Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento ... · Nello stesso periodo Hans...
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Capitolo 2 Approccio neuroscientifico alla
diagnosi e al trattamento del disturbo
autistico
2.1 Introduzione Questa tesi ha avuto lo scopo di studiare e caratterizzare la morfologia e la
connettività dei neuroni in vitro durante le prime fasi dello sviluppo del
cervello.
La procedura di analisi messa a punto verrà utilizzata per lo studio sulla
patogenesi dei disordini inerenti allo sviluppo con particolare riguardo
all’autismo, ovvero tutti gli studi svolti in questa tesi dovranno poi essere
ripetuti sulle colture di neuroni provenienti da modelli animali di autismo e
dovranno essere rilevate le differenze nel comportamento.
In questo capitolo verrà presentato un quadro generale sull’autismo con i suoi
sintomi, le sue cause, i tipi di diagnosi e di trattamento.
Ci si soffermerà quindi sulle anormalità del sistema nervoso presenti nei
soggetti autistici e si illustrerà l’importanza di un approccio neuroscientifico
per la diagnosi e il trattamento di questa patologia.
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
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2.2 Quadro generale sull’autismo 2.2.1 Che cosa è l’autismo Il disturbo che, secondo le stime attuali, colpisce un bambino su cinquecento,
sconvolgendo la vita delle famiglie e pregiudicando la vita di molti bambini,
fino alla metà del ventesimo secolo non aveva un nome. Nel 1943 Leo
Kanner del Jhons Hopkins Hospital, in seguito ad uno studio su 11 bambini,
introdusse nella lingua inglese la definizione di autismo infantile precoce
(early infantile autisme). Nello stesso periodo Hans Asperger, un ricercatore
di lingua tedesca, descrisse la forma più lieve di questo disturbo che divenne
nota come sindrome di Asperger. Vennero così descritti questi sviluppi che
attualmente sono catalogati nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali (DSM) come due dei cinque Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (PDD).
Gli altri due disturbi che appartengono a questi gruppo sono la sindrome di
Rett e il Disturbo Disintegrativo della fanciullezza.
Tutti questi disturbi sono caratterizzati da disabilità di gravità diversa
nell’ambito delle capacità comunicative e dell’interazione sociale, nonché da
modelli di comportamento ristretti, ripetitivi e stereotipati [33].
L’autismo si sviluppa nei primi anni di età e i sintomi diventano più evidenti
man mano che il bambino comincia a crescere. È una patologia molto
eterogenea infatti non esistono due bambini o adulti che abbiano esattamente
lo stesso profilo per cui è difficile trovare delle caratteristiche generali. Per
tenere conto di questa diversità e per sottolineare la singolarità dell’assenza di
sintomi chiaramente identificabili ed universali per tutta la popolazione
colpita, più che al termine autismo si dovrebbe fare riferimento alla dicitura
Disordine dello Spettro Autistico (DSA).
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Negli ultimi anni gli studi sulla genetica, sullo sviluppo neuronale e sulle
anormalità nell’interazione sociale, forniscono la possibilità di determinare
delle basi comuni e di sviluppare possibili terapie. Ciò ha portato ad un
maggiore interesse ed impegno nella ricerca sull’autismo [4].
2.2.2 Le cause Ancora oggi rimane solo ipotizzata la causa che determina l’insorgenza del
disturbo autistico, così come rimane da studiare la concatenazione di eventi
patologici che provocano l’insorgenza di un quadro sintomatologico così
complesso e variegato, che si correla con il non corretto funzionamento di
strutture distinte, sia dal punto di vista anatomico che funzionale, conducendo
quindi ad ipotizzare una compromissione multisistemica, di origine
verosimilmente multifattoriale.
Rimane ancora argomento di dibattito se l’autismo sia causato da traumi
sociali o derivi da anomalie a livello fisiologico ed anatomico.
La maggior parte degli autori concorda comunque sulla presenza di una causa
biologica del disturbo, come la disfunzione di un sistema o una sua lesione,
ed è stata quasi completamente abbandonata l’ipotesi di un’origine
psicosociale o psicodinamica.
Risultano infatti chiare le alterazioni genetiche, neuronali, sensoriali,
biochimiche ed immunologiche.
Diversi indizi portano attualmente ad ipotizzare che la componente genetica
abbia un ruolo rilevante nella sindrome autistica. La maggior incidenza del
disturbo nei maschi si potrebbe per esempio attribuire ad anomalie dei
cromosomi sessuali, tanto più che le manifestazioni sintomatiche nelle
femmine sono più gravi [35]. Inoltre da diversi studi condotti su coppie di
gemelli è emerso che per un gemello monozigote di una persona affetta, la
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probabilità di una diagnosi di autismo è molto maggiore di quella di un
gemello dizigote (Fig. 2.1) [36].
Figura 2.1 Risultati degli studi condotti sui gemelli
Gli studi su gemelli indicano che l'autismo è da considerare un disturbo
fortemente genetico, e gli studi di linkage e le anomalie cromosomiche
riscontrate sembrano implicare specifiche regioni cromosomiche.
L'insieme di questi studi genetici suggerisce che l'autismo è un disturbo
geneticamente eterogeneo e poligenico, dovuto ad un effetto additivo ed
epistatico di molti geni differenti, ognuno dei quali è responsabile di un
piccolo effetto fenotipico. A causa della grande eterogeneità genetica
numerose differenti varianti genetiche possono essere implicate nell’autismo e
in futuro sarà possibile eseguire uno screening al fine di identificare i geni
rilevanti in ogni singolo fenotipo autistico. Questo porterà implicazioni
importanti per il futuro trattamento dell'autismo [37].
Oltre alle alterazioni geniche, stanno alla base dell’autismo alterazioni a
livello neuronale e sensoriale. Lo sviluppo anormale del cervello causa deficit
all’interno delle aree più importanti del sistema nervoso centrale sia di alto
che di più basso ordine. Le anomalie cerebrali che si riscontrano nei soggetti
autistici verranno descritte più dettagliatamente in seguito.
Molti individui autistici sembrano soffrire di una alterazione di uno o più
sensi. Questa alterazione può coinvolgere il sistema uditivo, visivo, tattile,
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gustativo, vestibolare, olfattivo, propriocettivo. La percezione sensoriale può
essere ipersensibile, iposensibile o può provocare al soggetto interferenze [38].
Per quanto riguarda la biochimica, molti soggetti autistici hanno elevati livelli
di serotonina nel sangue e nei fluidi cerebrospinali, mentre altri invece hanno
livelli di serotonina relativamente bassi.
All’autismo è stato associato anche un sistema immunitario disfunzionale. Si
pensa che un’infezione virale o una tossina ambientale possano essere
responsabili di danni al sistema immunitario. Alcuni ricercatori hanno
riscontrato che molti individui autistici hanno un numero ridotto di cellule-
helper "T" che aiutano il sistema immunitario a combattere le infezioni.
2.2.3 I sintomi [33] Tutti i bambini con Disturbo dello Spettro Autistico manifestano dei deficit
nelle seguenti aree (Fig. 2.2):
1. Interazione sociale
2. Comunicazione verbale e non verbale
3. Comportamenti ed interessi ripetitivi
Figura 2.2 Schematizzazione dei sintomi dell’autismo
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La maggior parte dei bambini affetti da autismo sembra avere enormi
difficoltà nell’imparare a prendere parte alla reciprocità dell’interazione
umana quotidiana. La menomazione qualitativa nelle interazioni sociali
reciproche si evidenzia nell’incapacità di comportamenti non verbali come il
contatto oculare, la mimica facciale, la postura ed i gesti comunicativi,
nell’incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei appropriate rispetto al
livello di sviluppo, nella mancanza di condivisione spontanea di esperienze
con gli altri e nella mancanza di reciprocità sociale ed emozionale.
Tali manifestazioni risultano sempre presenti nel disturbo ma possono variare
nel corso nella vita e nei differenti contesti ed essere d’intensità variabile da
soggetto a soggetto, a seconda del grado di disturbo presentato.
La menomazione qualitativa nella comunicazione interessa sia l’area verbale
che non verbale, in maniera diversa a seconda dell’età e della profondità del
disturbo. Si manifesta con un ritardo o la totale assenza del linguaggio.
Nei soggetti che parlano, può esservi una notevole compromissione della
capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri, o un uso
stereotipato, ripetitivo ed eccentrico del linguaggio.
Spesso il tono, il volume, la velocità, il ritmo e la sottolineatura del
linguaggio sono anomali (per esempio, il tono di voce può contenere
accentuazioni di tipo interrogativo in frasi affermative).
Un elemento caratteristico della sindrome è inoltre, la presenza di
comportamenti stereotipati che tendono a ripresentarsi frequentemente nel
corso della giornata, apparentemente non finalizzati, fino a divenire in alcuni
casi l’unica attività effettuata. Inoltre i soggetti con Disturbo Autistico
mostrano una gamma di interessi notevolmente ristretta, e sono spesso
eccessivamente assorbiti da singoli aspetti o particolari.
Si riscontra una marcata resistenza al cambiamento che per alcuni può
assumere le caratteristiche di un vero e proprio terrore fobico. La persona può
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allora esplodere in crisi di pianto o di riso, o anche diventare autolesionista e
aggressiva verso gli altri o verso gli oggetti. Altri soggetti, al contrario,
mostrano un’eccessiva passività e un’ipotonia che sembra renderli
impermeabili a qualsiasi stimolo.
Accanto ai sintomi già descritti, sono frequentemente presenti una serie di
altri sintomi meno specifici, quali la presenza di posture anomale, deficit di
coordinazione e di organizzazione della motricità, alterazione della
percezione (es. uditiva con iperacusia), che determina risposte abnormi a
stimoli sensoriali di intensità normale, manierismi alimentari, che si
manifestano sia nella modalità di alimentarsi che nella qualità del cibo
assunto (fino a giungere a restrizioni della dieta a solo 2-3 alimenti), disturbi
del sonno, ansia generalizzata che non sempre è riconducibile ad una
situazione scatenante, reazioni affettive bizzarre e tono dell’umore labile.
2.2.4 La diagnosi [33] Attualmente, per diagnosticare l’autismo, i clinici si basano su una
valutazione delle caratteristiche comportamentali. Alcuni comportamenti
caratteristici di tale patologia possono essere evidenti fin dai primi mesi di
vita, altri possono presentarsi all’improvviso, durante i primi anni. Per fare
diagnosi di autismo è indispensabile che entro i tre anni di vita si manifestino
problemi in almeno una delle seguenti aree: comunicazione, socializzazione,
comportamenti restrittivi.
La diagnosi richiede un procedimento in due fasi: la prima fase comporta uno
screening dello sviluppo nel corso di controlli pediatrici regolari, la seconda
richiede una valutazione omnicomprensiva, effettuata da equipe
multidisciplinare. Nella prima fase vengono utilizzati degli strumenti di
screening che consentono di cogliere tempestivamente le informazioni sulle
abilità sociali e comunicative del bambino; alcuni di questi strumenti si
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basano soltanto sulle risposte dei genitori alle domande di un questionario,
altri si basano su una combinazione di testimonianza dei genitori ed
osservazione diretta. Gli strumenti di screening non forniscono una diagnosi
individuale, ma servono a valutare se sono necessari ulteriori accertamenti
verso la diagnosi di autismo. La seconda fase della diagnosi, che permette di
identificare o escludere con certezza l’autismo o altri problemi di sviluppo,
deve essere onnicomprensiva e richiede l’intervento di un’equipe
multidisciplinare comprendente uno psicologo, un neurologo, un
neuropsichiatra infantile, un logopedista, o altri professionisti con competenze
nella diagnosi di autismo. Poiché l’autismo è un disturbo complesso, che può
comportare altri problemi neurologici o genetici, una diagnosi
onnicomprensiva dovrebbe comprendere la valutazione neurologica e
genetica, insieme ad accertamenti approfonditi in ambito cognitivo e del
linguaggio. In aggiunta, spesso vengono usati strumenti elaborati
appositamente per diagnosticare l’autismo.
Di norma, un’equipe esperta di diagnosi ha la responsabilità di effettuare una
valutazione completa del bambino , compresi i suoi punti forti e i suoi punti
deboli, e di formulare una diagnosi formale. Successivamente l’equipe
incontra i genitori per comunicare loro i risultati della valutazione.
2.2.5 Il trattamento [38] Non esiste un solo protocollo di trattamento che vada bene per tutti i bambini
affetti da autismo, nel corso degli anni, le famiglie hanno tentato diversi tipi
di trattamento, tradizionali e non tradizionali, per ridurre i comportamenti
autistici e potenziare quelli corretti. Un punto su cui la maggior parte dei
professionisti si trova d’accordo è l’importanza di un trattamento precoce.
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Sebbene alcuni individui assumano farmaci per migliorare il benessere
generale, non c’è una medicina primaria che si sia mostrata consistentemente
efficace nel trattare i sintomi così diversi da individuo ad individuo
dell'autismo. In genere i farmaci utilizzati sono gli stessi che vengono
applicati nel trattamento di altre patologie e consentono di controllare
problemi comportamentali quali l’aggressività, l’autolesionismo e gli attacchi
di collera.
I due trattamenti che hanno ricevuto il maggiore supporto empirico sono: la
modifica comportamentale e l’uso di vitamina B6 associata a supplementi di
Magnesio.
La modifica comportamentale fa uso di una varietà di strategie (p.es. rinforzo
positivo (incoraggiamento), "time out") per sviluppare comportamenti corretti,
quali la comunicazione e la socializzazione, e per scoraggiare quelli
inadeguati, quali i comportamenti auto-stimolatori ed i comportamenti
autolesionistici.
Inoltre, come già menzionato, molti individui autistici hanno alterazioni della
percezione sensoriale, per cui si cerca di intervenire anche su questo canale:
vengono usate tecniche di integrazione sensoriale per trattare disfunzioni
tattili, vestibolari e propriocettive. Molti individui autistici sono anche
sensibili ai suoni ambientali. Possono udire suoni al di fuori della gamma di
frequenza normale e/o possono percepire certi suoni come dolorosi. Il
Training per l’Integrazione Uditiva (ascolto di musica, filtrata ed alterata in
modo particolare, riprodotta per dieci ore) è una terapia che è spesso usata per
ridurre queste tipo di sensibilità anormale. Il Training Visuale è un’altra
terapia sensoriale formulata per normalizzare la visione. Ci sono differenti
metodi di training visuale.
Per quanto riguarda l’altro trattamento, è stato visto che la vitamina B6 presa
con il Magnesio ha dimostrato di poter migliorare il benessere generale, la
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consapevolezza e l'attenzione in circa il 45% dei bambini autistici. Esiste
inoltre una quantità di rapporti recenti sui benefici di un altro supplemento
alimentare, la Dimetilglicina (DMG). Anche la DMG sembra aiutare il
benessere generale della persona e vi sono molti rapporti aneddotici di
miglioramento della capacità di comunicazione.
2.3 Aspetti cognitivi e neuropsicologici [39] Negli ultimi 40 anni, gli psicologi cognitivi, hanno tentato di identificare i
deficit cognitivi che stanno alla base dei disturbi comportamentali che si
ritrovano nell’autismo.
Gli studi effettuati hanno condotto alla formulazione di differenti teorie
riguardo alla modalità di funzionamento cognitivo e neuropsicologico dei
soggetti autistici.
La presenza di differenti modelli nasce dalla disomogeneità di presentazione
del disturbo e dalla compromissione di diverse aree, che rende il problema
estremamente complesso e difficilmente riconducibile ad un’unica alterazione
o percorso patogenetico.
Tra queste teorie le più accreditate sono quattro:
1. Teoria della mente
2. Teoria dell’alterazione delle funzioni esecutive
3. Teoria della debole coerenza centrale
4. Teoria del cervello maschile
Le diverse versioni della teoria della mente ipotizzano una disfunzione a
qualche stadio dell’acquisizione di una “teoria della mente”, ovvero della
capacità di orientarsi nel mondo interpersonale attraverso l’automatica
attribuzione di stati mentali, intenzioni e punti di vista agli interlocutori. I
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soggetti affetti da autismo non sono in grado di rappresentarsi lo stato mentale
altrui e di sé stessi, di raffigurarsi un agire che tenga conto delle credenze e
dei pensieri soggettivi e di rispondere agli stimoli ambientali, se non dentro
un rapporto oggettuale, vissuto nel concreto. Tale teoria è dimostrata
dall’attivazione di aree della corteccia diverse rispetto ai soggetti normali [5].
Nella Teoria delle funzioni esecutive, utilizzando il termine “funzioni
esecutive” ci di riferisce alle funzioni di alto livello che includono la memoria
di lavoro, la pianificazione, l’intenzione, la flessibilità cognitiva e l’inibizione.
La disfunzione esecutiva nell’autismo è evidente a causa della presenza di
comportamenti perseverativi, rituali ed azioni motorie ripetitive. Queste
funzioni sono svolte dai lobi frontali che nei soggetti autistici risultano infatti
danneggiati [6].
La Teoria della debole coerenza centrale si riferisce alla difficoltà di
effettuare un processing globale e all’aumentata abilità nel processare dettagli
locali. Tale disfunzione coinvolge sia caratteristiche sociali che non sociali
dell’autismo. Questa teoria è giustificata dal fatto che nei soggetti autistici c’è
una maggiore attivazione delle aree occipitali e temporali piuttosto che nella
corteccia prefrontale, suggerendo un aumento del processing a livello
sensoriale piuttosto che un’integrazione olistica degli stimoli funzionali [11].
Infine secondo la Teoria del cervello maschile, l’autismo è la manifestazione
estrema di un profilo cognitivo in genere appartenente al genere maschile.
Questa teoria è supportata da basi comportamentali: le femmine sono favorite
in ambiti quali il linguaggio, la comunicazione pragmatica, ed altri ambiti
sociali e comunicativi. Supporti biologici derivano anche dall’aumento del
testosterone nei soggetti artistici.
Come è possibile dedurre da questa breve descrizione, nessuno dei modelli
formulati è in grado di rappresentare in maniera convincente ed unitaria la
realtà autistica, in tutta la sua complessa sintomatologia e multiformità di
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presentazione. Questi modelli inoltre cercano di evidenziare i deficit cognitivi
presenti nei soggetti autistici senza però identificare le basi neuronali di tale
disordine.
I modelli teorici sono tuttavia necessari per guidare la ricerca futura con la
consapevolezza della necessità di modificarli o sostituirli, alla luce dei
progressi ottenuti.
2.4 Studi neurobiologici sull’autismo Nei paragrafi precedenti si è visto come la diagnosi e il trattamento
dell’autismo convenzionali si basano esclusivamente su criteri
comportamentali e psicologici.
Le psicoterapie relazionali, gli interventi psico-educativi e quelli riabilitativi,
inducendo grossi miglioramenti nel piano comportamentale, dei meccanismi
psico-mentali, delle capacità cognitivo-intellettive (confermati
dall’applicazione di numerose scale di valutazione), non ci dicono tuttavia se
la ristrutturazione dell’ Io sia determinata da una regressione della psico-
patologia o da un miglioramento del funzionamento cerebrale e/o da un
riequilibrio del meccanismo dei molti neurotrasmettitori chiamati in causa.
Anche per quanto riguarda la diagnosi, i criteri attualmente impiegati
risultano essere insoddisfacenti perché consentono una diagnosi relativamente
tardiva mentre è stato visto che lo stadio critico dell’autismo si verifica
durante le prime fasi dell’infanzia, proprio quando il cervello inizia a formarsi.
Una comprensione soddisfacente dell’autismo richiede quindi un approccio
multidisciplinare per poter affiancare agli studi psicopatologici studi
approfonditi sulla struttura e le funzioni del cervello e sulla modalità di
funzionamento dei neurotrasmettitori [40, 41].
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2.4.1 Neuropatologia e imaging cerebrale [42, 43, 2] Questi studi si basano sia sull’analisi di tessuti postmortem sia su tecniche di
imaging non invasive per determinare le regioni cerebrali coinvolte
nell’autismo.
Numerosi studi hanno dimostrato un aumento del volume cerebrale dei
soggetti autistici rispetto alla norma (Fig. 2.3). Ad esempio Baily et al.
esaminando cervelli postmortem di individui dai 4 ai 24 anni di età, hanno
riscontrato che quattro su sei di essi erano megaloencefalici.
Figura 2.3 Aumento del volume cerebrale in un soggetto autistico
Tali risultati sono confermati dagli studi di Risonanza Magnetica. Basandosi
su questi studi, alcuni mesi fa, Courchesne ha formulato una nuova e
provocatoria ipotesi secondo cui lo sviluppo anormale del cervello si articola
in due fasi (Fig. 2.4): una lenta riduzione della circonferenza cerebrale alla
nascita ed una crescita improvvisa ed eccessiva di tale circonferenza nello
sviluppo successivo [9].
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Figura 2.4 Sviluppo del cervello nei bambini autistici e nei bambini normali
Questo accrescimento anormale non è uniformemente distribuito. Usando la
tecnologia della MRI-imaging, Courchesne e i suoi colleghi hanno potuto
identificare i tessuti in cui questo aumento di crescita è più pronunciato: i
neuroni-stratificati della materia grigia della corteccia cerebrale e della
materia bianca sottostante, che contengono le proiezioni di connessione
fibrosa, per e dalla corteccia, e altre aree del cervello, incluso il cervelletto.
Studi neuropatologici regionali hanno messo in evidenza possibili alterazioni
nel tronco encefalico, nel cervelletto e nelle strutture del sistema limbico che
comprende l’ippocampo, l’amigdala, il nucleo septico e la corteccia cingolata
anteriore [10].
In base agli studi di Kemper e Barman, che hanno esaminato tessuti cerebrali
postmortem di quasi 30 soggetti autistici, è emerso che le cellule del sistema
limbico dei soggetti autistici sono tipicamente piccole e sottilmente
impachettate assieme, e, se comparate alle cellule corrispondenti di soggetti
normali, esse appaiono insolitamente immature, avendo una complessità
dell’albero dendritico ridotta rispetto alla norma [13].
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Aylward et al. hanno messo in evidenza, tramite studi di risonanza magnetica
una diminuzione del volume dell’amigdala e dell’ippocampo mentre
Haznedar et al. hanno osservato una diminuzione del volume e una
diminuzione dell’attività tramite PET della corteccia cingolata anteriore.
Bauman e Kemper hanno evidenziato un’anormalità intrigante anche nel
cervelletto di autistici adulti e bambini: le cellule di Purkinje sono molto
ridotte numericamente (Fig.2.5) [13].
Fatemi e collaboratori hanno evidenziato che oltre ad una riduzione nel
numero si ha anche una riduzione delle dimensioni delle cellule di Purkinje
mentre la densità non varia [44].
Figura 2.5 A. Cellule di Purkinje in un cervelletto normale, B. Riduzione del numero di cellule di Purkinje nel cervelletto di un soggetto autistico
Le cellule di Purkinje hanno il ruolo di inibire gli output eccitatori provenienti
dal nucleo profondo del cervelletto. Una riduzione del numero di tali cellule
rende il nucleo privo di inibizione portando ad una connettività anomala
lungo il circuito cervelletto-talamo-corteccia cerebrale (Fig. 2.6)
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Figura 2.6 Incremento della connettività cerebellare mostrato in un’immagine di RM che passa attraverso il cervelletto, il talamo e la corteccia frontale
Ne risultano anomalie sia a livello anatomico che funzionale quali l’eccessiva
crescita delle aree corticali, l’iper-eccitazione delle proiezioni talamo-corticali
e l’inappropriata modulazione dei potenziali correlati agli eventi .Tutto ciò
aumenta il “rumore” nel sistema nervoso centrale e riduce l’efficienza nel
processamento dell’informazione [45].
Nonostante le scoperte sui deficit delle cellule di Purkinje siano le più
evidenti, gli studi neuropatologici rivelano altre anormalità a livello del
cervelletto. Per esempio Bauman e Kemper hanno evidenziato anche una
riduzione delle cellule granulari ed un aumento delle dimensioni dei neuroni
dei nuclei cerebellari profondi [13].
Gli studi di imaging consentono di mettere in luce ulteriori anomalie che
riguardano la struttura del cervelletto. Courchesne ha potuto osservare,
analizzando con tecniche di risonanza magnetica il cervelletto di pazienti
autistici, un’ipoplasia del verme posteriore interessante i lobuli VI e VII, a
volte associata a ipoplasia degli emisferi cerebellari, correlata in maniera
apparentemente proporzionale alla gravità dei sintomi (Fig. 2.7). Tuttavia,
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alcuni pazienti mostravano invece un’iperplasia degli stessi. Dato che le
persone con autismo necessitano di tempi più lunghi del normale per spostare
l'attenzione, egli, da ulteriori indagini, concluse che i lobuli VI e VII
potessero avere un ruolo in questo senso, con una conseguente perdita
d’informazioni su contesto e contenuto.
Figura 2.7 Immagini di RM che rappresentano il cervelletto di un soggetto normale e di un soggetto autistico e sovrapposizione dei vermi cerebellari
Da queste osservazioni si evince che il cervelletto è uno dei siti più comuni
delle anormalità anatomiche dell’autismo. La patologia cerebellare può
influenzare i comportamenti e i sintomi dell’autismo attraverso almeno due
vie: una via diretta secondo cui i difetti anatomici del cervelletto causano
anomalie nelle funzioni in cui esso è implicato quali funzioni cognitive,
sociali ed emotive, ed una via indiretta dovuta alla connessione del cervelletto
con diverse aree cerebrali che risentono delle sue disfunzioni.
Gli studi neuropatologici non hanno al momento messo in evidenza alcuna
anormalità, a livello globale, della neocorteccia. Solamente alcuni studi di
risonanza magnetica hanno rivelato un’estensione del solco parietale ed un
assottigliamento del corpo calloso. A livello delle minicolonne della
neocorteccia sono presenti invece delle anormalità. Le minicolonne sono le
unità fondamentali del processamento e sono costituite da cellule piramidali e
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da interneuroni assemblati verticalmente. Gli studi realizzati da Casanova [46]
e da Courchesne [3] mettono in evidenza una diminuzione delle dimensioni
ed un aumento in numero delle minicolonne nei soggetti autistici (Fig 2.8).
Tale anormalità morfometrica è strettamente dipendente dall’area della
corteccia in cui esse si trovano: la massima anormalità si ha nella corteccia
frontale dorsale e orbitale, minori anormalità si ritrovano nella corteccia
temporale mentre non si riscontrano anormalità nella corteccia visiva primaria.
Figura 2.8 Minicolonne in un soggetto normale (alto) e in un soggetto autistico (basso). Le barre di scala misurano 200 μm a sinistra e 50 μm a destra
Il motivo per cui le minicolonne risultano essere sottosviluppate può essere
dato da un difetto nella migrazione dei neuroni che vanno a distribuirsi in
modo non uniforme all’interno dei diversi livelli. Le aree in cui le anormalità
delle minicolonne sono più evidenti sono quelle più deficitarie nei soggetti
autistici. La corteccia frontale infatti è quella che regola funzioni di alto
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livello quali funzioni sociali, emotive e cognitive che nei soggetti autistici
risultano essere compromesse.
2.4.2 Neuroimaging funzionale [42, 43, 7] Dato che la diagnosi dell’autismo è basata su disturbi comportamentali
normalmente mappati da specifiche reti cerebrali, la risonanza magnetica
funzionale (fMRI) può essere utile per esaminare i sistemi neuronali
danneggiati nell’autismo (Fig 2.9). In particolare gli studi di fMRI hanno
rivolto la loro attenzione verso le disfunzioni a livello dell’interazione sociale.
Sono stati esaminati compiti quali la percezione delle espressioni facciali,
l’attenzione, l’empatia e la cognizione sociale ed è stato visto che si riscontra
una diminuzione dell’attività nelle regioni che governano queste funzioni. Ad
esempio deficit nell’attenzione sono associati con una riduzione dell’attività
nel solco temporale superiore posteriore (Pelphery et al.) mentre deficit nella
percezione sociale e nelle emozioni sono associati con una riduzione
dell’attività nell’amigdala (Baron-Cohen, Critchley al., Pierce et al.).
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Figura 2.9 Anormalità funzionali nel cervello autistico A. Immagine di fMRI che mostra l’ipoattivazione del giro fusiforme, B. Schematizzazione del cervello che mostra le aree ipoattivate nel cervello autistico (IFG, giro frontale inferiore; pSTS, solco temporale superiore posteriore; SFG, giro frontale superiore; A, amigdala; FG, giro fusiforme) Gli studi di imaging funzionale hanno permesso anche di studiare meglio la
connettività cerebrale e di vedere come questa risulta alterata nei soggetti
autistici. Come è stato illustrato nel capitolo precedente la connettività può
essere anatomica o funzionale ed esiste sia a livello di una singola regione sia
tra regioni cerebrali diverse.
Molti studi, tra cui quello di Courchensne e Pierce [12], dimostrano che
l’autismo sia associato con una riduzione della connettività fra le reti neurali
locali specializzate nel cervello, ovvero con una bassa connettività long-range,
e con un’alta connettività all’interno di singoli assemblaggi, ovvero con
un’alta connettività locale.
Gli elementi anatomici che supportano questa teoria sono dati innanzi tutto
dall’aumento delle dimensioni cerebrali nelle prime fasi dello sviluppo che
coincide con il periodo in cui i processi di sinaptogenesi, apoptosi e
mielinizzazione sono al loro picco e questo interferisce sul normale sviluppo
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delle connessioni a livello della corteccia. Inoltre l’anormale crescita e
differenziazione cellulare o l’alterata sinaptogenesi, rende ragione della
molteplicità di funzioni neuropsicologiche e comportamentali compromesse e,
in particolare, delle anormalità nell’integrazione delle informazioni.
L’aumentata connettività locale e la scarsa connettività globale
compromettono la discriminazione dei segnali dai rumori (Fig. 2.10).
Figura 2.10 Effetto della connettività neuronale sull’attivazione cerebrale. In alto: nella rete di sinistra la forte connettività tra poche regioni e la connettività tra aree lontane permette di discriminare bene il segnale (doppia freccia) dal rumore (freccia singola) mentre nella rete di destra le aree connesse non sono ben delimitate e non si sviluppa la connettività a lunga distanza. In basso: nell’immagine di sinistra si notano pattern distinti di attivazione funzionale mentre in quella di destra si evidenzia un’anormale attivazione intensa e regionale
Tali evidenze anatomiche possono essere confermate da studi di imaging
funzionale.
In una rete iper-connessa gli input sensoriali dovrebbero evocare
un’attivazione anormalmente grande sia per gli stimoli attesi che per quelli
non attesi, dando luogo all’interno delle regioni sensoriali ad un aumento
globale dell’attivazione ma ad una riduzione della selettività di tale
attivazione. Al contrario, le regioni cerebrali che promuovono l’integrazione
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
58
funzionale, dovrebbero manifestare una riduzione nell’attivazione e nella
correlazione funzionale con le regioni sensoriali. Gli studi di Belmonte, che
combinano misure di risonanza magnetica funzionale con misure
elettroencefalografiche, in un compito di attenzione visiva spaziale,
dimostrano esattamente questo pattern [47].
Una nuova interessante scoperta riguarda il coinvolgimento dei così detti
“neuroni specchio” nel quadro autistico. I neuroni specchio sono dei neuroni
che si trovano nella corteccia premotoria, nella corteccia cerebrale ed in
quella insulare. Essi si attivano quando viene eseguito un movimento
volontario ma anche quando si osserva qualcuno compiere un movimento.
Gli studi sulle persone autistiche dimostrano una mancanza di attività dei
neuroni specchio in diverse regioni del cervello. Questi studi sono ad esempio
quelli realizzati Ramachandran e Oberman, che tramite EEG hanno rivelato
una mancanza di attività dei neuroni specchio nei soggetti autistici durante
l’osservazione di un movimento, o quelli realizzati da Dapretto e colleghi che,
utilizzando la fMRI, hanno dimostrato una riduzione dell’attività dei neuroni
specchio nella corteccia prefrontale (Fig.2.11).
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
59
Figura 2.11 Attivazione cerebrale durante l’imitazione delle emozioni facciali. a. controllo, b. soggetto autistico, c.confronto
I neuroni specchio non sono associati solamente al movimento ma anche alle
interazioni sociali per cui le disfunzioni di questo sistema neurale potrebbero
spiegare alcuni sintomi primari dell’autismo tra i quali l’isolamento e
l’assenza di empatia [48].
2.4.3 Neurochimica e neuroimmunologia Nei soggetti con autismo sono stati descritti numerose alterazioni della
concentrazione di neurotrasmettitori, che includono serotonina, dopamina,
norepinefrina, glutammato/NMDA, GABA e oppioidi. Tutti questi
neurotrasmettitori sono ben rappresentati nell’amigdala, struttura cerebrale
importante per gli aspetti dell'interazione sociale. Durante la vita fetale i
neurotrasmettitori agiscono come segnali di regolazione dello sviluppo e della
plasticità del sistema nervoso centrale.
Ricerche dell'ultimo decennio su possibili alterazioni biochimiche
nell'autismo hanno consentito l’individuazione, in molti casi, di una
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
60
disfunzione dopaminergica e più precisamente di una carenza di dopamina,
che potrebbe essere dovuta ad un’incapacità da parte delle cellule nervose di
produrre dopamina, ad un'insensibilità o un basso numero di recettori
dopaminergici o ad una impossibilità della dopamina a svolgere la sua
funzione per la presenza di inibitori. Il sistema dopaminergico, con le
influenze degli altri neurotrasmettitori, svolge la sua principale attività a
livello del sistema mesolimbico, meso-corticale e nigro-striatale. Attraverso
questa rete di strutture si esplicano le funzioni dell’attenzione, associazione,
percezione, intenzione, comunicazione, emozione e motricità e un
funzionamento non adeguato del sistema dopaminergico potrebbe dunque
giustificare l’isolamento e le anomalie percettive e comportamentali presenti
nell’autismo [49].
Diverse sono le disfunzioni metaboliche che possono essere correlate con
l’autismo e da esse sono scaturiti numerosi approcci che riscuotono al
momento svariati consensi, data la loro rilevanza “pratica”.
Shattock, partendo dalla constatazione di Panksepp sulla somiglianza tra la
sintomatologia dovuta ad assunzione cronica di oppioidi e quella dell'autismo
ha analizzato con la HPLC (Cromatologia Liquida ad Alta Resa) le urine di
alcuni soggetti affetti o con disturbi correlati, rilevando l'effettiva presenza di
elevati livelli di oppioidi (come la beta-endorfina) nel SNC, che potrebbero
essere dovuti a:
• un'incompleta scissione del glutine e della caseina;
• la creazione da parte di glutine e caseina dei ligandi per enzimi preposti
alla scissione degli oppioidi naturali, con un conseguente accumulo di
endorfine per un tempo più lungo.
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
61
Questo spiegherebbe anche le osservazioni di Reichelt et al., che hanno
mostrato un elevato tasso di prodotti della scissione del glucosio di alcuni
cereali e prodotti caseari (glutine e caseina, appunto) [50].
Gli oppioidi sarebbero responsabili dell’inibizione della trasmissione nei
principali sistemi di neurotrasmettitori esistenti e ad essi potrebbero anche
essere dovute alcune alterazioni del sistema immunitario nell'autismo. Dato il
loro ruolo nei processi di specializzazione neuronale nello sviluppo neonatale,
ad un elevato tasso di peptidi oppioidi potrebbe anche essere dovuta
l’eccessiva riduzione di neuroni, rilevata in alcune aree del cervello di persone
con autismo [51].
Sono state anche documentate, anche se non in modo univoco e conclusivo,
alterazioni al metabolismo della serotonina ed in particolare un aumento dei
livelli di serotonina nel sangue. Chugani et al. nel 1999 hanno dimostrato
mediante studi PET che nei bambini sani durante l’infanzia la capacità di
sintesi di serotonina a livello del sistema nervoso centrale è particolarmente
elevata e che questo processo è fortemente alterato nei bambini autistici.
Questi risultati suggeriscono che il gene per il trasportatore della serotonina
può essere un importante candidato per l’autismo. Gli alti tassi di serotonina
sono apparsi correlati al livello intellettivo e all’età dei soggetti, suggerendo
conferme all’ipotesi di un ritardo maturativo del SNC [52].
Altri studi hanno evidenziato la presenza di elevati livelli plasmatici di
norepinefrina e di un incremento di acido omovanillico nel liquido
cefalorachidiano di soggetti con autismo.
2.4.4 Teoria del paesaggio saliente [48]
Per spiegare alcuni sintomi secondari dell’autismo, come l’ipersensibilità, lo
sviamento del contatto visivo e l’avversione per certi rumori, alcuni
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
62
ricercatori, tra cui Ramachandran e Oberman, hanno sviluppato quella che
viene chiamata “teoria del paesaggio saliente”. In un bambino normale
l’informazione sensoriale viene trasmessa all’amigdala, la porta di ingresso
verso il sistema limbico che regola le emozioni. I messaggi scendono a
cascata dall’amigdala alle altre parti del sistema limbico e raggiungono infine
il sistema nervoso autonomo, che predispone il corpo all’azione. L’attivazione
del sistema autonomo invierà a sua volta informazioni al cervello,
amplificando la reazione emotiva.
Utilizzando le informazioni provenienti dalla conoscenza depositata in
memoria, l’amigdala stabilisce la giusta reazione del bambino a ciascuno
stimolo, creando un paesaggio di rilevanza del suo ambiente.
Si può ipotizzare che i bambini autistici abbiano un paesaggio saliente
distorto, forse a causa di connessioni alterate tra le aree corticali che
elaborano i segnali sensoriali e l’amigdala o tra le strutture limbiche ed i lobi
frontali che regolano il comportamento risultante. L’ipotesi spiegherebbe
perché questi bambini evitano il contatto visivo e qualsiasi altra sensazione
che potrebbe sconvolgerli. Inoltre la percezione distorta del significato
emotivo spiegherebbe il perché questi bambini sono attratti da eventi o da
oggetti banali mentre si disinteressano alle cose che affascinano la maggior
parte dei bambini.
Uno studio realizzato dai due ricercatori che hanno formulato questa teoria,
conferma questa ipotesi. Analizzando le risposte del sistema autonomo,
misurando l’aumento della conduttanza cutanea causata dalla sudorazione, è
emerso che nei bambini autistici il sistema autonomo è più attivo rispetto ai
soggetti di controllo.
La distorsione del paesaggio saliente può essere dovuta all’epilessia del lobo
temporale che si è scoperto essere molto frequente nell’infanzia dei bambini
autistici. Causati da raffiche ripetute e casuali di impulsi nervosi che
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
63
attraversano il sistema limbico, questi attacchi potrebbero alterare le
connessioni tra amigdala e corteccia visiva, potenziando indiscriminatamente
alcuni legami ed indebolendone altri.
Una terapia che plachi le risposte del sistema autonomo quindi potrebbe
mitigare alcuni sintomi dell’autismo.
2.4.5 Modelli animali [43] La possibilità di creare dei modelli animali dell’autismo favorisce lo studio
delle anomalie cerebrali e dei disturbi comportamentali sin dalle prime fasi
dello sviluppo cerebrale.
2.4.5.1 Modelli dello sviluppo neuronale Data la multifattorialità dell’eziologia e la varietà fenotipica all’interno di
ciascun dominio legato ad ogni disfunzione, non c’è un singolo modello di
animale che può catturare tutte le caratteristiche molecolari, cellulari e
strutturali dell’autismo. Basandosi sulle evidenze emerse da studi patologici,
genetici e di neuroimaging, gli studi sui modelli animali seguono quattro
differenti approcci:
1. Approccio neurobiologico
2. Approccio endofenotipico
3. Approccio genetico
4. Approccio patogenetico.
L’approccio neurobiologico si basa sul concetto che i meccanismi fisiologici
di base si conservano attraverso organismi diversi e vengono raffinati o
modificati durante l’evoluzione. Identificando le molecole ed i meccanismi
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
64
cellulari che regolano lo sviluppo delle regioni cerebrali o regolano le
funzioni cognitive, è possibile identificare i target molecolari il cui
danneggiamento può contribuire alle anormalità presenti nell’autismo. Ad
esempio le ricerche su ossitocina e vasopressina indicano che questi
neuropeptidi partecipano al riconoscimento sociale, all’afflizione e al legame
tra madre e figlio in molte specie animali.
La regolazione della neurogensi tramite fattori di crescita nelle regioni che
presentano delle anormalità nell’autismo, tra cui la corteccia cerebrale,
l’ippocampo e il cervelletto, indica che la proliferazione è controllata da un
bilanciamento di segnali promitogenici ed antimitogenici. I fattori di crescita,
agendo su specifici recettori, determinano rapidi cambiamenti nella selezione
dei regolatori del ciclo cellulare per cui si può supporre che l’aumento delle
dimensioni cerebrali causi cambiamenti nell’attività dei segnali promitogenici
ed antimitogenici.
L’approccio endofenotipico esplora invece meccanismi alla base di aspetti
che non sono necessariamente confinati ad una specifica categoria diagnostica
come l’autismo. I fenotipi correlati all’autismo includono l’isolamento sociale,
le modifiche nel sistema dei neurotrasmettitori e il deficit nel numero delle
cellule di Purkinje.
Molti topi mutanti mostrano deficit delle cellule di Purkinje, tuttavia
l’Engreiled 2 (En2) è quello più interessante. Tale modello infatti è
rappresentativo di un vasto insieme di caratteristiche dell’autismo. Esso
innanzi tutto presenta le anomalie cerebellari riscontrate nell’autismo quali la
riduzione del numero di cellule di Purkinje e delle cellule granulari e
anormalità a livello della foliazione cerebellare. Anche l’amigdala subisce
delle modificazioni all’interno di questi modelli animali: le dimensioni sono
normali ma si nota uno spostamento di questa struttura in posizione corticale.
Questo può essere dovuto ad una anormale migrazione neuronale nelle prime
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
65
fasi dello sviluppo. I modelli Engreiled mantengono inoltre la diversità tra i
sessi che si ritrova anche negli esseri umani: il numero di femmine autistiche
è minore rispetto al numero di maschi autistici [53].
Seguendo l’approccio genetico vengono indotte delle specifiche mutazioni nei
topi per definire i meccanismi regolati dai geni considerati significativi
nell’autismo. I geni testati sono noti per essere causa dell’autismo, sono
associati con l’autismo o sono stati proposti come geni candidati a contribuire
all’autismo in base alla loro funzione o alla loro localizzazione nei cromosomi.
Alcuni disturbi genetici associati all’autismo sono ad esempio la sclerosi
tuberosa, il ritardo mentale X Fragile e la sindrome di Rett. I topi mutanti che
presentano i geni legati allo sviluppo di queste patologie sono ancora oggetto
di studio.
Infine l’approccio patogenetico esamina gli effetti di problemi dello sviluppo
che si conosce o si ipotizza siano correlati all’autismo quali teratogeni,
infezioni materne e sindromi congenite del rombencefalo. Ad esempio Rodier
et al., hanno mimato lo stimolo teratogenico esponendo topi E12 ad acido
valprico, un comune aunticonvulsante associato all’autismo. Gli animali così
trattati hanno sviluppato deficit nel numero delle cellule di Purkinje e
anomalie comportamentali caratteristiche dell’autismo.
2.4.5.2 Modelli del comportamento
Un modello animale ideale di autismo dovrebbe evidenziare anomalie
comportamentali nell’ambito delle interazioni sociali e della comunicazione
sociale e presentare atteggiamenti rituali e ripetitivi.
Per quanto riguarda l’interazione sociale si va ad osservare la propensione di
un topo a trascorrere il suo tempo con altri topi. Per studiare questo
comportamento è stata progettata e realizzata una camera a tre comparti in cui
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
66
il topo viene messo nella camera centrale dopo di che esso ha la possibilità di
esplorare nuovi oggetti, nel compartimento di sinistra, o di trascorrere il suo
tempo con un altro topo, nel compartimento di destra (Fig. 2.12). Delle
fotocellule rilevano i movimenti del topo ed un software calcola il tempo
trascorso in ciascun compartimento e il numero di ingressi effettuato. Un topo
normale tende a trascorrere più tempo nel compartimento dove si trova l’altro
topo.
Figura 2.12 Camera a tre comparti progettata per studiare l’interazione sociale nei topi
Il secondo sintomo, ovvero la comunicazione sociale, può essere misurata
attraverso compiti di comunicazione uditiva ed olfattiva.
La presenza di interessi ristretti e perseveranti può essere infine messa in
evidenza attraverso scelte esplorative e compiti di inversione.
2.4.6 Il supporto della tecnologia Tra tutte le patologie, il disturbo autistico rappresenta una delle sfide maggiori
per l’applicazione della tecnologia nella diagnosi, nello studio e nel
trattamento del disturbo. L’autismo infatti è particolarmente intangibile e
sfaccettato per cui risulta difficile condurre ricerche tecnologiche per
migliorare le condizioni dei pazienti affetti da autismo. Tuttavia la
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
67
complessità dalla patologia spesso rende inefficaci i metodi clinici triviali per
cui è necessario avvalersi di supporti tecnologici.
Tali approcci possono servire sia a migliorare la vita di tutti i giorni dei
soggetti autistici, sia, soprattutto, a risolvere questioni aperte circa la natura
del disagio.
Per quanto riguarda la diagnosi, la fase su cui si concentra questo lavoro di
tesi, le tecnologie che possono apportare miglioramenti, riguardano i metodi
genetici, l’imaging, le tecnologie cellulari e l’utilizzo di algoritmi
computazionali per estrarre misure quantitative riguardanti la morfologia e la
topologia delle strutture neuronali.
Come è già stato messo più volte in evidenza, l’autismo è un disturbo che ha
basi genetiche per cui sono molto importanti gli studi che cercano di
determinare i geni coinvolti nell’autismo tramite metodi di analisi ereditaria,
analisi di linkage e analisi sib pair. La tecnologia di analisi genetica resa
disponibile negli ultimi anni (Human Genome Program, U.S. Department of
Energy, 2003) ha enormemente facilitato questo compito. Avendo disponibile
quasi l’intero genoma umano, le ricerche genetiche possono essere più
propriamente indirizzate e questo aumenta la velocità con cui gli esperimenti
possono essere condotti.
Per quanto riguarda le tecniche di neuroimaging, quali la risonanza magnetica
(MRI) e la tomografia ad emissione positroni (PET), esse costituiscono uno
dei più promettenti esempi di tecnologie recentemente sviluppate che
permettono di analizzare la struttura e le funzioni di ciò che è più difficile
studiare nel corpo umano: il cervello.
La MRI strutturale, come si è visto nei paragrafi precedenti, può essere
utilizzata nello studio dell’autismo per determinare le proprietà fisiche dei
cervelli dei pazienti. La MRI funzionale invece, costituisce un modo per
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
68
esplorare le basi neuropsicologiche dei deficit nelle cognizioni sociali e nelle
funzioni esecutive che costituiscono le caratteristiche principali dell’autismo.
La tecnologia di imaging fornisce quindi importanti contributi ad una
miglioramento della comprensione sia del fenotipo cerebrale che delle basi
neuronali dell’autismo e ci si può aspettare che ulteriori delucidazioni
verranno apportate con la disponibilità di tecnologie ancora più avanzate [54].
Il cervello per quanto complesso, è pur sempre assimilabile ad una partizione
di materia e, in questa ottica, il suo studio trae giovamento dall’approccio
sperimentale sviluppato nell’ambito delle scienze naturali. L’utilizzo di questa
procedura nell’ambito delle neuroscienze ha permesso di sviluppare modelli
neurobiolgici in vitro che sempre meglio approssimano taluni aspetti
dell’organizzazione del sistema nervoso centrale. Tali modelli includono
colture primarie di neuroni ottenuti da embrioni o da esemplari post-natali,
fettine di cervello e colture (dette “organotopiche”) ricavate da fettine di
cervello.
Oltre a questi aspetti tecnologici l’ingegneria fornisce anche degli importanti
contributi metodologici alle neuroscienze. Secondo una tradizione consolidata
anche in molti settori della fisica e della biochimica, un aspetto fondamentale
di numerose branche dell’ingegneria, tra cui in particolare la bioingegneria, è
il sistematico utilizzo di modelli matematici e simulazioni al calcolatore per la
descrizione dell’informazione [55].
Ad esempio nel caso dell’autismo è importante analizzare e modellare sia gli
aspetti connettivi del cervello sia la morfologia dei singoli neuroni che
risultano danneggiati, quali ad esempio le cellule di Purkinje.
Per studiare la connettività è possibile analizzare la struttura delle reti neurali
in vitro. In una rete neuronale, come in tutte le reti, vi è una forte relazione tra
la struttura della rete e la sua funzione. Da ciò deriva la possibilità di
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
69
determinare la dinamica e l’attività di una rete analizzando la sua morfologia
e la topologia della connettività.
Un modo molto semplice ma efficace per far ciò è quello di modellare
matematicamente la rete come un grafo.
In questa maniera è possibile applicare gli operatori matematici della teoria
dei grafi per analizzare il sistema sotto indagine e trovare caratteristiche
generali comuni a tutti i diversi tipi di reti interne o esterne al sistema nervoso.
L’analisi morfometrica dei neuroni è molto importante negli studi in cui si
vogliono rivelare alterazioni dendritiche o assonali, cambiamenti morfologici
associati a determinate patologie, o a cambiamenti nelle condizioni ambientali
o la relazione tra struttura e funzione nell’albero dendritico.
Molte condizioni possono variare la struttura dell’albero dendrtitico come
l’apprendimento, un ambiente particolarmente ricco, fluttuazioni ormonali e i
livelli dell’attività bioelettrica neuronale [56]. Da queste considerazioni si
capisce come uno studio dei cambiamenti morfologici dei neuroni, ed in
particolare delle cellule di Purkinje, fornisce importanti indicazioni sulle
variazioni delle condizioni esterne. Tale analisi risulta essere molto complessa
date le dimensioni microscopiche su cui si lavora. L’utilizzo di algoritmi di
elaborazione e di analisi delle immagini delle cellule coltivate in vitro,
consente di ottenere misure precise e dettagliate che caratterizzano
quantitativamente le caratteristiche morfologiche dell’albero dendritico.
Una volta studiata la topologia delle reti e la morfologia dei neuroni nei
soggetti normali, è possibile applicare le stesse analisi ai neuroni estratti da
modelli animali dell’autismo per evidenziare le anomalie presenti.
2.4.7 Nuove prospettive di diagnosi e terapia L’approccio neuroscientifico allo studio dell’autismo e le nuove tecnologie
che supportano tale studio, consentono di conoscere le origini dello sviluppo
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
70
dell’autismo e di identificare le anormalità precoci nel comportamento e nello
sviluppo cerebrale.
Le tecniche di neuroimaing ed in particolare la fMRI, consentono di correlare
la connettività funzionali con i sintomi comportamentali e quindi forniscono
un mezzo per stabilire la terapia adatta a ciascun paziente.
Gli studi genetici stanno portando ad importanti scoperte sui regolatori e i
processi dello sviluppo, sui neurotrasmettitori e i componenti sinaptici e,
potenzialmente, su nuovi meccanismi genetici che contribuiscono allo
sviluppo dell’autismo nel contesto di specifici fattori ambientali.
I modelli animali, una volta perfezionati, consentiranno di conoscere in
maniera approfondita, tutte le componenti che caratterizzano l’autismo e
permetteranno di definire i percorsi molecolari nei soggetti autistici umani.
Tutti questi studi permettono una diagnosi precoce che consente di intervenire
durante le prime fasi dello sviluppo così da contribuire a nuove e permanenti
cure per l’autismo.
In particolare tali cure si basano sull’utilizzo di neurofarmaci che, andando ad
agire a livello dei neuroni e delle sinapsi, frenano alcuni meccanismi che
stanno alla base dei deficit comportamentali nei soggetti autistici.
Ad esempio gli studi (Young e Wang, 2004) su modelli animali hanno
dimostrato l’importanza dei neuropeptidi ossitocina e vasopressina nella
regolazione del comportamento. Studi comparativi neuroanatomici
suggeriscono che il comportamento è il risultato delle differenze nei pattern
di espressione di questi peptidi. Queste evidenze possono portare a
considerare la somministrazione dell’ossitocina e della vasopressina come
terapia per l’autismo [43].
Un altro neurotrasmettitore coinvolto nel disordine autistico è la serotonina.
Sono stati riscontrati livelli alti di serotonina nel sangue e nell’urina di
pazienti autistici e gli studi di imaging cerebrale rivelano un aumento della
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
71
velocità di sintesi di tale sostanza. La serotonina ha un ruolo essenziale nella
neurogenesi, nella sopravvivenza neuronale, nella formazione dei neuriti ed in
altre funzioni cellulari importanti per un corretto sviluppo cerebrale.
A questo proposito, uno dei farmaci più promettenti per la terapia
dell’autismo, durante le prime fasi dello sviluppo, è la fluoxetina. Questo
farmaco ritarda il reuptake della serotonina da parte dei neuroni che la
rilasciano trattenendola più a lungo a livello della sinapsi (Fig. 2.13) [57,58].
Figura 2.13 Meccanismo di rilascio di serotonina a livello della sinapsi senza (alto) e con (basso) fluxetina
Capitolo 2-Approccio neuroscientifico alla diagnosi e al trattamento del disturbo autistico
72
Anche la scoperta di deficit nei neuroni specchio apre nuove strade per la
diagnosi ed il trattamento della malattia.
Una nuova strategia terapeutica potrebbe basarsi sulla correzione degli
squilibri biochimici che disattivano i neuroni specchio nei bambini autistici.
Ramachandran e Oberman, hanno ipotizzato che particolari
neurotrasmettitori, da loro chiamati “empatogeni”, agiscono da messaggeri
dei neuroni specchio coinvolti nelle risposte emotive. In base a questa ipotesi,
la parziale perdita di queste sostanza spiegherebbe l’assenza di empatia
emotiva riscontrata nell’autismo; perciò si dovrebbero cercare composti che
stimolano il rilascio di neurotrasmettitori empatogeni, o ne simulano gli effetti
sui neuroni specchio. Un possibile candidato è l’MDMA, meglio noto come
ecstasy, che ha dimostrato di favorire la vicinanza emotiva e la
comunicazione. I ricercatori dovrebbero riuscire a modificare il composto
sviluppando una terapia sicura ed efficace che riesca ad alleviare almeno
alcuni dei sintomi dell’autismo [48].
L’ulteriore comprensione dei meccanismi che stanno alla base delle
disfunzioni neuronali, permetterà l’impiego di nuovi farmaci per il
trattamento dell’autismo.