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ATTUALITA’ DELLA DICHIARAZIONE CONCILIARE SULLA EDUCAZIONE CRISTIANA A 50 ANNI DALLA PROMULGAZIONE Relazione tenuta dal Padre Giuseppe Turrin SDB, Assistente Ecclesiastico Naz. della Confederex, al Convegno di Padova 12.12.15 La ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell’emanazione della Dichiarazione sull’educazione cristiana “Gravissimum Educationis”, avvenuta il 28 0ttobre 1965, ci suggerisce di rileggere il testo conciliare, raccogliendone il prezioso insegnamento, e traendone uno spunto per il contesto nel quale oggi ci troviamo a vivere e operare. L’occasione di “rivisitare” i documenti del Concilio Vaticano II°, anche se limitatamente a quello che è oggetto della nostra odierna attenzione, deve servire a rivivere quell’atmosfera che ha caratterizzato il tempo del Concilio che è stato definito “una nuova primavera” della Chiesa. Sappiamo che quello spirito fu come il “vento impetuoso” di una “nuova Pentecoste” che, come nella prima Pentecoste nel cenacolo, si diffuse e riempì tutta la Chiesa, che cominciò ad uscire per parlare al mondo intero, con un linguaggio e uno stile nuovi, e fare propri, facendosene carico, i problemi di una umanità dispersa e divisa. L’Educazione, problema che interroga tutti Ora, uno dei problemi che hanno sempre assillato e preoccupato la società in tutti i tempi, è stato quello che si riferisce all’educazione, che è la via attraverso la quale arrivare alla formazione integrale della persona umana. Quindi la Chiesa, dal momento in cui si accingeva a fare una riflessione sul suo rapportarsi con l’umanità, non poteva non prendere in considerazione questo

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ATTUALITA’ DELLA DICHIARAZIONE CONCILIARE SULLA EDUCAZIONE CRISTIANA A

50 ANNI DALLA PROMULGAZIONE

Relazione tenuta dal Padre Giuseppe Turrin SDB, Assistente Ecclesiastico Naz. della Confederex, al

Convegno di Padova 12.12.15

La ricorrenza del cinquantesimo anniversario

dell’emanazione della Dichiarazione sull’educazione cristiana “Gravissimum

Educationis”, avvenuta il 28 0ttobre 1965, ci suggerisce di rileggere il testo

conciliare, raccogliendone il prezioso insegnamento, e traendone uno spunto

per il contesto nel quale oggi ci troviamo a vivere e operare.

L’occasione di “rivisitare” i documenti del Concilio Vaticano II°, anche se

limitatamente a quello che è oggetto della nostra odierna attenzione, deve

servire a rivivere quell’atmosfera che ha caratterizzato il tempo del Concilio

che è stato definito “una nuova primavera” della Chiesa. Sappiamo che quello

spirito fu come il “vento impetuoso” di una “nuova Pentecoste” che, come nella

prima Pentecoste nel cenacolo, si diffuse e riempì tutta la Chiesa, che cominciò

ad uscire per parlare al mondo intero, con un linguaggio e uno stile nuovi, e

fare propri, facendosene carico, i problemi di una umanità dispersa e divisa.

L’Educazione, problema che interroga tutti

Ora, uno dei problemi che hanno sempre assillato e preoccupato la società in

tutti i tempi, è stato quello che si riferisce all’educazione, che è la via

attraverso la quale arrivare alla formazione integrale della persona umana.

Quindi la Chiesa, dal momento in cui si accingeva a fare una riflessione sul suo

rapportarsi con l’umanità, non poteva non prendere in considerazione questo

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aspetto dell’educazione, nella sua accezione specifica ma anche in quella più

ampia, comprensiva quindi degli strumenti con cui si esplica e cioè

dell’istruzione che si comunica tramite l’insegnamento, e perciò anche della

scuola nelle sue varie forme e diversificazioni per la trasmissione del sapere.

Lo svolgimento del Concilio rappresenta quindi un passaggio pastorale

importante anche nel campo dell’educazione. Questo straordinario evento della

Chiesa manifestò un intrinseco potenziale educativo racchiuso non solo nei

documenti espressamente dedicati alle questioni educative, ma più

ampiamente nel corpo globale del Concilio , nell’insieme del suo insegnamento

e dello spirito che lo animò.

La “Gravissimum Educationis”: documento aperto al mondo

Frutto di questa riflessione è il documento chiamato “Gravissimum

educationis”, una “dichiarazione” sull’urgenza di affrontare il problema della

educazione. Il titolo stesso “gravissimum”, fa emergere il forte rilievo

dell’argomento trattato e sottolinea, come si legge nel Proemio, “ l’estrema

importanza dell’educazione nella vita dell’uomo, e la sua incidenza sempre più

grande nel progresso sociale contemporaneo”. Per questo, recita sempre il

proemio, “dappertutto sorgono iniziative atte a promuovere sempre più

l’attività educativa; si definiscono e si pubblicano con documenti solenni i diritti

fondamentali, in ordine all’educazione degli uomini, ed in particolare dei

fanciulli; si moltiplicano e si sviluppano le scuole, si fondano istituti di

educazione, si perfezionano i metodi educativi e didattici, e si fanno sforzi

davvero grandiosi per educare e istruire tutti gli uomini”. Di fronte a tutto

questo movimento e al sorgere di tante iniziative per lo sviluppo

dell’educazione, il Concilio intende trattare con cura e sottoporre all’attenzione

di tutti, il tema dell’educazione, che ha un’importanza capitale per il singolo,

nonché forti ricadute sull’insieme della società e del suo sviluppo. Per cui in

continuità con tutto il magistero della Chiesa su questa materia, il Concilio ha

voluto affrontare questo argomento per arrivare a stillare un documento che

prendesse in considerazione il tema dell’educazione, la sua importanza e la

necessità in un contesto sociale e culturale, completamente cambiato.

Origine di questo documento

A questo proposito dobbiamo fare un breve cenno sulla genesi del

documento che fu tra i più discussi e anche tormentati nella fase preparatoria,

nella fase dialettica, fino alla sua approvazione che avvenne alla conclusione

del Concilio stesso, e questo per la complessità e la vastità del tema, per la

diversità e la molteplicità di interpretazioni e di realizzazioni del fenomeno

educativo nelle varie regioni del mondo. Si trattava infatti, per i Padri conciliari,

di offrire una sintesi sul delicato tema dell’educazione e, più in specifico, su

quello dell’educazione cristiana, dando indicazioni su come intenderla alla luce

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del rapporto tra la Chiesa e il mondo, tracciato sulle nuove coordinate del

Concilio stesso.

Ecco perché nel documento vengono indicati solo “alcuni principi

fondamentali intorno all’educazione cristiana soprattutto nelle scuole”, e viene

demandato “ad una speciale Commissione post-conciliare di sviluppare e alle

Conferenze episcopali di applicare, questi principi alle diverse situazioni locali”.

Nel suo insieme il documento appare come una mirabile sintesi del pensiero

della Chiesa sui problemi più urgenti e vitali che investono l’educazione in un

saggio e misurato equilibrio di precisazioni dottrinali, di applicazioni realistiche

e di aperture apostoliche. Ma per essere meglio compresa nella sua peculiarità

va collegata con il magistero pontificio su questa materia, a partire già da

Benedetto XV° e poi di Pio XII°, ma deve essere messa a confronto

soprattutto con l’Enciclica ”Divini illius Magistri” del 1929, di Papa Pio XI°,

sulla cristiana educazione della gioventù . Si tratta di due documenti

fondamentali del Magistero della Chiesa, entrambi costituiscono il punto di

partenza di ogni progetto educativo cristiano proposto al mondo. Tra di essi

sussiste un rapporto di continuità, ma anche di sviluppo e di crescita. Infatti le

risposte che essi offrono ai concreti problemi educativi posti dal loro tempo,

sono da leggersi nella prospettiva storica e culturale che ne specifica la portata

e il significato preciso.

La DIM infatti ha come prospettiva fondamentale l’educazione cristiana dei

giovani in un contesto storico in cui una delle grandi e tradizionali istituzioni

preposte all’educazione, cioè lo Stato, aveva assunto in taluni paesi, Italia

compresa, forme gravemente prevaricatrici in senso autoritario, assolutista e

antireligioso, contro cui occorreva alzare la voce con coraggio e forza.

Nella Dichiarazione conciliare invece si respira un’aria nuova, perché lo

svolgimento del Concilio rappresenta un passaggio importante anche nel

campo dell’educazione cristiana. La posizione non è più difensiva e di sospetto

ma è impostata con uno stile dialogico con il quale la Chiesa porge il

messaggio cristiano al mondo contemporaneo, alla sua cultura e alle sue

istituzioni. La Gravissimum educationis assume dunque i principi fondamentali

della DIM, applicandoli tuttavia al nuovo contesto socio-culturale che ha

animato tutto il Concilio e che ha trovato la sua espressione più eloquente e

significativa soprattutto nella costituzione pastorale “Gaudium et spes”.

L’Educazione come “diritto” inalienabile

In questo Documento che è oggetto del ns. studio, notiamo subito che

l’attraversa; si apre infatti con una affermazione che dà il quadro di tutta la

questione:

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“Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro

dignità di persone hanno il diritto inalienabile ad una educazione, che risponda

allo loro vocazione propria e sia conforme al loro temperamento, alla differenza

di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, e insieme aperta ad una

fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la

vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere la formazione

della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari

gruppi di cui l’uomo è membro e in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da

svolgere” (GE. n. 1).

Ora, proprio nel primo numero, la Gravissimum educationis afferma, ed è

uno dei punti più importanti del testo, il diritto ad essere educato, diritto del

quale ogni uomo è portatore. Ogni essere umano di qualunque età, razza o

estrazione porta in sé il diritto inalienabile a ricevere una giusta educazione.

Inalienabile, cioè legato all’essere stesso della persona, quindi incancellabile:

perché senza educazione, la vita fisica non basta per diventare uomini o

donne. L’educazione, sottolinea con forza la Dichiarazione, deve facilitare la

risposta di ognuno alla propria vocazione, secondo il temperamento e la cultura

propri di ciascun individuo.

Osserviamo quanta sapienza c’è in queste parole che testimoniano l’alta

considerazione della libertà della persona da parte della Chiesa! Ognuno,

dunque, quando nasce , è portatore del diritto ad essere educato in modo

conforme alle sue caratteristiche personali e la sua specifica vocazione, alla

quale quindi deve essere aiutato a rispondere, e prima a scoprirla.

L’educazione, allora, sebbene faccia tesoro di valori che non inventa, ma

riceve, non omologa gli individui in un unico modello; al contrario, orienta alla

personalizzazione e favorisce il cammino proprio di ognuno E’ un compito

davvero arduo, ma affascinante, che ogni educatore dovrebbe meditare, anche

aiutato dalle parole di questo documento che ha 50 anni, ma che è ancora così

ricco di insegnamenti.

Proseguendo l’analisi del n 1° della Dichiarazione, troviamo un riferimento

specifico ai primi destinatari dell’opera educativa, che sono “i fanciulli e agli

adolescenti” , che devono “essere aiutati a sviluppare armonicamente le loro

capacità fisiche, morali, intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo

senso di responsabilità nell’elevazione ordinata ed incessantemente attiva della

propria vita e nella ricerca della vera libertà, superando con coraggio e

perseveranza tutti gli ostacoli”. Viene affermato che “devono ricevere, man

mano che cresce la loro età, una positiva e prudente educazione sessuale;

essere avviati alla vita sociale e forniti dei mezzi adeguati per inserirsi nelle

diverse sfere dell’umana convivenza; siano disponibili al dialogo e

contribuiscano all’incremento del bene comune. Inoltre, “hanno il diritto di

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esser aiutati a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione

personale i valori morali, sia alla conoscenza approfondita ed all’amore di Dio.

Perciò chiede a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione, di

preoccuparsi e raccomanda perché mai la gioventù venga privata di questo

sacro diritto. Esorta poi i figli della Chiesa a lavorare generosamente in tutto il

campo educativo, al fine specialmente di una più rapida estensione dei grandi

benefici dell’educazione e dell’istruzione a tutti, in tutta quanta la terra”.

Chiesa conscia del suo dovere in campo educativo

Il tema è davvero fondamentale. Per questo la Chiesa, nella sua missione, si

pone al servizio di questo diritto universale, realizzando strutture e attività,

impegnando persone e risorse, per riconoscere, affermare e assicurare questo

diritto fondamentale ( la storia della Chiesa lo sta a testimoniare ).

Ne scaturisce una importante conseguenza: non si tratta di un’opera di

supplenza, legata all’emergenza, ma di un compito costitutivo legato alla

missione.

Perciò “la santa Madre Chiesa, nell’adempimento del mandato ricevuto dal

suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti

gli uomini e di edificare tutto in Cristo, ha il dovere di occuparsi dell’intera vita

dell’uomo, anche in quella terrena, in quanto connessa con la vocazione

soprannaturale; essa perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso

e allo sviluppo della educazione.” (GE. Proemio).

Primo dovere della Chiesa: l’Educazione “cristiana”

E’ perciò chiaro e naturale che la Chiesa concentri innanzitutto le sue

attenzioni sulla “educazione cristiana” perché questo è il suo compito primo e

la propone come un diritto dei battezzati e, di conseguenza, un dovere

irrinunciabile della comunità ecclesiale. E dice in modo preciso e concreto quale

tipo di educazione possa qualificarsi come “cristiana”. Infatti questa non

comporta solo il raggiungimento della maturità propria della persona umana,

di cui si è parlato più sopra, ma tende a far sì che i battezzati, iniziati

gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre

maggior coscienza del dono della fede che hanno ricevuto; si preparino quindi

a vivere la propria vita per raggiungere la statura della pienezza di Cristo e

diano il proprio apporto all’aumento del corpo mistico che è Chiesa. Inoltre

debbono addestrarsi a promuovere la elevazione in senso cristiano del mondo,

in modo che i valori naturali, inquadrati nella considerazione completa

dell’uomo redento da Cristo, giovino al bene di tutta la società”. E qui c’è una

esortazione ai pastori di anime perché sentano “ il dovere gravissimo di

provvedere a che tutti i fedeli ricevano questa educazione cristiana,

specialmente i giovani, che sono la speranza della Chiesa”.

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Il “nuovo” Umanesimo che caratterizza l’opera educativa

Qui mi permetto una breve parentesi per fare riferimento al recente

Convegno di Firenze che ha avuto come Tema “in Gesù Cristo il nuovo

umanesimo”, che richiama quanto detto sopra circa “i valori naturali che

trovano la loro completezza nella redenzione di Cristo”. Nella sua prolusione,

ampia e ricca di stimoli e proposte, mons. Nosiglia, presidente del Comitato

preparatorio del convegno stesso, diceva: “ La ricerca di nuove frontiere

dell’umano (e chi opera nel campo dell’educazione sa di quanta ricerca oggi ci

sia bisogno), illuminate dal Vangelo, aprono orizzonti di cambiamento vero e

profondo della vita e della missione della Chiesa e permette di avviare un

percorso educativo, personale e sociale che tende a una nuova generazione

dell’umano in Gesù Cristo. Il nuovo umanesimo ha le sue radici nell’esperienza

contagiosa di Gesù Cristo da vivere nella testimonianza in ogni ambito e

ambiente di vita”. E il Papa nel suo discorso con cui ha tracciato le direttrici

del convegno e quindi della chiesa che è in Italia, ha detto in merito a questo:

“Possiamo parlare dii umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù,

scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’uomo. Solo se riconosciamo

Gesù nella sua verità, sapremo guardare la verità della nostra condizione

umana e quindi dare il nostro contributo alla piena umanizzazione della

società”. E il card. Bagnasco, nella relazione finale, riproponendo queste

indicazioni del Santo Padre, affermava: “La ricostruzione dell’umano che la

Chiesa avverte come suo compito primario, è inscindibile dall’annuncio del

Vangelo”. Vediamo quindi come ci sia un sviluppo coerente nell’insegnamento

della Chiesa di oggi con quanto il Concilio aveva già indicato.

I mezzi per assicurare questa educazione cristiana

Una responsabilità così alta e un compito cos’ impegnativo sollecitano

l’indicazione e la elaborazione di strumentazioni adeguate. Con molto realismo

la Dichiarazione si pone la questione e ne suggerisce una prospettiva di

soluzione.

Al n. 4 si legge: “Nell’assolvere il suo compito educativo la Chiesa utilizza

tutti i mezzi idonei, ma si preoccupa soprattutto di quelli che sono i suoi mezzi

propri. Primo tra questi è l’istruzione catechetica”, e ne illustra,

sottolineandole, tutte le caratteristiche, evidenziandone i contenuti per la

formazione del buon cristiano. Nello stesso tempo, però, ”la Chiesa

valorizza e tende a penetrare del suo spirito gli altri mezzi che appartengono al

patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al

perfezionamento morale e alla formazione umana, quali gli strumenti di

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comunicazione sociale, le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le

associazioni giovanili”.

La priorità data all’istruzione catechetica nell’azione educativa, può apparire

limitata rispetto alla nostra attuale sensibilità; perciò il documento ricorda che

l’obiettivo globale a cui tende il compito educativo è sì la formazione della

persona in vista del suo inserimento nella società di cui l’uomo è membro, ma

non può prescindere dal fatto che l’uomo ha un suo fine ultimo e che quindi

l’istruzione catechetica può essere considerata come il “primo” tra i vari mezzi

al servizio dell’educazione, vista come maturazione piena di ogni persona.

I luoghi per l’educazione

La prospettiva concreta e operativa che caratterizza il documento porta verso

l’indicazione dei luoghi concreti al cui interno assolvere il compito educativo.

Il documento ci affida con forza la consapevolezza della responsabilità di una

gestione matura dei luoghi educativi tradizionali che sono: primo la famiglia,

poi la scuola e quindi la Chiesa. Ed è qui che cominciamo a notare una

significativa mutazione di accento nell’individuazione delle istituzioni a cui

spetta il diritto – dovere educativo. Nella DIM l’accento era posto prima di tutto

e soprattutto sulla Chiesa, per un diritto positivo e soprannaturale, seguiva la

famiglia, per diritto naturale alla procreazione ed infine lo Stato, in ordine al

bene comune.

Nella GE, pur nella stessa prospettiva di diritti-doveri, l’ordine cambia: prima

viene la Famiglia, per il diritto-dovere naturale, primario ed inalienabile; poi

quale aiuto alla famiglia, “ci sono determinati diritti e doveri che spettano alla

società civile, che deve disporre quanto è necessario al bene comune

temporale”; “infine, ad un titolo tutto speciale, il diritto di educare spetta alla

Chiesa”, sia, “come società umana capace di impartire l’educazione”, sia

“soprattutto perché essa ha il compito di annunciare a tutti gli uomini la via

della salvezza e offrire a tutti i popoli la sua opera per promuovere la

perfezione integrale della persona umana” (n.3).

La chiesa rispetta e valorizza la funzione educativa della scuola di

Stato

Ma la Chiesa del Concilio apre una prospettiva nuova sul problema della

scuola. Prendendo atto della sua enorme espansione in tutti i paesi, come

istituzione del potere civile per garantire a tutti i benefici dell’istruzione,

riconosce che la scuola rientra “tra quei mezzi, tra quegli strumenti educativi,

che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che è dunque una

istituzione civile, di cui lo Stato deve farsi carico. Si tratta di un riconoscimento

che evidenzia un progresso sulla via di un umanesimo che ha sempre le sue

radici nel messaggio cristiano. Va qui sottolineato che questo atteggiamento

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nei confronti dell’istruzione pubblica non è casuale, ma si colloca nella linea

delle scelte operate dal Concilio, che trovano la loro espressione più vistosa

nella Gaudium et Spes (nn. 54 e 55), nella Dignitatis humanae e nella Nostra

Aetate, e anche nel discorso che il Papa Beato Paolo VI° ha tenuto davanti

all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965, in cui si esprimeva

con queste parole: “La Chiesa loda e incoraggia quelle autorità civili, locali,

nazionali e internazionali che, consapevoli delle più urgenti necessità del nostro

tempo, spendono tutte le forze affinchè tutti i popoli possano divenire partecipi

di una più completa educazione e cultura umana”.

La stessa descrizione, o meglio definizione di scuola che il testo della GE dà

in nome della “sua missione”, cioè della sua intrinseca natura, è illuminante e

significativa: “La scuola riveste un’importanza particolare in forza della sua

missione, perché matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio,

mette a contatto con il patrimonio acquistato dalle passate generazioni,

promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un

rapporto di amicizia tra alunni di indole e condizione diversa. Essa inoltre

costituisce come un centro, alla cui attività, ed al cui progresso devono insieme

partecipare le famiglie, gli insegnanti, vari tipi di associazioni a finalità

culturali, civile e religiose, la società civile e tutta la comunità umana” (n. 5).

Qui troviamo presente una concezione “comunitaria” della scuola destinata ad

anticipare le nuova sensibilità del nostro tempo, quando ancora neppure si

pensava agli organi collegiali, alla partecipazione della società civile

nell’organizzazione dell’attività scolastica.

Di questo prendeva atto anche il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, che

nel messaggio inviato in occasione della commemorazione del 50° della GE

organizzato il 28 ottobre scorso, proprio nel giorno anniversario della sua

promulgazione, dalla “Rivista Lasalliana”, presso la Casa generalizia dei FF.lli

delle Scuole Cristiane a cui ha partecipato anche mons. Galantino, Segretario

generale della CEI che ha tenuto la relazione celebrativa, così si esprimeva:

“Da laica ho apprezzato l’ampiezza di prospettiva, la concretezza ed il rispetto

della specificità e dei luoghi ed ambiti educativi. Colpisce pensare che una

definizione così ”universale” sia stata scritta 50 anni fa in un contesto così

“particolare” e dimostra quanto sia importante il contributo che può venire in

ambito educativo dall’esperienza che nasce dal cattolicesimo”.

In questo orizzonte, non solo dunque i docenti cattolici possono esercitare la

loro azione didattica anche nella scuola di tutti, apprestata dallo Stato, ma il

loro servizio va considerato come una “meravigliosa e davvero importante

vocazione” (n. 5). Ed è in questa concezione di scuola che si colloca l’IRC,

perché la Chiesa è chiamata a “penetrare del suo spirito e ad elevare” questa

istituzione civile che ha un compito così importante. La Chiesa inoltre ha un

altro motivo per sostenere e valorizzare la scuola gestita dallo Stato, dovuto al

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fatto che è consapevole del dovere gravissimo di curare diligentemente

l’educazione morale e religiosa di tutti i suoi figli per cui deve rendersi

presente con un affetto speciale e con il suo aiuto ai moltissimi suoi figli, che

vengono educati nelle scuole non cattoliche, perché sia assicurata alle famiglie

la giusta libertà religiosa e l’educazione impartita corrisponda ai principi morali

e religiosi propri di quelle stesse famiglie (n.7).

LA SCUOLA CATTOLICA: diritto della Chiesa

Questa mutata concezione nei confronti della scuola “pubblica” promossa per

tutti dallo Stato, non esime però la Chiesa dal chiedere con estrema chiarezza

che le sia riconosciuto la libertà di promuovere “scuole cattoliche”, in cui oltre a

“le finalità culturali proprie della scuola, e alla formazione umana dei giovani”,

sia possibile “coordinare l’insegnamento della cultura umana con il messaggio

della salvezza; facendo cioè in modo che la cultura sia evangelizzata, cosicchè

la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via

acquistano, sia illuminata dalla fede” (n. 8). Compito della scuola “cattolica”

deve essere quello di saper unire alla formazione culturale quella umana ed

evangelica; deve avere “il volto di quel nuovo umanesimo” emerso dal

Convegno ecclesiale di Firenze. (Papa all’Agesc, sabato 5/12).

Dunque la presenza della Chiesa in campo scolastico si rivela in maniera

particolare nella scuola cattolica che ha come suo elemento caratteristico

quello di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito

evangelico di libertà e carità. Perciò la scuola cattolica conserva la sua somma

importanza anche nelle circostanze presenti. Pertanto il Concilio ribadisce e

ricorda che l’esercizio di un tale diritto moltissimo contribuisce anche alla tutela

della libertà di coscienza dei genitori come pure del progresso sociale” (n. 8).

Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la difesa della libertà dei cittadini, nel

rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni

pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole

per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza. Lo Stato deve

tutelare questo diritto “tenendo presente il principio della sussidiarietà ed

escludendo quindi ogni forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti

naturali della persona umana, allo sviluppo e alla diffusione della cultura, alla

pacifica convivenza dei cittadini e anche a quel pluralismo, quale oggi esiste in

moltissime società”. (n. 6). Per questo i Genitori, che sono i primi e principali

educatori dei loro figli debbono godere di una reale libertà nella scelta della

scuola; e questo è un loro diritto primario irrinunciabile.

La Scuola cattolica oggi: problemi e prospettive

Rileggendo questo testo scritto 50 anni fa e confrontandolo con la realtà di

oggi, scorgiamo il contrasto che esiste tra la maggioranza dei paesi europei e

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anche extra europei, in cui questi principi sono attuati in tutto o in parte, e la

situazione italiana in cui invece, si stenta ancora a prenderne atto o addirittura,

con motivazioni varie, sono negati. Ed è il punto dolente di questo problema

che rimane ancora irrisolto. La Nota Pastorale della CEI “La scuola Cattolica,

Risorsa educativa”, al punto 4: “per una cultura della parità e del pluralismo

scolastico” tratta ampiamente questo argomento, sviluppando quanto è

contenuto nel n. 6 del GE.

A questo proposito riporto, sintetizzando, quanto ha detto il prof. don

Francesco Macrì, presidente nazionale della Fidae fino a qualche settimana fa,

in occasione del Convegno organizzato dalla Rivista Lasalliana, a cui ho fatto

cenno più sopra: “La nuova Legge 107/2015 sulla cosiddetta “buona scuola”,

contiene degli elementi positivi, salvo che essi abbiano poi una effettiva

declinazione nei decreti attuativi. Ma c’è un limite sul quale non possiamo

tacere. C’è qualche riferimento alla scuola paritaria non statale e qualche

dispositivo a suo sostegno, ma tutto l’impianto della legge rispecchia una

visione statalista. Il sistema integrato, unico e unitario costituito dalla scuola

statale e paritaria (legge 62/ 2000), subisce un offuscamento, se non

addirittura un arretramento. La presenza della scuola paritaria è marginale, di

supplenza alla inadeguatezza dello Stato che è e rimane egemone. Mancano i

necessari “presupposti” perché possa svilupparsi un reale sistema integrato nel

quale venga eliminata ogni forma di “discriminazione”. In una parola, ancora

una volta questa legge è un’altra occasione perduta per la ns. scuola, perché i

suoi diritti e i suoi problemi vengono rinviati a data da definire. La stessa

detrazione fiscale (comma 151) per le spese sostenute dalle famiglie per

l’iscrizione e la frequenza, seppure lodevole su un piano di principio, risulta di

scarsissima portata per il basso tetto di riferimento (400 €) che per la famiglia

si traduce in un risparmio di 76 € appena. Non parliamo poi dei finanziamenti

pubblici e delle agevolazioni, per l’acquisto delle tecnologie digitali, per le

attività sportive, teatrali, ecc.. dai quali la ns. Scuola continua ad essere

esclusa, e delle ventilate, e non improbabili, imposizioni fiscali (IMU,TARI…) in

quanto paradossalmente la sua attività viene considerata commerciale…

Questa situazione costringe ogni anno numerose ns scuole a chiudere i

battenti… ne ha parlato anche il Papa nell’udienza all’Agesc, e diceva che

questo può portare allo scoraggiamento, ma insisteva: “nonostante tutto, la

differenza si fa con la qualità della vostra presenza e non con la quantità delle

risorse che si è in grado di mettere in campo”. Coniugare scarsità di risorse e

con la qualità dell’offerta, richiede una grande capacità di inventiva e un

sostegno morale e materiale da parte di tante componenti…sensibili al

problema. E’ una sfida tutt’altro che facile… Anche la

GE al n. 9 esorta i Pastori della Chiesa e i fedeli tutti a non risparmiare

sacrificio alcuno nell’aiutare le scuole cattoliche ad assolvere sempre il loro

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compito ed a venire incontro a coloro che non hanno mezzi economici o sono

privi dell’aiuto e dell’affetto della famiglia o sono lontani dal dono della fede. E

nello stesso numero viene detto che “la Chiesa ha sommamente a cuore anche

quelle scuole cattoliche che sono frequentate da alunni non cattolici”. Qui è già

delineato quell’idea di “inclusione” che è cara a Papa Francesco.

Il ruolo dei docenti nella scuola cattolica

Desidero evidenziare ancora un altro punto che la GE tratta, che è quello che

riguarda i docenti. Al n. 5 viene detto che è “meravigliosa e importante la

vocazione di quanti si assumono il compito di educare nelle scuole e che esige

speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una

capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento”, e al n. 8

leggiamo: “Gli insegnanti ricordino che dipende essenzialmente da essi, se la

scuola cattolica riesce a realizzare i suoi scopi e le sue iniziative. Essi dunque

devono prepararsi scrupolosamente per essere forniti della scienza sia profana

sia religiosa, ed essere esperti nell’arte pedagogica aggiornata con le scoperte

del progresso contemporaneo, collaborare con le famiglie, ecc… e dice che

l’insegnamento diventa un vero e autentico apostolato, necessario anche ai

nostri tempi”. Nel Convegno di Roma presso i FF.lli delle scuole cristiane, si è

insistito anche su un aspetto caratterizzante le scuole tenute da Religiosi e cioè

la formazione dei docenti “Laici” sul carisma dei Fondatori, che è una ricchezza

che va valorizzata e trasmessa. Si diventa docenti dunque per vocazione, che

porta a stare accanto ai giovani con passione e coerenza, che deve fare degli

insegnanti dei testimoni credibili, punti di riferimento di cui potere avere fiducia

che si prolunga anche dopo il periodo scolastico (e la Dichiarazione

raccomanda anche la fondazione delle Associazioni degli Ex-alunni delle ns.

scuole).

Nella parte conclusiva della Dichiarazione, il Concilio esprime gratitudine ai

sacerdoti, religiosi/e e laici che si dedicano all’opera educativa e didattica e li

esorta a perseverare con generosità nel compito intrapreso per promuovere il

rinnovamento della Chiesa e mantenerne la benefica presenza nel mondo,

specie in quello intellettuale. Che ci sia bisogno di sottolineare questa

raccomandazione, penso che sia sotto gli occhi di tutti, perché il panorama

che abbiamo davanti non presenta una prospettiva consolante di futuro, in

quanto vediamo tanti soggetti che dovrebbero essere attenti all’educazione dei

giovani e quindi alla scuola, per scelta di vita o di condivisione di valori, come

congregazioni religiose, associazioni, movimenti, che preferiscono segnare

nelle loro agende e quindi nei loro progetti, anche pastorali, altre scelte

prioritarie.

Papa Francesco in un suo discorso ad un gruppo di insegnanti dei Gesuiti nel

2013, diceva: “Amate la scuola”, perché è il luogo privilegiato per incontrare i

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giovani (domandiamoci: dove si possono incontrare tanti giovani, i ragazzi e

con essi anche i loro genitori… come in una scuola … vediamo la difficoltà che

si vivono nelle parrocchie per averli presenti anche per quanto riguarda la

preparazione a ricevere i Sacramenti… o per le attività e proposte

formative….). Trascurare o peggio smobilitare questo fronte è un errore

strategico dalle conseguenze irreparabili. Tanto più grave oggi a fronte della

crisi di credibilità e significatività delle altre istituzioni a cominciare dalla

famiglia. Per molti giovani la scuola è rimasta l’unica ancora di salvezza a loro

disposizione, dove poter incontrare persone di cui fidarsi, capaci di introdurli

nella vita dei valori, a sostenerli ed accompagnarli nelle loro scelte decisive.

Quindi incoraggiava a non “scoraggiarsi di fronte alle difficoltà che la sfida

educativa oggi presenta”. Concetti analoghi li ha riproposti nei giorni scorsi

incontrando i partecipanti al Congresso sull’Educazione cattolica e al Convegno

dell’AGESC.

La riflessione e l’impegno della Chiesa: i documenti esplicativi della GE

Da qui si evince che questo tema continua ad essere di scottante attualità e

infatti nel periodo post - conciliare, la Congregazione per l’Educazione

Cattolica, sorta appunto per sviluppare e dare esecuzione ai principi

fondamentali enunciati nella Dichiarazione circa l’educazione cristiana, più volte

è intervenuta con propri documenti: ne ricordiamo alcuni: La scuola cattolica

oggi in Italia (1977) – Il Laico cattolico testimone della fede nella scuola

(1982) - Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione

sessuale (1983) – Dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica

(1987) – La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio (1997) – Le persone

consacrate e la loro missione nella scuola (2002) – Educare al dialogo

interculturale nella scuola cattolica (2013): si tratta di temi che si trovano

enunciaiti nella GE e che sono stati sviluppati in questi documenti. La GE si

inserisce dunque nel processo di una profonda evoluzione nella concezione

della scuola in generale e di quella cattolica in particolare. Tale evoluzione

continua anche ai giorni nostri, questo tempo caratterizzato da nuove sfide

inedite, alle quali occorre dare sempre una risposta. Ricordiamo ancora la

lettera di Papa Benedetto XVI alla Diocesi e alla Città di Roma sull’emergenza

educativa, (2013), i discorsi su questo argomento alla CEI, al Capitolo

Generale dei Salesiani, il Documento “Educare alla vita buona del Vangelo”

della CEI (2010) per questo decennio, ecc… fino alla Nota Pastorale “La Scuola

Cattolica, risorsa educativa della Chiesa locale per la Società”(2014).

Se noi li analizziamo scopriremo come in questi interventi si coglie lo spirito

del Concilio, aperto al dialogo con tutte le realtà che operano nel campo

educativo… non si trova mai contrapposizione, per esempio con lo Stato, ma si

offre disponibilità alla collaborazione, perché “l’interesse della Chiesa è rivolto

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al bene di tutto il paese e la cura pastorale è per sua natura rivolta a tutti

indistintamente i giovani, nei quali essa ravvisa il proprio futuro legato a

quello dell’Italia”. Per cui si chiede che la libertà di educazione venga

riconosciuta non solo nei doveri da osservare ma anche nei diritti che spettano

per giustizia alle famiglie, come garantito dalla Costituzione.

Per finire…

Allora - e concludo -, perchè questo ricordo del 50° del documento conciliare

“Gravissimum Educationis” non si riduca ad una retorica ed intellettualistica

celebrazione, è necessario che l’impegno per l’educazione, non rimanga

un’utopia, ma diventi per ciascuno di noi un progetto ideale condiviso, una

pratica quotidiana di vita, una ulteriore ragione per portare l’Italia nell’area del

riconoscimento dei diritti umani fondamentali, com’è appunto quello della

libertà della scelta educativa.