non è stato a discorrere.Dice: «Vattene via!».

 

- Alta signoria! - prese a sibilare in gola il vecchio, alzando i sopraccigli tremanti, - siatemisericordioso! Noi siam gente povera, non possiamo ricompensare il vostro onore, ma

se fa piacere a vostra grazia, Kiriuska o Vaska possono pagar col lavoro. E lavorino! 

- Pagheremo col lavoro! - disse Kirila e alzò la mano come volesse pronunciare ungiuramento.- mandalo fuori! Di fame crepano! A tutt'andare frignano, signoria!

 

Il giovanotto diede un rapido sguardo al padre, lo tirò per la manica e tutt'e due, comea un comando, si buttarono ai piedi del dottore.

 

Questi scosse la mano e, senza guardarsi indietro, andò in fretta verso la propria porta. 

NOTE: 

1) Una delle pene sancite dalla legge del tempo era l'invio alle compagnie di detenuti,organizzate militarmente e impiegate in lavori. 

2) Cioè da cento rubli: i biglietti di banca russi si distinguevano e s'indicavano, nell'usocomune, secondo il colore (rossi, azzurri, grigi, iridati eccetera), in relazione col lorovalore.

 

3) Capo di polizia distrettuale. 

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- E quanto mi frustarono per questa "iat'"! - continua Jaskin. - Me ne ricordo, mi chiamauna volta l'insegnante alla lavagna e detta: «Il medico parti per la città». Io subito ascrivere «il medico» con la "e". Mi fustiga. Di lì a una settimana, di nuovo alla lavagna,di nuovo scrivi: «Il medico partì per la città». Lo scrivo questa volta con la "iat'".Daccapo a frustarmi. «Ma per che cosa, Ivàn Fomic'? 

Scusate tanto, voi stesso m'avete detto che qui ci vuole la "iat'"!». 

«Allora», dice, «ero fuori di strada, e avendo letto ieri l'opera di un certo accademicosulla "iat'" nella parola "medico", son d'accordo con l'accademia delle scienze. E tifrusto per debito di giuramento»... Be', mi frusta. E anche il mio Vassiutka ha semprel'orecchio gonfio per questa "iat'"... Se io fossi ministro, vieterei ai vostri simili diturlupinar la gente con la "iat'". 

- Addio,-sospira Pimfov, battendo gli occhi e indossando la giacca. - Non posso sentireio, se delle scienze... 

- Via, via, via... già s'è offeso! - dice Jaskin, afferrando Pimfov per la manica. - Io,vedete, l'ho detto così, solo per discorrere... 

Via, mettiamoci a sedere, beviamo! 

L'oltraggiato Pimfov siede, beve e volta la faccia da una parte. Segue un silenzio.Accanto ai due che bevono passa la cuoca Feona con una bacinella di rigovernatura.Si sente lo sguazzare dell'acqua sporca e il guaito del cane annaffiato. Il viso senzavita di Pimfov si fa anche più agro; è sul punto di fondere dal caldo e di colar giù sulpanciotto. Sulla fronte di Jaskin si raccolgono delle rughettine. Egli guarda con ariariconcentrata il manzo tiglioso e pensa... S'avvicina alla tavola un invalido, sbirciaarcigno la caraffa e, veduto ch'è vuota, porta una nuova razione... Bevono ancora.

 

- Sissignore! - dice a un tratto Jaskin. 

Pimfov sussulta e guarda spaventato Jaskin. Si aspetta da lui nuove eresie. 

- Sissignore! - ripete Jaskin, guardando pensoso la caraffa. - A parer mio, anche discienze ce n'è molte superflue!

 

- Cioè, come sarebbe a dire? - domanda piano Pimfov. - Quali scienze giudicatesuperflue?

 

- D'ogni sorta... Quante più scienze l'uomo conosce, tanto più presume di sé. Maggioreè l'orgoglio... Io le impiccherei tutte queste... 

scienze... Via, via... già s'è offeso! Ma che permaloso, perdinci, non si può dire unaparola! Sediamo, beviamo! 

S'avvicina Feona e, puntando irritata i suoi gomiti paffuti dai lati, mette davanti agli

amici una minestra di cavoli verdi in un vaso di terracotta. Comincia un rumorosomangiar col cucchiaio e masticare.

 

Come di sotterra, spuntano tre cani e un gatto. Essi stanno davanti alla tavola egettano occhiate tenere alle bocche masticanti. Alla minestra di cavoli segue una"kascia" (4) al latte che Feona posa con tanta rabbia che dalla tavola si spargonocucchiai e turaccioli. Prima della "kascia" gli amici bevono in silenzio.

 

- Tutto a questo mondo è superfluo! - osserva a un tratto Jaskin. 

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Pimfov lascia cader sui ginocchi il cucchiaio, guarda spaventato Jaskin, vuolprotestare, ma la lingua gli s'è indebolita per l'ebrietà e s'è imbrogliata nella "kascia"densa... In luogo del consueto «cioè, come sarebbe a dire?», non si ha che unmugolio.

 

- Tutto è superfluo... - continua Jaskin. - E le scienze, e gli uomini... e gli istituti

carcerari, e le mosche... e la "kascia"... 

Anche voi siete superfluo... Benché siate un brav'uomo, e crediate in Dio, pure anchevoi siete superfluo...

 

- Addio, Ilià Martinic'! - balbetta Pimfov, sforzandosi d'indossar la giacca e in nessunmodo riuscendo a infilar le maniche.

 

- Adesso, ecco, noi ci siamo rimpinzati, inghebbiati, e a che scopo questo? Così...Tutto ciò è superfluo... Mangiamo, e noi stessi non sappiamo per che cosa... Via via...già s'è offeso! Io, vedete, solo così... per discorrere! E dove avete da andare? Sediamoun po', chiacchieriamo... beviamo!

 

Segue un silenzio, interrotto solo ogni tanto dal tintinnio dei bicchierini e da un ebbroraschiare in gola... Il sole comincia ormai a volgere al tramonto, e l'ombra del tigliocresce sempre più. Viene Feona e, sbuffando agitando bruscamente le braccia, stendeaccanto alla tavola un tappetino. I due amici in silenzio bevono un'ultima volta, siaccomodano sul tappeto e, voltandosi il dorso a vicenda, cominciano ad assopirsi... 

«Sia lode a Dio», pensa Pimfov, «che oggi non s'è spinto fino alla creazione del mondoe della gerarchia se no c'era da sentirsi rizzare i capelli e si sarebbero scandalizzatianche i santi... ».

 

NOTE: 

1) In russo è obbligatoria la virgola davanti alla congiunzione "che". 

2) Si tratta di una vocale il cui suono, "ie", è identico a quello di un'altra (la "e"): moltodiscussa fra i grammatici russi venne infine soppressa con la riforma ortograficasovietica dei 1918. 

3) Pane. 

4) Intriso, simile al risotto, che si fa in Russia con varie qualità di granaglie,specialmente con gran saraceno.

 

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LA FIGLIA DI ALBIONE 

Alla casa del possidente Griabov si accosta una magnifica carrozza aperta concerchioni di gomma, grasso cocchiere e sedile di velluto.

 

Dalla carrozza balzò fuori il capo distrettuale della nobiltà Fiodor Andreic' Otsòv. Inanticamera lo ricevette un domestico assonnato.

 

- I signori sono in casa? - domanda il capo della nobiltà. 

- Nossignore. La padrona e i bambini sono andati in visita, e il padrone e "mamsèl" (1)la governante sono a pescare. Fin da stamane.

 

Otsòv sosta un poco, rifletté e andò a piedi verso il fiume a cercar Griabov. Lo trova aun paio di verste da casa, vicino al fiume. Avendo guardato giù dall'erta ripa e vedutoGriabov, Otsòv scoppia a ridere... Griabov, un uomo grande, grasso, dalla testagrossissima, era seduto sulla sabbia, con le gambe ripiegate sotto di sé alla turca, epescava alla lenza. Il cappello gli stava sulla nuca, la cravatta gli era scesa da un lato.Accanto a lui stava in piedi un'alta, sottile inglese dagli occhi convessi di gambero e dalgran naso di uccello, simile piuttosto a un uncino che a un naso. Era vestita con unabito bianco di mussolina, attraverso il quale fortemente trasparivano le spalle magre,gialle. Da una cintura dorata le pendeva un orologio d'oro. Ella pure pescava allalenza. Intorno ai due regnava un silenzio di tomba. Entrambi erano immobili, come ilfiume su cui nuotavano i loro galleggianti.

 

- Una voglia da morire, ma un destino crudele! - si mise a ridere Otsòv. - Buon giorno,Ivàn Kuzmic!

 

- Ah... sei tu?-domanda Griabov, senza staccar gli occhi dall'acqua. - Sei arrivato? 

- Come vedi... E tu ti occupi ancor sempre della tua sciocchezzuola! 

Non te ne sei ancora disavvezzato? 

- Che diavolo... E' tutto il giorno che pesco, dal mattino... Non so perché, oggi si pescamale. Non abbiamo preso nulla né io, né questa fantasima. Stiamo qui, stiamo qui, ealmeno si pigliasse un accidente!

 

C'è addirittura da gridare al soccorso. 

- E tu sputaci su. Andiamo a ber la vodka! 

- Aspetta... Forse qualcosa acchiapperemo. Verso sera il pesce abbocca meglio.. Sonqui, fratello, fin da stamane! Una noia così grossa che nemmeno te lo possoesprimere. M'ha proprio trascinato il diavolo a prender quest'abitudine della pesca! So

ch'è un'insulsaggine, e sto qui! Sto qui come un lazzarone qualunque, come un forzato,e guardo l'acqua, come un qualunque imbecille! Alla falciatura bisogna andare, e iopesco. Ieri a Chapanievo officiava Sua Eminenza, e io non ci andai, rimasi qui conquesta specie di storione... con questa diavolessa... 

- Ma... sei impazzito? -domanda Otsòv, sbirciando impacciato l'inglese. - Sparli davantia una signora... e di lei stessa...

 

- Ma che il diavolo la porti! Tant'è, di russo non capisce un'acca. 

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Parlane bene, parlane male, per lei è tutt'uno! Guarda il suo naso! 

Soltanto il naso ti farà svenire! Stiamo insieme giornate intere, e almeno dicesse unaparola! Sta lì come uno spauracchio e sgrana le sue lanterne sull'acqua.

 

L'inglese sbadiglia, cambia il vermicciolo e getta l'amo. 

- Mi meraviglio, fratello, non poco! - continua Griabov. - Vive questa scema in Russiada dieci anni, e almeno sapesse una parola di russo!... Un nostro qualunquearistocraticuccio va nel loro paese e ben presto impara a bestemmiarne la lingua, loroinvece... il diavolo li conosce! Tu guardale il naso! Il naso guardale!

 

- Su via, smettila.., Non sta bene... Perché dai addosso a una donna? 

- Lei non è donna, ma ragazza... Sogna, scommetto, i fidanzati, questa pupattola deldiavolo. E manda non so che odor di putredine... L'ho presa in odio, fratello! Non possovederla con indifferenza! Quando mi guarda coi suoi occhiacci, mi sento tuttorimescolato, come se avessi dato del gomito contro una ringhiera. Le piace anchepescare.

 

Guardala: pesca, e celebra un rito! Guarda ogni cosa con disprezzo... 

Sta lì, la canaglia, e ha coscienza di esser uomo e, per conseguenza, «re dellanatura». E sai come si chiama? Uilka Ciàrlsovna Tfais! 

Poh!... non si può nemmeno pronunciare! 

L'inglese, avendo udito il suo nome, gira lentamente il naso dalla parte di Griabov e lomisura con uno sguardo sprezzante. Da Griabov leva gli occhi su Otsòv e lo inonda didisprezzo. E tutto ciò in silenzio, con gravità e lentamente. 

- Hai visto? - domanda Griabov, ridendo forte. - To', dice, è per voi! Ah, tu, fantasima!Solo per i bambini tengo questo tritone. Se non ci fossero i bambini, anche a dieci

verste dalla mia proprietà non la lascerei avvicinare... Il suo naso è come quellodell'avvoltoio... 

E la vita? Questa pupattola mi rammenta un lungo chiodo. E così, sai, la prenderei e lapianterei in terra. Aspetta... Da me, pare, abbocca... 

Griabov balza in piedi e solleva la canna. La lenza si tese... Griabov tira ancora unavolta e non poté trar fuori l'amo. 

- S'è impigliato! - disse e fece una smorfia. - A una pietra, probabilmente... Che ildiavolo lo porti... 

Sul viso di Griabov si dipinse la sofferenza. Sospirando, movendosi inquieto eborbottando maledizioni, egli comincia a tirar la lenza. Il tirare non valse a nulla.

Griabov impallidì. 

- Che seccatura! Bisogna scendere in acqua. 

- E tu smetti! 

- Non si può... Verso sera si pesca bene... Guarda un po' che scocciatura, che ilSignore mi perdoni! Toccherà scendere in acqua.

 

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Toccherà! E se tu sapessi quanta poca voglia ho di spogliarmi! Bisogna cacciar vial'inglese... In sua presenza è scomodo spogliarsi. E' pur sempre, vedi, una dama!

 

Griabov si tolse cappello e cravatta. 

- "Miss"... eh-eh-eh... - si rivolse all'inglese. - Miss Tfais! 

"Ze vu pri" (2)... Be', come dirle? Be', come dirti, perché tu capisca? Ascoltate... là!Andate là - Senti?

 

"Miss" Tfais inondò Griabov di disprezzo ed emise un suono nasale. 

- Che cosa? Non capite? Vattene di qui, ti si dice! Devo spogliarmi, pupattola deldiavolo! Vattene là! Là!

 

Griabov tira la miss per una manica, le indica i cespugli e si accoccolò: va' dietro icespugli, le diceva con ciò, e nasconditi là.

 

L'inglese, movendo con energia i sopraccigli, pronuncia rapidamente una lunga frase ininglese. I due possidenti scoppiarono a ridere.

 

- E' la prima volta in vita mia che sento la sua voce... Non c'e che dire, una vocina! Noncapisce! Su via, che ho da fare con lei?

 

- Sputaci su! Andiamo a ber la vodka! 

- Non si può, adesso si deve pescare.., La sera... Be', che vuoi che faccia! Chescocciatura! Toccherà spogliarsi in sua presenza...

 

Griabov si tolse giacca e panciotto e sedette sulla sabbia per cavarsi gli stivali. 

- Ascolta, Ivàn Kuzmic', - disse il capo della nobiltà, ridendo forte nella mano. - Questopoi, amico mio, è scherno, derisione.

 

- Nessuno la prega di non capire! Sarà di lezione per loro, stranieri! 

Griabov si leva gli stivali, i calzoni, si tolse la biancheria e si ritrova vestito comeAdamo. Otsòv si prese il ventre. Egli era arrossito dalle risa e dalla confusione.L'inglese moveva i sopraccigli e batteva gli occhi... Sulla sua faccia gialla correva unaltezzoso, sprezzante sorriso.

 

- Bisogna freddarsi un poco, -disse Griabov, battendosi sulle anche. - Dimmi di grazia,Fiodor Andreic', perché a me ogni estate viene uno sfogo sul petto?

 

- Ma scendi al più presto in acqua o copriti con qualche cosa!  

Animale! 

- E almeno si fosse confusa, la vigliacca! - disse Griabov, entrando in acqua esegnandosi. - Brr... che acqua fredda... Guarda come muove i sopraccigli! Non se neva... Sta al disopra della folla! He- he-he!... Nemmeno in conto di uomini ci tiene!

 

Entrato fino ai ginocchi nell'acqua e drizzatosi in tutta la sua enorme statura, eglistrizza l'occhio e disse:

 

- Questa, fratello, per lei non è l'Inghilterra! 

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"Miss" Tfais cambia freddamente il vermicciolo, sbadigliò e gettò l'amo. Otsòv si volsein là. Griabov sganciò l'uncino, si tuffò e, soffiando, uscì dall'acqua. Di lì a due minutiera già seduto sulla sabbia e tornava a pescare.

 

NOTE: 

1) Per mademoiselle. 

2) "Je vous prie" (vi prego). 

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IN TERRA STRANIERA 

Mezzogiorno di domenica. Il possidente Kamiscev se ne sta seduto in sala da pranzodavanti a una tavola apparecchiata con lusso e lentamente fa colazione. Divide lamensa con lui un vecchio francesino lindo e ben raso, monsieur Champougne. QuestoChampougne fu un tempo precettore in casa di Kamiscev, insegnò ai suoi figli le bellemaniere, la buona pronuncia e le danze, e poi, quando i figli di Kamiscev furon cresciutie diventati tenenti, Champougne rimase come una specie di "bonne" (1) di sessomaschile. I doveri dell'ex precettore non son complicati. Egli deve vestir con decoro,odorar di profumi, ascoltare l'ozioso chiacchierio di Kamiscev, mangiare, bere, dormire,e nulla più, mi pare. Per questo egli riceve la mensa, la camera e uno stipendioindeterminato. 

Kamiscev mangia e, al solito, ciancia. 

- E' cosa da morire! - dice, asciugando le lacrime spuntategli dopo che ha mangiato unpezzo di prosciutto densamente spalmato di mostarda. - Uff! M'ha dato alla testa e in

tutte le giunture. Ma la vostra mostarda francese non produrrà quest'effetto, anche semangerai tutt'il barattolo.

 

- A chi piace quella francese, a chi la russa...-dichiara mansuetamente Champougne. 

- A nessuno piace quella francese, fuorché ai soli francesi. Ma qualunque cosa si dia alfrancese mangerà tutto: e la rana, e il topo, e gli scarafaggi.. brr! A voi, per esempio,questo prosciutto non piace, perché è russo, ma se vi si desse del vetro arrosto e sidicesse ch'è francese, lo mangereste e schiocchereste anche le labbra... Secondo voi,tutto ciò ch'è russo è cattivo.

 

- Io questo non lo dico. 

- Tutto ciò ch'è russo è cattivo, ma ciò ch'è francese... oh, "se tre zoli" (2)! Secondo voi,non c'e miglior paese che la Francia, e, secondo me... su via, che cos'è la Francia,parlando in coscienza? Un pezzetto di terra! Manda là il nostro "ispravnik" (3), e lui incapo a un mese chiederà il trasferimento: non c'è da rigirarsi! Della vostra Francia tuttain un sol giorno si può fare il giro, ma da noi esci fuori dal portone: la fine del territorionon si vede! Vai, vai...

 

- Sì, monsieur, la Russia è un immenso paese. 

- Ecco, è proprio così! Secondo voi, non c'è gente meglio dei francesi. Un popolo colto,intelligente! La civiltà! D'accordo, i francesi son tutti colti, manierosi... è vero... Ilfrancese non si permetterà mai un atto incivile: in tempo porgerà a una signora lasedia, i gamberi non li mangerà con la forchetta, non sputerà sul pavimento, ma... nonc'è quell'anima! Quell'anima in lui non c'è!

 

Soltanto non posso spiegarvelo, ma, come si potrebbe esprimer questo?, nel francesemanca quel certo che, quel tal... - (chi parla muove le dita) - quel certo che... digiuridico. Io ricordo d'aver letto in qualche posto che voi tutti avete un'intelligenzaacquistata sui libri, e noi abbiamo un'intelligenza innata. Se al russo s'insegnassero lescienze come si deve, nessun vostro professore lo eguaglierebbe. 

- Può darsi... - dice, come a malincuore, Champougne. 

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- No, non può darsi, ma è sicuro! Non c'è da fare smorfie, dico la verità! L'intelligenzarussa è un'intelligenza inventiva! Soltanto, certo, non la lasciano libera, ed essa non savantarsi... Inventerà qualche cosa e la romperà, oppure l'abbandonerà ai bimbetti, chegiochino, il vostro francese invece inventerà qualche bazzecola e griderà da farsisentire in tutto il mondo. L'altro giorno il cocchiere Iona fece col legno un omino: tiril'omino per un filo, e lui ti fa un atto indecente. Iona però non si vanta. In generale...

 

non mi piacciono i francesi! Non parlo di voi, ma in generale... Un popolo immorale! Diaspetto esteriore si direbbe che somiglino a uomini, ma vivono come cani... Si prendamagari, per esempio, il matrimonio. Da noi, se ti sei sposato, ti attacchi alla moglie enon ci son discorsi, ma da voi il diavolo sa quel che è. Il marito sta tutt'il giorno sedutoal caffè, e la moglie riempie la casa di francesi e avanti a ballar con loro il cancan. 

- Questo è falso! - non regge Champougne, avvampando. - In Francia il principiofamiliare sta molto in alto! 

- Lo conosciamo quel principio! E per voi è una vergogna difenderlo. 

Bisogna essere spassionati: se ci sono i maiali, ci sono i maiali... 

Un grazie ai tedeschi per avervi battuti... Affè di Dio, un grazie. 

Che Dio li mantenga sani... 

- In tal caso, "monsieur", non capisco, - dice il francese, balzando in piedi e con gliocchi sfavillanti, - se odiate i francesi, perché mi tenete? 

- E dove potrei ficcarvi? 

- Mandatemi via, e andrò in Francia! 

- Che co-o-osa? Ma forse che ora vi lasceranno entrare in Francia? Voi infatti siete untraditore della vostra patria! Da voi ora è un grand'uomo Napoleone, ora Gambetta... il

diavolo stesso non vi raccapezzerebbe! 

- "Monsieur",- dice in francese Champougne, mandando spruzzi e sgualcendo fra lemani il tovagliolo.

 

- L'offesa che dianzi avete recato al mio sentimento non avrebbe potuto escogitarlaneppure un mio nemico! Tutto è finito!!

 

E fatto con la mano un gesto tragico, il francese getta con affettazione il tovagliolo sullatavola e con dignità se ne esce.

 

Di lì a un tre ore cambia l'imbandigione e la servitù serve il pranzo. 

Kamiscev si mette a tavola solo. Dopo il bicchierino che precede il pranzo si manifesta

in lui la sete del vaniloquio. Ha voglia di cicalare, ma un ascoltatore non c'è... 

- Che fa Alfòns Liudòvikovic'? - domanda al domestico. 

- Sta facendo la valigia. 

- Che stuppidone, mi perdoni il Signore!... - dice Kamiscev e va dal francese. 

Champougne è seduto in camera sua sul pavimento in mezzo alla stanza, e con manitremanti mette nella valigia biancheria, boccette vuote di profumi, libri di preghiera,

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Champougne incipria il suo viso rosso di pianto e va con Kamiscev in sala da pranzo.La prima portata la si consuma in silenzio, dopo la seconda comincia la medesimastoria, e in tal modo le sofferenze di Champougne non han fine.

 

NOTE: 

1) Governante. 

2) "C'est très joli" (è molto carino). 

3) Capo di polizia distrettuale. 

4) Espressione del linguaggio amministrativo, che si usava per indicare l'invio alconfino in luoghi della Russia Europea, di qua dagli Urali, in contrapposto alladeportazione nelle lontane regioni siberiane. 

5) I cosiddetti "pèissi o pèissiki": i due lunghi riccioli che molti ebrei russi portano tral'orecchio e la guancia, uno per parte. 

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LA CUOCA SI SPOSA 

Griscia, un piccolo tombolino di sette anni, stava vicino all'uscio della cucina, origliandoe gettando occhiate dal buco della serratura.

 

In cucina avveniva qualcosa, a parer suo, d'inconsueto, di mai veduto fin allora.Davanti alla tavola di cucina, su cui di solito si affetta la carne e si trita la cipolla, eraseduto un grosso, robusto campagnuolo in caffettano da vetturino, rosso di capelli,barbuto, con una grossa goccia di sudore sul naso. Egli teneva sulle cinque dita dellamano destra un piattino e beveva il tè, e nel far ciò mordeva così rumorosamente lozucchero (1) che a Griscia correva per la schiena un brivido. Di fronte a lui, su unsudicio sgabello, stava a sedere la vecchia bambinaia Aksinia Stepànovna e bevevapure il tè. La faccia della bambinaia era seria e, nello stesso tempo, raggiante d'unacerta qual solennità. La cuoca Pelagheia s'affaccendava attorno alla stufa evisibilmente cercava di nascondere il più lontano possibile la sua faccia. Ma sulla suafaccia Griscia vedeva un'intera luminaria: essa ardeva e passava per tutti i colori,cominciando dal rosso porpora e terminando con un color pallido di morte. Senza posaella afferrava con le mani tremanti coltelli, forchette, pezzi di legna, stracci, si moveva,borbottava, picchiava, ma, in sostanza, non faceva nulla. Alla tavola, dove si stavabevendo il tè, non gettò nemmeno uno sguardo, e alle domande rivoltele dallabambinaia rispondeva a scatti, rudemente, senza voltar la faccia. 

- Bevete, Danilo Semionic'!- diceva la bambinaia, offrendo al vetturino. - Ma perchésempre tè e tè? Dovreste prendere un po' di vodka!  

E la bambinaia avvicinò all'ospite un quartuccio e un bicchierino, e intanto il suo visoassunse un'espressione maliziosissima.

 

- Non ne faccio uso... no, - si schermiva il vetturino. -Non forzatemi, AksiniaStepànovna.

 

- Come siete... Vetturino, e non bevete... Per l'uomo scapolo è impossibile non bere.Prendete!

 

Il vetturino sbirciò la vodka, poi il viso malizioso della bambinaia, e il suo viso stessoassumeva un'espressione non meno maliziosa: no, pareva dire, non mi pigli, vecchiastrega!

 

- Non bevo, dispensatemi... Nel nostro mestiere non sta bene questa debolezza. Unartigiano può bere, perché rimane sempre allo stesso posto, ma noi altri siamo semprein vista, in pubblico. Non è così?

 

Vai alla bettola, e intanto il cavallo se ne va; se t'ubriachi, è anche peggio: da unmomento all'altro t'addormenti, o caschi giù da cassetta. La faccenda è così.

 

- E voi quanto guadagnate al giorno, Danilo Semionic'? 

- Secondo i giorni. Un giorno fai vetture per una carta verde (2), e un'altra volta vai inrimessa addirittura senza un "grosc" (3). 

Capitan giornate diverse. Oggidì il nostro mestiere non val proprio nulla. Di vetturini, voistessa lo sapete, ce n'è un buscherio, il fieno è caro, e il passeggero è di poco conto,

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tira sempre ad andare in tram (4). Tuttavia, ringraziando Dio, non c'è da lagnarsi.Siamo sfamati e vestiti, e... possiamo perfino far felice qualcun altro...

 

- (il vetturino sbirciò Pelagheia) - se ciò gli va a genio. 

Quel che fu detto poi, Griscia non intese. S'avvicinò all'uscio la mamma e lo mandò

nella stanza dei bambini a studiare. 

- Va' a studiare. Non è affar tuo ascoltar qui! 

Giunto nella stanza dei bambini, Griscia si mise davanti la "Parola natia", ma nonpoteva leggere. Tutto ciò che dianzi aveva visto e udito aveva destato nella sua testauna massa di problemi.

 

«La cuoca si sposa... », pensava. «Strano. Non capisco perché mai si sposi. Lamamma ha sposato il babbo, la cugina Vèroc'ka Pavel Andreic'. Ma il babbo e PavelAndreic', sia pure, li si può sposare:

 

hanno catenelle d'oro, bei vestiti, hanno sempre gli stivali lucidati; ma sposare questoterribile vetturino dal naso rosso, in scarpe di feltro... poh! E perché la bambinaia vuole

che la povera Pelagheia si sposi?». 

Quando dalla cucina se ne fu andato l'ospite, Pelagheia comparve nelle stanze eattese a rassettare. L'agitazione non l'aveva ancor lasciata. 

Il suo viso era rosso e come spaventato. Ella toccava appena i pavimenti con la scopadi betulla e scopava cinque volte ogni angolo.

 

Per lungo tempo non uscì dalla stanza in cui era seduta la mamma. 

Evidentemente le pesava la solitudine e voleva confidarsi, dividere con qualcuno le sueimpressioni, dare sfogo all'anima.

 

- Se n'è andato! - borbottò, vedendo che la mamma non cominciava il discorso. 

- Ma lui, si vede, è un brav'uomo, - disse la mamma, senza staccar gli occhi dal ricamo.- Così sobrio, posato.

 

- In fede mia, signora, non lo sposerò!-gridò a un tratto Pelagheia, facendosi di fuoco. -In fede mia, non lo sposerò!

 

- Tu non dir sciocchezze, non sei una bambina. E' un passo serio, bisogna riflettercibene, ma così, a vanvera, non c'è da gridare. Ti piace? 

- Che cosa andate a immaginare, signora! - si vergognò Pelagheia. - Diranno tali coseche... in fede mia... 

«Avresti dovuto dire: non mi piace!», pensò Griscia. 

- Come sei schizzinosa però... Ti piace? 

- Ma lui, signora, è vecchio! Hi-i! 

- Inventa anche! - s'incollerì contro Pelagheia dall'altra stanza la bambinaia. -Quarant'anni non li ha ancora compiuti. E che te ne fai d'un giovane? La faccia,sciocca, non ti dà da bere (5). Sposalo, ecco tutto!

 

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- Com'è vero Dio, non lo sposerò! - strillò Pelagheia. 

- Fai la matta! Che lupo mannaro ti ci vuole ancora? Un'altra si sarebbe inchinata fino aterra, e tu: non lo sposerò! Vorresti sempre scambiare occhiatine coi portalettere e i"lepetitori" (6)! Da Grìscenka viene il "lepetitore", signora, così lei s'è fatta venir i callisugli occhioni guardandolo. Uh, la svergognata!

 

- Tu questo Danilo l'avevi già visto prima? - domandò la signora a Pelagheia. 

- Dove avrei dovuto vederlo? Per la prima volta lo vedo oggi, Aksinia ha condotto daqualche posto... quel diavolo maledetto... E di dove m'è piovuto in testa?

 

A pranzo, quando Pelagheia serviva i cibi, tutti i commensali le gettavano occhiate inviso e la stuzzicavano col vetturino. Ella arrossiva enormemente e ridacchiava in modoforzato. 

«Dev'essere una cosa vergognosa sposarsi... », pensava Griscia. 

«Orribilmente vergognosa!». 

Tutti i cibi eran salati in eccesso, dai pollastrini non arrostiti a punto gocciolava ilsangue e, per colmar la misura, durante il pranzo dalle mani di Pelagheia sfuggivanopiatti e coltelli, come da un palchetto inclinatosi, ma nessuno le disse nemmeno unaparola di rimprovero poiché tutti capivano il suo stato d'animo. Solo una volta il babboscagliò con ira il tovagliolo e disse alla mamma:

 

- Che voglia è la tua di dar moglie e marito a tutti! Che n'importa a te? Si sposin daloro, se vogliono.

 

Dopo il pranzo presero a comparire in cucina le cuoche e le cameriere dei vicini, e finproprio a sera si udì un bisbiglio. Di dove avessero avuto sentore del combinatomatrimonio, Iddio lo sa. Svegliatosi a mezzanotte Griscia sentì come nella stanza deibambini, dietro la tenda, bisbigliavano la bambinaia e la cuoca. La bambinaia esortava,

e la cuoca ora dava in singulti, ora ridacchiava. Dopo di che, addormentatosi, Grisciasognò il rapimento di Pelagheia da parte di Cernomòr (7) e d'una strega...

 

Dal giorno seguente sopravvenne una bonaccia. La vita della cucina seguì il suo ritmo,come se il vetturino nemmeno fosse stato al mondo.

 

Solo ogni tanto la bambinaia si metteva indosso lo scialle nuovo, assumeva unaespressione solennemente austera e andava chi sa dove per un paio d'ore,evidentemente per trattative... Pelagheia col vetturino non s'incontrava e quando glielorammentavano, dava in singulti e gridava:

 

- Sia tre volte maledetto, che io pensi a lui? Poh! 

Una sera entrò in cucina la mamma, mentre lì Pelagheia e la bambinaia stavano

tagliando con zelo una qualche stoffa, e disse: 

- Sposarlo certamente puoi, è affar tuo, ma sappi, Pelagheia, che lui non può abitarqui... Tu lo sai, a me non piace che qualcuno stia in cucina. Bada dunque, ricorda... Ete non ti lascerò andar via per la notte.

 

- Dio sa quel che immaginate, signora! - strillò la cuoca. - Ma perché mi fate deirimproveri per lui? Diventi anche furioso! Guarda un po', mi s'è appiccicato, che glipossano...

 

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Fatto capolino in cucina la mattina d'una domenica, Griscia tramortì dalla meraviglia.La cucina era piena zeppa di gente. C'erano le cuoche di tutto il cortile, il portiere, dueguardie di città, un sottufficiale coi galloni, il ragazzo Filka... Questo Filka di solito sistruscia alla lavanderia e giuoca coi cani, adesso invece era pettinato, lavato e reggeval'icona guarnita di rame battuto. In mezzo alla cucina stava Pelagheia in un abito nuovodi percalle e con un fiore in testa. Al suo fianco era il vetturino. Entrambi i novelli sposierano rossi, sudati e battevano intensamente gli occhi.

 

- Be'... pare, è tempo... - cominciò il sottufficiale dopo un lungo silenzio. 

Pelagheia batté gli occhi movendo tutto il viso e si mise a piangere... Il sottufficialeprese sulla tavola un grosso pane, si pose al fianco della bambinaia e cominciò abenedire. Il vetturino s'avvicinò al sottufficiale, gli fece un grande inchino e gli schioccòun bacio sulla mano. La stessa cosa egli fece anche davanti ad Aksinia. Pelagheia loseguiva macchinalmente e faceva pure inchini. 

Infine si aprì la porta esterna, nella cucina soffiò una nebbia bianca, e tutto il pubblicosi mosse con rumore dalla cucina verso il cortile. 

«Poveretta, poveretta!», pensava Griscia, tendendo l'orecchio ai singhiozzi dellacuoca. «Dove l'han condotta? Perché papà e mamma non intervengono?». 

Dopo lo sposalizio, fin proprio a sera, nella lavanderia si cantò e si sonò la fisarmonica.La mamma in tutto quel tempo fu arrabbiata perché la bambinaia mandava odor divodka e, a causa di quelle nozze, non c'era nessuno per preparare il samovàr. QuandoGriscia andò a dormire, Pelagheia non era ancora tornata. 

«Poveretta, adesso piange in qualche posto al buio!», egli pensava. «E il vetturino lefa: Ssst! Ssst!».

 

La mattina del giorno dopo la cuoca era già in cucina. Entrò per un momento ilvetturino. Ringraziò la mamma e, data un'occhiata severa a Pelagheia, disse: 

- E voi, signora, tenetela d'occhio. Fatele da padre e madre. E voi pure, AksiniaStepanna, non lasciatela, guardate che tutto sia come si deve... senza scappate...Favoritemi anche, signora, un cinque rublini in conto del suo salario. Bisogna comprareun nuovo collare da cavallo.

 

Un altro problema per Griscia: Pelagheia viveva in libertà, come voleva, senza renderconto ad alcuno, e d'un tratto, di punto in bianco, era comparso non so quale estraneo,che da chi sa dove aveva ricevuto un diritto sulla sua condotta e sulla sua roba! Grisciaprovò amarezza. Gli venne una voglia appassionata, fino alle lacrime, d'essereaffettuoso con quella, com'egli pensava, vittima dell'umana violenza. Scelta nelladispensa la mela più grossa, entrò furtivo in cucina, la ficcò in mano a Pelagheia e aprecipizio tornò indietro. 

NOTE: 

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1) Le persone del popolo non usavano sciogliere lo zucchero nel tè, ma sorbivanoquesto tenendo in bocca un pezzo di zucchero.

 

2) Cioè da cento rubli: i biglietti di banca russi si distinguevano e s'indicavano, nell'usocomune, secondo il colore (rossi, azzurri, grigi, iridati, eccetera), il relazione col lorovalore.

 

3) Mezza copeca. 

4) Propriamente, a cavalli. 

5) Proverbio russo. 

6) Corruzione popolare di «ripetitori». 

7) Un mago delle fiabe russe. 

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NON C'E' FUOCO SENZA FUMO (1) 

Con una troica privata, per strade vicinali, osservando il più rigoroso incognito, PiotrPàvlovic' Possudin s'affrettava verso la cittaduzza distrettuale di N., dove lo chiamavauna lettera anonima da lui ricevuta.

 

«Sorprenderli... Come tegola sul capo... », pensava egli, nascondendo il suo viso nelbavero. «Han fatto un mucchio d'infamie, gli sporcaccioni, e trionfano, scommetto, siimmaginano d'aver fatto sparire ogni traccia... Ah-ah!... Immagino il loro sgomento e laloro meraviglia quando, sul più bello del trionfo, si udrà: "Si faccia venir qui Tiapkin-Liapkin!". Sì che succederà uno scompiglio! Ah- ah!... » Dopo aver fantasticato asazietà, Possudin entrò in discorso col suo guidatore. Da uomo bramoso di popolarità,innanzi tutto gli domandò di sé: 

- E Possudin lo conosci? 

- Come non conoscerlo! - fece un sorrisetto il guidatore. -Lo conosciamo! 

- Ma perché ridi? 

- Che bizzarria! Conosco fin l'ultimo scrivano, e non dovrei conoscere Possudin!Appunto è stato messo qui perché tutti lo conoscano, così...

 

Ebbene? Com'è, secondo te? Bravo? 

- Non c'è male... - sbadigliò il guidatore. - Un bravo signore, sa il fatto suo... Non sonoancora due anni che lo mandarono qua, e già ha fatto un mucchio di cose.

 

- E che ha fatto di tanto speciale? 

- Molto di bene ha fatto, che Dio lo conservi in salute. La ferrovia ci ha procurato, nel

nostro distretto ha mandato via Chochriukòv... 

Non c'eran limiti per questo Chochriukòv... Era un briccone, uno scroccone, tutti quellidi prima gli tenevan mano, ma arrivò Possudin, e Chochriukòv se n'andò al diavolo,come se mai ci fosse stato... 

Ecco, fratello! Possudin, fratello, non lo comprerai, no-o! Dagliene magari cento,magari mille, ma lui non si prenderà un peccato sulla coscienza... No-o!

 

«Sia lode a Dio, almeno da questo lato m'hanno capito», pensò Possudin, esultando.«Ciò è bene». 

- Un signore istruito... - continuò il guidatore, - non superbo... 

I nostri andarono da lui a lagnarsi li trattò come i signori: la mano a tutti: «Voi,sedete»... Così impetuoso; pronto... Una parola sensata non te la dirà ma sempre: uff!uff! Che ti vada al passo, o altrimenti, Dio mio, non c'è verso, ma tira a far tutto dicorsa, tutto di corsa! I nostri non fecero in tempo a dirgli una parola, che lui: «I cavalli!»,e difilato qua... Arrivò e regolò tutto... nemmeno una copeca prese. Quanto meglio delprecedente! Certo, anche il precedente era bravo. Di così bella apparenza, grave,nessuno gridava più sonoramente di lui in tutta la provincia... Quando veniva, lo si

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poteva sentire da dieci verste lontano; ma, se si tratta di rapporti esteriori, o difaccende interne, quello di adesso quanto è più abile!

 

Quello di adesso di cervello in testa ne ha cento volte di più... Un sol guaio... E' in tuttoun brav'uomo, ma c'è una disgrazia: è beone!

 

«Eccoti il contentino!», pensò Possudin. 

- Come sai, - domandò, - che io... ch'è un beone? 

- Certo, signoria, io personalmente non l'ho mai visto ubriaco, non starò a mentire, mala gente lo diceva. Anche la gente ubriaco non l'ha visto, ma sul conto suo corre talevoce... In pubblico, o dove va in visita, al ballo o in società, non beve mai. A casa alza ilgomito... Si leva al mattino, si frega gli occhi e per prima cosa:

 

della vodka! Il cameriere gliene porta un bicchiere, e lui ne chiede già un altro... E cosìtracanna tutto il giorno. E dimmi di grazia:

 

beve, e non un occhio lo vede! Dunque sa dominarsi. Quando si metteva a bere ilnostro Chochriukòv, non soltanto gli uomini, ma perfino i cani urlavano. Possudin

invece... almeno gli si arrossasse il naso! Si chiude nel suo studio e lappa... Perché lagente non se n'accorgesse, s'è fatto adattare nella scrivania un certo cassetto, con unacannuccia. In quel cassetto c'è sempre della vodka... Si china sulla cannuccia, succhiaun poco, ed è ubriaco... In carrozza pure, nella borsa delle carte...

 

«Come lo sanno?», si sbigottì Possudin. «Dio mio, perfin questo è noto! Cheschifezza... ».

 

- E anche per quanto riguarda il sesso femminile, ecco... Un briccone! 

- (il guidatore si mise a ridere e crollò il capo).Uno sconcio, e basta! Ne ha una decinadi quelle... girandole... Due gli abitano in casa... Una, quella Nastassia Ivànovna, è dalui come a dire in luogo di amministratrice, l'altra, come si chiama, diavolo?, Liudmila

Semiònovna, a mo' di scritturale... Più importante di tutte è Nastassia. Ciò che questavuole, lui lo fa sempre... Lo fa girare come la volpe la coda. Grandi poteri le furon dati.E non hanno tanta paura di lui come di lei.. Ah-ah!... E una terza girandola abita in viaKaciàlnaia... Uno scandalo!

 

«Perfin di nome le conosce», pensò Possudin, arrossendo. «E chi poi le conosce? Uncontadino, un vetturale... che non è neanche mai stato in città!... Che infamia... è unaschifezza... una trivialità!».

 

- Ma tu come sai tutto questo? - domandò con voce irritata. 

- La gente lo diceva... Io stesso non ho visto, ma ho sentito dalla gente. Ma che èdifficile saperlo? A un cameriere o a un cocchiere non taglierai la lingua... E poi, penso,la stessa Nastassia se ne va per tutti i chiassuoli e si vanta della sua fortuna di donna.Agli occhi della gente non ci si nasconde... Ecco, ha preso anche il vezzo questoPossudin di andare in ispezione alla chetichella... Quello di prima, quando volevaandare in qualche posto, lo faceva sapere un mese avanti, e quando viaggiava, tantodi quel chiasso, fracasso e scampanio... ce ne preservi il Creatore! Davanti a lui sigaloppava, dietro a lui si galoppava, ai fianchi si galoppava. Giunto sul posto, facevauna buona dormita, mangiava e beveva a sazietà, e avanti a sbraitare per le cose diservizio. Sbraitava un poco, pestava un po' i piedi, faceva un'altra dormita e con lo

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stesso sistema tornava indietro... Quello di adesso invece, come sente dire qualcosa,cerca di partire di soppiatto, in fretta, perché nessuno veda né sappia...

 

E' uno spa-as-so! Esce inosservato di casa, in maniera che gl'impiegati non lo vedano,e via in treno... Arriva alla stazione che gli occorre, e non già dei cavalli di posta, oqualcosa di meglio, ma un contadino cerca di noleggiare. S'avviluppa tutto, come una

donna, e per tutta la strada borbotta rauco, come un vecchio cane, perché nonriconoscano la sua voce. C'è semplicemente da strapparsi le budella dal ridere,quando la gente racconta. Viaggia il babbeo e crede che sia impossibile riconoscerlo.E riconoscerlo, per uno che se n'intende, poh!, è come sputare una volta!... 

- Ma come fanno a riconoscerlo? 

- E' semplice assai. Prima, quando viaggiava alla chetichella il nostro Chochriukòv, noilo riconoscevamo dalle sue mani pesanti. Se il passeggero ti picchia sui denti, vuol direche quello è Chochriukòv. 

Ma Possudin lo si può scoprir subito... Un semplice passeggero si comporta anchesemplicemente, ma Possudin non è fatto per osservare la semplicità. Arriva, mettiamo,

a una stazione di posta, e comincia!.. 

Per lui c'è puzzo, e si soffoca, ed è freddo... A lui servi pure pollastrini, e frutta, econserve d'ogni sorta... Così alle stazioni lo sanno: se qualcuno d'inverno chiedepollastrini e frutta, quello è Possudin. Se qualcuno dice al mastro di posta:«Carissimo», e fa correr la gente per varie bazzecole, si può giurare ch'è Possudin. Enon manda l'odore dell'altra gente, e si corica alla sua maniera... Si stende allastazione su un divano, intorno a sé spruzza profumi e ordina di porre accanto alguanciale tre candele. Sta coricato e legge delle carte... Qui poi non solo il mastro diposta, ma anche un gatto raccapezzerà che uomo è quello.

 

«E' vero, è vero...» -, pensò Possudin. «E come mai prima non lo sapevo?». 

- Ma quello a cui occorre lo riconoscerà anche senza frutta e senza pollastrini. Per

telegrafo tutto è noto... Comunque t'imbacucchi il grugno, comunque ti nasconda, quitutti già sanno che vieni.

 

Aspettano... Possudin non è ancora uscito di casa sua, e qui ormai: 

favorisci, tutto è pronto! Lui arriva per coglierli sul fatto, mandarli sotto processo, osostituire qualcuno, e son loro a farsi beffe di lui. Anche se tu, eccellenza dicono, seiarrivato alla chetichella, guarda pure: da noi tutto è pulito!... Lui si rigira, si rigira, poi sene va come è venuto... E li loda anche, stringe le mani a tutti, chiede scusa per ildisturbo... Ecco com'è! E tu che cosa credevi? Oh-oh, signoria! La gente qui è furba,uno più furbo dell'altro!... Fa piacere veder che razza di diavoli! Sì, ecco, prendiamoanche solo il caso odierno... Me ne vado stamane senza carico, e dalla stazione mivola incontro un giudeo, il credenziere.

 

«Dove va», domando, «vossignoria giudaica?». E lui dice: «Porto vino e antipasti nellacittà di N. Là oggi aspettano Possudin». Furbi, eh?

 

Possudin forse si prepara ancor soltanto a partire, o s'avviluppa la faccia perché non loriconoscano. Forse già è in viaggio e pensa che nessuno sa ch'egli viene, e già per lui,dimmi di grazia, son pronti e vino, e salmone, e formaggio, e antipasti svariati... Eh?Lui viaggia e pensa: «Va male per voi, ragazzi!», e i ragazzi se n'infischiano.

 

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UN DRAMMA 

- Pavel Vassilic', c'è là una certa signora ch'è venuta e chiede di voi, - riferì Lukà. -Aspetta già da un'ora buona...

 

Pavel Vassìlievic' aveva appena fatto colazione. Avendo sentito della signora, fece unasmorfia e disse:

 

- Ma vada al diavolo! Dille che sono occupato. 

- Lei, Pavel Vassilic', è già venuta cinque volte. Dice che ha un gran bisogno divedervi... Per poco non piange. 

- Uhm... Be', va bene, falla passare nello studio. 

Pavel Vassìlievic' indossò senza fretta la giubba, prese in una mano la penna, nell'altraun libro e, facendo mostra d'essere occupatissimo, andò nello studio. Là già l'aspettava

la visitatrice: 

una grossa pingue signora dal viso rosso carnoso e con gli occhiali, all'aspetto assairispettabile e vestita più che decentemente (aveva uno sgonfio con quattro cannoncinie un alto cappello con uccellino rossiccio). Veduto il padron di casa, ella stravolse gliocchi verso la fronte e giunse le mani in atto di preghiera.

 

- Voi, certo, non vi ricordate di me, - cominciò con un'alta voce tenorile da maschio,agitandosi visibilmente. - Io... io ebbi il piacere di conoscervi in casa dei Chrutski... Iosono la Muraskin...

 

- A-a-ah... uhm... Sedete! In che posso esser utile? 

- Vedete, io... io... - continuò la signora, mettendosi a sedere e agitandosi anche più. -

Voi non vi ricordate di me... Io sono la Muraskin... Vedete, io sono una grandeammiratrice del vostro ingegno e leggo sempre con delizia i vostri articoli... Nonpensate che vi lusinghi - Dio me ne guardi - io rendo solo il dovuto... Vi leggo sempre,sempre! Io stessa fino a un certo punto non sono estranea al mestiere d'autore; cioè,certo... non oso chiamarmi scrittrice ma...

 

tuttavia c'è nell'arnia anche la mia goccia di miele. Ho pubblicato in vari momenti treracconti per bambini - voi non li avete letti, certo- ho tradotto molto e... e il mio defuntofratello lavorava all'"Azione". 

- Ah, sì... e-e-e... In che posso esser utile? 

- Vedete... - (La Muraskin abbassò gli occhi e si fece rossa).Io conosco il vostroingegno... le vostre vedute Pavel Vassìlievic', e vorrei sapere la vostra opinione o piùesattamente... pregarvi d'un consiglio. Io, bisogna che vi dica, "pardon pourl'expression" (1), mi sono sgravata d'un dramma e, prima di mandarlo alla censura,vorrei conoscere la vostra opinione. 

La Muraskin nervosamente, con l'espressione d'un uccello acchiappato, si frugò nelvestito e ne tirò fuori un grosso, unto scartafaccio. 

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A Pavel Vassìlievic' non piacevano che i suoi articoli, gli altrui invece, quand'era inprocinto di leggerli o di ascoltarli, gli davan sempre l'impressione d'una bocca dicannone puntata direttamente contro la sua faccia. Veduto il quaderno, si spaventò es'affrettò a dire:

 

- Bene lasciatelo... leggerò. 

- Pavel Vassìlievic'! - disse languidamente la Muraskin, alzandosi e giungendo in attodi preghiera le mani.- Lo so, voi siete occupato... per voi ogni minuto è prezioso, e soche voi in questo momento nell'anima vostra mi mandate al diavolo, ma... siate buono,permettetemi di leggervi subito il mio dramma... Siate gentile!

 

- Lietissimo... - si turbò Pavel Vassìlievic', -ma, signora, io... io sono occupato... Mi... miè necessario andar via subito. 

- Pavel Vassìlievic'!-gemette la signora, e gli occhi le si riempirono di lacrime. - Iochiedo un sacrificio! Sono sfacciata, sono importuna, ma siate generoso! Domani partoper Kasàn, e vorrei conoscer oggi il vostro parere. Donatemi mezz'ora della vostraattenzione... solo mezz'ora! Vi supplico! 

Pavel Vassìlievic' era nell'anima un cencio e non sapeva dir di no. 

Quando prese a sembrargli che la signora stesse per singhiozzare e mettersi inginocchio, egli si confuse e mormorò smarrito:

 

- Bene, sia pure... ascolterò... Per mezz'ora son pronto. 

La Muraskin mandò un grido di gioia, si tolse il cappello e, accomodatasi, cominciò aleggere. Dapprima lesse di come un domestico e una cameriera, rassettando unlussuoso salotto, parlavano lungamente della signorina Anna Serghéievna, che avevacostruito al villaggio una scuola e un ospedale. La cameriera, quando il domestico fuuscito, pronunciò un monologo sul fatto che l'istruzione è luce e l'ignoranza è tenebra;poi la Muraskin fece tornare il domestico in salotto e l'obbligò a recitare un lungo

monologo sul padrone, un generale, che non tollerava le convinzioni della figlia, siproponeva di darla in moglie a un ricco gentiluomo di camera ed era d'avviso che lasalvezza del popolo stesse in una crassa ignoranza. Dopo che la servitù fu uscita,comparve la signorina in persona e dichiarò allo spettatore di non aver dormito tutta lanotte e d'aver pensato a Valentìn Ivànovic', figlio d'un povero insegnante, che aiutavagratuitamente il proprio padre malato. Valentìn aveva studiato tutte le scienze, ma noncredeva né all'amicizia né all'amore, non conosceva scopo nella vita e anelava lamorte, e perciò bisognava che lei, la signorina, lo salvasse.

 

Pavel Vassìlievic' ascoltava e con angoscia rammentava il suo divano. 

Esaminava con astio la Muraskin sentiva come sui suoi timpani batteva la voce tenorileda maschio di lei, non capiva nulla e pensava: 

«Il diavolo t'ha portata qua... Ho proprio un gran bisogno d'ascoltare le tueinsulsaggini!... Be', che colpa ci ho io, se tu hai scritto un dramma? O Signore, chequaderno spesso! Ecco un bel castigo!».

 

Pavel Vassìlievic' gettò uno sguardo al muro di tramezzo, dove pendeva il ritratto disua moglie, e si ricordò che la moglie gli aveva raccomandato di portarle in villa un"arscin" (2) di fettuccia, una libbra di formaggio e della polvere da denti. 

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«Purché non perda il campioncino della fettuccia» pensava, «Dove l'ho ficcato? Mipare, nella giacchetta turchina... Ma quelle vigliacche di mosche son pur riuscite acospargere di segni d'interpunzione il ritratto di mia moglie. Bisognerà ordinare a Olgadi lavare il vetro.

 

Legge la scena dodicesima, dunque presto è la fine del primo atto. 

Possibile che con un tal caldo, e per giunta con una corpulenza come ha questa massadi carne, si possa avere ispirazione? Anziché scriver drammi, farebbe meglio amangiare okroska (3) fredda e a dormire in cantina... » - Non credete che questomonologo sia un po' lungo? - domandò a un tratto la Muraskin, alzando gli occhi.

 

Pavel Vassìlievic' non aveva sentito il monologo. Egli si confuse e disse con un tono dacolpevole, come se non la signora, ma lui stesso avesse scritto quel monologo: 

- No, no, per nulla... Molto carino... 

La Muraskin si fece raggiante di felicità e seguitò a leggere: 

- "Anna": Siete corroso dall'analisi. Troppo presto avete smesso di vivere col cuore e vi

siete affidato all'intelligenza. "Valentìn": Che cos'è il cuore? E' un concetto anatomico.Come termine convenzionale designante ciò che chiamiamo sentimenti, io non loriconosco. "Anna" (turbata): E l'amore? Possibile che anch'esso sia il prodotto diun'associazione d'idee? Dite francamente: avete amato qualche volta?

 

"Valentìn" (con amarezza): Non tocchiamo le vecchie ferite, non ancora rimarginate(pausa). A che cosa pensate? "Anna": Mi pare che voi siate infelice.

 

Durante la scena sedicesima Pavel Vassìlievic' fece uno sbadiglio e inavvertitamenteemise coi denti il suono che emettono i cani, quando acchiappano le mosche. Sispaventò di questo suono sconveniente e, per mascherarlo, diede al suo visol'espressione di una compunta attenzione.

 

«Scena diciassettesima... Ma quando la fine?», pensava. 

Oh, Dio mio! Se questo tormento continuerà ancora dieci minuti, griderò al soccorso...E' una cosa insopportabile!» Ma ecco, finalmente la signora si mise a leggere più infretta e più forte, alzò la voce e lesse: - "Tela".

 

Pavel Vassìlievic' sospirò lievemente e s'accinse a sollevarsi, ma subito la Muraskinvoltò la pagina e continuò la lettura...

 

- Atto secondo. La scena rappresenta una via di paese. A destra la scuola, a sinistral'ospedale. Sui gradini di quest'ultimo son seduti campagnuoli e campagnuole.

 

- Scusate...- interruppe Pavel Vassìlievic'. - Quanti atti in tutto? 

- Cinque, - rispose la Muraskin, e subito, come temendo che l'uditore andasse via,continuò rapidamente. - Da una finestra della scuola guarda Valentìn. Si vede che infondo alla scena i campagnuoli portano le loro robe alla bettola.

 

Come condannato a morte e sicuro dell'impossibilità d'una grazia, Pavel Vassìlievicnon aspettava più la fine non sperava più in nulla, e si sforzava solo che i suoi occhinon si chiudessero e che l'espressione attenta non lasciasse il suo viso. Il futuro in cuila signora avrebbe terminato il dramma e se ne sarebbe andata gli pareva così remotoch'egli nemmeno ci pensava.

 

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- Tru-tu-tu-tu. - gli sonava agli orecchi la voce della Muraskin. - Tru-tu-tu... Zzzz... «Hodimenticato di prendere il bicarbonato», pensava. «A che cosa dunque io... Sì, albicarbonato... Con tutta probabilità, ho il catarro di stomaco... E' stupefacenteSmirnovski tracanna vodka tutto il giorno, e finora non ha il catarro... Sulla finestra s'èposato un uccellino... Un passero. 

Pavel Vassilievic' fece uno sforzo per dissigillare le palpebre tese che s'appiccicavano,sbadigliò, senz'aprir la bocca, e guardò la Muraskin. Quella prese ad annebbiarsi, aoscillare davanti ai suoi occhi, divenne tricipite e s'appoggiò con una testa al soffitto.

 

- "Valentìn": No, permettetemi di partire. "Anna" (spaventata): 

Perché? "Valentìn (a parte): E' impallidita! (A lei) Non obbligatemi a spiegarvene leragioni. Piuttosto morirò, ma voi non saprete queste ragioni. "Anna" (dopo una pausa):Voi non potete partire...

 

La Muraskin cominciò a gonfiare, gonfiò diventando una massa sola e si fuse con l'ariagrigia dello studio; si vedeva soltanto la sua bocca in movimento, poi d'un tratto ella sifece piccina come una bottiglia, si mise a ondeggiare e insieme con la tavola se ne

andò in fondo alla stanza... 

- "Valentìn" (tenendo Anna fra le braccia): Tu mi hai risuscitato, mi hai mostrato loscopo della vita! Mi hai rinnovellato, come la pioggia primaverile rinnovella la terraridestata! Ma... è troppo tardi, troppo tardi! Il mio petto è roso da un male inguaribile...Pavel Vassilievic' sussultò e fissò gli occhi appannati, torbidi sulla Muraskin; per unminuto la guardò immobile, come se non capisse nulla... 

- Scena undicesima. Detti, il barone e il commissario coi testimoni... 

"Valentìn": Prendetemi! "Anna": Io sono sua! Prendete anche me! Sì prendete ancheme! Io l'amo, l'amo più della mia vita! "Il barone":

 

Anna Serghéievna, voi dimenticate che con ciò rovinate vostro padre... 

La Muraskin riprese a gonfiare... Guardandosi attorno bizzarramente, Pavel Vassilievic'si sollevò, gettò un grido con voce profonda, innaturale, afferrò sulla tavola un pesantefermacarte e, inconscio di sé, colpì con esso a tutta forza la testa della Muraskin...

 

- Legatemi, l'ho uccisa! - disse di lì a un minuto ai servi accorsi. 

I giurati l'assolsero. 

NOTE: 

1) Scusatemi l'espressione. 

2) Unità russa di misura lineare: metri 0,711. 

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3) Piatto, molto vario e ghiotto, di carne o pesce tritato, con cetriuoli, cipolle, uovasminuzzate, con panna e altri ingredienti: una specie d'«insalata russa».

 

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UN'OPERA D'ARTE 

Tenendo sotto il braccio qualcosa avvolto nel n. 223 della "Gazzetta della Borsa",Sascia Smirnòv, figlio unico di mamma sua, fece un viso agro ed entrò nel gabinettodel dottor Koscelkòv.

 

- Ah, caro ragazzo!- l'accolse il dottore. - Be', come ci sentiamo? Che mi direte dibello?

 

Sascia batté gli occhi, si pose una mano sul cuore e disse con voce agitata: 

- La mammina vi saluta, Ivàn Nikolaievic', e ha detto di ringraziarvi... Io sono l'unicofiglio della mamma e voi m'avete salvato la vita... m'avete guarito da una gravemalattia, e... noi tutt'e due non sappiamo come ringraziarvi.

 

- Basta, ragazzo! - interruppe il dottore, fondendo dal piacere. - Io ho fatto soltanto ciòche ogni altro avrebbe fatto al mio posto.

 

- Io son l'unico figlio di mamma mia... Noi siam gente povera e, certo, non possiamoripagare le vostre fatiche, e... ne siamo assai mortificati, dottore, benché, del resto, lamammina ed io... unico figlio suo, vi preghiamo vivamente d'accettare in segno dellanostra gratitudine... ecco, questa cosa che... E' una cosa di gran valore, di bronzoantico... una rara opera d'arte. 

- Mal fatto! - il dottore fece una smorfia. - Be' perché questo? 

- No, per favore, non rifiutate, - continuò a mormorare Sascia, svolgendo l'involto. -Offendereste col vostro rifiuto me e la mammina... E' una cosa bellissima... di bronzoantico... Essa ci pervenne dal babbo buon'anima e noi la custodivamo come un caroricordo... Il mio babbo acquistava bronzi antichi e li vendeva agli amatori... Adesso lamammina ed io ci occupiamo della stessa cosa... 

Sascia cavò fuori l'oggetto e lo posò solennemente sulla tavola. Era un candelabropoco alto, di vecchio bronzo, d'artistica fattura. 

Raffigurava un gruppo: sul piedestallo stavano due figure femminili nel vestito di Eva ein pose per descriver le quali non mi basta né l'ardire, né il temperamento adeguato. Lefigure sorridevano civettuole e, in generale, il loro aspetto era tale che, se nonavessero avuto l'obbligo di reggere il candeliere, pareva che avrebbero fatto un balzogiù dal piedestallo e combinato nella stanza un baccanale a cui, lettore, sarebbeindecente anche pensare.

 

Dato uno sguardo al regalo, il dottore si grattò lentamente dietro l'orecchio, fece unraschio e, incerto, si soffiò il naso. 

- Sì, è una cosa veramente bellissima, - borbottò, - ma come esprimermi? non è... ètroppo poco letteraria... Questa, già, non è scollacciatura, ma il diavolo sa che cosa... 

- Cioè, perché poi? 

- Lo stesso serpente tentatore non avrebbe potuto immaginare nulla di peggio...Vedete, mettere sulla tavola una simile fantasmagoria vuol dire profanare tutta la casa!

 

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- In che strano modo, dottore, considerate l'arte! - s'offese Sascia. - Ma questa è unacosa artistica, guardatela! C'è lì tanta bellezza ed eleganza, che un senso di reverenzariempie l'anima e le lacrime vengono in gola! Quando vedi una tal bellezza, dimentichiogni cosa terrena... Guardate quanto movimento, che massa d'aria, d'espressione!

 

- Tutto ciò lo capisco benissimo, mio caro, - interruppe il dottore, ma io, vedete, sono

un uomo di famiglia, qui da me corrono i bimbetti, vengono delle signore. 

- Certo, se si guarda dal punto di vista della folla, - disse Sascia, - allora, certo, questacosa altamente artistica si presenta in un'altra luce... Ma, dottore, siate al disopra dellafolla, tanto più che col vostro rifiuto amareggereste profondamente me e la mammina.Io son l'unico figlio di mamma mia... voi m'avete salvato la vita... Noi vi diamo la cosaper noi più preziosa, e... e io rimpiango soltanto che voi non abbiate il riscontro perquesto candelabro...

 

- Grazie, colombello, io vi sono molto grato... Salutate la mammina, ma, in fede mia,giudicate voi stesso, qui da me corrono i bimbetti, vengono delle signore... Be', delresto, rimanga pur qui! Tanto a voi non si fa capir la ragione. 

- E non c'è niente da far capire, - si rallegrò Sascia. - Questo candelabro mettetelo qui,ecco, vicino a questo vaso. Che peccato che non ci sia il paio! E' un tal peccato! Be',addio, dottore.

 

Uscito Sascia, il dottore guardò a lungo il candelabro si grattò dietro l'orecchio e rifletté. 

«Una cosa superba, non si discute», pensava, «e buttarla via rincresce... Ma lasciarlain casa mia è impossibile... Uhm!... Ecco un problema! A chi regalarla od offrirla?». 

Dopo lunga riflessione, si ricordò d'un suo buon conoscente, l'avvocato Uchov, verso ilquale era in debito per la trattazione d'una causa. 

- Benissimo, - concluse il dottore. - Per lui, come conoscente, è imbarazzante prenderda me del denaro e sarà una cosa molto corretta, se gli farò dono dell'oggetto. Porterò

dunque a lui questa diavoleria! 

A proposito, lui è scapolo e spensierato... 

Senza rimandare alle calende greche, il dottore si vestì, prese il candelabro e si recòda Uchov.

 

- Salve, amico! - diss'egli, avendo trovato l'avvocato in casa. - Eccomi da te... Sonvenuto a ringraziarti, caro, per le tue fatiche... 

Denaro non ne vuoi prendere allora accetta almeno questa cosetta... 

ecco qui, mio caro... La cosetta è una magnificenza! 

Veduta la cosetta, l'avvocato fu colto da un entusiasmo indescrivibile. 

- Questa sì è una trovata! - si mise a rider forte. - Ah, che il diavolo lo scortichi (1), soloi diavoli possono avere una trovata simile! Stupendo! Delizioso! Dove ti sei procuratoun tal gioiello? 

Dato sfogo al suo entusiasmo, l'avvocato volse un'occhiata timorosa all'uscio e disse: 

- Tu però, caro, portati via il tuo regalo. Io non lo accetto. 

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- Perché? - si spaventò il dottore. 

- Ma perché... Qui da me viene mia madre, i clienti.. e anche davanti alla servitù ci hoscrupolo.

 

- Ni-ni-ni.. Non oserai rifiutare! - agitò le mani il dottore. - E' una porcheria, da parte tua!

E' una cosa artistica... quanto movimento... quanta espressione... Non voglio nemmenparlare!

 

M'offenderai! 

- Almeno fosse verniciato, o vi si appiccicassero delle foglioline di fico... 

Ma il dottore si mise ad agitar le mani anche più di prima, corse fuori dall'appartamentodi Uchov e, contento d'aver saputo disfarsi del regalo, andò a casa...

 

Uscito lui, l'avvocato osservò il candelabro, lo toccò con le dita da tutte le parti e, al paridel dottore, a lungo si lambiccò il cervello intorno al problema: che far del regalo?

 

«E un oggetto bellissimo», ragionava, «gettarlo via rincresce, e tenerlo in casa è

sconveniente. La miglior cosa è regalarlo a qualcuno... Ecco che cosa, stasera porteròquesto candelabro al comico Sciaskin. A quella canaglia piacciono simili cosette, e, aproposito, oggi è la sua beneficiata... ».

 

Detto, fatto. A sera il candelabro, involtato con cura. fu recato al comico Sciaskin. Tuttala serata il camerino del comico fu preso d'assalto da uomini che venivano adammirare il regalo; per tutto il tempo il camerino fu pieno di un entusiastico brusio e dirisate simili a nitriti cavallini. Se qualcuna delle attrici s'avvicinava alla porta edomandava: «Si può?», subito s'udiva la voce rauca del comico: 

- No, no, "màtuska"! Non sono vestito! 

Dopo lo spettacolo il comico si stringeva nelle spalle, allargava le braccia e diceva: 

- Be', dove caccerò questa schifezza? Io, già, abito in casa privata! 

Da me vengono le artiste! Questa non è una fotografia, non puoi nasconderla in uncassetto!

 

- E voi, signore, vendetela, - gli consigliò il parrucchiere, svestendo il comico.-Qui nelsobborgo vive una vecchia che acquista bronzi antichi... Andateci e chiedete dellaSmirnòv... Tutti la conoscono. 

Il comico gli diede retta... Di lì a un paio di giorni il dottor Koscelkòv era seduto nel suogabinetto e, puntatosi un dito in fronte, stava pensando agli acidi biliari. A un trattos'aprì l'uscio e nel gabinetto entrò di volo Sascia Smirnòv. Egli sorrideva, raggiante, etutta la sua figura spirava felicità... Nelle mani teneva qualcosa, avvolto in un giornale. 

- Dottore!- cominciò ansando. - Figuratevi la mia gioia! Per vostra fortuna c'è riuscitod'acquistare il riscontro per il vostro candelabro!... La mammina è così felice... Io sonl'unico figlio di mamma mia... voi m'avete salvato la vita...

 

E Sascia, tremando per un sentimento di gratitudine posò davanti al dottore ilcandelabro. Il dottore spalancò la bocca, voleva già dir qualche cosa, ma non dissenulla: gli si era paralizzata la lingua. 

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NOTE: 

1) Qui è sottinteso: «quell'artista», o altra espressione simile. 

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LA DECORAZIONE 

L'insegnante del proginnasio militare, registratore di collegio, Lev Pustiakòv abitavaaccanto all'amico suo tenente Ledentsòv. Verso quest'ultimo egli volse i suoi passi lamattina di capodanno.

 

- Vedi di che si tratta, Griscia, - disse al tenente, dopo le congratulazioni d'uso perl'anno nuovo. - Non starei a incomodarti, se non ne avessi estrema necessità.Imprestami, colombello, per la giornata d'oggi la tua croce di Stanislao (1). Oggi, vedi,pranzo dal mercante Spic'kin. E tu conosci quel farabutto di Spic'kin: gli piaccionoenormemente le decorazioni e quasi ha in conto di scalzacani quelli a cui non ciondoliqualcosa al collo o all'occhiello. Inoltre ha due figlie... Nastia, sai, e Zina... Ti parlocome ad amico... Tu mi capisci, mio caro. Dammela, fammi il favore! 

Tutto ciò disse Pustiakòv balbettando, arrossendo e volgendosi a guardaretimidamente verso l'uscio. Il tenente tirò moccoli, ma accondiscese.

 

Alle due del pomeriggio Pustiakòv andava in vettura di piazza dagli Spic'kin e, apertaun tantino la pelliccia, si guardava in petto. Sul petto gli sfavillava col suo oro e glisvariava col suo smalto l'altrui croce di Stanislao.

 

«In certo modo senti anche più stima di te stesso», pensava l'insegnante, facendoraschi. «Una cosuccia da poco, vale un cinque rubli, non più, ma come fa furore!».

 

Giunto alla casa di Spie'kin, egli aprì la pelliccia e si mise lentamente a regolare colvetturino. Il vetturino, come a lui parve, avendo visto le spalline, i bottoni e la croce diStanislao, restò di sasso. Pustiakòv tossì soddisfatto di sé ed entrò nella casa. 

Levandosi la pelliccia in anticamera, gettò un'occhiata in sala. Là, intorno alla lungatavola conviviale, stavano già pranzando una quindicina di persone. Si udiva un vocio eil tinnire delle stoviglie.

 

- Chi è che ha sonato là? - si sentì la voce del padron di casa. - Ah, Lev Nikolaic'!Favorite. Avete tardato un po', ma non è un guaio... Ci siamo messi a tavola appenaadesso. 

Pustiakòv sporse in avanti il petto, alzò la testa e, fregandosi le mani, entrò nella sala.Ma qui egli vide qualcosa d'orrendo. A tavola, al fianco di Zina, era seduto il suocollega, l'insegnante di lingua francese Trambliàn. Lasciar vedere al francese ladecorazione avrebbe significato provocare una quantità di domande spiacevolissime,avrebbe significato coprirsi di vergogna in eterno disonorarsi... Il primo pensiero diPustiakòv fu di strapparsi la decorazione, o di scappar via; ma la decorazione era statacucita solidamente e una ritirata ormai era impossibile. Coperta rapidamente con ladestra la decorazione, egli si curvò, fece un goffo inchino a tutti e, senza dar la mano

ad alcuno, s'abbandonò pesantemente su una sedia libera, proprio di fronte al collegafrancese.

 

«Deve aver bevuto!», pensò Spic'kin, dato uno sguardo alla sua faccia confusa. 

Davanti a Pustiakòv posarono un piatto di minestra. Egli prese con la sinistra ilcucchiaio, ma, ricordatosi che con la sinistra è sconveniente mangiare in una societàbene ordinata, dichiarò che aveva già pranzato e non aveva fame.

 

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- Ho già mangiato... "Merci"... - borbottò. - Sono stato in visita dallo zio, l'arcipreteJelelev, e lui m'ha pregato tanto... sì...

 

perché pranzassi. 

L'anima di Pustiakòv si colmò di struggente angoscia e di rabbioso dispetto: la

minestra mandava un saporoso odore, e dallo storione cotto a vapore veniva unfumettino insolitamente appetitoso.

 

L'insegnante provò a liberare la mano destra e a coprir la decorazione con la sinistra,ma ciò apparve scomodo.

 

«Se n'accorgeranno.. E la mano rimarrà distesa su tutto il petto, come se mi accingessia cantare. O Signore, almeno il pranzo terminasse presto! Mangerò poi in trattoria!».

 

Dopo il terzo piatto egli guardò timidamente, con un occhio solo, il francese. Trambliàn,chi sa perché fortemente impacciato, guardava lui e del pari non mangiava nulla.Guardatisi a vicenda, si confusero anche più tutt'e due e chinarono gli occhi sui piattivuoti.

 

«Se n'è accorto, il farabutto!», pensò Pustiakòv. «Lo vedo dal grugno, che se n'èaccorto! E lui, scalzacane, è un pettegolo. Domani stesso lo riporterà al direttore!».

 

Padroni e ospiti consumarono il quarto piatto, consumarono, per voler del destino,anche il quinto...

 

Si levò in piedi un certo signore alto dalle narici ampie e pelose, il naso ricurvo e gliocchi socchiusi per natura. Egli si lisciò il capo e dichiarò:

 

- E-e-e... ep... ep... eppropongo di bere alla prosperità delle signore qui sedute! 

I commensali si alzarono rumorosamente e afferrarono i calici. Un sonoro "urrà!" corseper tutte le stanze. Le signore sorrisero e si protesero per toccare i bicchieri. Pustiakòv

s'alzò e prese il suo bicchierino nella sinistra. 

- Lev Nikolaic', favorite passare questo calice a Nastassia Timoféievna! - si rivolse a luiun tale, porgendogli un calice. - Obbligatela a vuotarlo!

 

Questa volta Pustiakòv, con suo grande sgomento, dovette mettere in opera anche lamano destra. La croce di Stanislao, col suo nastrino rosso sgualcito, vide finalmente laluce e raggiò. L'insegnante impallidì, abbassò il capo e guardò timidamente dalla partedel francese. Quello guardava lui con occhi meravigliati, interrogativi.

 

Le sue labbra sorridevano con furberia e dal suo viso l'aria impacciata lentamentedileguava...

 

- Juli Avgùstovic'! - si rivolse al francese il padron di casa. - Passate questa bottiglietta

per competenza! 

Trambliàn allungò irresoluto la mano destra verso la bottiglietta e... 

oh, felicità! Pustiakòv scorse sul suo petto una decorazione. E non era l'ordine diStanislao, ma addirittura quello di Anna (2)! Dunque anche il francese aveva fatto ilmariuolo! Pustiakòv rise dal piacere, sedette e si mise a suo agio... Ormai non c'era piùbisogno di nascondere la croce di Stanislao! Entrambi s'erano macchiati dello stessopeccato e nessuno quindi poteva denunciare e disonorare l'altro...

 

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- A-a-ah... uhm!...- mugolò Spic'kin, vedendo la decorazione sul petto dell'insegnante. 

- Sissignore! - disse Pustiakòv. - Una cosa sorprendente, Juli Avgùstovic'! Come sonstate poche da noi prima delle feste le proposte di onorificenze! Quanta gente c'è danoi, eppure le abbiamo ricevute solo voi ed io! E' una cosa sor-pren-den-te!

 

Trambliàn annuì allegramente col capo e mise in mostra il risvolto sinistro della giubba,su cui faceva pompa la croce di Sant'Anna di terza classe.

 

Dopo il pranzo Pustiakòv andava per tutte le stanze e mostrava la decorazione allesignorine. Si sentiva l'anima leggiera e libera, benché la fame lo pizzicasse sotto labocca dello stomaco.

 

«Se avessi saputo una faccenda simile», egli pensava, gettando occhiate invidiose aTrambliàn, che discorreva con Spic'kin di onorificenze, «mi sarei appuntata la croce diVladimiro (3). Eh non ci ho pensato!».

 

E solo questo pensiero lo faceva soffrire ogni tanto. Per tutto il resto era perfettamentefelice.

 

NOTE: 

1) L'ordine di Santo Stanislao, fondato dal re di Polonia Stanislao Augusto Poniatowskie riconosciuto dallo zar Alessandro primo.

 

2) Istituito nel 1735 dal duca di Holstein-Gottorp in memoria dell'imperatrice Anna diRussia e riconosciuto dall'imperatore Paolo primo nel 1796. 

3) L'ordine di San Vladimiro fu fondato nel 1782 dall'imperatrice Caterina seconda inonore del principe che, verso il 1000, aveva introdotto il cristianesimo in Russia.

 

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LA MORTE DELL'IMPIEGATO 

Una magnifica sera un non meno magnifico usciere, Ivàn Dmitric' Cerviakòv, eraseduto nella seconda fila di poltrone e seguiva col binoccolo "Le campane diCorneville. Guardava e si sentiva al colmo della beatitudine. Ma a un tratto... Neiracconti spesso s'incontra questo "a un tratto". Gli autori han ragione: la vita è cosìpiena d'imprevisti! Ma a un tratto il suo viso fece una smorfia, gli occhi si stralunarono,il respiro gli si fermò... egli scostò dagli occhi il binoccolo, si china e... eccì!!! Avevastarnutito, come vedete.

 

Starnutire non è vietato ad alcuno e in nessun posto. Starnutiscono i contadini, e i capidi polizia, e a volte perfino i consiglieri segreti. Tutti starnutiscono. Cerviakòv non siconfuse per nulla, s'asciugò col fazzolettino e, da persona garbata, guardò intorno asé:

 

non aveva disturbato qualcuno col suo starnuto? Ma qui, sì, gli toccò confondersi. Videche un vecchietto, seduto davanti a lui, nella prima fila di poltrone, stava asciugandosi

accuratamente la calvizie e il collo col guanto e borbottava qualcosa. Nel vecchiettoCerviakòv riconobbe il generale civile (1) Brizzalov, in servizio al dicastero dellecomunicazioni. 

«L'ho spruzzato!», pensò Cerviakòv. «Non è il mio superiore, è un estraneo, matuttavia è seccante. Bisogna scusarsi». 

Cerviakòv tossì, si sporse col busto in avanti e bisbigliò all'orecchio del generale: 

- Scusate, eccellenza, vi ho spruzzato... io involontariamente... - Non è nulla, non ènulla...

 

- Per amor di Dio, scusatemi. Io, vedete... non lo volevo! 

- Ah, sedete, vi prego! Lasciatemi ascoltare! 

Cerviakòv rimase impacciato, sorrise scioccamente e riprese a guardar la scena.Guardava, ma ormai beatitudine non ne sentiva più. Cominciò a tormentarlol'inquietudine. Nell'intervallo egli s'avvicinò a Brizzalov, passeggiò un poco accanto alui e, vinta la timidezza, mormorò:

 

- Vi ho spruzzato, eccellenza... Perdonate... Io, vedete... non che volessi... 

- Ah, smettetela... Io ho già dimenticato, e voi ci tornate sempre su! 

- disse il generale e mosse con impazienza il labbro inferiore. 

«Ha dimenticato, e intanto ha la malignità negli occhi», pensò Cerviakòv, gettandoocchiate sospettose al generale. «Non vuol nemmeno parlare. Bisognerebbe spiegargliche non desideravo affatto... che questa è una legge di natura, se no penserà ch'iovolessi sputare. Se non lo penserà adesso, lo penserà poi!...». 

Giunto a casa, Cerviakòv riferì alla moglie il suo atto incivile. La moglie, come a luiparve, prese l'accaduto con troppa leggerezza; ella si spaventò soltanto, ma poi,quando apprese che Brizzalov era un "estraneo", si tranquillò.

 

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- Ma tuttavia passaci, scusati, - disse. - Penserà che tu non sappia comportarti inpubblico!

 

- Ecco, è proprio questo! Io mi sono scusato, ma lui in un certo modo strano... Una solaparola sensata non l'ha detta. E non c'era neppur tempo di discorrere.

 

Il giorno dopo Cerviakòv indossò la divisa di servizio nuova, si fece tagliare i capelli eandò da Brizzalov a spiegare... Entrato nella sala di ricevimento del generale, vide lànumerosi postulanti, e in mezzo ai postulanti anche il generale in persona, che giàaveva cominciato l'accettazione delle domande. Interrogati alcuni visitatori, il generalealzò gli occhi anche su Cerviakòv.

 

- Ieri, all'Arcadia, se rammentate, eccellenza, - prese a esporre l'usciere,-io starnutii e...involontariamente vi spruzzai... Scus... 

- Che bazzecole... Dio sa che è! Voi che cosa desiderate?-si rivolse il generale alpostulante successivo. 

«Non vuol parlare!», pensò Cerviakav. impallidendo. «E' arrabbiato dunque... No, nonposso lasciarla così... Gli spiegherò... ». 

Quando il generale finì di conversare con l'ultimo postulante e si diresse verso gliappartamenti interni, Cerviakòv fece un passo dietro a lui e prese a mormorare: -Eccellenza! Se oso incomodare vostra eccellenza, è precisamente per un senso,posso dire, di pentimento!... 

Non lo feci apposta, voi stesso lo sapete! 

Il generale fece una faccia piagnucolosa e agitò la mano. 

- Ma voi vi burlate semplicemente, egregio signore! -diss'egli, scomparendo dietro laporta. 

«Che burla c'è mai qui?», pensò Cerviakòv. «Qui non c'è proprio nessuna burla! E'generale, ma non può capire! Quand'è così, non starò più a scusarmi con questofanfarone! Vada al diavolo! Gli scriverò una lettera e non ci andrò più! Com'è vero Dio,non ci andrò più!». 

Così pensava Cerviakòv andando a casa. La lettera al generale non la scrisse. Pensò,pensò, ma in nessuna maniera poté concepir quella lettera. Gli toccò il giorno dopoandar in persona a spiegare.

 

- Ieri venni a incomodare vostra eccellenza, - si mise a borbottare, quando il generalealzò su di lui due occhi interrogativi, - non già per burlarmi, come vi piacque dire. Io miscusavo perché, starnutendo, vi avevo spruzzato... e a burlarmi non pensavonemmeno. Oserei io burlarmi? Se noi ci burlassimo, vorrebbe dire allora che non c'èpiù alcun rispetto... per le persone...

 

- Vattene! - garrì il generale, fattosi d'un tratto livido e tremante. 

- Che cosa? - domandò con un bisbiglio Cerviakòv, venendo meno dallo sgomento. 

- Vattene! - ripeté il generale, pestando i piedi. 

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Nel ventre di Cerviakòv qualcosa si lacerò. Senza veder nulla, senza udir nulla, egliindietreggiò verso la porta, uscì in strada e si trascinò via... Arrivato macchinalmente acasa, senza togliersi la divisa di servizio, si coricò sul divano e... morì.

 

NOTE: 

1) La vecchia gerarchia burocratica russa conosceva anche i "generali" civili: il titolomilitare veniva esteso ai più alti capi- servizio delle amministrazioni non militari. 

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FILASTROCCA 

Nel coro sta in piedi il sagrestano Otlukavin e tiene fra le dita grasse distese una pennad'oca rosicchiata. La sua piccola fronte s'è fatta tutt'una ruga, sul naso gli svarianochiazze di tutti i colori, cominciando dal rosa e terminando con l'azzurro cupo. Davantia lui, sopra la rilegatura rossiccia del Triodion (1), ci sono due pezzi di carta. Su uno diessi è scritto: «Per la salute», sull'altro: «Per il riposo», e sotto a ciascuno dei due titoliuna filza di nomi... Vicino al coro sta una piccola vecchierella dal viso impensierito, conuna bisaccia sul dorso. E' meditabonda.

 

- Poi chi? - domanda il sagrestano, grattandosi pigramente dietro l'orecchio. - Fa'presto, meschina, ché io non ho tempo. Subito mi metterò a legger le ore.

 

- Subito, "batiuska"... Su via, scrivi... Per la salute dei servi di Dio: Andréi e Daria coifigli... Mitri, di nuovo Andréi, Antìp, Maria...

 

- Un momento, non troppo in fretta... Non corri mica dietro la lepre, farai in tempo. 

- Hai scritto Maria? Be', adesso Kirìll, Gordiéi, l'infante da poco defunto Gherassim,Panteléi... Hai scritto il fu Panteléi? 

- Un momento... Panteléi è morto? morto... - sospira la vecchia - Allora come mai lo faisegnare per la salute? - si arrabbia il sagrestano, cancellando Panteléi e trasferendolonell'altro pezzo di carta.-Ecco, ancora questa... Tu parla sensato, e non far confusioni.Chi altri per il riposo? 

- Per il riposo? Subito... un momento... Su via, scrivi... Ivàn, Avdotia, ancora Daria,Jegar... Prendi nota... il soldato Zachàr... Da quando andò in servizio nell'anno quarto,da quel tempo non se n'è sentito più nulla...

 

- Dunque è morto? 

- E chi sa! Forse è morto, e forse è vivo... Tu scrivi... 

- Ma dove lo segnerò? S'è morto, diciamo, allora qui: per il riposo, s'è vivo, qui: per lasalute... Come si fa a capirvi, voi altre?

 

- Uhm!... Tu, caro, segnalo in tutt'e due i foglietti, e poi si vedrà. 

Ma per lui è lo stesso, comunque tu lo segni è un uomo sviato... 

perduto... L'hai segnato? Adesso, per il riposo: Mark, Leonti, Arina... be', e ancheKuzmà con Anna... l'inferma Fedossia...

 

- L'inferma Fedossia per il riposo? Oilà! 

- Me segnarmi per il riposo? Sei ammattito, o che? 

- Poh! Tu, torso di cavolo, m'hai fatto sbagliare! Se non sei ancora morta, dillo, che nonsei morta, non c'è da cacciarsi qui, per il riposo! imbrogli le cose! Ora va' a cancellareFedossia e a scriverla in un altro posto... tutta la carta ho sciupato! Su, ascolta, te lileggerò... Per la salute di Andréi, di Daria coi figli, ancora di Andréi, di Antìp, di Maria,di Kirìll, dell'infante da poco defunto Gher... Un momento, come è capitato qua questo

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Gherassim? Da poco defunto, e poi: per la salute! No, m'hai fatto imbrogliare,meschina!

 

Che Dio t'assista, m'hai fatto proprio imbrogliare! 

Il sagrestano crolla il capo, cancella Gherassim e lo trasferisce nella sezione "per il

riposo". 

- Ascolta! Per la salute di Maria, di Kirìll, del soldato Zachàr... 

Chi altri? 

- Avdotia l'hai segnata? 

- Avdotia? Uhm!... Avdotia... Jevdokìa... - il sagrestano ripassa entrambi i foglietti. -Ricordo di averla segnata, ma adesso lo sa il diavolo... in nessun modo si puòtrovare... Eccola! Segnata per il riposo!

 

- Avdotia per il riposo?- si meraviglia la vecchia. - Non è ancora un anno che ha presomarito, e tu già chiami su di lei la morte!...

 

Sei tu stesso, caro, che fai confusione, e ti arrabbi con me. Tu scrivi con la preghiera incuore, ché se in cuore avrai la rabbia, farai contento il diavolo. E' il diavolo che ti guidae ti confonde...

 

- Un momento, non disturbare... 

Il sagrestano aggrotta le ciglia e, dopo aver riflettuto, lentamente cancella Avdotia nelfoglietto «Per il riposo». Sulla lettera «d» la penna stride e fa un grosso sgorbio. Ilsagrestano si confonde e si gratta la nuca.

 

- Avdotia, dunque, via di qua... - borbotta turbato - e segnarla qui... Così? Un momento.Se la si mette qui, sarà per la salute, se invece qui, per il riposo.., M'ha fatto proprioconfondere questa donna! E anche questo soldato Zachàr è venuto a ficcarsi qua...L'ha portato il diavolo... Non ci raccapezzo nulla! Bisogna daccapo...

 

Il sagrestano cerca nell'armadietto e ne cava fuori un ottavo di foglio di carta bianca. 

- Scarta Zachàr, s'è così... - dice la vecchia. - Che Dio sia con lui, scartalo... 

- Zitta! 

Il sagrestano intinge lentamente la penna e trascrive da entrambi i pezzi di carta i nomisul nuovo foglietto. 

- Io li segnerò tutti in mucchio, - dice, - e tu portali al padre diacono... Distingua ildiacono chi è vivo qui, e chi è morto; lui ha studiato in seminario, e io di questefaccende... anche se mi ammazzi, non ci capisco nulla.

 

La vecchia prende il pezzo di carta, porge al sagrestano una copeca e mezzo divecchio conio e a passettini va verso l'altare.

 

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NOTE: 

1) Libro liturgico della Chiesa greca, contenente gli uffizi per ordine, così detto, dalgreco, perché comprende numerosi inni di tre strofe. Qui si tratta più precisamente di

quella sua parte che contiene gli uffizi dalla Pasqua a Ognissanti. 

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CHIRURGIA 

L'ospedale provinciale. In assenza del dottore, che è partito per prender moglie, ricevei malati l'aiuto medico Kuriatin, un uomo grasso, sui quaranta, in giacchetta lisa di setagreggia e calzoni frusti di tessuto a maglia. Sul suo viso c'è l'espressione d'unsentimento di dovere e di soavità. Tra l'indice e il medio della mano sinistra un sigaropuzzolente.

 

Nella sala di visita entra il sagrestano Vonmiglassov, un vecchio alto, tarchiato, intonaca color cannella e con una larga cintura di cuoio. L'occhio destro, con la cateratta,è semichiuso, sul naso egli ha un porro, simile da lontano a una grossa mosca. Per unsecondo il sagrestano cerca con gli occhi un'icona e, non trovandola, si segna davantia una damigiana di soluzione fenica, poi cava fuori da un fazzolettino rosso un'ostia econ un inchino la pone dinanzi all'aiuto medico.

 

- Per che cosa siete venuto? 

- Buona domenica a voi, Serghéi Kuzmìc'... Vengo da vostra grazia... 

Vero e giusto è quel ch'è detto nel salterio, scusate: «La mia bevanda diluii col pianto(1)» -. M'ero messo l'altro giorno con la vecchia a bere il tè e, Dio mio, non una goccia,non un boccone potei mandar giù, avrei potuto coricarmi e morire... Se mangiavo untantino, non ci reggevo più! Ma oltre a quel che c'è nel dente, anche tutta questaparte... Mi sento così «rotto, così rotto! Mi risponde nell'orecchio, scusate, come sedentro ci fosse un chiodino o un qualche altro oggetto: mi dà tali f itte, tali fitte! Abbiamopeccato e agito contro la legge (1) Giacché indurii l'anima con vergognosi peccati enell'ignavia spesi la vita mia (1) Per i peccati, Serghéi Kuzmìc', per i peccati! Il padreprete dopo la liturgia mi rimprovera: «Balbuziente sei diventato, Jefim. e la voce s'èfatta nasale. Canti e non ci si capisce niente». Ma che canto, giudicate voi, ci puòessere, se non è possibile aprir la bocca, ch'è tutta gonfia, scusate, e la notte non s'è

dormito?... 

- Ma già... Sedete... Aprite la bocca! 

Vonmiglassov siede e apre la bocca. 

Kuriatin aggrotta le ciglia, gli guarda in bocca e, fra i denti ingialliti dal tempo e daltabacco, scorge un dente ornato di una sbadigliante cavità.

 

- Il padre diacono mi disse di applicarci del rafano con vodka: non ha giovato. GlikeriaAnìssimovna, che Dio la conservi in salute, mi diede da portare al braccio un filo recatodal Monte Athos (2), e mi disse di risciacquare il dente con latte tiepido, e io, se devoconfessare, il filo me lo son messo, ma in quanto al latte, non ho seguito il consiglio: hotimor di Dio, c'è il digiuno...

 

- Pregiudizio... - (pausa). - Bisogna estrarlo, Jefim Micheic'! 

- Voi sapete meglio il da farsi, Serghiéi Kuzmìc'. Apposta siete stati istruiti, per capirbene questa faccenda com'è, se s'ha da estrarre o da curare con gocce o con altro...Apposta, benefattori, siete stati messi qui, che Dio vi conservi in salute, perché noigiorno e notte per voi, padri cari... fino alla tomba... 

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- Bazzecole... - fa il modesto l'aiuto medico avvicinandosi a uno scaffale e rovistandofra gli arnesi. - La chirurgia, bazzecole...

 

In tutto questo conta l'abitudine la fermezza di mano... Sputarci una volta... L'altrogiorno arriva pure all'ospedale, ecco, come voi il possidente Aleksàndr Ivanic'Jeghìpetski... Anche lui per un dente...

 

Un uomo istruito, interroga su tutto, di tutto s'interessa, del che e del come. Stringe lamano, ti chiama per nome e patronimico (2)... 

Sette anni visse a Pietroburgo, annusò tutti i professori... A lungo si stette qui io e lui...Mi prega in nome di Cristo-Dio:

 

estraetemelo, Serghéi Kuzmìc! Perché non estrarlo? Estrarre si può. 

Solo che qui bisogna capire, senza comprendonio non si può. non si può... Ci son dentidi vario genere. Uno lo tiri via con le pinze, un altro col piè di capra, un terzo con lachiave... Secondo i casi.

 

L'aiuto medico prende il piè di capra, lo guarda un momento interrogativamente, poi lo

posa e prende le pinze. 

- Su via, aprite la bocca ben larga... - dice egli, accostandosi con le pinze al diacono.-Noi subito lo... ecco... Sputarci una volta... Incidere la gengiva soltanto... esercitare unatrazione secondo la verticale... e tutto... (incide la gengiva) e tutto...

 

- Voi siete i benefattori nostri... Noi, stupidi, non possiamo capirci nulla, ma voi ilSignore vi ha illuminati...

 

- Non discorrete, mentre avete la bocca aperta... Questo è facile estrarlo, ma accadeche ci siano soltanto le radici... Questo è come sputare una volta...- (applica le pinze) -State fermo, non dimenatevi... State seduto immobile... In un batter d'occhio...-(esercita la trazione)-L'essenziale è prenderlo un po' profondamente - (tira) - ...perché

la corona non si rompa... 

- Padri nostri... Madre Santissima... Vvv... 

- Non così... non così... come si chiama? Non afferratemi con le mani! 

Abbassate le mani! - (tira). - Subito... Ecco, ecco... Non è mica una cosa facile... 

- Padri... intercessori... - (grida). - Angioli! O-ohoh... Ma da' una stratta dunque, da' unastratta! Perché tiri cinque anni di fila?

 

- La faccenda è che... la chirurgia... Di colpo non si può... Ecco, ecco... 

Vonmiglassov solleva i ginocchi fino ai gomiti, muove le dita, sbarra gli occhi, respira a

sbalzi... Sulla sua faccia porporina spunta il sudore, ha le lacrime agli occhi. Kuriatinsbuffa, scalpiccia davanti al sagrestano e tira... Passa un tormentosissimo mezzominuto, e le pinze scivolano via dal dente. Il sagrestano balza su e si caccia le dita inbocca. In bocca egli tasta il dente al suo posto di prima.

 

- E hai tirato! - dice con voce piangente e al tempo stesso beffarda. - Che ti possanotirare così all'altro mondo! Ringraziamo umilmente! Se non sai estrarli, non ti cimettere! Non vedo più il mondo del buon Dio... 

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- E tu perché mi afferri con le mani? - si adira l'aiuto medico. - Io tiro, e tu mi urti sotto ilbraccio e dici varie stupidaggini. Scioccone!

 

- Scioccone sei tu! 

- Tu credi, contadino, che sia facile estrarre un dente? Prova un po' tu! Non è mica

come salir sul campanile e dar nelle campane! - (gli fa il verso). - «Non sai, non sai!».Di' un po', che istruttore s'è trovato! Ve', tu... Al signor Jeghìpetski, Aleksàndr Ivanic', loestrassi, e quello niente, non una parola... Un uomo un po' più distinto di te, e nonm'afferrava con le mani... Siedi! Siedi, ti dico!

 

- Non vedo più la luce... Lasciami tirare il fiato... Oh! - (siede). 

- Soltanto non tirare a lungo, ma da' una stratta. Non tirare, ma da' una stratta... Dicolpo! 

- Tu insegna a chi sa! Ma che gente incolta, o Signore! Vivi un po' con costoro...diventerai scemo! Apri la bocca... - (applica le pinze).- La chirurgia, fratello non è unoscherzo... Non è come leggere in coro... - (esercita una trazione). - Non dimenarti...

 

E' un dente incarnito, si vede, ha messo profonde radici... - (tira). - Non muoverti...Così... così... Non muoverti... Su via, su via... - (si sente uno scricchiolio). - Lo sapevo!

 

Vonmiglassov sta a sedere immobile per un minuto come privo di sensi. 

E' intontito... I suoi occhi guardano senza espressione nello spazio, sulla sua facciapallida c'è il sudore.

 

- Avrei dovuto farlo col piè di capra... - borbotta l'aiuto medico. 

- Che disdetta! 

Tornato in sé, il sagrestano si ficca le dita in bocca e, in luogo del dente malato, trovadue rilievi sporgenti. 

- Diavolo rrognoso...- proferisce. - Vi hanno piantati qui, erodi, per la nostra rovina! 

- Dimmi anche delle insolenze...-borbotta l'aiuto medico, riponendo nell'armadio lepinze.- Ignorante... Troppo poco in seminario ti han trattato a sugo di betulla... Il signorJeghìpetski, Aleksàndr Ivanic',visse a Pietroburgo un sette anni...

 

l'istruzione... il suo abito solo varrà cento rubli... eppure non insolentiva... E tu chepavone sei? Hai quel che meriti, non creperai! 

Il sagrestano prende sulla tavola la sua ostia e, premendosi la guancia con la mano, sene va a casa... 

NOTE: 

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1) Tutte queste espressioni sono, nel testo, in slavo ecclesiastico, che è, nei tempimoderni, la lingua della chiesa ortodossa, come da noi il latino per la chiesa cattolica.

 

2) Il celebre santuario all'estremità sud-est della Penisola Calcidica meta dipellegrinaggi, con la sua ventina di conventi, per tutto il mondo ortodosso, la Russiacompresa.

 

3) L'uso del nome di battesimo seguito dal patronimico, nel rivolgersi a una persona, onell'indicarla, è per i russi la forma di riguardo; a differenza dall'uso del solo cognome odel solo nome di battesimo.

 

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- Non capisco! - mormorò Peressolìn. 

- Butto un consigliere di Stato... Getta, Vania, un qualche consiglieruccio titolare o unsegretario provinciale.

 

- Perché dovremmo buttare un t itolare? Piglieremo anche con Peressolìn... 

- E noi al tuo Peressolìn sui denti gliele daremo... sui denti... Noi abbiamo Rìbnikov.Rimarrete senza tre! Fate vedere la Peressolicha (3)! Non avete da nasconderla quellacanaglia, dentro la manica!

 

«Han toccato mia moglie... », pensò Peressolìn... «Non capisco». 

E, non volendo restar oltre nell'incertezza, Peressolìn aprì la porta ed entrò nellacamera. Se davanti agl'impiegati fosse comparso il diavolo in persona con le corna e lacoda, non li avrebbe meravigliati e spaventati tanto come li spaventò e meravigliò ilsuperiore. Se fosse apparso dinanzi a loro l'usciere morto l'anno prima e avesse dettocon voce sepolcrale: «Seguitemi, satanassi, nel posto destinato alle canaglie!»,soffiando loro addosso il freddo della tomba, non sarebbero impalliditi comeimpallidirono riconoscendo Peressolìn. A Nedoiechov, dal forte spavento, venne perfinsangue dal naso, e a Kulàkevic' l'orecchio destro si mise a tamburellare e la cravatta sisciolse da sé. Gl'impiegati gettarono le carte, si alzarono lentamente e, scambiatisiun'occhiata, fissarono i loro sguardi sul pavimento.

 

Per un minuto nella stanza regnò il silenzio... 

- Ricopiate proprio bene il rendiconto! - comincio Peressolìn. - Adesso si capisceperché vi piace tanto occuparvi del rendiconto... 

Che facevate dianzi?... 

- Noi solo per un minutino, eccellenza... - mormorò Svizdulin.Esaminavamo le carte...Ci riposavamo...

 

Peressolìn s'avvicinò alla tavola e lentamente si strinse nelle spalle. Sopra la tavolastavano non carte, ma fotografie di formato ordinario, tolte dal cartoncino e incollatesulle carte da giuoco. Le fotografie eran molte. Esaminandole, Peressolìn vide sestesso, sua moglie, numerosi suoi subordinati e conoscenti...

 

- Che scempiaggine!... Come fate a giocare? 

- Non siamo stati noi, eccellenza, a inventar questo... Dio ce ne scampi... Noi abbiamosoltanto preso esempio... 

- Spiega un po', Svizdulin! Come giocavate? Io ho visto tutto e ho sentito come mibattevate con Rìbnikov... Su via, perché esiti? Non ti mangio mica? Parla! 

Svizdulin per lungo tempo fu imbarazzato e timoroso. Infine, quando Peressolìncominciò ad arrabbiarsi, a sbuffare e farsi rosso dall'impazienza, egli obbedì. Raccoltele fotografie e mischiatele, le dispose sulla tavola e cominciò a spiegare:

 

- Ciascun ritratto, eccellenza, come pure ciascuna carta ha un suo valore... unsignificato. Come nei soliti mazzi, anche qui ci sono cinquantadue carte e quattrosemi... Gl'impiegati dell'intendenza di finanza son cuori, la direzione provinciale, fiori,gli addetti al ministero della pubblica istruzione, quadri, e picche sarà la sezione dellaBanca di Stato. Ebbene... I consiglieri di Stato effettivi per noi sono assi, i consiglieri di

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Stato, re, le consorti dei funzionari di quarta e quinta classe, regine, i consiglieri dicollegio, fanti, i consiglieri di corte dieci, e così via. Io, per esempio, ecco la miafotografia sono un tre, poiché, essendo segretario provinciale...

 

- Guarda un po'... Io dunque sono un asso? 

- Di fiori, e la moglie di vostra eccellenza è regina... 

- Uhm!... E' originale... Su via, giochiamo un po' Guarderò... 

Peressolìn si tolse il cappotto e, sorridendo incredulo sedette davanti alla tavola. Anchegl'impiegati sedettero a un suo ordine, e il giuoco cominciò...

 

Il custode Nazàr, giunto alle sette di mattina per scopare la stanza del servizio di turno,rimase stupefatto. Il quadro ch'egli vide, entrando con la spazzola, era cosìimpressionante che adesso se lo ricorda perfin quando, ubriaco fradicio, giace in statod'incoscienza.

 

Peressolin, pallido, assonnato e spettinato, stava in piedi davanti a Nedoiechov e,tenendolo per un bottone, diceva - Capisci dunque che non potevi buttar Scepellòv, se

sapevi che io avevo in mano me stesso con altri tre. Svizdulin aveva Rìbnikov con lamoglie, tre insegnanti del ginnasio, più mia moglie, Nedoiechov quelli della Banca e trepiccoli impiegati della giunta provinciale. Avresti dovuto buttar Kriskin! Tu non cibadare, se quelli buttano l'intendenza di f inanza!

 

Loro son dei volponi! 

- Io, eccellenza, ho buttato un titolare, perché pensavo che loro avessero un effettivo(4). 

- Ah, colombello, ma non si può mica pensar così! Questo non è giuoco! 

Così giuocano soltanto i calzolai. Tu ragiona!... Quando Kulàkevic' butta un consigliere

di Corte della direzione provinciale, tu dovevi gettare Ivàn Ivànovic' Grenlandski,perché sapevi che lui aveva Natalia Dmìtrievna e due altre, con Jegòr Jegoric'... Haiguastato tutto! Te lo proverò subito. Sedete, signori, giocheremo ancora un "rober" (5)!

 

E mandato via il meravigliato Nazàr, gl'impiegati si accomodarono e proseguirono ilgiuoco.

 

NOTE: 

1) Specie di "wist", che si giuoca in quattro. 

2) Dirimpetto, di fronte. 

3) Forma femminile di Peressolin, coniata scherzosamente, per indicare la moglie. 

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4) C'erano consiglieri titolari, di Stato e di Stato effettivi, eccetera. 

5) Partita doppia (nel "whist" e nel "vint"), dall'inglese "rubber". 

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LA DIVISA DI CAPITANO 

Il sole nascente guardava imbronciato il capoluogo di distretto i galli si stiravano ancorasolo, e intanto nella bettola di zio Rilkin c'eran già degli avventori. Erano in tre: il sartoMerkulov, la guardia di città Zratva e il fattorino della tesoreria Smechunov.

 

Tutt'e tre avevano bevuto. 

- Non parlare! Non parlar nemmeno! - ragionava Merkulov, tenendo la guardia per unbottone.-Un funzionario dell'amministrazione civile, se lo si prende un po' alto in grado,dal punto di vista del sarto bagnerà sempre il naso a un generale. Prendiamo ora nonfosse che un ciambellano... Che uomo è quello? Di che condizione? Eppure fa' conto...Quattro "arscini" di panno del migliore, della fabbrica Priundel e figli, bottoni, collettod'oro, calzoni bianchi a bande dorate, tutto il petto d'oro, sul bavero, sulle maniche esui risvolti delle tasche uno splendore! Se poi s'ha da lavorare per i signori maestri dicorte, scudieri, cerimonieri e altri ministeri... Tu che ne pensi? Lavorammo, ricordo, peril maestro di corte conte Andréi Semionic' Vonliarevski. Un'uniforme da non andarci

vicino! Se la toccavi con le mani, nelle vene del polso ti sentivi: cic! cic! I veri signori, sesi fan fare un abito, guardati bene dal seccarli. Hai preso la misura e cuci, ma andare afar prove e ritoccare il taglio è assolutamente impossibile. Se sei un sarto di vaglia, fa'senz'altro in base alle misure... Devi saltar giù da un campanile e capitar coi piedi neglistivali, ecco com'è! E vicino a noi, fratellino mio, c'era, come adesso rammento, il corpodei gendarmi. Il nostro padrone Ossip Jaklic' sceglieva appunto fra i gendarmi i piùadatti, che per corporatura si avvicinassero al cliente, per far la prova. Ebbene, propriocosì... scegliemmo, fratellino mio, per l'uniforme del conte un gendarmuccio adatto. Lochiamammo... Indossala, grinta, e sii grato! Uno spasso! Lui indossò, proprio così,l'uniforme, si guardò in petto, e che! Rimase di stucco, sai, cominciò a tremare,perdette i sensi...

 

- E per gli "ispràvniki" (1) avete lavorato? - s'informò Smechunov. 

- Oibò, che pezzi grossi! A Pietroburgo ce n'è di questi "ispràvniki" come di cani noncastrati... Qui fan loro tanto di cappello, ma là: 

«Fatti da parte, perché spingi?" (2). Abbiamo lavorato per signori militari e perpersonaggi delle prime quattro classi (3). C'è personaggio e personaggio... Se tu,poniamo, sei della quinta classe (4), sei un'inezia. Vieni tra una settimana e tutto saràpronto perché a parte colletto e soprammaniche, non c'è nulla... Ma se uno è dellaquarta classe, o della terza, o, poniamo, della seconda, allora il padrone ci prende tuttia sgrugni e si corre al corpo dei gendarmi. 

Lavorammo una volta fratellino mio, per il console di Persia. Gli ricamammo sul petto esulla schiena dei ghirigori d'oro per un migliaio e mezzo. Pensavamo che non li

avrebbe dati - invece no, li pagò... A Pietroburgo perfin nei tartari c'è galantomismo. 

Merkulov raccontò a lungo. Verso le nove, sotto l'azione dei ricordi, egli si mise apiangere e a lagnarsi amaramente del destino che l'aveva cacciato in una cittaduzzapiena solo di mercanti e di borghesucci. La guardia ne aveva già condotti due allapolizia, il fattorino era andato due volte alla posta e alla tesoreria ed era tornato, ma luisi lagnava sempre. A mezzogiorno stava davanti al sagrestano, si batteva in petto colpugno e recriminava:

 

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- Non voglio io lavorar per i tangheri! Non acconsento! A Pietroburgo lavoravopersonalmente per il barone Sputsèl e per i signori ufficiali! Scostati da me, "Kutia" (5)dalle lunghe falde, che i miei occhi non ti vedano più! Scostati!

 

- Vi siete fatto un ben alto concetto di voi, Trifòn Panteleic', - il sagrestano esortava ilsarto. - Anche se nella vostra corporazione siete un artista, non dovete però dimenticar

Dio e la religione. Ario (6) montò in superbia come voi e morì d'una morte ignominiosa.Oh, morrete anche voi! 

- E morirò! Morirò piuttosto che far gabbani! 

- La mia maledizione è qui? - s'udì a un tratto dietro la porta una voce di donna, e nellabettola entrò la moglie di Merkulov, Aksinia, una donna matura con le manicherimboccate e il ventre serrato alla cintola. 

- Dov'è lui, quel grullo? - e girò il suo sguardo indignato sugli avventori. 

- Vieni a casa, che tu possa scoppiare, là un tal ufficiale chiede di te! 

- Che ufficiale? - si meravigliò Merkulov. 

- Il diavolo lo conosce! Dice ch'è venuto per un'ordinazione. 

Merkulov si grattò con tutt'e cinque le dita il grosso naso, il che faceva ogniqualvoltavoleva esprimere estremo stupore, e borbottò:

 

- Questa donna è ammattita... Per quindici anni non ho visto una persona distinta ed'un tratto oggi, in giorno di digiuno, un ufficiale con un'ordinazione! Uhm!... Bisognaandar a vedere...

 

Merkulov uscì dalla bettola e, incespicando, si trascinò a casa... La moglie non l'avevagabbato. Presso la soglia della sua isba egli vide il capitano Urciaiev, segretario dellocale comandante militare. 

- Dove vai a bighellonare? - lo accolse il capitano. - Aspetto da un'ora buona... Puoifarmi una divisa? 

- Vossign... O Signore! - prese a borbottare Merkulov, soffocando e strappandosi dicapo il berretto insieme con un ciuffo di capelli. - Vossignoria! E' forse la prima voltache ne faccio? Ah, Signore! Per il barone Sputsèl ho lavorato... Eduard Karlic'... ilsignor sottotenente Zembulatov mi deve tuttora dieci rubli. Ah! moglie, ma offri dunqueuna sedia a sua signoria, che Dio mi castighi... Ordinate che vi prenda la misura opermettete che lavori a occhio? 

- Su via... Metti tu il panno e che tra una settimana sia pronta... 

Quanto mi prenderai? 

- Per carità, vossignoria... Che dite?-fece un sorrisetto Merkulov.-Io non sono unmercante qualunque. Noi, già, comprendiamo come coi signori... Quando lavorammoper il console di Persia, anche senza parole...

 

Presa la misura al capitano e accompagnatolo alla porta, Merkulov stette un'ora buonain mezzo all'isba a guardar la moglie intontito.

 

Non poteva credere... 

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- Ma che disdetta, dimmi di grazia! - egli brontolò infine. - Dove dunque prenderò i soldiper il panno? Aksinia, dammi un po' tu, mia cara, in prestito quei soldi che tisborsarono per la vacca!

 

Aksinia gli fece cuccù e sputò. Poco dopo ella lavorava di attizzatoio, rompeva dei vasisulla testa del marito, lo tirava per la barba, correva in strada e gridava: «Difendetemi,

chi crede in Dio! 

M'ha ammazzata!... ». Ma a nulla giovarono le sue proteste. La mattina seguente ellagiaceva in letto e nascondeva ai garzoni i suoi lividi, e Merkulov andava per le botteghee, ingiuriando i negozianti, sceglieva il panno adatto.

 

Per il sarto cominciò una nuova era. Svegliandosi al mattino e girando gli occhi torbidisul suo piccolo mondo, egli non sputava più esasperato... E, quel ch'era piùstupefacente di tutto, smise di andare alla bettola e si occupò del suo lavoro. Recitatapiano una preghiera, inforcava i grandi occhiali montati in acciaio, aggrottava le cigliae, come celebrando un rito, spiegava il panno sopra la tavola.

 

Di lì a una settimana la divisa era pronta. Stiratala, Merkulov uscì in strada, l'appese su

una siepe e attese a spolverarla; ne toglieva un peluzzo, si scostava di una tesa,strizzava l'occhio a lungo sulla divisa e tornava a toglierne un peluzzo: e così per unpaio d'ore.

 

- E' un guaio con questi signori! - diceva ai passanti. - Non ne posso più, mi sonostrapazzato! Gente istruita, delicata: va' un po' a contentarli!

 

Il giorno dopo la spazzolatura Merkulov si unse la testa di olio, si pettinò, avvolse ladivisa in una pezza nuova di calicò e si diresse dal capitano.

 

- Non ho tempo di discorrer con te, allocco! - diceva, fermando ogni persona cheincontrava.- Non vedi forse che porto la divisa al capitano?

 

Mezz'ora dopo tornò dalla casa del capitano. 

- Mi rallegro con voi per la riscossione, Trifòn Panteleic', - lo accolse Aksinia, facendoun ampio sorriso e vergognandosi.

 

- Ma che sciocca! - le rispose il marito. - O che i veri signori pagano subito? Non è micaun qualche mercante, da mettersi lì e snocciolarti subito i soldi! Sciocca...

 

Per un paio di giorni Merkulov rimase a giacere sulla stufa, senza bere né mangiare, esi abbandonò al sentimento della soddisfazione di sé, punto per punto come Ercoledopo il compimento di tutte le sue imprese. Al terzo giorno si avviò per riscuotere.

 

- Sua signoria s'è alzata? -bisbigliò, entrando striscioni in anticamera e rivolgendosiall'attendente.

 

E, ricevuta una risposta negativa, si piantò come un palo vicino allo stipite e si mise adaspettare.

 

- Caccialo fuori! Digli che venga sabato! - egli udì, dopo una lunga attesa, la vocerauca del capitano.

 

La stessa cosa udì il sabato, un primo sabato, poi un altro... Per un intero mese andòdal capitano, passò lunghe ore aspettando in anticamera e, invece dei soldi, ricevettel'invito di andarsene al diavolo e di venire il sabato. Ma egli non si abbatteva, non

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mormorava, al contrario... Era perfino ingrassato. Gli piaceva la lunga attesa inanticamera, il «caccialo fuori» sonava ai suoi orecchi come una dolce melodia.

 

- Riconosci subito la persona distinta! - egli s'entusiasmava ogni volta, tornando a casadopo essere stato dal capitano. - Da noi a Piter (7) eran tutti così...

 

Sino alla fine dei suoi giorni avrebbe Merkulov consentito ad andar dal capitano e adattendere in anticamera, se non fosse stato per Aksinia, che pretendeva di riavere idenari sborsatile per la vacca. 

- Hai portato i soldi? - lo accoglieva ogni volta. - No? Ma che fai di me, canearrabbiato? Eh?... Mitka dov'è l'attizzatoio?

 

Una volta verso sera Merkulov veniva dal mercato portando sulla schiena un sacco dicarbone. Dietro a lui si affrettava Aksinia. 

- A casa avrai il fatto tuo! Aspetta, - ella borbottava, pensando al denaro sborsatole perla vacca.

 

Tutt'a un tratto Merkulov si fermò, come inchiodato e mandò un grido di gioia. Dalla

trattoria "Bonumore" davanti alla quale stavan passando, correva fuori a precipizio uncerto signore in cilindro, col naso rosso e gli occhi ebbri: Lo rincorreva il capitanoUrciaiev con la stecca in mano, senza berretto, scarruffato sbrindellato. La sua nuovadivisa era tutta bianca di gesso, una spallina guardava di sbieco.

 

- Ti farò giocar io, baro!-gridava il capitano, agitando furiosamente la stecca easciugandosi sulla fronte il sudore. - T'insegnerò io, arcifurfante, a giocare con la genteperbene! 

- Guarda un po', sciocca! - bisbigliò Merkulov, urtando la moglie nel gomito eridacchiando. - Si vede subito la persona distinta. Se un mercante si fa fare qualcosaper la sua grinta di contadino, non gli va più alla fine, per un dieci anni la porta indosso,e questo qui ha già frustato la divisa! Ce ne vorrebbe una nuova! 

- Va' a chiedergli i soldi! - disse Aksinia. - Va'. 

- Che dici, sciocca? Per via? Ni-ni-ni... 

Per quanto Merkulov facesse resistenza, la moglie lo costrinse ad accostarsiall'infuriato capitano e a parlargli dei soldi. 

- Vattene! - gli rispose il capitano. - M'hai seccato! 

- Io, signoria, capisco... Io, nulla... ma la moglie una creatura irragionevole... Lo sapeteanche voi che senno ci ha in testa il sesso femminile...

 

- M'hai seccato, ti si dice! - ruggì il capitano, sbarrando su di lui due occhi ebbri,

annebbiati. - Vattene! 

- Capisco, signoria! Ma io parlavo riguardo alla donna, perché, vogliate saperlo, sono isoldi della vacca... Una vacca avevamo venduto a padre Iuda...

 

- A-a-ah... vuoi ancora discorrere, verme! 

Il capitano alzò il braccio, e trac! Dalla schiena di Merkulov il carbone si sparpagliò, daisuoi occhi sprizzarono scintille, dalle mani gli cadde il berretto... Aksinia rimase di

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stucco... Per un minuto ella ristette immobile, come la moglie di Lot, trasformata instatua di sale, poi andò avanti e timidamente gettò un'occhiata alla faccia del marito...Con sua grande meraviglia, sul viso di Merkulov aleggiava un sorriso beato, nei suoiocchi ridenti brillavano le lacrime...

 

- Si vedono subito i veri signori! - egli mormorava. - Gente delicata, istruita... Punto per

punto, fu così... in questo stesso posto, quando portavo la pelliccia al barone Sputsèl,Eduàrd Karlic'... Alzò il braccio e trac. E il signor sottotenente Zembulatov pure... Eroandato da lui, e lui balzò su e a tutta forza... Eh, è passato, moglie, il mio tempo! Noncapisci nulla tu! E' passato il mio tempo! 

Merkulov scosse la mano e, raccolto il carbone, si trascinò a casa. 

NOTE: 

1) Capo di polizia distrettuale. 

2) Espressione quasi proverbiale, per indicare il poco conto che si fa di una persona. 

3) Nella gerarchia civile, in ordine ascendente: consigliere di generale, generale egenerale feldmaresciallo.

 

Stato effettivo, consigliere segreto, consigliere segreto effettivo e cancelliere di Stato;in quella militare: maggior generale, tenente.

 

4) Consigliere di Stato. 

5) Nome di un dolce rituale che si mangia nelle commemorazioni funebri, dopo lasepoltura: è usato anche come ingiuria scherzosa contro preti e gente di sagrestia ingenere.

 

6) Il prete Ario, iniziatore della famosa eresia che da lui prese nome e che negaval'eguaglianza delle persone della Trinità, affermando la non divinità del Figlio e la suasubordinazione al Padre, morì scomunicato a Costantinopoli nel 335, dopo che la suadottrina era stata solennemente condannata dal concilio di Nicea nel 325.

 

7) Abbreviazione popolare di "Peterbùrg", Pietroburgo. 

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CRONOLOGIA VIVENTE 

Il salotto del consigliere di Stato Sciaramikin è avvolto in una piacevole penombra. Unagrande lampada con paralume verde tinge di verde "à la" «notte ucraina» (1) pareti,mobili, visi... Ogni tanto nel camino prossimo a spegnersi s'infiamma un ciocco chearde lento e per un attimo inonda i visi d'un bagliore d'incendio, ma ciò non guasta lagenerale armonia delle luci. Il tono generale, come dicono gli artisti, è mantenuto.

 

Davanti al camino, in poltrona, nella posa dell'uomo che ha appena pranzato, è sedutolo stesso Sciaramikin un signore maturo con fedine brizzolate da impiegato statale emiti occhi azzurrini. Sul suo volto è soffusa la tenerezza, le labbra sono atteggiate a unmalinconico sorriso. Ai suoi piedi, con le gambe protese verso il camino e stirandosipigramente, siede su un panchetto il vicegovernatore Lopnev, un brav'uomo, sullaquarantina. Attorno a un pianino (2) si danno da fare i bambini di Sciaramikin: Nina,Kolia, Nadia e Vania. 

Dall'uscio socchiuso che mette nello studio della signora Sciaramikin s'insinua una

timida luce. Là, dietro l'uscio, è seduta alla propria scrivania la moglie di Sciaramikin,Anna Pàvlovna presidentessa del locale comitato di dame, una vivace e piccantedamina, sui trent'anni con giunterella. I suoi occhietti neri, vispi corrono attraverso gliocchiali a molla sulle pagine d'un romanzo francese. Sotto il romanzo giace ilrendiconto squinternato del comitato per l'anno trascorso. 

- Prima la nostra città sotto questo aspetto era più fortunata,dice Sciaramikin,strizzando i suoi occhi miti sulla brace che va consumandosi. - Non un inverno passavasenza che giungesse una qualche stella. Venivano famosi attori e cantanti, ma oggi... ildiavolo sa quel che è! tranne i prestigiatori e i sonatori d'organetto, non arriva nessuno.Nessun godimento estetico... viviamo come in un bosco. Sissignore... E ricordate,eccellenza, quel tragico italiano... come si chiamava?... ed era un bruno, alto... Dio,fammi ricordare... Ah, sì! Luigi Ernesto de Ruggiero. Un talento ragguardevole... Che

forza! Una parola che dicesse, e il teatro andava in visibilio. La mia Aniùtoc'ka pigliavamolto interesse al suo talento. Gli aveva procurato il teatro e venduto i biglietti per diecispettacoli... Lui, in cambio, le insegnava declamazione e mimica. Un uomo d'oro! Eravenuto qui... per non dir bugia... una dozzina d'anni fa... No, sbaglio... Meno, unadecina d'anni... Aniùtoc'ka, quanti anni ha la nostra Nina.

 

- Nove compiuti! - grida dal suo studio Anna Pàvlovna. - Ebbene? 

- Nulla, mammina, domandavo così... Venivano anche dei buoni cantanti... Ricordate iltenore di grazia (3) Prilipcin? Che uomo d'oro! Che esteriore! Un biondo... un viso cosìespressivo, dei modi parigini... E che voce, eccellenza! Un solo guaio: alcune note lecantava col ventre e il «re» lo prendeva in falsetto, ma tutto il resto andava bene.Aveva studiato, diceva, da Tamberlìk... Io e Aniùtoc'ka gli avevamo procurato la sala

del circolo sociale, e per riconoscenza lui soleva cantare per noi intere giornate enottate...

 

Ad Aniùtoc'ka insegnava il canto... Era arrivato, come adesso rammento, in quaresima,un... un dodici anni fa. No, di più... Ma che memoria, il Signore mi perdoni! Aniùtoc'ka,quanti anni ha la nostra Nàdec'ka? 

- Dodici! 

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- Dodici... se si aggiungono dieci mesi... Be', ci siamo, tredici! 

Prima nella nostra città, in certo qual modo, c'era anche più vita... 

Prendiamo, per esempio, non fosse che le serate di beneficenza. Che splendide seratesi facevano una volta da noi! Che incanto! Si cantava, si sonava, si recitava... Dopo la

guerra, ricordo, quando qui c'erano dei prigionieri turchi, Aniùtoc'ka organizzò unaserata a beneficio dei feriti. Raccogliemmo mille e cento rubli... Gli ufficiali turchi,rammento, andavan pazzi per la voce di Aniùtoc'ka e non facevano che baciarle lamano. Eh-eh... Per quanto siano asiatici, è quella una nazione riconoscente. La seratariuscì a tal punto che io lo credete?, rannotai nel diario. Ciò fu, come ora ricordo nelsettantasei... no! nel settantasette... No! Permettete, quando ci furono i turchi da noi?Aniùtoc'ka, quanti anni ha il nostro Kòlec'ka? 

- Io, papà, ho sette anni! - dice Kolia, un frugolino moro dal viso bruno e i capelli nericome il carbone. 

- Sì, siamo invecchiati e non c'è più quell'energia!... - consente Lopnev, sospirando.-Ecco dove sta la cagione... La vecchiaia, "bàtenka" (4)! Nuovi promotori non ce ne

sono, e quelli d'un tempo sono invecchiati... Non c è più quel fuoco. Io, quand'ero unpo' più giovane non avevo piacere che la compagnia si annoiasse... Ero ii primoaiutante della vostra Anna Pàvlovna... Che si avesse da organizzare una serata ascopo benefico, o una lotteria, o da favorire una celebrità di passaggio, piantavo tutto emi mettevo a brigare. Un inverno, ricordo, tanto mi strapazzai a brigare e a correre checaddi perfino malato... Non potrò dimenticar quell'inverno!... Ricordate che spettacoloallestimmo io e la vostra Anna Pàvlovna in pro dei danneggiati dal fuoco?

 

- Ma in quale anno fu ciò? 

- Non è tanto tempo... Nel settantanove... No nell'ottanta, mi pare! 

Permettete, quanti anni ha ii vostro Vania? 

- Cinque! - grida dallo studio Anna Pàvlovna. 

- Be, dunque ciò fu sei anni fa... Sissignore, "bàtenka" si facevan grandi cose! Ora nonè più quello! Non c'è più quel fuoco!

 

Lopnev e Sciaramikin si fanno pensosi. Il ciocco che finisce di ardere s'infiamma perl'ultima volta e si vela di cenere.

 

NOTE: 

1) Secondo la figurazione consacrata da celebri quadri (di Kramskoi, Kuindzi,eccetera), e divenuta quasi convenzionale, del panorama ucraino nelle belle nottiestive, quando l'azzurro cupo del cielo si fonde col verde lussureggiante dellacampagna.

 

2) I russi, e i francesi, chiamano così il piano a corde verticali. 

3) L'espressione "tenore di grazia" è in italiano nel testo. 

4) Forma analogo ed equivalente a "bàtiuska". 

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IL PUNTO ESCLAMATIVO 

(RACCONTO DI NATALE)  

La notte prima di Natale Jefim Fomic Parekladin, segretario di collegio, si coricòimpermalito e persino offeso.

 

- Spicciati demonio! - ruggì con ira contro la moglie allorché questa domandò perchéfosse così accigliato.

 

Il fatto è che egli era appena tornato da una serata dov'erano state dette molte cosesgradevoli ed offensive per lui. Dapprima s'eran messi a parlare dei vantaggidell'istruzione in genere, poi inavvertitamente eran passati al grado culturale dei signoriimpiegati, al qual proposito erano state formulate molte lamentele, rimproveri e perfinderisioni circa il suo basso livello. E qui come usa in tutte le brigate russe, dagliargomenti generali eran passati ai casi personali.

 

- Prendiamo per esempio, non fosse che voi, Jefìm Fomìc', - si era rivolto a Perekladinun giovinetto.-Voi occupate un posto decoroso,... ma che istruzione avete ricevuto?

 

- Nessuna. Né da noi si esige istruzione, -aveva risposto con dolcezza Perekladin. -Scrivi correttamente, ed ecco tutto.

 

- Ma dove mai imparaste a scrivere correttamente? 

- Mi ci abituai... In quarant'anni di servizio ci si può far la mano... Certo sul principio eradifficile, facevo degli sbagli, ma poi mi abituai... e non c'è male...

 

- E i segni d'interpunzione? - Anche per i segni d'interpunzione non c'è male... 

- Uhm... - si confuse il giovinetto. - Ma l'abitudine è tutt'altra cosa dall'istruzione. Nonbasta che i segni d'interpunzione li poniate correttamente... non basta. Bisogna porliconsapevolmente! Voi mettete una virgola e dovete aver coscienza del perché lamettete... 

sissignore! E questa vostra ortografia incosciente... di carattere riflesso non valnemmeno un centesimo. E' produzione meccanica e nulla più. 

Perekladin aveva taciuto e perfin sorriso mansuetamente (il giovinetto era figlio d'unconsigliere di Stato e aveva diritto lui stesso al grado della decima classe) (1), maadesso, coricandosi, egli s'era fatto tutto sdegno e rabbia.

 

«Ho servito per quarant'anni», pensava, «e nessuno mai mi ha dato dell'imbecille, e lìguarda un po' che critici si son trovati!

 

Incoscientemente!... In modo riflesso! Produzione meccanica... Ah, che il diavolo tiporti! Ma io forse ci capisco anche più di te, per quanto non sia stato nelle tueuniversità!.» Dopo avere mentalmente riversato sul critico tutte le contumelie a lui noteed essersi scaldato sotto la coperta, Perekladin cominciò a calmarsi.

 

«Io so... capisco... », pensava, addormentandosi. Non metterò i due punti là dove civuole la virgola, dunque son consapevole, capisco.

 

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Dio, fammi ricordare. Uhm!». 

Perekladin aprì gli occhi e si girò sull'altro fianco. Ma non fece in tempo a richiuder gliocchi, che sul fondo scuro comparvero nuovamente i punti esclamativi.

 

«Il diavolo li porti... Quando mai bisogna metterli?», pensò, cercando di scacciare dalla

sua immaginazione i non richiesti ospiti. 

«Possibile che l'abbia dimenticato? O l'ho dimenticato, oppure... non ne ho mai messi...».

 

Perekladin prese a rammentarsi il contenuto di tutte le carte ch'egli aveva scrittodurante i quarant'anni del suo servizio; ma per quanto pensasse, per quantocorrugasse la fronte, non trovò nel suo passato nemmeno un punto esclamativo.

 

«Che disdetta! Ho scritto per quarant'anni e neppure una volta ho collocato un puntoesclamativo... Uhm! Ma quando dunque si colloca, quel diavolo lungo? ».

 

Di dietro la fila degl'infocati punti esclamativi si mostrò il grugno perfidamente ridentedel giovane critico. Gli stessi punti sorrisero e si fusero in un solo grande punto

esclamativo. 

Perekladin scosse il capo e aprì gli occhi. 

«Il diavolo sa quel che è... -, pensò. - Domani bisogna alzarsi per il mattutino, e a menon esce di capo questa diavoleria... Poh! Ma...

 

quando mai si mette? Eccoti l'abitudine! Ecco come ti sei fatto la mano! In quarant'anninemmeno un punto esclamativo! Eh?».

 

Perekladin si fece il segno di croce e chiuse gli occhi ma subito li riaprì; sul fondo scurostava tuttora il grosso punto esclamativo...

 

«Poh! A questo modo non ti addormenterai in tutta la notte».- Marfuscia! - si rivolse asua moglie, che spesso si vantava con lui d'aver terminato i corsi in collegio. - Non saitu, anima mia, quando si colloca nelle carte ii punto esclamativo? 

- E come non saperlo! Non per nulla studiai sette anni in collegio. So a memoria tutta lagrammatica. Questo segno si colloca nelle apostrofi, nelle esclamazioni e nelleespressioni di entusiasmo, di sdegno, di gioia, di collera e di altri sentimenti... ».

 

«Ah, così... », pensò Perekladin. «Entusiasmo, sdegno, gioia, collera e altrisentimenti... », Il segretario di collegio si fece pensoso... Per quarant'anni aveva scrittocarte, ne aveva scritto delle migliaia, decine di migliaia, ma non ricordava nemmeno unrigo che esprimesse entusiasmo, sdegno o qualcosa del genere.

 

«E altri sentimenti... » pensava. «Ma forse che nelle carte son necessari i

sentimenti?Può scriverle anche una persona insensibile...». 

Il grugno del giovane critico tornò ad affacciarsi dietro al punto infocato e sorriseperfidamente. Perekladin si sollevò a sedere sul letto. La testa gli doleva, sulla frontegli era spuntato un sudore freddo... in un canto ardeva tenue, carezzevole, il luminodell'icona, i mobili avevano un'aria festiva, linda, da ogni cosa addirittura spirava caloree presenza d'una mano femminile, ma il povero impiegatuccio sentiva freddo,sconforto, come se si fosse ammalato di tifo. Il punto esclamativo non si drizzava più

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nei suoi occhi chiusi, ma davanti a lui, nella camera, presso la specchiera della moglie,e gli ammiccava beffardamente...

 

- Macchina scrivente! Macchina! - sussurrava il fantasma, soffiando sull'impiegato unfreddo secco. - Pezzo di legno insensibile!

 

L'impiegato si coprì con la coperta, ma anche sotto la coperta vide il fantasma;appoggiò il viso alla spalla della moglie, e anche di dietro quella spalla spuntava lastessa cosa... Tutta la notte si tormentò il povero Perekladin, ma anche di giorno ilfantasma non lo lasciò. Egli lo vedeva dappertutto: negli stivali che infilava, nel piattinodel tè, nella croce di Stanislao...

 

«E altri sentimenti... » -, pensava. - «E' vero che non ci fu mai alcun sentimento... Oraandrò dai superiori a metter la firma... forse che ciò si fa con sentimento? Così, acasaccio... Macchina da far gli auguri... ».

 

Quando Perekladin uscì in strada e chiamò una vettura, gli parve che, in luogo dellavettura, gli rotolasse incontro il punto esclamativo.

 

Giunto nell'anticamera del superiore, invece dello svizzero vide quello stesso segno...E tutto ciò gli parlava di entusiasmo, di sdegno, di collera... Il portapenne col penninoaveva pure l'aspetto d'un punto esclamativo. Perekladin lo prese, intinse il penninonell'inchiostro e firmò:

 

«Segretario di collegio Jefim Perekladin!!!». 

E collocando questi tre segni, egli provava entusiasmo, indignazione, gioia e ribolliva dicollera. 

- To' questo! To' questo! - mormorava, premendo sul pennino. 

Il segno infocato fu pago e scomparve. 

NOTE: 

1) Quello cioè, contando dall'alto, di segretario di collegio. 

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EH, IL PUBBLICO! 

- Basta, non berrò più!... Per... per nulla al mondo! E' tempo ormai di metter giudizio.Bisogna lavorare, darsi da fare... Ti piace ricever lo stipendio, lavora dunqueonestamente, con zelo, in coscienza, noncurante della quiete e del sonno. Smetti digingillarti... Ti sei avvezzato, caro, a riscuoter lo stipendio per nulla, e questo ecco, nonè bene... non è bene...

 

Fattosi alcuni predicozzi consimili, il capotreno Podtiaghin comincia a sentireun'invincibile aspirazione al lavoro. E' già l'una di notte passata, ciò nonostante eglisveglia i controllori e insieme con essi va per le carrozze a verificare i biglietti.

 

- I vvostri... biglietti!-egli grida, facendo allegramente schioccar le pinze. 

Figure assonnate, avvolte nella penombra della carrozza, sussultano, scuotono il capoe porgono i loro biglietti.

 

- I vvostri.. biglietti! - si rivolge Podtiaghin a un passeggero di seconda classe, un uomoscarno avviluppato in pelliccia e coperta e circondato da guanciali. - I vvostri... biglietti! 

L'uomo dalle vene grosse non risponde. E' immerso nel sonno. Il capotreno lo tocca inuna spalla e ripete impaziente:

 

- I vvostri... biglietti. 

Il passeggero sussulta, apre gli occhi e guarda sgomento Podtiaghin. 

- Che cosa? Chi? eh? 

- Vi si dice in linguaggio umano: i vvostri... biglietti! Da-a-tevi la briga! 

- Dio mio!-geme l'uomo dalle vene grosse facendo un viso piagnucoloso. - O Signore,Dio mio! Soffro di reumatismi... per tre notti non ho dormito, apposta ho preso lamorfina per addormentarmi, e voi... ce l'avete col biglietto! Ma questo è spietato,inumano! Se sapeste come mi è difficile prender sonno, non mi avreste incomodato peruna simile bazzecola... E' spietato, assurdo! E che bisogno avete del mio biglietto? E'perfino sciocco!

 

Podtiaghin pensa se ha da offendersi o no, e risolve di offendersi. 

- Voi qui non gridate! Questa non è una bettola! - dice. 

- Ma alla bettola la gente è più umana...-e il passeggero tossisce. - Ho voglia io adessodi addormentarmi una seconda volta!

 

E cosa stupefacente: ho viaggiato dappertutto all'estero e là nessuno mi chiedeva ilbiglietto invece qui, come se il diavolo li spingesse sotto il gomito, non si fa altro, non sifa altro!...

 

- Be', allora andate all'estero, se là vi trovate bene. 

- E' una cosa sciocca, signore! Sì! Non basta che facciano morire i passeggeri colfumo, con l'afa e le correnti d'aria vogliono anche, che il diavolo lo porti, accopparli col

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insolentisce». 

Un'altra stazione. Il treno si ferma dieci minuti. Prima del secondo segnale, mentePodtiaghin sta in piedi vicino al ristoro e beve dell'acqua di seltz, gli si accostano duesignori, uno in divisa d'ingegnere, l'altro in cappotto militare.

 

Sentite, capotreno! si rivolge l'ingegnere a Potdiaghin. - Il vostro contegno verso unpasseggero malato ha indignato tutti i presenti. Io sono l'ingegnere Pusitski, ed ecco...il signor colonnello. Se voi non vi scuserete col passeggero, presenteremo un reclamoal capo del movimento, nostra comune conoscenza.

 

- Signori, ma se io... ma se voi... - s'intimorì Podtiaghin. 

- Non ci occorrono spiegazioni. Ma vi avvertiamo che, se non vi scuserete, noiprenderemo il passeggero sotto la nostra protezione. 

- Bene, io... io, sia pure, mi scuserò... Come volete... 

Di lì a mezz'ora Podtiaghin, escogitata una frase di scusa che soddisfi il passeggero enon sminuisca la sua dignità, entra nella carrozza.

 

- Signore! - si rivolge al malato. - Ascoltate, Signore! 

Il malato sussulta e balza in piedi. 

- Che cosa? 

- Io, già.. come dire?... Non offendetevi... 

- Oh... dell'acqua... - ansima il malato, afferrandosi il cuore. - Ho preso la terza dose dimorfina, mi sono assopito e... di nuovo!

 

Dio, quando mai finirà una buona volta questa tortura? 

- Io, già... Scusate... 

- Sentite... Fatemi scendere alla prossima stazione... Non sono in grado di sopportaroltre... Io... io muoio...

 

- Ciò è vile, ignobile! - si rivolta il pubblico. - Alzate i tacchi da qui! Una simile presa ingiro la pagherete! Fuori!

 

Podtiaghin fa un gesto con la mano, sospira e esce dalla carrozza. Va nella vettura diservizio, si mette a sedere esausto davanti alla tavola e si lagna:

 

- Eh, il pubblico! Ecco, cercate di compiacerlo! Ecco. cercate di fare il vostro servizio, didarvi da fare. Per forza forza sputi su tutto e ti dai a bere... Non fai nulla: si arrabbiano,ti metti a fare: si arrabbiano pure... Bere!

 

Podtiaghin vuota in una volta una mezza bottiglia e più non pensa al lavoro, al doveree all'onestà.

 

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LA LOTA 

Mattino estivo. Nell'aria c'è silenzio; solo una cavalletta stride ogni tanto sulla riva e inqualche posto timidamente brontola un aquilotto. Nel cielo stanno immobili delle nubi

piumose, simili a neve sparpagliata... Vicino al bagno in costruzione, sotto le verdifronde di un salcio, si dibatte nell'acqua il carpentiere Gherassim, un contadino alto,scarno, dalla testa rossa ricciuta e il viso irto di peli. Egli sbuffa, riprende fiato e,strizzando fortemente gli occhi, si sforza di tirar fuori qualcosa di sotto le radici delsalcio. La sua faccia è coperta di sudore. A una tesa da Gherassim, nell'acqua fino allagola, sta il carpentiere Liubìm, un giovane contadino gobbo dal viso triangolare e gliocchietti stretti, da cinese. Entrambi, Gherassim come Liubìm, sono in camicia emutande. Sono illividiti dal freddo, perché ormai da più d'un'ora stanno nell'acqua...

 

- Ma tu perché tasti sempre con la mano? - grida il gobbo Liubìm, tremando come nellafebbre. - Testa di cavolo che sei! Tu tienila, tienila, se no scapperà, la maledetta!Tienila, dico! 

- Non scapperà... Dove dovrebbe scappare? S'è cacciata sotto le radici... - diceGherassim con voce arrochita, sorda di basso, che viene non dalla laringe, ma dalprofondo del ventre. - E' viscida, questa diavola, e non si sa per che cosa acchiapparla.

 

- Tu chiappala per le branchie, per le branchie!  

- Non si vedon le branchie... Aspetta, l'ho acchiappata per qualche cosa... Per il labbrol'ho acchiappata... Morde, questa diavola! 

- Non tirarla per il labbro, non tirarla: la lascerai andare! Per le branchie acchiappala,per le branchie acchiappala! Di nuovo s'è messo a tastar con la mano! Ma checontadino senza cervello, perdonami, Regina dei Cieli! Chiappala!

 

- "Chiappala"... - lo contraffà Gherassim. - Che comandante s'è trovato!... Dovresti

venire e acchiapparla tu stesso, diavolo gobbo... 

Perché stai lì? 

- Io l'avrei acchiappata, se fosse stato possibile... O che, con la mia bassa corporatura,si può stare in piedi sotto la riva? Lì è profondo! 

- Non fa nulla che sia profondo... Tu a nuoto... 

Il gobbo agita le braccia, nuota verso Gherassim e si aggrappa ai rami. Ma al primotentativo di mettersi in piedi, va con la testa sott'acqua e manda fuori delle bolle d'aria.

 

- Lo dicevo ch'è profondo! - egli dice, rotando con ira il bianco degli occhi. - Monto sulcollo a te, eh?

 

- E tu sali sopra una radice... Di radici ce n'è molte, come una scala... 

Il gobbo tasta col tallone una radice e, aggrappatosi saldamente ad alcuni rami ad untempo, ci sale sopra... Equilibratosi bene e consolidatosi nella nuova posizione, sicurva e, cercando di non ingerire acqua, comincia con la mano destra a frugare tra leradici.

 

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Jefìm per un minuto strizza il suo occhio sui pescatori, poi si toglie i "lapti" (1), getta giùdalle spalle un sacchetto e si leva la camicia. Di togliersi le mutande non ha pazienza,segnatosi, bilanciando le braccia magre, scure, entra in mutande nell'acqua...

 

Per una cinquantina di passi procede sul fondo melmoso, ma poi si butta a nuoto. 

- Aspettate, ragazzi! - grida. - Aspettate! Non tiratela fuori a casaccio, la lasceretescappare. Bisogna saper fare!...

 

Jefìm si unisce ai carpentieri, e tutt'e tre, urtandosi l'un l'altro coi gomiti e coi ginocchi,sbuffando e imprecando, si pigiano nello stesso punto... Il gobbo Liubìm inghiotteacqua e l'aria echeggia di una tosse aspra, convulsa.

 

- Dov'è il pastore?- si sente un grido dalla riva - Jefì-ìm! 

Pastore! Dove sei? L'armento è entrato in giardino! Caccialo, caccialo dal giardino!Caccialo! Ma dov'è dunque, il vecchio brigante?

 

Si odono voci maschili, poi una femminile... Di dietro il cancello del giardino padronalesi mostra il padrone Andréi Andreic' in veste da casa di seta persiana e con un giornale

in mano... Egli guarda interrogativamente dalla parte delle grida che giungono dalfiume, e poi trotterella rapido verso il bagno...

 

- Che c'è qui? Chi bercia? - domanda severamente avendo scorto attraverso i rami delsalcio le tre teste bagnate del pescatori. - Perché vi affannate qui?

 

- Un pe... un pesce acchiappiamo... - balbetta Jefìm senz'alzare il capo. 

- Te lo darò io il pesce! L'armento è entrato in giardino, e lui: un pesce!... Ma quandosarà finito il bagno diavoli? Son due giorni che lavorate, e dov'è il vostro lavoro? 

- Sa... sarà finito... - gracchia Gherassim. - L'estate è lunga, farai ancora in tempo,signoria, a lavarti... Brrr... In nessun modo qui possiamo venir a capo d'una lota... S'è

cacciata sotto una radice ed è come in una tana: non va né su né giù... 

- Una lota? - domanda il padrone e i suoi occhi si fanno lustri. - Allora tiratela fuori allasvelta!

 

- Poi ci darai un mezzo rubletto... Ti serviremo da amici se... Una lota enorme, che latua mercantessa... Vale, signoria, un mezzo rublo... per le fatiche. Non brancicarla,Liubìm, non brancicarla, se no la farai morire! Spingi dal basso! Tira un po' la radiceall'insù brav'uomo... come ti chiami? All'insù, e non all'ingiù diavolo! Non agitate legambe! 

Passano cinque minuti, dieci... Il padrone non ne può più dall'impazienza. 

- Vassili! - grida, voltandosi verso la casa padronale. - Vaska! 

Chiamatemi Vassili! 

Accorre il cocchiere Vassili. Sta masticando qualcosa e respira pesantemente. - Scendiin acqua, - gli ordina il padrone,- aiutali a tirar fuori la lota... Non possono tirar fuori unalota! 

Vassili si spoglia rapidamente e scende in acqua. 

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- Io subito... - borbotta. - Dov'è la lota? Io subito... Faremo questo in un batter d'occhio!E tu dovresti andartene. Jefìm! Qui, vecchio, non hai da mischiarti negli affari altrui!Che lota c'è qui?

 

Io subito... Eccola! Lasciate andar le mani! 

- E perché: lasciate andare le mani? Lo sappiamo anche noi: lasciate andar le mani! Etu tirala fuori!

 

- Ma è forse così che la tirerai fuori? Bisogna prenderla per la testa! 

- E la testa è sotto la radice! E' Cosa nota, stupido! 

- Be', non ingiuriare, se no ne vola una! Marmaglia! 

- In presenza dei signor padrone e simili parole...-balbetta Jefìm.- Non la tirerete fuori,fratelli! Troppo destramente s'è ficcata lì!

 

- Aspettate un momento, io subito... - dice il padrone e comincia frettoloso a svestirsi. -Siete in quattro imbecilli, e non potete tirar fuori la lota!

 

Svestitosi, Andréi Andreic' si lascia freddare un poco ed entra in acqua. Ma anche ilsuo intervento non approda a nulla.

 

- Bisogna tagliar la radice! - conclude infine Liubìm. Gherassim, va' a prender la scure!Date qui una scure!

 

- Non tagliatevi le dita! - dice il padrone, quando si odono i colpi sott'acqua della scurecontro la radice. - Jefìm, vattene di qua!

 

Aspettate, io tirerò fuori la lota... Voi non... 

La radice è stata tagliata dal disotto. La sforzano un poco, e Andréi Andreic', con granpiacere, sente che le sue dita penetrano sotto le branchie della lota.

 

- La sto tirando, fratelli! Non affollatevi... state fermi... la sto tirando! 

Alla superficie compare la grossa testa della lota e, dopo di essa, il corpo nero, lungoun "arscìn". La lota rigira pesantemente la coda e cerca di sfuggire.

 

- Tu scherzi... Non ce la fai, cara. Ci sei cascata? Ah-ah! 

Su tutte le facce si effonde un sorriso di miele. Un minuto trascorre in silenziosacontemplazione.

 

- Una lota coi fiocchi! - balbetta Jefìm, grattandosi sotto le clavicole. - Sarà, penso, unadecina di libbre...

 

- E già... - consente il padrone.-il fegato le palpita addirittura. Come spinto dal didietro.A... ah!

 

La lota ad un tratto inaspettatamente fa con la coda un brusco movimento all'insù e ipescatori sentono un forte tonfo... Tutti allargano le mani, ma è troppo tardi: la lota, chil'ha vista l'ha vista.

 

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NOTE: 

1)Le rozze scarpe di corteccia o di fibra vegetale del contadino russo. 

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IL CAMALEONTE 

Attraverso la piazza del mercato va il commissario rionale di polizia Ociumielov incappotto nuovo e con un fagottino in mano. Dietro a lui cammina una guardia daicapelli rossicci con un setaccio colmo fino all'orlo di uva spina sequestrata. All'ingirosilenzio... Sulla piazza non un'anima... Le porte aperte delle botteghe e delle bettoleguardano tristemente il mondo creato, come fauci affamate; accanto ad esse non cisono neppur mendicanti.

 

- E così tu mordi, maledetto! - ode a un tratto Ociumielov. - Ragazzi, non lasciateloscappare! Oggidì è proibito mordere! Tienlo!

 

A... ah! 

Si sente uno strillo canino. Ociumielov guarda da un lato e vede che dal deposito dilegna del mercante Piciughin, saltando su tre zampe e voltandosi indietro, corre via uncane. Lo rincorre un uomo in camicia di percalle inamidata e panciotto sbottonato. Gli

corre dietro e, sporgendosi col corpo in avanti, cade a terra e afferra il cane per lezampe posteriori. Si sente un secondo guaito e il grido: «Non lasciarlo andare!». Dallebotteghe si affacciano fisonomie assonnate e ben presto vicino al deposito di legna,come spuntata di sotterra, si raduna una folla. 

- Qualche disordine, pare, signoria!... - dice la guardia. 

Ociumielov fa un mezzo giro a sinistra e va verso l'assembramento. 

Proprio vicino al portone del deposito vede che sta l'uomo sopra descritto e, levando inalto la mano destra, mostra alla folla un dito insanguinato. Sulla sua faccia semiebbrapar che sia scritto: «Ora ti stronco, furfante!», e anche il dito stesso ha l'aspetto d'unsegno di vittoria. In quest'uomo Ociumielov riconosce l'orefice Chriukin. Al centro dellafolla. Con le zampe anteriori divaricate e tremante in tutto il corpo, è accovacciato alsuolo l'autore dello scandalo in persona: un cucciolo bianco di levriero dal musoaguzzo e con una macchia gialla sul dorso. Nei suoi occhi lacrimosi è un'espressioned'angoscia e di sgomento. 

- Che cosa succede qui? - domanda Ociumielov, fendendo la folla. - Perché questo?Perché mostri il dito?... Chi ha gridato? 

- Io vado, signoria, e non tocco nessuno... - comincia Chriukin, tossendo nella mano, -sto parlando della legna con Mitri Mitric', e tutt'a un tratto questo vigliacco, che è chenon è, mi morde il dito... Voi mi scuserete, io sono un uomo che lavora... Il mio è unlavoro minuto. Bisogna che m'indennizzino, perché io con questo dito forse per unasettimana non farò un movimento... Anche nella legge, signoria, non sta scritto che dauna bestia si debba tollerare... Se ognuno potrà mordere, sarà meglio neppur vivere al

mondo... 

- Uhm!... Bene... - dice Ociumielov severamente tossendo e movendo i sopraccigli.-Bene... Di chi è il cane? Io non la lascerò così. 

V'insegnerò a lasciar liberi i cani! E' ora di rivolger l'attenzione a simili signori che nonvogliono sottostare alle disposizioni! Quando gli daranno una multa, al mascalzone,imparerà da me che cosa voglion dire i cani e le altre bestie randagie! Gli farò vederio!... Eldirin, - si rivolge il commissario alla guardia, - cerca di sapere di chi è il cane e

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- E qui non c'è da far tante domande, - dice Ociumielov. - E' un cane randagio! Non C'èda far lunghi discorsi... Se ho detto ch'è randagio, vuol dire ch'è randagio...Sopprimerlo, ecco tutto.

 

- Non è nostro, - continua Prochor.-E' del fratello del generale, ch'è arrivato l'altrogiorno. Il nostro non è amante dei levrieri. Suo fratello ci ha passione... - Ma che è

arrivato suo fratello? Vladimir Ivanic'? - domanda Ociumielov, e tutta la sua faccias'inonda d'un sorriso d'intenerimento.-Guarda un po', Signore! E io che non lo sapevo!E' venuto in visita per un po' di tempo?

 

- In visita... 

- Guarda un po', Signore!... Sentiva la mancanza del fratello... E io nemmeno losapevo! Così questo è il suo cagnolino? Molto piacere... 

Prendilo... Il cagnuzzo non è male... E' così vispo... Ha dato un morso a costui nel dito!Ah-ah-ah!... Su via, perché tremi? Rrr... 

Rr... Si arrabbia il briccone... è un tal cagnetto... 

Prochor chiama il cane e s'allontana con esso dal deposito di legna... 

La folla ride forte di Chriukin. 

- Arriverò ancora fino a te! - lo minaccia Ociumielov-e, chiudendosi nel cappotto,continua il suo cammino per la piazza del mercato.

 

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UNA CALUNNIA 

L'insegnante di calligrafia Serghéi Kapitonic' Achineiev dava in sposa la sua figliuolaNatalia all'insegnante di storia e geografia Ivàn Petrovic' Losciadinich. Il trattenimentonuziale filava liscio come un olio. In sala si cantava, si sonava, si danzava. Per lestanze, come invasati, correvano avanti e indietro i domestici presi a nolo al circolo, inmarsine nere e cravatte bianche sudicie. C'era chiasso e vocio. L'insegnante dimatematica Taràntulov, il francese Padekuà e il più giovane revisore della corte deiconti Jegòr Venediktic' Mzda, seduti in fila sul divano, affrettandosi e interrompendosi avicenda, raccontavano agli ospiti dei casi di seppellimento di vivi ed esprimevano laloro opinione sullo spiritismo. Tutti e tre non credevano nello spiritismo, maammettevano che in questo mondo ci son molte cose che la mente umana nonpenetrerà mai. In un'altra stanza l'insegnante di letteratura Dodonski spiegava agliospiti i casi in cui la sentinella ha il diritto di sparare su chi passa. Le conversazionierano, come vedete, paurose, ma assai piacevoli. Dal cortile curiosavano alle finestredelle persone che, per la loro condizione sociale, non avevano il diritto di entrar dentro. 

A mezzanotte in punto il padron di casa Achineiev andò in cucina a vedere se tuttofosse pronto per la cena. In cucina dal pavimento al soffitto era sospeso un fumocostituito dagli effluvi d'oca, d'anatra e numerosi altri. Su due tavole eran distribuiti edisposti in artistico disordine gli attributi del servizio d'antipasti e aperitivi. Intorno alletavole si affaccendava la cuoca Marfa, una donna rossa con doppio ventre serrato allacintola.

 

- Fammi un po' vedere lo storione, "màtuska"! - disse Achineiev, fregandosi le mani eleccandosi le labbra.

 

- Ma che odore, che zaffata! Mi mangerei addirittura tutta la cucina! 

Su dunque, fa' vedere lo storione! 

Marfa s'avvicinò a un panchetto e cautamente sollevò un foglio di giornale unto. Sottoquesto foglio, in un piatto enorme, riposava un grosso storione in gelatina, screziato dicapperi, olive e carotine.

 

Achineiev guardò lo storione e fece un «ah!». Il viso gli raggiò, gli occhi sistrabuzzarono. Egli si chinò ed emise con le labbra il suono d'una ruota non lubrificata.Dopo un po' di sosta, schioccò le dita dal piacere e fece un altro schiocco con lelabbra.

 

- Oibò! Il suono di un ardente bacio... Con chi ti stai qui baciando, Marfuscia?-s'udì unavoce dalla stanza attigua, e sull'uscio comparve la testa rapata dell'aiuto deisorveglianti di classe, Vankin.-Con chi facevi questo? A-a-ah... molto piacere! ConSerghéi Kapitonic'! Bel nonno, non c'è che dire! Un "tete-à-tete" con una "polacca (1)"da donna!

 

- Io non ho baciato nessuno, - si confuse Achineiev - chi te l'ha detto, stupido? Son ioche... ho schioccato le labbra riguardo... a proposito del piacere... Alla vista del pesce...

 

- Raccontalo ad altri! 

La faccia di Vankin fece un largo sorriso e scomparve dietro l'uscio. 

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Achineiev arrossì. 

«Il diavolo sa quel che è», pensò. «Ora andrà, il mascalzone, a far pettegolezzi.M'infamerà per tutta la città, l'animale...» Achineiev entrò timidamente in sala e guardòin tralice da un lato: dov'era Vankin? Vankin stava accanto al pianoforte e, piegatosicon bravura, bisbigliava qualcosa alla cognata dell'ispettore che rideva.

 

«Di me sta parlando!», pensò Achineiev. «Di me, che possa scoppiare! E quella cicrede... ci crede! Ride! O Dio mio! No, così non si può lasciar la cosa... no... Bisogneràfare in modo che non gli credano...

 

Parlerò con tutti loro e gli farò far la figura dell'imbecille pettegolo». 

Achineiev si grattò e, senza cessar di confondersi, si avvicinò a Padekuà. 

- Dianzi ero in cucina e davo disposizioni riguardo alla cena, - diss'egli al francese. - Avoi, lo so, piace il pesce, e io ci ho, "Bàtenka", un certo storione! Lungo due arscini! Eh-eh-eh!... Sì, a proposito... già me ne dimenticavo... In cucina poco fa, con quellostorione... un vero aneddoto! Entro poco fa in cucina e voglio osservar le vivande...Guardo lo storione e dal piacere... per l'odore piccante faccio uno schiocco con lelabbra! Ma in quel momento entra a un tratto quest'imbecille di Vankin e dice... ah-ah-ah!... e dice: «O- o-oh... vi baciate qui?» Con Marfa, con la cuoca! Che cosa è andato apensare, lo sciocco! Quella donna non ha grazia né garbo, somiglia a ogni sortad'animali, e lui... baciarla! Stravagante! 

- Chi stravagante? - domandò Taràntulov che s'era avvicinato. 

- Ma eccolo lì, Vankin! Entro in cucina... 

E raccontò di Vankin. 

- M'ha fatto ridere lo stravagante! Ma secondo me è più piacevole baciare un canbarbone che Marfa, - soggiunse Achineiev, che si voltò a guardare e vide dietro a sé

Mzda. 

- Stiamo parlando di Vankin, - gli disse. - Uno strambo! Entra in cucina, mi vede alfianco di Marfa, e avanti a immaginare varie facezie. «Che cosa?», dice, «vi baciate?».Ubriaco com'è, gli era parso. E io, dico, bacerò piuttosto un tacchino che Marfa. E poiho anche moglie, dico, imbecille che sei. M'ha fatto ridere!

 

- Chi vi ha fatto ridere?-domandò il prete insegnante di religione, avvicinatosi adAchineiev. 

- Vankin. Me ne sto, sapete, in cucina e guardo lo storione... 

E così via. Di lì a forse mezz'ora tutti gli ospiti già sapevano della storia di Vankin edello storione.

 

«Adesso glielo racconti pure!», pensava Achineiev, fregandosi le mani. 

«Racconti pure!». Lui comincerà a raccontare, e io subito: «Smettila, imbecille, di dirscempiaggini! Sappiamo già tutto!». 

E Achineiev si tranquillò al punto che, dalla gioia, vuotò quattro bicchierini di troppo.Accompagnati dopo cena i giovani sposi nella loro camera, egli si ritirò e s'addormentòcome un bimbo di nulla colpevole, e il giorno dopo più non ricordava la faccenda dello

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storione. Ma, ahimè! L'uomo propone e Dio dispone. La mala lingua aveva fatto lamala opera sua, e nulla giovò ad Achineiev la sua astuzia! Dopo una settimana giusta,e precisamente il mercoledì dopo la terza lezione, mentre Achineiev stava in mezzoalla sala degli insegnanti e parlava delle viziose tendenze dell'allievo Vissekin, gli siavvicinò il direttore e lo chiamò in disparte. 

- Ecco che è, Serghéi Kapitonic', - disse il direttore. Scusate... 

Non è affar mio, ma tuttavia devo farvi capire... E' mio dovere... 

Vedete, corrono voci che voi vivete con quella... con la cuoca... Non è affar mio, ma...Vivete con lei, baciatevela... fate quel che volete, soltanto, per favore, non cosìpubblicamente! Vi prego! Non dimenticate che siete un educatore!

 

Achineiev si sentì gelare e restò di stucco. Come punto da tutto uno sciame d'api ad untempo e come annaffiato con acqua bollente, andò a casa. Andava a casa e gli parevache l'intera città lo guardasse, come se fosse spalmato di catrame... A casa loattendeva un nuovo guaio.

 

- Come va che non ingozzi niente? - gli domandò a pranzo la moglie.  

- A che cosa ti sei messo a pensare? Pensi agli amoretti? Senti la mancanza diMarfuska? Tutto mi è noto, maometto (2)! Della brava gente mi ha aperto gli occhi! U-u-uh... bbarbaro!

 

E giù un ceffone sulla sua guancia!... Egli s'alzò da tavola e, senza sentirsi la terrasotto i piedi, senza berretto né pastrano, si trascinò da Vankin. Lo trovò in casa.

 

- Sei un farabutto tu! - si rivolse Achineiev a Vankin. - Per che cosa m'hai infangatodavanti a tutto il mondo? Per che cosa m'hai lanciato una calunnia?

 

- Che calunnia Che andate a inventare!  

- E chi ha spettegolato dicendo che ho baciato Marfa? Non sei tu, mi dirai? Non sei tu,brigante? 

Vankin prese a batter gli occhi e ad ammiccare con tutte le fibre del suo viso frusto,alzò gli occhi all'immagine e proferì: 

- Che Dio mi castighi! Che i miei occhi possano scoppiare e io restare stecchito, se hodetto anche solo una parola di voi! Che io non abbia più né letto né tetto! Sarebbe pocoil colera!...

 

La sincerità di Vankin era fuori di dubbio. Evidentemente, non era stato lui aspettegolare.

 

«Ma chi è dunque? Chi?», si diede a pensare Achineiev, passando in rassegna nella

sua memoria tutti i propri conoscenti e battendosi in petto. «Chi dunque?». 

- Chi dunque? - domanderemo anche noi al lettore... 

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NOTE: 

1) Sopravveste alla polacca, da uomo o da donna, molto vistosa e marziale, concolletto rigido e alamari.

 

2) Il nome di Maometto è divenuto in Russia, nella forma "machamet", appellativopopolare ingiurioso.

 

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IL FIAMMIFERO SVEDESE 

(RACCONTO POLIZIESCO)  

La mattina del 6 ottobre 1885 si presentò nell'ufficio del commissario di polizia ruraledella seconda sezione del distretto di S. un giovanotto decorosamente vestito edichiarò che il suo padrone, la cornetta della guardia a riposo Mark Ivànovic' Kliausov,era stato ucciso. Facendo tale dichiarazione, il giovanotto era pallido e oltremodoagitato. Le sue mani tremavano e i suoi occhi eran pieni di sgomento.

 

- Con chi ho l'onore di parlare? - gli domandò il commissario. 

- Psekov, l'intendente di Kliausov. Agronomo e meccanico. 

Il commissario e i testimoni (1) giunti sul luogo insieme con Psekov trovarono quantosegue. Vicino all'ala della casa in cui dimorava Kliausov s'affollava una massa di gente.La notizia dell'accaduto era volata con la celerità del lampo per i dintorni, e la gente,

grazie alla giornata festiva, si riversava verso la casa da tutti i villaggi circonvicini. C'erachiasso e vocio. Qua e là s'incontravano delle facce pallide, rosse di pianto. L'usciodella camera di Kliausov fu trovato chiuso. Dall'interno sporgeva la chiave. 

- Evidentemente, i malfattori si sono introdotti da lui per la finestra, - osservò Psekovdurante l'esame dell'uscio. 

Andarono nel giardino, dove riusciva la finestra della camera. La finestra aveva unaspetto tetro, sinistro. Era munita d'una tendina verde, scolorita. Un angolo dellatendina era lievemente accartocciato, il che dava la possibilità di guardar nella camera.

 

- Qualcuno di voi ha guardato per la finestra?-domandò il commissario. 

- Per nulla, signoria, - disse il giardiniere Jefrèm, un piccolo vecchietto canuto con un

viso di sottufficiale a riposo. - S'ha ben altra voglia che di guardare, quando ti tremano iginocchi!

 

- Eh, Mark Ivanic', Mark Ivanic'!-sospirò il commissario. 

guardando la finestra. - Te lo dicevo io che saresti finito male! Te lo dicevo, animacara, - non m'hai dato ascolto! Gli stravizi non menano a bene! 

- Va ringraziato Jefrèm, - disse Psekov, - senza di lui non ce ne saremmo neppuraccorti. A lui per primo venne in mente che qui qualcosa non fosse in regola. Viene dame stamattina e dice: «Ma perché il nostro padrone dorme così a lungo dopo lasbornia? E' un'intera settimana che non esce di camera!». Come mi ebbe detto questo,fu come se qualcuno m'avesse colpito col dorso d'una scure...

 

Subito mi balenò un pensiero... Lui non si faceva vedere da sabato scorso, e oggi èdomenica! Sette giorni: è uno scherzo a dirlo!

 

- Sì, poveretto... - sospirò ancora una volta il commissario. Un ragazzo intelligente,istruito, tanto buono in compagnia, si può dire, il primo degli uomini. Ma un dissoluto, siabbia il regno dei cieli! 

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Io mi aspettavo tutto! Stepàn! - si rivolse il commissario a uno dei testimoni: - passa sulmomento al mio ufficio e manda Andriuska dall'"ispravnik", gli riferisca! Di': "hannoammazzato Mark Ivanic'!".

 

Corri anche dal brigadiere: perché sta là a crogiolarsi? Che venga qui! E tu stessorecati, al più presto possibile, dal giudice istruttore: Nikolài Jermolaic' e digli di venir

qua! Aspetta, gli scriverò una lettera. 

Il commissario dispose delle guardie all'ala della casa. Scrisse la lettera al giudiceistruttore e andò dall'intendente a prendere il tè.

 

Di lì a una decina di minuti era seduto su uno sgabello, mordeva cautamente nel pezzodi zucchero e sorbiva un tè caldo come i carboni ardenti.

 

- Ecco-diceva egli a Psekov. - Ecco... Nobile, ricco... 

beniamino degli dèi, si può dire, come si espresse Puskin, e che n'è venuto fuori?Nulla! Si ubriacava, faceva vita dissoluta e...

 

eccoti!... l'hanno ammazzato. 

Due ore dopo giunse in carrozza il giudice istruttore Nikolài Jermolaievic' Ciubikòv (cosìsi chiama il giudice), un vecchio alto, robusto, sui sessanta, si esercita nella suacarriera ormai da un quarto di secolo. E' noto a tutto il distretto come uomo onesto,intelligente, energico e amante del suo mestiere. Arrivò sul luogo insieme con lui ancheil suo immancabile compagno, aiutante e segretario Diukovski, un giovanotto alto, dicirca ventisei anni.

 

- Ma possibile, signori? - prese a dir Ciubikòv, entrando nella stanza di Psekov estringendo alla svelta la mano a tutti. - Possibile? Mark Ivanic'? L'hanno ucciso? No, èimpossibile! Im-pos-si- bi-le! 

- Guardate un po'... - sospirò il commissario. 

- O Signore Dio mio! Ma se lo vidi la scorsa settimana alla fiera di Tarabànkova! Conlui, scusate, bevvi la vodka!

 

- Guardate un po' - sospirò un'altra volta il commissario. 

Sospirarono, inorridirono, bevvero un bicchiere di tè a testa e andarono verso l'aladella casa. 

- Scostatevi! - gridò il brigadiere alla gente. 

Entrato dentro, il giudice istruttore attese innanzi tutto all'esame dell'uscio che mettevanella camera. L'uscio risultò di pino, dipinto in giallo e intatto. Segni particolari, chepotessero offrire qualche indicazione, non ne furono trovati. Si procedette a forzarlo. 

- Prego, signori, gli estranei di allontanarsi! - disse il giudice istruttore, quando, dopo unlungo battere e lunghi scricchiolii, l'uscio cedette alla scure e allo scalpello. - Pregonell'interesse dell'inchiesta... Brigadiere non lasciate entrar nessuno!

 

Ciubikòv, il suo aiutante e il commissario aprirono l'uscio e, incerti, uno dopo l'altro,entrarono nella camera. Ai loro occhi si presentò il seguente spettacolo. Presso l'unicafinestra stava un gran letto di legno con un'enorme materassa di piume. Sullamaterassa ammaccata giaceva la coperta sgualcita, ammucchiata. Il guanciale in

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federa di percalle, pure fortemente gualcito, era buttato sul pavimento. Su un tavolinodavanti al letto c'erano un orologio d'oro e una moneta d'argento del valore di venticopeche. Stavan lì anche degli zolfanelli. Oltre il letto, il tavolino e un'unica sedia, nonc'era nella camera altra mobilia. Dato uno sguardo sotto il letto, il commissario scorseun paio di decine di bottiglie vuote, un vecchio cappello di paglia e un quarto di vodka.Sotto il tavolino giaceva uno stivale coperto di polvere. Abbracciata con uno sguardo lastanza, il giudice istruttore aggrottò le ciglia e si fece rosso.

 

- Furfanti! - borbottò, stringendo i pugni. 

- Ma dov'è Mark Ivanic'? - domandò piano Diukovski. 

- Vi prego di non immischiarvi! - gli disse rudemente Ciubikòv. - Vogliate osservare ilpavimento! il secondo caso del genere nella mia pratica, Jevgràf Kuzmìc', - si rivolse alcommissario, abbassando la voce - Nel 1870 mi accadde un caso uguale. Ma voi disicuro ricorderete... L'assassinio del mercante Portretov. Là pure fu così. I furfantil'avevano ucciso e avevan portato via il cadavere attraverso la finestra...

 

Ciubikòv si avvicinò alla finestra, tirò da una parte la tendina e spinse cautamente la

finestra. Questa si aprì. 

- Si apre, dunque non era stata chiusa.... Uhm.... Tracce sul davanzale. Vedete? Eccole tracce d'un ginocchio... Qualcuno s'arrampicò di là... Sarà necessario esaminare lafinestra come si deve. 

- Sul pavimento non si nota nulla di speciale, - disse Diukovski - Né macchie, négraffiature. Ho trovato soltanto un fiammifero svedese bruciato. Eccolo. Per quantoricordo, Mark Ivanic' non fumava; nella vita quotidiana poi usava zolfanelli, enient'affatto fiammiferi svedesi. Questo fiammifero può servire d'indizio...

 

- Ah. state zitto, per piacere. -scosse la mano il giudice istruttore. - Vien fuori col suofiammifero! Non posso soffrire le teste vulcaniche! Invece di cercar fiammiferi, farestemeglio a esaminare il letto.

 

Dopo l'esame del letto Diukovski riferì: 

- Né macchie di sangue, né altre d'alcun genere... Strappi freschi pure non ce ne sono.Sul guanciale tracce di denti. La coperta è stata bagnata con un liquido che ha l'odordella birra e ne ha anche il gusto... L'aspetto generale del letto dà il diritto di pensareche su di esso sia avvenuta una lotta.

 

- Lo so anche senza di voi che ci fu lotta! Non vi si domanda della lotta. Invece dicercar la lotta, fareste meglio...

 

- Uno stivale è qui, l'altro non risulta presente. 

- Be'. che c'è? 

- C'è che l'hanno soffocato quando si cavava gli stivali. Non fece in tempo a cavarsil'altro stivale che...

 

- Già ha preso la mano! E come fate a sapere che l'hanno soffocato? 

- Sul guanciale ci son tracce di denti. Il guanciale stesso è stato fortemente brancicatoe scagliato a due "arscini" e mezzo dal letto.

 

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- E discorre, il cicalone! Andiamo piuttosto in giardino. Fareste meglio a guardare ingiardino, invece di rovistar qui... Questo lo farò io anche senza di voi.

 

Arrivati in giardino, l'inchiesta si occupò innanzi tutto dell'esame dell'erba. L'erba sottola finestra era calpestata. Un cespuglio di bardana sotto la finestra proprio contro ilmuro apparve pure calpestato. A Diukovski riuscì di trovarvi alcuni ramoscelli rotti e dei

pezzetti di ovatta. Sui capolini superiori furon trovati dei fini peluzzi di lana azzurrascura. 

- Di che tinta era il suo ultimo vestito? -domandò Diukovski a Psekov. 

- Giallo, di tela grossa. 

- Benissimo. Loro dunque eran vestiti di azzurro. 

Alcuni capolini di bardana furono recisi e accuratamente involtati in una carta. Inquesto momento arrivò l'"Ispravnik" Artsibascev- Svistakovski col dottor Tiutiuev.L'"ispravnik" salutò e subito si accinse a soddisfare la sua curiosità: il dottore invece,un uomo alto e sommamente scarno con occhi infossati, naso lungo e mento aguzzo,senza salutar nessuno e senza domandar di nulla, sedette su un ceppo, sospirò eproferì:

 

- E i serbi son di nuovo sottosopra! Che cosa occorre loro, non Capisco! Ah Austria,Austria! Questa è opera tua!

 

L'esame della finestra dall'esterno non diede proprio alcun risultato; l'esame dell'erbainvece e dei cespugli prossimi alla finestra fornì all'inchiesta molte utili indicazioni. ADiukovski riuscì, per esempio, di seguire nell'erba una lunga striscia scura costituita dachiazze, che si stendeva dalla finestra nell'interno del giardino per alcune tese. Lastriscia terminava sotto uno degli arbusti di lilla con una gran macchia d'un brunoscuro. Sotto lo stesso arbusto fu trovato uno stivale che risultò fare il paio con quellotrovato in camera. 

- Questo è sangue non recente! - disse Diukovski, esaminando le chiazze. 

Il dottore alla parola "sangue" si sollevò e pigramente di sfuggita gettò un'occhiata allemacchie.

 

- Sì, è sangue, - borbottò. 

- Dunque non fu soffocato, se è sangue! - disse Ciubikòv, dato uno sguardo sarcasticoa Diukovski. 

- In camera lo soffocarono, qui poi, temendo che si riavesse, lo colpirono con qualcosadi tagliente. La macchia sotto il cespuglio mostra ch'egli restò lì disteso un temporelativamente lungo, mentr'essi cercavano come e su che cosa portarlo fuori dalgiardino.

 

- Be' e lo stivale? 

- Questo stivale conferma anche più il mio pensiero che l'uccisero mentr'egli, prima diandar a dormire, si cavava gli stivali. Uno stivale se lo tolse, l'altro invece, cioè questo,fece in tempo a cavarselo soltanto a metà. Lo stivale tolto solo a mezzo venne via dasé durante gli scossoni e la caduta...

 

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- Che immaginativa, guarda un po'! - sogghignò Ciubikòv. - E parla così reciso, cosìreciso! Ma quando perderete l'abitudine di venir fuori coi vostri ragionamenti? Invece diragionare, fareste meglio a prendere un po' d'erba col sangue.

 

Dopo il sopralluogo e la rilevazione della pianta del sito, gl'inquirenti si diresserodall'intendente per redigere il verbale e far colazione. Durante la colazione si misero a

discorrere. 

- L'orologio, il denaro e il resto... tutto è intatto. - cominciò la conversazione Ciubikòv. -Come due per due fa quattro, l'assassinio non è stato commesso a fin di lucro.

 

- E' stato commesso da persona evoluta, - mise bocca Diukovski. 

- Da che cosa lo deducete? 

- Viene in mio aiuto il fiammifero svedese, il cui uso i contadini del luogo ancora nonconoscono. Usano tali fiammiferi solo i proprietari, e anche non tutti. A proposito, nonlo uccise uno solo, ma furono al minimo tre: due lo tenevano, e il terzo lo soffocava.Kliausov era forte, e gli assassini dovevano saperlo.

 

- A che poteva servirgli la sua forza, s'egli, poniamo, dormiva? 

- Gli assassini lo sorpresero mentre si cavava gli stivali. Stava cavandosi gli stivali,dunque non dormiva. 

- Non è il caso d'inventare! Mangiate piuttosto! 

- Ma secondo il mio concetto, alta signoria (2), - disse il giardiniere Jefrèm, mettendo intavola il samovàr - proprio questa infamia non l'ha fatta nessun altro che Nicolaska.

 

- Possibilissimo, - disse Psekov - E chi è questo Nikolaska? 

- Il cameriere del padrone, alta signoria, - rispose e Jefrèm. - Chi altri poteva farla, senon lui? Un malfattore, alta signoria! Un ubriacone e un libertino che ce ne preservi laRegina dei Cieli! Al padrone lui portava sempre la vodka, il padrone lui lo metteva inletto... Chi dunque, se non lui? E ancora per giunta, mi prendo l'ardire di farlo presentea vossignoria, si vantò una volta alla bettola, il furfante, che avrebbe ammazzato ilpadrone. Tutto è venuto per causa di Akulka per causa d'una donna... Lui ci aveva unatale, moglie d'un soldato... Al padrone era piaciuta-egli l'aveva avvicinata a sé, be', elui, si sa, s'era adirato... Adesso è sdraiato in cucina. Piange... Va cianciando che ilpadrone gli fa pena...

 

- Ma realmente per Akulina ci si può adirare, - disse Psekov. - E' moglie d'un soldato,una campagnuola ma... Non per nulla Mark Ivanic' l'aveva soprannominata Nanà (3).C'è in lei qualcosa che ricorda Nanà... un che d'attirante... 

- L'ho vista... So... - disse il giudice istruttore, soffiandosi il naso in un fazzoletto rosso.

Diukovski arrossì e abbassò gli occhi. Il commissario prese a tamburellare col dito sulpiattino. L'"ispravnik" ebbe un accesso di tosse e cercò qualche cosa nella borsa dellecarte.

 

Sul solo dottore, evidentemente, non aveva fatto alcuna impressione il ricordo diAkulka e di Nanà. Il giudice istruttore ordinò che si conducesse Nikolaska. Nikolaska,un giovanotto di campagna, spilungone, dal naso lungo, butterato e dal petto incavato,in giacca smessa dal padrone, entrò nella stanza di Psekov e s'inchinò al giudice fino aterra. Il suo viso era assonnato e rosso di pianto. 

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Egli poi era ubriaco e a stento si reggeva in piedi. 

- Dov'è il padrone? - gli domandò Ciubikòv. 

- L'hanno ammazzato, alta signoria. 

Detto ciò, Nikolaska prese a batter gli occhi e a piangere. 

- Sappiamo che l'hanno ammazzato. E dov'è ora? Il suo corpo dov'è? 

- Dicono che l'han tirato fuori per la finestra e sotterrato in giardino. 

- Uhm!... I risultati dell'inchiesta son già noti in cucina... 

Malissimo. Caro, dov'eri tu quella notte, quando fu ucciso il padrone? 

Sabato, cioè? 

Nikolaska levò in su la testa, protese il collo e si mise a pensare. 

- Non posso sapere, alta signoria, - disse. - Avevo bevuto e non rammento. 

- Un "alibi" (4)! - mormorò Diukovski, sogghignando e fregandosi le mani. 

- Sì. Ma perché sotto la finestra del padrone c'è del sangue? 

Nikolaska alzò il capo e si mise a pensare. 

- Pensa più svelto! - disse l'"ispravnik". 

- Subito. Quel sangue c'è per una cosa da nulla, alta signoria. Avevo sgozzato unagallina. L'avevo sgozzata molto semplicemente, come al solito, ma essa a un tratto misfuggì di mano, a un tratto scappò via... E proprio per questo c'è il sangue. 

Jefrèm testimoniò che, realmente, Nikolaska ogni sera ammazzava delle galline e invari posti, ma nessuno aveva visto che la gallina non bene sgozzata fosse corsa per ilgiardino, il che, per altro, non si poteva negare.

 

- Un "alibi", - sogghignò Diukovski. - E che alibi sciocco! 

- Con Akulka eri in relazione? 

- Feci peccato. 

- E il padrone te la soffiò? 

- Nient'affatto. A me Akulka la portò via, ecco, lui, il signor Psekov, Ivàn Michailic', e aIvàn Michailic' la portò via il padrone.

 

Così fu la cosa. 

Psekov si turbò e prese a grattarsi l'occhio sinistro. Diukovski gli piantò gli occhi infaccia, vi lesse il turbamento e sussultò. Addosso all'intendente aveva veduto deicalzoni azzurri, ai quali prima non aveva fatto attenzione. I calzoni gli ricordarono ipeluzzi azzurri trovati sulla bardana. Ciubikòv, a sua volta, guardò sospettosamentePsekov.

 

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- Vattene! - diss'egli a Nikolaska. - E ora permettete che vi si rivolga una domanda,signor Psekov. Voi certo, tra il sabato e la domenica foste qui?

 

- Sì, alle dieci cenai con Mark Ivanic'. 

- E poi? 

Psekov si turbò e si alzò da tavola. 

- Poi... poi... Davvero, non rammento, - borbottò. - Allora avevo bevuto molto... Nonrammento dove e quando mi addormentai... Perché mi guardate tutti così? Come se iol'avessi ucciso!

 

- Dove vi svegliaste? 

- Mi svegliai nella cucina della servitù sopra la stufa.. Tutti possono confermarlo. Comefossi capitato sulla stufa non so...

 

- Non agitatevi... Akulina la conoscevate? 

- Qui non c'è nulla di speciale... 

- Da voi era passata a Kliausov? 

- Sì... Jefrèm, servi ancora dei funghi! Volete del tè, Jevgràf Kuzmìc'? 

Seguì un silenzio greve, angoscioso, che si prolungò un cinque minuti. 

Diukovski taceva e non staccava i suoi occhi pungenti dal viso impallidito di Psekov. Ilsilenzio fu rotto dal giudice istruttore. 

- Sarà necessario, - egli disse, - passare alla casa grande e là parlare un po' con lasorella del defunto Maria Ivànovna. Chi sa che non ci dia qualche indicazione. 

Ciubikòv e il suo aiutante ringraziarono per la colazione e andarono alla casapadronale. La sorella di Kliausov, Maria Ivànovna, una zitella quarantacinquenne, latrovarono che pregava davanti all'alto stipo familiare delle immagini. Scorgendo nellemani dei visitatori delle borse e dei berretti con coccarda, ella impallidì.

 

- Vi reco, innanzi tutto, le mie scuse per aver turbato, dirò così, la vostra piadisposizione, - cominciò strisciando una riverenza, il galante Ciubikòv. - Veniamo davoi con una preghiera. Voi, certo, avete già sentito... si ha il sospetto che vostrofratello, in qualche modo, sia stato ucciso. E' il voler di Dio sapete... Alla mortenessuno sfugge, né gli zar né i bifolchi. Non potreste voi aiutarci con qualcheindicazione o schieramento?

 

- Ah, non domandatemi! - disse Maria Ivànovna, impallidendo ancor di più e coprendosiil viso con le mani. - Io non posso dirvi nulla!

 

Nulla! Vi supplico! Io nulla... Che posso io? Ah, no, no... nemmeno una parola di miofratello! Dovessi morire, non la direi!

 

Maria Ivànovna si mise a piangere e se n'andò in un'altra stanza. 

Gl'inquirenti si scambiarono uno sguardo, si strinsero nelle spalle e si ritirarono. 

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- Donnetta del diavolo! - la ingiuriò Diukovski, uscendo dalla casa grande.-Evidentemente, sa qualcosa e lo nasconde. Anche la cameriera ha qualcosa scritto infaccia... Ma aspettate, diavoli!

 

Decifreremo tutto! 

La sera Ciubikòv e il suo aiutante, illuminati da una pallida luna, se ne tornavano acasa; erano seduti nel sarabachino e facevano nelle loro teste il bilancio della giornatatrascorsa. Entrambi erano affaticati e tacevano. A Ciuhikòv, in generale, non piacevaparlare in viaggio, e il chiacchierone Diukovski stava zitto per far piacere al vecchio.Alla fine del cammino però l'aiutante non resse più al silenzio e si mise a dire:

 

- Che Nikolaska abbia parte in questa faccenda, - diss'egli, - "non dubitandum est" (5).Anche dal suo muso si vede che tomo sia... 

L'alibi ce lo dà mani e piedi legati. Non c'è dubbio anche che in questa faccenda non èlui l'iniziatore. Egli è stato soltanto uno stupido, prezzolato strumento. Siete d'accordo?Non rappresenta l'ultima parte in questa faccenda nemmeno il modesto Psekov. Icalzoni azzurri, il turbamento, il dormir sulla stufa dalla paura dopo l'assassinio, l'"alibi"

e Akulka... 

- Macina! Jemelia, è la tua settimana (6)! Secondo voi, dunque, l'assassino è colui checonosceva Akulka? Eh, testa calda! Il poppatoio dovreste succhiare, e non istruircause! Voi pure corteggiavate Akulka: allora anche voi siete complice in questafaccenda?

 

- Anche in casa vostra Akulka è stata un mese come cuoca, ma... io non dico nulla. Lanotte avanti quella domenica giocai con voi a carte e vi vidi, altrimenti mi sareiattaccato anche a voi. La faccenda, "bàtenkca", non sta nella donna. La faccenda stain un sentimento vigliacchetto, sudicetto, bruttino... Al modesto giovanotto dispiacque,vedete, che non fosse stato lui ad aver la meglio. L'amor proprio, vedete... Gli vennevoglia di vendicarsi. Poi... Le sue grosse labbra parlano fortemente della suasensualità. Ricordate che schiocchi faceva con le labbra, quando paragonava Akulka aNanà? Che lui, il farabutto, arda di passione è indubitabile! E così: amor proprio offesoe passione inappagata. Ce n'è a sufficienza per commettere un assassinio. Due sononelle nostre mani; ma chi è il terzo? Nikolaska e Psekov lo tenevano. Ma chi l'hasoffocato? Psekov è timido, impacciato, in generale è un vile. I Nikolaska poi nonsanno soffocar con un guanciale; essi agiscono con la scure, col dorso della scure...L'ha soffocato un qualche terzo, ma chi e?

 

Diukovski si calcò il cappello sugli occhi e si mise a pensare. Egli tacque fino a che ilsarabachino non s'accostò alla casa del giudice istruttore.

 

- "Eureka"! (7) - disse, entrando nella casetta e togliendosi il pastrano. - Eureka, NikolàiJermolaic'! Non so soltanto come ciò non mi sia venuto in mente prima. Sapete chi è ilterzo? 

- Lasciate, per favore! Ecco, la cena è pronta! Sedete e cenate! 

Il giudice istruttore e Diukovski si misero a cena. Diukovski si versò un bicchierino divodka, si sollevò, si protese e, con gli occhi sfavillanti, disse:

 

- Allora sappiate che il terzo che ha agito di concerto col furfante Psekov e l'hasoffocato è stato una donna! Sissignore! Parlo della sorella dell'ucciso, di MariaIvànovna!

 

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A Ciubikòv la vodka andò per traverso ed egli fissò gli occhi su Diukovski. 

- Voi... non siete un po'...? La vostra testa... non è un po'...? Non vi duole? 

- Io sto benone. Va bene, sarò impazzito, ma come spiegate voi il suo turbamento alnostro apparire? Come spiegate la sua riluttanza a farci dichiarazioni? Ammettiamo

che queste sian bazzecole: sta bene! 

d'accordo! allora ricordatevi dei loro rapporti. Lei odiava suo fratello! Lei è una vecchiacredente (8), lui era un dissoluto, un ateo... Ecco dove s'annida l'odio! Dicono ch'eglifosse riuscito a convincerla d'essere lui un angelo di satana. In sua presenzas'occupava di spiritismo!

 

- Be', e che c'è? 

- Non capite? Lei, vecchia credente, l'ha ucciso per fanatismo! Nonché aver soppressola mala erba, un dissoluto, ha liberato il mondo dall'anticristo, e in ciò, ella pensa, è ilsuo merito, la sua grande impresa religiosa! Oh, voi non conoscete queste vecchiezitelle e vecchie credenti! Leggete un po' Dostoievski! E quel che scrivono Leskov,Pecerski! (9)... E' lei, è lei, anche se m'ammazzaste! Lei l'ha soffocato! Oh, perfidadonna! Forse che non stava presso le icone, quando noi entrammo, solo per stornare inostri sguardi? Come a dire: ecco, mi metto lì a pregare, e loro penseranno che io sontranquilla, che non li aspetto! E' il metodo di tutti i criminali novellini. Colombello, NikolàiJermolaic'! Diletto mio! Affidate a me questa faccenda! Lasciate che io personalmentela conduca a termine!

 

Mio caro! Io l'ho cominciata, e io la condurrò a termine. 

Ciubikòv tentennò il capo e si accigliò. 

- Sappiamo anche noi decifrare le faccende difficili, - disse. - E non è affar vostroimpicciarvi dove non tocca. Scrivete sotto dettatura, quando vi si detta: ecco il vostrocompito! 

Diukovski s'infiammò, sbatté la porta e uscì. 

- Testa fina, il briccone! - borbotta Ciubikòv, seguendolo con lo sguardo.-Gra-an testafina! E' soltanto focoso a sproposito.

 

Bisognerà comprare alla fiera un portasigari per fargliene un presente... 

La mattina del giorno dopo fu condotto al giudice istruttore da Kliausovka un ragazzottodi campagna dalla testa grossa e il labbro leporino che, qualificatosi il pastoreDanilka,fece un'interessantissima deposizione. - Avevo bevuto, - disse. - Fino amezzanotte ero stato dalla comare. Andando a casa, ubriaco com'ero, entrai nel fiumeper bagnarmi. Mi bagno... e che vedo? Vanno lungo la diga due uomini e portanoqualcosa di nero. «Olà!», gridai loro.

 

Quelli si presero paura e a tutte gambe via verso gli orti di Makàrievo. Che Dio mifulmini, se non trascinavano il padrone!

 

In quello stesso giorno verso sera Psekov e Nikolaska furono arrestati e inviati sottoscorta al capoluogo del distretto. In città furon messi in carcere.

 

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Trascorsero dodici giorni. 

Era mattina. Il giudice istruttore Nikolài Jermolaic' stava seduto in casa davanti a unatavola coperta di panno verde e sfogliava la pratica «di Kliausov»; Diukovski inquieto,come un lupo in gabbia, camminava da un angolo all'altro.

 

- Voi siete convinto della colpevolezza di Nikolaska e di Psekov,- egli diceva,stiracchiando nervosamente la sua giovane barbetta. - Ma perché non voleteconvincervi della colpevolezza di Maria Ivànovna? 

Avete forse pochi indizi? 

- Io non dico di non essere convinto. Sono convinto ma, in certo qual modo, non possocredere... Indizi veri non ce ne sono, ma è tutta non so che filosofia... Il fanatismo, equesto e quello... 

- Ma a voi bisogna assolutamente presentare una scure, delle lenzuola insanguinate!...O giuristi! Allora io vi farò vedere! Voi la smetterete di trattare con tanta noncuranza illato psicologico della faccenda! La vostra Maria Ivànovna dovrà andare in Siberia! Loproverò! Se la filosofia non vi basta, io ho qualcosa di materiale. 

Esso vi mostrerà quanto è giusta la mia filosofia! Lasciatemi soltanto fare un giretto. 

- A che proposito questo? 

- A proposito del fiammifero svedese... L'avete dimenticato? Io invece non l'hodimenticato.Saprò chi l'accese nella stanza dell'assassinato! Non l'accese Nikolaska,né Psekov, presso i quali nella perquisizione non si trovarono fiammiferi, ma un terzo,cioè Maria Ivànovna. E lo proverò!... Lasciate solo che faccia un giro per il distretto,che m'informi...

 

- Be', d'accordo, sedete... Lasciatemi fare un interrogatorio. 

Diukovski sedette a un tavolino e ficcò il suo lungo naso nelle carte. 

- S'introduca Nikolài Tetiochov! - gridò il giudice istruttore. 

Introdussero Nikolaska. Nikolaska era pallido e magro come un truciolo. Tremava. 

- Tetiochov! - comincia Ciubikòv. - Nel 1879 voi foste giudicato dal giudice del primomandamento per furto e condannato a pena carceraria. Nel 1882 foste giudicato unaseconda volta per furto e per la seconda volta andaste in carcere... A noi tutto è noto... 

Sul viso di Nikolaska si dipinse la meraviglia. L'onniscienza del giudice istruttorel'aveva sbalordito. Ma ben presto la meraviglia fu sostituita da un'espressione disupremo dolore. Egli si mise a singhiozzare e chiese il permesso di andare a lavarsi ecalmarsi. Lo condussero fuori. 

- S'introduca Psekov! - ordinò il giudice. 

Introdussero Psekov. Il giovanotto negli ultimi giorni si era fortemente mutato in viso.S'era fatto magro, pallido e affilato. Nei suoi occhi si leggeva l'apatia.

 

- Sedete, Psekov, - disse Ciubikòv. - Spero che questa volta sarete ragionevole e nonstarete a mentire, come le altre volte. In tutti questi giorni avete negato la vostrapartecipazione all'assassinio di Kliausov, nonostante tutta la massa d'indizi che parlano

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fiammiferi svedesi. Dappertutto mi dicevano «no». Ho scarrozzato fino a questomomento. Venti volte perdetti la speranza e altrettante volte la riacquistai. Hogironzolato tutto il giorno e solo un'ora fa mi sono imbattuto in ciò che cercavo. A treverste da qui. Mi danno un pacchetto di dieci scatolette. Una sola scatola manca...Subito: «Chi ha comprato questa scatola?». «La tale... Le eran piaciuti... fanno unsibilo». Colombello mio! Nikolài Jermolaic'! Quel che può fare a volte un uomo che fucacciato di seminario e ha letto e riletto Gaboriau (11) la mente non lo può concepire! Adatare da oggi comincio a stimarmi!... Ufff!... Be', andiamo!

 

- E dove? 

- Da lei, dalla quarta... E' necessario affrettarsi, altrimenti... 

altrimenti io brucerò dall'impazienza! Sapete chi è? Non indovinerete! 

E' la giovane moglie del nostro commissario di polizia rurale, il vecchione JevgràfKuzmic', Olga Petrovna: ecco chi è! Fu lei a comprare quella scatola di fiammiferi! 

- Voi... tu... voi... sei impazzito? 

- E' comprensibilissimo! In primo luogo, fuma. Secondariamente, è innamorata finsopra i capelli di Kliausov. Lui aveva respinto il suo amore per un'Akulka qualunque.Vendetta. Adesso rammento di averli sorpresi una volta in cucina dietro il paravento.Lei gli faceva dei giuramenti, e lui fumava la sigaretta di lei e gliene mandava il fumosul viso. Andiamo però... In fretta, ché già si fa buio... Andiamo! 

- Io non sono ancora impazzito al punto di andare, per un qualche ragazzetto, aincomodare di notte una donna distinta e onesta! 

- Distinta, onesta... Dopo di ciò siete un cencio voi e non un giudice istruttore! Non miero mai preso la libertà di sgridarvi, ma adesso mi ci costringete! Un cencio! Unparruccone! Su via, caro, Nikolài Jermolaic'! Ve ne prego!

 

Il giudice istruttore scosse la mano e sputò. 

- Vi prego! Vi prego non per me, ma nell'interesse della giustizia! Vi supplico, infine!Fatemi un favore almeno una volta nella vita! 

Diukovski s'inginocchiò. 

- Nikolài Jermolaic'! Su via, siate così buono! Chiamatemi farabutto, buono a nulla, sem'inganno riguardo a quella donna! Che processo, sapete! Che processo! Unromanzo, e non un processo! La fama ne andrà per tutta la Russia! Vi faranno giudiceistruttore per cause di speciale importanza! Capitela, vecchio irragionevole!

 

Il giudice aggrottò le ciglia e, irresoluto, tese la mano al cappello. 

- Be' che il diavolo ti porti! - disse. - Andiamo. 

Era già scuro, quando il sarabachino del giudice istruttore s'accostò al terrazzo delcommissario rurale.

 

- Che porci siam noi! - disse Ciubikòv, afferrando il cordone del campanello. -Disturbiamo la gente.

 

- Non fa nulla, non fa nulla... Non intimiditevi.. Diremo che ci è saltata una molla. 

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Ciubikòv e Diukovski li accolse sulla soglia una donna alta, pingue, di forse ventitréanni, dai sopraccigli neri come la pece e le labbra carnose, rosse. Era Olga Petrovna inpersona.

 

- Ah... molto piacere! - ella disse, sorridendo con tutto il viso. 

- Siete arrivati proprio in tempo per la cena. Il mio Jevgràf Kuzmìc' non è in casa... S'ètrattenuto dal pop (12)... Ma noi faremo anche senza di lui... Sedete! Venite daun'inchiesta?... 

- Sì... Ci è saltata una molla, sapete, - cominciò Ciubikòv, entrando in salotto eaccomodandosi in una poltrona.

 

- Sbalorditela... di colpo! - gli bisbigliò Diukovski. 

- Una molla... Mm... sì... E difilato siam venuti qua. 

- Sbalorditela, vi si dice! Indovinerà, se la tirerete in lungo! 

- Be', allora fa' tu come sai, e me dispensami! - borbottò Ciubikòv, alzandosi e andando

verso la finestra. - Non posso! Tu hai cucinato questo pasticcio, e tu pappatelo! 

- Si una molla... - cominciò Diukovski, avvicinandosi alla moglie del commissario eraggrinzando il suo lungo naso. - Siamo venuti non già... e-e-e.. per cenare, né pertrovare Jevgràf Kuzmìc'. Siamo venuti per domandarvi, egregia signora, dove si trovaMark Ivànovic' che voi avete ucciso.

 

- Che cosa? Che Mark Ivanic? - balbettò la moglie del commissario, e il suo largo visod'un tratto, in un attimo, s'inondò di una tinta vermiglia. - Io... non capisco.

 

- Ve lo domando in nome della legge! Dov'è Kliausov? 

- Per mezzo di chi? - domandò piano la signora, non reggendo allo sguardo diDiukovski. 

- Vogliate indicarci dov'è! 

- Ma da chi avete saputo? Chi vi ha raccontato? 

- A noi tutto è noto! Lo esigo in nome della legge. 

Il giudice istruttore, rinfrancato dall'imbarazzo della moglie del commissario, s'avvicinòa lei e disse:

 

- Indicatecelo e ce ne andremo. Altrimenti noi... 

- Ma che bisogno avete di lui? 

- A che scopo queste domande, signora? Vi preghiamo d'indicarcelo! Voi tremate, sieteturbata... Sì, lui è stato ucciso e, se volete, ucciso da voi! I complici vi hanno tradita!

 

La moglie del commissario impallidì. 

- Andiamo, - ella disse piano, torcendosi le mani. - E' nascosto da me nel bagno.Soltanto, per amor di Dio, non ditelo a mio marito!

 

Ve ne supplico! Non ci reggerebbe. 

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La signora tolse dal muro una grossa chiave e condusse i suoi visitatori, attraverso lacucina e l'andito, in cortile. In cortile era buio. Piovigginava. La moglie del commissarioandò avanti.

 

Ciubikòv e Diukovski si avviarono dietro a lei per l'erba alta, respirando gli odori dellacanapa selvatica e delle rigovernature che sciaguattavano sotto i loro piedi. Il cortile

era grande. Ben presto finirono le rigovernature e i piedi sentirono sotto di sé la terracoltivata. Nell'oscurità apparvero i contorni di alberi e, fra gli alberi, una piccola casettadal fumaiuolo storto.

 

- E' il bagno, - disse la moglie del commissario.-Ma vi supplico, non ditelo a nessuno! 

Accostatisi al bagno, Ciubikòv e Diukovski videro sulla porta un enorme lucchetto chependeva. 

- Preparate un pezzo di candela e dei fiammiferi! -bisbigliò il giudice istruttore al suoaiutante. 

La moglie del commissario aprì il lucchetto e fece entrare i visitatori nel bagno.Diukovski sfregò un fiammifero e illuminò l'entrata del bagno. In mezzo all'entrata stavauna tavola. Sopra la tavola, accanto a un piccolo samovàr panciutello, c'erano unazuppiera con minestra di cavoli raffreddata e un piatto coi resti d'un qualche intingolo. 

- Più avanti! 

Entrarono nella stanza seguente, il bagno. Là pure c'era una tavola. 

Sulla tavola un gran piatto con prosciutto, una damigianetta di vodka, piatti, coltelli,forchette. 

- Ma dov'è dunque... lui? Dov'è l'ucciso? - domandò il giudice istruttore. 

- E' sul palco di sopra! - bisbigliò la moglie del commissario, tuttora pallida e tremante. 

Diukovski prese in mano il moccolo e s'arrampicò sul palco superiore. 

Là vide un lungo corpo umano che giaceva immobile sopra una gran materassa dipiume. Il corpo emetteva un lieve ronfio...

 

- Ci prendono in giro, che il diavolo mi porti! - gridò Diukovski. 

- Non è lui! Qui è disteso non so che tanghero vivo. Ehi, chi siete, che il diavolo viporti? 

Il corpo inspirò l'aria con un fischio e si mosse Diukovski lo urtò col gomito. Quello levòin alto le mani, si stirò e alzò il capo. 

- Chi viene a ficcarsi qui? - domandò una voce arrochita, greve, di basso. - Che tioccorre?

 

Diukovski portò il moccolo al viso dello sconosciuto e mandò un grido. 

Nel naso porporino, nei capelli arruffati, spettinati, nei baffi neri come pece, dei qualiuno solo era baldanzosamente arricciato e guardava con insolenza il soffitto, avevariconosciuto il cornetta Kliausov. 

- Voi... Mark... Ivanic'?! Non è possibile! 

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Il giudice istruttore gettò un'occhiata in alto e tramortì... 

- Son io, sì... E siete voi, Diukovski! Che diavolo v'occorre qui? E là in basso, che altromuso c'è? Padri miei, il giudice istruttore!

 

Qual buon vento? 

Kliausov scese giù di corsa e abbracciò Ciubikòv. Olga Petrovna guizzò dietro la porta. 

- Per quale vicenda? Berremo, che il diavolo mi porti! Tra-ta-ti-to- tom... Berremo! Chiv'ha condotti qua però? Di dove avete saputo ch'ero qui? Del resto, fa lo stesso!Berremo!

 

Kliausov accese una lampada e mescé tre bicchierini di vodka. 

- Cioè, io non ti capisco, - disse il giudice istruttore, allargando le braccia. - Sei tu o nonsei tu?

 

- Smettila... Vuoi farmi la morale? Non darti la briga! Giovincello Diukovski, vuota il tuobicchierino! Trascorriam dunque, ami-ci, questa... Perché guardate? Bevete!

 

- Tuttavia non posso capire,-disse il giudice istruttore, tracannando macchinalmente lavodka. - Perché sei qui?

 

- E perché non dovrei esser qui, se qui mi trovo bene? 

Kliausov bevve e mangiò un po' di salame. 

- Abito presso la moglie del commissario, come vedi. In un recesso, fra le selve, comeuno spirito folletto qualunque. Bevi! Mi venne pietà di lei, fratello! M'impietosii, sì, e vivoqui, in un bagno abbandonato, da eremita... Mi rimpinzo. Nella prossima settimanapenso d'alzare i tacchi... Ormai m'è venuto a noia...

 

- Inconcepibile! - disse Diukovski. 

- Ma che c'è qui d'inconcepibile? 

- Inconcepibile! Per amor di Dio, come capitò in giardino il vostro stivale? 

- Che stivale? 

- Abbiamo trovato uno stivale in camera, e l'altro in giardino. - E a che scopo voletesaper questo? Non è affar vostro... Ma bevete, su, che il diavolo vi porti. M'avetesvegliato, dunque bevete! E' una storia interessante, fratello, quella dello stivale. Nonvolevo venire da Olia (13) Non ero in vena, sai, avevo alzato il gomito... Lei arriva sottola finestra e comincia a ingiuriare... Sai come sono le donne... in generale... Io, daubriaco, senz'altro le tiro uno stivale... Ah-ah!... Non ingiuriare, dico. Lei s'arrampicòper la finestra, accese la lampada, e avanti a cazzottarmi, ubriaco com'ero.

 

Me ne diede un sacco, mi trascinò qua e mi rinchiuse. Adesso mi rimpinzo... Amorevodka e antipasti! Ma dove andate? Ciubikòv dove vai?

 

Il giudice istruttore sputò e uscì dal bagno. Dietro a lui, a testa bassa, uscì Diukovski.Entrambi salirono in silenzio sul sarabachino e partirono. Mai in altro momento lastrada era parsa loro così noiosa e lunga come quella volta. Entrambi stavan zitti.Ciubikòv per tutta la strada tremò dalla rabbia, e Diukovski nascondeva la sua faccia

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nel bavero, come temendo che il buio e la pioggia che cadeva minuta non glileggessero la vergogna in viso.

 

Giunto a casa, il giudice istruttore trovò là il dottor Tiutiuev. Il dottore era sedutoaccanto alla tavola e sospirando profondamente, sfogliava la "Niva" (14).

 

- Ma quali cose avvengono al mondo! - diss'egli, accogliendo il giudice con unmalinconico sorriso. - Di nuovo quell'Austria!... E anche Gladstone (15) in certo qualmodo... 

Ciubikòv buttò il cappello sotto la tavola e si scrollò. 

- Scheletro del diavolo! Non mi seccare! Mille volte t'ho detto di non seccarmi con la tuapolitica! Non s'ha la testa alla politica qui! E a te, - si rivolse Ciubikòv a Diukovski,scotendo il pugno, - e a te... per tutti i secoli del secoli non dimenticherò! 

- Ma... e il fiammifero svedese! Potevo io sapere? 

- Strozzati col tuo fiammifero! Vattene e non irritarmi, se no di te lo sa il diavolo quelche farò! Non metter più piede qui!

 

Diukovski sospirò, prese il cappello e uscì. 

- Andrò a berci su! - stabilì, uscito dal portone, e si trascinò tristemente in trattoria. 

La moglie del commissario, giunta dal bagno in casa, trovò il marito in salotto. 

- Perché è venuto il giudice istruttore? - domandò il marito. 

- E' venuto a dire che Kliausov l'hanno trovato. Figurati che l'hanno trovato presso lamoglie d un altro!

 

Eh, Mark Ivanic', Mark Ivanic'! - sospirò il commissario di polizia rurale, levando gliocchi in alto.-Te lo dicevo che il libertinaggio non mena a nulla di buono. Te lo dicevo:

non hai dato ascolto! 

NOTE: 

1) Più precisamente, persone del luogo prese con sé dalla polizia come testimoni, perle constatazioni di rito. 

2) Titolo che competeva ai gradi sesto, settimo e ottavo (contando dall'alto) dellagerarchia burocratica russa. 

3) La famosa eroina dell'omonimo romanzo di Emilio Zola (1879). 

4) Così nel testo. 

5) Non c'è da dubitare (in latino). 

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6) Cioè il tuo turno di macinare al mulino, Proverbio che si potrebbe tradurreliberamente: mena la lingua a piacer tuo!

 

7) Così nel testo russo: è la notissima parola greca che vale: 

«Ho trovato!» e che si attribuisce ad Archimede. Questi l'avrebbe gridata quando,

stando nel bagno, aveva improvvisamente intravisto la soluzione di un fondamentaleproblema d'idrostatica.

 

8) «Vecchi credenti» si chiamarono i russi che, non avendo accettato la correzione deilibri sacri e le altre riforme liturgiche operate dal patriarca Nicone, furono esclusi dallaChiesa ufficiale nel grande concilio del 1666-1667 e diedero poi origine a numerosesette dissidenti e, in parte, eretiche. Si distinguevano, in generale per un fortesentimento religioso e spesso anche per bigotteria e fanatismo. 

9) Numerosi tipi di «vecchi credenti» sono descritti nei loro romanzi da Nicola Leskòv(1831-1895) e da Mèlnikov-Pecerski (1819- 1883), due scrittori russi che moltos'interessarono al detto grande scisma, o "raskòl", e ai dissidenti religiosi, o "raskòniki".

 

10) Venni, vidi, vinsi! (in latino): il celebre motto con cui Cesare annunciò la sua prontavittoria su Farnace presso Zela nel Ponto.

 

11) Emilio Gaboriau (1835-1873): il popolare e fecondo autore francese di romanzipolizieschi che ebbero dappertutto gran voga dopo che i suoi precedenti scritti -romanzi novelle eccetera -erano passati inosservati. 

12) Il prete ortodosso. 

13) Forma diminutiva e familiare di Olga. 

14) «Il seminato »: popolare e diffusissima rivista letteraria del tempo. 

15) William Gladstone (1809-1898): Il grande statista inglese. 

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L'ARTE 

Un fosco mattino invernale. 

Sulla liscia e brillante superficie del fiumicello Bistrianka, qua e là cosparsa di neve,stanno due contadini: il tozzo Serioska e il guardiano della chiesa Matvéi. Serioska, ungiovane sui trent'anni, dalle gambe corte, lacero, tutto spelato, guarda irritato ilghiaccio.

 

Dalla sua pelliccetta corta logora, come da un cane che muti, pendono ciuffi di peli.Nelle mani tiene un compasso, fatto di due lunghe aste. Matvéi, un vecchio dibell'aspetto, in pelliccia nuova di pecora e scarpe di feltro, guarda coi miti occhiazzurrini in su, là dove, sull'alta riva in dolce pendio, è pittorescamente appollaiato ilvillaggio. In mano ha un pesante paldiferro.

 

- E che, staremo così fino a sera, a braccia conserte? - interrompe il silenzio Serioska,volgendo i suoi occhi irritati su Matvéi.- Sei venuto qua per star fermo, vecchio diavolo,

o per lavorare? 

- Allora tu... fa' vedere... - borbotta Matvéi, battendo gli occhi mansueto. 

- Fa' vedere... Sempre io: io devo far vedere, io devo fare. Loro non han testa!Misurare col compasso, ecco quel che bisogna! Senz'aver misurato, non si puòrompere il ghiaccio. Misura! Prendi il compasso! 

Matvéi prende dalle mani di Serioska il compasso e senza destrezza, scalpicciandoallo stesso punto e dando di gomiti in tutte le direzioni, comincia a tracciare sulghiaccio una circonferenza.

 

Serioska strizza gli occhi sprezzante e visibilmente gode del suo fare impacciato edella sua ignoranza.

 

- E-e-eh! - si adira. - Anche questo non lo puoi fare! E' detto: 

un contadino sciocco, uno zoticone! Devi pascolare le oche tu, e non fare il Giordano(1)! Da' qua il compasso! Da' qua, ti dico! 

Serioska strappa dalle mani del sudato Matvèi il compasso e in un attimo, girando conbravura su un sol tacco, traccia sul ghiaccio la circonferenza. I confini del futuroGiordano sono ormai pronti; adesso resta solo da spezzare il ghiaccio...

 

Ma prima di procedere al lavoro, Serioska a lungo ancora fa il difficile, fa capricci,rinfaccia:

 

- Io non sono obbligato a lavorare per voi! Tu sei addetto alla chiesa, e tu fa'! 

Egli gode visibilmente della condizione privilegiata in cui l'ha posto ora il destino, chegli ha concesso una rara attitudine: meravigliare una volta all'anno il mondo intero conla sua arte. Al povero, mite Matvéi tocca ascoltar da lui molte velenose, sprezzantiparole. 

Serioska si mette al lavoro con dispetto, con rabbia. E' svogliato. 

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Non ha fatto in tempo a tracciar la circonferenza che già si sente attirato su, nelvillaggio, a bere il tè, a gironzolare, a menar la lingua.

 

- Io verrò subito... - dice, mettendosi a fumare. - E tu qui intanto invece di startene cosìa contar le cornacchie, dovresti portar qualcosa per sederci su, e spazzare.

 

Matvéi resta solo. L'aria è grigia e rigida, ma calma. Di dietro le isbe sparpagliate sullariva occhieggia affabilmente la chiesa bianca.

 

Intorno alle sue croci dorate volteggiano senza posa le gracchie. In disparte dalvillaggio, dove la riva si fa scoscesa e ripida, proprio sopra l'erta, un cavalloimpastoiato sta immobile, come di pietra:

 

probabilmente dorme, o s'è messo a pensare. 

Anche Matvéi sta immobile, come una statua, e attende paziente. 

L'aspetto pensosamente assonnato del fiume, il volteggiar delle gracchie e il cavallogl'infondono sonnolenza. Passa un'ora, un'altra, e Serioska non c'e ancora. Da unpezzo ormai il fiume è spazzato ed è stata portata una cassa, per sederci, ma

l'ubriacone non si fa vedere. 

Matvéi aspetta e sbadiglia soltanto, tratto tratto. Il senso della noia gli è ignoto. Se gliordineranno di star sul fiume un giorno, un mese, un anno, lui ci starà. 

Infine Serioska spunta di dietro le isbe. Cammina dondoloni, posando appena i piedi.Di camminare a lungo non ha voglia, e non scende per la strada, ma sceglie ilcammino più breve, dall'alto al basso in linea retta, e intanto affonda nella neve,s'impiglia negli arbusti, striscia sul dorso, e tutto ciò lentamente, con pause. 

- Ma tu che fai? - si scaglia contro Matvéi. - Perché stai in ozio? Quando dunque s'hada spezzare il ghiaccio? 

Matvéi si segna, prende con le due mani il paldiferro e comincia a frangere il ghiaccio,seguendo rigorosamente la circonferenza tracciata. Serioska si mette a sedere sullacassa e osserva i pesanti, goffi movimenti del suo aiutante.

 

- Più leggermente ai margini! Più leggermente! - comanda. - Se non sai, non ti cimettere, ma se ti sei messo, fa'! Ohi tu!

 

In alto si raduna una folla. Serioska, alla vista degli spettatori, si agita anche più! 

- Prendo su e smetto di farlo... - dice egli, accendendo una sigaretta puzzolente esputacchiando. - Vedrò come farete qui senza di me. L'anno scorso a KostiùkovoStiopka Gulkòv s'incaricò di costruire il Giordano alla mia maniera. E che? Riuscì unacosa tutta da ridere. Quelli di Kostiùkovo stessi vennero da noi: un visibilio di gente! Datutti i villaggi ne accorse.

 

- Perché in nessun posto, tranne che da noi, c'è un vero Giordano... 

- Lavora, non c'è tempo di discorrere... Sì, nonno... In tutta la provincia non troverai unaltro Giordano così. I soldati dicono che hai un bel cercare, perfino nelle città è peggio.Più leggero, più leggero!

 

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Matvéi geme e soffia. Non è un lavoro facile. Il ghiaccio è duro e profondo; ènecessario scheggiarlo e subito portar via i pezzi in disparte, lontano, per noningombrare lo spiazzo.

 

Ma per quanto sia greve il lavoro, per quanto sia insensato il comando di Serioska,verso le tre del pomeriggio già nereggia nella Bistrianka un gran cerchio d'acqua.

 

- L'anno scorso era migliore. - si arrabbia Serioska - Neppur questo hai potuto fare! Eh,testona! E si tengon simili sciocchi presso il tempio di Dio! Va', porta qui un'asse perfare i pioletti!

 

Porta il cerchio, cornacchia! Ah, sì... prendi in qualche posto del pane... dei cetriolini,che so.

 

Matvéi se ne va e, poco dopo, arriva portando sulle spalle un enorme cerchio di legno,dipinto già negli anni precedenti, con fregi di vari colori. Nel centro del cerchio è unacroce rossa, lungo i margini dei buchi per i piuoli. Serioska prende questo cerchio echiude con esso la buca scavata.

 

- Esattamente... s'adatta... Rinnoveremo soltanto la tinta e di prima qualità... Be',perché stai fermo? Fa' il leggio! Oppure... va' e porta le travi, per far la croce...

 

Matvéi, che dal mattino non ha mangiato né bevuto nulla, torna a trascinarsi su. Perquanto pigro sia Serioska, i pioletti li fa da sé, di propria mano. Egli sa che questipioletti possiedono una virtù miracolosa: quello a cui toccherà un pioletto dopo labenedizione delle acque sarà felice per tutta l'annata. Sarebbe ingrato un similelavoro? 

Ma il lavoro più serio comincia col giorno seguente. Qui Serioska si rivela all'ignoranteMatvéi in tutta la grandezza del suo ingegno. Il suo chiacchierio, i suoi rinfacci, capriccie ghiribizzi non han fine.

 

Matvéi mette assieme con due grosse travi un'alta croce, lui non è contento e ordina di

rifarla. Se Matvéi sta fermo, Serioska domanda adirato perché non va via; se va, gligrida che non vada, ma lavori.

 

Non lo soddisfano né gli strumenti, né il tempo, né la propria capacità; nulla gli garba. 

Matvéi sega un grosso pezzo di ghiaccio per il leggio. 

- Perché gli hai rotto un angoletto? - grida Serioska e gli sbarra gli occhi addossorabbiosamente. - Perché, ti domando, hai rotto un angoletto? 

- Perdonami, per amor di Cristo. 

- Fallo daccapo! 

Matvéi sega di nuovo... e le sue pene non han fine! Vicino alla buca coperta col cerchiodipinto deve stare il leggio; sul leggio bisogna modellare una croce e un vangeloaperto. Ma questo non è tutto. Dietro il leggio starà l'alta croce, visibile a tutta la folla esfavillante al sole, come cosparsa di diamanti e rubini. Sulla croce una colombamodellata nel ghiaccio. Il cammino dalla chiesa al Giordano sarà coperto di fronded'abete e di ginepro. Tale è il compito.

 

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Innanzi tutto Serioska si applica al leggio. Egli lavora con raspa, scalpello e lesina. Lacroce sul leggio, il vangelo e la stola che scende dal leggio gli riescono appieno. Quindipassa alla colomba.

 

Mentr'egli si sforza di improntare la testa della colomba a mansuetudine e umiltà,Matvéi, rigirandosi come un orso, rifinisce la croce costruita con travi. Egli prende la

croce e l'immerge nella buca. Dopo aver atteso che l'acqua sopra la croce sia gelata,l'immerge un'altra volta, e così fino a che le travi non si sian coperte d'uno spessostrato di ghiaccio. E' un lavoro non facile, che esige esuberanza di forze e pazienza.

 

Ma ecco, il fine lavoro è terminato. Serioska corre per il villaggio come un ossesso.Incespica, impreca, giura che or ora andrà sul fiume e farà a pezzi tutto il lavoro. Gli èche va cercando le tinte adatte. 

Le sue tasche son piene d'ocra, di turchino, di minio di verderame; senz'aver pagatonemmeno una copeca, egli corre a precipizio fuori da una bottega e corre in un'altra.Dalla bottega in un salto è alla bettola. Qui beve, agita la mano e, senz'aver pagato,vola oltre. In una isba prende delle barbabietole, in un'altra delle bucce di bulbi, coiquali fa una tinta gialla. Egli impreca, dà urtoni, minaccia e...

 

almeno un'anima viva gli mostrasse i denti! Tutti gli sorridono, gli han simpatia, glidanno del Serghéi Nikitic' (2), tutti sentono che l'arte non è una faccenda suapersonale, ma di tutti, del popolo. Uno fa, i rimanenti l'aiutano. Serioska di per sé è unanullità un pigraccio, un beone e uno sciupone, ma quand'egli ha in mano il minio o ilcompasso, allora è qualcosa di superiore, è il servo di Dio.

 

Spunta il mattino dell'Epifania. Il recinto della chiesa e le due sponde per un vastospazio brulicano di gente. Tutto ciò che costituisce il Giordano è accuratamentenascosto sotto stuoie nuove.

 

Serioska passeggia quieto vicino alle stuoie e si sforza di reprimere la sua agitazione.Egli vede migliaia di persone: ce ne sono molte anche di altre parrocchie; tutta quellagente ha percorso col gelo, nella neve, a piedi, non poche verste, soltanto per vedere ilsuo famoso Giordano. Matvéi, che ha terminato la sua facchinesca, orsina fatica, è giàdi nuovo in chiesa; non lo si vede, non lo si sente; di lui già si sono scordati... Il tempoè magnifico... In cielo nemmeno una nuvoletta. Il sole splende accecante. 

In alto echeggia un suono di campane... Migliaia di teste si scoprono, si muovonomigliaia di mani: migliaia di segni di croce! 

E Serioska non sa dove cacciarsi dall'impazienza. Ma ecco, infine scampanano per il"Gloria"; poi, mezz'ora dopo, sul campanile e nella folla si nota una certa agitazione.Dalla chiesa, un dietro l'altro, portano fuori gli stendardi, echeggia un vivace, affrettatoscampanio. 

Serioska con mano tremante tira via le stuoie... e il popolo vede un che d'inconsueto.

Leggio, cerchio di legno, piuoli e croce sul ghiaccio svariano di migliaia di tinte. Lacroce e la colomba mandano tali raggi che guardare fa male... Dio misericordioso,com'è bella! 

Nella folla corre un rombo d'ammirazione e d'entusiasmo; lo scampanio si fa anche piùforte, il giorno più luminoso. Gli stendardi oscillano e si muovono sopra la folla, comesulle onde. La processione, rifulgendo per le guarniture (3) delle icone e le pianete delclero, scende lentamente giù per la strada e si dirige verso il Giordano. Si fa cenno conle mani verso il campanile, perché lassù smettano di sonare, e la benedizione delle

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acque comincia. Si officia a lungo, con lentezza, cercando visibilmente di prolungare lasolennità e la gioia della generale pubblica preghiera. Silenzio.

 

Ma ecco, immergono la croce, e l'aria risuona di un insolito rombo. 

Sparo di fucili, scampanio, clamorose espressioni d'entusiasmo, grida e pigia pigia

nella caccia ai pioletti. Serioska tende l'orecchio a questo rombo, vede migliaia di occhia lui rivolti, e l'anima del pigraccio si colma d'un senso di gloria e di trionfo.

 

NOTE: 

1) Così era detto il punto, appositamente delimitato, dei fiumi gelati dove ogni anno. il 6

(18) gennaio, cioè il giorno dell'Epifania, aveva luogo la benedizione delle acque, comepure l'altare che ivi s'improvvisava. 

2) L'uso del nome di battesimo seguito dal patronimico, nel rivolgersi a una persona, onell'indicarla, è per i russi la forma di riguardo, a differenza dell'uso del solo cognome odel nome di battesimo.

 

3) Rivestimenti metallici, per lo più d'oro o d'argento, che guarniscono le icone,lasciando scoperti solo i volti e le figure del santi.

 

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SOPPRESSI! 

Recentemente, al tempo della piena, un possidente, l'alfiere a riposo Vìvertov, facevagli onori di casa al geometra Katavassov, passato a trovarlo. Bevevano, mangiavanoun boccone e parlavan delle novità.

 

Katavassov come cittadino, era informato di tutto: del colera, della guerra e perfindell'aumento del dazio nella misura di una copeca per grado (1). Egli parlava, eVìvertov ascoltava, faceva degli «ah!» e accoglieva ogni novità con le esclamazioni:«Dite però! Guarda un po'!

 

A-a-ah!»... 

- E perché oggi siete senza controspalline, Semiòn Antipic'? - fu curioso di sapere tral'altro.

 

Il geometra non rispose subito. Tacque un po', vuotò un bicchierino di vodka, scosse la

mano e allora soltanto disse: 

- Soppresse! 

- Ve'! A-a-ah!... Io i giornali non li leggo e di questo non so nulla. 

Dunque oggidì l'amministrazione civile non porta più spalline (2)? 

Dite però! Ma ciò, sapete, in parte è bene: i soldatini non vi confonderanno coi signoriufficiali e non vi faranno il saluto. In parte invece non è bene. Non avete piùquell'aspetto, quella prestanza! Non avete più quella distinzione!

 

- Be', che farci! - disse il geometra e scosse la mano.L'aspetto esteriore non costituiscela cosa principale. Che tu sia con le spalline o senza spalline, è tutt'uno, purché ti sia

conservata la qualifica. Noi non ne siamo offesi per nulla. Ma, ecco, a voi hanno fattorealmente un torto, Pavel Ighnatic'! Posso condolermi.

 

- Cioè, come? - domandò Vìvertov. - Chi mai può farmi torto? 

- Mi riferisco al fatto che vi hanno soppressi. L'alfiere, pur essendo un grado modesto,pur non essendo né carne né pesce, è pur sempre un servo della patria, un ufficiale...ha versato il suo sangue... Perché sopprimerlo?

 

- Cioè... scusate, io non vi capisco del tutto bene... - prese a balbettare Vìvertov,impallidendo e sgranando gli occhi.- Chi mai mi ha soppresso? 

- Ma forse che non l'avete sentito? C'è stato un certo decreto, nel senso che nondovessero più esserci alfieri. Nemmeno un alfiere! Che non se ne sentisse più neanche

l'odore! Ma forse che non avete sentito? Tutti gli alfieri in servizio fu ordinato dipromuoverli sottotenenti, e voi, che siete a riposo, fate come vi piace. Se volete, siatealfieri, e se non volete, non è necessario che lo siate.

 

- Uhm... Chi dunque son io adesso? 

- Ma Dio lo sa, chi siate voi. Adesso siete un nulla, un caso dubbio, una cosa eterea!Adesso voi stessi non raccapezzerete più chi siate. 

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Vìvertov voleva domandare qualcosa, ma non poté. Sotto la bocca dello stomaco glivenne freddo, i ginocchi gli si piegarono, la lingua non si rigirava. Poiché stavamasticando il salame, questo gli rimase in bocca, non finito di masticare.

 

- Non hanno agito bene con voi, che dire! - disse il geometra e sospirò. - Sta benetutto, ma questo provvedimento non posso approvarlo. Sì che adesso, penso, se ne

parlerà nei giornali stranieri! Eh? 

- Di nuovo torno a non capire... - articolò Vìvertov. - Se ora non sono più alfiere, chisono mai? Nessuno? Uno zero? Dunque, se vi capisco, ognuno adesso puòinsolentirmi, può darmi del tu?

 

- Questo non lo so. Ma noi adesso ci prendono per conduttori! L'altro giorno il capo delmovimento sulla linea locale va in giro, sapete, nel suo cappotto d'ingegnere, senzaspalline al modo di oggi, e non so che generale gli grida: «Conduttore, partirà presto iltreno?». Si presero per i denti! Uno scandalo! Di ciò nei giornali non si può scrivere,ma... è noto a tutti! Non c'è fuoco senza fumo!

 

Vìvertov, sbalordito dalla novità, non beveva e non mangiava più. 

Provò una volta a bere del "kvas" (3) freddo, per tornare in sentimento, ma il "kvas" glisi fermò in gola e tornò indietro. 

Accompagnato alla porta il geometra, il soppresso alfiere si mise a girare per tutte lestanze e a pensare. Pensò, pensò e non venne a capo di nulla. La notte se ne giacquein letto sospirando e del pari pensando.

 

- Ma smettila di far le fusa! - disse la moglie Arina Matvéievna, e l'urtò col gomito. -Geme come se stesse per partorire! Fors'anche non è neppur vero. Tu domani fa' unascappata da qualcuno e domanda. 

Straccio! 

- Già, ma quando rimarrai senza qualifica e senza titolo, allora anche a te darannodello straccio. S'è distesa qui come una balena, e poi:

 

straccio! Non sei stata tu credo, a versare il tuo sangue! 

La mattina del giorno dopo, Vìvertov, che non aveva dormito tutta la notte, attaccò ilsuo sauro chiaro al calesse e andò a prendere informazioni. Aveva risoluto di passareda qualcuno dei vicini, e, se si fosse presentata la necessità, anche dal capo dellanobiltà in persona. Attraversando Ipàtievo, s'incontrò là con l'arciprete PafnutiAmalikitianski. Il padre arciprete andava dalla chiesa a casa e, agitando con ira ilbastone, non faceva che voltarsi verso il sagrestano che lo seguiva e borbottare:

 

«Ma sei un bell'imbecille, fratello! Guarda che imbecille!». 

Vìvertov scese dal calesse e gli s'accostò per ricevere la benedizione. 

- Buona festa a voi, padre arciprete! - lo salutò, baciandogli la mano. - La messa l'aveteofficiata?

 

- Sì, la liturgia. 

- Così... A ciascuno il suo compito! Voi pascolate il gregge spirituale, noi concimiamo laterra nella misura delle nostre forze...

 

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Ma perché oggi siete senza decorazioni? 

Il reverendo, per tutta risposta, si accigliò, scosse la mano e procedette oltre. 

- Gliele hanno vietate! - spiegò il sagrestano in un bisbiglio. 

Vìvertov accompagnò con gli occhi l'arciprete che camminava irritato, e il cuore gli sistrinse per un amaro presentimento: la comunicazione fattagli dal geometra pareva oraprossima al vero!

 

Innanzi tutto passò dal vicino, maggiore Izitsa, e quando il suo calesse entrò nel cortiledel maggiore, egli vide questo quadro.

 

Izitsa in veste da camera e fez turco stava in mezzo al cortile, pestava i piedi con ira eagitava le braccia. Dinanzi a lui il cocchiere Filka conduceva avanti e indietro uncavallo zoppicante. 

- Farabutto!- si scaldava il maggiore. - Furfante! Canaglia! 

Impiccarti sarebbe poco, maledetto! Afgano! Ah, i miei rispetti! - disse, avendo scorto

Vìvertov. - Lietissimo di vedervi. Come vi piace questo? E' già una settimana che hascorticato una zampa al cavallo e sta zitto, furfante! Nemmeno una parola! Se non ciavessi badato io stesso, uno zoccolo sarebbe andato al diavolo! Eh? Che razza digente? E non picchiarlo sul muso? Non picchiarlo? Non picchiarlo, vi domando? 

- E' un cavallino eccellente, - disse Vìvertov, avvicinandosi a Izitsa. - Peccato! Voi,maggiore, mandate per un maniscalco. Nel mio villaggio, maggiore, c'è un ottimomaniscalco!

 

- Maggiore, - borbottò Izitsa, sorridendo sprezzantemente.- Maggiore!... Non ho il capoagli scherzi io! Mi s'è ammalato il cavallo, e voi: maggiore! maggiore! Come unagracchia: krr!... krr! 

- Io, maggiore, non vi capisco. Forse che si può paragonare una persona dabbene conuna gracchia? 

- Ma che maggiore son io? Forse ch'io son maggiore? 

- E chi siete? 

- Ma lo sa il diavolo, chi sono! - disse Izitsa. - E' già più d'un anno che non ci sonmaggiori. E voi perché dite questo? Siete nato soltanto ieri, che? 

Vìvertov guardò con sgomento Izitsa e prese a tergersi il sudore sul viso, presentendoqualcosa di ben brutto. 

- Permettete però... - disse egli. - Io tuttavia non vi capisco... 

Il maggiore è pure un grado importante! 

- Sissignore!! 

- E allora come mai? E voi... nulla? 

Il maggiore scosse soltanto la mano e cominciò a raccontargli come quel mascalzonedi Filka aveva offeso al cavallo lo zoccolo, fece un lungo racconto, e alla fin fine gliaccostò perfino al viso lo zoccolo malato con l'escoriazione purulenta e l'impiastro di

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letame, ma Vìvertov non capiva, non sentiva e guardava tutto come attraverso unreticolo. Incoscientemente si accomiatò, salì nel suo calesse e gridò con disperazione:

 

- Dal capo della nobiltà! Svelto! Frusta a gran forza! 

Il capo della nobiltà, il consigliere di Stato effettivo Jàgodiscev, non abitava lontano. Di

lì a forse un'ora Vìvertov già entrava nel suo studio e gli s'inchinava. Il capo dellanobiltà era seduto su un sofà e leggeva il "Tempo nuovo". Scorto colui che entrava,fece un cenno col capo e indicò una poltrona. 

- Io, eccellenza,- cominciò Vìvertov, - avrei dovuto innanzi tutto presentarmi a voi, ma,trovandomi all'oscuro circa la mia qualifica, ho l'ardire di ricorrere a vostra eccellenzaper uno schiarimento...

 

- Permettete, stimatissimo, - lo interruppe il capo della nobiltà. 

- Prima di tutto non chiamatemi eccellenza. Ve ne prego! 

- Che dite?... Noi siamo piccola gente... 

- Non di ciò si tratta! Scrivono, ecco... - (il capo della nobiltà indicò il "Tempo nuovo" elo forò col dito), - scrivono, ecco, che noi, consiglieri di Stato effettivi, non saremo piùeccellenze. Lo danno per sicuro! Ebbene! Non è neppur necessario, grazioso sovrano!

 

Non è necessario! Non chiamateci così! Non ce n'è neppur bisogno! 

Jàgodiscev si alzò e fece orgogliosamente un giro per lo studio... 

Vìvertov emise un sospiro e lasciò cadere sul pavimento il berretto. 

«Se ormai son giunti fino a loro», pensò, «non è il caso di far domande circa gli alfieri ei maggiori. Farò meglio ad andarmene...».

 

Vìvertov borbottò qualche cosa e uscì, dimenticando nello studio del capo della nobiltà

il berretto. Di lì a due ore arrivò a casa sua pallido, senza berretto, con unaespressione ottusa di sgomento sul viso. Smontando dal calesse, gettò un timidosguardo al cielo: e se avessero ormai soppresso anche il sole? La moglie,impressionata dal suo aspetto, lo tempestò di domande, ma a tutte le domande eglirispose soltanto scotendo la mano... 

Per una settimana non bevve, non mangiò, non dormì, ma andò come un demente daun angolo all'altro e pensò. Il viso gli si affilò, il suo sguardo si fece fosco... Non simetteva a parlar con alcuno, non si rivolgeva ad alcuno per nulla, e quando ArinaMatvéievna lo importunava con domande si schermiva soltanto con la mano e... non unsuono... Che cosa non gli fecero per farlo tornare in sentimento! Gli facevan bere ildecotto di sambuco, gli davano «per uso interno» dell'olio tolto dal lumino dell'icona, lofacevan sedere su un mattone ardente, ma nulla giovava, egli deperiva e si schermiva

con la mano. 

Chiamarono infine, per fargli intender ragione, padre Pafnuti. 

L'arciprete per mezza giornata si arrabattò, spiegandogli che tutto tendeva ora nonall'annullamento, bensì all'esaltazione, ma il buon seme cadde in un terreno ingrato.Prese cinque rubli per le sue fatiche, e così se n'andò, senz'aver ottenuto nulla.

 

Dopo essere stato zitto una settimana, Vìvertov parve mettersi a parlare. 

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- Perché taci, grintaccia?-si scagliò improvvisamente sul servitorello Iliuska. -Insolentisci! Scherniscimi! Indica a dito un uomo annientato! Trionfa!

 

Detto questo, si mise a piangere e tacque di nuovo per una settimana. 

Arina Matvéievna risolse di fargli cavar sangue. Arrivò l'aiuto medico, che gli cavò due

piatti di sangue, e ciò parve sollevarlo. Il giorno dopo la cavata di sangue, Vìvertovs'avvicinò al letto su cui giaceva la moglie e disse:

 

- Io, Arina, non la lascerò così. Adesso mi son risolto a tutto... Il mio grado me lo sonmeritato e nessuno ha il diritto di attentarvi.

 

Ecco quel che ho escogitato: scriverò a qualche persona altolocata un'istanza efirmerò: l'alfiere tale... alfie-re... Capisci? Per di- spet-to! Al-fiere... E sia! Per di-spet-to!

 

E questo pensiero tanto piacque a Vìvertov ch'egli si fece raggiante e chiese perfino damangiare. Adesso, illuminato dalla nuova decisione, gira per le stanze, sorridesarcasticamente e fantastica:

 

- Al-fie-re... Per di-spet-to!