CADZINE n° 7, luglio 2015, ANNO III

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Il magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google Plus Il magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google Plus DAL 2014 DAL 2014 LUGLIO/AGOSTO 2015 Anno II Numero 7 edizione gratuita /11 Arduino Presenamo la pagina Schema ove possiamo elaborare circui ulizzando i simboli standard e rielaborarli in quella Breadboard. /16 Le Norme Tecniche Come nascono le Norme Tecniche? Breve viaggio nell’iter procedurale per arrivare alla formulazione di uno dei sussidi più validi per ogni po di progeazione. /31 Cinema Connua la saga del cult movie sul cyborg più famoso della storia del cinema. Effe speciali ancora più avvenirisci e un sintoaore molto parcolare...

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Il magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google PlusIl magazine della Community “AutoCAD, Rhino e SketchUp designers” su Google Plus

DAL 2014DAL 2014

LUGLIO/AGOSTO 2015 Anno II Numero 7 edizione gratuita

/11 Arduino

Presentiamo la pagina Schema ove

possiamo elaborare circuiti

utilizzando i simboli standard e

rielaborarli in quella Breadboard.

/16 Le Norme Tecniche

Come nascono le Norme Tecniche? Breve

viaggio nell’iter procedurale per arrivare

alla formulazione di uno dei sussidi più

validi per ogni tipo di progettazione.

/31 Cinema

Continua la saga del cult movie sul cyborg

più famoso della storia del cinema. Effetti

speciali ancora più avveniristici e un

sintoattore molto particolare...

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La Comm. per progettisti, disegnatori tecnici ed appassionati La prima Community italiana, della piattaforma Google Plus sul CAD e le sue applicazioni, per

data di fondazione e numero di iscritti

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ABITIAMO LA TECNICA IRRIMEDIA-

BILMENTE E SENZA SCELTA.

QUESTO È IL NOSTRO DESTINO DI

OCCIDENTALI AVANZATI, E COLORO

CHE, PUR ABITANDOLO, PENSANO

ANCORA DI RINTRACCIARE UN’ES-

SENZA DELL’UOMO AL DI LÀ DEL

CONDIZIONAMENTO TECNICO, CO-

ME CAPITA DI SENTIRE, SONO SEM-

PLICEMENTE DEGLI INCONSAPEVO-

LI.

UMBERTO GALIMBERTI, PSICHE E

TECHNE, 1999

Da: www.aforismario.it

LA METTO IN CORNICE

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Diario di bordo

HOME PAGE

Direttore responsabile: Salvio Giglio Redazione: Nicola Amalfitano, Antonello Buccella, Nunzia Nullo, Antonio Martini

Segretaria di redazione: Nunzia Nullo Redazione bozze: Nicola Amalfitano, Nunzia Nullo

Questo numero è con ogni probabilità l’ultimo per que-st’annata di pubblicazione, dal momento che il progetto CADZINE necessità assoluta-mente di manutenzione! Questa prima fase, infatti, è stata meramente sperimen-tale ed è servita a rintrac-ciare uno standard editoriale ben preciso per dare a CAD-ZINE una sua precisa identi-tà grafica. Oltre a questo è necessario approntare un sito specifico per il progetto

in cui, eventuali visitatori e potenziali collaboratori, sia possibile rintracciare velo-cemente tutte quelle infor-mazioni utili a comprendere le finalità e le modalità ope-rative del progetto stesso. Chi ci segue sa bene che dietro CADZINE ci sono solo un gruppo di amici appas-sionati di tecnologia che riescono a tenersi in contat-to solo grazie al prezioso ed indispensabile supporto in-formatico offerto gratuita-

mente da Google attraverso il suo Social, G+. Appena chiusa questa edizione par-tiranno i lavori di cura edito-riale, catalogazione e resty-ling di tutti i numeri sinora pubblicati. Il lavoro da svol-gere è tantissimo e richiede-rà almeno 3, 4 mesi di tempo per essere svolto nel modo migliore possibile. Che altro aggiungere se non un “Arrivederci a presto”? Fate il tifo per noi :)

grafico

[grà·fi·co] aggettivo e sostantivo maschile Tecnico specializzato in uno dei vari campi dell'arte grafica

rubriche PAG. 07 NEWS

PAG. 09 EDITORIALE di Salvio Giglio “Mezzogiorno, sempre più in basso”

PAG. 11 ARDUINO di Salvio Giglio “La pagina SCHEMA di Fritzing”, V PUNTATA

PAG. 24 BASI PER IL DISEGNO E LA PROGET-

TAZIONE di Salvio Giglio “Le Norme Tecniche”, V PUNTATA

PAG. 31 CINEMA E ANIMAZIONE di Nunzia Nullo “TERMINATOR Genisys”

PAG. 34 DESIGNER’S STORY di Salvio Giglio “Carlo Rambaldi”

PAG. 45 FARE BLOGGING di Antonio Marti-ni “Lo stile Storytelling”

PAG. 48 INTERVISTA di Salvio Giglio “Filippo Girardi”

PAG. 54 MUSICA di Nicola Amalfitano “La Jota Spagnola… (quella Triestina è ben altro)”

PAG. 58 NEW HARDWARE FOR CAD di Sal-vio Giglio “Marylin, Reagan, gli UAV e la seconda guerra mondiale”, III PUNTATA

corsi & tutorials PAG. 67 CORSO DI ORIENTAMENTO ALLA BIM di Salvio Giglio “Tipologie contrattuali BIM”, XII PUNTATA

PAG. 70 CORSO DI BASE PER SKETCHUP di Salvio Giglio “Il menù TELECAMERA”, XIV PUNTATA

PAG. 72 MODELLARE I TERRENI CON SKET-

CHUP di Antonello Buccella “Usare la Sabbiera”, II ED ULTIMA PARTE

eventuali & varie PAG. 76 UMORISMO

PAG. 77 GIOCHI

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HOME PAGE

Cos’è CADZINE è una rivista gratuita nata in

seno alla Community di “AutoCAD, Rhino & Sket-

chUp designer” per informare & formare disegnatori tecnici e

appassionati sul CAD ed i suoi “derivati”.

La pubblicità Le inserzioni pubblicitarie pre-

senti sono gratuite e sono create e pubblicate a discrezione della

redazione.

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CADZINE è solo uno dei progetti crossmediali in corso legati alla

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mettendo a disposizione di tutti e gratuitamente le tue cono-scenze. Sarai il benvenuto!

Segretaria di redazione: Nunzia Nullo Redazione bozze: Nicola Amalfitano, Nunzia Nullo

Impaginazione, pubblicità e progetto grafico: Salvio Giglio Editore: Calamèo (Hachette)

E’ consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci la copia. La pubblicazione è CopyLeft & Open Access ;-)

Pensandoci bene Lo Stato è un organismo unico che non dovrebbe distinguere

tra nord e sud, est ed ovest, tra bianco e nero. Se non si riesce a ripristinare un equilibrio economico, culturale e sociale tra

tutte le componenti del Paese si rischia di vanificare quanto è stato faticosamente racimolato dai nostri nonni. Il mondo con-

temporaneo è un sistema troppo complesso per ammettere smagliature sociali, arretratezze economiche e tanti altri guai

che affliggono cronicamente il nostro Paese.

grafico

[grà·fi·co] aggettivo e sostantivo maschile Tecnico specializzato in uno dei vari campi dell'arte grafica

corsi & tutorials PAG. 67 CORSO DI ORIENTAMENTO ALLA BIM di Salvio Giglio “Tipologie contrattuali BIM”, XII PUNTATA

PAG. 70 CORSO DI BASE PER SKETCHUP di Salvio Giglio “Il menù TELECAMERA”, XIV PUNTATA

PAG. 72 MODELLARE I TERRENI CON SKET-

CHUP di Antonello Buccella “Usare la Sabbiera”, II ED ULTIMA PARTE

eventuali & varie PAG. 76 UMORISMO

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NEWS gli ultimi post prima di andare in stampa

State guardando un film e non ricor-date il nome di un attore? Ci pensa Google: con una semplice ricerca, Big G. vi svelerà il nome che non ricordate. Dovete recarvi al ristoran-te ma non ricordate l’indirizzo? Ci pensa Google: digitando il nome del ristorante seguito dalla città, Big G. vi darà tutte le risposte che cercate. Molto utile, certo. Ma che effetti a lungo termine potrà mai avere que-sta facilità con cui reperiamo le informazioni sul nostro cervello? Ebbene, a quanto pare, “grazie” all’u-so di Google e degli smartphone, il nostro cervello sta diventando sem-pre più pigro. Le informazioni sono tutte a portata “di click”, la nostra mente deve sforzarsi molto poco a ricordare e, con il passare del tempo, si sta impigrendo. Gli scienziati lo chiamano “effetto Google”, proprio come il famoso motore di ricerca che, ogni giorno, aiuta miliardi di persone in tutto il mondo a reperire le più svariate informazioni. Uno studio recente effettuato da Kaspersky Lab è giunto ad una conclusione ben precisa e, per certi versi, allarmante. Il nostro cervello è bombardato di informazioni. Grazie a Google possiamo conoscere, all’i-stante, la risposta ai nostri dubbi. Secondo gli scienziati, il nostro cervello memorizza temporanea-mente quell’informazione di cui avevamo bisogno ma poi quei “dati” vengono subito rimpiazzati da altre informazioni. Lo studio svolto dal-la Kaspersky Lab paragona il nostro cervello ad una sorta di disco mne-monico temporaneo, una chiavetta usb i cui dati vengono cancellati senza troppa fatica per fare spazio ad altri. E i dati sono chiari: circa il 90% di chi possiede tablet, pc e smartphone, soffre di amnesia digi-tale, il 70% non conosce più a memo-ria il proprio numero di cellulare e il 49% non ricorda nemmeno il nume-ro della moglie o del marito. A que-sto punto, allora, la domanda nasce spontanea: la tecnologia ci aiuta davvero nella vita di tutti i giorni oppure può rivelarsi dannosa per il nostro cervello? Un giorno le mac-chine rimpiazzeranno davvero l’es-sere umano? Solo il futuro ci darà le risposte che cerchiamo. (Da UNF Ultime Notizie Flash del 17 luglio 2015) A.B.

Quello dei rifiuti in plastica è un problema serio: senza scomodare la famosa isola di plastica del Pacifi-co la questione del corretto riciclo di tale materiale spinge a elaborare molte soluzioni. Per esempio, c'è chi pensa di adoperare le bottiglie usate per costruire scuole e chi invece, nei Paesi Bassi, vuole utiliz-zare la plastica per sostituire l'a-sfalto. Su questa idea è nato il pro-getto Plastic Road, sostenuto dall'a-zienda di costruzioni VolkerWes-sels: lo scopo è inaugurare l'era della pavimentazione in plastica riciclata delle strade. Il progetto ha attirato l'attenzione della città di Rotterdam, che ha messo a disposi-zione della VolkerWessels una zona per avviare una fase pilota: nei prossimi tre anni verrà realizzata una pista ciclabile con materiale ricavato da rifiuti plastici. La costruzione procederà in questo modo: le varie sezioni verranno

prodotte in fabbrica, dove verranno anche previsti gli alloggiamenti per i servizi (sensori per il traffico, spazi per far passare cavi della luce e tubi e via di seguito) e poi assem-blate sul posto. L'idea è che alla fine del loro ciclo di vita i vari seg-menti della strada possano essere ulteriormente riciclati per realizza-re una nuova pavimentazione. Secondo la compagnia questa solu-zione offre diversi vantaggi, tra i quali la capacità di sopportare temperatura fino a -40 gradi sotto zero e fino a 80 gradi: VolkerWes-sels prevede che una strada realiz-zata con PlasticRoad duri fino a tre volte di più rispetto a una asfaltata, e possa "vivere" fino a 50 anni. Da http://www.zeusnews.it/ 30 luglio 2015 N.A.

Quasi terminati i lavori di ricostru-zione di una villa dall'atmosfera magica: La Silvestrella, in zona Don Bosco, a ridosso delle mura medie-vali... tornerà abitabile entro fine estate. Un'abitazione dall'aspetto assolutamente peculiare, costruita agli inizi del secolo scorso (1915 circa) per volere della famiglia Palitti, raro esempio di mix tra stile Liberty e Neogotico, per certi versi simile alla vicina Villa Masci su viale Duca degli Abruzzi, anch'essa già ricostruita. I danni del terremo-to sono stati importanti, una delle due torrette si era inclinata, ma fortunatamente non ci sono stati

crolli. Impegnativo il lavoro dedica-to al restauro. Ogni stanza si distin-gue per un particolare, dalle pareti al soffitto. I lavori di ristrutturazio-ne hanno restituito decori di note-vole pregio. "Il restauro ha riportato alla luce i veri colori della Silve-strella che con il tempo si erano spenti". La "Silvestrella" aquilana, resta uno dei rari esempi di archi-tettura eclettica e fantastica giunta ai giorni nostri senza manomissio-ni. Articolo di G. Baiocchetti e F. Mar-chi estratto da "IlCapoluogo", L'A-quila, mercoledì 22 luglio 2015 A.B.

Convivere con un arto amputato e l’eventuale protesi può essere molto difficile, soprattutto se a dover sopportare questo peso è un bambino. Ma visto che il Lego è una di quelle cose in grado di mi-gliorare tutto ciò che tocca, Carlos Arturo Torres Tovar, ricercatore della Umeå University, Svezia, ha pensato bene di unire la tecnologia di un braccio prostetico con i mat-toncini più famosi del mondo, dando la possibilità ai bambini di giocare con la fantasia e creare l’appendice che preferiscono. Il braccio funziona come molti altri modelli similari, ma è dotato di un aggancio modulare molto semplice da utilizzare, anche per un bambi-no, che può sostituire una pinza standard a quattro dita con una versione interamente costruita in Lego. Il concetto di fondo dell’in-venzione di Carlos sta nel dare al bambino una sensazione di con-trollo e di potere s ciò che gli è successo, permettendogli giocare con la protesi, trasformandola di fatto in un giocattolo, sdrammatiz-zando nel contempo la situazione. Da WIRED 16 luglio 2015 G.S.

Strade senza asfalto ma di plastica

La pigrizia mentale e l’ef-fetto Google

In Finlandia la pro-tesi per bambini è fatta con i LEGO...

L'Aquila, rinasce angolo fiabesco de La Silvestrella

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EDITORIALE

C on sconforto leggo, e ri-porto, le anticipazioni del Rapporto SVIMEZ sull’e-conomia del Mezzogior-

no nel 2015 presentate lo scorso 30 luglio a Roma: “Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sem-pre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora ne-gativo (-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridiona-li sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in sen-so stretto addirittura del 59%; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro an-nui, contro il 28,5% del Centro-Nord.”. E c’è di più: “Il tasso di fe-condità al Sud è arrivato a 1,31 figli per donna, ben distanti dai 2,1 ne-cessari a garantire la stabilità de-mografica, e inferiore comunque all’1,43 del Centro-Nord. Nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174mila nascite, il valore più basso dall’U-nità d’Italia; nel 1862 i nati furono 391mila, 217mila in più di oggi.”. Questa è la fotografia di una popo-lazione che sta rinunciando lette-ralmente a vivere e che non ha più speranze nel futuro. Sono stati versati fiumi d’inchiostro sulla Questione Meridionale, a partire dall’Unità d’Italia, senza contare quelli di denaro che sono stati inu-tilmente spesi dallo Stato per cer-care, falsamente, di risolvere una situazione che, anno dopo anno, diventa sempre più pesantemente problematica. Dico falsamente perché il nodo principale di tutta questa questione è sempre e solo

uno: il connubio tra classe dirigen-te e malavita organizzata. Un so-dalizio scellerato che rappresenta l’incarnazione pura del male in terra. Tutti i morti ammazzati in nome di un ideale di giustizia e legalità del Meridione muoiono per l’ennesima volta quando ven-gono pubblicate notizie come que-sta, perché ciò significa che il loro estremo sacrificio, speso per cer-care di cambiare questo secolare stato di cose, è stato vano! Finché esisterà nel nostro Paese quella certa classe politica malevola e palese espressione della mafia, della camorra, della ndrangheta e della sacra corona unita, tutto que-sto stato di cose continuerà a per-sistere. Questo meccanismo mali-gno e tumorale ha attaccato e leso nel corso degli anni, quasi irrepa-rabilmente, ogni tipo di istituzione liquidando con la morte chiunque osasse mettersi di traverso. Sim-bolicamente la prima istituzione da smantellare è stata proprio la scuola abbandonata a se stessa, svilita e ridicolizzata, fatta tacita-mente passare come una cosa per soli ricchi, come se la formazione umana e culturale dei cittadini fossero cose inutili e trascurabili da non tenere assolutamente in considerazione. C’è tanta compli-cità dello Stato dietro questo falli-mento: non dimentichiamo che, per oltre un quarto di secolo, sono stati tollerati nel Mezzogiorno fe-nomeni gravissimi come la disper-sione scolastica, il lavoro minorile, il contrabbando di sigarette prima e lo spaccio di droga poi. Il para-dosso più grande è che questi fe-nomeni, alla fine, sono stati assi-milati come dei veri e propri am-mortizzatori sociali. Addirittura, in qualche modo e non velatamente, si è anche celebrato ed avallato mediaticamente questo stato di

cose rendendo i rei eroi attraverso varie forme di spettacolo: dalla sceneggiata napoletana alla fic-tion televisiva. Vicende scellerate e lacrimevoli, costruite a mestiere, in cui il boss diventa, talvolta, la vittima di un’infanzia difficile, de-viato dalle cattive compagnie e che si rifà della vita , tacitamente giustificato dalla sua vicenda per-sonale, con il malaffare, diventan-do un prode, un raddrizzatore di torti che si prende cura personal-mente della sua gente! Sdoganati dal cinema, dalla televisione e da certa stampa siamo arrivati al punto che un Ministro degli Inter-ni, qualche anno fa, giustificò in una conferenza stampa l’assalto della popolazione di un quartiere periferico di Napoli contro i Cara-binieri che avevano arrestato un notissimo boss della camorra af-fermando che quel personaggio per quella gente era “pur sempre pane e companatico…”! Il mio ti-more, e lo scrivo da napoletano, è che tutto ciò sia destinato solo ad un peggioramento e non perché al Sud non ci siano più persone one-ste, anzi… ma perché questa situa-zione, se da un lato crea finti allar-mismi e finte preoccupazioni nei benpensanti, nella realtà serve ad una parte oscura e cospicua dello Stato, oggi ancora più potente e protetta di prima, la stessa che ha ancora le mani lorde del sangue innocente di Falcone e Borsellino e del terreno sotto cui sono sepolti milioni di tonnellate di rifiuti di ogni genere.

di Salvio Gigl io

Mezzogiorno, sempre più in basso

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ARDUINO

B en ritrovati col nostro appuntamento mensile con Arduino e Fritzing; dopo aver parlato, per

diverse puntate, della pagina Breadboard e delle sue potenziali-tà nella rappresentazione di sche-mi di assemblaggio per i nostri

esperimenti, a partire da questa puntata, invece, ci occuperemo di come ottenere da Fritzing gli sche-mi elettrici della nostra produzio-ne attraverso la pagina Schema. Questa pagina offre le stesse fun-zionalità della maggior parte dei software CAD 2D destinati all’elet-

tronica, gli EDA (Electronic De-sign Automation), tanto vero che un utente già esperto in elettroni-ca può utilizzarla direttamente per progettare un circuito ex novo. Per i neofiti, specialmente per coloro che hanno pochissime nozioni di elettronica, Schema rappresenta invece un’ottima palestra per as-sociare la simbologia grafica ai componenti elettronici impiegati per gli esperimenti. Come ho già detto tantissime volte, in svariati

post nella Com-munity CAD e in più occasioni su queste pagine, un buon progettista deve necessaria-

mente conoscere e saper applicare il linguaggio grafico convenziona-le legato alla propria attività, per-ché solo attraverso di esso può analizzare dettagliatamente un progetto, riscontrare in tempo eventuali pecche e correggerle evitando, così, perdite di tempo e

di denaro! Oltre a ciò ricordate che presentare attraverso uno schema elettrico, redatto con la dovuta at-tenzione e precisione, il frutto del-le vostre sperimentazioni è sem-pre un ottimo biglietto da visita da associare ai vostri prototipi, in quanto gli dona quel pizzico di professionalità in più che non gua-sta mai specie se si tratta di lavo-ro! Criteri generali sugli schemi elet-trici per l’elettronica Siccome le parole sono strumenti, che bisogna saper usare bene, par-tiamo dalla definizione etimologi-ca della parola schema: Schèma s. m. [dal lat. schema, gr. σχῆμα

-ματος (schí̱ma -matos) «forma, aspetto, configurazione», da mettere in relazione col verbo ἔχω (écho̱) «possedere, ave-re»] (pl. -i). – Modello convenzionale, semplificato rispetto alla più complessa realtà di un problema, di un fenomeno, di un oggetto, di un meccanismo, di un processo: lo s. di un impianto elettrico; lo

V puntata

di Salvio Gigl io

La pagina SCHEMA di Fritzing

La pagina Schema di Fritzing ci introduce in un particolare

sistema espressivo fatto di simboli che, nel loro insieme,

rappresentano un vero e proprio linguaggio comprensibile

a tutti coloro che conoscono le convenzioni formali...

Fig. 1, schema elettrico di un circuito per fotocopiatrice

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ARDUINO

Tab. 1, criteri generali per la redazione degli schemi elettrici per i circuiti elettronici

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ARDUINO

Tab. 2, simbologia comunemente usata negli schemi elettrici per l’elettronica

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ARDUINO

Tab. 3, simbologia comunemente usata negli schemi elettrici per l’elettronica

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ARDUINO

Tab. 4, criteri generali per la redazione degli schemi elettrici per i circuiti elettronici

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s. di un motore a scoppio; lo s. della struttura di un aereo. Per estensione della definizione: Uno schema o diagramma elettrico è la rappresentazione semplificata di un circuito elettrico o elettronico che fa uso di simboli convenzionali.

In campo elettrico ed elettronico, i circuiti di un’apparecchiatura so-no rappresentati fondamental-mente mediante uno schema per-ché: agevola la manutenzione e la

ricerca di guasti; mostra come sono collegati tra

loro i suoi componenti; permette una sua eventuale

riproducibilità; spiega sinteticamente le sue

varie funzionalità. Lo scopo principale dello schema elettrico, quindi, non consiste nel-la riproduzione fedele della posi-zione dei componenti nel circuito ma nella descrizione di come essi sono reciprocamente collegati, impiegando specifici simboli uni-ficati detti anche a parametri con-centrati, cfr. Fig. 2. Ciò significa che a ciascun simbolo di compo-nente sono associati una ristretta serie di valori costruttivi caratteri-stici che permettono una sua rapi-da identificazione e agevolano la

sua ricerca sul mercato; ad esem-pio, i parametri concentrati “più famosi” di una resistenza per un PCB sono: il suo valore in ohm, la sua tolleranza, le sue dimensioni, ecc. Oltre a queste informazioni, lo schema deve riportare anche le proprietà dei segnali che lo carat-terizzano, come i valori di tensio-ne e/o intensità di corrente e, in alcuni casi, anche le loro curve caratteristiche. In caso di apparec-chiature molto complesse, costi-tuite da circuiti molto estesi che non permettono la loro rappresen-tazione su di un unico foglio, si ricorre al cosiddetto atlante degli schemi: una suddivisione dello schema in una raccolta organizza-ta in più fogli, simili ad uno stra-dario urbano, su cui con speciali rimandi si attestano, tra i vari fo-gli, le interruzioni grafiche dei col-legamenti elettrici. L’atlante è sud-diviso in sezioni, ognuna relativa al proprio blocco circuitale, quan-do l'apparecchio è costituito da più circuiti aventi diverse funzio-ni. La redazione degli schemi elettrici per i circuiti elettronici è abba-stanza semplice, sia con le tecni-che grafiche tradizionali che con il PC, e necessita solo di un po’ di esercizio per ottenere elaborati

chiari e ben organizzati. Tenete presente che, specialmente in am-bito lavorativo, due aspetti influi-scono pesantemente sulla possibi-lità di operare su di un circuito in caso di manutenzione o malfun-zionamento: la qualità della stesu-ra grafica e la documentazione relativa ai segnali operanti in esso. Di seguito alcuni consigli pratici, che rimandano a degli esempi ri-portati graficamente in Tabella 1 e seguenti, per ottenere rapidamen-te degli elaborati grafici validi e di facile consultazione ricordando sempre che una volta scelto un determinato standard per i simboli grafici si deve poi seguirlo per tut-ta la realizzazione del disegno. In uno schema elettrico di un cir-cuito i simboli grafici dei compo-nenti devono essere: sempre verificati, assicurando-

si che quelli scelti siano adatti alla funzione preposta (ad es. i processori);

disposti sempre verticalmente o orizzontalmente e mai obli-qui;

allineati e spaziati in modo uni-forme sia in senso orizzontale che verticale;

centrati tra i punti di derivazio-ne;

ARDUINO

Fig. 2, parametri concentrati nella finestra Inspector di Fritzing

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ARDUINO

accompagnati da una label, un’etichetta descrittiva, cfr. Fig. 3, in cui sono riportati: l’abbreviazione per la loro

identificazione nella lista dei componenti;

un numero progressivo del componente (ad es. R1, R2… Rn);

eventuali informazioni ag-giuntive specifiche del com-ponente (tolleranza, tensione, ecc.).

Nel contesto della rappresentazio-ne di uno schema le label vanno: allineate orizzontalmente e ver-

ticalmente; disegnate accanto ai compo-

nenti in modo da non interseca-re né i simboli grafici né le li-nee di connessione;

posizionate in modo da essere facilmente leggibili;

proporzionate alle dimensioni del simbolo.

Per quanto riguarda i conduttori di connessione essi vanno: disegnati sempre con linee ret-

te che saranno così distinte: continua sottile, è usata per

rappresentare le linee di connessione fra i vari sim-

boli grafici che rappresenta-no i componenti;

tratteggiata, usata per evi-denziare, dal punto di vista funzionale, alcune parti del circuito da altre;

due linee parallele, impiega-te per rappresentare una connessione multifilare o BUS di comunicazione.

E’ necessario ricordare anche che: Ogni collegamento, tra condut-

tori e componenti, deve essere ben evidenziato da un punto di connessione/derivazione.

L’alimentazione elettrica del circuito è sempre rappresentata con il polo positivo (+) riportato nella parte superiore del dise-gno mentre quello negativo (-) nella parte inferiore. In questo modo i valori di tensione rap-presentati nello schema dimi-nuiscono progressivamente spostandosi verso la parte infe-riore dello schema circuitale e rendendo, così, la consultazione più intuitiva. Se si omettono i simboli di alimentazione, è ne-cessario includere delle eti-chette per le linee di alimenta-zione nella parte superiore e inferiore dello schema.

La lettura delle correnti e delle tensioni, nello schema elettrico, deve avvenire da sinistra verso destra: ingressi e controlli devono

essere a sinistra, le uscite a destra.

Includere nello schema elettri-co una lista dettagliata dei com-ponenti.

Funzionalità della pagina Schema di Fritzing Fatte le dovute precisazioni circa la stesura degli schemi elettrici passiamo alla pagina Schema di Fritzing per scoprire come funzio-na e in che modo ci può tornare utile. Un primo aspetto di questa pagina che ci conviene ricordare riguarda le sue due modalità di funzionamento: ricavare lo schema elettrico

dagli esperimenti eseguiti nella pagina Breadboard;

eseguire ex novo lo schema elettrico di un circuito elettro-nico che ritroveremo poi, tra-sposti nelle relative versioni grafiche, sia nella pagina Breadboard che in quella PCB.

In questo modo gli sviluppatori di Fritzing sono riusciti a rispondere, contemporaneamente, sia alle esi-

Fig. 3, come si edita la label descrittiva di un simbolo/componente di Fritzing: tramite il suo menù contestuale si rendono visibili i parametri che si vogliono far comparire in essa precedentemente impostati nella finestra Inspector

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genze dei neofiti, che trovano l’ap-proccio “visual” della pagina Breadboard sicuramente più rassi-curante, che a quelle degli utenti esperti che, essendo già abituati alla realizzazione di schemi per circuiti elettronici, si sentono più a loro agio nelle pagine Schema e PCB. Per rompere il ghiaccio pro-vate a trascinare un componente qualsiasi dalla libreria Core Parts: vi renderete subito conto che il simbolo grafico equivalente rap-presentato sulla pagina è stato realizzato per agevolare al massi-mo gli utenti con i collegamenti. Infatti, come visto in Fig. 3, ogni simbolo si presenta con i terminali numerati e già munito di label che, per default, riporta il nome abbreviato del componente asso-ciato ad un numero progressivo e seguito dal suo valore di misura. Se avete seguito questo ciclo di puntate su Fritzing, o usate già il programma, ormai saprete che ciascun componente della libreria è caratterizzato da una serie di parametri specifici visualizzati e settabili dalla finestra Inspector;

nella pagina Schema possiamo scegliere di far comparire le infor-mazioni di Inspector nell’etichetta di testo tramite il menù contestua-le ad essa associato. Dal menù contestuale posizioniamo il punta-tore sull’item Display Values (visualizza valori) e ci portiamo nel sottomenù su cui è riportata la lista dei comandi di visualizzazio-ne scegliendo le caratteristiche del componente che desideriamo mostrare nel disegno. Anche in questa pagina di Fritzing ritrovia-mo la pratica funzione di verifica delle connessioni per componenti e conduttori che consiste nell’evi-denziare in verde i terminali cor-rettamente collegati. Per fare un attimino di pratica in-sieme proviamo ad esercitarci con le due modalità di lavoro della pa-gina Schema realizzando due semplicissimi circuiti: il primo, che spiegherò in questa puntata, lo eseguiremo sulla pagina Bread-board e poi lo ottimizziamo in quella Schema. Il secondo lo dise-gneremo, invece, direttamente sul-la pagina Schema e poi lo adatte-

remo in Breadboard. Entrambi gli esercizi ci torneranno utili nella puntata inerente la pagina PCB. Dalla pagina Breadboard alla pagi-na Schema Data la semplicità del circuito fa-remo a meno della breadboard vir-tuale e utilizzeremo, per i collega-menti della componentistica, l’e-lemento grafico wire, Fig. 4, pre-sente in libreria, di cui è possibile, come abbiamo già visto negli arti-coli precedenti, cambiare forma e colore. I componenti di cui abbia-mo bisogno sono tutti presenti in Core Parts e sono visibili nella Li-sta 1. Seguendo i suggerimenti del primo paragrafetto, piazziamo su-bito la scatolina porta batterie VCC1 che viene caricata da Fri-tzing con il polo positivo già posi-zionato verso l’alto. Per rintraccia-re subito i vari componenti di un circuito nella pagina Schema, spe-cialmente se si tratta di progetti molto complessi, vi consiglio di visualizzare la label relativa a cia-scun componente sin dalla pagina Breadboard. L’operazione è sem-

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Lista 1, i componenti necessari per la prima esercitazione

Fig. 4, il componente wire per i collegamenti elettrici Fig. 5, inserire la label di un componente nella pagina Breadboard

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plicissima e si avvale del menù contestuale su cui, come si vede in Fig. 5, è riportato il comando Show part label. Detto questo, cerchiamo ora il nostro pulsante quadrato S1 Square Pushbutton contenuto nel-la sezione Contributed Parts della Libreria. Gli altri due componenti, la resistenza da 333Ω e il diodo LED, sono nel pannello principale

di Core Parts; circa la resistenza vi ricordo che il valore di cui sopra lo dovete impostare voi da Inspector. Se tutto è filato liscio il risultato finale dovrebbe essere simile a quello di Fig. 6. Può capitare, come è successo a me, di mandare in tilt il programma e non trovare nulla nella pagina Schema dopo aver pasticciato più volte nella pagina

Breadboard prima di raggiungere un risultato grafico convincente… Non temete: non avete perso nulla! Salvate con nome il file, chiudete il programma e, dopo qualche se-condo, riapritelo e andate alla pa-gina Schema: troverete lo schema elettrico del vostro circuito proprio come appare in Fig. 7… No, non è colpa vostra o di qualche capric-

Fig. 6, lo schema di montaggio sulla pagina Breadboard con i componenti muniti di label

Fig. 7, ecco come si presenta il nostro circuito nella pagina Schema dopo averlo ultimato nella pagina Breadboard

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cio del programma: semplicemen-te Fritzing crea lo schema elettrico del circuito ma poi lascia a voi il compito di riorganizzarlo grafica-mente! Il primo impatto con que-sta pagina, dopo aver realizzato il circuito in quella della breadboard virtuale, è sconcertante: nonostan-te tutti i nostri sforzi profusi per rappresentarlo nel modo migliore possibile ai nostri occhi si presen-ta un groviglio di simboli, etichette e collegamenti da cui sembra qua-si impossibile uscirne rapidamen-te… ma non è così! Uno stratagem-ma che vi consiglio di adottare sempre, in elettronica come in qualunque altro tipo di allestimen-to impiantistico (meccanico, idraulico, elettrico, ecc.), è quello di avere sempre sotto gli occhi uno schizzo, un’immagine, un progetti-no che vi guidi nel lavoro che state realizzando evitandovi così di ope-rare “a memoria”: più è costoso ciò che state realizzando e meno vi conviene sbagliare! Va da se che

dopo aver acquisito familiarità con la materia certe cose vanno in au-tomatico e lo schema non lo guar-derete quasi più! Nel caso di Fri-tzing ci dobbiamo organizzare in modo tale da non essere costretti a fare la spola tra la pagina Bread-board e quella Schema per poter controllare la sequenza logica dei collegamenti tra i vari componen-ti. Per una consultazione comoda potete semplicemente fare uno schemino su carta, stampare su di un A4 la vista della Breadboard oppure organizzare il desktop, così come ho fatto io per questa eserci-tazione, aprendo in un angolo del mio schermo, con il Visualizzatore foto di Windows (con Gloobus Pre-view per Linux Ubuntu), uno snap-shot del circuito che ho realizzato nella pagina Breadboard e che ho salvato sul desktop mentre ho adattato la finestra di Fritzing nel-lo spazio restante dello schermo, come si vede in Fig. 8. Il principio da seguire è molto semplice ed è

subordinato ai criteri esposti nel primo paragrafo di questo articolo. Ci occuperemo subito del posizio-namento dei componenti e, solo in un secondo momento, adatteremo le label; partiremo con lo spostare a sinistra dello schermo la batteria e con il posizionare in alto l’inter-ruttore S1. Giunti alla resistenza R1 ci rendiamo conto è stata posizio-nata male nella pagina Bread-board, tanto vero che ci appare capovolta nella pagina Schema, e va quindi ruotata di 180° gradi con il menù contestuale come si vede in Fig. 9. Completiamo il lavoro con il diodo LED che è stato ripro-dotto anch’esso ruotato di 90° per i criteri del nostro schema e ci av-valiamo ancora una volta del co-mando per la rotazione di cui so-pra. I componenti ora sono posi-zionati nel modo corretto come si vede in Fig. 10; adesso bisogna da-re un’aggiustatina a tutto il resto!

Per aggiungere un punto ad ogni conduttore, in modo da determina-

Fig. 8, se lo schermo lo consente conviene aprire uno snapshot del circuito nel visualizzatore di anteprima d’immagini di Win-dows, o di Linux, e adattare la finestra di Fritzing nella parte restante del Desktop. In tal modo si segue agevolmente il riordi-no dello schema.

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Fig. 9, il menù contestuale per ruotare i simboli grafici

Fig. 10, lo schema dopo il riallineamento dei simboli

re così una piegatura a 90° ideale per questo tipo di rappresentazione circuitale, basta cliccare più o meno nella parte centrale di ogni conduttore e, co-me si vede dalla Fig. 11, trascinare il punto sino ad ottenere il posizionamento desiderato. Per il posi-zionamento delle etichette l’operazione si svolge con il mouse e, eventualmente, il comando Ruota del menù contestuale. Se tutto è andato liscio il ri-sultato finale del nostro lavoro dovrebbe essere si-mile a quello di Fig.12 e i terminali di tutti i compo-nenti dovrebbero essere verdi. Per essere profes-sionali al massimo aggiungiamo, infine, qualche elemento grafico sussidiario per indicare i poli e il verso della corrente attraverso il componente grafi-co Schematic Image come in Fig. 13. Vi dico subito che la cosa non è semplicissima e richiede o un buon editor di grafica vettoriale e/o un editor di gra-fica raster o una gran botta di… fortuna nel rin-tracciare in rete delle immagini raster in negativo del simbolo che vi serve. Io mi sono avvalso di MS Publisher per creare due minuscole bitmap su sfon-do nero, con testo in bianco, delle dimensioni di de-fault di 9,3 ×9,3mm e che ho caricato, tramite la finestra Inspector, nel box come in Fig. 14, e oppor-tunamente ridimensionato tramite le manigliette destinate a questa funzione. Credo che i ragazzi del Team di sviluppo di Fritzing dovrebbero dedicare qualche giornata di lavoro al miglioramento di questa preziosa funzione! Continua

Fig. 11, come aggiungere uno o più punti ad un conduttore in uno schema. Trascinate il punto fino al posizionamento voluto

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Fig. 12, ecco come si presenta il nostro schema finito Fig. 13, la finestra Formato casella di testo di MS Publisher

Fig. 14, il componente grafico per il caricamento di immagini Schematic Image. Le immagini vanno caricate in negativo

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BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

T erminato il discorso sto-rico sui principali enti normatori, da questa puntata, cominceremo ad

occuparci degli aspetti più signifi-cativi legati all’iter di creazione delle norme tecniche che normal-mente impieghiamo nella proget-tazione e nella produzione. Per esperienza personale vorrei sotto-lineare che nessun tecnico, a pre-scindere dal titolo di studio conse-guito e dalla mansione svolta, può permettersi di ignorare le normati-ve che sottendono il proprio ambi-to lavorativo, perché esse rappre-sentano un modello di “regola d’ar-te” entro cui far rientrare, con la dovuta sicurezza per il fruitore finale, l’azione della sua attività professionale. In altre parole, sia che siate dei semplici operai o dei rinomati professionisti, l’applica-zione della normativa tecnica do-vrebbe rappresentare per voi una questione deontologica di prima-

ria importanza da contrapporre alla dilagante filosofia consequen-zialistica che, invece, pone i facili profitti al vertice della propria sca-la di valori… ma questo, ovviamen-te, è un altro discorso. Senza avere la pretesa di essere esaustivo, questo ciclo di articoli ci ha dato comunque la possibilità di osservare l’evoluzione, negli ultimi due secoli, della normativa tecnica sia in senso formale che operativo e ora ci permette di di-stinguere l’azione normativa tra classica e contemporanea, di trar-re delle conclusioni e di dedurre alcuni aspetti significativi legati a questo fenomeno ancora in piena fase di sviluppo. Alcune considerazioni sulla nor-mativa contemporanea La prima considerazione che vo-glio esporvi riguarda l’evoluzione dell’attività degli enti normatori in base al cambiamento di ruolo che essi hanno subito nell’arco dell’ul-timo secolo e che ci permette di così di distinguere tra normativa classica e normativa contempora-nea. Un segno ben visibile del pas-

saggio, da un tipo all’altro di con-cezione normativa, lo ritroviamo persino in ambito linguistico con la parola standard e la sua gradua-le metamorfosi concettuale. Que-sto termine, se visto come mero contenitore semantico, è stato riempito, col passar del tempo, di significati sempre più ampi; in tal senso, vi invito a fare qualche ri-cerca in rete per mettere a parago-ne la definizione storica con quel-la attuale associate a questa paro-la. Io mi sono preso la briga di cer-care etimologia e origine della pa-rola in questione sul sito dell’Ac-cademia della Crusca, uno dei no-stri fiori all’occhiello in campo culturale, www.accademiadellacrusca.it. Il lemma è stato analizzato nel 2005 da Mara Marzullo, su richiesta di moltissimi utenti del prestigioso sito, e sembra scritto apposita-mente per questo articolo, fatto questo che mi ha spinto poi a ri-portarlo integralmente nel riqua-dro di pagina 25. In particolare se andiamo sul sito www.casapanzini.it, su cui sono pubblicati tutti i lemmi del celebre

V puntata

di Salvio Gigl io

Le Norme Tecniche

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BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

Etimologia e origine della parola standard

La consonante finale della parola standard suggerisce l'origine non italiana del termine, che deriva, senza adattamenti, dall'inglese

che ha adottato il termine a sua volta dal francese estandart (su tutta la questione etimologica cfr. DELI).

Il significato di 'modello, esempio' non è, chiaramente, originario della parola, che ha le prime attestazioni in inglese sin dal 1154

come 'stendardo, insegna' e solo successivamente 'esemplare di misura' (1429), 'criterio di eccellenza' (1563) e 'livello defini-

to' (1711). Per quanto riguarda l'italiano, standard col significato di 'modello' compare alla fine dell'Ottocento (1892) nel Dizionario

del turf italiano di G. Ballarini e viene poi registrato nel Dizionario moderno del Panzini nel 1905: «è voce inglese usata in commer-

cio, per indicare che la qualità di una merce o di un prodotto dell'industria è quella tipica, normale[quindi eletta]». Nel Dizionario di

Panzini è ricordato anche l'uso ippico registrato da Ballarini e, dal 1942, si registra anche l'uso come aggettivo invariabile posposto al

nome (nell'appendice sui Forestierismi). La prima attestazione del termine sarebbe però rintracciabile nel 1764 in un dizionario di G.

Bergantini rimasto tuttavia inedito (cfr. Morgana 1985).

In linguistica col termine standard si indicherebbe una varietà di lingua assunta dai parlanti come modello anche d'insegnamento

«non connotata socialmente o regionalmente, risultante dalle tendenze alla convergenza operanti in una comunità linguisti-

ca» (GRADIT, s.v. standard). La definizione non è unanimemente accolta, perché bisognerebbe prima di tutto accettare che esista

una varietà di lingua che non abbia nessuna condizione di variabilità (di luogo, tempo, ambito d'uso ecc.) e che si caratterizzi di fatto

come avente tutti tratti "non marcati". Una condizione che ad esempio in italiano sembra difficile da rintracciare.

Sempre nell'ambito linguistico si parla anche di neo-standard (e sub-standard) per indicare una varietà di italiano con diversi tratti in

comune con l'italiano parlato (ad esempio gli per a lei, a loro; l'indicativo per il congiuntivo nelle subordinate e nelle ipotetiche; il

tipo c'ho) e che alcuni considerano destinata ad affermarsi come forma standard appunto: un'altra denominazione di questa varietà è

quella di italiano dell'uso medio (Sabatini 1985).

Non senza critiche è stato anche l'ingresso in italiano sia dell'aggettivo nel sintagma italiano standard sia del sostantivo (lo standard).

Soprattutto Arrigo Castellani ha proposto di adattare la parola alla struttura morfologica dell'italiano (quindi stàndaro), oppure di

ricorrere alla locuzione norma (italiana) e di conseguenza italiano normale, adottando normale come termine della linguistica sinoni-

mo di standard.

Per approfondimenti:

A. Panzini, Dizionario moderno, Milano, 1905 (s.v.);

A. Castellani, Terminologia linguistica, in «Studi linguistici italiani», X (2) 1984, pp. 153-61 (in particolare p. 156);

DELI. Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, di M. Cortelazzo e P. Zolli, Bologna, Zanichelli, 1999 (s.v.);

Dizionario di linguistica, diretto da G. L. Beccaria, Torino, Einaudi, 1994 (s.v.);

F. Sabatini, L'"italiano dell'uso medio": una realtà tra le varietà linguistiche italiane, in G. Holtus-E. Radtke (a cura

di), Gesprochenes Italienish in Geschicte und Gegenwart, Tübingen, Günter Narr, 1985, pp. 154-84;

Forestierismi da eliminare, in A. Panzini, Dizionario moderno, Milano, 1942, pp. 881-95 (s.v.);

GRADIT. Grande Dizionario Italiano dell'Uso, diretto da Tullio De Mauro, Torino, UTET, 1999-2000 con aggiornamento del 2004

(s.v.);

S. Scotti Morgana, Tradizione e novità nei vocabolari inediti di Giovampietro Bergantini, in La Crusca nella tradizione letteraria e

linguistica italiana, Firenze, 1985, pp. 153-71.

A cura di Mara Marzullo

Redazione Consulenza Linguistica

Accademia della Crusca

20 maggio 2005

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Dizionario Moderno del Panzini, edito da Hoepli nel 1905, e cerchia-mo la definizione completa: «(stèndad), stendardo, modello, tipo,

norma: è voce inglese diffusa nel mondo

con i più ampi significati in commercio,

per indicare che la qualità di una merce

o di un prodotto dell'industria è quella

tipica, normale (quindi eletta).»;

e la mettiamo a confronto con la definizione offerta da Google: «Tipo, modello, norma, cui viene uni-

formata una data produzione o attività;

part., nell'uso commerciale, il comples-

so dei campioni di una determinata

merce, corrispondenti a tipi o gradi del-

la produzione di un dato periodo, su cui

ci si basa per le classificazioni di quali-

tà di determinati prodotti; nell'uso tecni-

co o industriale, modello o tipo di un

determinato prodotto, o il complesso di

norme fissate per uniformare le carat-

teristiche del prodotto stesso; (...) Com-

plesso di elementi che individuano le

caratteristiche di una determinata pre-

stazione o processo tecnico (...)»;

ci rendiamo conto di quanto signi-ficato in più sia stato arricchito questo lemma. Ho evidenziato con tre colori diversi alcune parole dei due testi che, a mio giudizio, rap-presentano delle tag, dei nodi con-cettuali di particolare interesse,

che, nella nostra lingua, sono stati associati a questo termine ad un secolo di distanza: in turchese le parti invarianti delle due defini-zioni, in arancione l’aggettivazione originaria ed in verde le nuove ac-cezioni. Questo semplice paragone ci fornisce, sotto certi aspetti, la misura con cui sono cambiati gli incarichi istituzionali dei vari or-ganismi normativi nell’ultimo se-colo. Infatti, se originariamente le attività dei vari enti, comitati ed organizzazioni normative verteva-no esclusivamente sulla redazione di una serie di semplici istruzioni dimensionali e prescrizioni tecno-logiche necessarie alla fabbrica-zione ottimale di una merce o di prodotto dell’industria, dalla se-conda metà degli anni ’80 del se-colo scorso le nuove esigenze, le-gate agli scambi commerciali in-ternazionali, ha cambiato nel giro di pochi decenni quasi del tutto la loro fisionomia, determinando così la nascita della normativa contem-poranea. L’attività di quest’ultima, estremamente diversificata, va ben oltre gli obiettivi che si erano posti gli ideatori delle varie asso-ciazioni di standardizzazione ed ha cominciato a farsi carico di analizzare accuratamente ogni

aspetto di tutte le fasi del ciclo di vita di una produzione o di una attività, definendo completamente le caratteristiche di ciascuna pre-stazione del suo processo tecnico produttivo dall’inizio alla fine. Se-guendo questo filone operativo, l’azione normativa ha ulteriormen-te esteso il suo campo di compe-tenze in nuovi settori, raggiungen-do le nuove discipline e i nuovi saperi dei nostro tempo, assumen-do come nuovi oggetti di ricerca la tutela della persona, dell’ambiente e delle imprese, producendo come risposta delle linee guida per ten-tare di risolvere problematiche legate alla sicurezza, alla protezio-ne ambientale e all’organizzazione aziendale. Una secondo tema che offre molti spunti di riflessione è quello del graduale ed inesorabile travalica-mento dei confini geografici della normativa contemporanea dovuto all’effetto della regolamentazione del commercio mondiale condotta dalla WTO (World Trade Organiza-tion) l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Infatti, se i primi organismi normativi nasce-vano come mero fatto locale, oggi gli accordi commerciali multilate-rali, (di poche settimane fa l’appro-

BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

Inchiesta pubblica sul recente accordo multilaterale tra USA e UE Transatlantic Trade and Investment Partnership

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vazione del TTIP - Transatlantic Trade and Investment Partnership tra UE e USA) pretendono sempre di più l’unificazione produttiva e quella dei vari sistemi tecnologici in modo tale che gli scambi com-merciali siano agevolati al massi-mo. La globalizzazione, in quanto processo planetario ormai irrever-sibile, necessita sempre di più di un linguaggio produttivo e orga-nizzativo condiviso universalmen-

te e non ammette deroghe. Chi non si adegua a questo trend, pic-colo o grande imprenditore che sia, rischia di essere tagliato fuori da quei circuiti commerciali vitali e di vedere la propria produzione, specie se fuori brevetto e di larga scala, riproposta da un competitor operante a migliaia di chilometri di distanza che si può permettere anche il lusso di abbassare il prez-zo dei suoi listini speculando al

massimo sulla manodopera! Un ultima osservazione, infine, va rivolta all’inquietante presenza delle lobbies, meglio definite giuri-dicamente dalla UE con l’appella-tivo di parti economico/sociali in-teressate, negli apparati decisio-nali dei due principali organismi normativi comunitari transnazio-nali: CEN e CENELEC. Questa diffi-denza è, a dir poco, dovuta dal mo-mento che la trasparenza e la lega-

BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

Estratto dai Dispositivi delle direttive 98/34/CE e 98/48/CE consolidati

Articolo 1

Ai sensi della presente direttiva si intende per:

1) «prodotto»: i prodotti di fabbricazione industriale e i prodotti agricoli, compresi i prodotti della pesca;

3) «specificazione tecnica»: una specificazione che figura in un documento che definisce le caratteristiche richieste di un

prodotto, quali i livelli di qualità o di proprietà di utilizzazione, la sicurezza, le dimensioni, comprese le prescrizioni applica-

bili al prodotto per quanto riguarda la denominazione di vendita, la terminologia, i simboli, le prove ed i metodi di prova,

l'imballaggio, la marcatura e l'etichettatura, nonché le procedure di valutazione della conformità. Il termine «specificazione

tecnica» comprende anche i metodi e i procedimenti di produzione relativi ai prodotti agricoli ai sensi dell'articolo 38, para-

grafo 1, del trattato, ai prodotti destinati all'alimentazione umana e animale, nonché ai medicinali definiti all'articolo 1 della

direttiva 65/65/CEE del Consiglio(2), così come i metodi e i procedimenti di produzione relativi agli altri prodotti, quando

abbiano un'incidenza sulle caratteristiche di questi ultimi;

4) «altro requisito»: un requisito diverso da una specificazione tecnica, prescritto per un prodotto per motivi di tutela, in

particolare dei consumatori o dell'ambiente, e concernente il suo ciclo di vita dopo la commercializzazione, quali le sue con-

dizioni di utilizzazione, di riciclaggio, di reimpiego o di eliminazione qualora tali condizioni possano influenzare in modo

significativo la composizione o la natura del prodotto o la sua commercializzazione;

6) «norma»: una specificazione tecnica approvata da un organismo riconosciuto ad attività normativa, per applicazione ripe-

tuta o continua, la cui osservazione non sia obbligatoria, e che appartenga ad una delle seguenti categorie:

norma internazionale: norma che è adottata da un'organizzazione internazionale di normalizzazione e che

viene messa a disposizione del pubblico;

norma europea: norma che è adottata da un organismo europeo di normalizzazione e che viene messa a

disposizione del pubblico;

norma nazionale: norma che è adottata da un organismo nazionale di normalizzazione e che viene messa a

disposizione del pubblico;

7) «programma di normalizzazione»: un piano di lavoro predisposto da un organismo riconosciuto ad attività normativa e

recante l'elenco delle materie costituenti oggetto dei lavori di normalizzazione;

8) «progetto di norma»: il documento contenente il testo delle specificazioni tecniche per una determinata materia, predi-

sposto ai fini dell'adozione secondo la procedura di normalizzazione nazionale, quale risulta dai lavori preparatori e qual è

distribuito ai fini di inchiesta pubblica o commento; (…).

_________________________

(2) Direttiva 65/65/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1965, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle

specialità medicinali (GU L 22 del 9.2.1965, pag. 369/65). Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 93/39/CEE (GU L 214 del 24.8.1993, pag. 22).

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BASI PER IL DISEGNO E LA PROGETTAZIONE

lità non sono proprio il tratto con-notativo fondamentale delle lob-bies che si comportano spesso co-me delle vere e proprie organizza-zioni ombra la cui condotta opera-tiva è in grado di condizionare pe-santemente la formulazione nor-mativa, favorendo solo determina-ti gruppi imprenditoriali che si avvalgono dei loro servigi. Caratteristiche e definizioni fon-damentali relative alle norme e al loro iter creativo Essendo il nostro Paese membro della UE e parte attiva del CEN, i nostri interessi verteranno sulla procedura di elaborazione norma-tiva Comunitaria partendo, neces-sariamente, dalle principali defini-zioni inerenti le norme. La Direttiva Europea 98/34/CE del 1998 fornisce un elenco di defini-zioni molto particolareggiato da cui ho ritenuto utile isolare quei punti più significativi per progetti-sti e disegnatori e che ripropongo verbatim nell’Estratto dai Disposi-tivi delle direttive 98/34/CE e 98/48/CE consolidati nel quadro riassuntivo di pagina 27. Dalla let-tura di quei punti si deduce che le norme sono, in estrema sintesi, dei documenti in cui sono descritte le caratteristiche peculiari di un de-terminato prodotto (dimensioni, prestazioni, impatto ambientale, disposizioni sulla sicurezza, ecc.) in base all’attuale stato dell'arte raggiunto in una determinata di-sciplina. Ogni norma tecnica, a prescindere dalla disciplina di af-ferenza, nell’ambito del vigente quadro delle direttive comunitarie, deve possedere le seguenti carat-teristiche: I. Consensualità, deve essere ap-

provata all’unanimità col con-senso di coloro che hanno par-tecipato ai lavori.

II. Democraticità, tutte le parti economico/sociali interessate possono intervenire ai lavori di progettazione normativa e tutti

i partecipanti possono formula-re osservazioni durante l'iter che precede l'approvazione fi-nale.

III. Trasparenza, attraverso i canali di informazione ufficiali l’orga-nismo normativo segnala le tappe fondamentali dell'iter di approvazione di un progetto di norma, tenendo il progetto stes-so a disposizione degli interes-sati.

IV. Volontarietà, le norme sono ri-ferimenti che le parti interessa-te si impongono spontanea-mente.

Una norma prima di vedersi pub-blicata ufficialmente deve neces-sariamente seguire una procedura che tocca le seguenti tappe: Lo studio di fattibilità, elaborato

dagli organi preposti dall'ente di normazione, incrocia i dati del mercato con le necessità normative valutandone il rap-porto tra costi e benefici e ricer-cando le competenze necessa-rie da coinvolgere. Se il risulta-to dell'analisi è positivo si pro-cede alla stesura della bozza di norma.

La bozza di norma viene di-scussa e messa a punto tramite il lavoro in rete e/o per mezzo di apposite riunioni ed ha come obiettivo l'approvazione con-sensuale della struttura e dei contenuti tecnici del progetto di norma.

Il progetto di norma è realizzato dagli esperti esterni che, in ambito europeo ed internazio-nale, vengono nominati dai sin-goli Paesi mentre l'ente di nor-mazione, in questa fase, svolge la funzione di coordinatore dei lavori e rende disponibile la propria struttura organizzativa. Al termine della stesura il pro-getto viene sottoposto ad una verifica pubblica.

L'inchiesta pubblica sul proget-to di norma approvato viene avviata tramite comunicazione

sui canali ufficiali d'informa-zione degli organismi di nor-mazione (per una durata varia-bile in funzione della tipologia del documento) al fine di racco-gliere commenti ed ottenere il più ampio consenso dal merca-to. In questo modo le parti eco-nomico/sociali interessate (le lobbies), che non hanno potuto partecipare alla prima fase del-la discussione, possono contri-buire al processo normativo. In ambito CEN ed ISO eventuali commenti ad un progetto di norma si possono inviare esclu-sivamente tramite gli organi-smi di normazione nazionali. La versione del progetto di nor-ma, in cui sono confluite le os-servazioni raccolte durante l'in-chiesta pubblica, concordata definitivamente è denominata progetto finale.

La pubblicazione segue a sua volta un iter molto preciso: Norme nazionali, il progetto

finale viene sottoposto all’e-same della Commissione Tecnica Centrale per ricever-ne l’approvazione per la pub-blicazione.

Norme europee ed interna-zionali, il progetto finale vie-ne sottoposto al voto degli organismi di normazione nazionali al fine di essere ratificato e pubblicato come norma. A livello di UE, ogni membro CEN ha l'obbligo di recepire le norme EN (UNI EN in Italia), pubblicandole eventualmente nella propria lingua e ritirando quelle na-zionali esistenti sul medesi-mo argomento. Tale obbligo, per il momento, non sussiste invece per le norme ISO che possono essere ancora adot-tate volontariamente (UNI ISO in Italia).

Continua

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CINEMA E ANIMAZIONE

TERMINATOR Genisys

2 039. John Connor (Jason Clarke) continua a guidare la resistenza umana con-tro Skynet, il computer

autocosciente che ha imposto la supremazia delle macchine sul pianeta. Quando è sul punto di vin-cere questa estenuante guerra, Skynet (in questo tempo noto co-me Genisys) spedisce indietro nel tempo un Terminator (il T-800 del primo film) per uccidere sua ma-dre, Sarah Connor (Emilia Clarke, già nota per Game of Thrones), pri-ma che possa darlo alla luce. John allora decide di mandare il giovane Kyle Reese (Jai Courtney) a ferma-re la macchina omicida. Kyle torna quindi nel 1984 ma il passato non è quello previsto: Sarah Connor non ha bisogno di essere salvata, sa già tutto ed è una temibile guerriera. Kyle la trova in compagnia di un Terminator dal look decisamente invecchiato (Arnold Schwarzeneg-ger) che lei considera come un pa-dre acquisito. Non sanno, però, che il nemico che Skynet gli manda contro, per impedirgli di bloccare il suo stesso sviluppo, è l’ultimo al quale chiunque avrebbe pensato… A trentun anni di distanza dal pri-mo "Terminator" (1984) di James Cameron, Hollywood rilancia la saga con un quinto capitolo, Ter-minator Genisys, diretto da Alan Taylor. Il film è un reboot che si rifà ai due lungometraggi più belli (i primi due) della saga e che agi-sce come un retcon (forma con-tratta dell’inglese retroactive con-tinuity ossia un espediente narra-tivo in cui si modificano eventi e situazioni descritti in precedenza, o il loro significato, per adattarli ai

nuovi sviluppi narrativi) alterando la linea temporale della storia ori-ginale e proponendo gli stessi per-sonaggi ma con nuovi interpreti, fatta eccezione ovviamente per Arnold Schwarzenegger, il Termi-nator per antonomasia. Prodotto dalla Paramount Pictures in colla-borazione con Skydance Produc-tions, ha avuto come location prin-cipali la Lousiana, la California, San Francisco, Los Angeles ed an-che il NASA Michoud Assembly Facility di New Orleans (dove una volta venivano costruiti gli space shuttle). La saga di Terminator co-stituisce un mito assoluto della cinematografia contemporanea, almeno per quanto riguarda i primi due episodi, divenendo un punto di riferimento per il cinema di fanta-scienza. Ai primi due film sono poi seguiti un'altra coppia di episodi cinematografici e una versione televisiva che, pur espandendone l’universo narrativo, si sono un po’ allontanati dallo “spirito” dei primi due. Anche per Genisys si è voluto cambiare la filosofia dell’originaria pellicola: l’estrema e claustrofobi-ca “serietà” dei primi Terminator lascia ora spazio a toni più stem-perati che rendono troppo senti-mentale, addirittura ironica, l’inu-manità della macchina. Questo, forse, al fine di avvicinare alla saga anche il pubblico dei giovanissi-mi, “divoratori” di action comedy in pieno stile Marvel e Disney. I puristi della saga, a cui non andrà a genio questo action “d’intrattenimento”, dovranno dun-que accontentarsi dei continui ri-mandi ai momenti cult dei primi due film, voluti dal regista e disse-minati qua e là nel girato: fra tutti la replica fotogramma per foto-gramma della sequenza dell'incipit del 1984. In altre parole, il lungo-metraggio regalerà un’altra versio-

ne della medesima sto-ria, permettendo agli spettatori di vedere quello che nei film prece-denti è stato solo raccontato ovve-ro il momento in cui le macchine mandano indietro nel tempo il T-800 originale (Schwarzenegger in versione giovane) e gli uomini su-bito dopo inviano Kyle Reese. La storia, articolandosi su viaggi tem-porali e relativi paradossi, rende la narrazione un po’ contorta e forza-ta nel cercare di far convivere que-ste linee temporali: ciò nonostante il film è divertente e non lesina di certo su esplosioni, effetti speciali futuristici e scene d’azione ben costruite. Inoltre Schwarzenegger, che torna nel suo ruolo più noto (e che funziona come sempre), in questa variante riesce ad umaniz-zare il robot, ma senza eccessi, provando dei sentimenti e renden-dosi comico ed abbandonando così la veste glaciale e meccanica del T-800 originale. Certo a molti ver-rebbe da pensare che il personag-gio di T-800, in questo caso, sia stato scritto non in virtù del suo passato ma in virtù dell’attore che lo interpreta, soprattutto quando si tende a dimostrare che in realtà non è vecchio e inutile. ;-) Lo stes-so Arnold Schwarzenegger, che oggi ha 67 anni, ha infatti afferma-to come sia stato molto intelligen-te usare la sua età in questo modo e che i tecnici della computer gra-fica hanno lavorato ad un livello che non era mai stato raggiunto sul grande schermo con un attore vivente. Chiaro in queste parole è proprio il riferimento alla replica della scena cult iniziale del primo film, quella in cui un uomo nudo (Schwarzenegger) arriva al Griffith Observatory di Los Angeles, mette k.o. tre punk che lo molestano e ruba i loro vestiti. In Genisys, però, la scena ha una variante: il

di Nunzia Nul lo

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CINEMA E ANIMAZIONE

Arnold Schwarzenegger, versione T-800 invecchiata e un animatronics impiegato per alcune scene del film

La sintesi del life motiv dell’intera saga può intravedersi in questi due storyboard dell’ultimo film: la supremazia delle macchi-ne da una parte e la rivolta degli umani dall’altra.

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“giovane” Terminator, che si pre-senta nello stesso punto degli anni '80, si imbatte questa volta in una versione più vecchia di se stesso, il glorioso cyborg T-800: i due cy-borg, che hanno ben 30 anni di dif-ferenza, daranno vita ad uno scon-tro che già si preannuncia epico nell’ambito del panorama cinema-tografico. Per la ricostruzione di questa scena, i tecnici degli effetti visivi non hanno riutilizzato sem-plicemente materiale del film del 1984 ma hanno dovuto creare un sintoattore, una attore sintetico, virtuale, nato scansionando, e poi fondendo insieme, il volto di Sch-warzenegger nel primo film, quello attuale e il corpo di una controfi-gura. Il risultato è la creazione di un perfetto essere umano che cammina, respira e che ha la testa del Terminator del 1984 ma che non esiste. Un lavoro assai com-plesso, dunque, perché si tratta di cimentarsi su un personaggio

completamente virtuale, partendo da un modello vivente, e che ha visto maggiori difficoltà nella ri-produzione del volto di Schwarze-negger i cui lineamenti presentano delle irregolarità, cosa assai comu-ne nel genere umano e dettaglio irrilevante ma non tanto se si deve realizzare uno dei sequel più attesi del 2015! Pertanto è stato necessa-rio visionare ogni tipo di materiale d'archivio girato da Schwarzeneg-ger negli anni '80 per immagazzi-nare, in una vasta libreria di im-magini, ogni dettaglio del suo volto e registrare le sue caratteristiche attuali attraverso una sessione di performance capture. La controfi-gura che invece ha prestato il cor-po al giovane T-800 è Brett Azar, 27enne culturista australiano e grande fan di Schwarzenegger, scelto dalla produzione per le sue specifiche fisiche molto simili a quelle dell’attore. In questo modo, i tecnici della computer grafica

hanno potuto combinare il fisico del culturista australiano con immagini di repertorio (gare di culturismo, film, ecc.) di Sch-warzenegger e, modificando petto-rali e glutei, hanno ricreato digital-mente il fisico dell’attore. In totale, la scena dello scontro tra i due Ter-minator ha richiesto ben 12 mesi di lavoro: questo per ottenere 35 fotogrammi chiave utilizzati per soli cinque minuti in Genisys! Possiamo dire che questa saga ha vantato diversi alti e bassi (molto apprezzati i primi due capitoli, un po’ meno il terzo e il quarto); ciò nonostante l'affetto del pubblico nei confronti della serie non è mai mancato tanto che già sono stati annunciati due sequel, in program-ma per il 19 maggio 2017 ed il 29 giugno 2018. Lo stesso motivo, for-se, che ha spinto Schwarzenegger a riprendere in mano non solo la produzione della saga ma anche il suo iconico personaggio.

CINEMA E ANIMAZIONE

A sinistra il culturista australiano Brett Azar presta il suo corpo possente per la versione ringiovanita di Terminator, a destra, che risulta praticamente indistinguibile dall’originale del 1984.

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S iamo talmente abituati ad associare al design cose belle e di lusso (auto, ville, gioielli, arredi, moda, ecc.)

da dimenticare, quasi completa-mente, che questa parola inglese significa principalmente progetta-zione. Sono convinto che lo stesso Rambaldi si sorprenderebbe di fi-gurare in questa rubrica che sinora ha ospitato prevalentemente ar-chitetti, designer di auto, oggetti ed arredi eppure non riesco a non attribuire al grande maestro di ef-fetti speciali un ruolo diverso da quello di progettista nel senso più stretto con cui questo termine pos-sa essere inteso. Quando ci siamo commossi con E.T., o ci siamo riz-zati sulla sedia, in preda ad un mi-sto di orrore e di ribrezzo, guardan-do le agghiaccianti creature di Alien o, usciti dal cinema, abbiamo guardato la terra su cui poggiava-mo i piedi grati alla vita che sul nostro pianeta non esistessero quei maledetti e crudeli vermi gi-ganti in grado di distruggere ogni cosa gli si parasse dinanzi e fago-citare, in un sol boccone, intere persone, inevitabilmente la nostra parte più infantile, quella che si è spaventata e divertita, resta pro-fondamente ammirata e grata in-nanzi a tanta maestria ignorando tutto il lavoro di progetto e di rea-lizzazione che c’è dietro ognuna di quelle creature meccaniche. L’idea di scrivere un pezzo su Rambaldi mi è venuta venerdì 10 luglio scor-so, guardando, a notte fonda, su RAI 3 “Fuori orario - cose mai vi-ste” che riproponeva il ciclo di puntate de L’Occhio magico: il ci-nema come si fa, un programma

televisivo realizzato a quattro ma-ni, tra il 1989 e il 1990, dal regista Giuseppe Ferrara e dal critico ci-nematografico Giacomo Gambetti. I due autori producono per la tele-visione, e con intento didattico, una trasmissione televisiva sulla "macchina cinema" in cui allo spettatore viene mostrato come la realizzazione di un film sia un pro-cesso assolutamente collettivo in grado di coinvolgere centinaia di persone che, anche se operanti in comparti diversi, sono tutte impe-gnate a far diventare ogni film un pezzo unico con un lavoro artigia-nale di altissima qualità e profes-sionalità. Il programma, struttura-to benissimo e presentato con la

stessa chiarezza e passione di una serie di tutorial di YouTube, si ba-sava sulle testimonianze dirette di grandi maestri della macchina da presa come il regista Nanni Loy, il direttore della fotografia Tonino Delli Colli e il montatore cinemato-grafico Nino Baragli (entrambi col-laboratori di Pasolini) e, tra gli al-tri, Carlo Rambaldi. Affascinante e coinvolgente più che mai, il mae-stro mostra nella puntata L’effetto speciale i suoi trucchi di scena senza misteri, sicuro del suo sape-re e felice di poterlo trasmettere agli spettatori e ai tanti bambini che popolavano la sua mostra ro-mana del 1990. Estremamente in-teressante è la spiegazione sul

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Carlo Rambaldi

di Salvio Gigl io

Carlo Rambaldi “spiato” dalla sua creatura mentre disegna E.T.

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Rambaldi accanto al disegno scala 1:1 della testa di Kong Spaccato della testa di King Kong

Studio dell’articolazione della mano di King Kong Jessica Lange nel palmo della mano di King Kong

Il set per le riprese della mano Rambaldi alle prese con i progetti di King Kong 2

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La testa di alieno di Alien, in alto lo studio del modellato esterno; in basso una sezione trasversale per spiegare le funzionalità della maschera.

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funzionamento di alcune macchi-ne di scena come: l’animazione del braccio e della manona di King Kong, del 1976, inquadrato nelle scene in cui stringe una giovanis-sima Jessica Lange nei panni del-la naufraga Dwan; la raccapric-ciante testa di alieno del film Alien, del 1979, schifosa anche fuori dal set ; gli occhi di E.T.

che sbirciano attraverso le vene-ziane della finestra della casa in cui è ospitato, animazione realiz-zata per una delle scene dell’omo-nimo film del 1982, E.T. l'extra-terrestre; il funzionamento dei vermi giganti del film Dune del 1984. Di ogni macchina Rambaldi, da buon designer, aveva realizzato i progetti e tutti i bozzetti in cui

veniva spiegato dettagliatamente agli addetti agli effetti come azio-nare i vari particolari di ogni ap-parecchio scenico. Un piacere per la vista, credetemi! Tutti i lavori di Rambaldi sintetizzano, con oggetti animati unici per la loro destina-zione d’uso, un mix di altissima tecnologia ingegneristica e arte, dal momento che proprio a que-

Hans Ruedi Giger, co autore della creatura aliena di Alien

Rambaldi mette a punto gli azionamenti della testa dell’alieno

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Una pagina didattica di Rambaldi per spiegare i rudimenti dell’animazione per personaggi tipo per una trasmissione televisiva

degli anni ‘80

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st’ultima è richiesta la verosimi-glianza degli effetti che è la vera protagonista di tantissimi film. Poetica e formatività Si può parlare di poetica di un ef-fetto speciale? Si può analizzare la formatività di Rambaldi? Si, certa-mente, perché alla fine ogni lavoro progettuale segue un filone com-positivo ben preciso, anche se si tratta di effetti speciali. Cambia l’oggetto progettato e il suo ambito funzionale ma ciò non lo priva as-solutamente del suo esser stato creato secondo un “modo di fare” unico, originalissimo e capace di farlo riconoscere subito, univoca-mente, anche tra un secolo che fu inventato da Rambaldi. Ovviamen-te la poetica di un meccatronico degli effetti speciali coincide ne-cessariamente con le sue ricerche tecnologiche e col modo in cui de-clina, applica e combina i materia-li con l’elettronica, gli azionamenti oleodinamici e la meccanica. Così nei suoi primi effetti puramente meccanici e di chiara provenienza

teatrale, come il drago Fafner del 1956, si può ricavare la poetica ini-ziale di Rambaldi tutta improntata a far rivivere sul grande schermo i personaggi mitologici e fantastici della letteratura classica. La sua produzione degli anni Settanta risente, in alcuni lavori, dell’in-flusso splatter dei nuovi filoni ci-nematografici pop dell’epoca, il poliziesco e il thriller, e così i set si tingono di tanto sangue, come con la drammatica decapitazione dell’assassina in Profondo Rosso di Dario Argento del 1975. La poeti-ca di Carlo in quel periodo conosce anche e soprattutto il grande amo-re per la fantascienza e tocca l’api-ce della robotica applicata in Alien ed E.T, in cui il connubio automa-zione/figura modellata vivifica la macchina conferendogli un’identi-tà reale, tangibile a tal punto da spaventare, intenerire o addirittu-ra commuovere lo spettatore. Se il Cinema è un’arte complessa, per-ché a sua volta formata da tante arti, gli effetti speciali sono tra queste la migliore manifestazione

artistica dei nostri sogni e dei no-stri incubi migliori. Una magia assoluta che solo la pellicola rie-sce ad immortalare e documentare sapientemente. Non meno dell’ar-chitettura, dell’ingegneria, dell’in-terior design anche qui, negli spe-cial effects, è un discorso di textu-re, di materiali da applicare, di nuove tecnologie da conoscere; solo chi comprende profondamen-te tutto ciò riesce alla fine ad orga-nizzare e ottenere composizioni destinate a diventare paroles, pa-radigmi di quella specifica disci-plina. Non a caso scriverà lo stori-co del cinema Paolo Marocco nella voce dedicata a Rambaldi nell’En-ciclopedia del Cinema (2004) della Treccani: “Nonostante la meta-morfosi tecnologica, le opere di R. hanno impresso un particolare paradigma stilistico alla fanta-scienza dell'ultimo ventennio, di-mostrando il debito della modella-zione numerica nei confronti della scultura tradizionale.”.

Scena splatter di Profondo rosso: la decapitazione del robot creato da Rambaldi con le fattezze dell’assassina

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Rambaldi e vari disegni di E.T.; in basso uno dei vermi giganti di Dune

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Sintesi biografica Carlo Rambaldi nasce il 15 settem-bre del 1925 da Valentino, il mi-glior meccanico del paese, e Maria Taionini, la bellissima figlia dell’u-nico sarto di Vigarano Mainarda (Ferrara). Tutto cominciò nel 1935 quando Carlo, ancora adolescente, assiste alla proiezione di King Kong di Merian C. Cooper ed Er-nest B. Schoedsack, e decide, in cuor suo, che si sarebbe occupato di animazione di personaggi cine-matografici. Dopo il diploma di geometra si laurea all'Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1951; ama Picasso e il cubismo e le sue opere pittoriche riflettono questa passione in uno stile molto pulito e personale e che viene ricono-sciuto anche attraverso vari premi ricevuti con alcune mostre di pit-tura ove espone i suoi primi lavori. All’amore per la pittura Carlo asso-cia quello del cinema socialmente impegnato, che racconta il disagio

del proletariato urbano e rurale e che trova in Antonioni, De Sica, Germi, Lattuada, Rossellini i mas-simi cantori del Neorealismo. Non c’è solo quest’anima artistica a contendersi il cuore Carlo. Insie-me ad essa, infatti, ne coabita una seconda, non meno esigente e vo-litiva dell’altra: quella di un effi-ciente, curioso ed appassionato tecnico con competenze avanzate di meccanica, elettrotecnica ed elettronica. Il connubio di queste due anime spinge Rambaldi ad un primo approccio in un campo tutto nuovo per lui e tutto da esplorare: quello del cinema a cui approda nel 1955 con un suo documentario a colori: Pescatori di storioni. In questo lavoro Rambaldi realizza dei pesci animati che possono tranquillamente definirsi delle vere e proprie sculture semoventi. E’ il 1958 quando Carlo, appena trentenne, realizza il suo primo lavoro su commissione per il cine-

ma: si tratta di una creatura fanta-stica, il drago Fafner, e di dimen-sioni ragguardevoli (16 metri di lunghezza) che il maestro realizza per il film Sigfrido di G. Gentilomo. da quel momento la sua carriera prende il volo: comincia a lavorare per registi quali Mario Monicelli, Marco Ferreri, Pier Paolo Pasolini e Dario Argento. All’inizio degli anni ’70 era talmente nota la sua perizia nel realizzare personaggi animati che quando nel 1971 ven-ne riaperta l'istruttoria sulle circo-stanze della morte di Giuseppe Pinelli, il magistrato inquirente lo incaricò di costruire un manichi-no che riproducesse le caratteri-stiche fisiche del giovane anarchi-co per effettuare un esperimento giudiziario finalizzato a ricostrui-re le modalità di caduta del corpo dalla finestra della questura di Mi-lano. A metà degli anni ’70 Carlo si trasferisce con tutta la famiglia negli States in quel di Los Angeles

Rambaldi nel suo studio di progettazione e fabbricazione prototipi

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ove rapidamente diventa parte della grande macchina di produ-zione cinematografica hollywoo-diana e perfeziona le sue compe-tenze in meccatronica. Carlo tocca l’apice del successo con l’oscar del 1976 con il film di John Guiller-min, King Kong, per cui Rambaldi realizza sia il gigantesco gorilla di 13 metri di altezza, l’animazione di alcune articolazioni nonché le maschere dell’animale in grado di esprimere le più comuni emozioni e indossate da Rick Baker; effetti che lo rendono famoso a livello internazionale come gli attori più quotati. Nel 1977 collabora agli ef-fetti per le riprese di Incontri rav-vicinati del terzo tipo di Spielberg realizzando l’alieno stilizzato ispi-rato alle sculture di A. Giacometti. In collaborazione con Hans Ruedi Giger, autore dei disegni e delle scenografie di Alien di Ridley Scott realizza l’orripilante creatu-ra aliena per cui riceve il secondo oscar nel 1980. Il suo capolavoro assoluto è il tenero protagonista di E.T. l’extra-terrestre del 1982 rea-lizzato per Steven Spielberg; il personaggio creato da Rambaldi è talmente realistico da riuscire a

coinvolgere nella narrazione, com-muovendo e divertendo, spettatori di ogni età. Per le riprese erano stati costruiti tre modelli diversi: due meccanotronici, dotati rispet-tivamente di ottantacinque e ses-santa punti di movimento, ed uno esclusivamente meccanico, con quaranta punti animati. In un’in-tervista sul film rilasciata in quel periodo Rambaldi afferma che l’i-spirazione per la creazione della testa del personaggio di E.T. gli era venuta osservando la mimica facciale di un gatto himalayano mentre per il corpo aveva elabora-to le indicazioni di massima forni-tegli da Spielberg. Parlando poi della scena finale del film, quella in cui i ragazzi prendono il volo in sella alle biciclette, Rambaldi ri-corda che Spielberg si era rifatto all’ultima scena di “Miracolo a Mi-lano” di Vittorio De Sica. Questo lavoro lo condurrà nel 1983 al ter-zo premio oscar. Di grande impat-to suggestivo saranno i suoi vermi giganti di Dune del 1984 di David Lynch e gli effetti speciali di King Kong 2 del 1986 ancora diretto da Guillermin. Con la comparsa sulla scena, nella seconda metà degli

anni ’80, dell’effettistica digitale e la conseguente monopolizzazione del settore da parte di società spe-cializzate e finanziate dalle grandi case di produzione per abbattere i costi e massimizzare la produzio-ne, Rambaldi si allontana dal mondo del cinema percependo che la sua arte era minacciata dai nuovi effetti digitali che diventa-vano sempre più versatili e con-correnziali. I lavori di Rambaldi, estremamente specializzati, han-no progressivamente ceduto il po-sto alla modellazione 3D applicata ai film in fase di postproduzione, risultando man mano sempre me-no competitivi nell'ambito del nuovo mercato. Negli anni Novan-ta aveva progettato un grande par-co espositivo sulla civiltà umana chiamato Millennium, senza riu-scire, purtroppo, a reperire i fondi necessari per costruirlo. Nel 1995 produce il thriller Decoy diretto dal figlio Vittorio. Nel 1996 fonda a Terni l'Accademia Europea degli Effetti Speciali, e si dedica all'in-segnamento sino al 2000 dopo aver formato trentadue tecnici del settore.

Rambaldi disegna nel periodo in cui insegnava nella sua Accademia di Effetti Speciali a Terni

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Titolo Regista Anno Sigfrido Giacomo Gentilomo 1957 Perseo l'invincibile Alberto De Martino 1963 Terrore nello spazio Mario Bava 1965 Il boia scarlatto Massimo Pupillo 1965 La strega in amore Damiano Damiani 1966 L'Odissea- miniserie TV F. Rossi, P. Schivazappa, M. Bava 1968 Femina ridens Piero Schivazappa 1969 Una lucertola con la pelle di donna Lucio Fulci 1971 Reazione a catena Mario Bava 1971 La notte dei diavoli Giorgio Ferroni 1972 Casa d'appuntamento Ferdinando Merighi 1972 L'arma, l'ora, il movente Francesco Mazzei 1972 Frankenstein '80 Mario Mancini 1972 Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea Riccardo Freda 1972 Il mostro è in tavola... barone Frankenstein P. Morrissey, A. Margheriti 1973 Dracula cerca sangue di vergine... e morì di sete!!! Paul Morrissey 1974 La mano che nutre la morte Sergio Garrone 1974 Le amanti del mostro Sergio Garrone 1974 La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone Pupi Avati 1975 Profondo rosso Dario Argento 1975 King Kong John Guillermin 1976 Incontri ravvicinati del terzo tipo Steven Spielberg 1977 Alien Ridley Scott 1979 La mano Oliver Stone 1981 Possession Andrzej Żuławski 1981 E.T. l'extra-terrestre Steven Spielberg 1982 Conan il distruttore Richard Fleischer 1984 Dune David Lynch 1984 Unico indizio la luna piena Daniel Attias 1985 King Kong 2 John Guillermin 1986 Rage, furia primitiva Vittorio Rambaldi 1988

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L a velocità dello scorrere del tempo è relativa. Il tempo con il quale evolve la tecnologia, non è lo

stesso dell'essere umano. La rete internet di oggi, è generazioni avanti rispetto alla sua comparsa nel 1995. Nella scala umana però, sono passati appena 20 anni, me-no di una generazione. Questo si-gnifica, che ogni X mesi, non è im-probabile trovarsi di fronte a una novità. Alcune novità sono rile-vanti, come l'invenzione di una nuova tecnologia che pianta al suolo una pietra miliare; altre, so-no meno rilevanti. Quello che mi lascia positivamen-te sorpreso, ogni volta, è vedere come la mente umana riesca sem-

pre a inventare del nuovo, dove poco prima sembrava non ci fosse più nulla da inventare.. E' pur vero, che siamo talmente abituati all'e-voluzione dell'immagine, che dopo brevissimo tempo, le cose nuove fino a un mese prima, vanno a noia; così, per avere 'novità', non è necessario qualcosa di nuovo, ma di semplicemente diverso. In que-sto caso, si tratta del mondo Blog, dei post, degli articoli. Stoytelling, raccontare una storia, si sta impo-nendo come nuova nicchia del blogging. Google è ovviamente sempre al passo con le novità del-la rete, e infatti, da poche settima-ne ha introdotto la funzione 'Storie' per gli album fotografici. Se carichiamo una serie di foto-grafie, che contengano i dati di scatto (e quindi, ad esempio, an-che la data dello stesso), Google sceglierà le migliori, e le disporrà in una sequenza cronologica,

creando una timeline, lungo la quale dispone i vari scatti. L'effet-to grafico ed estetico è piacevole. Tuttavia, è una versione molto semplice di questo nuovo stile: lo Storytelling. Premetto che, non a qualsiasi ar-gomento di post, si può applicare questa veste grafica. Se l'argomen-to è: come bloccare un IP in .htaccess, difficilmente si potrà ricamarci sopra un romanzo. Men-tre, se si racconta ad esempio un episodio di cronaca, di vita, o an-che della realizzazione di un'opera (grande costruzione di un ponte o un grattacielo), beh, allora vale la pena considerare lo... STORYTELLING Si tratta di snodare lungo il post, tutte le risorse possibili: testo, tito-li, immagini, audio, video, docu-menti; sfruttando funzioni di grafi-ca quali il parallasse, o altro, il cui

FARE BLOGGING

di Antonio M artini

Lo stile Storytelling

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limite è rappresentato solo dalla fantasia e dalla creatività. L'inizio del post sarà il momento zero, con la premessa. Lo scorrere del post corrisponde alla timeline; lungo la quale, si andranno a disporre i vari elementi documentali: testo, im-magini, video, eccetera. Leggere una storia, non è come leggere un Post nel senso tradizionale. Il con-tenuto è un pò romanzato. Ma so-prattutto, coinvolge. Ma non solo... Se il post-story è ben costruito, graficamente parlando, esso avrà la capacità di portare il lettore in una dimensione surreale; un altro tempo, un altro spazio. Mi rendo conto che questa semplice descri-zione può lasciare scettici: "mah, le solite parole, ma poi chissà cosa c'è di realmente concreto". Quindi, credo che la cosa migliore, sia quella di vedere almeno un paio di Post realizzati con questa tecnica, per rendersi conto che persino il

termine 'post', possa sembrare ob-soleto: La bufera di neve - The New York Times http://www.nytimes.com/projects/2012/snow-fall/#/?part=tunnel-creek Appuntamento con la morte: l'uc-cisione di Kennedy - National Geo-graphics http://kennedyandoswald.com/#!/premiere-screen Cos'è il codice? - Bloomberg http://www.bloomberg.com/graphics/2015-paul-ford-what-is-code/ Glitter in The Dark http://pitchfork.com/features/cover-story/reader/bat-for-lashes/

WORDPRESS Abbiate pazienza, ma io amo WordPress, e non mi curo di altri CMS, quindi posso suggerire un plugin solo per esso: Aesop - story engine for wordpress http://aesopstoryengine.com/ Oppure, cercate 'Aesop' nella schermata 'aggiungi nuovo plu-gin'. Questo plugin ci aiuta a creare uno Storytelling, inserendo i vari ele-menti, ma soprattutto quello che più difficilmente potremmo creare senza un ausilio: la timeline, con i punti di aggancio link temporale. Buona scrittura. Codice, è poesia.

FARE BLOGGING

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GIRARDIFILIPPO.IT

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INTERVISTA

Filippo Girardi

C iao Filippo presentati ai nostri lettori. Salve a tutti! Mi chiamo Filippo Girardi ho 41 an-

ni sono sposato e ho una bellissi-ma bambina di 9 anni di nome Giulia. Vivo nella zona più bella del veronese: la Valpolicella, paese d'arte e di vino. Lavoro come scul-tore nell'ambito del marmo e mi diletto come modellatore 3D , da qualche anno ho coniugato queste due arti, "classico e moderno". Mi diverto in mountain bike e visto che il lago di Garda dista pochi chilometri, quando ho del tempo libero mi diverto con la pesca su-bacquea. La mia vera passione re-

sta il disegno e modellare argilla e plastilina, lo trovo un ottimo alle-namento sia manuale che menta-le. I tuoi lavori mostrano un talento estremo per la grafica e la model-lazione 3D... Quando hai comincia-to ad armeggiare con matite e co-lori? In famiglia ci sono altri talen-ti artistici? Ho ereditato da mio padre Gilberto e da mio zio, Cav. Cinetto Giusep-pe, la passione per l'arte. Fin da piccolo utilizzavo materiale di ri-ciclo (stucco per vetri) per model-lare e mi divertivo a disegnare vi-gnette e caricature. Hai cominciato presto a lavorare come scultore? Avevo circa vent'anni quando per la prima volta presi in mano mar-

tello e scalpello formandomi nelle vecchie botteghe di sculture nel paese di Sant' Ambrogio di Valpo-licella, lavorando a fianco di artisti del settore. Quando hai cominciato a lavorare con i PC? Quale era il tuo primo Sistema Operativo? Ho cominciato ad usare il PC per curiosità utilizzando programmi CAD per il disegno tecnico con sistema operativo Windows e da allora non mi sono più fermato. Quali sono i tuoi software del cuo-re? Di software ne ho provati molti, ancora adesso ne sono attratto anche solo per curiosità, ma riten-go che Cinema 4D e ZBRUSH ab-biano soddisfatto le mie esigenze.

Un noto filosofo degli anni ‘50 del secolo scorso, Luigi Pareyson, utilizzerebbe sicuramente i lavori di Filippo come esempi concreti della sua teoria estetica sulla formatività, a me tanto cara! La formatività di Filippo traspare già dalla modalità di presentazione dei suoi modelli virtuali che appaiono quasi come ecografie di opere d’arte in ge-stazione, in cui l’oggetto rappresentato non ha bisogno del colore per spiegare se stesso e la sua realtà espressi-va: sarà il marmo, in quanto tessuto naturale, con le sue venature e le sue trame, ad esprimere unicità e carattere dell’opera e questo nonostante la tecnica con cui essa è stata determinata appartenga a consolidati processi di produzione seriale. Indubbiamente un plauso va, ancora una volta, alla piattaforma Social di Google che è stata capace in quest pochi anni di vita di portare sul desktop dell’italiano medio arte, scienza e cultura, di mettere in

luce questi nuovi talenti, le nuove arti e professioni del millennio appena cominciato.

di Salvio Gigl io

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INTERVISTA

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Per lavorare con macchine CNC vuol dire che hai anche delle cono-scenze di base di automazione e robotica, sei un autodidatta o hai seguito qualche corso particolare? Direi proprio che sono un autodi-datta. Ho cominciato a usare frese a ponte CNC a tre assi, fin dall'ini-zio del mio percorso, guardando e domandando a personale più esperto, sperimentavo durante le ore di pausa e la voglia di impara-re era molta. Ancora oggi esperi-mento e scopro nuove tecniche di finitura per il marmo. Che tipo di macchine impieghi per la tua attività? Le prime macchine erano dei sem-plici pantografi, poi con delle frese a ponte semi automatiche. Ora col-laboro con un'azienda che utilizza frese a ponte, CNC con 5 assi inter-polati, però per adesso mi focaliz-zo solo nella modellazione 3D as-sociata alla scultura tradizionale e di design. Vivi nella città di Giulietta e Ro-meo in una Regione ricchissima di opere d'arte che da sole riempireb-bero un'enciclopedia, un luogo ideale per un artista tutto tondo come te... Oltre Verona quale altra città veneta senti tua? Da alcuni anni trascorro assieme alla mia famiglia un periodo estivo a Chioggia. Ho scoperto una locali-tà piena di fascino che non ha nul-la da invidiare a Venezia. E' opinione diffusa che la Compu-ter Grafica tende a snaturare l'uni-cità della produzione artistica ren-dendola seriale... Quanto c'è di ve-ro in quest'affermazione? La produzione seriale non deve distogliere l'attenzione dal valore profondo di un'opera, ogni pezzo riprodotto è un altro originale del tutto uguale ed indistinguibile senza perdere nessun valore si-gnificativo. Che sia una, cento o

mille, l'importante che l'opera o l'idea sia la creazione di un singo-lo individuo nata da un suo reale e genuino bisogno di lasciare un segno. Il tour italiano artistico "ideale" che suggeriresti ad un amico stra-niero per la prima volta in Italia. Cominciando da Verona non deve mancare la romantica Venezia, tappa d'obbligo la galleria degli Uffizi senza dimenticare la bellis-sima Napoli, insomma avrei altri centinaia di luoghi da suggerire, non per nulla l'Italia è uno dei Pae-si più belli del mondo. Il tuo amore per l'arte ti ha spinto a viaggiare per "toccare con mano" certe opere? Cosa hai visitato e quale viaggio ricordi con più pia-cere? Il mio lavoro mi ha portato più vol-te a visitare la città di Carrara e Pietrasanta, luoghi obbligatori da frequentare per chi svolge la mia stessa professione, colma di opere ed artisti da tutto il mondo. L'ulti-mo viaggio nella cittadina di Pie-trasanta l'ho trascorso con amici e ricordo il buon cibo, il vino e, ov-viamente, le visite alle botteghe d'arte. Si possono mettere in relazione produzione artistica tradizionale e nuovi media? Secondo te quanto la rete ha contribuito ad avvicinare la gente all'arte in questi ultimi anni? I media sono sicuramente un ca-nale utile e necessario per la di-vulgazione di informazioni ed im-magini di opere al grande pubbli-co , ma per capirne la reale unicità devono essere viste e toccate in prima persona. Sicuramente la presenza di notizie e immagini sul Web relative alle opere d'arte sono un aiuto e uno stimolo per artisti e appassionati del settore, sia digi-tale che tradizionale e in questi ultimi anni ho visto un aumento di

forum e blog dove le persone si possono scambiare informazioni e curiosità. Il nostro Paese ha il 70% del patri-monio artistico mondiale... di cui buona parte sta nei sotterranei dei musei. L'industria del turismo cul-turale produce 10 miliardi di euro all'anno, un terzo del PIL. Se fossi tu a decidere cosa faresti per po-tenziare questa preziosa risorsa economica? Visto che molte delle opere sono stipate nei sotterranei e i costi per la manutenzione sono elevati, po-trebbe essere un'opportunità po-terle dare in "affitto" anche a pri-vati ed a Istituti scolastici italiani e stranieri. Mentre lavori ascolti musica? Hai qualche genere preferito? Durante il lavoro accendo la radio, ma sono immerso in quello che sto facendo che a volte non mi rendo conto di ciò che viene trasmesso. Il genere che comunque preferisco è quello degli anni '80. Quali sono i tuoi progetti per il fu-turo? Vorrei poter sviluppare delle mie opere, idee messe nel cassetto da molti anni. In futuro mi piacerebbe realizzare una mostra delle mie opere, naturalmente voi di CADZI-NE sarete i primi ad essere invita-ti! Perchè hai scelto G+ come Social? Cosa ti piace particolarmente di esso e cosa lo differenzia dagli al-tri? L'ho scoperto grazie ad un amico. Lo trovo molto divertente e credo che sia un luogo dove trovare ispi-razione e persone professional-mente competenti.

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MUSICA

L a Jota è una danza folclo-ristica originaria dell’Ara-gona e diffusa, in numero-se varianti regionali, in

tutta la penisola iberica; è in ritmo ternario, gradatamente accelerato, con le coppie di ballerini disposte frontalmente. Presenta alcune analogie con le tarantelle del Sud Italia e con la tammurriata napole-tana, che utilizza le castagnette, strumento simile alle nacchere (castañuelas). Non soltanto viene eseguita da danzatori professioni-sti nei teatri, o all'aperto in occa-sione di festività, ma anche dalla gente comune, costituendo un mo-mento di svago e di condivisione con altri che nutrono la stessa passione. I passi della jota sono simili al val-zer ma intervallati da salti, ed è proprio questa caratteristica a da-

re il nome alla danza. Infatti, molto probabilmente, il ter-mine jota deriva dall’antico termi-ne valenciano xota, derivato a sua volta dal mozarabico šáwta (salto), diventando poi jota nel passaggio al dialetto castigliano. La jota danzata è molto antica: le sue origini risalgono al tempo de-gli Iberi, quando con il ballo si pra-ticava come omaggio alle divinità. Intorno al IV secolo, le danze sacre vengono introdotte anche nel cul-to cristiano e vi permangono a lungo arricchendo le cerimonie e i riti della Chiesa; col tempo, però, questi balli diventano l'espressio-ne della materialità umana e, dopo essere stati rifiutati dagli ordini ecclesiastici, nell'anno 774 vengo-no definitivamente proibiti da Pa-pa Zaccaria. Il popolo, che ormai si è appropria-to di queste danze sacre, le riutiliz-za adattandole agli usi e ai costu-mi locali; la jota, diventata così danza popolare, assume ovvie con-notazioni amorose: il corteggia-

mento e la conquista sono ricon-ducibili alla galanteria manifesta-ta dal ballerino; la sfida e il duello sono rappresentati dalle ginoc-chiate e dalle pedate tipiche della danza. Da notare che, anticamente, a Valencia e in Cataluña, la jota si ballava anche durante la cerimo-nia delle sepolture. La prima jota cantata è identificata nel villancico, datato 1666, “De esplendor se doran los aires”, scritto da Rúiz de Samaniego, maestro di cappella del Pilar. Nell'Ottocento, la jota conosce il suo periodo di maggior splendore: la sua eleganza, la difficile esecu-zione dei suoi passi, il canto parti-colare che l'accompagna, contri-buiscono alla sua evoluzione come spettacolo teatrale, anche inserita in zarzuelas (zarzuela: tipica ope-retta spagnola, seria o giocosa, che unisce musica, prosa e danza). La jota si canta e si balla con l'ac-compagnamento di castañuelas, chitarre, mandolini, liuti, tamburi, flauti, cornamuse; nelle rappresen-

di N ico la Amalf i tano

La Jota Spagnola... (quella Triestina è ben altro)

Spartito de “Rhapsodie Espagnol” di F. Liszt

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MUSICA

Ballerini aragonesi impegnati in una Jota

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MUSICA

tazioni sceniche gli interpreti in-dossano di solito i propri costumi regionali; tuttavia ciò non avviene quando la jota è praticata come svago o come ballo sociale. Ogni regione della Spagna ha la propria jota: le più conosciute e popolari sono la jota dell’Aragona, quella della Mancha, quella di Ca-stiglia e Leon, della Navarra e della Rioja, la montañesa della Canta-

bria, quella delle Asturias, della Galizia, dell'Estremadura, dell'Alta Andalusia e della Murcia. Differi-scono tra loro per alcuni particola-ri, quali ad esempio il modo di di-sporre le mani durante la danza, i colori dell'abbigliamento, le tema-tiche oggetto del canto. Nella jota montañesa, particolarmente ele-gante e signorile, le donne danza-no con gli occhi bassi, fissi ai piedi

del ballerino. Nel periodo di maggior splendore, la jota, uscita dai confini spagnoli, diventa con Liszt musica per pia-noforte e, con Glinka, Balakirev e Saint-Saëns, musica per orchestra; il francese Raoul Laparra ne rea-lizza addirittura un'opera lirica.

Nell’immagine in alto a sinistra, tratta dal video YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=DHUfTkqRjgg due giovanissimi danzatori interpretano la Jota Aragonese durante le semifinali di un concorso nazionale svoltosi il 9 novembre 2014 nella città spagnola di Tarazona. Nell’immagine in basso a destra tratta dal video YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=C8P7lFoYwf4 la Compagnia di balletto Igor Moiseyev si esibisce sulla musica di Michail Glinka (Mosca, 10 febbraio 2007)

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N el periodo che separa le due guerre mondiali lo sviluppo tecnologico legato al controllo ra-

diocomandato di velivoli e natanti subisce un notevole sviluppo gra-zie anche alle recenti scoperte di Hermann Anschütz-Kaempfe e di Ambrose e Lawrence Sperry sulla stabilizzazione e sulla rotta con i loro dispositivi giroscopici. Tre Paesi occidentali, Germania, In-ghilterra e Stati Uniti, erano parti-colarmente interessati ed impe-gnati nel far progredire queste nuove tecnologie senza presenza di equipaggio a bordo che posse-dessero un’elevata precisione nel centrare l’obiettivo e, possibilmen-te dal costo contenuto finalizzate alle applicazioni su veicoli militari

aerei e marini. Germania Per quanto orrore possa ancora oggi suscitare il termine Terzo Reich, rievocando tutto il lucido delirio di Hitler e della sua turpe compagine, bisogna riconoscere un’elevata valenza tecnica agli scienziati che servirono il regime nazista in quegli anni. Specificata-mente nel campo dei droni, impie-gati come armi micidiali, e del volo unmanned troviamo diversi filoni di ricerca per risolvere le principa-li problematiche tecniche dell’epo-ca come, il perfezionamento dei sistemi di radiocomando, per diri-gere sempre con maggior precisio-ne gli ordigni sui target; i sistemi di propulsione per ottenere armi a lungo raggio. Durante la fase docu-mentale di questo articolo mi sono reso conto che sarebbe stato quasi impossibile riassumere in questa sede, anche con molti articoli, tut-

to il lavoro svolto dall’esercito te-desco nel campo degli armamenti speciali che più si avvicinavano agli UAV. A questo si aggiunga che non amo assolutamente le armi, di qualunque tipo esse siano, in quanto restano sempre atroci stru-menti di morte e distruzione e rap-presentano il modo peggiore per impegnare l’ingegno umano… Ho deciso quindi di limitarmi ad iso-lare due casi specifici che da soli aiutano il lettore ad intuire quale sia potuto essere l’apporto tedesco per queste nuove tecnologie ri-mandandolo per eventuali appro-fondimenti ai numerosissimi siti presenti sul WEB. Il radiocomando Kehl-Straßburg Lo sviluppo del sistema di radio controllo di ordigni chiamato Kehl-Straßburg incentivò la produzio-ne di nuovi ordigni aerei semi-automatizzati realizzate dalla Luf-twaffe nell'ultima parte della se-

III puntata

di Salvio Gigl io

Marylin, Reagan, gli UAV e la seconda guerra mondiale

La Storia è capace di creare combinazioni affascinanti anche in momenti particolarmente drammatici come La Storia è capace di creare combinazioni affascinanti anche in momenti particolarmente drammatici come lo scoppio di una guerra mondiale… Accadde a Marylin Monroe, una bella ragazzona americana intenta nel lo scoppio di una guerra mondiale… Accadde a Marylin Monroe, una bella ragazzona americana intenta nel suo lavoro da operaia assemblatrice del drone/target OQ 2A, impiegata come modella di fortuna per un suo lavoro da operaia assemblatrice del drone/target OQ 2A, impiegata come modella di fortuna per un servizio fotografico propagandistico affidato ad un giovanissimo capitano dell’US Army, Ronald Reagan...servizio fotografico propagandistico affidato ad un giovanissimo capitano dell’US Army, Ronald Reagan...

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conda guerra mondiale. Il princi-pio di funzionamento di questo sistema era molto complesso per l’epoca e consisteva di due unità funzionali principali e dai relativi comandi ed attuatori: il trasmettitore FuG 203 Kehl installato sull'aereo pilota, il ricevitore FuG 230 Straßburg col-locato sull’ordigno. Dopo lo sgancio dell’ordigno dall’aereo, che avveniva tradizio-nalmente, il pilota attivava il siste-ma di controllo stabilendo così un contatto radio tra aereo e bomba. La guida della bomba avveniva tramite un piccolo joystick, posto vicino alla cloche dell’aereo, colle-gato alla centralina Kelh che tra-smetteva i comandi di manovra alla centralina ricevente Straßburg ubicata sull’ordigno in grado di operare sugli attuatori delle alette direzionali di esso per farlo plana-re verso il target stabilito. Il progetto fu realizzato da varie aziende sotto il controllo dell'Uffi-cio Tecnico Generale della Luftwa-ffe: centralina di trasmissione Kehl, Telefunken, Berlino; modulatore Kehl, Loewe / Opta, Lipsia; trasmettitore Kehl I, DVL, Loewe /

Opta, Lipsia (per la Fritz X); trasmettitore Kehl III, Henschel Schonfeld (per HS 293); centralina di ricezione Kehl, Loewe / Opta, Lipsia; GEA, Fellbach e alcune imprese minori associate; ricevitore Straßburg, Staßfurter Broadcasting, Staßfurt sistema di controllo Straßburg , Loewe / Opta Lipsia e alcune aziende minori associate. Il sistema di guida era efficace fino a 11 km di distanza e operava in VHF modulando tra i 48,2 MHz ed i 49,9 MHz. Il primo bombardiere ad essere equipaggiato con la tra-smittente Kehl fu il Dornier Do 217, successivamente affiancato dall’Heinkel He 111, dal Focke-Wulf Fw 200 e dall’Heinkel He 177. Inve-ce il primo ordigno ad essere forni-to della centralina ricevente Straßburg fu il Ruhrstahl SD 1400, per l’affondamento di navi coraz-zate. Il ricevitore fu installato in un secondo momento e con alcune modifiche anche sulle bombe Hen-schel Hs 293 per la distruzione di natanti ordinari. Dopo i primi at-tacchi nell'agosto del 1943, l'U.S. Naval Research Laboratory svilup-pò in appena un mese un sistema di contromisure elettroniche, l’XCJ, in grado di determinare lo

jamming delle frequenze su cui operava il Kehl-Straßburg man-dandolo così in tilt. La Ruhrstahl SD 1400 Il padre della micidiale bomba pla-nante meglio nota col nome di Fritz X fu l’ing. Max Otto Kramer che era una vera autorità in campo aeronautico. Nato a Colonia, 8 set-tembre 1903, si laurea in Ingegne-ria Elettronica presso l'Università Tecnica di Monaco nel 1926 e rice-ve il dottorato in aeronautica alla Technische Universität di Aqui-sgrana nel 1931. Già alla fine del 1930 i suoi lavori di aerodinamica, presso l'Istituto Tedesco di Aero-nautica a Berlino, facevano notizia. Aveva sviluppato brevetti molto importanti per diverse innovazioni tecnologiche relative al trasporto aereo e la sua specialità era nella modellazione di flussi d'aria com-plessi, in particolare quelli concer-nenti all’aereodinamica a flusso laminare. Nel 1938 Kramer inizia i suoi studi sull'aerodinamica delle bombe aeronautiche a caduta libe-ra per correggerne gli errori d'im-patto. Da cavia per i suoi esperi-menti fece una bomba standard dell'arsenale bellico della Luftwaf-fe: la SC 250, su cui Kramer instal-

Una Fritz X

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In alto gli stabilimenti della Fairey Aviation Company Limited di Haynes, nel Middlesex; al centro, da sinistra, drone obiettivo DH.82B Queen Bee; a destra il pulpito con il radicomando per il DH.82B Queen Bee.

A sinistra linea di assemblaggio delle Reginald Denny Industries e a destra Reginald Denny nella I guerra mondiale

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lò diverse serie di alette direziona-li motorizzate elettricamente e azionate dal già citato telecoman-do. Su richiesta della Luftwaffe il progetto iniziale venne poi svilup-pato su un ordigno molto più pe-sante il cui carico esplosivo era di 1400 kg. Ciò aumentò notevolmen-te i problemi iniziali, legati proprio al peso della bomba che permette-va solo minimi cambi di direzione e che in virtù di ciò fu definita più propriamente dagli scienziati tele-deviata. L’ordigno fu messo co-munque in produzione col nome di SD 1400 e aveva perso l'aspetto di bomba convenzionale; infatti, per aumentarne la portanza si intervenne sulla dimensione delle alette, e così, con gli impennaggi anteriori maggiorati l’ordigno ave-va assunto la caratteristica forma ad "X", fatto questo che le valse la denominazione industriale di X da parte della Ruhrstahl AG, (con modelli numerati da X-1 a X-7) e quella in codice di Fritz X asse-gnatole dalle forze Alleate. Inghilterra L’Inghilterra stava facendo grandi passi avanti in questa direzione attraverso il lavoro svolto dalla Fairey Aviation Company Limi-ted che nel 1931 sviluppa da un suo modello di idrovolante, il Fai-rey IIIF, il Fairey Queen un bersa-glio teleguidato per far esercitare nelle prove di tiro antiaeree la Royal Navy e la Royal Air Force. E’ fatto storico quanto accadde quan-do, sul finire del ’31, la Fairey pro-pose al Ministero della Difesa bri-tannico la prova del Queen per una dimostrazione pratica con alcune navi della flotta inglese che tentarono di abbatterlo, inutil-mente, per due ore senza però danneggiarlo minimamente; fu così che l’azienda si aggiudicò il primo ricco contratto di fornitura di 120 droni teleguidati. Ci vollero poi ben quattro mesi di esercita-zioni di tiro per vedere abbattuto il primo di questi obiettivi volanti.

Tutto ciò dimostrava sempre di più la potenziale invulnerabilità dei veicoli aerei senza equipaggio in campo bellico. Nel 1935 la Fai-rey realizza un secondo drone obiettivo, il DH.82B Queen Bee, che appariva particolarmente conve-niente ed innovativo, in quanto poteva essere riparato e riutilizza-to anche dopo eventuali danneg-giamenti nelle prove di tiro. Que-sto modello aveva dimensioni maggiori rispetto a quello prece-dente in quanto derivava dal bi-plano De Havilland Tiger Moth; era costruito con un telaio in abete e tavolame multistrato; poteva es-sere dotato di ruote o galleggianti, a seconda che venisse lanciato da terra o dall’acqua. Poteva volare ad un'altitudine di 5.182 m con una velocità di oltre 160 km/h ed un’autonomia di 482 km. Furono complessivamente prodotti 380 esemplari di questi droni target utilizzati dalla fino a che non sono stati ritirati dal servizio nel 1947. Stati Uniti Negli USA fu l’attore britannico Reginald Denny a diventare un punto di riferimento nella costru-zione di radiocomandi per il setto-re aereo. Denny, oltre che per il teatro, aveva una gran passione per il volo tanto che durante la prima guerra mondiale era stato un mitragliere nel Royal Flying Corps e negli anni ‘20 si esibiva come pilota acrobatico. All’inizio degli anni ‘30, Denny cominciò ad interessarsi di radio controlli per aeromodellismo e dopo un periodo di sperimentazione fonda insieme ad un socio, nel 1934, le Reginald Denny Industries e apre un nego-zio di modellismo aereonautico che chiama Reginald Denny hob-bistica e bricolage. Per la sua pro-duzione acquista, nel 1938, da Wal-ter Righter un progetto di aereo di cui avvia la produzione commer-cializzandolo col nome di Den-nyplane insieme al relativo moto-re chiamato Dennymite.

Nel 1940, Denny e il suo socio mo-strano all’US Army un loro prototi-po di modello radiocomandato che avrebbe dovuto svolgere il ruolo di obiettivo volante per l’addestra-mento e le esercitazioni di tiro per l’artiglieria, terrestre e navale, an-tiaerea ottenendo un vantaggioso contratto per il loro drone OQ 2A Radioplane di cui dovranno pro-durre ben quindicimila esemplari per tutta la durata della seconda guerra mondiale. La società sarà poi acquistata dalla Northrop nel 1952. Un aneddoto molto partico-lare è legato alla produzione di questo drone e riguarda due perso-naggi storici molto famosi; tra le operaie di Radioplane lavorava come assemblatrice una giovanis-sima Marilyn Monroe mentre per la propaganda militare, in gran voga nel periodo bellico, era stato incaricato in qualità di articolista fotografo un caro amico di Denny e futuro Presidente degli Stati Uni-ti: il capitano Ronald Reagan. Rea-gan convinse la Monroe a fare da modella per alcune foto per un articolo e fu quello l’inizio della sua carriera! Quando si dice “i casi della vita”! Continua

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CORSO di ORIENTAMENTO alla BIM

Q uesta puntata chiude il V ciclo di articoli sui con-cetti basilari legati alla preparazione preliminare

per la pianificazione BIM. In parti-colare si accenna ad alcuni argo-menti molto importanti legati all’impianto contrattuale da stipu-lare con la committenza più con-sono alla BIM, dal momento che questo tipo di progettazione preve-de anche questo aspetto. Un otti-mo esempio di meritocrazia appli-cata è il punto dedicato alla ripar-tizione di ruoli, responsabilità e guadagni commisurati in base alla reale produzione di ciascun “ingranaggio” di quella complessa macchina organizzativa ed esecu-tiva messa in piedi per la realizza-zione di un fabbricato. Per evitare poi al lettore la ricerca in rete di un paio di concetti direttamente provenienti dal mondo del Project Management ho realizzato due

paragrafetti dedicati alla definizio-ne di Integrated Project Delivery e di Design-Buid che rappresentano degli standards contrattuali di ri-ferimento per la BIM. IPD - Integrated Project Delivery (progetto a consegna integrata) Una bella definizione di IPD la for-nisce l'American Institute of Ar-chitects (AIA) che inquadra questo sistema contrattuale come: "un metodo di consegna del pro-getto che integra persone, sistemi, strutture aziendali ed attività in un unico processo che sfrutta, in modo collaborativo, i talenti e le intuizioni di tutti i partecipanti col fine di ridurre gli sprechi e otti-mizzare l'efficienza in tutte le fasi di progettazione, fabbricazione e costruzione di un manufatto ar-chitettonico”. Lo so, sembra un’utopia se pensia-mo alla realtà cantieristica del no-stro Paese, salvando le dovute ec-cezioni, mentalmente ferma al se-condo dopoguerra! Questo metodo di consegna con-tiene, in estrema sintesi, i seguenti

elementi: Coinvolgimento continuo del com-mittente con progettisti e costrut-tori dalla fase di progettazione ini-ziale sino al completamento del progetto. I guadagni economici di progetti-sti e costruttori sono commisurati all’attività svolta realmente in stu-dio ed in cantiere per il successo del progetto. Il team condivide il rapporto rischio/ rendimento, in cui guadagno finanziario di cia-scuno è messo a rischio dal risul-tato globale del progetto. Il controllo qualità sul progetto e sulla costruzione è svolto congiun-tamente dal committente, dai pro-gettisti e dai costruttori. D-B - Design-Buid (Progettazione-costruzione) E 'un metodo per consegnare un progetto in cui i servizi di proget-tazione e costruzione sono erogati da un unico soggetto. Questa solu-zione si basa su di un unico con-tratto di fornitura ed è impiegato per ridurre al minimo i rischi ed i tempi di consegna per la commit-

XII puntata

di Salvio Gigl io

Tipologie contrattuali BIM

Contrattazione tipo IPD e relazioni tra le parti aderenti alla progettazione e costruzione

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CORSO di ORIENTAMENTO alla BIM

tenza concentrando tutto il lavoro progettuale e costruttivo su di un’unica impresa. Considerazioni sulla scelta della soluzione contrattuale BIM più conveniente Se il tipo di contratto del progetto o il metodo di consegna non sono stati ancora stabiliti, è importante considerare il modo in cui l'imple-mentazione della BIM possa inci-dere sul progetto. Tutti i metodi di consegna possono trarre beneficio dall'uso della BIM; tuttavia, nel processo di consegna del progetto, i concetti fondamentali sono più facilmente implementabili con maggiore livello d’integrazione. Quando si pianifica l'impatto della BIM sulla proposta di consegna, il team di pianificazione deve consi-derare quattro disposizioni princi-pali: Struttura organizzativa e ado-

zione del Metodo di consegna tipico;

Metodo di Approvvigionamen-

to; Metodo di pagamento; Work Breakdown Structure

(struttura di scomposizione del lavoro).

Il team deve quindi valutare, nella redazione del contratto, i requisiti BIM necessari per la scelta del metodo di consegna più consono. Sebbene l’Integrated Project Deli-very (IPD) e il Design-Build siano dei metodi di consegna altamente collaborativi e che facilitano la condivisione delle informazioni sui corrispettivi in base alla strut-turazione dei rischi, recentemente sono state realizzate svariate nuo-ve forme di contratto per risolvere la struttura di consegna e contrat-tazione in ambito BIM. Se si preve-de di non utilizzare in un progetto l’IPD o il Design-Build o, addirittu-ra, è stato già selezionato un meto-do di consegna, la BIM può essere sempre e comunque implementa-ta con successo, applicando altre strutture di consegna alternative come la Design-Bid-Build o il CM

at Risk. E’ bene ricordare però che quando si utilizza una di queste strutture di consegna meno inte-grate è importante lavorare preli-minarmente su di una bozza di Esecuzione di processo BIM, asse-gnando ruoli, responsabilità e compensi nella strutturazione del contratto. E 'anche importante che vi sia un riscontro da tutti i mem-bri del team per capire se le scelte operate sono di loro gradimento e li aiutino realmente a conseguire un esito felice per la propria parte di lavoro. Senza una giusta riparti-zione dei rischi e delle responsa-bilità tra tutti i membri del team di progettazione, paragonabile al buy-in del poker (la somma di denaro versata da ogni giocatore per poter prendere parte ad un torneo di po-ker) si rischia o la diminuzione della qualità del prodotto BIM, o di aggiungere altri membri al lavoro di progettazione (con conseguente perdita di guadagno) senza conta-re che tutto ciò potrebbe anche comportare, nel peggiore dei casi,

Comparazione tra il metodo contrattuale tradizionale e quello D-B

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CORSO di ORIENTAMENTO alla BIM

un fallimento totale dell’attuazio-ne della BIM di un progetto. Procedura di selezione del perso-nale per il Team Tra le tante cose da verificare ed approntare il team di pianificazio-ne deve anche stabilire dei criteri e delle procedure di selezione del personale basate sulle competen-ze BIM necessarie alla propria or-ganizzazione caso mai il progetto necessitasse di ulteriori particola-ri profili professionali o dovesse sostituire qualche membro. Per questa fase di creazione dei criteri, la squadra deve rivedere le compe-tenze per ciascun impiego BIM selezionato durante il processo di pianificazione. Dopo che sono sta-te determinate le competenze ri-chieste, il team si mette eventual-mente alla ricerca dei nuovi pro-gettisti verificando che questi ab-biano l’esperienza necessaria per ricoprire il ruolo proposto magari attraverso la presentazione di esempi di lavoro svolti preceden-temente. Il linguaggio contrattuale nella BIM L’integrazione BIM di un progetto non solo migliora processi specifi-ci ma aumenta anche il grado di collaborazione di ciascun membro al progetto. La collaborazione di-venta particolarmente importante

quando viene stipulato il contratto circa il livello di variazione nel processo di consegna del progetto poiché fornisce un certo controllo sulla risoluzione di eventuali pro-blemi e la collaterale attribuzione delle responsabilità. La commit-tenza ed il team devono prestare particolare attenzione alla stesura dei requisiti contrattuali BIM in quanto questi guideranno le azioni di ogni membro associato. Di seguito sono state elencate le aree che devono essere considera-te ed incluse nei contratti: modello di sviluppo e attribu-

zione delle responsabilità per le parti coinvolte;

Affidabilità e condivisione del modello;

Interoperabilità e formato files; Model Management; diritti di proprietà intellettuale; requisiti per l'esecuzione di

BIM Nella progettazione BIM possono essere utilizzati anche dei contrat-ti tipo a patto che si modifichi il contenuto da includere menzio-nando gli elementi mancanti ne-cessari. Ci sono diversi addendum contrattuali o forme di contratto modificate che affrontano l'attua-zione della BIM per un progetto. Nel piano di esecuzione del pro-getto BIM deve essere specificata-mente menzionata e visibile a tut-ti i partecipanti al progetto una

voce inerente il/i contratto/i svi-luppato/i per il progetto in modo che il team possa partecipare pie-namente al processo di pianifica-zione e di attuazione. I requisiti BIM dovrebbero essere incorporati nei contratti di consulenza di su-bappaltatori e fornitori. Ad esem-pio, il team può richiedere ad ogni subappaltatore di modellare la propria porzione di lavoro per coordinare la progettazione 3D, oppure può decidere di ricevere dai fornitori modelli 3D e dati per poi incorporarli nel modello di coordinamento e nei vari di record del progetto. Le modellazione ri-chieste da consulenti, subappalta-tori e fornitori devono essere chia-ramente definiti nell'ambito dei contratti, come: il campo di appli-cazione, il programma per la con-segna del modello ed i formati di file / dati per l’interoperabilità. Si ricordi che tutti i membri del team sono legalmente tenuti a comple-tare l'attuazione del progetto quando nel contratto sono presen-ti i requisiti BIM; in mancanza di questi nel contratto/i, sono neces-sari ulteriori passaggi per assicu-rare che il Piano BIM sia seguito da tutti i partecipanti al progetto. Continua

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Il menù TELECAMERA

D a questo menù dipendo-no molti parametri per settare la modalità di visualizzazione della

finestra di lavoro di SketchUp in base al tipo di lavoro che intendia-mo svolgere. Il menù è diviso in cinque sezioni funzionali di co-mandi di cui quattro intervengono direttamente sulle modalità di vi-

sualizzazione dell’area di lavoro, offrendo viste standardizzate e prospettiche, mentre una opera sullo sfondo del modello attraver-so un artificio grafico. SketchUp è nato come programma dedicato alla realizzazione di bozzetti velo-ci per l’architettura e l’arredamen-to e nel corso degli anni ha acqui-sito sempre nuove e più comples-se funzionalità attraverso i plugin sviluppati da utenti e software house. Tuttavia questa vocazione architettonica del programma sus-siste in tanti elementi funzionali

della GUI tra cui la possibilità di abbinare delle fotografie ai modelli sviluppati in modo da conferire maggiore realismo alla rappresen-tazione. Per rinfrescarvi la memo-ria con un esempio pratico di abbi-namento d’immagini con un mo-dello vi rimando all’articolo “Come elaborare un Video con SketchUp” di Antonello Buccella dello scorso numero III marzo 2015 reperibile sul nostro sito sociale nell’edicola/archivio della rivista. Continua

XIV puntata

di Salvio Gigl io

CORSO di BASE per SketchUp

Il menù Telecamera diviso in gruppi di comandi

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CORSO di BASE per SketchUp

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I l secondo comando della SAB-

BIERA che useremo in questa puntata è AGGIUNGI DETTAGLI, Fig.1.

Con esso avremo l'opportunità di suddividere ulteriormente in triangolazioni ogni singolo trian-golo del terreno precedentemente importato da Google Earth. L’utiliz-zo è davvero semplice: una volta entrati nel componente terreno (doppio clic sul componente rac-chiuso nella "gabbia" dai contorni blu) basterà cliccare sul comando AGGIUNGI DETTAGLI e portare il cur-sore sul punto preciso da suddivi-dere. Il risultato, Fig.2, è pratica-mente la sottodivisione dell'area in 3 triangoli aventi come baricen-tro il punto scelto. Basterà ora clic-care un'altra volta per "fissare" la suddivisione. Il doppio clic è im-portante, a meno che prima del

secondo clic, non si voglia decide-re di estrudere le triangolazioni appena ottenute in alto come in Fig.3 o verso il basso come in Fig.4. Questo comando è molto pratico e utile perchè, ripetuto più volte nei triangoli ricavati, ci consente di avere una suddivisione più detta-gliata e più facile da gestire nella modellazione tridimensionale e nell'adattamento del terreno al modello. Il comando PROIETTA ci permette di proiettare a terra il contorno di qualsiasi superficie, come per esempio "l'impronta" di un edifi-cio, di un pavimento o altro. Nell'e-sempio 3D adottato, per proiettare a terra la pavimentazione della piccola chiesa, Fig.5, basterà sele-zionare il comando PROIETTA e suc-cessivamente cliccare prima sulla superficie del pavimento, Fig.6, e poi a seguire sull'area del terreno sottostante, Fig.7. Il risultato, come già detto, è la proiezione del peri-

metro della chiesa sulla superficie del terreno. Ora possiamo decidere di nascondere (preferibile) o can-cellare quella superficie, Fig.8. So-lo adesso possiamo "riportare" in basso il Componente con all’inter-no il pavimento e il modello della chiesa stessa, Fig.9. Nelle due figure seguenti, si può notare la differenza tra la Fig.10 con l'interno della chiesa e la por-zione di terreno, non nascosta o cancellata, e la Fig.4, con l'interno senza la porzione di terreno. Infat-ti, nell'ultima figura, è evidente e ben visibile la texture della pavi-mentazione, che altrimenti sareb-be stata coperta dalla porzione di terreno inclinato.

II ed ultima parte

di Anto ne l lo B uc ce l la

Usare la SABBIERA

TUTORIAL: modellare i terreni con SketchUp

Fig. 1

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Fig. 7 Fig. 6

Fig. 3 Fig. 2

Fig. 5 Fig. 4

TUTORIAL: modellare i terreni con SketchUp

Fig. 8 Fig. 9

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TUTORIAL: modellare i terreni con SketchUp

Fig. 10

Fig. 11

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UMORISMO

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GIOCHI

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