Aprile 2013

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“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sapere tutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senza presupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx) Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana Fittaioli - Anno V, n. 4 - aprile 2013 - distribuzione gratuita Comandante Comandante

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“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudizio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre saperetutto ciò che è possibile sapere” (Antonio Gramsci) “Faremo il possibile per esporre in forma semplice e popolare, senzapresupporre la conoscenza nemmeno dei concetti più elementari. Vogliamo farci comprendere dagli operai.” (Karl Marx)

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Elezioni. Quale il futuro di Foligno?di Luigi Napolitano pagina 5

Il lavoro la nostra “stella”di Andrea Tofi pagina 7Liberismo economico e lavoroa cura di Redazione pagina 9

De tu querida presencia

La rivoluzione bolivariana gramsciana

a cura di Sandro Ridolfi pagina 11

Chavez con GramsciLa conquista dell’egemoniaa cura di Sandro Ridolfi pagina 15

Lascia passare il mio popoloMozambico (parte prima)di Sofia Gonoury e Sara Mirti pagina 19

Siate “buoni”, siate “folli”Dal “Cantico” al Tabletdi Sandro Ridolfi pagina 23

Lisbon StoryIl suono e il sognoa cura della Redazione pagina 27

Storie curiose di baciUn complicato e versatile omaggiodi Sara Mirti pagina 31

CarmenStoria di una donna liberadi Chiara Mancuso pagina 35

Regalo di compleannoHo cominciato a leggere dentro di medi Catia Marani pagina 39

Nero di PeceOltre le barriere dell’animaun racconto di Annarita Falsacappa pagina 43

Sommario del mese di aprile

Redazione: Corso Cavour n. 3906034 Foligno [email protected]

Autorizzazione: tribunale diPerugia n. 29/2009Editore: Sandro RidolfiDirettore Responsabile:Maria Carolina TerziSito Internet:

Andrea TofiStampa: GPT Srl Città di CastelloChiuso: 24 marzo2013Tiratura: 3.000 copiePeriodico dell’Associazione“Luciana Fittaioli”

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Editoriale 3

Merloni, la crisi dimenticataCi sono le risorse, mancano le idee e lecompetenze

“Di fronte alla crisi economica, lacoesione sociale si crea soprattuttocon la protezione e il sostegno dellavoro, dei lavoratori e del loro red-dito, attraverso il consolidamentodegli strumenti regionali sia di tute-la che di promozione attiva e dotan-dosi anche di nuovi strumenti regio-nali a sostegno di una ripresa conoccupazione, con misure che aiutinola resistenza e il rilancio della baseoccupazionale”.Con queste parole il presidente del-la Regione Marche, Gian MarioSpacca, aveva annunciato la sotto-scrizione il 19 marzo 2010 dell’Ac-cordo di Programma per la salva-guardia dei posti lavoro messi a ri-schio dal fallimento del Gruppo in-dustriale Antonio Merloni. Le stes-se parole erano state ripetute con lamedesima enfasi anche dalla Giuntadella Regione Umbria il cui territo-rio era da subito apparso destinatoa subire le maggiori conseguenze diperdita produttiva e occupazionale.Il mega stabilimento di Colle di No-cera, che alla data occupava circa1.200 tra operai e impiegati, da tem-po già soffriva, infatti, di una emar-ginazione produttiva nelle strategiedel Gruppo Merloni che avevanospostato produzioni (e macchinari)verso stabilimenti di comodo artifi-ciosamente realizzati nell’est euro-peo e comunque privilegiava produ-zioni più organiche dei siti storicimarchigiani. L’Accordo prevedevala messa a disposizione di 70 milio-ni di euro: 35 milioni dal Ministerodello Sviluppo Economico, 20 mi-lioni dalla Regione Marche e 15 mi-lioni dalle Regioni Umbria ed Emi-lia Romagna. In attesa e nella ovviaprevisione di un esito sicuramentenon pienamente conservativo del-l’occupazione del procedimento dicessione del/dei complessi azienda-li da parte della procedura di Am-

ministrazione Straordinaria, l’Ac-cordo di Programma si proponevatre finalità principali: sostenere glieventuali acquirenti di assets exMerloni in ipotesi di cessione in di-scontinuità produttiva; sostenerel’indotto dei fornitori del Gruppofallito; favorire la diversificazionedelle iniziative economiche del ter-ritorio che, caratterizzate da propo-ste innovative, contribuissero alriassorbimento dei lavoratori nonreintegrati dall’eventuale acquiren-te dalla procedura pubblica. L’esitodella vendita del complesso azien-dale Merloni da parte della proce-dura di Amministrazione Straordi-naria è stato estremamente insoddi-sfacente, per non dire disastroso,specificamente per quanto riguardail sito di Nocera, sostanzialmentedestinato ad essere smantellato eabbandonato. Dopo lunghissimi eripetuti esperimenti di asta, in data27 dicembre 2011 la procedura diAmministrazione Straordinaria hainfatti aggiudicato l’intero comples-so industriale ex Merloni alla J&PIndustries, società del tutto scono-sciuta nel mondo dello specificocomparto industriale degli elettro-domestici e sostanzialmente creataad hoc da ex fornitori, creditori,della società fallita (Giancarlo Por-carelli). Senza entrare nei dettaglidi un “libro dei sogni” (o “dellechiacchiere” narrate dall’acquirenteai Commissari) il progetto propostodalla società acquirente si è rilevatobasato, per quanto riguarda il sitodi Nocera, sullo smantellamentodell’impianto (salva la simulazionedi modeste riprese di produzioni as-solutamente disorganiche e quanti-tativamente insignificanti in rela-zione alle capacità produttive dellostabilimento), al punto che è lecitopensare che l’intero complesso pro-duttivo di Nocera sia stato, in veri-

tà, comprato “a ferro” da smontare esmaltire, lasciando vuoto l’enorme“capannone” ex industriale. Nelfrattempo, a dispetto degli impegniassunti con il menzionato Accordodi Programma, non è stata attivataalcuna procedura: non solo per ilrecupero ancorché parziale del sitoproduttivo (l’Accordo prevedeva ildiritto della Invitalia, società desti-nata all’attuazione in parte dell’Ac-cordo, di riacquistare dall’acquiren-te della procedura porzioni di stabi-limento non utilizzate), ma neppu-re sono state individuate nuove ini-ziative produttive, da insediare neiterritori dei Comuni interessati perresidenza dei lavoratori espulsi dalfallimento della Merloni, in gradodi recuperare e rioccupare partedella manodopera non riassunta.Fatto salvo un ristrettissimo nume-ro di dipendenti riassunti dalla ac-quirente J&P Industries sulla basedi elenchi nominativi assolutamen-te incredibili in termini di coerenzaper una reale ripresa di processiproduttivi (stragrande maggioranzadi figure professionali inattive perqualifica ed età – moltissimi pensio-nandi), ancora oggi circa 700 lavo-ratori del sito di Nocera restanosenza lavoro, seppure ancora assi-stiti (ma per quanto ancora?) dalsussidio di una modesta cassa inte-grazione.La grande crisi che ha colpito l’inte-ro sistema economico occidentalecertamente ha costituito un ulterio-re elemento negativo per le speran-ze di una ripresa produttiva non so-lo del vecchio complesso industria-le fallito, ma anche per l’insedia-mento di nuove iniziative, anchediversificate. E’ un fatto certo peròche nel caso della ex Merloni esisto-no risorse economiche notevoli, de-stinate e disponibili oramai da anni,che non trovano impiego.

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Editoriale4

Certamente non compete alle forze

politiche (quelle che sono soprav-vissute), né sindacali (anche se

queste ultime hanno “messo in sal-vo” buona parte dei propri aderenti

e soprattutto funzionari da tempo

immemorabile distaccati delle atti-vità produttive), né infine alle Am-ministrazioni locali e alla Regione,

farsi imprenditori e, anche in que-sto campo, il nostro paese sconta la

gravissima carenza di una vera e

propria classe imprenditoriale (la

vicenda della ex Antonio Merloni

ne è esempio “luminoso”). Resta

però il forte e legittimo dubbio

(con la critica) della assoluta inade-guatezza del quadro politico anche

locale (sul nazionale c’è ben poco

da aggiungere) a far fronte alle

emergenze del proprio territorio.

La “ex Regione bella”, franata sul

piano della trasparenza (il ripetersi

e diffondersi a macchia d’olio di

procedimenti penali), sta mostran-do i suoi limiti anche su quello del-la competenza.

Il 18 ottobre 2012 è stato sottoscrit-to un Atto Integrativo all’Accordo

di Programma del 2010 che, come

dicono i politici estensori e sotto-scrittori, “rimodula” la destinazio-ne delle risorse non impegnate. "Lemisure previste dalla rimodulazione

dell'Accordo di programma Merlonirappresentano un cambio di passoper le prospettive di occupazione deilavoratori ancora in carico alla pro-cedura e di rilancio del processo disviluppo dell'area" ha affermato

l’Assessore regionale umbro alle

politiche industriali. Ma in che mo-do e in quale direzione non c’è la

minima indicazione concreta. Al-l’Atto integrativo c’è, in verità, alle-gata una brochure redatta da Invi-talia, piena di utili dati storici e at-tuali, ma anche di “sogni” resi sfa-villanti della fantasia della grafica e

dei colori. Scenari di rilancio: foto-voltaico, domotica, green building,

meccanica di precisione e percorsi

virtuosi della “Offerta localizzati-va”, ma neppure una ipotesi (pro-posta, progetto, sollecitazione)

concreta. Le uniche iniziative che

sembra siano state concretamente

attivate in questi anni concernono

la così detta riqualificazione profes-sionale, ma anche in questo caso

senza un progetto di utilità finale

concreta. Si riqualifica (si dice di ri-qualificare) a quale fine? L’insegna-mento della lingua inglese (di base)

sembra il tema principale della ri-qualificazione offerto agli operai

(saldatori, fresatori, montatori,

meccanici, verniciatori, ecc. della

ex Merloni), peraltro con costi esa-gerati che stanno, questo sì in con-creto, erodendo le somme disponi-bili dell’Accordo di Programma e, di

fatto, sostengono solamente l’inuti-lità sostanziale di organizzazioni

pubbliche (e parapubbliche: patro-nati e simili) utili solo a se stesse. Il

LAVORO, o più correttamente il

suo contrario: la mancanza di lavo-ro, è il dramma che attraversa que-sto nostro tempo e questa nostra

società. E’ tempo che la politica, a

tutti i livelli a cominciare da quello

locale per quanto di sua competen-za, si occupi seriamente di questo

problema, ma non inteso come la-voro per se stessi, ma per la colletti-vità amministrata. Se il territorio

non è in grado di esprimere poten-zialità imprenditoriali persino inca-paci di profittare delle non indiffe-renti dotazioni economiche dispo-nibili, si cerchino altrove, ma serie,

credibili, competenti: “non importail colore del gatto, l’importante è cheprenda il topo” (Deng Xiaoping), di

falsi imprenditori senza denaro,

scrupoli e competenze siamo già

pieni, guardiamo più avanti, altri-menti... chi non è in grado torni al

suo impiego di scrivania (se ce l’ha)

e si faccia da parte.

(Redazione)

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Parliamo di Politica 5

Elezioni. I segnali, le prospettive.Quale il futuro di Foligno?

Avendo la stampa dato ampio ri-salto alle cause del risultato del-

l’ultima tornata elettorale, mi limitoa dire che l’effetto più evidente èstato quello di aver rivelato unoscollegamento assoluto tra i poli-ti-ci e i cittadini, con i primi chiusi,per non dire asserragliati, nelle lorotane ed i secondi decisi a contaresempre più. Non è infatti un casoche, secondo le stime, gli schiera-menti di centrodestra e centrosini-stra abbiano perso tanti voti rispet-to a quelli conseguiti nelle prece-denti elezioni. Più precisamente unvoto su due il centrodestra, uno sutre il centrosinistra. Non condividole critiche di coloro che, ponendo laresponsabilità a carico dell’elettora-to, ritengono che il voto sia la causadelle attuali difficoltà nella forma-zione del governo. Al contrario, cre-do che il risultato sia l’effetto del-l’attività dei rappresentanti di quelmondo. A tacere della circostanzache concausa del risultato è senz’al-tro una legge scellerata, che nessu-no degli schieramenti ha volutoconcretamente modificare nell’an-no di insediamento del “governotecnico”, tuttora in carica, che pureaveva tra le sue priorità quella di ri-scriverla. Governo che, per inciso,con una decisione di inaudita legge-rezza, è venuto meno alla parola da-ta, ritornando sui suoi passi al pri-mo accenno di ritorsione, circa ilrientro dei fucilieri di Marina in In-dia e inferto un ulteriore colpo allanostra credibilità internazionale.Quanto lontani i tempi del consoleromano Marco Atilio Regolo che,

narra Tito Livio, catturato dai Car-taginesi venne da questi inviato aRoma per convincere il Senato atrattare la pace, avendo giurato chesarebbe comunque tornato in Afri-ca; essendosi reso conto delle diffi-coltà in cui versavano i nemici, aRoma perorò la causa della guerrache fu continuata e quando, rispet-tando l’impegno assunto, tornò aCartagine fu ucciso tra atroci sup-plizi. In questo scenario mi limiterò,in attesa di valutare gli ulteriori ac-cadimenti, a rilevare i segnali che,da un primo esame, possono indivi-duarsi negli atteg-giamenti assuntidai protagonisti della politica dopole elezioni ed a porre una domandache, spero, avrà qualche risposta.Credevo che il massimo del servili-smo politico si fosse raggiunto nellaprecedente legislatura, in occasionedel voto sul conflitto di attribuzionitra poteri dello Stato. In quella cir-costanza, con sprezzo cosmico delridicolo, l’allora maggioranza affer-mò che, siccome Berlusconi credevache la giovane marocchina KarimaEl Mahroug (Ruby) fosse la nipotedel Presidente d’Egitto Mubarak,avendo agito nell’esercizio delle suefunzioni di presidente del consiglio,fosse processabile solo da parte deltribunale dei ministri. Mi sbagliavo,andando oltre, buona parte deglieletti in questa legislatura dellastessa parte politica, prima ancoradella loro proclamazione, hannomarciato alla volta del Tribunale diMilano, per di più intonando l’innonazionale, per protestare contro imagistrati che pretendevano di pro-cessare il loro capo. Non faccio va-lutazioni sui giudizi in corso, mapenso che chiunque sia costretto aconfrontarsi con la giustizia, tantopiù se ha rivestito cariche istituzio-

nali di rilievo, debba avere granderispetto per quel potere dello Stato,pur senza mai rinunciare al dirittodi difesa nelle forme e con i modiche la legge consente. Atteggiamen-ti siffatti portano, tristemente, al-l’esclusione dai giochi politici delcentrodestra che rappresenta unaparte importante dell’elettorato epongono un problema di democra-zia; problema che non può in alcunmodo essere imputato alla demo-crazia stessa ed alle sue regole, masolo all’ostinazione con cui si pre-tende di ignorare le regole per tute-lare un leader che per le sue attivitàsi trova ad essere di continuo pro-cessato ed inquisito. Questa circo-stanza crea un’emergenza politica emorale che si somma ad un macro-scopico conflitto di interessi che so-lo i disinformati e gli adoranti pos-sono essere riusciti ad ignorare peroltre venti anni. Non è tollerabile al-cuna pretesa di impunità che possaviolare principi costituzionali. Valu-to invece positivamente, e molto, lascelta dei nuovi Presidenti dei duerami del parlamento. Innanzituttoper l’alto profilo delle persone chia-mate a presiedere le camere, a di-mo-strazione che ancora esistonotra i politici figure che riescono a ca-nalizzare apprezzamento e stimaper l’attività svolta, sin qui, solofuori degli ambienti della politica.Sentimenti tanto più corroborati daicontenuti dei discorsi di insedia-mento. Abbiamo finalmente ascol-tato parole sulla richiesta di cambia-mento, sulla necessità di un impe-gno contro tutte le mafie, sull’im-portanza di un’Europa Unita e del-le istituzioni internazionali chetutelano i diritti dei deboli, sulrispetto delle persone normali,di quelle che quotidianamente

DI LUIGI NAPOLITANO

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Parliamo di Politica6

combattono la loro battaglia controle emarginazioni, delle giovani ge-nerazioni prigioniere della preca-rietà, delle donne che subisconoviolenza travestita da amore. Ed an-cora sulla necessità di dare stru-menti a chi ha perso il lavoro conl’invito a dare risposte ai disoccupa-ti, ai cassintegrati, agli esodati, alleimprese e a tutti quei giovani chevivono una vita a metà, essendo ne-cessaria una nuova fase costituenteche sappia volare alto e proporresoluzioni condivise. Sono convinto,tuttavia, che le scelte dei Presidentisiano state più subite che volute dacoloro che sono stati costretti a far-le sull’onda di un sentimento popo-lare, finalmente avvertito, di fasti-dio verso personaggi che sono sinqui stati imposti e ritenuti buoniper tutte le stagioni. Essendo irrile-vante la presenza parlamentare del-le forze che si ispirano al vecchiocentro, ed avendo dato prova il neoleader di essere più preoccupatodella propria collocazione che degliinteressi del Pae-se, auspico, che leforze veramente nuove giunte inParlamento, sappiano cogliere l’im-portanza del ruolo e abbandonino

un atteggiamento demagogico e disola denuncia delle storture fin quiprovocate dai vecchi politici, favo-rendo quelle riforme indispensabilidi cui si avverte il bisogno, per poteraffrontare e risolvere i tanti proble-mi che attanagliano il nostro Paese.Un atteggiamento di auto esclusio-ne costituirebbe una grave mancan-za ai compiti cui è chiamato chiun-que sieda sui banchi del Parlamen-to, circostanza questa che, a ben ve-dere, sarebbe sicuramente in unprossimo futuro sanzionata dal-l’elettorato, che ha mostrato di es-sere molto attento e determinatonell’espressione del voto.

Essendo residente a Foligno, oveho scelto di vivere dal luglio del

1984 e avendo ad oggi vissuto inquesta città per più tempo che nellamia città natale, chiudo, con unaconsiderazione a carattere lo-caleed un invito, la cui formulazioneho, naturalmente condiviso conl’Editore. Il risultato delle e-lezioniha visto diventare prima forza dellanostra (mi sia consentito definirlatale) Città, il Movimento 5 Stelleche, non me ne vogliano i suoi rap-presentanti, non ha una visibilità ed

una connotazione altrettanto fortedi quella del Centrosinistra, delCentrodestra e del Centro, uscitipesantemente sconfitti da questatornata elettorale, rivelando unmalcontento ed un distacco dallapolitica che solo chi è veramentecieco non riesce a vedere. E allora, èpur vero che le elezioni locali sonomolto più improntate a un rapportodiretto, ma i presupposti sembre-rebbero indicare che dobbiamo pre-pa-rarci ad assistere in prossimitàdelle elezioni amministrative aduno stravolgimento della politicalocale. Quali sono i programmi delcentrosinistra, del centrodestra edel centro per tentare di arrestare ilfenomeno del malcontento chesembrerebbe premiare i seguaci diGrillo? E quale la proposta di questiultimi che, senz’altro alle prossimeelezioni si proporranno a giocare unruolo fondamentale? Le pagine diquesto giornale sono pronte adospitare i progetti di chi rappresen-ta le categorie, le isti-tuzioni econo-miche e non, le forze produttivedella realtà in cui viviamo e di chiintende proporsi ad amministrare laCittà.

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Parliamo di Lavoro 7

Contro la crisi:una sola “stella”, la “nostra” stella

“Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione,per tutto quello che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animaliallorchè cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso cheè condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sus-sistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale.”

Karl Marx

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Parliamo di Lavoro8

Ripartire dal lavoro e dalle fabbriche

I lavoratori non hanno più

punti di riferimento a sini-stra: l’alternativa è Grillo?

Il primo partito fra gli operai è diventa-to il movimento Cinque Stelle, subito

dietro l’accoppiata Pdl e Lega ed al ter-zo posto si può dire anche giustamente

il Partito Democratico. La sinistra

“chic” di Vendola ha raccolto appena il

necessario per non rimanere fuori dal

Parlamento e Rifondazione e gli altri

sono di nuovo tornati a casa. Purtroppo

la mancanza di un grande e forte parti-to di Sinistra si sente ed i risultati sono

sotto gli occhi di tutti: gli operai, i gio-vani senza lavoro, tutti coloro che han-no un’occupazione temporanea con i

cosiddetti contratti atipici, non si sen-tono più tutelati, nè dai partiti, nè tan-tomeno dai sindacati. Il segretario della

FIOM, in una dichiarazione riportata

su alcuni giornali nazionali ha afferma-to che non ci voleva Grillo per prendere

atto della crisi della politica e del sinda-cato in Italia e che è giunta l’ora di ritro-varsi con la CGIL. Ora io mi chiedo di

cosa stanno parlando questi personag-gi, Landini compreso, che tutti i giorni

occupano i nostri telegiornali e i quoti-diani. Sono anni che i lavoratori dimo-strano il proprio malcontento, toglien-do le tessere sindacali e disertando le

urne elettorali, ma tutti hanno fatto “le

orecchie da mercanti” facendo finta di

non capire. Ora dopo lo “Tsunami”

creato da un comico prestato alla poli-tica tutti sembrano essere rinsaviti. Ber-sani che propone un governo di cam-biamento, i sindacati che dicono che le

cose così non possono andare avanti e

che occorre proporre un sindacato più

democratico ma che stia con i lavorato-ri, Monti che dice di aver effettivamente

forzato sulle tasche degli italiani ma

che è stato costretto per “la Governan-ce” del paese. Ma che cavolo dicono, si-no a ieri dov’erano! Le fabbriche, quello

poche rimaste aperte sono state sempre

lì, nessuno le ha spostate, i lavoratori, i

pensionati, i precari, i disoccupati, gli

emarginati sono sempre gli stessi di

prima del 24-25 Febbraio, ed hanno le

medesime esigenze: sopravvivere!

L'unico modo per far ripartire il nostro

paese è investire sul lavoro, per circa

trent'anni siamo stati il volano d'Euro-pa e non solo, siamo diventati la quinta

potenza mondiale pur non avendo un

briciolo di risorse minerali. Grazie alle

lotte sindacali di quel periodo è stato

possibile raggiungere obbiettivi econo-mici e salariali impensabili, la tutela del

lavoratore, ma più in generale quella

del lavoro è cresciuta di pari passo con

l'economia del nostro paese. Un lavoro

forte e stabile ha contribuito al boom

economico dell'Italia, ma in questo

meccanismo c'era allora uno Stato che

occupava i settori strategici dell' Ener-gia e delle Infrastrutture, controllava

tutta la Siderurgia italiana grazie al-l'IRI, dopo che la Banca Commerciale

Italiana (avevamo anche una banca di

Stato) nel 1921 rilevò l'Ilva e tutte le fab-briche da essa acquisite. Dal dopoguer-ra in poi, però ciò che ha smarcato la

posizione del movimento operaio è sta-ta la presenza di un partito il "PCI" che

è stato in grado di portare avanti le

istanze dei più deboli, sostenuto anco-ra da un sindacato la "CGIL" capace di

contrapporsi nelle vertenze nazionali

alla forza predominante degli indu-striali, sino a giungere alla redazione

della legge n°300 del 20 Maggio 1970

denominata "Statuto dei Lavoratori".

Solo con una forte politica del lavoro si

potrà uscire da questa spirale di crisi

economica nella quale ci siamo infilati,

con il rigore ed il consolidamento fisca-le che la Comunità Europea ci ha impo-sto si giungerà inevitabilmente al col-lasso. E' lo stesso Fondo Monetario In-ternazionale che riconosce di aver sot-tostimato gli effetti del risanamento dei

conti pubblici degli Stati, l'aumento dei

disoccupati e il calo dei consumi ha in-dotto un vortice recessivo senza prece-denti. In Italia dopo la riforma "Forne-ro" sono stati interrotti 640 mila con-tratti di lavoro per licenziamento (col-lettivo o individuale), tra le nuove as-sunzioni solo il 17,5% ha un contratto a

tempo indeterminato, l'epocale rifor-ma dell'apprendistato così la definita

l'ex Ministro ha coinvolto solamente il

2,5% dei nuovi assunti (8.800 giovani).

In contrapposizione però sono cresciu-te in modo esponenziale le iscrizione a

partita Iva, nel solo 2012 ne sono state

registrate 549.000 di cui il 40% ascrivi-bile a giovani al di sotto dei 35 anni che

lavorano per un solo committente. Una

nuova forma di schiavitù, altro che sta-bilizzazione del lavoro, la riforma For-nero e la revisione dell'articolo 18 ha

contribuito ad un incremento della

precarizzazione dei nuovi occupati

concedendo alle imprese la libertà di li-cenziare.

Chi difenderà i diritti dei lavoratori in questo difficile periodo di crisi economica se an-che uno dei maggiori esponenti della Fiom, Maurizio Landini, ammette che Grillo ha

ragione sui sindacati quando afferma che hanno esaurito il proprio ruolo?

DI ANDREA TOFI

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Piano del Lavoro 9

Liberismo economico e mercato del lavoroLa politica liberista, interamente agìtadal lato dell’offerta e della competizio-ne sui costi, in Italia ha spinto a consi-derare irrilevanti e residuali la qualitàdel lavoro, delle produzioni, del valoreaggiunto di una larga parte del sistemaindustriale italiano, ed ha imposto le“riforme strutturali” come unica rispo-sta, essenzialmente subalterna e difen-siva, alla globalizzazione. Unito ai noninvestimenti e alla perdita di produtti-vità, tale processo ha determinato undeclino, per questo l’Italia somma allacrisi finanziaria quella strutturale pro-pria. La finanziarizzazione dell’econo-mia e il tentativo di mantenere le posi-zioni acquisite senza investimenti han-no paralizzato la capacità industrialeitaliana. Il risultato netto del primo de-cennio degli anni 2000 è facilmenteriassumibile: poca qualità, poca cono-scenza, poca innovazione nei processiproduttivi; poco reddito nazionale daredistribuire e reinvestire; iniqua ripar-tizione della ricchezza, delocalizzazio-ni; elusione fiscale, contributiva, am-ministrativa, dei diritti e della sicurez-za; degrado ambientale. La politica li-berista in Italia ha prodotto la trasfor-mazione sistematica del lavoro a fatto-re di risparmio nei costi di produzione,come le ultime liberalizzazioni in ma-teria di orari commerciali hanno dimo-strato, abbassando i salari senza accre-scere l’occupazione. Questa strategiadifensiva e miope contribuisce a conge-lare una specializzazione produttiva abasso livello tecnologico e di utilizzodella conoscenza, nonché una dimen-sione cronicamente troppo piccola del-le imprese italiane e il loro eccessivoturn-over. I fattori richiamati concor-rono alla progressiva riduzione delladomanda interna e alla crescente di-pendenza del Paese dalle importazioni.La politica industriale è stata pressochéassente nei Governi negli ultimi 20 an-ni (sia dal lato dei settori strategici chedi quelli in declino) - con l’eccezione diindustria 2015 poi lascata morire - coneffetto anche di incentivare le rendite ascapito degli investimenti reali e disin-centivare la ricerca e l’innovazione. Ilsettore del terziario, che per lungotempo ha rappresentato un’alternativa

occupazione al declino dei settori ma-nifatturieri, sta vivendo oggi una crisigrave e inedita, mostrando i limiti di unmodello condizionato dalla contrappo-sizione tra produzione industriale eservizi relativi. Il welfare italiano è statoconsiderato costo e non risorsa. L’as-senza di infrastrutture sociali e di servi-zi in ampie aree del Paese contribuiscea tenere fuori dal sistema produttivo ledonne. Nei settori pubblici i cosiddettiprocessi di innovazione “legislativi”non sono stati accompagnati da inve-stimenti in strutture e formazione. Èinvece continuata una politica occupa-zionale basata su tagli alla forza lavoroe sull'utilizzo massiccio di precariato.Tutto ciò ha accentuato arretratezza einefficienza ed ha contribuito, nellapercezione dei fruitori dei servizi pub-blici, ad aumentare la distanza tra cit-tadini e pubbliche amministrazioni ol-tre che a rendere instabili i servizi pub-blici, determinando la bassa produtti-vità del sistema. La legislazione del la-voro ha favorito la precarizzazione, laminore sindacalizzazione e tutela con-trattuale del lavoro atipico, l’insuffi-ciente inserimento dei lavoratori e del-le lavoratrici disabili, degli immigrati edelle immigrate, la discriminazione deilavoratori per età, opinioni personali,orientamento sessuale e identità di ge-nere, accentuando in tal modo le diffe-renze e la segmentazione del mercatodel lavoro. La crisi e le politiche di au-sterità riducono ulteriormente gli inve-stimenti pubblici, sia nelle attività piùtradizionali quali l’edilizia e le infra-strutture (caratterizzate da una preca-rietà crescente dei rapporti di lavoro)sia nelle attività strategiche qualil’istruzione e la ricerca. La crisi economica e occupazionaleevidenzia l’epilogo di un ventennio dipensiero neo-liberista dominante chein Italia si è fondato su un’alleanza fraprofitti e rendite a scapito del lavoro(che ha portato alla riduzione, dal 1980al 2012, di 8 punti di quota di redditonazionale prima devoluta ai salari),quindi delle retribuzioni e dell’occupa-zione. Il mercato del lavoro si è ulte-riormente frammentato in molti seg-menti separati e non comunicanti fra

loro: giovani e meno giovani, stabili eprecari, maschi e femmine, regolari eirregolari, scolarizzati e non, pubblici eprivati, lavoratori del Nord e del Sud,dipendenti, autonomi e pseudo auto-nomi, agricoltura e industria e servizi,grandi e piccole imprese, migranti enon, ecc. Si conta un grave aumentodella povertà relativa e della disugua-glianza tra i lavoratori dei diversi seg-menti e all’interno di ciascun segmen-to. Con la crisi il mercato del lavoro ita-liano si è ulteriormente disgregato: chiha carriere discontinue accede semprepiù difficilmente al “lavoro stabile”; lostesso lavoro tradizionale diventa insi-curo, più povero e meno tutelato, acausa delle debolezze strutturali deltessuto produttivo, della politica disvalorizzazione del lavoro, dell’assenzadi politica industriale. L’attesa per en-trare nel mercato del lavoro è diventatatroppo lunga, chi esce dal bacino dellavoro stabile ha difficoltà a rientrarvi.La precarietà cronica e non regolata delmercato del lavoro pubblico e privato,in Italia, ha portato alla creazione dimigliaia di rapporti di collaborazioneprofessionale che mascherano contrat-ti di lavoro subordinato e dipendente.Le leggi dell’ultimo Governo italianohanno prodotto l’espulsione dai luoghidi lavoro di migliaia di finti collabora-tori anziché consolidarne il rapporto.La crisi italiana, prima, e quella mon-diale, poi, hanno prodotto un aumentodel tasso di disoccupazione strutturale(il tasso di disoccupazione in Italia è datempo superiore al 10% e continua a sa-lire l’incidenza della disoccupazione dilunga durata). Alta e crescente l'inoc-cupazione e la sottoccupazione di gio-vani e donne (già strutturalmente su-periore in Italia) che si aggiunge allamassa di lavoratori in Cassa integrazio-ne o mobilità (il tasso di disoccupazio-ne delle donne è oltre il 12%; quella deigiovani è oltre il 37%, con picchi chesuperano il 40% nel Mezzogiorno). Ilavori di cura, di assistenza e di relazio-ne, continuano ad essere non ricono-sciuti e sottopagati. Il numero dei co-siddetti NEET (giovani che non lavora-no e non studiano) ha superato datempo i 2 milioni.

Page 10: Aprile 2013

Piano del Lavoro10

Questa quota di non occupazione e

non istruzione costa circa 27 miliardi

di euro l’anno di mancato reddito na-zionale e mancato welfare. L’Italia ha

la minore spesa per combattere la di-soccupazione giovanile e per le poli-tiche attive (welfare to work) del la-voro in Europa. In compenso ha la

più alta fuga di “giovani cervelli”.

L’Italia ha da sempre una forte inci-denza del “lavoro nero”: negli ultimi

anni, secondo le diverse stime, la

quota di economia sommersa è pari a

1⁄4 del PIL. Secondo stime Istat sono

800.000 le donne che hanno lasciato

il lavoro dopo la maternità per più ra-gioni: dalle dimissioni “in bianco” al-l'assenza dei servizi. Il 30 % delle ma-dri interrompe il lavoro per ragioni

familiari: il tasso di occupazione fem-minile diminuisce all'aumento del

numero dei figli. Al contrario, il lavo-ro delle donne crea sviluppo perché

determina domanda di beni e servizi

e produce a sua volta altro lavoro di

donne. La Banca d'Italia e l'Ocse

quantificano nel 7 % l'aumento del

PIL italiano in presenza di un tasso di

occupazione femminile del 60 %. 18I

lavoratori inattivi restano circa 15 mi-lioni (26,8% delle forze lavoro per gli

uomini e il 48,7% per le donne), tra

cui gli “scoraggiati” e i sommersi irre-golari. Solo un nuovo contratto su tre

è stabile, nella crisi ancor meno. La

precarietà ha raggiunto i 4 milioni di

persone. Il lavoro a tempo determina-to, che dovrebbe essere attivato su esi-genze di punta delle attività, è usato

per sostituire il lavoro stabile. Il turn-over nei ultimi 10 anni ha registrato

un forte aumento dei subordinati e

degli pseudo autonomi. Le competen-ze e le conoscenze sono troppo spesso

esternalizzate e tenute fuori dal siste-ma delle imprese. La flessibilità in ec-cesso spreca risorse professionali e ge-nera bassa produttività e bassi salari

(8% di produttività perduta solo nel

decennio 2000-2010 a causa dell’au-mento della precarietà). Il bilancio di

vent’anni di politiche di flessibilità del

lavoro, ben lungi dall’aver ridefinito i

nuovi paradigmi della piena e stabile

occupazione nell’era post-industriale,

ha esteso l’area della non- autosuffi-cienza economica di intere generazio-ni, frenando gli indispensabili proces-si di innovazione dei quali anche il

settore terziario necessita. Disoccu-pazione, inoccupazione, sottoccupa-zione, scoraggiamento, inattività, la-voro irregolare, segmentazione del

mercato del lavoro e mancata valoriz-zazione delle competenze sono gene-rati dalle caratteristiche regressive

dello sviluppo economico italiano,

non viceversa. Non c’è stato da parte

del sistema economico domanda di

competenza. Domanda e offerta di la-

voro non si conoscono, non comuni-cano, non sono orientate (nella con-vinzione errata che in un libero mer-cato domanda e offerta si incontrino

spontaneamente e stabiliscano il loro

giusto prezzo). Alti e medi profili sco-lastici non hanno una domanda corri-spondente, così come alti e medi pro-fili professionali non sono facilmente

reperibili sul mercato. Non si realizza-no le indispensabili politiche attive

del lavoro e la formazione professio-nale è ridotta e inadeguata. La cultura

economica dominante in Europa e in

Italia sminuisce il ruolo del lavoro

nella produzione del valore e il suo

ruolo nel sistema sociale. La politica

del lavoro realizzata in Italia contra-sta con i principi costituzionali (art.1,

artt. 3 e 4 della Costituzione). Con il

liberismo e la crisi si è impoverita an-che la conoscenza delle trasformazio-ni del lavoro: non si studiano le sue

dinamiche quantitative disaggregate

per segmenti, le sue diverse caratteri-stiche qualitative. Anche il mondo

dell’impresa tende a trascurare i mo-delli organizzativi di utilizzo del lavo-ro e le loro diverse conseguenze sulla

produttività e l’efficienza. Gli obiettivi

di produttività delle imprese si sono

spostati dagli investimenti all’indica-tore di presenza e ore lavorate.

(il documento è estratto dal Piano delLavoro presentato dalla CGIL 2013)

Page 11: Aprile 2013

Comandante 11

De Tu Querida Presencia

Gloria al bravo pueblo que el yugo lanzó la ley respetando la virtud y honor ¡Abajo cadenas! ¡Abajo cadenas! Gritaba el Señor, gritaba el Señor y el pobre en su choza Libertad pidió.A este santo nombre tembló de pavor el vil egoísmo que otra vez triunfó Gritemos con brío, gritemos con brío, ¡Muera la opresión! ¡Muera la opresión! Compatriotas fieles, la fuerza es la unión. Y desde el Empíreo, el Supremo Autor, un sublime aliento al pueblo infundió. Unida con lazos, unida con lazos que el cielo formó, que el cielo formóla América toda existe en Nación. Y si el despotismo levanta la voz, seguid el ejemplo que Caracas dio.

Gloria al popolo coraggioso che ha tolto il giogorispettando la legge, la virtù e l’onoreAbbasso le catene! Abbasso Le catene!Il signore gridava, il signore gridavae il povero nella sua capanna chiedeva Libertà.A questo santo nome tremò di paurail vile egoismo che fino allora aveva trionfatoGridiamo con forza, gridiamo con forza,Muoia l’oppressione! Muoia l’oppressione!Compatrioti fedeli, la forza è l'unità.E dal cielo, il supremo Creatoreha infuso un respiro sublime al popolo.Unita con i legami, unita con i legamiche il cielo creò, che il cielo creò,tutta l’America esiste in una unica Nazione.E se il dispotismo alza la voce,seguite l'esempio che ha dato Caracas.

(Inno nazionale del Venezuela)

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Comandante12

Chavez nacque a Sabaneta, nelloStato di Barinas da una famiglia

con origini native americane e spa-gnole. Suo padre, Hugo de los ReyesChávez, era un maestro. All'età di di-ciassette anni Chavez si arruolò nel-l'Accademia Venezuelana di Arti Mi-litari. Dopo la laurea in Scienza e Ar-ti Militari prestò per alcuni mesi ilservizio militare. In seguito si dedi-cò allo studio delle Scienze politicheall'Università Simón Bolívar di Cara-cas, che tuttavia lasciò senza ottene-re una laurea. Durante gli anni deglistudi Chávez e i suoi compagni svi-lupparono una dottrina nazionalistadi sinistra che chiamarono "boliva-riana", ispirata dalla filosofia Pana-mericanista del rivoluzionario vene-zuelano dell'Ottocento Simón Bolí-var, dall'influenza del presidente pe-ruviano Juan Velasco Alvarado e dalpensiero di vari ideologi comunisti esocialisti tra cui Marx e Lenin. Ad in-fluenzare la visione politica di Cha-vez fu soprattutto il pensiero di An-tonio Gramsci e l'azione storica diGiuseppe Garibaldi. Di Simón Bolí-var assorbì il pensiero, soprattuttosul concetto di integrazione e co-struzione della Grande Colombia:Venezuela, Colombia, Ecuador, Perùe Bolivia. Nacque così la ideologiabolivariana, che inizialmente si svi-luppò all'interno delle Forze Arma-te, dando vita già dal 1983 al Movi-miento Bolivariano MBR-200. Pro-mosso al grado di colonnello nel1991, l'anno seguente, il 4 febbraio1992, fu protagonista di un colpo diStato da parte delle forze militariche tentò di rovesciare il presidenteCarlos Andrés Pérez. Il golpe fallì eChávez fu arrestato e imprigionato.Riacquistò la libertà nel 1994 graziea un'amnistia, ma dovette abbando-nare le Forze Armate.

Conquistatosi un vastissimo con-senso presso le fasce popolari

più povere, nel 1997 Chávez creò unpartito politico, il Movimento QuintaRepubblica (o MVR) alla guida delquale vinse le elezioni presidenziali

del 6 dicembre 1998 con il 56,2% deivoti. La sua campagna elettorale erabasata sul progetto di una nuova co-stituzione che potesse permettereuna rifondazione del paese, passan-do dalla "Quarta Repubblica", quellanata con il "Patto di Punto Fijo", alla"Quinta Repubblica". Il nome "Quin-ta Repubblica" ha infatti questo si-gnificato: nuova costituzione e nuo-vo ordinamento giuridico. Altri temidella sua campagna, come la lotta al-la corruzione e al degrado moraledel paese vennero sempre subordi-nati all'idea di una nuova Carta Co-stituzionale e del conseguente rin-novamento dei poteri dello Stato.

Subito dopo il "giuramento da pre-sidente", avvenuto il 2 febbraio

1999, Chávez iniziò la realizzazionedel suo programma di governo indi-cendo un referendum, primo nellastoria del Venezuela, per chiedere alpopolo il consenso alla stesura diuna nuova costituzione. I voti a fa-vore superarono l'80%. Nel dicembredel 1999, nacque la nuova costitu-zione, confermata da un altro refe-rendum. Tra i punti più significativi:l'attenzione ai diritti umani; il pas-saggio della struttura dello Stato dauna democrazia rappresentativa auna nuova forma chiamata "Demo-crazia Participativa y Protagónica";l'istituzione del "referendum revoca-torio" per tutte le cariche elettive,presidente compreso, nella secondametà del mandato; la modifica delnome dello Stato del Venezuela in"Repubblica Bolívariana del Vene-zuela"; la modifica della durata delmandato presidenziale da cinque asei anni, con possibilità di una solarielezione. Approvata la nuova costi-tuzione, tutte le cariche pubblicheelettive dovettero essere sottoposteal voto popolare e anche Chávez, ri-messo il suo mandato, si ricandidòalle nuove elezioni presidenziali.Confermato a larga maggioranza(59,5% dei voti) il 30 luglio del 2000,Chávez, a capo del nuovo parlamen-to (rinominato "Assemblea Naziona-

le") diede avvio all'attuazione dellanuova costituzione. Chávez chiamòquesta fase Rivoluzione BolívarianaPacifica.

Il 30 gennaio 2005, parlando alConvegno internazionale del So-

cial Forum a Porto Alegre, in Brasile,Chávez offrì il suo aiuto alla causano-global, dichiarandosi, inoltre, fa-vorevole a un socialismo patriotticoe democratico che "deve essere uma-nista e deve mettere gli esseri umanie non le macchine in condizioni di su-periorità nei confronti di tutto e ditutti”. Se per gli oppositori interni edesterni e per gran parte dei media in-ternazionali il governo di Chávezs'incentra su di una lotta costantecontro le fasce più ricche della popo-lazione, secondo altri osservatori estudiosi delle problematiche del SudAmerica, la politica chavista mira alrisanamento delle condizioni socioe-conomiche disastrose della stragran-de maggioranza dei venezuelani.

Venezuela, la prima esperienza dellaconquista del potere popolare attraversola conquista dell’egemonia gramsciana

Page 13: Aprile 2013

Comandante 13

Tra le misure prese da Chávez, in

gran parte reinvestendo i proven-ti petroliferi: lo stanziamento di 1641

miliardi di bolivar (circa 314 milioni

di euro) per la ricerca scientifica,

l'aumento del 40 % degli stipendi de-gli insegnanti, borse di studio e istru-zione gratuita, creazione di una ban-ca popolare con bassi interessi per

scopi sociali e umani, come l'acquisto

di un alloggio familiare, creazione di

cooperative, abolizione del latifondo,

nazionalizzazione dei pozzi petroli-feri, uscita del Venezuela dal Fondo

Monetario Internazionale e dalla

Banca Mondiale, blocco della fuga di

capitali e della svalutazione del boli-var, incremento alla sanità pubblica

con seicento centri di diagnostica. Il

PIL venezuelano è cresciuto fino a 50

trilioni di bolivares nel 2006. Chávez

iniziò a operare per il rafforzamento

dell’OPEC, anche grazie al migliora-mento delle relazioni diplomatiche

con tutti i paesi membri (dove si recò

personalmente). A livello continen-tale Chávez domanda un'integrazio-ne dei paesi latino-americani da ef-fettuarsi anche mediante l'ALBA (Al-ternativa Bolivariana para América

Latina y el Caribe) costituita in con-trapposizione all' ALCA (Area di Li-bero Commercio delle Americhe) vo-luta dagli USA. Inoltre l'amicizia tra

Venezuela e Cuba (che vede ad esem-pio lo scambio tra la fornitura di pe-trolio venezuelano a prezzi vantag-giosi e il supporto della competenza

medica cubana nell'ambito dei piani

di miglioramento delle condizioni sa-nitarie del Venezuela e altri paesi su-damericani), così come quella con

l'Iran e la Bolivia di Evo Morales, vie-ne vista con sospetto dagli Stati Uniti

e utilizzata dall'opposizione per di-screditare Chávez. Il Venezuela rico-nosce lo Stato di Palestina: per que-sto e per protesta contro il governo

israeliano di centro-destra, che il lea-der venezuelano accusa di volontà di

genocidio contro i palestinesi, Cha-vez ha espulso l'ambasciatore israe-liano nel 2009, inasprendo e di fatto

interrompendo le relazioni diploma-tiche tra i due paesi.

In soli 7 anni di governo Chávez il

paese si è dichiarato libero dal-l'analfabetismo e tre milioni di vene-zuelani sono stati inseriti nell'istru-zione primaria, secondaria e univer-sitaria. Diciassette milioni di vene-zuelani (quasi il 70% della popolazio-ne) ricevono, per la prima volta, assi-stenza medica e medicinali gratuiti e,

in pochi anni, nelle intenzioni gover-native tutti i venezuelani avranno ac-cesso gratuito all'assistenza medica.

Si somministrano più di 1 milione e

700 000 tonnellate di alimenti a prez-zi modici a 12 milioni di persone

(quasi la metà dei venezuelani), un

milione dei quali li ricevano gratuita-mente, in forma transitoria. La que-stione è centrale in un Paese come il

Venezuela dove le persone sottonu-trite sono cresciute dal 1992 al 2003

del 7%, raggiungendo la cifra di 4,5

milioni. La malnutrizione è scesa dal

14 % al 12 %. La mortalità infantile si

è ridotta al 2 %. Il tasso di disoccupa-zione è sceso dall'8,9% (2006) al

6,20% (feb 2007) e la popolazione

sotto la soglia di povertà è diminuita

dal 37,9% (2005) al 23% (2009). Tra

tutte le leggi promulgate fino ai primi

mesi del 2002, alcune diedero luogo a

reazioni particolarmente forti da par-te dell'opposizione.

La legge in assoluto più contrastata

fu la cosiddetta riforma agraria; in

Venezuela esistono vasti latifondi (fi-no a casi limite di 240.000 ettari): il

10% della popolazione detiene l'80%

del territorio e senza che molti pro-prietari siano in grado di esibire i re-lativi titoli di proprietà. Queste leggi,

assieme alla nazionalizzazione delle

risorse petrolifere (con il conseguen-te aumento del gettito derivante dal-lo sfruttamento dell'"oro nero" vene-zuelano da ridistribuire alla popola-zione tramite nuove forme di Stato

sociale come salute, istruzione, servi-zi); la nuova politica estera di equidi-stanza e solidarietà con alcuni stati

del Sud America e il conseguente sot-trarsi alla storica subordinazione

economica e politica agli USA, furo-no i presupposti per il golpe del 2002.

Chavez con Raul Castro (Cuba), Morales (Bolivia), Lula (Brasile),Bachelet (Cile)

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Comandante14

dini con saccheggi di negozi. Nei giorni

12 e 13 la polizia uccise più di 200 perso-ne, gli ospedali accolsero centinaia di fe-riti. La gente, come già accaduto a Cara-cas, circondò anche la base dei paraca-dutisti del generale Baduel a Maracay

chiedendo a gran voce il ritorno di Chá-vez. Lo stesso avvenne in molte altre lo-calità; si calcola che in tre giorni più di

sei milioni di persone siano scese per le

strade a difendere Chávez e il suo gover-no. Nella notte del 13 aprile l'allora ve-scovo di Caracas, Antonio Ignacio Vela-sco García, fu inviato all'isola La Orchila

con un jet privato, probabilmente di

proprietà dei Cisneros, dove avrebbe do-vuto convincere Chávez a firmare la ri-nuncia e partire con lo stesso jet verso

un'ignota destinazione, forse Cuba. Du-rante l'incontro arrivarono invece tre eli-cotteri dei militari rimasti fedeli che ri-portarono Chávez a Miraflores. Con il

rientro di Chávez, e il suo ritorno al po-tere il 14 aprile, gli scontri e i saccheggi

cessarono. Il golpe fallì, dunque, grazie

al vastissimo appoggio popolare e all'esi-guità del gruppo dei militari golpisti, for-mato soprattutto da alti ufficiali, mentre

il grosso delle forze armate venezuelane,

guidate dal generale Raúl Isaías Baduel

era rimasto fedele a Chávez e alla nuova

costituzione. Diversamente dal Cile di

30 anni prima questa volta gli USA furo-no sconfitti, il presidente democratica-mente eletto non venne ucciso e il Vene-zuela è ancora un paese libero, anche se

oggi orfano del suo “Comandante”.

Il 9 aprile 2002 la CTV, sindacato padro-nale dei trasportatori, e la Fedecamera

(Confindustria venezuelana) organizzati

dagli USA, con l'appoggio della Chiesa

cattolica, delle televisioni e dei partiti

politici di opposizione, proclamarono

uno sciopero generale con lo scopo di

bloccare l’economia del paese come fe-cero nel 1973 in Cile. L'11 aprile, dopo una

riunione presso il Vescovado ove, pre-senti Carlos Ortega della CTV e Carmo-na Estanga della Fedecamera, vennero

definite le linee del colpo di stato, fu or-ganizzato un corteo di centomila perso-ne che avrebbe dovuto dirigersi verso il

palazzo di Miraflores, sede della Presi-denza, per cacciare «quel traditore di

Chávez». Già dalla notte attorno a Mira-flores si erano radunati migliaia di soste-nitori di Chávez, in sentore di ciò che po-teva accadere. Il corteo non arrivò a con-tatto con i simpatizzanti di Chávez per-ché dei cecchini appostati nei palazzi

circostanti cominciarono a sparare sui

sostenitori di Chávez. Le televisioni pri-vate, solidali ai golpisti, sostennero l'idea

di scontri provocati dai sostenitori di

Chávez (e questa versione, in un primo

tempo, fu ripresa anche dai media inter-nazionali), ma le innumerevoli riprese

effettuate nella zona dimostrarono che

gli scontri a fuoco non erano tra i com-ponenti delle due marce, ma era la poli-zia metropolitana a sparare contro i so-stenitori di Chávez. I primi caduti si eb-bero verso le 15,00. Dalla testimonianza

di un giornalista della CNN, Otto Neu-stald, si seppe poi che un gruppo di alti

militari, verso le ore 11,30 eseguirono una

registrazione del loro pronunciamento

in cui disconoscevano l'autorità del pre-sidente parlando dei primi morti e ad-dossandone la responsabilità a Chávez.

Questo pronunciamento, registrato pri-ma delle 12,00, fu mandato in onda dopo

le prime reali uccisioni. I militari golpisti

si erano riuniti in Fuerte Tiuna, presidio

militare di Caracas, assieme a Carmona

Estanga, e a una nutrita rappresentanza

di militari USA. I militari golpisti minac-ciarono Chávez, ancora a Miraflores, in-timandogli di arrendersi, pena il bom-bardamento del palazzo, come era avve-nuto l’11 settembre 1973 in Cile con Sal-vador Allende. In un ultimo tentativo di

evitare il peggio, Chávez cercò di attuare

il "Plan Avila", un pia-no di emergenza che,

grazie alla presenza di

mezzi blindati attor-no al palazzo, avrebbe

permesso la difesa

delle istituzioni. Inve-ce i blindati, usciti da

Fuerte Tiuna, furono

fatti subito rientrare

da un contrordine

lanciato dai cospira-tori. Nel frattempo

tuttavia da Maracay,

il generale Raúl Isaías

Baduel, fedele a Cha-vez e alla Costituzio-ne, era pronto ad in-viare a Caracas mezzi

blindati a difesa del presidente. A questo

punto Chávez, per evitare la guerra civi-le, decise di consegnarsi ai golpisti a

Fuerte Tiuna, dove verso le 23,00 dell'11

aprile, fu arrestato e posto in isolamento,

in attesa di decidere sulla sua sorte. Alla

notizia dell’arresto di Chavez iniziò l'af-flusso di gente dai ranchos di Caracas,

verso Fuerte Tiuna. che fu circondato da

oltre 600.000 persone che chiedevnoa la

liberazione di Chávez. La stessa notte

Chávez venne trasferito da Fuerte Tiuna

a Turiamo, una base navale nel Nord-Est

della Costa dello Stato di Aragua e da lì

fu poi trasferito all'isola La Orcila, sede

di una base logistica della Marina Mili-tare. Il 12 aprile fu data dai media, nelle

mani dei golpisti, la notizia del ritiro di

Chávez e subito dopo Carmona Estanga

si autoproclamò presidente del Vene-zuela. Il Parlamento in carica fu sciolto,

furono destituiti tutti gli altri poteri, fu

ripristinata la vecchia costituzione e dal

nome ufficiale della nazione venne can-cellata la parola "Bolívariana". Immedia-tamente gli USA si affrettarono a ricono-scere il nuovo governo, seguiti a breve

intervallo dalla Spagna del governo di

destra Aznar. I media venezuelani ebbe-ro un ruolo determinante sia nell'orga-nizzazione che nell'esecuzione del golpe

e dato che tutti erano convinti della sua

definitiva riuscita, si sbilanciarono in in-terviste, trasmesse su tutte le reti, dove

parlavano del lavoro organizzativo dei

militari e civili artefici dell'evento. Il 12

aprile a Caracas cominciarono seri disor-

In Venezuela non è stato come in Cile.

Nel 2002 il popolo sceso per le strade

sconfisse il golpe organizzato dagli USA

Dopo essersi “segnato” con la croce per esorcizare la puzza

di zolfo lasciata dal “diavolo” Bush che aveva parlato il giorno

prima, Chavez mostra all’Assemblea dell’ONU il libro di Noam

Chomsky di denuncia dei crimini USA in Sud America

Page 15: Aprile 2013

Con Gramsci 15

Si usa dire che “nessuno è profeta in pa-tria”, ma se la patria è l’Italia, molto più

spesso verrebbe da dire che “la patria

neppure conosce i propri profeti”. Anto-nio Gramsci è sicuramente il più grande

pensatore politico italiano e uno tra i più

grandi nel mondo. Abbiamo scritto in

altri articoli che la dimensione, vastità e

profondità, della sua opera è ancora non

del tutto scoperta e studiata, certamente

non da noi, non nella sua terra/patria.

Nel mondo il pensiero di Gramsci è in-vece oggetto da decenni di studi ai mas-simi livelli e in genere, non i filosofi, ma

i politici lo conoscono e, in alcuni casi

come vedremo, lo applicano anche.

Gramsci è un marxista-leninista, su que-sto non c’è discussione, e il suo pensiero

è dunque parte integrante dell’elabora-zione storica della scienza marxista che,

nelle sue innumerevoli evoluzioni e con-testualizzazioni, costituisce l’ “unicum”

del comunismo scientifico. Ciò che ren-de particolare e straordinariamente at-tuale il pensiero di Gramsci è la sua con-testualizzazione all’ambito di sistemi ca-

"Vi batteremo di nuovo, signoridella borghesia imperialista!"

(Discorso pronunciato da Hugo Chavez a Caracas, Sabato 2 Giugno 2007)

pitalisti più o meno avanzati, sistemi nei

quali il dominio delle classi sfruttatrici

non si fonda (solo) sulla forza militare,

ma prevalentemente sul controllo degli

strumenti di produzione del consenso,

cioè sulla “egemonia” culturale che per-mette alle classi dominanti di asservire

anzitutto mentalmente le classi sfrutta-te. In questi sistemi, ci insegna Gramsci,

la strategia rivoluzionaria non può esse-re frontale, cioè di attacco alla “facciata

dello Stato”, deve invece dirigersi in pro-fondità contro le “casematte” del nemi-co, ossia contro l’insieme delle istituzio-ni della società civile. Si tratta di conqui-stare progressivamente i punti strategici

della società civile, ponendo così le pre-messe per la conquista del potere attra-verso una nuova egemonia rivoluziona-ria. La conquista dello Stato borghese

deve avvenire dunque dall’interno della

società, sulla base di una prospettiva so-ciale, economica, politica, intellettuale e

morale, che sia in grado di ottenere il

consenso delle masse. Hugo Chavez

Frias non solo conosceva, avendo fre-

quentato l’università, ma aveva studiato

a fondo il pensiero di Gramsci già duran-te la prigionia sotto l’insegnamento di

un oriundo italiano, Jorge Giordani

grande studioso di Gramsci e poi suo mi-nistro delle finanze. Nel discorso che

pubblichiamo nelle pagine seguenti (ne-cessariamente per stralci) Chavez spiega

il pensiero di Gramsci sul quale si fonda

il progetto e la strategia della rivoluzione

bolivariana verso la creazione dello stato

socialista venezuelano. Si tratta di un di-scorso pubblico che a volte potrà sem-brare sommario ed eccessivamente sem-plificato, ma se pensiamo che nel lonta-nissimo Venezuela un capo di Stato spie-ga al suo popolo delle borgate il pensiero

del “nostro” Gramsci, da noi sostanzial-mente sconosciuto, e poi paragoniamo

quel discorso ai rutti di un Bossi, ai vaf-fanculo di un Grillo, o anche alle mastur-bazioni sulle puttane di Berlusconi che

da anni costituiscono la massima espres-sione culturale dei dibattiti politici di ca-sa nostra, c’è, quanto meno, da restare

“imbarazzati”! (SR)

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Con Gramsci16

Vi voglio dire qualcosa dal profondodel mio cuore, dal profondo della

mia anima: quel grido che sembra unacanzone, quel grido che viene dalle goledel popolo, quella canzone che vienedall'anima popolare e che sento da di-versi anni, dal 1992, da quei giorni diffi-cili quando iniziava a nascere la patrianuova, da quei giorni terribili in cui erodietro le sbarre della prigione, la prigio-ne della dignità, iniziai a sentire da lon-tano il canto: "Chavez, amigo, el puebloestà contigo". Voglio che sappiate chequel grido, che quel canto popolare cheavete inventato, per me è sacro. Voglioche sappiate che quel grido popolare ar-riva fino al profondo delle mie viscere, emi dà una forza misteriosa, magica, unaforza senza limiti, incommensurabile. Èla forza dell'amore, della fede, della spe-ranza, che mi ha accompagnato neigrandi eventi di massa e nei momenti disolitudine in questi ultimi 15 anni dellamia vita. Per questo vi rispondo "Pueblo,amigo, Chàvez estarà siempre contigo".Questo umile Chàvez, questo umilecontadino, questo umile soldato saràsempre e per sempre con te, popolo, di-gnitoso, grande, eroico; ti amo popolovenezuelano, più della mia vita. E tuttala vita che mi resta, voi lo sapete, non èmia, è vostra, è del popolo venezuelano;oggi è il 2 giugno, là in fondo è uscito unarcobaleno.

Le nuove Università che la rivoluzio-ne ha creato per chiudere con la vol-

gare esclusione che tanti danni ha fattoal Venezuela e soprattutto al popolo. Be-

ne compagni, oggi facciamo un omag-gio. Voi sapete che mi appassiona moltola storia, perché la storia è maestra, èspecchio, è la fonte da cui dobbiamo be-re per comprendere i nostri tempi, è labase della filosofia, così dice Marx in di-versi scritti. I grandi hanno dovuto ap-poggiarsi necessariamente alla storia. Lafilosofia non è altro che l'espressione de-gli eventi storici interpretati dai pensa-tori e strutturati in corpo filosofico.Quello che oggi vediamo, quelle struttu-re, quegli edifici, questa valle, quei bar-rios, questa strada, sono il prodotto diuna storia. Noi siamo il prodotto di unastoria. Dal 10 gennaio sono passati solo140 giorni e noi possiamo dire che il nuo-vo governo, il nuovo ciclo, il nuovo pe-riodo, si è caratterizzato per l'accelera-zione del processo di trasformazione ri-voluzionaria. In soli 140 giorni abbiamorecuperato pienamente la capacità ope-rativa, strategica, di quell'esteso territo-rio sotto il quale si trova la riserva di pe-trolio più grande del mondo. Voi sapeteche mi riferisco al lembo petrolifero del-l'Orinoco, adesso totalmente controllatadal Venezuela, dai venezuelani e dallevenezuelane, dalla nostra PDVSA. Inquesti 140 giorni, abbiamo nazionalizza-to un impresa di alto valore strategico,adesso controllata dal Venezuela, dai ve-nezuelani. Era in mani straniere la Com-pagnia Anonima Nazionale dei Telefonidel Venezuela (CANTV), e adesso è unacompagnia nazionale. In questo breveperiodo abbiamo nazionalizzato impre-se elettriche, settore altamente strategi-

co e indispensabile per lo sviluppo na-zionale, per citare solo alcune delle coseche sono successe. In questo breve pe-riodo abbiamo lanciato con forza il pro-cesso di costruzione del Partito Sociali-sta Unito del Venezuela, e il popolo hadato, una volta ancora, una risposta cheper molti è sorprendente. Una rispostachiara, forte, orientante. Ad oggi si sonoregistrati, come aspiranti militanti delpartito, 4 milioni 735 mila venezuelani!

In questi giorni ho ricevuto il segretariogenerale del Comitato Centrale del

Partito Comunista del Vietnam, il com-pagno Man, col quale abbiamo ricordatouna delle massime, uno degli appelli,una delle linee strategiche fondamentalidel compagno Ho Chi Minh, liberatoredel popolo vietnamita, quando diceva"Unità, unità, unità, vittoria, vittoria, vit-toria": solo l'unità ci permetterà di con-tinuare a conseguire vittorie, e ci assicu-rerà le future vittorie di cui hanno biso-gno il nostro popolo, la nostra patria, lanostra rivoluzione. Approfitto di questeparole per insistere sul processo unitariodel partito, di tutto il popolo, della classeoperaia, dei contadini, dei movimenticulturali; per sottolineare l'importanzadell'unità nazionale, dell'unità delle for-ze armate bolivariane, dell'unità del po-polo bolivariano. Ricordiamo Simon Bo-livar, che con il suo impegno, con la suasperanza, col suo fuoco libertario conti-nua ad insegnarci. Diceva Bolivar "Senon fondiamo l'anima, lo spirito, il cor-po, la speranza nazionale in un tuttounico, la società finirà per essere uncombattimento corpo a corpo per la so-pravvivenza, e un nuovo colonialismosarà ciò che lasceremo ai posteri."

Viva la dignità del nostro popolo, viva la sovranità, viva quindi il Ve-nezuela libero e sovrano, degno e grande. Ottimo giorno il 2 giugno.

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Con Gramsci 17

Compagni venezuelani di tutte le la-titudini, continuiamo a rafforzare la

grande unità nazionale per assicurare lavittoria sempre, la vittoria per sempre.L'unità dev'essere estesa a tutti gli ambi-ti della realtà, della struttura e della so-vrastruttura, direbbe Antonio Gramsci,e voglio tornare al suo pensiero per uti-lizzarne le idee. Utilizzando il suo pen-siero illuminante capiamo ogni giornodi più ciò che sta succedendo oggi qui inVenezuela, dove l'oligarchia venezuela-na insieme ai suoi alleati, l'oligarchiamondiale e la borghesia internazionale,si sono nuovamente scagliati contro ilpopolo, contro la morale, contro l'etica,la verità, contro il governo bolivariano,contro la sovranità nazionale, ed hannoattaccato di nuovo questo umile soldatopresidente del Venezuela. Per quanto ri-guarda la mia persona non m'importa,dicano pure di me ciò che vogliono! Chei rappresentanti della borghesia inter-nazionale vadano lontano, fuori dallepalle! Molto lontano! Glielo imponiamodalle strade del popolo libero. Questa èuna patria libera. Un popolo libero!Non mi importa essere paragonato, daquesti poderosi mezzi di comunicazio-ne mondiale e in questi spazi dominatidall'élite mondiale, a Hitler e Mussolini.Non mi interessa. Qualcuno qualchegiorno fa mi chiedeva infatti come misentivo per il fatto che tutti o quasi tuttii media del mondo mi hanno rappre-sentato come il tiranno del Venezuela, ildittatore, il carnefice, il repressore deigiovani venezuelani. In sostanza che michiamino Hitler o Mussolini non m'im-porta. Lo dico a tutti, borghesia vene-zuelana inclusa: m'importa solo della

dignità del popolo del Venezuela, dellasovranità nazionale; posso morire manon torno indietro. Al contrario, se l'oli-garchia venezuelana crede di frenarcicon le sue minacce, con le sue manipo-lazioni, con i suoi piani destabilizzatori,può toglierselo dalla testa. Ogni pianoeversivo dell'oligarchia diretta dall'im-pero nordamericano, avrà come rispo-sta una nuova offensiva rivoluzionaria.Qui lo dico e così sarà. Attenzione dun-que all'importanza dell'unità, alla co-scienza per interpretare la realtà, percomprendere le nostre debolezze ecombatterle: le minacce che ci piove-ranno addosso sempre.

Per vedere i nostri punti deboli e raf-forzarli, per intendere dunque la si-

tuazione complessiva nella quale sia-mo. Per questo torno ad avvalermi delpensiero di quel grande rivoluzionarioitaliano, Antonio Gramsci. Che nessu-no si scoraggi, che nessuno rallenti nellavoro quotidiano e nell'assunzionedelle proprie responsabilità per faravanzare i piani rivoluzionari in tutti ifronti di lotta, da quello economico aquello sociale e politico, da quello terri-toriale e internazionale a quello dellamorale. Per interpretare ciò che stiamovivendo, compagni, ci è molto utile An-tonio Gramsci, l'autore di quella tesiche abbiamo ripetuto molte volte: "Unavera crisi storica si ha quando ciò chemuore non finisce di morire e ciò chenasce non smette di nascere". In quellospazio si presenta una autentica crisiorganica, crisi storica, crisi totale. Quiin Venezuela non ce ne dimentichiamo,da vari anni siamo in una crisi gram-sciana, storica. Quello che sta morendo

non ha ancora finito di morire, e quelloche sta nascendo, non ha smesso di na-scere. All'inizio degli anni '80 il Venezue-la era già entrato in una crisi storica, e og-gi dopo 20 anni siamo nell'epicentro del-la crisi, buona parte dei prossimi anni fa-ranno parte di questa crisi storica fino ache non sarà definitivamente morta la IVrepubblica e non sarà compiutamentenata la V, la Repubblica Socialista e Boli-variana del Venezuela. Saremo sempre inuna crisi dalle diverse sfumature, dai di-versi colori, che si esprime in svariate for-me nella realtà fenomenica, nella realtàvisibile in superficie.

Dunque Gramsci ha abbozzato e svi-luppato la tesi del blocco storico,

l'egemonia di una classe che riesce a crea-re un blocco storico nel quale si possonoben identificare le strutture e le sovra-strutture. Perdonatemi se sono un po' ac-cademico, ma so che il livello culturaledel nostro popolo ha fatto un enorme sal-to di qualità, e che in ogni luogo e mo-mento siamo tutti in grado di riflettere suqueste teorie che illuminano la realtà permeglio comprenderla. Gramsci, quandoparla di sovrastruttura, ascoltate bene, lasovrastruttura del blocco storico domi-nante, dice che essa ha due livelli: la so-cietà politica e la società civile. La primapossiamo riassumerla bene nelle istitu-zioni dello Stato e del governo, dunquenelle istituzioni politiche; la seconda è uncomplesso di istituzioni economiche, diorganismi o istituzioni comunementedette "private", attraverso le quali la classedominante può diffondere, estendere ecollocare in tutti gli spazi della vita la suaideologia, e qui arriviamo alla odierna re-altà venezuelana.

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Con Gramsci18

Una delle grandi contraddizioni che ab-biamo oggi in Venezuela, è precisamente

lì, tra la società politica - lo Stato che ha

sperimentato un processo di trasforma-zione e liberazione - e una società, detta

civile, di istituzioni comunemente priva-te, che adesso non controllano lo Stato.

La classe dominante del Venezuela si era

strutturata in un blocco storico con il no-me di "Patto di Puntofijo". Essa riuscì a

subordinare lo Stato alla società civile,

quindi la società politica venne subordi-nata alla società civile, intendendo que-sta nel senso gramsciano che ho menzio-nato. Che succede quando Hugo Chàvez

arriva al governo del Venezuela per vo-lontà della maggioranza della popolazio-ne? La società civile dominante cerca di

impadronirsi di Chàvez, ma Chàvez non

si è mai subordinato, né mai lo farà, a

questa vecchia società civile del " Patto di

Puntofijo ".

La società cosiddetta civile possiede un

insieme di istituzioni, Gramsci le

elenca, e una di esse è la Chiesa, perciò la

élite cattolica si scaglia contro di noi, la

spiegazione storico-scientifica è questa.

L'élite cattolica, con alcune eccezioni, che

non sono altro che eccezioni, sempre e in

tutto il mondo si è alienata, ha fatto parte

dei blocchi dominanti del capitalismo. È

triste dire ciò per me che sono cattolico,

anche se sono essenzialmente un cristia-no. Cristo è il mio signore, mio padre, il

mio redentore. Mia nonna Rosa Inés

Chàvez - ovunque tu sia ti ricordo sem-pre - quando mi vestivo da chierichetto

mi diceva: "Non credere che perché in-dossi quest'abito e per il fatto che vai in

chiesa tu stia con Dio", mi diceva: "Non

credere a tutto quello che dice il prete",

me lo diceva sempre, e si è molto ralle-grata quando ho smesso di fare il chieri-chetto. Accendeva ceri ai santi affinché

smettessi di fare il chierichetto. Sembra-va una contraddizione, ma ora la capisco

bene. In quasi tutta l'America, durante gli

ultimi 100 anni e più, la chiesa, i mezzi di

comunicazione e il sistema scolastico, so-no stati i tre grandi corpi organici che

Gramsci segnala come le istituzioni fon-damentali della società civile, usate per

diffondere nelle classi sociali e nei ceti

popolari la propria ideologia dominante.

Gramsci classifica l'ideologia in strati. La

forma più elaborata dell'ideologia è la fi-losofia. Visto che non possiamo essere

tutti filosofi, le classi dominanti hanno

elaborato diversi strati di ideologia e così

esse hanno i loro filosofi, le loro scuole e

i loro libri di filosofia attraverso i quali

impregnano dell'ideologia dominante la

società.

Ma c'è un secondo livello sotto quello

della filosofia: il neoliberalismo-possiede una sua filosofia, ma a livello fi-losofico è molto elaborato e non è digeri-bile dagli strati sociali subalterni. La clas-se dominante, quindi, elabora le tesi della

libertà del mercato e di espressione (inte-sa come la intendono loro, manipolando-la), le tesi dell'integrazione in un modello

tipo ALCA, che è la proposta dell'impero

nordamericano. Elabora un corpus di

idee che si riferisce alla democrazia bor-ghese, con la divisione dei poteri, l'alter-nanza, la rappresentanza come fonda-mento della democrazia, grandi menzo-gne, ma sono il corpo ideologico di quella

filosofia egemonica che in Venezuela e in

buona parte dell'occidente ha dominato

per più di 100 anni. Un terzo livello negli

strati ideologici secondo Gramsci è quel

che egli chiama il senso comune, che è il

prodotto dell'immersione nella filosofia e

nell'ideologia dominante, in diverse for-me, attraverso le telenovele, i film, le can-zoni, la propaganda, etc.

Compagni, qui ci sono alcuni elementi

- ripeto - per comprendere bene ciò

che sta succedendo. Noi stiamo liberando

lo Stato, perché la società civile borghese

controllava lo Stato venezuelano a pro-prio piacere, manipolava il governo, il po-tere legislativo, quello giudiziario, le im-prese statali, la Banca pubblica, il bilancio

nazionale. Stanno perdendo tutto que-sto, se non totalmente, nella sostanza. E

ora sono ripiegati nei nuclei duri della so-cietà civile borghese, utilizzando, a volte

in modo disperato, gli spazi che gli riman-gono in quelle istituzioni segnalate da

Gramsci: la Chiesa, i mezzi di comunica-zione e il sistema educativo. Da qui l'im-portanza di capire lo scenario della batta-glia. In tutto ciò, a noi non rimane che

continuare a conformare il nuovo blocco

storico. Ricade su di noi la responsabilità

di continuare a pala e piccone, impiegan-do mattoni e cemento per fare più grande

e più solido delle torri del Parque Central

il nuovo blocco storico venezuelano.

Continuiamo con i cinque motori costi-tuenti, a pieno ritmo, nella costruzione

del socialismo, a livello politico, costruen-do la democrazia socialista; a livello eco-nomico costruendo l'economia socialista;

etico, attivando la nuova morale sociali-sta; sociale, costruendo la maggior quan-tità di felicità possibile; la nuova geopoli-tica nazionale; la nuova geometria del po-tere; la nuova geopolitica internazionale;

il mondo multipolare. Noi, dunque, con-tinuiamo a lavorare con le due mani per

costruire il nuovo blocco storico, co-struendo il socialismo, la nuova società

politica che sarà lo Stato sociale, lo Stato

socialista, la Repubblica socialista, in tutti

i suoi livelli: il potere centrale, i poteri lo-cali, i governi comunali. Voi dal basso,

dalla base, continuate a costruire il nuovo

Stato, la nuova società politica. La vecchia

società civile elitaria, borghese, filofasci-sta, che indossa le camice nere di Musso-lini per accusarmi di essere come Musso-lini, che indossa le camice brune di Hitler

per paragonarmi a Hitler, quella vecchia

società civile borghese deve essere tra-sformata, ascoltate bene, nella nuova so-cietà socialista.

Ame piace molto il contrattacco!

L'ologarchia venezuelana dovrà la-sciarci stare, dovrà stare tranquilla nei

suoi spazi e convivere con la nuova realtà.

Anche se non vogliono accettare tutto

ciò, questa rivoluzione è arrivata per ri-manere, sono passati solo 140 giorni di

questo nuovo ciclo bicentenario della ri-voluzione bolivariana. Mancano più di

5.000 giorni di rivoluzione fino al 24 giu-gno del 2021, quando avremo consolidato

il progetto del Venezuela Socialista, della

Repubblica Bolivariana e Socialista. Con-tinuiamo dunque a giocare il nostro ruo-lo, e soprattutto voi, ragazzi, assumete il

vostro ruolo, questo è il tempo in cui oc-corre che il movimento studentesco si

metta all'avanguardia insieme alla classe

operaia e con i contadini al fianco dei sol-dati venezuelani, per fare la storia. Co-struendo la patria, costruendo il nuovo

Venezuela, continuiamo dunque secon-do il punto di vista gramsciano a sotterra-re il vecchio blocco, il vecchio blocco sto-rico, e a costruire quello nuovo. Vi saluto

col grido di sempre: Patria, Socialismo, o

Muerte! Venceremos!

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19

Lascia passare il mio popolo

La notte tiepida del Mozambico

E i suoni lontani di marimbas giungono fino a me

-uguali e costanti-venuti da non so dove.

Nella mia casa di legno e zinco,

accendo la radio e mi lascio cullare…

Ma le voci dell’ America mi scuotono l’anima e i nervi.

E Robeson e Marian cantano per me

negri spirituals di Harlem.

"Let my people go"

-oh lascia passare il mio popolo!- Dicono.

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Moçambique

Page 20: Aprile 2013

Moçambique20

Per fare una nazione servono (non ne-cessariamente in quest'ordine) popolo,

istruzione, lavoro e vigilanza - termine

interessante perché non implica una di-fesa attiva, una specie di assetto di guer-ra permanente, ma uno stato di sorve-glianza che non dovrebbe venire mai

meno. Ugualmente, affinché un indivi-duo abbia la possibilità di esprimersi e di

autodeterminarsi deve avere un'appar-tenenza, delle leggi, qualcuno che le di-scuta, le applichi e le difenda, e, non ul-tima, un'istruzione adeguata, la possibi-lità di studiare la propria e le altrui cul-ture, la possibilità di crescere e far cre-scere il proprio paese. Tra gli aspetti po-sitivi del governo comunista del FRELI-MO (Fronte di Liberazione del Mozam-bico, nato nel 1962 dall'unione di UNA-MO, UDENAMU e MANU), nel Mo-zambico liberato, c'è stato, non a caso,

l'accesso allo studio, così come allo sport

e alla salute, seguendo un filtro merito-cratico vero ed efficiente, in grado di

permettere ad ognuno d'immaginare,

progettare e realizzare il proprio futuro.

Grazie a questo sistema, per esempio, Jo-ão Ribeiro, un mulatto, il regista de

"L'ultimo volo del fenicottero", ha potu-to frequentare la famosa scuola di cine-matografia di Cuba (ora si occupa di ci-

nema indipendente a Maputo). "Mo-çambique" fu per prima cosa il nome di

una piccola isola corallina situata pro-prio all'ingresso della baia di Mossuril

(abitata, secondo la leggenda, dall'arabo

Mussa Al Bik, nome poi “storpiato” dai

portoghesi), luogo divenuto testimone

della tratta degli schiavi, "la tratta dei Ne-gri" che è passata tanto attraverso

l'Oceano Atlantico che a quello Indiano,

praticata dagli arabi (schiavitù forse me-no conosciuta, ma non per questo meno

crudele e devastante; ancora presente in

Mauritania nonostante, sulla carta, sia

fuori legge) così come dagli europei; i

Portoghesi nel 1510 costruirono un Forte

sull’isola. Poi fu il nome di una cittadina

(São Sebastião de Moçambique) e in se-guito sempre lo stesso nome si trovò a

identificare l'insieme delle colonie por-toghesi sulla costa orientale africana. La

Repubblica del Mozambico, la cui attua-

le bandiera contiene il verde-speranza, il

nero, come la sua popolazione, il giallo

del sole africano e il kalashnikov, il libro

e la zappa, inscritti in una stella gialla a

sfondo rosso, simboli dell'ideologia co-munista che ha traghettato l paese fuori

dal colonialismo, confina a nord con la

Tanzania, a ovest con il Malawi, Zambia

e Zimbabwe, a sud-ovest con il Sudafrica

e lo Swaziland, a est con l'Oceano India-no; il territorio ha un'estensione com-plessiva di 799.380 km2; ci sono circa 20

milioni d’abitanti. Amministrativamente

è suddivisa in 11 Province (Cabo Delgado,

Manica, Niassa, Inhambane, Nampula,

Gaza, Zambézia, Provincia di Maputo,

Tete, Città di Maputo, Sofala), ripartite in

128 Distretti divisi a loro volta in Postos

Administrativos composti, infine, da più

Localidades. L’’ultimo censimento della

popolazione è stato realizzato dall’INE

nel 1997; le religioni maggiormente dif-fuse sono quella animista, cattolica (la

maggiore tra le religioni d'importazio-ne), protestante, musulmana e indù. I

principali prodotti agricoli sono: riso

(base dell'alimentazione), mais, man-dioca, canna da zucchero, anacardio, tè,

palma da cocco (produzione molto este-sa - qui c'è il più grande palmare al mon-do - comprendente latte, olio, fibre,

ecc.); mentre si pratica l'allevamento di

pollame, bovini, suini, e la pesca di gam-beretti, pesci di vario genere e crostacei.

Si è sviluppata l'industria che produce

generi alimentari e bevande, quella del

tabacco, quella legata alla produzione di

minerali non metallici, prodotti metal-lurgici, equipaggiamento e materiale

per il trasporto, industria tessile, pro-duzione dell'abbigliamento e cuoio.

Il Moçambique: nome, po-polazione, storia coloniale,

indipendenza, guerra civile,

arte, economia, prospettive

future.

Ilha de Moçambique, Patrimonio dell’UNESCO dal 1991): Jardim de Memória

DI SOFIA GONOURY

E SARAMIRTI

Page 21: Aprile 2013

Moçambique 21

Le risorse minerarie presenti sul territo-rio sono: alluminio, carbone, titanio, tan-talio, grafite, oro e marmo. Insomma, è

un paese potenzialmente ricco e non so-lo di risorse; com'è stato possibile allora

che anche qui abbia attecchito la piaga di

quello che viene definito "sottosvilup-po"? Per via delle continue depredazioni

da parte dei colonizzatori, certo, ma so-prattutto per via della loro politica, tipica

dell'amministrazione portoghese e spa-gnola, di assimilazione totale: un'assimi-lazione basata sulla cancellazione della

cultura locale, di provenienza, e sul-l'ignoranza indotta per meglio riuscire a

dominare. Se nella vita di tutti i giorni,

per intrecciare rapporti di amicizia, per il

gioco dei bambini, per la considerazione

personale, le differenze di colore o di re-ligione non contavano nulla, per l'acces-so allo studio e quindi anche per l'accesso

al lavoro, tali distinzioni facevano la dif-ferenza. Vedere ragazzi di colore fre-quentare le scuole superiori era una rari-tà e, benché non si possa parlare di raz-zismo così come l'Europa l'ha conosciuto

fino ai nostri giorni, resta un fatto che gli

alloggi dei bianchi, dei mulatti e dei neri

risultavano comunque divisi. Natural-mente la casa di un mulatto risultava

sempre l'ultima dei bianchi e la prima dei

neri. Il colore della pelle può essere, nella

casuale imprevedibilità del suo manife-starsi, più folle e crudele di qualsiasi altro

tipo "giustificato" di discriminazione. Gli

stessi portoghesi, tuttavia, avendo dato

in concessione i propri territori a diverse

compagnie, proprietarie o non, come per

esempio alla "Companhia do Niassa" e

alla "Companhia do Moçambique" (a

maggioranza britannica), fin dagli anni

'90 del 1800, spesso si trovavano a rico-prire ruoli intermedi, per esempio di ra-gioneria, di commercialista, ma mai di

manager di alto livello. Nel 1920 la Com-panhia do Assucar de Moçambique, fon-data nel 1890 da John Peter Hornung,

venne trasformata nella Sena Sugar Esta-tes Ltd., compagnia ora gestita, dopo al-cune vicissitudini, da un consorzio tra lo

Stato mozambicano e un’impresa privata

delle Isole Mauritius, e nel 2007 ha preso

il nome di Companhia de Sena. L’antica

Companhia do Boror, per fare un altro

esempio, fu creata nel 1892 da Joseph

Émile, primo conte di Stucky de Quay,

un capitalista svizzero. Inoltre le ferrovie,

proprio grazie alle concessioni commer-ciali ai britannici, alla fine del 1800 copri-

rono 920 Km. I confini dell'Africa, fatti

dai colonizzatori e la conseguente sepa-razione dei gruppi etnici spiegano molti

dei conflitti e delle rivalità postcoloniali;

il Mozambico anche se in maniera diver-sa, non ha fatto eccezione. Anche se il

Mozambico non ha al suo interno radi-camenti e divisioni tribali, tuttavia ne ha

di etnici, ma questo, nel periodo dell'in-dipendenza non ha avuto più che un si-gnificato demografico. La rivoluzione

partita da Nord annoverava come mem-bri della propria dirigenza uomini del

sud (neri, bianchi, mulatti, luterani, lai-ci…) e questo probabilmente ha facilitato

la mancanza di un accordo di divisione,

così come avrebbero voluto i portoghesi

(impegnati già su vari fronti nelle proprie

colonie): il nord, il Mozambico nero, ai

ribelli, e il sud a loro. Ma i cosiddetti ri-belli conquistarono zona per zona, posi-zione per posizione, l'intero Mozambico,

decisi a farlo diventare un unico paese, li-bero, senza distinzione di etnia, colore o

religione e schierato coi paesi comunisti

(siamo in piena guerra fredda). Il proces-so iniziato negli anni '60 il 25 giugno del

1975 finalmente giunge a termine: s'inse-dia il primo governo postcoloniale del

Mozambico liberato e Samora Machel

(della provincia di Gaza) ne è il presiden-te. In virtù del lungo dominio subito (Va-sco de Gama raggiunge le coste dell'Afri-ca orientale nel 1498), verrà concesso ai

mozambicani di scegliere cosa essere:

portoghesi o cittadini del nuovo sta-to che s era costituito. Alcuni tra i bian-chi sceglieranno di restare in Mozambico

dove erano nati o dove risiedevano da

tempo, così come neri e mulatti, senten-dosi fieramente portoghesi, decideranno

invece di partire, senza mai pentirsene.

Alla destra di Berlinguer l’attuale presidente del Mozambico, Armando E. Guebuza,a sinistra Samora Machel

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Moçambique22

Sarà la guerra civile (anti-comunista, ini-ziata dalla RENAMO - Resistenza Nazio-nale Mozambicana, costola del FRELIMO

- all'indomani dell'indipendenza e finita,

grazie all'indispensabile mediazione della

Comunità di Sant'Egidio, nel 1992, con gli

Accordi di Roma) a causare più danni alla

popolazione (le vittime saranno circa un

milione) di quelli subiti nel periodo colo-niale e nella guerra di liberazione messi

insieme. Il Mozambico era diventato un

punto di riferimento per i paesi vicini, so-prattutto del Sudafrica anti-apartheid e

forse per questo la guerra civile prese le

sembianze di una guerra anti-comunista,

priva tuttavia di quelle forti motivazioni

capaci di unire un popolo, com’era avve-nuto durante la guerra di liberazione. A

tutt'oggi, nonostante la passata dittatura

comunista, il FRELIMO mantiene la

maggioranza dei voti e la RENAMO non

ne ha mai intaccato il potere. Direbbe Do-stoevskij: «Non basta confutare una bella

idea; occorre sostituirla con qualcosa di

ugualmente bello e forte; altrimenti, non

volendo rinunciare al mio sentimento, re-spingerò nel mio intimo la confutazione,

magari con violenza, checché altri ne pos-sa dire» (F. Dostoevskij, "L'adolescente",

Einaudi, Torino 1981, p. 56). Cominciano

invece a manifestarsi movimenti partitici

emergenti, slegati dalle vecchie ideologie,

dalle logiche di contrapposizione, e spinte

dalle proprie idee di sviluppo, come

l'MDM, che sta accumulando un crescen-te, ampio, consenso. Il colonialismo, dun-que, applicato nelle sue varie forme, quel-la della "separazione" (ne è un esempio

Nelson Mandela che ha potuto studiare fi-no a diventare avvocato già prima di esse-re rinchiuso per quasi trent'anni in prigio-ne) o quella dell’ "assimilazione" (pratica-ta, appunto, nelle colonie portoghesi), ha

cercato in ogni modo di intaccare la cul-tura locale, di aumentare l'odio, o almeno

la divisione tra i vari gruppi etnici o politi-ci, provocando come conseguenza con-flitti sparsi nello spazio e nel tempo che

sembrano non voler avere ancora fine, e

questo già a partire dalle prime indipen-denze, che ormai risalgono a più di cin-quant’anni fa, fino ad arrivare alle indi-pendenze acquisite più tardi (basti ricor-dare che il Portogallo ha continuato a in-viare coloni in Mozambico anche dopo la

seconda guerra mondiale), indipendenze

che hanno comunque portato con sé, nel

bene o nel male, l’introduzione di nuove

ideologie non sempre coerenti con le

identità africane. In particolare il Mozam-bico, con le due guerre, una di liberazione

e una, purtroppo, civile, ha percorso un

cammino tortuoso e difficile. La sua Cul-tura si basa fondamentalmente su principi

e valori che si tramandano di generazione

in generazione (i punti di riferimento cro-nologici sono eventi particolari, per esem-pio: "è accaduto quell'anno, due anni dopo

che c'è stata l'alluvione" ecc.), infatti, si di-ce che prima sia nato il suono e poi sia sca-turita la creazione (nelle altre culture ad

essere preesistenti sono gli dèi); anche per

questo quando muore un anziano, e con

lui muore una parte della memoria collet-tiva, “una biblioteca va a fuoco”. Tuttavia,

dopo una così lunga depressione scolasti-ca (nei primi tempi gli insegnanti sono ar-rivati dalla Tanzania e dallo Zambia, da

Cuba, dalla Russia, e dai paesi comunisti)

e una così lunga assimilazione, ben poco

rimane dei racconti, dei miti, delle tradi-zioni precedenti. Come spesso accade in

molti paesi, la loro ricostruzione è affidata

all’iniziativa dei singoli, alla capacità indi-viduale di camminare “nella folla” con pas-so spedito, senza paura di sbagliare dire-zione, a chi cioè saprà fermarsi giusto il

tempo di raccogliere le proprie personali

“molliche di Pollicino”. per poi ripartire.

La lunga evoluzione di una

"libertà responsabile" univer-sale: amici, nemici, vecchi e

nuovi ideali.

Cattedrale di Nampula, località in cui è nata Chiara, la prima figlia di Sofia

Catedral velha de Quelimane, luogo di nascita di Sofia

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Folli 23

Francesco di Pietro Bernardonelo Steve Jobs del duecento

Humilissimi omnipotenti homini de nostro tempo, vita vestra est, non d’altrui,

libertas vestra est etiam de cogitare et opinio universa sclavo non faciat lo pensier

vestro. Anima vestra e lo cor seguitate, lo sentiero ve diranno de vestra vera

vita e quanto avrete fatto sarà lieto e tale.

Anima cetera non valet, de fame mae satii et furiosi sempre.

(Steve Jobs, traduzione in volgare umbro del 1200 di Stelvio Sbardella)

[Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimaneteintrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciateche il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiateil coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nelconoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario. Siate affamati. Siate folli.]

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Folli24

Dal “Cantico delle Creature” alTablet di Apple; da Francesco a Steve;

manager e predicatoriattraverso i secoli

Il contesto storico,economico e culturale

nel quale è nato ilprogetto francescano

Il materialismo scientifico comuni-sta ci insegna che per comprende-

re un fenomeno politico-sociale perprima cosa occorre conoscere il con-testo storico nel quale è sorto e si èmanifestato, dato che è la realtà ma-teriale che genera le idee e, dunque,per comprendere il messaggio spiri-tuale e materiale del Francesco delduecento, occorre conoscere (alme-no un poco) questo duecento e spe-cificamente quello assisano nel con-testo politico, economico e culturaledel sud europeo dell’epoca. Parliamodel sud Europa poiché in quel tem-po, e ancora per diversi secoli a veni-re, la penisola italica, in virtù della

toscani, marchigiani, ecc.). L’Assisidel duecento si trovava, non solo aridosso del centro di potere dellaChiesa Romana, ma anche sulla rot-ta dei più grandi processi economicie politici dell’epoca. Lungo la “ValleUmbra” transitavano infatti non so-lo merci e mercanti dal sud al centrodell’Europa, ma anche eserciti impe-riali e con (o dietro) loro idee politi-che e conoscenze scientifiche e tec-niche. Al riguardo basterà ricordareche poco più di duecento anni piùtardi (all’epoca il tempo scorrevamolto più lentamente) a Folignovenne allestita la prima tipografiacon la stampa nel 1472 della DivinaCommedia di Dante Alighieri. Sedunque, seguendo la “provocazione”di copertina, volessimo attualizzareil ruolo dell’Assisi del duecento, for-se potremmo assimilarlo a quellodell’odierna Copertino della Califor-nia che, a sua volta, potrebbe esserel’Umbria dell’epoca.

sua posizione strategica al centro delmare circondato dal mondo alloraconosciuto, svolgeva un ruolo deter-minante per gli scambi economici equindi, necessariamente, culturali escientifici. A ciò va aggiunta la pre-senza nel cuore della penisola del“quartiere generale” della ChiesaCattolica Apostolica Romana che,con la sua struttura organizzativasostanzialmente militarizzata, si ra-mificava in tutto l’occidente. Quan-do parliamo dell’Assisi del duecentodobbiamo completamente cancella-re l’immagine dell’odierna piccolacittà di periferia, mèta di un impor-tante flusso di turismo prevalente-mente religioso (ma non solo), co-munque tagliata fuori dalla storiapolitica, economica e culturale nonsolo europea, ma della stessa piùpiccola Italia (nota: non se ne abbia-no a male gli assisani, la stessa con-siderazione vale per tutte le città, gliantichi “Comuni”, umbri, ma anche

DI SANDRO RIDOLFI

Parlare di Giovanni di Pietro Bernardone dei Moriconi, più noto con il no-me successivamente preferito dal padre di: Francesco, è un argomento

indubbiamente delicato. Non solo per la propaganda della religione cattolicache gli ha attribuito l’appellativo di “santo”, ma anche per il vastissimo mon-do anche dei non credenti che tendono ad attribuire a questo personaggiostorico virtù di messaggi sia spirituali che materiali di comprensione e paci-fica convivenza, non solo tra gli umani, ma anche tra questi ultimi e l’infinitàe molteplice varietà del così detto “creato”. Questo inserto pertanto non in-tende offendere o ferire le suscettibilità dei credenti, termine in questo casoutilizzato non in senso religioso (divinità), ma spirituale (aspirazioni dellacosì detta “anima”, sentimenti, sensibilità, ecc.). Come tutti gli inserti di que-sta rivista il discorso sul personaggio storico di Giovanni Francesco di Assisiha lo scopo di stimolare riflessioni, con gli opportuni approfondimenti, sullastoria sociale e politica dell’uomo, presupposto di conoscenza indispensabileper la comprensione del presente e per il progetto del futuro. Il titolo dellapagina di copertina “Lo Steve Jobs del duecento” esprime questa intenzione:indipendentemente dalla effettiva assimilabilità dei due personaggi storici(che va subito detto con onestà assolutamente improbabile), lo scopo è dianalizzare il Francesco del duecento per capire lo Steve del 2000. Lo faccia-mo con modestia e attenzione, segnalando sempre che, come per tutti gli in-serti della rivista, non ci sono pretese di enunciazioni scientifiche o filosofi-che, ma più semplici provocazioni di ragionamento e approfondimento. An-che su questo argomento, dunque, ben vengano altri interventi che aiutinoad approfondirlo, saranno pubblicati molto volentieri.

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Folli 25

Pietro di Bernardone era un ricco, for-se ricchissimo commerciante di stoffedalla Provenza francese all’Italia cen-trale e viceversa. Francesco, così comei suoi coetanei che successivamente loavrebbero seguito nella costruzionedella sua organizzazione religiosa, ap-parteneva dunque alla parte ricca dellasocietà dell’epoca. “Parte” e non “clas-se”, perché anche su questo aspetto oc-corre fare una importante operazionedi riallineamento di quel contesto sto-rico all’attuale. Noi siamo oggi abituatia concepire la società formata da unaserie articolata di classi economiche didiverso livello che degrada progressi-vamente dalla ricchezza alla povertà;ma anche quest’ultima con uno statussociale in qualche modo riconosciutoe protetto (n.b. tutto questo sino a og-gi, anzi fino a ieri, perché il domani staprefigurando una forte trasformazionedelle attuali classi sociali in termini diun radicale “sfoltimento” delle diversi-tà verso una divisione bipolare tra ric-chi, anzi ricchissimi, e tutti gli altri po-veri o comunque impoveriti). Ebbenenel duecento, e per molti secoli ancoraa seguire sino alla nascita della bor-ghesia mercantile del rinascimento, lasocietà era sostanzialmente divisa tra“umani” e “sub umani”. ParafrasandoSciascia si potrebbe dire che in quel-l’epoca: prima c’erano i ricchi, poi i re-ligiosi (cioè gli appartenenti all’orga-nizzazione della Chiesa), poi i fattoridei ricchi e dei preti, poi i militari, poiniente, poi niente, poi niente, poiniente, poi... infine i servi della gleba,contadini, pastori, operai e simili. Tra iprimi e gli ultimi c’era un vero e pro-prio baratro. Se volessimo fare un pa-ragone attualizzato occorrerebbe im-maginare la differenza economica, so-ciale e quindi culturale che esiste an-cora oggi tra i contadini o pastori di al-cuni villaggi della più povera Africacentrale o dell’Arabia e la ristrettissi-ma cerchia delle famiglie dei capi (tri-bù, principi, imperatori, sceicchi, ecc.)che studiano e viaggiano tra Parigi,Londra e New York. Come dire: Fran-cesco apparteneva alla famiglia dellosceicco e la grande parte del popolo as-sisano era nelle condizioni più o meno

degli “animali da soma”. Tornando alla“provocazione” di copertina Francescodi Assisi, come Steve di Copertino,avevano il “dono” della parola, cioè,dopo avere sufficientemente mangiatoed essersi curati, erano in grado di leg-gere e scrivere e quindi di pensare, al disopra della massa dei sottoalimentati,totalmente incolti pastori umbri nelprimo caso, e degli immigrati clande-stini centro e sud americani e dei neririchiusi nei ghetti nel secondo caso.Quando dunque pensiamo al “poverel-lo di Assisi” dobbiamo immaginareuna persona di grandissime disponibi-lità economiche e parimenti di elevatacultura e conoscenze. Un leader, unmanager internazionale, quale effetti-vamente è stato.

almeno in alcune parti dell’Europa iprimi segni del nuovo evo modernoche ufficialmente inizierà con lapubblicazione (non ancora a stam-pa) della Divina Commedia nellanuova lingua italiana-fiorentina. Lanascita della nuova lingua, checostituisce un segnale di grandeimportanza per significare l’avve-rarsi di un cambiamento epocale, vanon a caso riferita proprio aFrancesco di Assisi con il suoCantico delle Creature (a parte unpiù o meno coevo rogito notarile delnapoletano). Francesco, come dettoricco e colto, scrive per la primavolta nella nuova lingua; un grandecambiamento era in corso e lui lo hapercepito con straordinaria luciditàe lungimiranza. Stava finendoun’epoca economica e sociale; la ric-chezza per quanto concentrata inpoche mani, come la cultura e laconoscenza, era comunque uscitadal chiuso dei monasteri e dellachiese. Stava nascendo un nuovopotere e sapere autonomo e poten-zialmente antagonista a quello dellaChiesa Cattolica. Francesco lo haintercettato e “incanalato”, in que-sto assistito dalla non comune intel-ligenza politica del Papa dell’epocaInnocenzo III, anche se responsabilequest’ultimo delle più feroci crocia-te sia contro i musulmani d’oriente,che contro i cristiani eretici del suddella Francia, nonché e soprattuttoistitutore della “Santa (?)Inquisizione”.

Francesco è vissuto circa 44 anni;una vita breve, ma di molto piùlunga della media dei “sub umani”del tempo; eppure in quei non moltianni è riuscito a compiere attività erealizzare progetti assolutamentestraordinari. Steve Jobs è vissutododici anni di più e per quanto sicu-ramente straordinarie siano stateanche le sue realizzazioni, se rialli-neate le epoche, non si è neppureavvicinato a quelle di Francesco. Nelduecento italiano siamo ancora nel“basso medioevo” ma già appaiono,

Parti e classi,umani e sub umani,

il “dono” della lingua

Francesco il “poverello”e Innocenzo IIIl’ “inquisitore”

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Folli26

Francesco iniziò la sua attività di predi-catore nel 1208, dopo una lunga crisi diidentità iniziata nel 1205 in seguito agrave malattia che lo aveva colpito aSpoleto mentre era in viaggio verso laPuglia per unirsi ai crociati nell’ennesi-mo tentativo della conquista diGerusalemme. Nei 18 anni successivicompirà azioni e attività straordinarie,tentando più volte di raggiungerel’oriente musulmano, dapprima attra-verso la Siria e poi il Marocco, vi riuscìinfine in Egitto dove incontrò il Sultanodiscendente dal “feroce” Saladino. Luivivente il suo ordine ebbe una diffusio-ne in tutta Europa enorme, al puntoche il suo stesso fondatore temette diperderne il controllo e così scrisse unaseconda regola, assai più morbida dellaprima, ma tutta fortemente incentratasull’organizzazione gerarchica dell’or-dine che garantisse a lui e alla suaristretta cerchia di fidati il controllototale. Fondò anche un ordine parallelofemminile, quello delle Clarisse (daChiara, sua compagna d’infanzia) cheebbe anch’esso uno straordinario suc-cesso di adesioni, anche per la diversaimpostazione meno “reclusoria” deiconventi femminili dove, in effetti,all’epoca e per secoli e secoli a venirevenivano rinchiuse a vita le femmine“soprannumerarie”, cioè non idonee

per numero di sorelle, doti fisiche emezzi economici della famiglia, adessere coniugare e partorire la prosecu-zione della specie. Tornando a questopunto al parallelo con la Steve Jobs del2000, creatore della straordinaria Applema largamente secondo rispetto alpadrone della quasi monopolistaMicrosoft, Bill Gates, occorre conclude-re che Francesco lo superò di granlunga per doti manageriali.

la propria vita. Quale? A ciascuno lapropria scelta. Il messaggio diFrancesco è invece diametralmenteopposto. In un mondo arretratissimosotto ogni aspetto, Francesco lancia aipoveri del mondo, oramai sull’orlodella rivolta al potere millenario dellaChiesa e dei così detti nobili, il mes-saggio della soggezione, della sotto-missione, della rinuncia a ogni spe-ranza in terra, con la promessa delriscatto nel dopo morte. Come dettoil Papa Innocenzo III, inventoredell’Inquisizione, percepì quasi alvolo l’importanza del messaggio diFrancesco che, nella sostanza, legitti-mava e rinforzava il potere temporaledella Chiesa e il dominio dei ricchi edei potenti sui poveri, Così InnocenzoIII da un lato massacrò ferocemente icosì detti “eretici” che, invece, aveva-no cominciato a contestare le prevari-cazioni, e dall’altro legittimò l’ordinedei poveri sottomessi. Ringraziate idoni del sole, dell’aria e dell’acquache vi ha offerto il Signore e speratenella prossima vita oltre la morte,predicava Francesco; siate padroni divoi stessi, della vostra vita e delvostro destino, “Non rimanete intrap-polati nei dogmi, che vi porteranno avivere secondo il pensiero di altre per-sone”, ha ribattuto Steve Jobs. Vieneda concludere: il Tablet ha battuto ilCantico delle Creature. Un suggeri-mento agli “eretici”: santificate SteveJobs e abbattete tutti i dogmi, acominciare da quelli della fede!

Resta l’ultimo paragone in merito almessaggio lasciato da Steve Jobssostanzialmente alla vigilia della suamorte (messaggio che abbiamo volutotradurre, per curiosità e grazie algrande talento di Stelvio Sbardella,nell’italiano umbro del duecento):“Siate affamati, siate folli”. Ebbene inquesto caso invece il paragone è deci-samente perdente per Francesco. Purrestando attentamente (e non avrebbepotuto essere diversamente per unimprenditore produttore e commer-ciante) nel più spinto capitalismoconsumista, Steve Jobs sembra lancia-re comunque un messaggio, in qual-che modo ed entro certi ben precisilimiti, rivoluzionario. Capitalismoindividualista sì, consumismo sfrena-to pure, ma sempre pronti (in teoria)a “buttare in aria tutto”, pur di vivere

Viaggiare, legiferare,comandare:

un manager del 1200

L’elogio della libertàdell’uomo e la sotto-

missione al “Creatore”

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Lisbon 27

Lo scettro del cinemaun gigantesco microfono che registra

i rumori del mondo, della vita

Si possono riprendere i suoni? No, al mas-simo si riprendono gli oggetti da cui si ot-tengono. Si può vedere un suono? Forse, ibambini che registrano “per caso” costrui-scono una splendida storia sui rumori cheil fonico produce. I bambini. “Ascolto sen-za guardare e così vedo”. Le parole e Pes-soa (“nessuno” in lingua portoghese), una

fede che smuove le montagne, sono co-munque il nulla. La parola è testimonian-za della memoria collettiva… poi si spa-lanca una porta e il fado irrompe con iMadredeus, chitarre piangenti e bare aforma di cuore. Togliete una lettera allaparola “suono” e aggiungetene un’altra.Verrà fuori “sogno”.

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Trama

"Lisbon story" è un bellissimo filmsul cinema uscito nelle sale nel 1995,che porta la firma del grande autorecontrocorrente Wim Wenders. L'au-tore tedesco si tiene lontano dalleconsuete forme di spettacolo cine-matografico che utilizzano le capitalieuropee di grande prestigio al soloscopo di esibirle al pubblico; qui Li-sbona viene offerta agli spettatori inuna dimensione nuova: nello splen-dore di un significato remoto, a lun-go ricercato, che riemerge da unastoria in parte ancora in vita e capacedi dare emozioni. E' una Lisbona al-tra, che non si lascia ammirare soloper le sue bellezze paesaggistiche edarchitettoniche ma anche per ciò cheracchiude nel suo spirito più antico,costituito da enigmi profondi, ricchidi fascino ed a volte sconfinanti nelmistero. La pellicola sembra voler ri-chiamare i media ad una maggioreattenzione verso lo spirito anticodelle capitali europee, come se in uncerto senso questo fosse parte di noie potesse in qualche modo contra-stare l'invasione di una modernitànon sempre rispettosa del passato.Philip, tecnico del suono, trova unmessaggio di un suo amico registache lo chiama a Lisbona per aiutarloa finire un film che sta girando. Arri-vato a Lisbona non trova il suo amicoFriedrich, ma dopo qualche giorno

passato nella sua casa trova del ma-teriale girato da lui e comincia a la-vorarci sopra. Gira per la città percercare e registrare suoni. Poi incon-tra Teresa, la cantante del gruppoMadredeus che sta registrando la co-lonna musicale del film e si innamo-ra di lei. Quando finalmente ritrovail suo amico lo trova in preda a unagrottesca ossessione: ha ripreso cen-tinaia di ore di pellicola della città diLisbona, puntando la macchina die-tro le spalle per non vedere le imma-gini mentre gira. È arrivato alla con-clusione che l'occhio del fotograforovina le immagini, le rende false econtaminate. Philip lo richiama interra, lo convince che anche nel-l'epoca dell'inquinamento visivo sipossono ancora fare dei film e rico-minciano a girare il loro film in mo-do "tradizionale". I momenti piùbelli e poetici del film sono quelliquando Philip ascolta suonare i Ma-dredeus. La loro musica è la tipicamusica popolare di Lisbona, il "fa-do". "Fado" esprime malinconia, tri-stezza, nostalgia per ciò che si è per-duto o il rimpianto per ciò che si èmai raggiunto. Spesso cantato dadonne e accompagnato dalla chitar-ra, il "fado" è l'anima profonda delPortogallo. La bellezza della musicadi Madredeus e la dolce, ma espres-siva voce della loro cantante rende-rebbero da sole il film degno di esse-re visto.

“Lisbon Story” un film di Wim Wenders

Critica

Quanto è sincera un’immagine? Può,ingabbiata nella cornice di una foto-grafia o dello schermo del cinema,restituire davvero la purezza della vi-ta oppure, essendo frutto di una scel-ta, di una selezione, di un punto divista, è comunque sempre soggettivae quindi privata, personale e, in findei conti, menzognera? Sono questele domande cui tenta di rispondere ilfilm di Wim Wenders, una riflessio-ne sul ruolo dello sguardo e sul valo-re del cinema. I tempi cambiano(l’Europa unita ha infranto le barrie-re e allargato lo spazio dell’orizzontedove lo sguardo, appunto, e il cine-ma possono inoltrarsi) ma la ricercadi autenticità che c’è dietro ogniesperienza artistica è sempre la stes-sa. Convocato da Friedrich, un regi-sta che gli chiede aiuto nella realiz-zazione di un film, il tecnico del suo-no Phillip si reca a Lisbona e scopreche il suo amico è sparito nel nulla.La ricerca dell’uomo diventa cosìun’immersione nello spirito della cit-tà – una Lisbona che affianca allesuggestioni dell’antico l’impeto delmoderno – di cui Phillip (e Wenders)cerca di cogliere l’essenza ascoltan-done i rumori, nella convinzione chedove lo sguardo fallisce, forse l’uditopuò essere essenziale nel captarne ilbattito nascosto.

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Lisbon 29

Le impronte sonore ricostruisconola memoria di un luogo, così le trac-ce dell’amico (che spesso si fannoconfuse per colpa o per merito di al-cuni ambigui personaggi) racconta-no di un percorso di ricerca intri-gante ma non ancora ultimato. For-se rimanendo sintonizzato con ilfruscio di Lisbona, tutte le verità (diFriedrich, della città, della vita stes-sa) si riveleranno. O forse sarà op-portuno tenere comunque gli occhiaperti? Una storia appassionante epiena di suggestioni in cui Wendersgioca con la scatola del cinema e sidiverte, come altre volte, a imbasti-re un mistero e a scioglierlo in mo-do sorprendente. È un film in cuiabbondano le riflessioni teoriche ele citazioni raffinate, animate dauno spirito cinefilo molto ricercatoche forse potrebbe non essere pertutti i gusti. Molti gli omaggi allasettima arte (Dziga Vertov, BusterKeaton, Federico Fellini – mortol’anno prima e dedicatario del film –e Manoel de Oliveira, che interpretase stesso) e un finale sorprendenteche stimola anche chi non è abitua-to a un certo tipo di speculazione fi-losofica, a interrogarsi insieme alregista su quale sia il ruolo dellosguardo – e quale, fondamentale, lafunzione del cinema – in una societàtumultuosa come quella che si af-faccia sul terzo millennio.

Qual è il ruolo del regista cinematogra-fico nel mutato ruolo dei media?Il ruolo del cinema è cambiato. Quandoho cominciato io il ruolo era chiaro: uncinema di regia. Ora i film hanno ottenu-to una funzione diversa perché è cambia-ta la realtà. Ci sono altre professioni chenon hanno fatto bene il loro lavoro.Quando ho iniziato il ruolo della chiesa edella politica erano molto importantinella nostra vita. È cambiato il ruolo delregista.Lei è un insegnante, oltre che un regi-sta, cosa ritiene importante insegnareai suoi studenti?Il mio compito come insegnante è apriregli occhi alla gente. Gli insegnanti pre-sentano immagini chiuse. Da dieci anniinsegno, non Storia e Critica del Cinemama Cinema Digitale. Non certo perchénon mi piace la storia del cinema ma per-ché la realtà è quella di oggi. Alla fine i ra-gazzi usciranno e dovranno avere glistrumenti. Non la storia quindi ma il fu-turo. È un compito non facile. Non esisteil cinema senza la sua storia ma il cinemadel futuro è diverso. Devo prepararli al-l’era del digitale per fare cose che noi nonci sognavamo nemmeno. Ho iniziato co-me regista a lavorare con gente che avevalavorato nel muto. Il primo direttore del-la fotografia veniva dal muto. Sono fortu-nato perché ho questo bagaglio. Ora la-voro con microcamere che hanno cam-biato la storia del cinema. Io desideroaprire gli occhi agli studenti e alla gente.Dalle lunghe inquadrature del cielo so-pra Berlino è passato a un linguaggiopiù secco con un montaggio più diste-

so, meno osservato. Quanto è impor-tante il montaggio?Il montaggio è tagliare tutto. Ore e ore digirato devono essere condensate in dueore di film. Puoi filmare per due anni e poiridefinire totalmente ciò che hai scritto efilmato. Dieci montatori diversi con lestesse immagini montano un film diver-so. Il montaggio è molto importante. Ioagli inizi non ne avevo idea. Io giravo eper me era tutto molto importante. Manon era montaggio era assemblaggio, ungiorno è arrivato da me un giovane moltoarrogante, lui aveva 24 anni, io 25 e mi hadetto “Tu non capisci niente di montag-gio. Faccio io il montaggio.” Mi sono fida-to di lui perché sapeva il fatto suo, ma poiho scoperto che aveva fatto l’assistente almontaggio. Allora gli risposi, dai fammivedere” E lui tagliava, tagliava, tagliava eio soffrivo. Da allora è rimasto con me esiamo diventati come gemelli. Non utiliz-za un metodo. Ognuno ha un suo ap-proccio, deve conoscere ogni singola in-quadratura. Si immerge per 12 ore al gior-no e conosce tutto. Ogni volta so che luidentro tutto il materiale trova tutto il filmche io avevo nella testa. Abbiamo semprefatto molte liti. E ha sempre vinto lui.Esiste in Germania come in Franciauna legge che protegga il cinema?In Germania come in Italia non esisteuna legge protezionista. Il cinema va aiu-tato, ad esempio nel marketing e nella di-stribuzione. Non si può mettere il cinemain un acquario come una cosa da salvare.In Germania il cinema è sovvenzionato eben distribuito. Il cinema non ha bisognodi protezioni ma di progetti.

Intervista al regista Wim Wenders

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Lisbon30

collaborare con Peter Handke per i dia-loghi e con Bruno Ganz, a cui affida ilruolo del protagonista, l'angelo che vuo-le diventare uomo. Nel 1991 conclude Fi-no alla fine del mondo, al quale ha lavo-rato a più riprese per circa vent'anni edove il tema del viaggio attraverso i con-tinenti viene recuperato e intrecciatocon quello dell'amore e del progressotecnologico. Il film si caratterizza per lasplendida colonna sonora, alla quale col-laborano artisti come U2, Talking Heads,Lou Reed, Nick Cave e R.E.M., Gira poi ilseguito del Cielo sopra Berlino, Così lon-tano, così vicino del 1993, e nel 1994 Li-sbon Story, di nuovo con Rüdiger Voglere Patrick Bauchau. Insieme a Michelan-gelo Antonioni dirige nel 1995 Al di là

delle nuvole, opera che segue gli sviluppidi quattro storie ambientate rispettiva-mente a Ferrara, Portofino, Aix-en-Provence e Parigi. Tra il 1991 e il 1996Wenders è a capo della European FilmAcademy, di cui ancora oggi è il presi-dente, e dal 1993 è professore onorario al-l'Accademia del cinema di Monaco. Se-guono poi Buena Vista Social Club, emo-zionante incontro col musicista Ry Coo-der, Compay Segundo e altri grandi au-tori e interpreti della musica cubana, The

Million Dollar Hotel, giallo con Milla Jo-vovich e Mel Gibson che vincerà l'Orsod'argento al Festival di Berlino, l'amaroLa terra dell'abbondanza, girato a LosAngeles e Non bussare alla mia porta del2005, contraddistinto dalle stesse tema-tiche di Paris, Texas. Ha poi contribuitocon Invisible Crimes, episodio di 24 mi-nuti per Invisibles, documentario del-l'organizzazione umanitaria MédecinsSans Frontières presentato a Berlino ed aCannes nel 2007. Nel 2011 ha presentatoil suo lungometraggio in 3D Pina, tributoala ballerina Pina Bausch.

Wim Wenders è nato a Düsseldorf il 14agosto 1945. Esponente di primo pianodel Nuovo Cinema tedesco, ha conosciu-to il successo internazionale dirigendopellicole quali Lo stato delle cose, Paris,

Texas e Il cielo sopra Berlino che gli han-no valso numerosi riconoscimenti di ca-rattere internazionale. Palma d'oro aCannes nel 1984, ha inoltre ricevuto ilLeone d'oro alla carriera alla Mostra delCinema di Venezia nel 1995. Figlio di unmedico, dopo il liceo si iscrive a medici-na (1963), facoltà che abbandona primaper seguire i corsi di filosofia (1964) e poiper dedicarsi alla pittura. Nel 1966 si tra-sferisce a Parigi e qui lavora come inciso-re nello studio dell'artista americanoJohnny Friedlander. Inizia a frequentarele lezioni dell'IDHEC e trascorre interegiornate alla Cinémathèque, dove vedeanche cinque film di fila. In seguito tor-na in Germania, e dal 1967 al 1970 è stu-dente dell'Accademia del cinema di Mo-naco. Il suo primo corto, Scenari, è del1967 mentre l'anno successivo realizzaLo stesso giocatore spara di nuovo. Sem-pre nel 1968 inizia a collaborare con la ri-vista Filmkritk e il quotidiano Süddeut-sche Zeitung come critico cinematogra-fico. Alla fine degli anni sessanta e sullascia della Nouvelle Vague francese, nascein Germania il movimento del Nuovo ci-nema tedesco. Tra i suoi rappresentanti,oltre a Werner Herzog, Rainer WernerFassbinder, Edgar Reitz e Alexander Klu-ge, c'è Wenders. Intanto nel 1970 il regi-sta gira il suo primo lungometraggio:Estate in città. Seguono La paura del por-tiere prima del calcio di rigore del 1971,sceneggiato con Peter Handke, e, l'annodopo, La lettera scarlatta, film ambien-

tato nell'America puritana del XVII seco-lo. Il tema del viaggio è invece al centrodi quella che è stata poi definita "la trilo-gia della strada". Il primo film che com-pone la trilogia è Alice nelle città del 1973che racconta l'amicizia tra un giovane re-porter e una bambina. L'opera riceve ilpremio della critica tedesca nel 1974 e,ancora oggi, viene considerato uno deilavori più riusciti del regista. Gli altri filmdella trilogia sono Falso movimento e Nel

corso del tempo e, come nel precedente,anche in questi due ad interpretare ilprotagonista è Rüdiger Vogler. Arrivanoper Wenders i primi riconoscimenti in-ternazionali: il Golden Hugo al ChicagoFilm Festival e il premio FIPRESCI al Fe-stival di Cannes. Nel 1975 fonda la casa diproduzione "Road Movies" e in seguitodirige L'amico americano, con BrunoGanz e Dennis Hopper nel ruolo dei dueprotagonisti. Wenders si trasferisce negliUSA per circa quattro anni. Durantequesto periodo dirige Lampi sull'acqua -Nick's movie, film-testamento sull'amicoe regista Nicholas Ray, malato terminaledi cancro. Seguono Hammett, una "de-tective story" con Frederic Forrest, trattadal romanzo di Joe Gores, e Lo stato delle

cose nel 1982. Ambientato in Portogalloe a Los Angeles, quest'ultimo lavoro rac-conta la vicenda di un regista rimastosenza soldi e pellicola per continuare ariprendere. Il film, con Patrick Bauchaunel ruolo principale, viene premiato conil Leone d'Oro al Festival di Venezia. Il fe-stival di Cannes lo premia nel 1985 con laPalma d'oro per Paris, Texas, scritto conSam Shepard, mentre gli conferisce ilpremio come migliore regista nel 1987per Il cielo sopra Berlino, in cui torna a

Wim Wenders, vita e filmografia

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Baci 31

Non il cielo – una cupola senz’ariaSul biancore spoglio delle case,

Come se qualcuno, indifferente, avesseStrappato il manto dalle cose e dai volti.

L’oscurità – quasi fosse l’ombra della luce,La luce – quasi fosse il riflesso dell’oscurità.Ma c’è stato il giorno? E questa è la notte?

Non siamo forse il sogno torbido di qualcuno?

Guardo tutto con sguardo perspicace,E poiché la mia quiete è stranamente assopita,-

Guardo la tua bocca, su cui giaceL’impronta di baci non miei.

Sia pure falsamente soave, falsamente costanteIl tuo sguardo sotto le palpebre stanche, –

Ah, forse può essere colpevoleUna persona sotto questo cielo!

(Sofija Parnok, "In una notte bianca", 1915)

Storie curiose di baci

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Baci32

"Bacio che sopporti il peso / della mia

anima breve / in te il mondo del mio di-scorso / diventa suono e paura" (Alda

Merini). Pare che il "basium" latino (da

non confondere col similare "osculum",

o col “savium”) derivi dal sanscrito

"bhadd", letteralmente "aprire la boc-ca"; mentre in greco il termine che de-signa l'atto del baciare ("io bacio") è

"cunèo" da cui derivano, in tedesco,

"kusz" ("bacio") e "kussen" (baciare), e,

in inglese, rispettivamente, "kiss" e "to

kiss"; in persino invece i termini usati

sono "bons" e "bonsiden" (si veda A.

Bassi, "Storia del bacio", Odoya, Bolo-gna 2009). Cosa sono e cosa significano

tutte quelle sequele di baci con cui gli

uomini hanno imparato ad esprimersi

da milioni di anni? Sono "lunghi sogni"

dal risveglio incerto, per dirla con A.

Block, sono quindi forme espressive di

confine, a metà tra la vita e la morte, il

cavillo giuridico e la catarsi, un linguag-gio spudorato a prescindere, che male si

adatta ai salamelecchi: "Quel bacio sen-za rumore: / labbra di sasso – / così si

bacia la mano /ai morti, alle signore…"

(M. Cvetaeva); ma certo è andata peg-gio a tutti coloro che per mostrare defe-renza hanno dovuto abbracciare le gi-nocchia di Nerone. Non a caso, anni e

anni dopo, ma in una condizione simi-le, il capitano normanno Rollone, di

fronte a Carlo il Semplice, al momento

di rendere omaggio, "[…] non volle in-chinarsi davanti al re e afferrò il suo pie-de e se lo portò alla bocca e il re, tra le ri-sate degli astanti, fece un capitombolo"

(Nyrop, "Storia del bacio", p. 17, cit. in A.

Bassi, "storia del Bacio", p. 22). (Al di là

delle dicerie su francesi e olandesi, par-rebbe che siano gli inglesi i tipi più

espansivi in tal senso: "quando giungi in

un posto ti baciano, quando devi partire

ti baciano. Vieni baciato tutte le volte

che incontri una persona. In ogni posto

vieni sempre baciato e se hai provato il

gusto e il piacere del bacio, mio caro

Faust, desidererai di rimanere in esilio

in Inghilterra per tutta la tua esistenza"

(Erasmo da Rotterdam, "Epistolae Fa-miliares", 1522, in A. Bassi, "storia del

Bacio", p. 16). Secondo i Vangeli serve

un bacio per tradire, mentre, stando a

Shakespeare, un bacio può essere persi-no la causa diretta di una morte, in per-fetto stile Romeo e Giulietta; con la stes-sa velocità un bacio, indentico a qualun-que altro, potrebbe benissimo anche

rendere immortali (a condizione, certo,

che si tratti di un bacio da parte della

persona amata: "Fu il tuo bacio, amore,

a rendermi immortale" - Margaret Ful-ler). Che stia a indicare una virgola ("Un

bacio può essere una virgola, un punto

interrogativo o un punto esclamativo. È

una fondamentale regola di lettura che

ogni donna dovrebbe conoscere" - Jean-ne Bourgeois, alias Mistinguett, polie-drica attrice francese del secolo scorso,

dicembre 1955), un punto e virgola, un

punto fermo, un punto esclamativo o

un grande, enorme, punto di domanda

all'interno del linguaggio amoroso, co-munque sia dicevamo (stando a Guy de

Maupassant), "Un bacio legale non po-trà mai valere un bacio rubato". Proprio

come un pasto gratuito, regalato o

"scroccato", avrà sempre (con buona pa-

Da mi basia mille. Un complicato e versatile "omaggio"

ce di Dante) un sapore migliore di quel-lo pagato di tasca propria. E infatti il ba-cio, più prosaicamente, nasce per esi-genze (pur sempre romantiche) nutriti-ve: in tempi remoti (per intenderci: non

solo non erano stati inventati gli omo-geneizzati, ma nel menù non c'era a di-sposizione nemmeno la carne cotta)

probabilmente è stato a lungo un esca-motage per passare il cibo dalla madre

al figlio da svezzare. Poi è diventato un

mezzo per suggellare (anche il sigillo è

una sorta di bacio) un patto: il "baciati-co" nel medioevo era una pratica utile,

durante gli sponsali, a promettere o ad

assegnare alla futura sposa una dona-zione (possiamo immaginarne la capi-tale importanza all'interno di un "diritto

di famiglia" agli albori); si tratta della di-retta derivazione di un'usanza romana

secondo cui la "fidanzata", qualora alla

promessa si fosse accompagnato un ba-cio, aveva diritto alla metà delle cose ri-cevute in dono per il suo matrimonio

anche in caso di morte prematura del

futuro marito.

DI SARAMIRTI

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Baci 33

Il bacio rappresenta un ponte, fisico e

metafisico, la sospen-sione della real-tà nell'intervallo tra un suo mutamen-to e un altro, e concretizza in sé una

gamma pressoché infinita di saluti (di

cortesia, di addio…) e di sinonimi

amorosi, tanto che sembrerebbe in-carnare facilmente il punto fermo al-l'interno di un discorso; invece io ba-cio rappresenta l'inizio o la fine di un

qual si voglia capoverso. Si bacia la

terra (come Agamennone di ritorno

dalla guerra di Troia), si baciano og-getti cari, reliquie, immagini conside-rate sante, la mano altrui o la propria

mano (affinché sia in grado di veicola-re i nostri sentimenti quando tocche-remo il nostro ospite, colui che ci ha

fatto una sorpresa o un regalo gradi-to), gli amici, i nemici, la persona

amata (e male fece Adamo nell'Eden a

inaugurare tale pratica), ma anche

animali, esseri immaginari e magici…

Vi siete mai chiesti per quale assurdo

motivo una "principessa" (e va da sé

che ogni ragazza lo è, e che ogni don-

na rimane una ragazza improrogabil-mente fino ai 120 anni) debba, per tra-dizione, andarsi a cercare un principe

azzurro tra i rospi di qualche stagno?

Per non farsi troppe illusioni sul pro-prio futuro coniugale tutto gargarismi

e occhi "palpati" davanti alla tv? Natu-ralmente, sempre per tradizione co-stringe anche i principi a baciare ser-penti che poi si muteranno per incan-to in altrettante mogli. Si sa, "il bacio

di chi ama è nettare; il bacio dell'indif-ferente è acqua di fonte; il bacio del

malvagio è veleno" (cit. in A. Bassi,

"storia del Bacio", p. 28). Il bacio è an-che una battuta d'arresto, pardon

"d'aspetto" (definizione usata nel cine-ma e nel teatro) in ogni storia, l'attimo

in cui tutto si risolve nella consacra-zione del protagonista o nel sacrilegio

perpetrato a danno dei suoi valori. Bal-zac sosteneva che "vi sono delle grada-zioni nei baci", proprio come vi sono

gradazioni differenti nei colori del

mattino: variano allo stesso ritmo con

cui si assesta la sensibilità al dolore di

ciascuno nei diversi momenti della vi-ta. esistono baci "scherzosi", "umori-stici", "d'ammirazione", "fatali", "vul-canici", "disperati", "dongiovanne-schi", baci che sono doverosi (come

quelli scambiati durante le iniziazioni,

o l'ingrasso alle corporazioni) e baci

che altro non sono se non una moder-na trappola fatta scattare da specifici

giochi di società (nascono e cadono

come foglie: solo a nominarli sarebbe-ro già desueti), baci che vengono evo-cati per dire qualcosa d'altro, al di là di

ogni ambizione romantica: "baciare il

chiavistello" sta per "andarsene e non

tornare più", mentre "baciare il cate-naccio" vuol dire "rendere omaggio".

Esistono bevande (persino l'acqua può

essere reclutata tra queste), dolci, cibi

prelibati ("al bacio"), la cui "dolcezza"

(ma meglio sarebbe dire la dose di eb-brezza provocata) può essere assimila-bile ad un bacio; ed esistono uomini

(ma a dirlo è quel chiacchierone di So-crate), come i Falangi, alti nemo di

mezzo obolo eppure capacissimi di far

impazzire e causare dolori terribili col

tocco delle labbra, o forse con un mor-so velenoso (mai baciare "un bello", ti

renderebbe schiavo, intossicandoti

perdutamente). Sarà per questa sua

infida pericolosità che, per aver scritto

sull'argomento, a Monsignor Giovanni

della Casa (1503-1556) venne impedito

di vestire i panni di cardinale; pare

dunque che "l'osculum pacis" sia una

speranza al di là da venire, oppure sia

tutto un fraintendimento: "Ne è rima-sta memoria [del bacio di pace] nel-l'antico irlandese, in cui la parola

"poc" che deriva dal latino "pax", signi-fica "bacio" e non "pace". Questa tra-sposizione di significato deve attri-buirsi almeno in parte a un'errata in-terpretazione delle parole pronuncia-te dal sacerdote quando baciava il pe-nitente: "pace do tibi" (ti do la pace). I

fedeli che consideravano il bacio l'atto

più importante, pensavano che "pa-cem" si riferisse ad esso" (Nyrop, "Sto-ria del bacio", p. 66, cit. in A. Bassi,

"storia del Bacio", p. 97). Il bacio più

sacro è quello che sancisce l'alleanza

tra due "amanti impossibili", e la pro-gressiva cooptazione di uno sull'altro:

bene e male (come San Francesco e il

lebbroso), vita e morte (Pigmalione e

Galatea)… Quello più umano è il bacio

che si scambiano i protagonisti del-l'Opera: è l'elemento indispensabile

affinché un patto sia stretto o violato,

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Baci34

affinché un dramma abbia inizio,affinché l'eternità promessa diven-ti eterno distacco. Un bacio insie-me d'amore e di odio evoca la "Car-men" di G. Bizet, mentre il bacio diTosca è negazione e morte, infineper Bufferfly si tratta di una nuovatradizione, che ella trova forte eradicata e che contribuirà ad allon-tanarla dalla propria gente. Pertornare ai nostri tempi, è ancorafin troppo diffuso l’equivoco chevuole veritiero il cosiddetto “para-dosso dei trovatori” (l’amore restatale a condizione di non essere ap-pagato): condizione che fa il giocodi una società che non ammettel’istaurarsi di strade secondarie,non ammette intrecci troppo per-sonali, ma preferisce affrontare, einevitabilmente vincere, gli indivi-dui uno per uno, senza che possa-no fare squadra in qualche modo.Ma il bacio, oltre a intessere lega-mi, come in una rivisitazione dellafavola di Cenerentola, sa risveglia-re le coscienze anche alle realtàpeggiori, facendosi persino mezzodi costrizione: nel I sec. a. C. fuproibito alle donne romane il berevino e contemporaneamente fuconcesso agli uomini di baciare inpubblico (cosa fino a quel momen-to disdicevole) le proprie mogli (ole proprie parenti), per verificarnel’alito. D’altra parte troppi bacipossono, a detta di Cicerone, arri-vare a consumare le labbra di unastatua del grande Ercole, immagi-niamoci allora cosa potrebbe acca-dere a un comune mortale, nonplasmato nel marmo, che ne abu-sasse. Insomma, da qualsiasi puntodi vista storico-culturale si vogliaesaminare la questione, il bacio,sia esso schioccato, mimato, im-maginato, concesso, negato, sia es-so lecito o illecito, rappresenta co-munque la china dopo la quale,nella buona o nella cattiva sorte,precipitano gli eventi. La speranzadi ogni agente coinvolto in unascena di bacio, va da sé, è che lapropria anima prenda infine vita,dimentica di essere stata creatadall'argilla in un momento in cui ilponte tra la terra e il cielo era an-cora percorribile, e proprio attra-verso un respirro, un soffio inten-so, senza distanze incolmabili,pro-prio come un “bacio”.

Torna:

“Torna sovente e prendimi,palpito amato, allora torna e prendimi,

che si ridesta viva la memoriadel corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue,

allora che le labbra ricordano, e le carni,e nelle mani un senso tattile si riaccende.

Torna sovente e prendimi, la notte,allora che le labbra ricordano, e le carni..."

(Costantino Kavafis)

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Carmen 35

Storia di una donna libera

“Io sono il fuocoche brucia i veli pallidi della notte,

io sono il fuoco che forgia le lame

delle battaglieche infiammano i tuoi occhi.

Tu mi guardi e tremi,mentre pallido

stringi ciò che non si prende.”

(Chiara Mancuso)

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Carmen36

Se leggessimo le parole dell’haba-nera di Carmen, senza conoscere

né l’autore né il periodo storico in cui

sono state scritte, sicuramente pense-remmo che siano state proclamate in

qualche manifestazione femminista

sessantottina, o magari cantate a Wo-odstock fra gli striscioni che inneg-giavano all’amore libero. E invece,

Carmen è stata scritta un secolo pri-ma della cosiddetta “rivoluzione ses-suale”, prima dei manifesti e delle oc-cupazioni in piazza e nelle università!

Sembra impossibile, ma questo

dramma di Mérimée ha precorso i

tempi e ha presentato un mondo che

l’uomo rifiutava di vedere: la ribellio-ne della donna, l’emancipazione fem-minile, una donna che prende co-scienza di sé urlando di essere “ nata

libera e libera morirà”.

Quando nel 1873 George Bizet de-cise di realizzare l’opera “Car-

men”, su commissione del direttore

artistico del Theatre National de

l’Opéra-Comique di Parigi, iniziò un

percorso in salita che lo fece ritardare

di un anno per la stesura della parti-tura, non riuscendo a trovare una

cantante che potesse interpretare la

parte di Carmen, scritta per voce di

mezzo-soprano: solo dopo mesi di

trattative Célestine Galli-Marié ac-cettò la parte dietro l’esoso compen-so di 2.500 franchi al mese! Ad opera

conclusa, nel 1874, all’inizio delle

prove, l’assistente del direttore arti-stico, du Locle, preoccupato per i co-sti ingenti dell’opera, la definì immo-rale e inadatta per il pubblico del-l’operà Comique, abituato a spettaco-li più “leggeri”, e cercò di convincere

i librettisti a cambiare almeno il fina-le. L’opposizione netta di Bizet non

fu gradita a questi ultimi, che non

credendo nel successo dell’opera,

cercarono di creare un vero e proprio

clima di “ammutinamento” all’inter-no del teatro, coinvolgendo cantanti

e musicisti, che giudicarono la musi-ca impossibile da eseguire e il libret-

to osceno. Tuttavia, le prove generali

convinsero la compagnia che in “Car-men” c’era qualcosa di geniale che va-leva la pena rappresentare e il 3 mar-zo 1875 andò in scena la prima: i ti-mori di du Locle si concretizzarono

nelle critiche graffianti sul libretto

non adatto alla Comique; la musica fu

criticata su fronti opposti, da una par-te considerando eccessiva l’attenzio-ne all’orchestrazione a scapito dei

cantanti, dall’altra i wagneriani criti-carono Bizet per aver adottato solo in

parte lo stile del maestro tedesco. I

primi due atti furono applauditi, ma

al terzo e al quarto seguì il silenzio. A

fatica andarono in scena le quaran-totto repliche previste e du Locle fu

costretto a vendere i biglietti a prezzi

stracciati per non rischiare il vuoto in

sala e il fallimento del teatro che na-vigava già in cattive acque. Bizet en-trò in depressione e tre mesi dopo

morì a soli trentasette anni, probabil-mente d’infarto o forse, come ipotiz-zò qualcuno, suicida, appena un gior-no dopo aver firmato per la rappre-sentazione a Vienna, che avrebbe se-gnato il successo di Carmen a livello

Mondiale, consacrandola come la ter-za opera al mondo più rappresentata

in tutti i tempi.

Carmen: dramma unico in quattro atti di G. Bizet

Ipiù importanti intellettuali e musi-cisti del periodo la giudicarono ge-niale e innovativa, intuendo la lun-

gimiranza di Bizet che iniziò uno stile

ripreso più avanti da Ravèl e Debussy

per citarne qualcuno. Perfino filosofi co-me Nietzsche e il giovane Freud apprez-zarono lo stile e il coraggio del verismo

dell’opera, che dipingono un nuovo per-sonaggio femminile, contrapposto alla

candida eroina romantica più simile alla

donna “angelo” dantesca. Sì, perché

Carmen è una gitana che lavora per vi-vere, emancipata, libera, spudorata,

senza fronzoli, ornata solo di una bel-lezza sfacciata che la rende l’alter-ego

femminile del Don Giovanni di Mozart.

Come nel Don Giovanni, la storia è am-bientata a Siviglia, trasformata nella cit-tà del “peccato”, piena di donne lascive,

contrabbandieri, briganti e zingari e

Carmen ne è la regina. Carmen, una si-garaia che fuma e vende le sigarette di

contrabbando, Carmen, che si fa beffe

degli uomini che strisciano ai suoi piedi

intonando il suo “manifesto ideologico”

con la celebre habanera: l’habanera è

una musica di danza nata in Spagna, ri-presa poi in America Latina; ha un rit-mo sensuale e cadenzato simile al tango

e le parole scritte dallo stesso Bizet, ne

esaltano i colori caldi e vibranti.

DI CHIARAMANCUSO

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Carmen 37

“L’amore è un angelo ribelle chenessuno può domare![…] L’amoreè uno zingaro per lui non esisteuna legge, quando credi di averlogià, lui vola via […]se tu non miami io ti amerò, ma se ti amo, at-tento a te!”

Una dichiarazione che rompecon l’ideale romantico del-

l’amore eterno e puro, che uniscegli amanti anche oltre la morte;per Carmen l’amore è un gioco,qualcosa che nessuno può posse-dere, fugace e passeggero, propriocome lei. E quasi per gioco posa gliocchi su l’unico uomo che non lavoleva: Don Josè, un semplice ser-gente, arrivato da poco a Siviglia,legato ad una brava ragazza delsuo paese, Micaela, e ai suoi valorifamiliari. Carmen gli lancia un fiore,quasi come un guanto di sfida.“Se tu non mi ami, io ti amerò!”L’occasione per conquistare don Josè sipresenta di lì a poco: Carmen sarà arre-stata proprio da Don Josè per aver feri-to, durante una lite, una ragazza chelavorava con lei. Durante la notte incella, Carmen farà di tutto per sedurreDon Josè che alla fine cede e la libera,dietro la promessa che una volta fuorisarebbero stati felici insieme.“Promettimi che mi amerai!”Da quel momento, la vita di Don Josèverrà stravolta dall’amore per Carmen:per averla aiutata a fuggire sarà arresta-to e una volta fuori, rinuncia alla car-riera militare e si rifugia nelle monta-gne con Carmen, diventando un fuori-legge, un contrabbandiere. Don Josècrede nella storia con Carmen e le re-gala anche un anello di fidanzamento,ma lei già si è stancata di lui e pensa adun altro, Escamillo, l’affascinante tore-ro di Siviglia: decide, allora, di affidarela sua sorte alle carte, che però le dan-no un cattivo auspicio. Morte. La pre-dizione della sua morte la turba soloper un attimo, ma poi decide di seguireil suo istinto: approfitta della partenzadi Don Josè a causa della malattia dellamadre, per avvicinarsi ad Escamillo.

L’ultimo atto è l’epilogo della forza diCarmen. Don Josè ritorna e la trova

al fianco del torero; accecato dalla ge-losia chiama in disparte Carmen e lasupplica di fuggire con lui, rinfaccian-dole che a causa sua ha perduto tutto,diventando perfino un bandito. MaCarmen è irremovibile; non le importapiù di Don Josè, per lei è finita: sfila dal

suo dito l’anello e lo getta ai suoi piedi.A quel punto la gelosia si trasforma infollia omicida e tirando fuori un coltel-lo, la minaccia di seguirlo.“Carmen è nata libera e libera morirà!”Come Don Giovanni, Carmen non te-me la morte e affronta le conseguenzedei suoi gesti: Don Josè la uccide e siconsegna ai gendarmi, mentre sullosfondo si festeggia la vittoria di Esca-millo. Come a Don Giovanni, ancheCarmen ha avuto una possibilità ditornare indietro per evitare la morte,ma per non tradire la propria natura erinnegare se stessa, preferisce morireda donna libera. E’ la tradizione, incar-nata dal bravo ragazzo di campagna,che si fa sedurre dal nuovo, dalla tra-sgressione, cercando di cambiarla asuo favore, ma non riuscendoci, prefe-risce sopprimerla. E’ la storia dei nostrigiorni, delle donne che vengono ucciseper i propri ideali, giusti o sbagliati chesiano, troppo spesso dagli uomini chele hanno amate. E’ l’inizio di un cam-biamento che ancora oggi non ha vistodel tutto la luce, soffocato dai pregiu-dizi e dal maschilismo. Carmen arrivaa noi fresca e attuale, non dimostran-do affatto i suoi centoquarant’anni,anzi, riesce ancora a sedurre e scanda-lizzare il pubblico.

Bizet apre una nuova strada, mesco-lando la tradizione popolare al

nuovo. La musica è un assortimentoben riuscito di musiche popolari spa-gnole, flamenco, habanera, e nuovispunti ritmici e armonici che influen-zeranno la musica del novecento. Ladoppia scena finale, lo schiamazzodella corrida che arriva in lontananza

e le urla di gelosia in primo piano, è re-sa con genialità e realismo cinemato-grafico. Non ci si può annoiare assi-stendo alla “Carmen”: verrete catapul-tati nella folle Siviglia pervasa da unamusica irresistibile, dove zingari balle-ranno il Flamenco, ragazzini beffegge-ranno i soldati, affascinanti toreri sisfideranno nell’arena, per conquistarelei, la donna che tutti amano, ma chenessuno mai avrà. Carmen, storia diuna donna libera.

La parte di Carmen , originariamen-te, è stata scritta per voce di mezzo-

soprano, un timbro di voce general-mente delegato al personaggio antago-nista dell’opera: la voce del contralto odel mezzo-soprano è più calda e scurae quindi connota o un personaggio an-ziano, o un personaggio sordido, nega-tivo ( per esempio Azucena nel Trova-tore o Maddalena nel Rigoletto).Inquesto caso, Bizet sfrutta il colore cal-do della voce del mezzo-soprano, perdare più sensualità e più spessore alpersonaggio distaccandolo ancora dipiù dalle eroine romantiche. Vennescritta, però, anche la parte per sopra-no e contralto. Fra le grandi cantanticon voce da mezzo-soprano che hannointerpretato Carmen, ricordiamo Giu-lietta Simionato. Maria Callas cantò laparte da soprano, dando la stessaespressività del mezzo-soprano, grazieal particolare timbro e alla estensioneunica della sua voce, tuttavia si rifiutòdi interpretarla in teatro, ma ci lasciòsolo una registrazione audio, in quantososteneva di avere le caviglie grosse e dinon volerle scoprire nei costumi sceni-ci e nelle mosse di Carmen.

Page 38: Aprile 2013

Carmen38

Un posto particolare tra i musicisti

dell'Ottocento è occupato da

Georges Bizet nato a Parigi il 25

ottobre 1838, che sin dall'infanzia

rivelò spiccate tendenze musicali. Il

padre, insegnante di canto, fu il suo

primo maestro; anche la madre,

valente pianista, apparteneva ad una

famiglia di musicisti. I rapidissimi

progressi che fece, permisero a Bizet

di essere accolto al Conservatorio di

Parigi prima di aver raggiunto l'età

consentita dai regolamenti. Georges

seguì un corso di studi presso il

Conservatorio e, dopo aver superato

gli esami con esito brillante, si appli-cò allo studio del pianoforte e della

composizione. Appena diciannoven-ne, trasferitosi in Italia per appro-fondire gli studi, vinse il "Premio di

Roma". Finito il periodo di studio

tornò a Parigi. La sua prima compo-sizione di rilevante importanza fu

l'opera in tre atti "I Pescatori di

perle", ambientata in Oriente e rap-

presentata nel settembre 1863. Le

prime opere teatrali non ebbero

molto successo: Georges Bizet era

accusato di rivelare nella sua musica

l'influenza di Gounod e di altri com-positori. Nello stesso tempo Bizet fu

incaricato di preparare una composi-zione per accompagnare sulla scena

d'Alfonso Daudet "L'Arlesiana".

Questa composizione ebbe un suc-cesso contrastato all'inizio, ma con il

tempo finì per imporsi al pubblico di

tutto il mondo. La musica ispirata a

motivi folcloristici e popolari della

Provenza, fa rivivere l'atmosfera

ardente di questa regione mediterra-nea. L'opera in cui apparve la piena

maturità artistica dell'autore fu

quella per cui ancora oggi è ampia-mente conosciuto: la "Carmen".

Bizet si dedicò con entusiasmo e

tenacia alla composizione della

Carmen, creando così l'ultima e la

più importante delle sue opere (che

fra l'altro entusiasmò Nietzsche).

L'azione si svolge in Spagna, a

Siviglia e sui monti vicini. La prima

rappresentazione dell'opera ebbe

luogo a Parigi, al teatro dell'opera

Comique, nel 1875, ma non fu un

successo. L'intreccio del dramma

venne giudicato troppo immorale ed

anche la musica non piacque agli

amanti della tradizione. Purtroppo

Georges Bizet non conobbe il suc-cesso che arrise in seguito alla sua

opera e che avrebbe acceso in lui la

speranza e la fiducia in se stesso,

perché morì a soli 37 anni, il 3 giu-gno 1875, a tre mesi di distanza dalla

prima rappresentazione, in seguito a

un attacco di cuore. Dall'opera di

Bizet nasce il mito moderno di

Carmen e di questo mito se ne sono

impossessati il cinema (dai tempi

del muto al musical di Preminger del

1954 fino ai più recenti film di

Godard, Rosi, Sauras), la danza

(Gades e Petit) ed il teatro in genere.

GEORGE BIZET

Page 39: Aprile 2013

Eva 39

Regalo di Compleanno

“ Ho compiuto sei anni e stò imparando a leggere

dentro di me…”

Ogni mese Piazza del Grano offre questo spazio a tutte le donne. Manda la

tue mail a “parliamone” : [email protected]

Page 40: Aprile 2013

Eva40

…Ho compiuto sei anni. Non saprei di-re precisamente quando. Tale mia rina-scita ha richiesto un lungo e dolorosoperiodo di gestazione. Ma so con preci-sione il giorno che sono morta la primavolta. Era il 25 gennaio del 2006. Con lastessa incredulità con cui ci si stupiscedi un inatteso schiaffo in pieno viso,avevo appreso che quella estesa opacitàche si evidenziava dalla lastra dellamammografia si chiamava carcinoma.Un “fiore all’ochiello” che era spuntatosenza che io, di indole pragmatica e ac-corta, avessi potuto minimamente so-spettare. Senza alcun dolore. Nulla dinulla. Un male così grave senza aversofferto alcun sintomo. Quando i me-dici mi avevano consigliato, a seguito diquella dubbiosa opacità, di sottopormial mammotome, nel mio cuore avevogià maturato la temibile idea che le no-tizie a seguire non darebbero state del-le più auspicabili, ma sentirselo confer-mare fu veramente terribile. Cancro alseno destro, bisognava operare, anzi“demolire”. Si perché da quel momentomi ero sgretolata all’idea di perdere lavita, la femminilità, l’armonia di uncorpo che da un giorno all’altro nonavrei riconosciuto più. Come pure lamia personalità, in quel periodo diven-ne instabile: piangevo, mi arrabbiavo enon sapevo contro chi sfogare una rab-bia che mi teneva sveglia anche di not-te ed in testa mi martellava sempre lastessa domanda: “perché proprio ame”. A quarant’anni avevo ancora tantecose da vivere. Molte mie coetanee sistavano innamorando, altre stavano di-ventando madri o stavano entrandonel mondo del lavoro, altre ancora piùsemplicemente programmavano unavacanza. Loro stavano vivendo mentreio venivo ingiustamente travolta daquello tsunami. Preso atto del fatto chedovevo affrontarlo, la decisione più dif-ficile fu quella di decidere a chi affidareil mio corpo e la mia speranza di guari-gione. Presi informazioni da chi avevagià dovuto affrontare la stessa temibile

prova, a volte riuscivo afarlo con la stessa luci-dità con cui si cerca ilsupermercato con l’of-ferta migliore. Poi de-cisi di rivolgermi aduno dei maggiori cen-tri di eccellenza perquel tipo di tumore.Dopo una settimana,mi visitò il Prof. Alber-to Luini, primario delReparto di Senologiadell’IEO a Milano. Miaffidai alla sua profes-sionalità e le sue rassi-curazioni mi aiutaronoa trascorrere senza im-pazzire i pochi giorni che avrei dovutoattendere prima dell’intervento. Panicoe rassegnazione si alternavano. Di lacri-me da versare non ne avevo più. Schiac-ciata dalla preoccupazione tentai di ri-fugiarmi in una ritrovata devozione di-vina. Non pregavo più da talmente tan-to tempo, che inventavo le parole diquelle cui non avevo quasi più memo-ria. Fino a quel momento ero stata so-praffatta dall’ansia della vita quotidia-na, dal lavoro e fin troppo spesso dal-l’aver dato credito ai falsi problemi chemi giravano intorno, ma che solo inquella reale difficoltà capivo quanto po-co fossero effettivamente importanti.All’Istituto Oncologico Europeo, trovaiun ambiente che nonostante tutto nonsentivo ostile. L’aver incontrato mediciche oltre alla grande professionalità, ri-conosciuta anche a livello internazio-nale, erano umanamente molto attentie sensibili mi fu di grande sollievo. Ca-paci di curare con le tecniche più al-l’avanguardia, ma ancor meglio diascoltare, comprendere e rassicurare.Dopo quattro giorni ero di nuovo a ca-sa, e nel giro di poco avevo cominciatoa riacquistare un po’ di forze, ero torna-ta al lavoro, ma ero ancora molto“in-cazzata”, perché sapevo di aver fattomolto, ma non tutto. Mi aspettava unlungo ciclo di radioterapia all’Ospedaledi Città di Castello. Sette mesi dopo do-vetti di nuovo sottopormi ad un ulterio-re intervento di ricostruzione mamma-

ria. Tornai a Milano all’Istituto Oncolo-gico Europeo, e mi affidai ancora allemani esperte del Prof. Jean Yves Petitche a quel tempo dirigeva l’Unità diChirurgia Plastica, e che mi aveva giàoperato insieme al Prof. Luini. Mi dis-sero che ormai ero guarita, e che i cin-que anni di terapia ormonale che stavoseguendo, sarebbero serviti a scongiu-rare l’insorgere di una recidiva. Manmano che sbiadiva la cicatrice, anche ilricordo di quei giorni difficili e ango-sciosi prese ad affievolirsi, lasciando ilposto ai progetti per una nuova vita. Si,perché quando ti è stata concessa un’al-tra possibilità non la devi sprecare. Unpiano B, senza “se avessi saputo…” o “sepotessi tornare indietro”. Senza il rim-pianto di non aver fatto o di non avergoduto, in attesa di chissà chè, al postodel piacere delle cose semplici: il glicinein giardino che stava sbocciando, unsorriso di mia figlia che vedevo cresce-re, un bacio affettuoso del mio uomo, lerisa con gli amici. Sono orgogliosa, diaver avuto vicino tante persone quandone ho avuto bisogno e di aver saputo su-perare il rancore verso quanti mi hannodeluso. Di aver imparato a dire no aitroppi doveri. Ora capisco di essere vul-nerabile, piena di debolezze e che perprima io, non devo pretendere troppoda me stessa ed essere più umile. Voler-mi bene ed ogni anno, non devo dimen-ticare mai di farmi lo stesso regalo: unamammografia.

PARLIAMONE…“la grande C”

DI CATIA MARANI

Page 41: Aprile 2013

Eva 41

Florence Nightingale

Luna di mieleSecondogenita di famiglia benestante

britannica, fu chiamata Florence in

onore di Firenze dove vi nacque, nel

1820. I genitori fecero la loro luna di

miele in Europa e durò due anni. A Na-poli nel 1919 nacque la loro primogeni-ta Parthenope. La famiglia tornò in In-ghilterra nel 1821.

InfermieraIniziò a visitare malati nelle case e ne-gli ospedali, dopo che nel 1837 aveva

sentito “la chiamata di Dio”, anche

contro la volontà dei suoi genitori in

quanto a quei tempi era considerato

disdicevole fare l’infermiera.

GuerraNel 1854, dopo lo scoppio della guerra

di Crimea, Sidney Herbert, ministro

della guerra inglese, le chiese di orga-nizzare un gruppo di infermiere per la-vorare negli ospedali militari in Tur-chia. Fu la prima volta che veniva pro-posto alle donne.

RispettoFlorence riorganizzò subito l’ospedale

militare e portò ben presto ad un 50%

in più di vite salvate. Inoltre si preoc-cupò di aiutare molti malati economi-camente e psicologicamente. Di notte

andava a controllarne le condizioni

con una lampada e per questo la chia-marono “La Signora della Lampada”,

conquistando rispetto e fama in patria.

Berretti da GiullareLi chiamava così: furono una sua in-venzione i grafici a torta della moder-na statistica, che lei usava per dimo-strare la possibilità di insorgenza delle

malattie.

SterlineNel 1859 Florence possedeva 45.000

sterline, frutto anche di generose do-nazioni, con le quali istituì nel 1860, a

Londra, la prima scuola infermieristi-ca, che permise alle prime infermiere

diplomate di operare all’infermeria

della Workhouse di Liverpool nel 1865.

FirenzeMorì a Londra nel 1910. Una sola riga

sulla lapide a Firenze, sua città natale,

presso la Basilica di Santa Croce, dove

c’è un monumento con la sua statua:”

A Florence Nightingale, nata nel 1820.

Morta nel 1910. Ha vissuto nov’antanni

e tre mesi”. Da Wikipedia.

Le grandi donne della storia In Libreria

Consigliati e Sconsigliati

dalle donne

A seno nudodi Anna di Capua; Garusi Cristina – Ibs

Fortunatamente di cancro al seno si

guarisce. Partendo da questo pre-supposto, 14 donne raccontano la lo-ro esperienza di ricerca del metodo

migliore cui ricorrere per la ricostru-zione mammaria, che le ha aiutate a

ritrovare il sorriso. Un libro che in-fonde speranza. Si>>>>>

Folliadi Patrick mcGrath – Feltrinelli.

La moglie di uno psichiatra si inna-mora di un uxoricida detenuto nel-l’ospedale psichiatrico dove lavora il

marito. Un amore più distruttivo

della malattia, che nonostante tutto

la protagonista vivrà fino in fondo

senza mai rinnegarlo. Si>>>>>>

La Camera Azzurradi Georges Simenon – Adelphi

Un libro che non mi sento solo di consi-gliare, ma di raccomandare per la super-ba narrazione di un grande autore, per la

trama che lo rende a tutt’oggi di una sor-prendente attualità. Tante mogli, troppe,

quando ostacolano l’ossesione sessuale

del proprio marito per un’altra donna,

vengono “tolte di mezzo”. Narrazione in

grado di mantenere alta la tensione dalla

prima all’ultima pagina. Da leggere tutto

d’un fiato. Si>>>>>

Meglio donna che male accompa-gnatadi Geppi Cucciari – Kowalski

Leggero, divertente, racconta la storia

di tre amiche, tutte single che dovran-no tornare al paese d’origine senza un

fidanzato per partecipare al matrimo-nio dell’amica d’infanzia, che sembra-va meno destinata a salire i gradini di

un altare. Per i giorni più tristi. Si>>>

Le più belle poesie di Emily Dic-kinsonCrocetti Editore

“Se io potrò impedire a un cuore di

spezzarsi non avrò vissuto invano…”

In ogni verso che ella scrisse, si esalta

la bellezza interiore, che in partico-lari momenti della vita è indispensa-bile ritrovare! Si>>>>>

Page 42: Aprile 2013

Eva42

Opera nel campo della prevenzione,

della diagnosi e della cura dei tumo-ri. Tutte le prestazioni sono in con-venzione con il SSN. La metà dei pa-zienti arriva dalla Lombardia, il re-sto dalle altre regioni italiane. In

questo Istituto da dieci anni si ese-gue la radioterapia intraoperatoria

(IORT), ed ha ricevuto l’accredita-mento all’eccellenza da parte della

Stanno lavorando per Noi

IEO – Istituto Oncologico Europeo

Benessere

al Naturale

Per avere un bel seno.Limitate i cibi grassi, privilegiate fra la

frutta i kiwi, le fragole, gli agrumi e i

frutti di bosco. Assumete quotidiana-mente lievito di birra in compresse.

Ogni giorno aggiungete sulle insalate

semi di sesamo e germe di grano, oppu-re sgranocchiate qualche mandorla o

noce. Mangiate almeno due volte a set-timana pesce ricco di omega3. Evitate

di dormire a pancia in sotto.

NaHCO3Il bicarbonato, è ottimo per evitare

odori sgradevoli sotto le ascelle. Basta

lavarsi e poi strofinare la polvere bianca

sotto braccio quando la pelle è ancora

umida. Evita che si irritino le ghiandole

e il suo effetto dura da sei a otto ore.

Olio di mandorleDopo la doccia passate un getto di

acqua fredda sul decolletè (le più teme-rarie possono farlo anche con un

cubetto di ghiaccio). Asciugate delica-tamente e sulla pelle ancora umida

massaggiate con olio di mandorle, con

movimenti circolari, dal basso andan-do verso l’alto. Potete acquistare l’olio

in farmacia oppure al supermercato

per pochi euro.

Mode & Modi

Il Reggiseno

“Il reggiseno è il miglior partito poli-tico del mondo: solleva le masse,unisce la destra con la sinistra e at-tira il popolo” – Groucho Marx

Il reggiseno compie cento anni, i di-zionari di moda ne indicano l’idea-trice in Mary Philips Jacobs, che lo

brevettò il 3 novembre del 1914. Il

reggiseno è un alleato prezioso che

và scelto in sintonia con gli abiti e

con il corpo. Per trovare il reggiseno

perfetto bisogna scegliere la taglia,

ma anche la forma e la proporzione

più giusta per il nostro busto, per-ché dalle ultime ricerche emerge

che circa il 50% delle donne utilizza

un modello ed una taglia errata.

Nelle tendenze di moda del 2013 i

pizzi non perdono mai il loro fasci-no. Fra i tessuti più usati la microfi-bra, il nylon ed il cotone. Fra i colo-ri, il nero è in assoluto quello che

conferisce un tocco di raffinata na-turalezza, ma sono gradite anche le

fantasie floreali. Molte sono le don-ne che preferiscono acquistare reg-giseni con il push-up, soprattutto in

Italia dove il 68% porta la seconda

misura.”

La Donna Ariete

20 marzo - 21 aprile

E’ conscia di essere la prima donna della

zodiaco e tende per questo ad affermare

il proprio io agendo e prevalendo. Dota-ta di spiccata intelligenza, è spontanea e

vitale (il suo bisogno immediato di fare

si traduce in un dinamismo vulcanico).

La sua determinazione le dona la forza

per imporsi ed emanciparsi in ogni si-tuazione. Il suo look esprime passione

ed entusiasmo senza mai cadere nell’ec-cesso. Le sue labbra sono sempre pronte

al sorriso. La donna nata sotto questo

segno ama il caldo, l’estate e il mare. Fra

i colori sicuramente predilige il rosso,

declinato in tutte le sue sfumature più

scure sia nell’abbigliamento che nella

scelta del rossetto

Donne Ariete:Tina Anselmi – Esponente politico ita-liano – (25 marzo 1927) Lilli Gruber – Giornalista – (19 aprile1957)Lea Pericoli – Campionessa di Tennis –(22 marzo 1935)Senza pretesa scientifica abbiamo rias-sunto le caratteristiche della donna pe-sci, abbiamo giocato con gli astri, perché

è sempre divertente contrapporre il teo-rico all’empirico, il sogno alla realtà.

“Joint Commission”. Umberto Vero-nesi è il Direttore Scientifico dello

IEO ed uno dei maggiori esperti

mondiali nello studio dei tumori al

seno.

IEO – Via Ripamonti, 435 – MILANO

– Tel. Centralino n. 02/574891

Il Direttore dell’Unità di Chirurgia

Mammaria è il Prof. Alberto Luini –

Segreteria Tel. n. 02/57489725.

Associazione “Donne InsiemeOnlus”Nasce a Foligno il 18 marzo 2001,

con il duplice obiettivo di fornire

aiuto e sostegno psicologico a tutte

le donne colpite da tumore al seno e

di diffondere la cultura della pre-venzione.

Si compone soprattutto di donne

che hanno affrontato e vissuto

l’esperienza di questa malattia.

Sede: Foligno, Via Massimo Ariamo-ne – Tel. n. 0742/320045

“Progetto Codice Rosa”Il progetto è curato dall’Ospedale di

Terni, che ha come obiettivo di for-nire assistenza psicologica alle don-ne che si trovano ad affrontare due

diverse drammatiche situazioni: la

violenza fisica e la diagnosi di tumo-re al seno.

Page 43: Aprile 2013

Editi/Inediti 43

Proprio sul filo della frontiera il commissario ci fa fermare su quella barca troppo piena

non ci potrà più rimandare su quella barca troppo piena

non ci possiamo ritornare.

E sì che l'Italia sembrava un sogno steso per lungo ad asciugare

sembrava una donna fin troppo bella che stesse lì per farsi amare

sembrava a tutti fin troppo bello che stesse lì a farsi toccare.

E noi cambiavamo molto in fretta il nostro sogno in illusione incoraggiati dalla bellezza

vista per televisione disorientati dalla miseria e da un po' di televisione.

Pane e coraggio ci vogliono ancora che questo mondo non è cambiato pane e coraggio ci vogliono ancora

sembra che il tempo non sia passato pane e coraggio commissario

che c'hai il cappello per comandare pane e fortuna moglie mia

che reggi l'ombrello per riparare.

Per riparare questi figli dalle ondate del buio mare

e le figlie dagli sguardi che dovranno sopportare

e le figlie dagli oltraggi che dovranno sopportare.

Nina ci vogliono scarpe buone e gambe belle Lucia

Nina ci vogliono scarpe buone pane e fortuna e così sia

ma soprattutto ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole

da una terra che ci odia ad un'altra che non ci vuole.

Proprio sul filo della frontiera commissario ci fai fermare

ma su quella barca troppo piena non ci potrai più rimandare

su quella barca troppo piena (Ivano Fossati)

PaneeCoraggio

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Page 44: Aprile 2013

Editi/Inediti44

Spesso per capire delle situazioni, so-prattutto quando sono troppo lontane

da sé, dal suo mondo, dalla realtà che vi-ve, Rita mette in moto la sua immagina-zione. Che strumento fantastico abbia-mo – pensa – ti fa andare e ritornare;

partire per mete distanti e luoghi scono-sciuti, addirittura bastano pochi ele-menti, magari visti sfogliando un libro e

ti trovi a pensarti un mercante di stoffe,

un marinaio, un venditore di pietre pre-ziose … E’ un po’ che Rita segue la sua

immaginazione per puro divertimento,

perché non la delude mai e le situazioni,

i luoghi si riempiono di vita inventata,

che è più bella di quella vera, perché hai

la possibilità di cancellare qualsiasi in-tromissione scolorita. L’immaginazione

ti fa volare, ti fa sentire leggera e puoi

snodare ogni piega, infilarti nei contorni

dei disegni, farli animare. A volte succe-de che Rita continui a fantasticare anche

nel sonno, cosi che la sua storia si com-pleta, si articola, si dilata, si colora e sfu-ma in rivoli di sensazioni, che sfociano

in piacevoli suggestioni. E’ un po’ però

che la sua immaginazione le fa brutti

scherzi: tenta di spiegarle il perché di

certi sguardi tristi, di mani che si aggrap-pano, di corpi esili, che si ammassano

sulle carrette del mare per una traversa-ta a rischio della vita. Per Rita il dato cer-to, il punto da cui partire con la sua im-maginazione è che dietro ognuna di

quelle persone c’è una storia di miseria,

di fame, di sfruttamento, di diritti calpe-stati, di violenza, c’è il desiderio di rifarsi

una vita. Le suonano strane quelle voci

sempre più nitide che parlano di inva-sione, difesa delle tradizioni, ragione del

rifiuto, difesa del lavoro, dei nostri diritti

e quelli degli altri? E poi bisogna inten-dersi sugli altri e se è davvero giusto che

abbiano i nostri stessi diritti, perché …. E

poi noi abbiamo la religione, migliaia di

anni di storia, che ci ha insegnato davve-ro molto, così tanto che siamo diversi,

certo migliori e abbiamo il dovere di far

rispettare i nostri diritti … Degli altri

dobbiamo capire chi sono, che cosa vo-gliono, da dove vengono, che cosa fanno

e che cosa hanno fatto finora per chiede-re quello che per diritto abbiamo acqui-

sito. Certo che abbiamo spirito cristiano

ma la cittadinanza agli stranieri, la loro

accoglienza o semplicemente non avere

pregiudizi nei loro confronti, quello è

davvero un’altra cosa! Invece Rita parte

con la mente, dietro a quegli occhi inten-si e profondi, che sanno di dolore, a quel-le mani di ragazzo, che cercano un appi-glio e finisce in terre riarse dal sole infuo-cato in cui non crescono le patate, le

messi dorate non attecchiscono e l’acqua

non lava le strade né schiarisce le idee,

dove ore ed ore sotto il sole come d’ago-sto ti sfianca, mentre tutt’intorno è mi-seria assoluta e a casa, quel tugurio di

terra e frasche, altri occhi come i tuoi gri-dano l’ingiustizia di un mondo feroce.

Rita lo sente su di sé il peso di quest’esi-stenza senza presente né futuro, in un

imbuto asfissiante che ti porta a contare

i giorni tutti uguali con l’angoscia della

morte per una malattia anche banale.

Così Rita raccoglie i suoi spiccioli e, se-guendo la scia dei disperati, tanti e silen-ziosi, arriva allo scafista. I soldi non sono

sufficienti per portare con sé i figli. Deve

fare una scelta difficile: sarà Alsman, il

più grande, a seguirla … La paura la trat-tiene, lo guarda per un attimo: ha solo

dodici anni, ma il suo viso è già spento,

senza gioia, tantomeno entusiasmo. An-

drà lei, da sola, cercherà un lavoro, poi ri-tornerà, certo che tornerà a prenderli

tutti. Il suo cuore è gonfio ma ha deciso

di provare a cambiare quella vita fatta del

troppo niente quotidiano. Si riempie gli

occhi del tramonto di un rosso fuoco,

che tocca la sua terra color mattone e di

quel cielo limpido che guardi fin dentro,

al di là dell’orizzonte, senza stracci di nu-bi, sempre uguale, magnifico e terribile.

Qua e là piante filiformi si allungano, di-pingendo strane figure inanimate. Rita

ha fatto provvista dei colori, dei profumi

della sua terra, della luce che le è attacca-ta al cuore, come i suoi figli. Il suo com-pagno se ne è andato qualche anno fa,

stroncato da un’infezione, che lo ha con-sumato tra dolori insopportabili. La sua

capanna laggiù è uguale a quella di tante

altre famiglie e ci vive con la madre.

Quella capanna è l’unica cosa che le ri-mane del marito: lo rivede, mentre cari-ca l’acqua con cui bagna la terra per co-struire la loro casa, o tentare di far cre-scere quelle sementi, che già non basta-vano a sfamarli. Ormai Rita sa che deve

andarsene, sua madre ha capito, non c’è

bisogno di nessuna spiegazione. Non ha

niente da portare con sé, solo i ricordi e

l’idea che la vita dei suoi figli dipende dal

suo ritorno.

Nero di peceUn racconto di Annarita Falsacappa tratto da "Incontriamoci...oltre le barriere dell'anima.Viaggio tra la gente del Mediterraneo e più in là", a cura di Annarita Falsacappa e Valeria Floris.

Le immagini utilizzate in questo inserto sono particolari delle opere di Gaetano Porcasi

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Editi/Inediti 45

Davanti a quel gommone, sulla spiaggiadi sabbia fina e bianca, forse anche bel-la, ha intorno tanti piedi scalzi, uominie donne disperati, bambini stranamentetroppo silenziosi, con il cuore che pian-ge. A guardarlo, quel gommone è davve-ro piccolo, è anche malconcio! La dispe-razione è la stessa per tutti e partire persopravvivere è il pensiero comune. Par-tire anche a costo di perderci la vita! Igiorni sono devastanti, sempre uguali,alla ricerca di qualcosa da fare e qualco-sa da mangiare … Lo scafista ha modirudi, che tagliano un cuore già in gola.Le strappa veloce i soldi dallemani e con una spinta la siste-ma come un pacco, un ogget-to, addosso agli altri. Lo spa-zio di cui ha diritto è davveropoco. Si accorge di esseretroppo attaccata ad altri cor-pi, ma tanto l’Italia è vicina,l’Italia che risolverà i suoi pro-blemi! Ancora prima di parti-re, anche se è ormai sera, ilcaldo si fa insopportabile,mentre il silenzio assoluto.Vorrebbe che tutto fosse giàfinito. Non ha diritto al cibo,l’acqua è razionata; si guardaintorno: le persone sono dav-vero tante e quel gommonetroppo piccolo … Accanto alei, troppo vicina da sentirlarespirare e percepire ogni mi-nimo movimento c’è una gio-vane donna. Quanti anni po-trà mai avere? Sedici, forsequalcuno in più ed ha ingrembo un esserino dagli oc-chi inespressivi. Il suo viso èdolce e piccolo, ha pochi me-si. Rita li osserva di nascosto. Quelladonna bambina con suo figlio si trova avivere la sua stessa situazione. I suoi oc-chi neri e profondi sono l’espressionedella paura; ha il viso abbassato sul suofagottino, mentre intorno si sono siste-mati, in silenzio, dei ragazzi, alcuni uo-mini e qualche bambino. Forse la sua vi-cinanza, pensa Rita, non è stata casuale,forse ha visto in lei una protezione, forseha percepito che anche lei è una mam-ma. Ma che senso ha pensare questo? Infondo tutte le storie si somigliano, sonostorie di sopraffazione, di miseria, di fa-me, di disperazione, di afa che polveriz-za ogni speranza, fino a quando non cela fai più e tenti l’ultima carta, tenti lasorte, fuggi dal destino di lenta dissolu-zione. Dopo un po’ che sono in silenzio

i loro occhi si incontrano e Rita vorreb-be abbracciarla, assommare il loro co-raggio, che è poca cosa per affrontareuna storia così grande per lei ma ancheper Carim, che non sono mai uscite dalloro villaggio. Quello era tutto il loromondo, lì sono cresciute, ogni villaggiosi assomiglia: la polvere fa parte della vi-ta, speri per mesi in un temporale, passiore a fare lunghe file per riempire lebrocche, non puoi lavarti né sprecareuna sola goccia d’acqua. L’acqua … è laloro angoscia: non basta mai e costringea stare fuori casa per ore. A volte ha un

cattivo odore e un colore strano ma è so-lo quella, non si può pensare e tanto ba-sta. Carim è timida e Rita immagina tut-to, senza che dica una sola parola: le suemani sono da bambina, come il suo cor-po piccolo e ben fatto. Ha in testa unfazzoletto colorato messo a crocchia edun bracciale all’omero; si rivolge ognitanto al figlio, che si chiama Aam. E’ unbel nome – pensa Rita – mentre li osser-va stretti l’uno all’altra. Chissà se ha fa-me, forse sete … Ma non piange, comese sapesse la scelta dolorosa della ma-dre. Si fa forza e spezza questo silenzio.Tra qualche minuto lasceranno quellaspiaggia tanto familiare, i motori sonogià accesi ma non deve alzare la voce,perché le sta attaccata. Sembra conten-ta di parlare con qualcuno, le sorride, al-

lunga la mano per stringere la sua. E’calda e morbida , con dita piccole e sot-tili. La storia di tutte si ripete nel suoracconto: il marito l’ha comprata a tre-dici anni per due mucche e un sacco digrano, ma la sua famiglia era così pove-ra e tanto numerosa … Un giorno è arri-vato e l’ha portata con sé in un villaggiovicino e subito ha capito il suo ruolo.Aam è il loro unico figlio ma ha già avu-to altre due gravidanze finite male. Lasua vita di sofferenza è diventata inso-stenibile, quando Abus, suo marito, hacominciato a non mangiare, a farsi sem-

pre più magro. Così si sonomessi in marcia per l’ospedale.Camin aveva in braccio Aam,che non ha mai lasciato, pro-prio come ora. Rita la osserva,mentre parla: sul suo viso pas-sano mille espressioni e non èpiù una bambina, quando met-te insieme i pezzi della sua vita,perché niente è stato facile. Lesuore vestite di bianco hannoraccolto Abus sulla soglia del-l’ospedale e pochi giorni dopo èmorto. Ora Carim è sola e sache non può restare, che la vitaper lei è impossibile. Le risuo-nano nella mente le parole diquella suora gentile ma insi-stente, che voleva visitare lei edil suo bambino, che parlava diinfezione. Carim una notte inquella stanza d’ospedale, dove ilcibo era buono e l’acqua pulita,aveva preso la decisione di par-tire, lasciare quello che cono-sceva per l’ignoto, doveva farlosoprattutto per Aam. L’avevadetto alla suora bianca e buona,

che aveva annuito in silenzio; le avevapreparato delle medicine e un po’ d’ac-qua, il latte per Aam e si era fatta pro-mettere che sarebbe andata, una voltain Italia, in un ospedale per un controlloaccurato. Carim non capiva perché maricordava che al suo villaggio eranomorte in poco tempo parecchie perso-ne. Forse erano stati gli insetti, affamatianche loro, o il caldo esagerato o quellafame che non ti lascia mai o forse quel-l’acqua che sempre più spesso ha unodore strano o forse quei barili che daqualche tempo sono sotto il ponte. Mada quando? Forse lei era appena unabambina, quando li ha visti per la primavolta ma lo è ancora e dunque è pocoche sono là mezzo coperti dalla sabbiainfuocata.

Page 46: Aprile 2013

Editi/Inediti46

Ma sono rossi e i bambini, si sa, sono cu-riosi e spesso a crocchi lì davanti si fer-mano a giocare, a scavare … Carim non

sta male, è forte, poi ora deve protegge-re suo figlio, è davvero pronta per quella

traversata. Rita l’ascolta e poi prende a

parlarle di sé, della sua storia per niente

originale. Si sentono vicine anche nel-l’anima, mentre il gommone si è stacca-to dalla riva e il respiro sembra fermarsi.

E’ questo il momento peggiore – pensa

Rita – ormai non puoi più ripensarci e

fra qualche minuto saranno in mare

aperto, con l’acqua ovunque e si senti-ranno in balia del destino. Non rimane

altro che sperare forte di farcela, mentre

la paura le attanaglia per ogni sussulto

del gommone, che è tanto piccolo e

troppo pieno. Aam è ancora silenzioso,

si scalda al tepore del corpo della madre,

che lo tranquillizza, si assopisce, nono-stante il rumore assordante del motore

ed il brusio quasi impercettibile delle

persone. Anche Carim chiude quei suoi

occhi grandi da bambina. Ora Rita sen-te di doversi prendere cura di loro, forse

per il suo senso materno, forse perché

semplicemente ha un animo generoso e

condivide il loro dolore. Si dice che lei,

per quello che le sarà possibile, ci sarà.

La paura le prende la gola. Il mare è ne-ro ed il cielo pieno di stelle; sono così

tante che Rita per non pensare, si mette

a contarle una ad una; sembrano lì per

lei. Ma nella mente ha i figli, il suo vil-laggio, mentre fissa gli occhi in quello

spettacolo. Le viene quasi da pensare

che la vita vale comunque la pena viver-la, anche per lo spettacolo sempre sor-prendente e grandioso a cui assistiamo.

Mentre è combattuta tra una sensazio-ne di sconfitta e di disperazione ed una

meraviglia crescente per l’ordine armo-nioso dell’universo, per l’infinitamente

perfetto, per il suo essere fragile ed in-colpevole, inerte di fronte a tanto ab-bandono, si sente le guance umide. Si

sa, quando si è madri, ci si commuove

per niente – smorza Rita – mentre il suo

sguardo va ad Aam, così piccolo e così

perfetto, con quel nasino e quelle mani-ne, che si muovono nel sonno e con

quegli occhi neri, che sembrano un

puntino ma sono già profondi e ti ci per-deresti davanti alla domanda d’obbligo:

- Perché proprio io? Che colpa ho com-messo o chi l’ha commessa per me? -Aam forse non ricorderà nulla e cono-scerà solo il lato bello della vita, quello

fatto di lavoro, di pane, di amicizie ...

Carim, che la vede persa dietro ai suoi

pensieri, la chiama; pensa che forse è tri-ste per la nostalgia, anche se sono passa-te poche ore dalla partenza o è proprio

lei ad aver bisogno di una parola, quan-do tutto intorno è nero pece. Le dice che

troveranno certamente delle persone di-sposte ad aiutarle, perché gli italiani so-no buoni e poi vivono tra lussi e ricchez-ze, così se li immagina, e nessuno po-trebbe convincerla del contrario. Men-tre parla, ha un brutto colpo di tosse ma

Rita non ci fa troppo caso, del resto sono

in mare aperto, l’umidità penetra nelle

ossa e nei polmoni. La tosse riprende fa-stidiosa. Rita la guarda. E’ stanca, prova-ta, non sembra poi così giovane, anche

gli occhi sono incavati e lamenta delle

fitte all’addome. Le dice di resistere, per-ché prima di quattro ore non toccheran-no terra, sempre che tutto vada bene.

Carim non si lamenta ma lentamente si

ripiega su stessa, quasi fino a far scom-parire quel piccolo fardello che è Aam,

tranquillo per quell’abbraccio più forte

del solito. Rita sente il fremito del suo

corpo. La luce è fioca e a tratti il buio co-pre tutti quei volti; la lampadina riman-da immagini spente e stanche, tante vite

inerti in balia di quel mare salato, freddo

e nero. Rita sente Carim abbandonarsi

all’indietro, appoggiandosi con il collo

sulla barra di ferro. Le sembra addor-mentata, mentre Aam incomincia a

piangere; allora Rita lo prende in brac-cio, lo culla per un pò. Come è leggero!

Continua a piangere e allora con una

scrollata cerca di svegliare Carim, piano,

per non spaventarla. La testa sembra un

cencio e le ricade sul mento. Rita si trat-

tiene dal gridare, non sa cosa fare ma

nessuno può aiutare Carim, tanto vale

rimanere al proprio posto. Del resto non

c’è nemmeno lo spazio sufficiente per

alzarsi in piedi e, se gli scafisti scoprisse-ro che Carim sta male o che addirittura

sta per morire, in un attimo si sbarazze-rebbero di lei. Loro non vogliono guai,

glielo hanno detto prima di farli salire su

quel gommone. E’ meglio tacere ed in-goiare i singhiozzi. Guarda Aam, che

sembra aver compreso tutto: è ritornato

silenzioso e spento. Che ne sarà di lui?

Rita immagina il suo domani, che si ar-resta ad un traguardo tragico, la fine del-la sua mamma. E’ in totale balia del nul-la, forse crescerà per strada o, ancora

peggio, accanto a persone senza scrupo-li. Rita avverte intanto che il corpo di

Carim è immobile, non sente più nessun

fremito, i suoi occhi chiusi sembrano di-stesi come il volto, per quel poco che si

può distinguere. Rita non ci pensa due

volte: Aam è suo figlio, lo deve fare per

quella donna bambina e per se stessa. E’

troppo piccolo per lasciarlo a casa e così

l’ha dovuto portare con sé. Lo stringe

con delicatezza, lo culla, non sarà facile

fargli capire che da quel momento è lei

la sua mamma, ma ci proverà. Intorno a

Rita intanto c’è un po’ di brusio, forse

qualcuno ha capito e parla di malattia, di

contagio, di morte ma anche di polizia e

di controlli. Rita finge meraviglia per

quanto è successo, davanti allo sguardo

indurito del giovane scafista, alle braccia

inanimate di Carim e a quel collo senza

ossa. Poi un tonfo nel buio e il mare si ri-chiude nel silenzio più assoluto.

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Grande! 47

Caracas 8 marzo 2013

Rompendo tutte le “regole”, religiose e diplomatiche,

il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, in lacrime,

abbraccia in pubblico la madre di Hugo Chavez

Nota: la “controinformazione” è un elemento fondamentale in una società sempre più orientata dalla potenza deimedia. I media sono una delle “casamatte” individuate da Gramsci sulle quali si basa il potere delle classi dominanti.Manipolare l’informazione è un’arte di governo formidabile per le classi dominanti. Si manipola creando false infor-mazioni, ma si manipola anche e soprattutto “mescolando” sapientemente informazioni vere con informazioni falsee, più ancora, confondendo informazioni con opinioni. Sul personaggio Ahmadinejad è stato detto e viene detto ditutto: il “cattivissimo”. Se vogliamo cominciare veramente a comprendere il Mondo (quello che sino ieri chiamavamospocchiosamente il “resto del Mondo”, mentre oggi siano noi quel “resto”!) e in particolare quel vasto e variegatouniverso raccolto sotto l’impropria catalogazione religiosa di Islam, dobbiamo cominciare a studiarlo veramente,per conoscerlo realmente e solo poi poterlo giudicare. Non vogliamo qui parlare di più di questo personaggio in-dubbiamente complesso e controverso, ci torneremo nei prossimi numeri, ma ci torneremo. Restiamo per oggi alsuo straordinario rapporto di amicizia con il Comandante Chavez e proprio per comprenderlo Vi invitiamo a visitarequesto indirizzo per inziare a formarVi direttamente una Vostra opinione: www.youtube.com/watch?v=QR-hnwLWUQ0 (il brano è lungo e può essere “scorso”, ma é importante per il rinvio ad altri indirizzi d’informazione).

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H a s t a S i e m p r eH a s t a S i e m p r e