Cahier Dédié à Luis J. Prieto || Sulla conoscenza del linguaggio
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Sulla conoscenza del linguaggioAuthor(s): Luigi RizziSource: Cahiers Ferdinand de Saussure, No. 45, Cahier Dédié à Luis J. Prieto (1991), pp. 301-316Published by: Librairie DrozStable URL: http://www.jstor.org/stable/27758453 .
Accessed: 17/06/2014 13:18
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CFS 45 (1991), pp. 301-316
LUIGI RIZZI
SULLA CONOSCENZA DEL LINGUAGGIO
1. Determinismo e libert?
Luis Prieto ha sottolineato l'importanza, tra le specificit? della natura umana, della nostra capacit? di superare i limiti che ci sono biologica mente imposti. Si pu? addirittura affermare, aggiunge Prieto, che noi siamo biologicamente programmati per sfuggire alla necessit? biologica, per superare le nostre limitazioni di organismi biologicamente determi
nati. Questa affermazione ? prossima a quella di Chomsky secondo cui le
nostre capacit? linguistiche sono biologicamente determinate, ma l'uso che
ognuno di noi ne pu? fare, e ne fa quotidianamente, ? creativo, non sotto
posto al ferreo determinismo biologico dei sistemi di comunicazione ani
mali. La natura umana ci fornisce un principio generativo, attivato e
parzialmente determinato dall'esperienza, che ci rende accessibile una in
finita combinatoria di possibilit? linguistiche per la libera espressione del
pensiero. Il principio ? biologicamente radicato in tutti i membri della nostra specie, parte del patrimonio genetico che definisce la nostra natura;
l'uso che ognuno di noi ne fa ? libero. Lo studio di una capacit? che trascende il determinismo biologico pre
suppone logicamente lo studio delle condizioni biologiche che la rendono
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possibile. Questo studio ? parte del programma della grammatica genera tiva.
Che noi siamo geneticamente predisposti ad acquisire una o pi? lingue naturali ? suggerito da una variet? di argomenti. Ogni bambino invaria
bilmente arriva ad acquisire la lingua a cui ? esposto (salvo patologia grave) senza insegnamento esplicito e ad una et? in cui l'acquisizione es
plicita e sistematica di conoscenze ed abilit? sta appena cominciando:
all'inizio della scolarizzazione, il nucleo fondamentale della competenza
linguistica ? gi? ben radicato e pienamente funzionante. Malgrado il carat
tere frammentario e individualmente variabile dell'esperienza, ogni bambino di una data comunit? linguistica converge sostanzialmente sullo
stesso insieme di conoscenze grammaticali (salvo idiosincrasie marginali).
Questi argomenti a sostegno della predisposizione genetica all'acquisizione del linguaggio sono fondamentalmente di senso comune,
anche se possono essere precisati. Pi? interessanti e molto meno ovvi sono
gli argomenti cosiddetti della povert? dello stimolo; per essi il senso co mune non basta, e bisogna fare ricorso a risultati specifici della ricerca
linguistica. Se si cerca di esprimere con precisione l'insieme di cono scenze che il parlante adulto possiede sulla sua lingua, la competenza lin
guistica o lingua interna del parlante, ci si rende conto ben presto che esso
costituisce un sistema straordinariamente complesso. Ci? che ? pi? impor tante, si nota che vari aspetti di questo sistema sono largamente sottode
terminati dall'esperienza; vale a dire, l'esperienza accessibile al parlante nel corso dell'apprendimento ? troppo povera e frammentaria per de
terminare completamente il sistema adulto di conoscenze linguistiche; as
petti importanti di questo sistema sono invariabilmente riscontrati in ogni parlante senza che nessuna esperienza determinante sia potuta occorrere
nell'apprendimento. Discuter? pi? avanti una serie di casi di questo tipo. Quando si registra una simile situazione di povert? dello stimolo, di co
noscenza raggiunta senza esperienza determinante, appare legittimo attri
buire tale conoscenza direttamente alla mente, alla sua struttura biologi camente predeterminata. Si veda Chomsky (1991) per una presentazione sintetica di questo punto di vista.
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La necessit? di postulare una forte predisposizione geneticamente de terminata all'apprendimento del linguaggio sembra per? scontrarsi con
una ovvia osservazione: le lingue umane variano, il sistema di conoscenza
che possiede il parlante dell'italiano appare sostanzialmente diverso dal
sistema di conoscenze del parlante del giapponese, e la natura del sistema
che l'adulto ha acquisito dipende crucialmente dall'esperienza: il bambino
esposto ai dati del giapponese apprender? il giapponese, e cos? via. Come
possiamo conciliare la necessit? di postulare una forte predisposizione specifica della specie con l'apparente variet? dei sistemi acquisiti, e il ruolo cruciale dell'esperienza nell'acquisizione?
2. L'invarianza interlinguistica
Il paradosso tende a scomparire non appena confrontiamo con preci
sione e sistematicit? i sistemi di conoscenza che sono le lingue umane.
L'approccio comparativo rivela un alto tasso di invarianza, al di l?
dell'apparente variet?. In primo luogo vi sono universali linguistici, pro
priet? invarianti attraverso le lingue. Alcuni universali sono piuttosto
ovvi, come l'articolazione delle unit? linguistiche in pi? livelli gerarchiz zati, fondamentalmente gli stessi in tutte le lingue; altri lo sono molto
meno, come le restrizioni universali sulla coreferenza di cui parler? tra
poco, o le restrizioni di isola. Per esempio, molte lingue umane ammet
tono che si formi una interrogativa su un avverbio di causa, maniera, ecc.
di una subordinata dichiarativa, mentre nessuna lingua sembra ammettere
lo stesso processo da una subordinata interrogativa indiretta: cos?, in ita
liano possiamo ottenere l'interrogativa ben formata (l)b da (l)a, mentre
da (2)a non possiamo ottenere (2)b: (1) a Credo che si siano comportati in questo modo
b Come credi che si siano comportati? (2) a Mi domando se si siano comportati in questo modo
b *Come ti domandi se si siano comportati? (si vedano Chomsky (1986), Rizzi (1990) per una discussione recente, e, tra gli altri riferimenti, Huang (1982), Lasnik & Saito (1984) per
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l'analoga restrizione in lingue come il cinese e il giapponese, in cui la formazione di interrogativa non comporta una regola sintattica di movi
mento esplicito). Nessuna lingua sembra ammettere l'estrazione di un av
verbio da certe configurazioni sintattiche, tra cui le interrogative indi
rette. Questo e tanti altri universali sono stati portati alla luce dalla ri
cerca comparativa corrente, e domandano una appropriata spiegazione teorica. Per il momento, accontentiamoci di registrarli a riprova dell'alto
livello di invarianza.
Secondariamente, anche nei domini in cui le lingue variano, si osser
vano dei limiti molto forti sulla variazione possiblile. Consideriamo ad
esempio i processi di accordo rispetto a tratti grammaticali quali la per sona, il numero ecc. Abbiamo casi di accordo del verbo con il soggetto, con l'oggetto diretto e con altri complementi. Le lingue indoeuropee tipi camente manifestano l'accordo verbo-soggetto, varie lingue bantu sia
l'accordo verbo-soggetto che verbo-complementi, altre lingue, come il
cinese, non manifestano alcun processo di accordo. Siamo quindi in pre senza di una propriet? variabile attraverso le lingue. Eppure, la varia
zione ? assai ristretta. In primo luogo, i fenomeni di accordo sono sempre locali: in nessuna lingua troviamo fenomeni di accordo a distanza, po
niamo, tra il verbo della principale e un complemento di una subordi nata1.
Secondariamente, la localit? ? sempre definita in termini di complesse relazioni strutturali quali la reggenza (government): in nessuna lingua l'accordo ? determinato, per es., dal sintagma nominale immediatamente
precedente il verbo, ma sempre dal sintagma nominale che ha una deter
minata funzione grammaticale (soggetto, oggetto, ecc.), definita in ter
mini di relazioni configurazionali quali la reggenza; vale a dire, le lingue naturali tipicamente mostrano il pattern di accordo in (3), non quello in
1 Alcuni casi apparentemente di questo tipo in Hindi sono analizzati da Mahajan (1990) come mettenti in gioco un processo di ristrutturazione tra verbo principale e subordinato. Analogamente, in italiano, il verbo causativo si accorda apparentemente con l'oggetto del complemento nelle frasi participiali:
(i) Fatto riparare la macchina dal meccanico, Gianni ? partito. Ma il verbo causativo e il verbo subordinato formano in effetti un'unica unit? verbale far riparare mediante un processo di incorporazione (si veda Guasti (1991) e, sulle strutture participiali, Belletti (1990), cap. 3). L'accordo non avviene dunque realmente a distanza.
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(4), in cui l'accordo sarebbe governato dal nominale linearmente conti
guo:
(3) a La soluzione di questi problemi ? sorprendente b Le soluzioni di questo problema sono sorprendenti
(4) a *La soluzione di questi problemi sono sorprendenti b *Le soluzioni di questo problema ? sorprendente
Dunque, anche in un dominio variabile come quello dei processi di ac
cordo, la variazione ? fortemente limitata: i processi di accordo, quando
esistono, sono locali, e la localit? ? definita in termini di complesse confi
gurazioni sintattiche, non nei semplici termini di contiguit? o prossimit? lineare. In questo e in tanti altri domini di variazione, le lingue naturali non utilizzano che un piccolo segmento delle possibilit? logiche. ? un
compito fondamentale della ricerca linguistica contemporanea individuare
empiricamente l'invarianza interlinguistica ed esprimerla concisamente
mediante leggi generali. Tali leggi definiranno le propriet? essenziali delle lingue umane, caratterizzando quindi precisamente la nozione di lin
gua umana possibile. Si dissolve cos? il possibile paradosso menzionato all'inizio: le considerazioni di linguistica comparativa finiscono anzi col
convergere con le indicazioni derivanti dall'acquisizione nell'esigere una
teoria restrittiva dell'invarianza nel linguaggio umano.
3. Sulla povert? dello stimolo
Facciamo un passo indietro e riprendiamo la struttura logica del primo e pi? forte argomento per la predeterminazione:
I. La povert? dello stimolo: certe conoscenze che abbiamo in quanto
parlanti adulti non possono essere fondate sull'esperienza perch?, nel
corso dell'apprendimento, non siamo stati sottoposti ad alcuna esperienza
che potesse giustificarle. Gli argomenti di povert? dello stimolo sono corroborati da due ulte
riori tipi di considerazioni: II. L'universalit?: in genere osserviamo che le conoscenze non fondate
sull'esperienza sono universali; ci? ? quanto ci attendiamo, date le ipotesi
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ragionevoli che tali conoscenze siano predeterminate, e che il genoma umano sia sostanzialmente uniforme per quanto riguarda la facolt? di lin
guaggio. III. La manifestazione precoce: se una conoscenza ? predeterminata, ci
attendiamo che essa si manifesti non appena il bambino pu? maneggiare strutture della complessit? pertinente (facendo astrazione dalla possibilit? che certi principi grammaticali siano soggetti a maturazione, nel senso di
Borer & Wexler 1987). Consideriamo un semplice esempio concreto. Tutti i parlanti
dell'italiano sono in grado di emettere semplici giudizi sull'interpretazione dei pronomi, per esempio nelle frasi seguenti:
(5) Ho convinto Gianni che Maria lo ammira
(6) Lo ho convinto che Maria ammira Gianni In (5) il pronome lo si pu? riferire a Gianni, diremo che in questa
frase le espressioni lo e Gianni possono essere coreferenziali. (6) ?
anch'essa una frase ben formata, ma non ammette l'interpretazione core
ferenziale: lo deve riferirsi ad una persona diversa da Gianni. Ogni par lante pu? fornire giudizi di questo genere, in maniera chiara e replicabile, anche su frasi che con ogni probabilit? non ha mai sentito prima2.
I parlanti sono quindi in possesso di una regola, o principio, che appli cano istantaneamente e tacitamente alle frasi che sentono, e che determina
l'interpretazione dei pronomi. Se per? chiediamo ad un parlante italiano
di esplicitare questo principio, egli non ? in grado di farlo: il principio regolante la coreferenza, che pure tutti possediamo e sappiamo applicare istantaneamente a qualsiasi frase, ? totalmente inaccessibile
all'introspezione. Nei corsi di introduzione alla sintassi faccio regolarmente
l'esperimento di chiedere agli studenti di formulare il principio che dis
tingue (5) e (6). Invariabilmente, qualcuno propone l'ipotesi seguente: il pronome deve seguire il nome (o sintagma nominale) a cui ? coreferen
ziale; questa condizione lineare ? soddisfatta in (5) ma non in (6), che
2 Si noti anche che giudizi di questo genere sono anche del tutto indipendenti dal grado di scolarizzazione e consapevolezza normativa del parlante; in effetti tali giudizi, se appro priatamente elicitati, sono coerentemente ottenibili su lingue e dialetti del tutto privi di tradizione grammaticale normativa.
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quindi esclude la coreferenza. Questa ipotesi ? a prima vista plausibile, e
funziona in un buon numero di casi. Tuttavia, ? facile convincersi che
essa non riproduce correttamente il nostro principio mentale; si conside
rino le frasi seguenti: (7) Quando lo ho conosciuto, Gianni era molto giovane (8) Le persone che lo conoscono bene dicono che Gianni ? una
brava persona In (7) e (8) il pronome precede il nome, eppure la coreferenza ? pos
sibile. Evidentemente, lo studente che ha proposto il principio di prece
denza, non potendo accedere introspettivamente al principio che effetti
vamente possiede, si ? limitato a formulare una ipotesi sulla natura di tale
principio, ipotesi che alla riprova dei fatti si ? rivelata scorretta. Il principio che effettivamente possediamo ? formulabile in base ad una
relazione strutturale pi? sofisticata della semplice precedenza. Chiamiamo
dominio (o c-dominio) di un elemento il sintagma che lo contiene imme
diatamente. Il dominio del pronome degli esempi precedenti ? indicato dalle coppie di parentesi:
(5) Ho convinto Gianni che Maria [lo ammira] (6) *[L? ho convinto che Maria ammira Gianni] (7) Quando [lo ho conosciuto], Gianni era molto giovane (8) Le persone che [lo conoscono bene] dicono che Gianni ?
una brava persona
? ora chiaro in che senso (6) differisce dagli altri casi: solo in (6) Gianni si trova nel dominio del pronome; evidentemente, quando un
nome si trova nel dominio di un pronome, la coreferenza ? impossibile. E
questo il principio di non coreferenza di Lasnik (1989)3; (9) Un pronome non pu? essere coreferenziale a un nome nel
suo dominio
Poniamoci ora la questione: come ? possibile che noi tutti possediamo
tacitamente il principio (9) (o il pi? astratto (i), o qualsiasi altro principio
3 Principio ora sussunto dal pi? conciso principio C del legamento di Chomsky (1981):
(i) Principio C: Un nome deve essere libero. Se un pronome ? coreferenziale a un nome nel suo dominio, il nome ? legato dal pro nome, quindi non ? libero, in violazione di (i). Si veda Haegeman (1991), cap. 4 per una illustrazione di questo sviluppo concettuale.
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inglobante (9) e (i) si riveler? in ultima analisi essere empiricamente cor
retto)? Il fatto ? che l'informazione ?la coreferenza ? impossibile in
questa frase? non ? mai fornita ai bambini che apprendono una lingua.
L'esperienza accessibile ai bambini ? solo positiva, consiste nel sentire
frasi e nell'associarvi interpretazioni, in qualche modo desunte dal
contesto. Informazioni negative (questa struttura non ? possibile, questa
interpretazione non ? possibile) non vengono fornite dalla comunit? lin
guistica, dai genitori, ecc., se non in maniera del tutto saltuaria, e princi
palmente nel dominio marginale delle eccezioni morfologiche (?si dice
aperto, non aprito?). Nessun genitore fornisce mai al bambino
l'informazione ?in questa frase lo e Gianni devono indicare due persone diverse?. Come possiamo allora arrivare tutti invariabilmente alla
conclusione che la coreferenza ? impossibile in certe strutture? Quando una conoscenza generalmente condivisa non ? fondata sull'esperienza, ap
pare legittimo attribuirla alla mente, e assumerne il carattere predetermi nato.
Per?, si potrebbe obiettare, se ? vero che il bambino non riceve infor mazioni negative dirette, potrebbe forse desumere indirettamente che la
coreferenza non ? possibile in (6). Ammettiamo, per semplificare le cose, che il bambino possa sempre desumere l'interpretazione di una frase che
sente dal contesto linguistico ed extralinguistico. Nel corso
dell'apprendimento egli sentir? una serie di frasi come (5), alcune con
l'interpretazione coreferenziale, altre con l'interpretazione non corefe
renziale, ed una serie di frasi come (6), tutte con l'interpretazione non
coreferenziale. Non potremmo forse pensare che questo basti al bambino
per suggerirgli la generalizzazione induttiva che la coreferenza ? sempre esclusa in frasi come (6)?
Si possono sollevare almeno tre controobiezioni a questo argomento, la
prima logica, le altre due empiriche: 1. Che cosa vuol dire ?frasi come (6)?? Qual ? la base per cui certe
strutture sono incluse nella generalizzazione induttiva, ed altre, per
esempio (7), non lo sono? Se cerchiamo di precisare questo punto raffi nando il 'come', la nozione di analogia strutturale in gioco, non faremo
altro che ricapitolare tutto il contenuto di (9) entro la nozione di analogia,
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spostando cos? semplicemente il problema (perch? tutti i parlanti scelgono questa cos? specifica nozione di analogia strutturale piuttosto che
un'altra?); per di pi?, sarebbe totalmente fuorviante chiamare 'analogico' un principio facente riferimento a condizioni strutturali altamente precise e specifiche.
2. Se l'impossibilit? della coreferenza in (6) fosse una propriet? arbi traria dell'italiano, da apprendersi sulla base dell'esperienza (come il fatto che la sequenza /lo/ ? un pronome, ecc.), ci aspetteremmo che le cose po tessero essere diverse nella prossima lingua che studiamo. In effetti, non ?
cos?: nessuna lingua sembra ammettere la coreferenza nella configura zione rilevante. Il paradigma (5)(6) si riproduce anche in lingue storica
mente e tipologicamente assai lontane dall'italiano, come mostra il piccolo
campione che segue, includente l'ebraico moderno (10), l'arabo classico
(11) (esempi dovuti a Ur Shlonsky e Sahar Hasan-Shlonsky), il vietnamita
(12) , il tailandese (13) (esempi tratti da Lasnik 1989), e la lingua ameri cana Mohawk (14) (esempio discusso da Marc Baker in un seminario all'Universit? di Ginevra, aprile 1991): nella configurazione corrispon dente a (6) la coreferenza ? sistematicamente esclusa:
(10)
(11)
(12)
(13)
(14)
*hu ma'amin
lui crede *huwwa ya9taqidu lui crede
*no' tin
lui crede *khaw khit lui pensa
*wa -hi-hrori-'tsi
FATTO lo +gli - dissi
she-John yenaceax che John vincer? 'arma John sa-yanjafia
che John vincer? John se thang John vincer? waa coon ch?la?t
che John ? furbo Sak ruwa-nuhwe'-s
Sak lei+lo-amava
Gli dissi che lei amava Sak L'universalit? del fenomeno della non coreferenza ? inspiegabile se
pensiamo ad esso come una propriet? arbitraria, appresa induttivamente
dall'esperienza: sarebbe pi? o meno altrettanto improbabile quanto lo
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3 10_Cahiers Ferdinand de Saussure 45 (1991)_
scoprire che la sequenza /lo/ ? un pronome in tutte le lingue4! L'universalit? di (9) ? invece attesa se ipotizziamo che esso sia un princi pio predeterminato, dato il ragionevole assunto dell'uniformit? del ge noma umano per quanto concerne la facolt? di linguaggio.
3. Se la non coreferenza fosse appresa, ci aspetteremmo una insorgenza
relativamente tardiva del fenomeno nell'apprendimento, dopo che il
bambino ? stato esposto a molti casi delle strutture pertinenti. Per esem
pio, se l'acquisizione delle generalizzazioni strutturali della non-corefe
renza potesse funzionare in modo modellizzabile da sistemi connessionisti,
che esigono molti 'passaggi' di esperienza prima che le generalizzazioni si stabilizzino attraverso il gioco dell'attivazione e dell'inibizione (ogni
'passaggio' di frase non coreferenziale attiva l'ipotesi di coreferenza im
possibile e inibisce l'ipotesi di coreferenza possibile per la struttura in
questione, fino al raggiungimento di certe soglie di attivazione o inibi
zione), ci aspetteremmo una lunga fase di oscillazioni prima che il bam
bino converga sulle generalizzazioni della lingua adulta (come avviene,
per esempio, per l'acquisizione di certe regole e eccezioni morfologiche: si veda Rumelhart & McClelland 1986). ? stato invece mostrato speri
mentalmente da Crain e McKee (1986) che i bambini sono sensibili alla non coreferenza non appena sono in grado di manipolare strutture della
complessit? richiesta. Con una tecnica sperimentale sofisticata condotta su
un ampio gruppo di bambini dai 2 ai 5 anni, Crain e McKee hanno potuto mostrare una capacit? precoce di discriminare tra due esempi del tipo se
guente (l'esperimento originale dei due autori ? stato condotto
sull'inglese):
(15) When he ate the hamburger, the Snurfwas in the box
Quando ? ha mangiato l'hamburger, //puffo era nella scatola
(16) He ate the hamburger when the Sm/r/was in the box ? ha mangiato l'hamburger quando // puffo era nella scatola
4 Ovviamente, ci possono essere universali arbitrari legati a speciali accidenti storici. Per esempio, ? probabilmente vero che tutte o quasi le lingue del mondo possiederanno una forma fonetica simile a /dollaro/, aggiustata secondo le restrizioni morfofonemiche di ogni singola lingua. Questo tipo di universalit?, disgiunto dalla povert? dello stimolo e spie gabile su basi storiche, economiche, o comunque extralinguistiche, ? ovviamente irrile vante nel presente contesto.
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_L. Rizzi, Sulla conoscenza del linguaggio_3 11
Il pronome soggetto (he in inglese, nullo in italiano) si pu? riferire al
puffo in (15) ma non in (16). Anche bambini di due o tre anni sono sen sibili a questa distinzione. Ci? ? esattamente quanto ci aspettiamo se il
principio (9) ? predeterminato. Se invece (9) fosse in qualche modo ap preso, ci aspetteremmo di trovare una forte oscillazione iniziale (come
nell'apprendimento delle sottoregolarit? morfologiche) che non si osserva affatto (si veda anche Crain (1991) per una discussione dettagliata di
questi argomenti). In conclusione, nel caso della non coreferenza, povert? dello stimolo,
universalit? e manifestazione precoce concorrono a sostenere l'ipotesi della predeterminazione.
4. Principi, parametri e conoscenze associative
Chiamiamo Grammatica universale il sistema dei principi linguistici
predeterminati. Tale sistema ? altamente strutturato, ma non ? del tutto
rigido (se lo fosse, vi sarebbe una sola lingua parlata da tutti): esso speci fica una serie di punti di scelta, in genere binari, in cui ogni lingua sceglie l'una o l'altra delle due vie possibili. Questi punti di scelta sono chiamati i
parametri della grammatica universale. Apprendere una lingua vuol dire,
tra l'altro, fissare i parametri sulla base dell'esperienza. In altre parole,
colui che apprende deve determinare, sulla base dei dati linguistici cui ha
accesso, quale strada la sua lingua ha preso ad ogni punto di scelta. In
base a questo modello, l'apprendimento del linguaggio non ? costruzione
di conoscenza sulla base dell'esperienza: non vi ? alcuna forma di trasfe
rimento di struttura dal mondo esterno alla mente, l'esperienza non de
termina l'insorgere di alcuna struttura linguistica che non fosse gi? in
qualche modo prevista dalla mente. Il ruolo dell'esperienza ? semplice
mente di selezionare alcune delle possibilit? previste nel ricco inventario a
priori che la mente possiede, e di scartarne altre5.
5 Si veda Piattelli-Palmarini (1990) per una utile discussione comparativa del prevalere delle teorie selettive dell'apprendimento in diversi settori della biologia umana e delle scienze cognitive.
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312 Cahiers Ferdinand de Saussure 45 (1991)
Consideriamo alcuni semplici casi di variazione interlinguistica attri
buibili a parametri della grammatica universale. Un primo caso concerne
l'ordine degli elementi nella frase. Compito del bambino sar? di determi
nare se nella sua lingua la testa di un sintagma precede o segue i comple
menti, per es., se nell'ordine fondamentale il verbo precede l'oggetto di
retto, come in italiano (in ebraico, in finnico, ecc.), oppure lo segue
(come in tedesco, in turco, in giapponese, ecc.)6:
(17) Gianni ama Maria
(18) ...dass Hans Maria liebt
Analogamente, il bambino dovr? determinare in base all'esperienza se
la sua lingua possiede l'accordo verbale col soggetto (come l'italiano, ma non il cinese), e l'accordo verbale con l'oggetto o altri complementi
(come certe lingue bantu, ma non le lingue germaniche); se ammette che
il soggetto pronominale sia foneticamente nullo, come l'italiano e il ceco,
oppure no, come il francese e lo svedese (Rizzi 1986): (19)
? abbiamo gi? mangiato (20) *? avons d?j? mang?
se richiede il movimento sintattico del pronome interrogativo in posizione iniziale, come l'italiano e l'inglese, o richiede che esso rimanga nella sua
posizione di base, o comunque in una posizione intema alla frase, come il
cinese e il giapponese, o ammette entrambe le opzioni, come il francese
colloquiale7:
(21) Tu es all? o??
(22) O? es-tu all?? Come abbiamo osservato, anche nei domini parametrizzati non tro
viamo variazioni 'selvagge' e prive di struttura. Per quanto riguarda i
6 In tedesco, come nelle altre lingue germaniche moderne tranne l'inglese, l'ordine di base ? direttamente manifestato dalle subordinate, mentre nelle principali l'ordine ? stra volto dal cosiddetto 'verbo secondo', il movimento del verbo flesso in seconda posi zione. 7 Almeno nelle interrogative principali. Nelle interrogative indirette il francese si comporta come l'italiano e l'inglese, in quanto esige il movimento:
(i) Je ne sais pas o? tu es all? (ii)
* Je ne sais pas tu es all? o? Si veda Rizzi (1991) per un'analisi dei parametri che determinano questo complesso stato di cose.
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_L. Rizzi, Sulla conoscenza del linguaggio_3 1 3
processi di accordo, l'accordo con il soggetto e/o con vari complementi esaurisce le possibilit?: non abbiamo casi di accordo a distanza, o basato sulla contiguit? lineare. Analogamente, per quanto concerne l'ordine fon
damentale degli elementi, abbiamo essenzialmente due casi: o la testa pre
cede tutti i complementi, o segue tutti i complementi. Non si danno casi in cui il verbo sia circondato dai complementi nell'ordine di base, per es.
seguito dal locativo e preceduto dal benefattivo8.
Queste forti limitazioni sulla variazione nei domini parametrizzati in
dicano che i parametri non sono semplicemente dei buchi, o assenze di
specificazione, nella struttura della grammatica universale: se cos? fosse,
ci aspetteremmo di trovare una variazione arbitraria e illimitata, dispersa su tutto il rango delle possibilit? logiche. Al contrario, abbiamo visto che
solo un piccolo segmento delle possibilit? logiche ? effettivamente utiliz zato. Ci? suggerisce che i parametri rappresentino piuttosto una specifi cazione positiva della grammatica universale, la specificazione di alterna
tive in cui le singole lingue possono prendere l'una o l'altra via, ad esclu
sione di altre possibilit? a priori immaginabili; pare quindi appropriato concettualizzare i parametri come 'interruttori mentali' (Higginbotham) che vengono posizionati sull'una o l'altra posizione dal bambino in base
all'esperienza. ? possibile pensare all'intero processo di acquisizione del linguaggio
come fissazione di parametri? Presumibilmente no. Apprendere una lin
gua comporta l'acquisizione di un lessico, il che implica, tra l'altro, ap
prendere ad associare forme fonetiche e concetti. Se la costruzione delle
forme fonetiche e dei concetti obbedisce certamente a leggi e vincoli bio
logicamente determinati (organismi costituiti diversamente da noi potreb bero avere forme fonetiche e strutture concettuali molto diverse dalle
nostre), l'associazione di concetti e radici lessicali non sembra essere re
golata da alcun principio.
8 Casi di apparente ordine libero si sono rivelati proficuamente analizzabili come derivati
da un unico ordine sottostante mediante un processo di scrambling (riordinamento). Koopman (1984) ha analizzato l'ordine complementi preposizionali
? verbo ? oggetto diretto in cinese mandarino come derivante da un ordine sottostante a verbo finale a par tire dal quale l'oggetto diretto deve muovere a destra per ottenere un caso sintattico as tratto. Sulla teoria dei casi sintattici si veda Haegeman (1991), cap. 3.
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314 Cahiers Ferdinand de Saussure 45 (1991)
Questa assenza di principio corrisponde alla nozione classica di ?arbitrariet? del segno?, almeno nell'interpretazione pi? elementare: nei
nostri termini, il segno ? arbitrario in quanto la nostra facolt? di lin
guaggio, la grammatica universale, ? muta sull'associazione tra suoni e
sensi. L'arbitrariet? del segno si vede quindi attribuire uno statuto onto
logico particolare nel quadro che ho esposto: non ? un principio costitu tivo delle lingue umane (quali sono invece i principi della grammatica universale), ? piuttosto un principio residuale, la constatazione di
un'assenza di principio nei domini associativi (di sensi e radici lessicali, ma anche di sensi non composizionali e parole morfologicamente com
plesse soggette a 'deriva semantica', e di sensi non composizionali e es
pressioni idiomatiche)9. Per concludere, pare ragionevole distinguere due tipi fondamental
mente diversi di variazione interlinguistica. Il primo ? analizzabile in forma di fissazione di parametri, corrisponde ad una opzione positiva
mente specificata nella grammatica universale, comporta poche alterna
tive (in molti casi chiari, una semplice scelta binaria), le quali spesso corrispondono a un piccolo segmento delle possibilit? logiche. Il secondo
tipo corrisponde a una assenza di specificazione nella grammatica univer
sale, contempla un numero indefinito di alternative, concerne fondamen
talmente i fenomeni associativi. Se questo ? corretto, la nostra conoscenza
9 La caratterizzazione dell'arbitrariet? come assenza di principio vale per l'interpretazione elementare di questa nozione, quale emerge, per esempio, nella formulazione aristotelica (il legame ? per convenzione, non per natura). Essa non vale per l'arbitrariet? 'radicale' che Tullio de Mauro attribuisce al pensiero di Ferdinand de Saussure, caratterizzandola come segue: ?Le lien [tra significante e significato] est arbitraire radicitm, dans ses fon dements m?me, dans la mesure o? il relie deux entit?s semblablement produites gr?ce ? un d?coupage arbitraire dans la substance acoustique et dans la substance significative...? (p. 442, commento a Saussure (1916/1985)). Sembra chiaro che questi due 'd?coupages' sono limitati e retti da leggi generali di formazione concettuale e di organizzazione lin guistica che sono proprie della nostra specie; organismi costituiti diversamente da noi po trebbero certamente possedere sistemi concettuali ed espressivi completamente diversi dai nostri, ammettenti 'tagli' inconcepibili per noi. L'organizzazione della sostanza concet tuale e fonica nelle diverse lingue non ? quindi caratterizzabile come arbitraria in quanto non regolata da principi; la variazione interlinguistica che si osserva ?, caso mai, ricon ducibile ad una operazione di selezione a partire da inventari e leggi combinatorie prede terminate. Una caratterizzazione del ?d?coupage dans la substance acoustique? in termini di scelte parametriche a partire dagli inventari e principi della grammatica universale ? esplicitamente proposta dalla fonologia generativa attuale. Sulle limitazioni biologica mente determinate sul nostro sistema concettuale si veda, tra l'altro, Fodor (1985).
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_L. Rizzi, Sulla conoscenza del linguaggio_3 15
adulta di una lingua comporta almeno tre tipi distinti di conoscenze, tutte
esemplificabili nel dominio dei pronomi: a. la conoscenza dei principi innati della grammatica universale, quale il
principio di non coreferenza; b. la conoscenza dei valori parametrici della propria lingua, per esempio del fatto che l'italiano ammette pronomi soggetto nulli, conoscenza de
terminata sulla base dell'esperienza a partire da un piccolo numero di
possibilit? predeterminate; c. la conoscenza associativa, per es. del fatto che la forma fonetica /lei/ ?
un pronome femminile singolare, determinata dall'associazione arbitraria
di suono e senso.
Quest'ultima acquisizione ? l'opposto della prima: qui la grammatica universale non ci ? di alcun aiuto, l'associazione ? arbitraria, non regolata da principi; n?, del resto, di tale aiuto avremmo bisogno, visto che in
questo caso l'esperienza ? sufficientemente informativa per determinare la
conoscenza.
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