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bambini: crescita e stupore 7 novembre 2017 1 BAMBINI: CRESCITA E STUPORE L’idea del tema di questa serata con voi mi è venuta questa estate, mentre, nel caldo torrido di agosto, sono andata in piscina all’aperto a Oggiono. L’organizzazione mandava in onda la musica di una radio. Ad un certo punto si è intromessa la pubblicità di un supermercato: il bambino tempesta la sua mamma di un'unica domanda “Perché? Perché? Perché?La mamma cerca di spiegargli le ragioni per cui il recarsi in quel negozio sia meglio… Tutto normale. Se non che, nella realtà non radiofonica, un papà, rivolgendosi alla compagna dice a voce alta “Ecco perché Filippo ci chiede sempre perchédi tutto… vorrà fare come questa pubblicità!” Vi assicuro, che nonostante il caldo, ho avuto un brivido di freddo lungo la schiena. Possibile che i pubblicitari dell’Eurospin conoscano meglio il funzionamento dei bambini di una coppia di genitori? Ed eccoci a noi. Quale vuole essere l’obiettivo di questa serata? Verificare la nostra conoscenza del bambino nella sua identità in crescita e nel suo reale normale (fisiologico) funzionamento. Vorrei ciò che avessimo l’opportunità di guardare la crescita di un bambino con un nuovo sguardo, con quello stupore che consente di accettare che le cose non stiano esattamente come le pensiamo, che ci sono luoghi comuni che vanno sfatati e nuove conoscenze scientifiche che avvallano nuove verità sul cucciolo d’uomo. Lo guarderemo da diversi punti di vista -in modo prospettico- nei modi tradizionali in cui si può vedere un essere umano: la sua dimensione corporea, quella mentale, quella affettivo-sessuale e quella spirituale.

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BAMBINI: CRESCITA E STUPORE

L’idea del tema di questa serata con voi mi è venuta questa estate, mentre, nel caldo torrido di agosto, sono andata in piscina all’aperto a Oggiono. L’organizzazione mandava in onda la musica di una radio. Ad un certo punto si è intromessa la pubblicità di un supermercato: il bambino tempesta la sua mamma di un'unica domanda “Perché? Perché? Perché?” La mamma cerca di spiegargli le ragioni per cui il recarsi in quel negozio sia meglio… Tutto normale. Se non che, nella realtà non radiofonica, un papà, rivolgendosi alla compagna dice a voce alta “Ecco perché Filippo ci chiede sempre “perché” di tutto… vorrà fare come questa pubblicità!” Vi assicuro, che nonostante il caldo, ho avuto un brivido di freddo lungo la schiena. Possibile che i pubblicitari dell’Eurospin conoscano meglio il funzionamento dei bambini di una coppia di genitori? Ed eccoci a noi. Quale vuole essere l’obiettivo di questa serata? Verificare la nostra conoscenza del bambino nella sua identità in crescita e nel suo reale normale (fisiologico) funzionamento. Vorrei ciò che avessimo l’opportunità di guardare la crescita di un bambino con un nuovo sguardo, con quello stupore che consente di accettare che le cose non stiano esattamente come le pensiamo, che ci sono luoghi comuni che vanno sfatati e nuove conoscenze scientifiche che avvallano nuove verità sul cucciolo d’uomo. Lo guarderemo da diversi punti di vista -in modo prospettico- nei modi tradizionali in cui si può vedere un essere umano: la sua dimensione corporea, quella mentale, quella affettivo-sessuale e quella spirituale.

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Come si presenta e come si sviluppa e cresce il CORPO di

un neonato?

Il bambino ha un corpo. Banale. Lo stupore è nella sua scoperta di averlo… Sì, perché lui non lo sa. Lo esplora continuamente perché quello è sia l’oggetto della conoscenza sia lo strumento di conoscenza del suo mondo fisico-materiale e affettivo-relazionale. E noi adulti lo sappiamo? Sappiamo che il bambino ha un corpo ben prima di venire al mondo: con le sue orecchie già sente la musica, con i suoi occhi vede delle ombre attraverso la pelle della pancia materna, il suo cuore già batte e la sua bocca potrebbe già succhiare il dito… l’invito allora è parlare al bambino, a offrirgli delle buone parole, a fargli sentire la carezza paterna. Quando nasce il bambino inizia a fare i conti con i limiti del suo corpo. La sorpresa è che all’inizio non sa di averli questi limiti: pensa che la sua figura materna sia il prolungamento di sé, che pertanto può agire per conseguire il soddisfacimento dei suoi bisogni da sé stesso (rapporto simbiotico fisiologico). All’inizio esiste solo l’io, non ancora il tu, cioè la diversità. Solo successivamente riconosce che ha bisogno dell’altro. Il bambino apprende tutto attraverso il corpo: ha bisogno di mettere in bocca, di usare le mani, di esplorare ogni spazio, di schiacciare e sbattere, di fare rumore e vedere tutto… Lo sanno bene le educatrici dei Nidi e le maestre della Scuola dell’Infanzia: vi chiedono di vestire i bambini in

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modo funzionale alle esplorazioni perché sanno che nulla vale per un bambino come l’esperienza corporea. Il sapere gli passa prima tra le mani e poi gli arriva al cervello! Ecco perché le troppe spiegazioni verbali ai bambini danno noia: non è il loro codice immediato di comprensione del mondo. Certamente serve, deve accompagnare… ma che ingenuità in quei genitori che dicono al bambino di 2 o 3 anni “Ma cosa hai fatto! Te l’avevo detto che non avresti dovuto farlo!?!” oppure “Stai tranquillo, la mamma torna tra poco, o torna tra un’ora!”: questa frase per il bambino non significa nulla. Meglio “Mamma torna dopo che tu hai giocato un pochino a Scuola, sei andato in bagno e hai mangiato con i tuoi compagni”. Ha bisogno di collocare dentro un esperienza, un agire, non nel pensiero che in lui ancora è acerbo. Il bambino necessita di utilizzare il suo corpo per conoscere se stesso e il mondo:

☆ lo usa in modo privilegiato per esprimere l’amore che nutre verso le sue persone care con baci, abbracci, ricerca di vicinanza, desiderio di stare in braccio…

☆ lo usa per giocare, che è il suo lavoro quotidiano. Difficile credere che possa trovare appagamento nel mondo virtuale, quando ha bisogno dell’esperienza corporea per capire. Non si vuole esorcizzare l’uso della televisione e dei giochi al tablet, tuttavia questi strumenti non possono in alcun modo sostituirsi al concreto.

Come funziona la sua MENTE?

La nostra mente cresce per tappe inevitabili (pertanto nessun essere umano può prescindere da esse) e invarianti nella loro sequenza (cioè nessun passaggio può essere omesso e la loro successione non può essere modificata). Se vi fosse capitato di parlare con un bambino di 4 o 5 anni, avrete senza dubbio potuto constatare che il vostro interlocutore considera come unica realtà esistente quella

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materiale, concreta, spesso visibile ai suoi occhi in quel momento o di cui ha recentemente fatto esperienza. Questa caratteristica del pensiero infantile, detta REALISMO, persiste fino ai 6 anni di età. Perché allora fingere che avete a che fare con una persona che riesce a ragionare in termini astratti, a fare congetture, a considerare il tempo come una realtà misurabile oggettivamente? Se la vostra chiacchierata con quel bambino di 4-5 anni continuasse, da lì a poco emergerebbe in modo evidente la sua tendenza a considerare il suo punto di vista come l’unico possibile, dal momento che ancora non esistono per lui altri modi di intendere e interpretare la realtà, di conoscere e di vivere. Questa caratteristica del pensiero infantile è detta EGOCENTRISMO intellettuale (da distinguersi dalla forma di “egocentrismo assoluto” tipico del neonato che attestava una completa indifferenziazione tra sé e la realtà circostante). Spiegare esperimento piagetiano delle tre altezze. Inutile insistere in modo stizzito o forzare il discorso: concediamo a questo bambino di essere rispettato nel suo passaggio di crescita cognitiva. Non è che non vuole. Non sta facendo i capricci, non è egoista (figuriamoci!): semplicemente non può! Per lui il tempo è il suo tempo, lo spazio è il suo spazio, i bisogni sono i suoi bisogni… Di diretta appartenenza al pensiero egocentrico sono inoltre (seguono alcune delle tendenze di pensiero infantile):

il pensiero IRREVERSIBILE I bambini fino ai 6 anni faticano a tenere a mente due o più caratteristiche di conservazione degli oggetti contemporaneamente: la comprensione del fatto che gli oggetti possiedono delle proprietà “sostanziali”, che restano invariate anche se muta la loro apparenza percettiva, è basilare sia per la conoscenza di senso comune sia per quella scientifica. La reversibilità del pensiero si acquisisce

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con modalità di pensiero complesse, in cui vengono organizzate più azioni mentali contemporaneamente. Esperimento delle 2 linee e la richiesta del “meno alto”. Inutile allora ai bambini dare più consegne contemporaneamente o in sequenza veloce: vai in stanza, prendi il cuscino e il pigiama e tona qui”. Il rischio è che vada in stanza, prenda il cuscino e “dimentichi” il resto. Ma è stata la nostra richiesta sbagliata, non lui distratto o superficiale o affrettato….

il pensiero ANIMISTA I bambini inizialmente attribuiscono “vita” sia ad oggetti animati sia a quelli inanimati: pertanto tendono ad attribuire agli oggetti inanimati proprietà che sperimentano in se stessi e che in realtà sono tipiche solo dei viventi. In questa fase evolutiva pertanto anche un sasso, una montagna, un albero hanno coscienza e volontà; non è raro che un bambino possa assegnare un carattere di personalità ad un essere inanimato, gli attribuisca desideri e emozioni, gli conferisca un’intenzione e un intento volontaristico.

il pensiero MAGICO La strategia di pensiero definita dallo stesso Piaget “magismo” è di diretta conseguenza dell’egocentrismo e del realismo infantili: attraverso di essa il bambino pensa di poter influenzare la realtà con la magia. Egli crede di poter fare dei rapporti di partecipazione al fine di modificare la realtà, stabilisce cioè dei rapporti fra due esseri o due fenomeni pur non esistendoci fra loro né un contatto spaziale né un legame causale intellegibile. Alle volte i bambini credono che la neve voglia cadere dal cielo (animismo) o che attraverso la sua volontà lui possa far nevicare sulla montagna dove si trova in vacanza con i genitori (pensiero magico). Questo pensiero non ci disturba granché, tant’è che lo alimentiamo e ce lo teniamo anche noi grandi, in un angolino remoto (e spesso negato agi altri): esempio del

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cero acceso in chiesa per far andar bene un esame universitario o un colloquio di lavoro.

Quali sono le EMOZIONI di un bambino che cresce?

Le emozioni, reazioni estemporanee e superficiali che fanno avvicinare o allontanare da una situazione, consentono al bambino di raccontare del proprio mondo interiore: è la gioia di fronte alla vista della mamma, è la rabbia scaturita dal compagno della Scuola dell’Infanzia che strappa dalla sue mani un gioco, è la tristezza del non essere preso sul serio, è il disgusto di fronte ai piselli, è la paura dello sconosciuto a 9 mesi, dei ragni a 3 anni e del buio a 5 anni, è la sorpresa di una visita inattesa… Niente è così normale e spontaneo delle emozioni. Non esistono pertanto emozioni positive ed emozioni negative: ci sono piuttosto emozioni adeguate al contesto e altre inadeguate al contesto (esempi). Possiamo pensare che ogni bambino abbia le sue specifiche emozioni, in realtà ci sono alcune emozioni che sono universalmente presenti in ogni neonato (gioia, rabbia, tristezza, disgusto, paura, sorpresa). Certamente ciò che contraddistingue e rende unico il bambino è il suo specifico modo di esprimere le sue emozioni. All’inizio sembrano indifferenziate, poi, solo dopo pochi giorni, un orecchio e uno sguardo attenti, iniziano a differenziare il pianto per la fame da quello dovuto alle colichette, iniziano a cogliere la diversità tra la stizza per un disappunto e quella per un malessere… Li avete visti vero quei genitori alla Scuola dell’Infanzia che chiedono ai loro figli di 3 anni di non piangere di fronte al saluto mattutino… Ma che piangano! Che esprimano il disappunto e, perché no, il dolore, del distacco! Sono poi gli stessi genitori che magari, di fronte al pianto dello stesso bambino, questa volta invece meno giustificato, lo

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asseconda nell’acquisto di dolci/giocattoli o nella richiesta di guardare la TV ad oltranza… Sto pensando ai genitori dei bambini di terza elementare che corrono all’acquisto di cellulari per i propri figli, perché messi da loro sotto pressione con arrabbiature e scontri: c’è da chiedersi di cosa hanno paura questi genitori… Il primo atteggiamento che il bambino manifesta nella sua relazione è la FIDUCIA: il bambino che nasce è immediatamente capace di affidamento, riconoscendo inconsapevolmente che l’altro (la figura materna, non necessariamente la madre) è per lui fonte di vita, sostentamento, cura. Senza questo “altro da sé” il bambino non potrebbe continuare a vivere. Il bambino identifica in modo immediato la sua sopravvivenza alla presenza costante di qualcuno fuori da sé che lo accompagna e accudisce, garantendogli il nutrimento, la pulizia, la guarigione, gli oggetti desiderati… A questa figura egli è legato inizialmente in modo indistinto (simbiotico); con la crescita riesce a differenziarsi da essa, come persona materiale distaccata, pur mantenendo un forte e non replicabile attaccamento, dapprima richiedendone la presenza fisica costante come base di appoggio e sicurezza e poi, con il “debutto in società“ (quando fa il suo ingresso nella Scuola dell’Infanzia), avendone la certezza cognitiva nella testa e affettiva nel cuore, può allontanandosi per brevi periodi di tempo, poiché riesce a mantenere in memoria l’immagine dell’oggetto amato. Se lo stile di attaccamento alla figura materna è sicuro (garantisce cioè una relazione costante e coerente), il bambino può sopportare il distacco e, pur continuando a desiderarne la vicinanza, riesce a tollerare che la figura sia parzialmente sostituita da altre; viceversa se l’attaccamento risulta evitante, ambivalente o disorganizzato, il bambino può sviluppare stati d’ansia all’allontanamento, avere e manifestare sentimenti ambigui di ricerca e

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contemporaneamente di rifiuto dell’oggetto amato, oppure non mostrare affatto tristezza al momento del distacco e non essere felice al ricongiungimento… Crescendo, la fiducia di base riposta nel bambino determina il grado di stima che egli avrà di se stesso. Più il bambino sente di essere ben voluto, amato, desiderato, più egli svilupperà un senso di sicurezza verso se stesso e verso gli altri, maturerà la disponibilità all’apertura al mondo e agli altri. Narrazione di quanto accaduto negli ospedali con gli orfani della prima guerra mondiale. Come intuisce e comprende Dio? Quali sono le caratteristiche della sua SPIRITUALITÀ? I bambini sanno, in campo religioso, cose che nessuno ha detto loro. I bambini sono capaci di relazionarsi con il trascendente, di cui hanno una visione grezza e antropomorfica: tale concezione dipende strettamente da schemi di pensiero e da relazioni affettive perlopiù mutuate dalle sue relazioni primarie e parentali. Quando allora si avvicina il bambino a Dio, non si va contro la sua natura o il suo interesse, non lo si forza in qualcosa che gli è estraneo, non lo si indirizza verso un aspetto della vita che gli è lontano o di scarso coinvolgimento. Al contrario il bambino è molto interessato al trascendente, rivolge spesso domande e si fa via via idee chiare e dinamiche su di esso, comunica con lo spirituale col quale si sente in relazione. Pongono domande in modo del tutto spontaneo e naturale, si interrogano in modo serio e puntuale dimostrando vivace curiosità nella ricerca del senso e del significato delle cose, delle relazioni tra esseri umani e tra loro e il creato, della causa di accadimenti naturali e artificiali… Questa ricerca di senso (cioè della direzione) e di significato (cioè del valore) di quanto li circonda non è

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ancorato in modo infecondo alla razionalità cognitiva, anzi si apre alla spiritualità secondo sistemi autentici e trasparenti, senza tradire ciò che la sua stessa natura di essere umano gli ha offerto come strumenti potenziali di conoscenza. Ci sembra rilevante sottolineare come il bambino non si accontenti di risposte superficiali o effimere: anche quando ne dà l’impressione, ritorna al suo quesito nei giorni successivi, pone le medesime domande attendendo e chiedendo con insistenza risposte che corrispondano in modo via via più coerente con quanto sta sperimentando o con quanto era precedentemente di sua conoscenza. Il bambino collega le informazioni, le rielabora secondo le strategie cognitive di cui è dotato nella sua specifica fase evolutiva, le struttura spesso in modo originale; poi può chiedere conferma, fare nuove supposizioni, dar vita a ipotesi singolari… spesso più vicine al vero di quanto si possa immaginare! Certamente il senso religioso che accompagna precocemente il bambino è sottoposto e influenzato da fattori che incidono sul suo sviluppo.

Lo sviluppo del senso religioso del bambino non tradisce la natura dell’uomo, ma la rispetta appieno: pertanto per comprendere come esso avvenga si rende necessario venire a conoscenza di quali siano i meccanismi del funzionamento mentale del bambino. Fino a quando le figure di riferimento genitoriali sono investite di caratteristiche divine, esse hanno il potere di fabbricare ogni cosa: i laghi sono stati scavati con le ruspe, le montagne sono state realizzate ammucchiando tanta terra, il sole è stato acceso con il fuoco… Secondo il pensiero del bambino, nel loro costruire i genitori “fanno per…”, cioè danno vita alle cose con una finalità precisa che intercetta le necessità dell’uomo stesso: il sole “è fatto per” scaldare, la notte “è fatta per” dormire, il fuoco “è fatto per” bruciare…

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Dai 3 ai 5 anni l’artificialismo umano (la tendenza a credere che sia l’uomo ad aver costruito il mondo) e l’artificialismo divino (la tendenza a credere che sia stato Dio a fabbricare il mondo) coesistono a motivo del fatto che agli adulti il bambino attribuisce caratteristiche divine e che intuisce Dio con le sembianze umane. Dai 6 agli 8 anni il bambino riesce a comprendere con maggior facilità la nozione di Dio creatore, ma è solo dai 9 anni che assimila del tutto che Dio ha creato dal nulla, non ha semplicemente costruito o assemblato. Con ciò non si vuole dire che non sia opportuno intraprendere con i bambini anche più piccoli il discorso inerente la creazione del mondo narrata nel libro della Genesi: ciascuno di essi riformulerà via via le proprie convinzioni sulla base di quanto aveva precedentemente immagazzinato, integrando le nozioni scientifiche con quelle teologiche. ANTROPOPMORFISMO Abbiamo finora evidenziato come il bambino tragga dalla sua specifica esperienza una personale concezione del mondo e delle cose. Lo fa ponendosi al centro dell’esperienza (egocentrismo), assegnando ad esseri inanimati le sue stesse caratteristiche di pensiero ed intenzioni (animismo), credendo di poter agire in modo attivo nella trasformazione di situazioni ed eventi sui quali in realtà non ha alcun controllo (magismo). Ecco allora che quando inizia a rappresentarsi Dio, lo immagina secondo schemi a lui noti, cioè con sembianze umane. Molto spesso Dio è immaginato come un uomo grande, a volte un po’ vecchio, sicuramente saggio, che vive in Cielo da cui vede tutto, sta seduto su un trono e da lì impartisce comandi che poi si realizzano sulla terra. Dio è anche “buono come il mio nonno Pepi” (Massimo, 4 anni e mezzo), è alto come un grattacielo (Francesca, 5 anni), è “colorato come un arcobaleno” (Aurora, 4 anni e mezzo), è forte come il mio papà (Matteo, 5 anni e mezzo), è gentile

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come la mia amica Beatrice (Maddalena, 4 anni). “ Dio è buono, gentile, non si vede, ha la testa, gli occhi, i muscoli, il collo, le braccia, i diti (!). Lui sta in Cielo, ma anche in Terra e in chiesa, dentro una porticina piccola tutta d’oro. Lui cura tutte le persone quando è in Cielo però anche mangia, dorme, parla…” (Massimo, 5 anni) Le immagini antropomorfiche non devono affatto spaventarci o imbarazzarci per la loro “umanità” e genuinità; al contrario esse ci offrono ottimi e validi spunti per conoscere meglio questo Dio che non disdegna di essere narrato e tenuto nel cuore come “uno di noi”. Ne sono prova forte le immagini appassionate e vive dei Salmi dove troviamo cantate la bontà di Dio verso il suo popolo, la sua Altezza nei Cieli, la sua fantasia nella creazione, la sua forza dirompente verso i nemici, la sua tenerezza verso ciascuno dei suoi figli, la sua amabilità verso i più deboli. Gesù invece è immaginato come un bambino, simile a lui, con i suoi stessi bisogni, che sa parlare e giocare, che ha una mamma e un papà a cui vuole bene. L’immagine di Gesù adulto è spesso associata a quella dell’uomo dei miracoli e alla esperienza della croce; il bambino si domanda se anche Gesù abbia avuto degli amici, come trascorreva le giornate, se ogni tanto era triste o si arrabbiava… Certo diventa molto complesso per un bambino comprendere le realtà della Trinità, dello Spirito Santo, di Gesù vero uomo e vero Dio: tuttavia cercare parole semplici per introdurre a questi Misteri lo aiuta ad assimilare nuove conoscenze e ad accomodarle sui concetti a lui già noti. La conoscenza di Dio avviene primariamente all’interno delle relazioni umane. Anche verso Dio il bambino manifesta una spontanea fiducia che lo rende capace di accettare di dipendere, di essere accudito, di lasciarsi accompagnare. Il bambino costruisce il suo rapporto con Dio sulla basa della sua

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esperienza diretta nella relazione con la figura materna: davanti a Dio proverà sentimenti di fiducia, serenità, attenzione e cura, lascerà entrare Dio nella sua vita con piena accoglienza e fiducia incondizionata, a motivo della sua certa relazione con la figura primaria di attaccamento. Più il legame con quest’ultima è buono, più la possibilità di incontrare la Verità di Dio si fa grande. Nei casi in cui, al contrario, l’attaccamento è ambiguo o trascurante, anche la relazione con Dio potrebbe avere degli impedimenti: il bambino che non fa esperienza dell’autenticità, del dono incondizionato, della genuinità, della tenerezza non affettata, della forza che lo orienta, della tenacia che lo sostiene, del limite che lo protegge, può sviluppare insane paure verso ciò che sarebbe invece alla sua portata o non tollerare che un elemento esterno da sé lo diriga, potrebbe non riuscire a fidarsi in modo totale e ad “abbandonarsi”, temendo che ad un certo punto l’amore verrà meno, gli si volterà le spalle, verrà lasciato da solo ad affrontare un pericolo… Dio allora è Uno a cui appellarsi nei momenti di difficoltà, ma non si è certi che verrà in soccorso, a Lui ci si potrebbe sottomettere per paura oppure dimenticarsi della Sua presenza perché in qualche modo si crede di poter fare da soli. Dio diventa un accessorio, come la figura materna è stata o ha trattato.

Il bambino, attento e ingenuo partecipe della vita, pone il suo sguardo sulle cose e sulle persone carico di STUPORE: vede la bellezza, gusta le cose semplici, esulta per le piccolezze. La novità di ogni cosa lo fa essere meravigliato di come la realtà sia ben costruita, di come la natura nella sua trasformazione perpetua porti a compimento opere incantevoli, di come alcune condizioni di vita offrano sicurezza, piacere, conforto, di come ogni giorno mandi una sorpresa. Anche verso Dio il bambino rimane stupito: a lui attribuisce grandezza e forza, capacità di creare in modo straordinario, potere di essere in ogni luogo e di vedere “oltre i muri”

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(Federico, 5 anni e mezzo), di stare dentro i cuori, ma anche “nell’armadio della stanza da letto della nonna” (Camilla, 4 anni).

dott.ssa Stefania Cagliani