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Anno XXVI • numero 1/2017

60 ANNI DAI TRATTATIORA QUALE EUROPA?

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Numero 1/2017 anno XXVI Autorizzazione Tribunale di Genova n. 27 del 3 agosto 1991

Centro in Europa – Centro di iniziativa europeaVia dei Giustiniani 12/4 -16123 Genovatel. 010 2091270 - fax 010 [email protected] - http://www.centroineuropa.itTwitter @CentroInEuropa

Direttore responsabile: Fabrizio De Ferrari

Realizzazione a cura di Carlotta Gualco, direttrice del Centro in Europa

Hanno collaborato Roberta Mattei e Alessandro Pagano

Crediti delle foto: © Unione europea 2014, 2015 e 2016

In copertina: 25 marzo 1957, firma del Trattato di Roma © Comunità europeeIn quarta di copertina: Marcia per l’Europa (Roma, 25 marzo 2017)© UEF France – foto di Lucie Pagnatper gentile concessione MFE, Genova

Stampa: Andersen s.r.l. - Boca (No)Progetto grafico: Elena Menichini

Realizzazione editoriale© 2017 - De Ferrari Comunicazione S.r.l. Via D'Annunzio, 2/3 - 16121 GenovaTel. 010 5956111 - 010 [email protected]

L’editore rimane a disposizione per gli eventuali diritti sulle immagini pubblicate. I diritti d’autore verranno tutelati a norma di legge.

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ARGOMENTO:davvero l’Unione europea è ancora vittima di un eccesso di politiche di austerità, e principalmente all’insuf-ficienza dei suoi risultati su crescita e dell’occupazione vanno ricondotti il crescente distacco dei cittadini el’avanzare di movimenti anti UE in Europa? Qual è il ruolo del sindacato, in Europa e in Italia, e quale il suo contributo effettivo a politiche di rilanciodell’occupazione nell’attuale scenario socioeconomico?

Editoriale - L’Europa salvata dai cittadiniCarlotta Gualco, direttrice del Centro in Europa 5

Dichiarazione di Roma 7

Dopo Roma, come rilanciare l’Europa Francesco Laera, addetto stampa Rappresentanza in Italia della Commissione europea, Ufficio di Milano 11

ORA QUALE EUROPA?

Brexit e futuro della UE. Le priorità del Governo italiano Intervista a Marco Piantini, consigliere per gli Affari europei del Presidente del Consiglio 16

Libro Bianco e giorni felici George Dassis, presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo 19

60 anni dopo la firma dei Trattati di Roma. Il rilancio del progetto europeo deve partire dal bassoKarl-Heinz Lambertz, primo vicepresidente del Comitato europeo delle Regioni 22

Il “Sesto scenario”: per uscire dall’impasse l’Europa deve realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile Donato Speroni, responsabile redazione ASviS 25

Macron e l’Europa: tre messaggi di speranza Mario Telò, presidente emerito dell’Istituto di Studi Europei ULB Bruxelles, professore alla LUISS, Roma e direttore della Scuola di dottorato «Globalisation, the EU and Multilateralism» (GEM) all’Università libera di Bruxelles 28

La dimensione sociale dell’Europa Anna Colombo, consigliere speciale del Gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, già segretaria generale del medesimo Gruppo 30

L'Unione europea, il commercio e la fiscalità nell'era TrumpFranco Roccatagliata, Policy Officer alla Direzione generale Fiscalitàe Unione doganale della Commissione europea 33

SPAZIO CENTRO EUROPE DIRECT

Piano di investimenti per l’Europa – un progetto per Genova e per la LiguriaGianluca Saba, responsabile ufficio Relazioni internazionali del Comune di Genova 35

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SOMMARIO

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UNO SPAZIO PER LA SCUOLA

Accompagnare i giovani in Europa. Non solo bandiere ai portoni Chiara Saracco, insegnante 37

PUNTI DI VISTA DALL’EUROPA

Il processo di pace in Irlanda del Nord all’ombra del Brexit Giada Laganà, dottoranda alla Scuola di Scienza politica e Sociologia, National University of Ireland, Galway 39

ATTIVITÀ DEL CENTRO IN EUROPA

Partiti politici ed Europa (Genova, 7 febbraio 2017)Sintesi interventi di Guido Levi e Anna Colombo 41

Un’ Europa forte tra Putin e Trump? (Genova, 3 marzo 2017)Sintesi intervento di Mario Telò, professore ULB e Luiss 47

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L’EUROPA SALVATA DAI CITTADINI

EDITORIALE 5

Pericolo populismi scampato per l’Europa? Ilvoto popolare in Francia – dove il presidenteeletto aveva basato la sua campagna su un so-stegno netto anche se non acritico all’Europa –ha rincuorato quanti erano in ansia per le sortidell’Unione europea. Una vittoria in Franciadella candidata del fronte nazionalista avrebbeinferto un colpo probabilmente mortale all’in-tegrazione europea. Quanto alle elezioni in Ger-mania del prossimo settembre, sia in caso divittoria di Merkel che di Schulz, a governarequesto Paese così importante per la tenuta dellaUE sarà comunque un/una leader europeista. Però no: il pericolo non è scampato. Ancheperché a diversi dei gravi malesseri dell’Eu-

ropa non si è ancora data risposta, e il con-senso popolare verso l’UE è reversibile. I morti del London Bridge, la strage di giova-nissimi a Manchester e di migranti nel Medi-terraneo, sono lì a ricordarci che c’è ancorauna lunga strada da compiere perché l’Europapossa dare risposte convincenti su lotta al ter-rorismo e governo dell’immigrazione. Ci sonopoi i problemi del lavoro che non si trova, chesi perde, la ripresa che stenta, soprattutto inItalia. Ci sono le minacce protezionistiche eil ritiro dall’accordo di Parigi sul clima dellapresidenza Trump. E poi c’è la spinosa granadel divorzio della Gran Bretagna dalla UE. Sembra però che, faticosamente, l’Unione eu-ropea cerchi di rimettersi in moto, di guardareal futuro. Il vertice del 25 marzo a Roma peri 60 anni dei Trattati di Roma ha raggiuntonella sua dichiarazione finale una cauta una-nimità nel voler rilanciare il processo di inte-grazione europea, indicando alcuni “cantieri”prioritari: sicurezza, difesa, crescita, ambiente,dimensione sociale, completamento del-l’unione economica e monetaria, ruolo nelmondo. L’aveva preceduta di poco il LibroBianco sul futuro dell’Europa, con il quale laCommissione europea propone alcuni scenari– di uguale, minore o maggiore integrazione– perché sia chiara la responsabilità dei Paesinella scelta dell’uno o dell’altro. L’opzioneche pare prevalere tra i grandi Paesi è quelladell’integrazione differenziata, l’avanzamentocioè in alcuni settori da parte di gruppi di

L’EUROPA SALVATA DAI CITTADINI CARLOTTA GUALCO - direttrice del Centro in Europa

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L’EUROPA SALVATA DAI CITTADINI

EDITORIALE6

Stati, senza per forza chiudere la porta in fac-cia agli altri. Il numero affronta alcuni aspetti di questoscenario in cui si trova l’Europa, e di queicantieri. Nell’anno del 60° anniversario dei Trattati ilCentro in Europa ha pensato anche di coin-volgere studenti liguri della scuola e dell’uni-versità nell’attività di elaborazione di proposteper il futuro dell’Europa, che ha impegnatosingoli Paesi – a cominciare dal nostro –,esperti e think tank. Ci sono arrivate tanteproposte, più o meno originali o realizzabili.Ma è stato confortante sentire bambini e ra-gazzi presentarle direttamente, lo scorso 18maggio, ai loro interlocutori, il sottosegretarioagli Affari Europei Sandro Gozi, il presidentedell’Istituto per la Storia della ResistenzaMino Ronzitti, il responsabile del Centro Eu-rope Direct di Genova Gianluca Saba e ascol-tare i loro commenti. Quei giovani e giovanissimi mi sono sembratiun simbolo di quelle cittadine e cittadini chealle elezioni olandesi, austriache e francesihanno scelto di dare ancora una chance al-l’Unione europea, di non spezzarne il cam-mino. Simbolo del movimento apartitico Pulseof Europe, che in più di quaranta città tede-sche, olandesi e belghe ha invitato a votareper partiti favorevoli all’Europa. Simbolo di

quanti, in Ungheria, Polonia, nello stesso Re-gno Unito, si rifiutano di ascoltare le sirenedi quelle forze politiche che, basandosi su pro-blemi e disagi reali, predicano un ritorno al-l’autosufficienza all’interno dei confini (e dellamoneta) nazionali tanto improbabile quantodisastroso, se mai dovesse realizzarsi. Chi havotato o si è mobilitato per l’Europa ha colto,come ha indicato anche la rilevazione Euro-barometro pubblicata in aprile, il valore ag-giunto dell’unità europea nel dare rispostaalle incognite dello scenario internazionale. A dire il vero, tra i grandi Paesi UE ad essereosservato speciale oggi è proprio l’Italia, chepotrebbe avviarsi in tempi più o meno brevial voto politico. Al contrario di quanto accadein Germania, il rischio che possa prevalereuna forza antieuropea o perlomeno euroscet-tica non è remoto. A quanti vorrebbero sostenere quelle forze,quei partiti, consegno le parole di Pietro, IIIE del Liceo Colombo di Genova: “Se credeteche non sia giusto creare uno Stato Europeo, secredete che sia giusto alzare muri, far vincere par-titi populisti o xenofobi, ricacciare indietro chicerca una vita migliore ed essere intolleranti, alloralottate affinché ciò avvenga. Poi, però, abbiate ilcoraggio di tornare a casa, guardare negli occhi ivostri figli e dire: “Ho fatto la scelta giusta peril tuo futuro”.

Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker presenta il Libro Bianco sul futuro dell’Europa al Parlamentoeuropeo (3 marzo 2017). © Unione europea

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Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo

e della Commissione europea

La dichiarazione di Roma (25 marzo 2017)

Noi, i leader dei 27 Stati membri e delle istitu-zioni dell’UE, siamo orgogliosi dei risultati rag-giunti dall’Unione europea: la costruzione del-l’unità europea è un’impresa coraggiosa elungimirante. Sessanta anni fa, superando latragedia di due conflitti mondiali, abbiamo de-ciso di unirci e di ricostruire il continente dallesue ceneri. Abbiamo creato un’Unione unica,dotata di istituzioni comuni e di forti valori,una comunità di pace, libertà, democrazia, fon-data sui diritti umani e lo stato di diritto, unagrande potenza economica che può vantare li-velli senza pari di protezione sociale e welfare.

L’unità europea è iniziata come il sogno dipochi ed è diventata la speranza di molti. Finoa che l’Europa non è stata di nuovo una. Oggisiamo uniti e più forti: centinaia di milioni dipersone in tutta Europa godono dei vantaggidi vivere in un’Unione allargata che ha supe-rato le antiche divisioni.

L’Unione europea è confrontata a sfide senzaprecedenti, sia a livello mondiale che al suointerno: conflitti regionali, terrorismo, pres-sioni migratorie crescenti, protezionismo e di-suguaglianze sociali ed economiche. Insieme,siamo determinati ad affrontare le sfide di unmondo in rapido mutamento e a offrire ai no-stri cittadini sicurezza e nuove opportunità.

Renderemo l’Unione europea più forte e piùresiliente, attraverso un’unità e una solidarietàancora maggiori tra di noi e nel rispetto diregole comuni. L’unità è sia una necessità cheuna nostra libera scelta. Agendo singolar-mente saremmo tagliati fuori dalle dinamichemondiali. Restare uniti è la migliore oppor-tunità che abbiamo di influenzarle e di difen-dere i nostri interessi e valori comuni. Agi-remo congiuntamente, a ritmi e con intensitàdiversi se necessario, ma sempre procedendonella stessa direzione, come abbiamo fatto inpassato, in linea con i trattati e lasciando laporta aperta a coloro che desiderano associarsisuccessivamente. La nostra Unione è indivisae indivisibile.

Per il prossimo decennio vogliamo un’Unionesicura, prospera, competitiva, sostenibile e so-cialmente responsabile, che abbia la volontà e lacapacità di svolgere un ruolo chiave nel mondoe di plasmare la globalizzazione. Vogliamoun’Unione in cui i cittadini abbiano nuove op-portunità di sviluppo culturale e sociale e di cre-scita economica. Vogliamo un’Unione che restiaperta a quei paesi europei che rispettano i nostrivalori e si impegnano a promuoverli.

In questi tempi di cambiamenti, e consapevolidelle preoccupazioni dei nostri cittadini, so-

LA DICHIARAZIONE DI ROMA 7

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LA DICHIARAZIONE DI ROMA8

steniamo il programma di Roma e ci impe-gniamo ad adoperarci per realizzare:

1. Un’Europa sicura: un’Unione in cui tutti icittadini si sentano sicuri e possano spostarsi li-beramente, in cui le frontiere esterne siano pro-tette, con una politica migratoria efficace, re-sponsabile e sostenibile, nel rispetto delle normeinternazionali; un’Europa determinata a com-battere il terrorismo e la criminalità organizzata.

2. Un’Europa prospera e sostenibile:un’Unione che generi crescita e occupazione;un’Unione in cui un mercato unico forte, con-nesso e in espansione, che faccia proprie leevoluzioni tecnologiche, e una moneta unicastabile e ancora più forte creino opportunitàdi crescita, coesione, competitività, innova-zione e scambio, in particolare per le piccolee medie imprese; un’Unione che promuova

una crescita sostenuta e sostenibile attraversogli investimenti e le riforme strutturali e chesi adoperi per il completamento dell’Unioneeconomica e monetaria; un’Unione in cui leeconomie convergano; un’Unione in cuil’energia sia sicura e conveniente e l’ambientepulito e protetto.

3. Un’Europa sociale: un’Unione che, sullabase di una crescita sostenibile, favorisca ilprogresso economico e sociale, nonché la coe-sione e la convergenza, difendendo nel con-tempo l’integrità del mercato interno;un’Unione che tenga conto della diversità deisistemi nazionali e del ruolo fondamentaledelle parti sociali; un’Unione che promuovala parità tra donne e uomini e diritti e pariopportunità per tutti; un’Unione che lotti con-tro la disoccupazione, la discriminazione,l’esclusione sociale e la povertà; un’Unione

Festeggiamenti per l’ingresso di 10 nuovi paesi nella UE (2004). © Comunità europee Foto: Jean-Michel Clajot

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in cui i giovani ricevano l’istruzione e la for-mazione migliori e possano studiare e trovareun lavoro in tutto il continente; un’Unioneche preservi il nostro patrimonio culturale epromuova la diversità culturale.

4. Un’Europa più forte sulla scena mondiale:un’Unione che sviluppi ulteriormente i par-tenariati esistenti e al tempo stesso ne crei dinuovi e promuova la stabilità e la prosperitànel suo immediato vicinato a est e a sud, maanche in Medio Oriente e in tutta l’Africa enel mondo; un’Unione pronta ad assumersimaggiori responsabilità e a contribuire allacreazione di un’industria della difesa più com-petitiva e integrata; un’Unione impegnata arafforzare la propria sicurezza e difesa comuni,anche in cooperazione e complementarità conl’Organizzazione del Trattato del Nord Atlan-tico, tenendo conto degli impegni giuridici edelle situazioni nazionali; un’Unione attiva inseno alle Nazioni Unite che difenda un si-stema multilaterale disciplinato da regole, chesia orgogliosa dei propri valori e protettivanei confronti dei propri cittadini, che pro-muova un commercio libero ed equo e unapolitica climatica globale positiva.

Perseguiremo questi obiettivi, fermi nellaconvinzione che il futuro dell’Europa è nellenostre mani e che l’Unione europea è il mi-gliore strumento per conseguire i nostriobiettivi. Ci impegniamo a dare ascolto e ri-sposte alle preoccupazioni espresse dai nostricittadini e dialogheremo con i parlamentinazionali. Collaboreremo a livello di Unioneeuropea, nazionale, regionale o locale perfare davvero la differenza, in uno spirito difiducia e di leale cooperazione, sia tra gliStati membri che tra di essi e le istituzionidell’UE, nel rispetto del principio di sussi-diarietà. Lasceremo ai diversi livelli decisio-nali sufficiente margine di manovra per raf-forzare il potenziale di innovazione e crescitadell’Europa. Vogliamo che l’Unione siagrande sulle grandi questioni e piccola sullepiccole. Promuoveremo un processo deci-sionale democratico, efficace e trasparente,e risultati migliori. Noi leader, lavorando insieme nell’ambito delConsiglio europeo e tra le istituzioni, faremosì che il programma di oggi sia attuato e di-venga così la realtà di domani. Ci siamo unitiper un buon fine. L’Europa è il nostro futurocomune.

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#EUinMyRegion, campagna europea per scoprire i progetti finanziati dalla UE nei territori. © Unione europea

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COMMISSIONE EUROPEARAPPRESENTANZA IN ITALIAUFFICIO DI MILANO

Commissione europeaRappresentanza in Italia - Ufficio di MilanoCorso Magenta, 59 I- 20123 MilanoT. +39 02 [email protected]://ec.europa.eu/italia

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Se vuoi essere informato sull’Europa, leggi le 12 Stelle http://ec.europa.eu/italy/newsletter/index_it.htm

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DOPO ROMA, COME RILANCIARE L’EUROPA? 11

La dichiarazione di RomaIl 25 marzo l'Europa ha compiuto 60 anni. Ileader europei si sono riuniti a Roma per ricor-dare l'anniversario dei Trattati che avviaronol'integrazione sul nostro Continente e poserole basi di quella che è oggi l'Unione europea. Sono passati 60 anni e l'Europa ha fatto passiin avanti straordinari, garantendo pace e pro-sperità economica. Gli eventi degli ultimianni, però, hanno messo a dura prova il pro-

getto europeo e hanno aggravato la disaffe-zione di molti cittadini nei confronti delle isti-tuzioni europee. A Roma i leader europei hanno riflettuto sucome invertire la rotta e rilanciare l'UE. Al ter-mine delle celebrazioni i leader dei 27 PaesiUE e delle tre istituzioni europee (Parlamento,Consiglio e Commissione) hanno adottato efirmato la dichiarazione di Roma in cui si defi-nisce una visione comune per gli anni a venire.Nella dichiarazione hanno sottolineato comel'Unione europea sia un'Unione unica, dotatadi istituzioni comuni e di forti valori, una co-munità di pace, libertà, democrazia, fondatasui diritti umani e lo stato di diritto, una grandepotenza economica che può vantare livelli senzapari di protezione sociale e welfare."L'unità europea è iniziata come il sogno di po-chi ed è diventata la speranza di molti. Fino ache l'Europa non è stata di nuovo una. Oggisiamo uniti e più forti: centinaia di milioni dipersone in tutta Europa godono dei vantaggidi vivere in un'Unione allargata che ha superatole antiche divisioni", si legge nella dichiarazione. Nella stessa dichiarazione, i leader si sono im-pegnati per realizzare un'Europa sicura,un'Europa prospera e sostenibile, un'Europasociale e infine un'Europa più forte sulla scenamondiale.

DOPO ROMA, COME RILANCIARE L'EUROPA FRANCESCO LAERA - addetto stampa Rappresentanza in Italia della Commissione europea,Ufficio di Milano

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Il 25 marzo non è stata una semplice festa dicompleanno. È stata invece l’atto di nascitadell’Europa a 27 e l’inizio di un nuovo capi-tolo della nostra storia.

Il Libro bianco sul futuro dell'Europa La riflessione sul futuro dell'Europa, avviataa Roma, andrà avanti fino alle elezioni delParlamento europeo del 2019, quando saràsottoposta al giudizio dei cittadini.Per facilitare il dibattito tra gli Stati membrinei mesi a venire, la Commissione europeaha pubblicato il 1° marzo scorso un Librobianco sul futuro dell'Europa, nel quale hadelineato 5 scenari possibili per permettereagli Stati membri di decidere quale tipo diintegrazione intendono portare avanti. Nella prima ipotesi, chiamata "avanti così",l’Europa a 27 si concentra sull’attuazione delsuo programma positivo di riforme. È lo statusquo, che però corre il rischio di aumentare ildivario tra promesse e capacità di azione dellaUe. Inoltre, l'unità dell'UE a 27 potrebbe an-cora essere messa alla prova, qualora vi sianocontroversie di rilievo.Nella seconda ipotesi, l'Europa si concentrasul mercato unico. Le merci e i capitali conti-nuerebbero a circolare liberamente, ma di-venterebbe più difficile affrontare questioniche interessano più Stati membri ma esulanodalla sfera puramente economica. Inoltre, Idiritti garantiti ai cittadini grazie alle normeUE potrebbero col tempo subire restrizioni.La terza ipotesi, chiamata "chi vuole di più fadi più", è l'Europa a due velocità che permet-terebbe a chi è interessato di realizzare formepiù profonde di integrazione. È l'ipotesi cheha suscitato maggiore attenzione da parte deicittadini e della stampa. In realtà, esempi didue velocità esistono già nell'UE così come laconosciamo oggi. Pensiamo all’euro, al qualeaderiscono 19 Paesi UE, oppure al sistemaSchengen, di cui fanno parte 22 Paesi UE e 4Paesi non-UE. In un'Europa a due velocità,l'unità dell'UE a 27 verrebbe preservata e sichiuderebbe il solco tra aspettative e risultati

in quei Paesi che vogliono maggiore integra-zione. C'è però il rischio che i diritti garantitiai cittadini in virtù della normativa dell'UEpossano variare in funzione del luogo in cui ilcittadino vive. La quarta ipotesi è "fare meno in modo più ef-ficiente", ossia definire le aree dove i 27 vo-gliono andare avanti in modo più rapido e in-cisivo. Le risorse e l'attenzione dell'UE siconcentrerebbero su un numero di settori se-lezionati, permettendo azioni più incisive. Unesempio recente è la Guardia costiera e di fron-tiera Ue, approvata e operativa in 9 mesi. La quinta ipotesi è "fare molto di più in-sieme". Significa riuscire a trasferire più com-petenze a Bruxelles, approfondire l’integra-zione e rendere il processo decisionale piùrapido ed efficace. È realizzabile se i Paesi UEdimostrano insieme di saper dare risultati con-creti ai cittadini.

DOPO ROMA, COME RILANCIARE L’EUROPA?12

Concorso fotografico #EUinMyRegion 2016 Foto di Wille-mien Mensinga (Olanda). © Unione europea

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ci dà ragione,

d

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Ormai la Brexit ha iniziato il suo percorso. Qualisono le priorità dell’Italia nell’ambito dei negoziaticon la Gran Bretagna, condotti per l’UE dall’ex-Commissario europeo Michel Barnier?Ci riconosciamo pienamente nei principi ne-goziali definiti nelle linee guida approvate dalConsiglio europeo lo scorso 29 aprile: è es-senziale salvaguardare l’unità dei 27 nel pro-cesso negoziale. Potranno esserci divergenzed’interesse con la Gran Bretagna su singolequestioni ma è interesse di tutti – Regno Unitoincluso – che il negoziato si basi sulla chiarezzae sul cosiddetto principio della “sincera coo-

perazione”. Non interessa quanto possa esseredura l’uscita dalla Unione europea, se sia hardo very hard, per usare una formula passatanel circuito mediatico inglese. E certamentenon c’è da parte di nessuno l’intenzione di“punire” la Gran Bretagna. Il tema però èquello della chiarezza. Senza chiarezza, il ne-goziato diventa auto-punitivo per tutti.Bisogna anche essere consapevoli che Brexitè un processo nuovo, un terreno inesplorato,che deve spingerci allo stesso tempo alla cau-tela e al coraggio. Dobbiamo essere consape-voli dell’impatto che può avere su vari fronti,su cittadini, imprese e indirettamente anchesulle nostre amministrazioni nazionali: pen-siamo ad esempio a quanto è fitto l’intreccioeconomico e normativo relativo al mercatointerno. Si deve dunque compiere un lavoroconsiderevole di specializzazione e coordina-mento, anche per cogliere alcune opportunitàper il sistema Italia. Non c’è dubbio che la nostra priorità sia, inprimo luogo, il rispetto dei diritti dei cittadiniitaliani che sono residenti nel Regno Unito,sotto il profilo normativo ma anche delle pro-cedure amministrative che verranno definitedal Paese che li ospita. Discorso analogo pergli interessi delle nostre imprese che ivi ope-rano. Come dicevo c’è interesse a che il pro-cesso si svolga in maniera ordinata, perchéanche il modo con cui realizzeremo la Brexitsarà indicativo di come noi concepiamo il fu-turo dell’Unione europea. Sono quindi im-

BREXIT E FUTURO DELLA UE.LE PRIORITÀ DEL GOVERNOITALIANOIntervista a MARCO PIANTINI - consigliere per gli Affari europei del Presidente del Consiglioa cura di Carlotta Gualco

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portanti non solo i nostri rapporti con il Re-gno Unito ma anche come vogliamo che l’Eu-ropa diventi.

A questo proposito, la Commissione europea, inoccasione delle celebrazioni del 60° dei Trattati diRoma, ha proposto ai Paesi dell’UE una serie discenari per il futuro della UE. Quale di questi siavvicina maggiormente alla posizione del Go-verno italiano? Su quali alleanze può contarel’Italia per la sua realizzazione?Ci sono due scenari, tra i cinque propostidalla Commissione europea, che preferiamo:il terzo e il quinto. Ovvero andare avanti tuttiinsieme o in alternativa andare avanti conun’integrazione differenziata. Insomma unachiara scelta di campo per più integrazione,se necessario attraverso ciò che il Trattato giàprevede, fermo restando che intendiamo man-tenere l’unitarietà delle istituzioni comuni per-ché sono uno dei patrimoni più grandi nelprocesso d’integrazione. Quanto alle alleanze,non esistono ricette stabilite. L’Italia ha unruolo federatore. È nel suo interesse e nell’in-teresse dell’Europa.Ci muoviamo tutti su un terreno nuovo, inpresenza di una molteplicità di modelli teo-rici, di interessi e di possibili alleanze. L’Ita-lia, come ha sempre fatto, ha anteposto ilsenso del progetto: per noi il processo di in-tegrazione corrisponde ad un’idea di pro-gresso e di benessere per i cittadini. Questaè la nostra idea di Europa, e questa è statal’Europa fin dal suo inizio: la dichiarazionedi Schuman fa esplicito riferimento a queiconcetti. Certo, i Paesi più grandi hannomaggiori responsabilità; si sono creati in que-sti ultimi anni diversi “formati”, alcuni tra-dizionali, alcuni nuovi. Nessun formato èesclusivo, né deve esserlo. Il loro significatoè realizzare ingranaggi che consentano il fun-zionamento di una macchina che assomigliaun po’ all’interno di un orologio, con molterotelline, piccole e grandi, però tutte essen-ziali a far sì che le lancette avanzino, invecedi portare indietro l’orologio.

Mi pare che Merkel – e non credo che Schulzavrebbe posizioni molto diverse – e il neoletto Ma-cron si siano espressi a favore dell’integrazione apiù velocità …A Versailles, nello scorso marzo, Francia, Ger-mania, Italia e Spagna hanno preso posizionemolto nettamente in questo senso. Poi c’èstata la dichiarazione di Roma, che ha regi-strato un’unità importante, che è stato difficileraggiungere. La dichiarazione ha prefiguratoun programma per i prossimi dieci anni. Perquanto generico, si tratta di un piano di lavoroche dà una direzione. La diversità dei formatideve e può comunque favorire l’integrazione;d’altra parte quando si è insieme a 28 – oggia 27 – è inevitabile che si formino dei sotto-gruppi di lavoro basati su affinità geografiche,politiche, peso economico e demografico al-l’interno della UE. Sempre più l’Europa, pas-sami l’immagine un po’ dissacrante, si pre-senta come Arlecchino: l’essenziale è chepermanga l’armonia dei colori e dei valori. Ed’altra parte la diversità è una dei fattori diricchezza dell’Europa.

Non si rischia la cacofonia in una tale pluralitàdi alleanze su argomenti diversi?L’importante è che i tanti colori della veste diArlecchino non si trasformino in granelli disabbia che danneggino e rallentino i mecca-nismi di quell’orologio. D’altro canto, la pos-sibilità di avanzare più velocemente in deter-minati campi può rendere l’Unione europeaattrattiva in momento in cui il mondo segueritmi rapidissimi. Aggiungo: Arlecchino sor-prende anche perché non muore mai. Quantevolte, anche recentemente, hanno dato permorta l’Unione? Eccoci qua. Tante insidie,ma gli euroscettici hanno registrato una seriedi sconfitte non da poco in questi mesi. Sa-rebbe sbagliato sottovalutare la crescita delnazionalismo in alcuni Paesi. Ma sarebbe an-cora più sbagliato non vedere alcuni sussultidi riscatto degli europeisti. Il giovane neo-Presidente di Francia, che è stato uno sherpaper il Presidente Hollande sui temi economici

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e europei e che ha fatto della difesa dellaUnione una delle sue bandiere principali, neè un simbolo molto importante.

Quali argomenti “positivi” farebbe valere nei con-fronti di un Paese UE tentato dall’idea di seguirele orme del Regno Unito? Non mi porrei neanche la domanda. Intantosi è visto che l’opinione pubblica inglese giàsta dando dei segnali, se non di pentimento,comunque di riflessione un po’ più approfon-dita. Non bisogna neanche dimenticare che ilvoto al referendum sulla Brexit è stato pesan-temente condizionato da tanti fattori che nonhanno niente a che fare con l’appartenenzadel Regno Unito all’Unione europea. Propriodopo quel referendum, in altri Paesi della UEle rilevazioni sulla volontà dei cittadini di nonmettere in discussione l’appartenenza al-l’Unione hanno mostrato un segno positivo.Il valore dell’appartenenza alla UE salta agliocchi ancor più quando si affaccia la possibi-lità che possa essere messa in discussione, an-che quando questo accade vicino alla propria

porta di casa, come è stato nel caso della GranBretagna.

E che cosa direbbe ad un giovane cittadino di unPaese UE tentato dalle argomentazioni di forzepolitiche “sovraniste” e quindi antieuropee?Prima di tutto occorrerebbe ascoltare questogiovane. Forse tanti dubbi e tante esitazioninascono dal fatto che si è indebolita la capacità,da parte della politica, delle istituzioni, di ascol-tare. E poi occorre dare fiducia: penso che so-prattutto coloro che hanno dubbi e perplessitàpossano, di fronte ai fatti, cambiare opinione.Faccio un esempio: al di là dei suoi limiti, graziea Garanzia Giovani sono ormai intorno ai novemilioni i giovani europei che hanno ricevutoun’offerta formativa o un’opportunità di stageo di lavoro: è un dato importante. In molte re-altà Garanzia Giovani non ha funzionato, onon ha funzionato così bene come sperato.Bene, qui la scelta: vogliamo fare a meno distrumenti così, o lavorare per migliorarli an-cora? Io non ho dubbi. Dobbiamo fare di piùe meglio, non tornare indietro.

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1° gennaio 2002, entra in circolazione l’euro. Festeggiamenti al Parco del Cinquantenario, Bruxelles. © Comunità europeeFoto: Alain Dereymaeker

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Il Comitato economico e sociale europeo èstato ufficialmente richiesto dalla Commissioneeuropea di un parere sul Libro bianco relativoall’avvenire dell’Europa.In effetti, ho chiesto io stesso questa consulta-zione al presidente Juncker all’indomani delgiorno in cui ha presentato il Libro bianco alParlamento e lui ha avuto la gentilezza di ri-spondermi in tempi abbastanza rapidi perchéio potessi annunciarlo in occasione della con-ferenza che abbiamo organizzato a Roma, il13 marzo, per celebrare il sessantesimo anni-versario dei trattati, certamente, ma soprattutto

per parlare di futuro. Non ho dubbi che laCommissione avrebbe comunque interpellatoil Comitato: è necessario che il dibattito sianelle mani dei cittadini ed è fondamentale chele organizzazioni nazionali della società civile– le grandi organizzazioni datoriali, sindacali,socioprofessionali e cittadine operanti nel pro-prio paese – ne siano attori fondamentali. Per la terza volta nella sua storia, il nostro Co-mitato ha deciso di fare qualcosa che non avevamai fatto prima che iniziasse il mio mandatodi presidente: prima di esprimere il suo parere,ancor prima di comunicarne alla Commissioneun’anteprima della quale potrebbe avvalersientro il mese di settembre, invierà tre dei suoimembri in ciascuno dei 27 Stati interessati,per ascoltare sul posto l’opinione delle orga-nizzazioni della società civile – quelle che sonorappresentate nel nostro Comitato, beninteso,ma anche quelle che non lo sono. Abbiamoproceduto in questo modo per approfondire iltema delle migrazioni e il ruolo della societàcivile in questo contesto e abbiamo fatto lastessa cosa a proposito del «pilastro dei dirittisociali», due temi estremamente attuali ed im-portanti che sono d’altronde collegati al temadel futuro dell’Unione. È quanto possiamopermetterci nei limiti delle nostre risorse fi-nanziarie, ma è necessario saper investirequando la posta in gioco è importante. Il dibattito deve essere realmente aperto. Nonposso fare previsioni su quanto ne risulterà:forse una preferenza marcata della società civile

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LIBRO BIANCO E GIORNI FELICI GEORGE DASSIS - presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo

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organizzata europea per uno degli scenari dellaCommissione, forse dei dissensi, forse delle sfu-mature o idee diverse. Ciò che è certo, è che alivello delle istituzioni, vi è stata la presa di co-scienza della gravità della situazione e che sus-siste una volontà di suscitare il dibattito nellanostra società, di fare in modo che essa se ne«propri», che non se ne senta esclusa. Me nerallegro, anche se resto afflitto dal fatto che ciòsi realizzi così tardi, dopo il referendum sulla«Brexit», dopo molti anni di declino della popo-larità della UE presso i suoi cittadini, per dellebuone e per delle cattive ragioni – spesso egoi-sticamente e cinicamente sostenute da perso-nalità politiche nazionali che si sono crogiolatenell’attribuire i fallimenti a «Bruxelles» e i suc-cessi a loro stessi.È da molto tempo che il nostro Comitato suonadisperatamente l’allarme, reclamando un’Eu-ropa vicina ai cittadini, prima di tutto preoccu-pata del benessere dei popoli, della prosperitàdell’economia reale, della vita di tutti i giornidelle persone, ed è da molto tempo che mi battoperché l’Europa non tema di essere sociale, in-cludendo sotto il proprio vessillo tutto ciò chepuò essere mutualizzato, condiviso o armoniz-zato, come le misure di lotta e di assicurazionecontro la povertà, la disoccupazione e la malat-tia, programmi europei molto più ambiziosi disolidarietà, di scambi, di formazione, ecc.È urgente che i cittadini cessino di percepirel’Unione europea e le sue istituzioni come qual-cosa di estraneo, di esteriore. Occorre ancheche si finisca di presentarla così. L’Unione èuna comunità di Stati. Tutte le grandi decisionisono assunte da responsabili provenienti cia-scuno dal proprio paese. I membri della Com-missione sono delegati dagli Stati, il Consiglio èuna riunione di ministri nazionali e, fino adoggi, i deputati europei sono eletti nei loro paesi. È per questa ragione che ho potuto scrivere,appena prima del referendum – rivolgendomisoprattutto ai Britannici – che «Bruxelles» nonesiste veramente, aggiungendo «là le sale riu-nioni sono vuote finché i decisori non arrivanodai loro paesi per sedervisi». Volevo ricordare

che l’Unione non è un superpotere imposto«dall’alto» ma la somma delle volontà politicheprovenienti dai suoi Stati membri. Purtroppoquesta realtà è talmente misconosciuta che lostesso traduttore non mi ha capito. Ha creduto che volessi fustigare l’assenteismoe mi ha fatto dire che le sale erano vuote perchéi responsabili si interessano così poco all’Eu-ropa da non venire alle riunioni. L’istituzione europea nella quale la nazionalitàgioca il ruolo meno importante è probabilmentequella che presiedo e d’altronde è particolar-mente interessante e molto positivo: i suoimembri non rappresentano il loro paese – nonhanno un mandato in questo senso – ma rap-presentano le loro organizzazioni. Non smet-tono ovviamente d’avere una sensibilità nazio-nale su questa o quell’altra cosa, ma sono primadi tutto rappresentanti dei datori di lavoro, deilavoratori o di altri tipi di associazioni sociali,professionali o cittadine. L’Europa che rappre-sentano non ha alcun potere ma dispone dimezzi – modesti – per esprimersi, a titolo pura-mente consultivo. Non è l’Europa politica oistituzionale, è essenzialmente l’Europa del la-voro (piccole o grandi imprese, lavoratori di-

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il Libro Bianco sul futuro dell’Europa. © Unione europea

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pendenti o autonomi, agricoltori, ecc.) e quellad’un certo numero di associazioni di cittadiniattive in diversi campi ma che hanno come ele-mento comune una qualche forma di solidarietà(consumatori, persone disabili, attori dell’eco-nomia sociale, associazioni ambientaliste). Senza dare un giudizio troppo a priori sui risultatidel nostro lavoro, sono convinto che questa Eu-ropa tiene all’Unione e desidera che progredisca.Le imprese non desiderano che si ristabiliscanoi posti di frontiera e che si riprenda a bloccarvi icamion a causa delle dogane, delle tasse o diuna ritrovata diversità nelle tariffe e nelle valute.Anche i cittadini consapevoli tengono alla pacee alla libertà di circolazione, ivi compresa la li-bertà di trovare un lavoro anche al di fuori delloro paese. Ma molti cittadini sono esposti aidanni di discorsi populisti violenti, carichi d’odio,razzisti, con i quali chi li pronuncia non ha ver-gogna di proferire menzogne. Viviamo tempi estremamente difficili. Occorreveramente assumere misure serie per l’avveniredell’Europa, che devono essere sostenute dauno spirito differente. Quello di una vera alle-anza che sappia perché (e contro chi) si è costi-tuita, che mette a disposizione i mezzi necessariper raggiungere i propri scopi e che si ispiramaggiormente agli effetti moltiplicatori della si-nergia che al culto della sussidiarietà. A dire ilvero, non è neppure necessario tornare sugliobiettivi di questa alleanza: sono estremamenteben descritti nei primissimi articoli del Trattato(a proposito dei quali ho già detto mille volteche si dovrebbe leggerli nelle scuole). Da un lato, è spaventoso vedere a qual punto ildiscorso populista anti-europeo trovi un econei nostri paesi. Dall’altro, nel momento stessoin cui io scrivo queste righe – e cioè all’indomanidelle elezioni presidenziali francesi e a meno didue mesi dopo quelle dei Paesi Bassi –, possoconstatare che non ha la maggioranza. Rilevoche il futuro presidente della Repubblica fran-cese ha, sull’Europa, un’ impostazione saggia.Resta, in pratica, da promuovere proposte con-crete a favore dell’Europa sociale, con risorseproprie alimentate da una fiscalità giusta, ar-

monizzata e trasparente, in particolare perquanto riguarda gli utili delle imprese, attraversouna tassazione delle transazioni finanziarie, daattuare una politica di difesa europea …Rilanciare l’Europa non sarà semplice. No.Ma non perdiamo mai di vista il fatto chenon è stato neppure facile lanciarla. Ci sonodegli uomini e delle donne che l’hanno fatto,solamente qualche anno dopo l’orrore dellaguerra e i crimini più abominevoli che l’ave-vano accompagnata. Tutte le nostre culture europee, dall’antichità,contengono proverbi, poesie, testi e canti pro-fondamente emozionanti che parlano dei mo-menti duri che possono vivere un uomo o lasocietà e poi del soprassalto, della rivolta, dellaresilienza. C’è una poesia di Yannis Ritsos chedescrive la Grecia vinta, abbattuta, in ginoc-chio. Ma ecco che si rialza, raccoglie il giavel-lotto del sole e con questo trafigge il mostroche l’aveva atterrata. C’è una canzone popolareche dice: «asciuga le tue lacrime e impara anon portare la disperazione come una medagliache pende dal tuo collo: il giorno della felicitàverrà anche per noi». Il «Libro bianco» mi hafatto pensare perché, in greco, questo giornodi felicità è il «giorno bianco». Non avremo il giorno bianco aspettando chearrivi e probabilmente non lo troveremo nelLibro. L’avremo lottando per averlo, esigendosenza tregua dai nostri dirigenti che faccianociò che è necessario perché noi l’abbiamo. Sononato alla fine della guerra, ho conosciuto laguerra civile e la dittatura, ho lavorato quandoero bambino e ho fatto il liceo al corso serale.Ho conosciuto i tempi in cui nessuno mettevaseriamente in causa la comunità europea al-l’interno e dove, all’estero, molti popoli poverie oppressi sognavano l’adesione come se fosseil «giorno bianco». L’avvenire dell’Europa, oramai, è quello deimiei nipoti. So che cosa porta il nazional-po-pulismo e, all’opposto, so che cosa porti l’inte-grazione europea quando la si amministra cor-rettamente, e cioè senza perdere di vista perun solo istante qual è il suo scopo e perché c’è.

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L’Europa con gli EuropeiL’Europa deve affrontare una crisi profonda,dalle molte sfaccettature, che arriva alle sue fon-damenta, ai suoi valori e ne colpisce la struttura.Una crisi acuta al punto che uno Stato membroha deciso, nel mese in cui si commemorava ilsessantesimo anniversario del Trattato di Roma,di iniziare i negoziati per lasciare la nostraUnione, costruita al prezzo di tanti sforzi e con-cessioni a beneficio dell’insieme della nostraUnione. Noi, che siamo i combattenti della co-struzione europea, dobbiamo far fronte ad unasua rimessa in causa della quale non misuriamo

ancora tutti gli effetti e che non si farà proba-bilmente senza danno per l’insieme della UE. Il quadro è talvolta cupo ma occorre tenersempre salda la consapevolezza che, in unmondo multipolare, in mutazione profonda emesso di fronte a immense sfide che nessunopuò affrontare da solo, l’Europa è la sola viache consente di progettare un avvenire mi-gliore per gli Europei. Il che non ci deve im-pedire di ripensare il contenuto del progettoeuropeo e i metodi di lavoro. L’Europa non si farà senza gli Europei, né con-tro di loro. Per assicurare la sopravvivenza e lariorganizzazione del progetto europeo, occorreriunire tutte le energie positive e mobilitarle.In primo luogo la società civile. Si parla moltogli anti-europei, e il loro avanzare ci preoccupatutti. È importante valorizzare le iniziative deicittadini pro-europei.Noi, eletti di tutta l’Unione europea, dobbiamoricordare ciò che è l’Unione ma dobbiamo an-che confrontarci con le persone deluse. A quellee a quelli che non si pongono l’obiettivo di di-struggere l’Europa ma se ne distaccano perchéi risultati sperati non sono stati raggiunti.Sono stati compiuti diversi studi sull’atteggia-mento degli Europei riguardo all’Unione eu-ropea. Quello di marzo 2017 della FondazioneBertelsmann ci ricorda che la maggioranza degliEuropei desiderano che il loro paese resti nel-l’Unione ma che appena un quarto degli Eu-ropei pensa che l’Unione vada nella giusta di-rezione. La constatazione è senza appello. Ed è

IL RILANCIO DEL PROGETTO EUROPEO DEVE PARTIRE DAL BASSO

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60 anni dopo la firma dei Trattati di RomaIL RILANCIO DEL PROGETTO EUROPEO DEVE PARTIRE DAL BASSO KARL-HEINZ LAMBERTZ - primo vicepresidente del Comitato europeo delle Regioni

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altrettanto schiacciante nei confronti degli Statimembri.La Dichiarazione di Roma, adottata nel marzodi quest’anno dai dirigenti dei 27 Stati membrie del Consiglio europeo, del Parlamento euro-peo e della Commissione europea, menzionasegnatamente la necessità «di dare ascolto allepreoccupazioni espresse dai nostri cittadini e(di) darvi risposta». Fa riferimento adun’«Unione sociale» che favorisca in particolarela coesione. Sono elementi essenziali su cuistrutturare il lavoro da compiere. E sono ele-menti altrettanto essenziali sui quali gli Europeisi aspettano dei cambiamenti concreti.

I pericoli ai quali siamo esposti nella riflessione sulfuturo dell’Unione europea non devono dividerciDeve prevalere la definizione del contenuto delprogetto che l’Unione europea deve realizzare,anziché la riflessione sull’architettura istituzio-nale e i metodi. Per me, gli obiettivi da perseguire sono semprequelli che hanno fondato la nostra Unione.Sono soprattutto ricordati nell’articolo 3 delTrattato sull’Unione europea, laddove si indicache «L’Unione si prefigge di promuovere lapace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli».E la risoluzione sul 60° anniversario del Trattatodi Roma ha riaffermato la nostra volontà di«rafforzare i principi di un'Europa fondata sullagiustizia sociale, su un'economia forte e sullasolidarietà”. Ecco dove sta una gran parte delDNA europeo. A partire da qui dovremmo rin-novare la nostra ambizione. Una volta che gli obiettivi comuni sono stabilitie condivisi, il metodo dovrebbe seguire. Nonpuò esserci ambizione europea senza mezzi. Inquesto caso, le istituzioni europee devono inparticolare portare a buon fine la riflessionesull’impatto dei vincoli di bilancio sugli inve-stimenti pubblici che sono motori per lo svi-luppo di quei servizi pubblici dei quali gli Eu-ropei hanno così bisogno. Quali sono i pericoli che insidiano noi, che vo-gliamo costruire un avvenire comune e solidaleper gli Europei? Ne vedo tre principali:

1. Che tutte le energie si focalizzino su un di-vorzio che non abbiamo voluto e che nonconduce a parlare del presente e di un fu-turo migliore a ventisette. In altri termini: ilprocesso della Brexit mina l’ambizione eu-ropea e rafforza le divergenze interne.

2. Che ciò che è essenziale, - la coesione trai nostri territori e i nostri popoli, la soli-darietà – sia considerato invece come ac-cessorio. Nessuna ipotesi seria di lavoro afavore del progetto europeo può contem-plare che ciò accada. L’Europa ha sensosoltanto se si realizza un miglioramentosociale. Come ha dichiarato Jacques De-lors al Parlamento europeo nel 1989: «nonci si innamora di un grande mercato».L’Europa ha bisogno di una forte ambi-zione sociale per sopravvivere.

3. Che il dibattito su un’Europa a più velocitànasconda in realtà un dibattito su un’Europaa più direzioni e ci allontani tutti da un benecomune così faticosamente acquisito. LaBrexit ha dimostrato che l’Europa degli «optout», cioè dove alcuni giungano a sottrarsiall’essenziale, è un’impasse pericolosa. Oc-corre conservare un’ambizione e dei valoricomuni, concentrandosi nell’individuazionedi metodi di lavoro che liberino energie afavore di un’ambizione europea.

Occorre rilanciare la riflessione e l’azione dal bassoLa Dichiarazione di Roma cita giustamente ilruolo delle autorità locali e regionali. Annunciache occorrerà lavorare «insieme al livello che faveramente la differenza». Il livello locale e re-gionale può fare la differenza. Se non altro perché è a questo livello che la fi-ducia degli Europei resta più alta. L’Europa non sta sospesa in aria. È ancoratanelle città e nelle regioni che sono il livello piùvicino e familiare degli Europei. Ma putropponon è ai loro eletti che si pensa in primo luogoquando si tratta di elaborare il futuro del pro-getto europeo. Eppure le istituzioni europeenon possono, da sole e in modo isolato, farfronte a questa crisi così profonda.

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Il Consiglio europeo deve lottare per mante-nere la sua unità. La Commissione europeaaggiunge il suo contributo al dibattito ma an-ch’essa da sola è impotente. Dobbiamo asso-lutamente lavorare insieme. Compreso fuoridalle istituzioni europee, con i movimenti, leassociazioni e i centri di riflessione anch’essimobilitati sul futuro dell’Europa.Con «Riflettere sull’Europa», il contributo allariflessione sull’avvenire dell’Unione europeafornito dal Comitato delle Regioni, la volontàdei nostri eletti è di intraprendere un autenticodialogo con i cittadini e di intrattenere un di-battito sull’Europa nelle assemblee locali eregionali.

Non vogliamo monopolizzare la parola degliEuropei, desideriamo moltiplicarla. Vogliamo, apartire dai nostri territori, dai nostri parlamenti,dal nostro dialogo con gli Europei, elaborareinsieme il futuro dell’Europa. Individueremoproposte d’azione concrete che porteremo neldibattito europeo. Lo sforzo che noi, eletti deiterritori, dobbiamo prestare è immenso. Le dif-ficoltà saranno grandi. I mezzi saranno talvoltainferiori a quelli che avremmo desiderato. Ledifficoltà saranno grandi. Ma questo lavoro èindispensabile e necessario. Sarà il nostro con-tributo alla sopravvivenza della nostra Unionee alla concretizzazione della promessa di un av-venie migliore per le Europee e gli Europei.

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25 marzo 2017. Summit a Roma per il 60° anniversario della firma dei Trattati. © Unione europea Foto: Etienne Ansotte

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Si può andare oltre le proposte della Commis-sione europea, per costruire un’Europa che sialeader nella difesa dell’ambiente, nella costru-zione di un mondo più giusto, nella tutela deidiritti umani? È quanto afferma la proposta di“Sesto scenario” presentata a Roma il 23 feb-braio in un convegno internazionale promossodall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile(ASviS) e significativamente intitolato “EuropeAmbition 2030”. Il percorso per realizzare questa nuova Europa?La totale realizzazione dei 17 Obiettivi per i pros-simi quindici anni contenuti nell’Agenda 2030,sottoscritta anche dall’Italia nel settembre 2015.

Ricordiamo innanzitutto che il pacchetto svi-luppo della Commissione europea si componedi tre comunicazioni presentate il 22 novembre2016 alle istituzioni dell’Unione: la prima sulleprossime tappe per un futuro sostenibile euro-peo, la seconda dedicata a un nuovo consensuseuropeo sullo sviluppo e la terza relativa a unrinnovato partenariato con i Paesi dell’Africa,dei Caraibi e del Pacifico, i cosiddetti Paesi ACP.La prima di queste tre comunicazioni ha granderilevanza, avendo come oggetto l’inquadramentodegli Obiettivi di sviluppo sostenibile delineatidall’Agenda 2030 tra le dieci priorità della Com-missione Juncker. Fin dal periodo immediata-mente successivo alla sua pubblicazione, però,questa comunicazione è parsa poco incisiva nelladefinizione delle prossime tappe per la realizza-zione dell’Agenda 2030 a livello europeo. Anchela 13a Commissione permanente (Territorio,ambiente, beni ambientali) del Senato, al ter-mine dell’esame del documento, ha invitato l’Eu-ropa a essere più coraggiosa affermando nellesue conclusioni: “La Commissione dovrebbe porre l’Agenda 2030 alcentro dell’impegno per costruire l’Unione europea delfuturo, anche in vista della revisione della StrategiaEuropa 2020. Di conseguenza, essa dovrebbe proporreal Consiglio e al Parlamento una roadmap ambiziosaper assicurare all’Europa la leadership mondiale nelcampo dello sviluppo sostenibile, assicurando unapiena coerenza tra le politiche condotte all’internodell’Unione e quelle rivolte all’esterno e dovrebbe pro-porre azioni affinché le procedure decisionali del-l’Unione europea permettano l’effettiva realizzazione

IL “SESTO SCENARIO”: REALIZZARE GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE

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IL “SESTO SCENARIO”: per uscire dall’impasse l’Europa deve realizzare gli Obiettivi di sviluppo sostenibileDONATO SPERONI - responsabile redazione ASviS

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di modelli di impatto delle politiche europee basatesugli obiettivi di sviluppo sostenibile”.Il documento della Commissione Ambiente delSenato rispecchia l’orientamento espresso da En-rico Giovannini, portavoce ASviS, nella sua au-dizione a Palazzo Madama il primo marzo. Ri-cordiamo che l’ASviS (www.asvis.it) riunisce oltre160 associazioni impegnate nella realizzazione inItalia dei 17 goal previsti dall’Agenda 2030. Nonostante l’effettiva presenza di punti di con-tatto tra i contenuti dell’Agenda 2030 e le diecipriorità della Commissione, specialmente incampo climatico, la 13° Commissione perma-nente ha rilevato diverse mancanze all’internodella comunicazione. In particolare, recependotra l’altro le osservazioni proposte da Giovannini,la Commissione ha obiettato come manchi deltutto un richiamo esplicito, “imprescindibile perquesta commissione”, al ruolo delle imprese nelconseguimento degli Obiettivi. Ma ancora, vienerilevata l’assenza di un riferimento al ruolo delleistituzioni europee in quei campi di interventodegli Obiettivi che, nella distribuzione delle com-petenze, riguardino gli Stati membri: per laCommissione Ambiente, il ruolo dell’Unionedovrebbe essere quello di “stimolare l’azione de-gli Stati membri e renderne coerenti le politicheintraprese”.Uno dei punti fondamentali su cui l’audizionedell’ASviS si è soffermata, pienamente recepitodalla 13a Commissione, è rappresentato dal-l’adozione, da parte della Commissione Ue, diun approccio ancora legato al solo breve periodoe ancora legato esclusivamente alla questioneambientale. In questo ambito viene suggerital’adozione di strumenti di valutazione ex-anteed ex-post delle singole politiche rispetto all’in-tero insieme degli SDGs e lo sviluppo di modellianalitici in grado di assistere la Commissioneeuropea e gli Stati membri nella progettazionedelle politiche.La centralità dell’Agenda 2030 nella politica dirilancio europeo è appunto al centro della pro-posta di un “Sesto scenario” rispetto ai cinquecontenuti nel documento della Commissione diBruxelles, presentato nel convegno di Roma,

con la partecipazione di numerosi esponentidella società civile di tutta Europa. “Europe Ambition 2030” ha anche offerto l’oc-casione per redigere un appello rivolto ai capi diStato e di governo dell’Unione europea, firmatoda circa 200 tra cittadini e rappresentanti di isti-tuzioni, organizzazioni sociali e imprese, chehanno sottoscritto il documento sul sito asvis.it.Nel corso dell’incontro alla Camera, l’appello èstato presentato a José Herrera, ministro per losviluppo sostenibile del governo di Malta, che inquesto semestre presiede il Consiglio europeo.Il “Sesto scenario”, per ora disponibile solo ininglese1, individua innanzitutto i “Campioni eu-ropei” che possono spingere l’Europa verso unfuturo brillante. Tra gli altri: - Il movimento di chi si fa carico degli altri

(“the care movement”) cioè di chi è vicinoai poveri, agli handicappati, ai migranti, aidisoccupati, alle minoranze.

- La “generazione S” fatta di leader di grandi,medie e piccole imprese che hanno scelto diimpegnarsi sugli Obiettivi di sviluppo (SDGsnell’acronimo inglese) dell’Agenda.

- Gli investitori che guardano ai veri valori,cioè pubblici e privati che stanno impe-gnando capitali a supporto degli SDGs.

- I 7.100 firmatari del patto dei sindaci sulclima e dell’energia con i loro 5.100 pianid’azione.

- Le migliaia di università, centri di ricerca eONG che fanno parte di Horizon 2020 e al-tri programmi europei che puntano alla coo-perazione.

- Tutti gli studenti del programma Erasmusimpegnati in iniziative di sostenibilità.

Secondo il Sesto scenario, la metamorfosi del-l’Unione Europea dovrebbe essere indotta da:- La finanza verde e sostenibile.- Una governance dell’Unione al servizio di

iniziative bottom up.- Un nuovo contratto sociale fra business, go-

verni e società con particolare attenzione al-l’energia, alle città, alla alimentazione, al-l’agricoltura, alla salute e al benessere deicittadini.

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1 http://www.asvis.it/public/asvis/files/6scenario.pdf

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- Una nuova definizione di prosperità basatasul consenso e sul significato dello sviluppoin partnership con il mondo.

- Un rinnovato impegno sullo sviluppo in Eu-ropa che ridefinisca la prosperità economicacome uno strumento per raggiungere più altiobiettivi di benessere collettivo.

Tutto questo deve portare nuovo ciclo dello svi-luppo basato su quattro pilastri:- Una buona vita (a good life) in un ambiente

diversificato e prospero.- La riduzione delle diseguaglianze e degli

squilibri di genere.- La trasformazione delle città e delle infra-

strutture- L’empowering dei cittadini. Il documento, che qui abbiamo potuto riassu-mere soltanto in alcune sue parti, si concludecon alcune “ fotografie illustrative” che mettonoa fuoco impegni immediati da assumere:- La piena implementazione dell’accordo di

Parigi, migliorando l’efficienza energetica eaccelerando la transizione verso energie pu-lite, rinnovabili e accessibili.

- Il rafforzamento della nostra democrazia rap-presentativa e partecipativa con spazi distintidi partecipazione della gente, aldilà dei mo-menti elettorali, così da favorire la fiorituradelle iniziative della società civile.

- Il rafforzamento dell’educazione come re-

sponsabilità pubblica attraverso il life long le-arning, per sviluppare la cittadinanza attiva,il pensiero critico, l’inclusione sociale e laconsapevolezza dello sviluppo sostenibile edei diritti umani.

- Una giusta transizione per i lavoratori delleregioni industriali dall’attuale modello eco-nomico verso un’economia moderna, verdee socialmente giusta, che tuteli anche il ca-pitale umano e il capitale naturale.

- Un modello sociale europeo che garantiscapiena protezione a tutti lavoratori, ai consu-matori e a tutte le persone che vivono all’in-terno dell’Unione, riducendo il gap tra laricchezza e la povertà ed esclusione sociale.

- Un’Unione europea con una base di fortidiritti sociali, che assicuri lavoro di qualitàcon una giusta retribuzione e combatta tuttele discriminazioni.

Uno scenario certamente ambizioso. È però dasegnalare che questa impostazione ha trovatoimportanti riscontri negli interventi politici inoccasione del convegno Europe Ambition 2030.La presidente della Camera Laura Boldrini haribadito la necessità di cambiare passo: “Appli-care l’Agenda 2030 dell’Onu vuol dire costruireun’Europa più democratica. Non dimentichiamoche l’Unione europea è nata su presupposti digiustizia sociale. Viene da chiedersi: dove cisiamo persi?” E ancora: “Il tempo è ora, è orache dobbiamo agire”. Il ministro dell’EconomiaPier Carlo Padoan ha esordito affermando che“La crescita non può che essere inclusiva e so-stenibile. Altrimenti la crescita non ci sarà” e hasottolineato, come prova dell’impegno del go-verno italiano a promuovere una crescita inclu-siva, l’inserimento nel Documento di economiae finanza (Def) degli indicatori del Bes (Benes-sere equo e sostenibile) utili alla valutazione so-ciale della politica economica e del Bilancio digenere per valutare l’impatto delle riforme sulledonne e sugli uomini. Il Def infatti contiene nu-merosi riferimenti agli SDGs e alla Strategia perlo sviluppo sostenibile presentata quest’anno dalgoverno: un segno evidente della volontà del-l’esecutivo italiano di puntare a una visionedell’Europa più ambiziosa, in linea appunto conil “Sesto scenario”.

IL “SESTO SCENARIO”: REALIZZARE GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE

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Overdose – Gianfranco Uber © https://humour-ugb.blogspot.it/ - https://www.cartoonmove-ment.com/p/3111 - https://www.facebook.com/gianfranco.uber

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La vittoria di Emmanuel Macron alle presiden-ziali francesi non è soltanto un sollievo per tuttigli europei in ragione della catastrofe scampata(Marine Le Pen Presidente), ma un segnale ra-zionale di speranza che la Francia ritrovi il suoruolo di fattore dinamico dell’integrazione, comeall’epoca di Jacques Delors e di François Mit-terrand. Tre elementi devono essere sottolineati.

1. Aver vinto più del 60% dell’elettorato conun programma che mette l’accento, contro

le tentazioni difensive e protezioniste, sul ri-lancio europeo è un risultato insperato. Nonsi attira mai abbastanza l’attenzione sul fattoche numerosi leader democratici hanno l’il-lusione di combattere estremisti e populistifacendo ricorso a un ‘populismo moderato’.Invece Macron non ha concesso nulla allepretestuose polemiche contro «Bruxelles»:non si possono infatti cambiare le regoledella governance economica europea seprima non si mette ordine in casa propria,nell’economia nazionale, riformandola. Nonsi sarà mai abbastanza credibili nei negoziaticon i paesi creditori e la Germania se i paesiindebitati non riconoscono questa priorità. Icommenti tededeschi alla elezione di Ma-cron e la logica non permettono illusioni suquesto punto.

2. Giungere a vincere delle elezioni tese comeraramente accade in una democrazia, difen-dendo l’idea di una Francia e di un’Europaaperta alla mondializzazione intesa come op-portunità – certamente da regolare – è statoestremamente coraggioso. Questa scelta ètanto più coraggiosa considerando il conte-sto di grande trasformazione economicamondiale, dove la Cina, l’India e le econo-mie emergenti hanno mostrato la loro mag-gior capacità, rispetto agli occidentali, ditrarre beneficio dall’apertura e dal libero

MACRON E L’EUROPA: TRE MESSAGGI DI SPERANZA

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MACRON E L’EUROPA: TRE MESSAGGI DI SPERANZA MARIO TELÒ - presidente emerito dell’Istituto di Studi Europei ULB Bruxelles, professore allaLUISS, Roma e direttore della Scuola di dottorato «Globalisation, the EU and Multilateralism»(GEM) all’Università libera di Bruxelles1

1 Per gentile concessione dell’Autore e dell’ULB dalla sua rubrica Carte Blanche.

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scambio. Scelta tanto più controcorrentedopo che la vittoria di Trump negli StatiUniti, la Brexit e l’ondata populista ed estre-mista in molti paesi europei hanno mostratol’impatto politico irrazionale e pericoloso delmalessere diffuso e giustificato, tra l’altro,dall’aumento delle ineguaglianze sociali edalla fragilizzazione delle classi medie. E unapredisposizione dello spirito che EmmanuelMacron ha saputo comunicare. Ha saputoparlare alle richieste di sicurezza senza sci-volare verso la securitarizzazione; ha pro-messo una protezione contro gli eccessi delladeregolazione, senza concedere nulla al pro-tezionismo suicida che si diffonde troppo inun continente dove una parte delle élite ma-schera, con il protezionismo e vari capriespiatori, la sua incapacità di riformare lepolitiche pubbliche nazionali in favore deigruppi sociali destabilizzati dalla competi-zione internazionale. Certo, il populismonon è battuto, e la sfida di una solida mag-gioranza parlamentare non è ancora vintada Macron; ma in questo Macron si è mani-

festato come il leader più “socialdemocraticoscandinavo” dell’Europa latina. La ricostru-zione di un autonomo partito socialista è ur-gente, ma deve tenerne conto.

3. Macron ha avanzato delle proposte concreteper il rilancio della Unione Europea, tre inparticolare. Aveva già dimostrato il suo im-pegno per la difesa del carattere politicodell’Euro, battendosi, in qualità di ministro,nel 2015, contro le proposte di «Grexit» avan-zate dal ministro delle finanze tedesche Wol-fgang Schäuble. Propone nel 2017 unrilancio della coppia franco-tedesca su unabase più realistica di quella di François Hol-lande nel 2012, che inevitabilmente aveva fal-lito. Ha pure dato una base più aperta a talerilancio, poiché sa che, essendo così mutati irapporti di forza con la Germania, solo unadinamica collegiale e collettiva radicata in piùpaesi europei (l’Italia in particolare) permet-terà che il vincitore delle elezioni federali te-desche di settembre, chiunque esso sia,converga verso un programma europeo chepunti ad accrescere l’impegno per la solida-rietà europea, in particolare relativamentealla disoccupazione dei giovani. EmmanuelMacron ha evocato vari obbiettivi essenzialiper l’UE: la cooperazione nel campo dell’an-titerrorismo, il controllo delle frontiere, la po-litica solidale d’immigrazione, ma anche ildigitale, l’Erasmus ampliato agli apprendisti,la politica industriale. Ha pure fatto riferi-mento al metodo di «integrazione differen-ziata» – non unicamente nel settore politicopioritario della difesa europea – quale espres-sione di una volontà politica di leadershipall’altezza delle nuove responsabilità dell’Eu-ropa in un mondo sempre più instabile. Lasua capacità di tessere alleanze al Consiglioeuropeo sarà presto messa alla prova.

Con l’elezione di Macron, l’Europa non esce an-cora dalla sua crisi di efficacia e di legittimità.Ma dispone dei tre messaggi politici concreti,sopra citati, che sono portatori di speranza per icittadini europei e per i nostri partner in tutto ilmondo.

MACRON E L’EUROPA: TRE MESSAGGI DI SPERANZA

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Concorso fotografico #EUinMyRegion 2016 Foto di OdysseasXerizotis (Grecia). © Unione europea

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Sono arrivata al Parlamento europeo esatta-mente trent’anni fa, nel 1987. Allora responsa-bile della politica dei trasporti guardavo coninvidia ai colleghi della “Sociale”, cioè la com-missione parlamentare degli affari sociali (suc-cessivamente occupazione e affari sociali)perché, soprattutto nelle fila dei gruppi progres-sisti, si avvertivano l’entusiasmo e l’impegnoprofuso da parlamentari e consiglieri politici perla costruzione di armonizzazone e/o coordina-mento di regole e welfare, verso l’alto, in un veroe proprio spazio di cittadinanza. In poche pa-role, la dinamica verso quell’Europa che ab-biamo sempre voluto.

Ho coronato il mio sogno a metà degli anni ’90,avendo così l’onore di partecipare, mettendo ilmio granello di sabbia, alla costituzione del cor-pus legislativo di taluni aspetti delle condizionidi lavoro (lavoro atipico, part time, congedo dimaternità e paternità), della salute e sicurezzasui luoghi di lavoro - dall’orario alla protezionecontro l’amianto, gli agenti chimici e fisici, le at-trezzature - dell’informazione e consultazionedei lavoratori e della parità fra uomini e donne.Inoltre, in quegli anni gli strumenti di coordina-mento e reciproco riconoscimento dei sistemi diprotezione sociale in Europa sono stati miglio-rati e rafforzati.

Il trattato di Amsterdam, entrato in vigore nelmaggio del 1999, ha introdotto un nuovo titolosull’occupazione dopo quello relativo all’Unioneeconomica e monetaria che prevede l’elabora-zione da parte degli Stati membri e delle istitu-zioni europee di un strategia coordinata a favoredel lavoro. E nel marzo del 2000, il Consiglio eu-ropeo di Lisbona a guida portoghese e socialista(il PM era Antonio Guterres, attuale segretariogenerale dell’ONU) inaugurava una strategiacon il seguente obiettivo strategico: la piena oc-cupazione in una nuova società della conoscenzae dell’innovazione, per vincere la sfida dellacompetitività mondiale rispettando le preroga-tive del modello sociale europeo, creando lavorodi qualità e promuovendo la coesione sociale. Lastrategia di Lisbona sottendeva un’Agenda So-ciale il cui contenuto, se fosse stato preso sulserio, avrebbe risparmiato all’UE le conseguenze

LA DIMENSIONE SOCIALE DELL’EUROPA

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LA DIMENSIONE SOCIALE DELL’EUROPA ANNA COLOMBO - consigliere speciale del Gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamentoeuropeo, già segretaria generale del medesimo Gruppo

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della crisi del 2008, e preparato il terreno per laquarta rivoluzione industriale digitale. L’AgendaSociale si proponeva infatti: - più lavoro e lavoro di qualità, anche per i la-

voratori atipici, o interinali;- anticipare e governare le mutazioni indu-

striali;- sfruttare le opportunità della nuova econo-

mia basata sulla conoscenza;- promuovere la mobilità nell’UE (compresa

la revisione del regolamento sulla sicurezzasociale dei lavoratori migranti);

- modernizzare e migliorare la protezione so-ciale;

- promuovere l’inclusione sociale;- promuovere le pari opportunità;- rafforzare i diritti fondamentali e combattere

le discriminazioni;- promuovere la qualità nelle relazioni indu-

striali;- promuovere la cooperazione internazionale

su tutti questi temi.

Purtroppo poco tempo dopo un altro portoghese- Jose Manuel Durao Barroso - diventava presi-dente della Commissione e durante i dieci annidel suo doppio mandato 2004-2014, sostenuto daun Consiglio a maggioranza conservatrice, la co-struzione dell’Europa Sociale è stata praticamentecongelata. Le politiche di austerità, uccidendo cre-scita ed investimenti, hanno fatto il resto.Non c’è quindi da stupirsi se, fra le condizioninecessarie al Gruppo S&D per sostenere la can-didatura di Jean-Claude Juncker alla presidenzadella Commissione europea, ci fosse anche “latripla A sociale” come definita da Juncker stesso.Purtroppo una serie di circostanze (l’attesa peril referendum britannico, le riserve di taluni paesie persino di qualche parlamento nazionale...) nehanno ritardato la presentazione. Finalmente loscorso 26 aprile la Commissione ha adottato il“Pilastro europeo dei diritti sociali”, lanciando altempo stesso la prima di cinque riflessioni tema-tiche sul futuro, dedicata alla “dimensione so-ciale dell’Unione europea all’orizzonte 2025”.La presentazione del Pilastro è stata precedutada una esaustiva consultazione pubblica, conclu-sasi nel dicembre 2016, che si è di fatto trasfor-

mata in una discussione approfondita fra le partisociali, i governi e i parlamenti nazionali, la so-cietà civile e le istituzioni dell’UE sul futuro e lastruttura del modello sociale europeo, in parti-colare, ma ovviamente non solo, nella zona euro.Vedremo fra qualche settimana se la propostadella Commissione sarà all’altezza delle aspetta-tive. Nel frattempo il Parlamento europeo hafatto proprie le istanze di chi chiede un salto diqualità, ricordando come il dibattito in corsopossa richiamare l’attenzione sui valori fondantidell’UE e sul fatto che un pilastro di diritti am-bizioso non farà che rafforzare il senso di appar-tenenza dei cittadini europei all’UE stessa.Con una relazione ad hoc approvata a largamaggioranza lo scorso gennaio (relatrice MariaJoao Rodrigues, deputata portoghese socialista,braccio destro di Guterres nel marzo 2000), ilPE esprime preoccupazione per i persistenti ef-fetti negativi della crisi del 2008, ed insiste chela strategia 2020 deve fare propria l’esigenza diuna convergenza economica e sociale versol’alto, al fine di guidare il coordinamento dellepolitiche economiche, sociali e dell’occupazione,con particolare attenzione alla zona euro. La prima richiesta del PE è che la Commissionepresenti una nuova direttiva quadro per condi-zioni di lavoro dignitose ed una zoccolo minimocomune di diritti e garanzie per tutti i lavoratori,estendendo le attuali norme in particolare allenuove e nuovissime tipologie contrattuali. Taleminimo comune dovrebbe includere parità ditrattamento, tutela di salute e sicurezza, congedodi maternità, disposizioni su orari e riposi, ac-cesso alla formazione e diritti di informazione econsultazione, nonché libertà di associazione edi rappresentanza. Il PE continua sui sistemi di welfare, per i qualil’UE assicura reciproco riconoscimento nel casodi cittadini che vivono e lavorano in un altroStato membro; il Parlamento chiede però nuovimeccanismi di convergenza virtuosa per la pro-tezione sociale in generale, e investimenti socialiall’altezza di questa ambizione. Si raccomandache tutti i lavoratori siano coperti da un’assicu-razione adeguata contro la disoccupazione o illavoro a tempo parziale involontario, abbinata aservizi di assistenza alla ricerca di un nuovo la-

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voro e ad investimenti per l’aggiornamento dellaformazione. Il PE mette inoltre in evidenza l’im-portanza di regimi di reddito minimo per lottarecontro povertà e precarizzazione, così come diservizi pubblici adeguati e del riconoscimento aiprestatori di assistenza nelle famiglie di una seriedi diritti. La povertà infantile è anch’essa parti-colarmente analizzata e si chiede alla Commis-sione e agli Stati membri di farsi carico di unavera e propria “Child guarantee”. Il Parlamento si sofferma parecchio anche sul-l’eguaglianza di genere. Vale la pena ricordareche in concomitanza con la presentazione del Pi-lastro Sociale, la Commissione ha adottato ilpacchetto per la conciliazione di vita famigliaree professionale, con misure legislative volte inparticolare ad incoraggiare fortemente il con-gedo di paternità, adeguatamente retribuito.I deputati europei elencano altresì tutti gli stru-menti messi a disposizione dall’UE e che do-vrebbero essere ottimizzati e a volte rafforzatianche in vista di future scadenze (si pensi ai ne-goziati sul prossimo quadro finanziario plurien-nale): legislazione, investimenti strategici,bilancio europeo e fondi strutturali - in partico-lare il Fondo Sociale, fondo europeo sulla glo-balizzazione, Europa 2020. E, ancora una volta, il PE punta ad un coordi-namento effettivo fra Consiglio EPSCO (occu-pazione, politica sociale, salute e consumatori")e Consiglio ECOFIN, ma anche ad incontri re-golari fra i ministri occupazione e affari socialidella zona euro, per affrontarne in maniera ade-guata i persistenti squilibri socioeconomici.Il Pilastro Sociale presentato dalla Commissioneil 26 aprile ha l’indubbio merito di aver ripostol’Europa Sociale fra le priorità dell’UE. Il docu-mento contiene venti principi ispiratori perl’azione futura della Commissione, strutturatiattorno a tre categorie: eguaglianza di opportu-nità ed accesso al mercato del lavoro, eque con-dizioni di lavoro, protezione e inclusione sociale.Si tratta, al momento, di un catalogo di buoneanzi ottime, intenzioni. Vedremo nei prossimimesi il grado di ambizione che l’Esecutivo met-terà nel proporre un seguito di azioni, soprat-

tutto legislative, concrete che producano risultatiin tempi rapidi e certi. E vedremo altresì se ecome la dimensione sociale entrerà a far partedi una nuova dinamica di sviluppo per l’UnioneEuropea.Il futuro del Continente dipenderà in buona mi-sura da quanto la Commissione, e soprattuttogli Stati membri, seguiranno le indicazioni delParlamento europeo. Senza un’adeguata dimen-sione sociale i cittadini rischiano davvero di nonriconoscersi più nel progetto iniziale. Se nei con-fronti del resto del mondo l’Europa è semprestata all’avanguardia nella solidarietà e nella pro-tezione delle persone, tale modello deve essereperseguito e migliorato per permettere all’UE diessere motore imprescindibile del nuovo mo-dello di Sviluppo proposto dalle Nazioni Unitecon l’Agenda 2030, per una diversa globalizza-zione che metta al centro le sfide comuni dellediseguaglianze, del rispetto per il pianeta e diuna crescita inclusiva e sostenibile.

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Moneta da 2 euro commemorativa dei 50 anni dalla firmadei Trattati di Roma. © Banca Centrale Europea

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L'UE non è certo al massimo della sua forma.Si respira un po' dappertutto una profonda crisiidentitaria che sembra rimettere in discussionela stessa costruzione europea. L'Europa è ancoravissuta come un concetto troppo astratto perchépossa, di per sé, esorcizzare la paura atavica del"diverso" che le ondate migratorie risvegliano.Concetti come la solidarietà - cristiana o diclasse - non sembrano più di moda e, men chemeno, l'internazionalismo. Al contrario, i rinvi-goriti nazionalismi offrono un rifugio tradizio-nale di più facile percezione. E ben lo sanno imovimenti populisti, che cavalcano tali pauresenza alcuna remora. Questa recrudescenza dei

nazionalismi, ovviamente, si trasforma nel peg-gior nemico per gli ideali europei che traggonolinfa proprio dall'accettazione della diversitàcome fonte di reciproco arricchimento.La crisi economica - che sembra non aver maifine - spinge poi alla ricerca di capri espiatori.L'euro diventa così un bersaglio facile: si tendea comparare gli ultimi prezzi in lire che riu-sciamo a ricordare (quelli del secolo scorso …)con i prezzi attuali, senza cogliere l'evidente ana-cronismo. Inoltre, un po' ovunque, la popolaritàe la fiducia nei partiti, nei sindacati, nella magi-stratura, nelle istituzioni parlamentari o negliamministratori locali sono scese ai minimi sto-rici. E questa profonda crisi in cui sembranoprecipitare tutte le istituzioni che sono alla basedella vita democratica, purtroppo, non risparmianeppure le istituzioni europee.Non sono certo la persona più indicata per unadifesa d'ufficio dell'Unione, né, per ovvie ragioni,la più oggettiva. Eppure i cittadini dell'Unionenon hanno mai vissuto così tanti anni in pace; legenerazioni Erasmus hanno imparato a cono-scere e apprezzare la lingua e gli stili di vita deivicini d'oltre frontiera; commerciare - o sempli-cemente viaggiare - nel mercato interno non èmai stato così semplice; e, grazie alla tanto vitu-perata moneta unica, lo shopping è diventatoglobale e trasparente.In questo contesto sospeso fra disillusioni e spe-ranze, si sono recentemente succeduti dueeventi, in gran parte imprevisti e - a giudizio diqualcuno - in qualche modo connessi: la Brexite l'inizio dell'era Trump.

L'UNIONE EUROPEA, IL COMMERCIO E LA FISCALITÀ NELL'ERA TRUMP

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L'UNIONE EUROPEA, IL COMMERCIO E LA FISCALITÀNELL'ERA TRUMP FRANCO ROCCATAGLIATA - Policy Officer alla Direzione generale Fiscalità e Unione doganaledella Commissione europea

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È ancora presto - in questa fase pre-negoziale -per formulare previsioni su tempi, costi e con-seguenze del divorzio dai nostri amici britannici.Egualmente difficile formulare giudizi ponderatia soli 100 giorni dall'insediamento di quell'inu-suale personaggio (per utilizzare un'espressionepolitically correct …) che risponde al nome diDonald Trump.Mi avventuro comunque in qualche valutazionepreliminare sulla nuova amministrazione ameri-cana e sui rapporti presenti e futuri tra UE eStati Uniti. Limitandomi, tuttavia, al tema chemi è più familiare: la fiscalità; e basandomi piùsu riforme annunciate, dichiarazioni d'intenti oproposte fatte in campagna elettorale, che sureali cambiamenti legislativi, ancora in divenire.Purtroppo, i primi segnali della politica com-merciale e fiscale del neoeletto presidente sem-brano confermare il progressivo deterioramentodei rapporti USA/UE in quest'area, iniziato giànegli ultimi anni di mandato del presidenteObama.La politica fiscale americana segue da sempreun doppio binario: una severa lotta all'evasionefiscale sul piano interno1 e uno sguardo un po'meno attento sull'imposizione degli utili prodottiall'estero dalle imprese multinazionali ameri-cane. Soprattutto quando tali utili non sono rim-patriati negli Stati Uniti, ma posteggiati inparadisi fiscali, pronti per essere reinvestiti inoperazioni all'estero. Dato che questa policy fa-vorisce l'espansionismo commerciale americano,c'è chi - con un'espressione dal sapore d'altritempi - la definisce "imperialismo fiscale".Attraverso l'utilizzo di strumenti d'ingegneria fi-scale dai nomi fantasiosi (Double Irish San-dwich, Dutch Twist, IP Box, …) sempre in bilicotra elusione ed evasione, molti profitti sono riu-sciti a sfuggire all'imposizione su entrambe lerive dell'Atlantico. Tuttavia, la Commissione eu-ropea, in questi ultimi anni, utilizzando unostrumento inconsueto - le regole del diritto dellaconcorrenza - è andata a toccare gli interessi di

alcuni grandi gruppi multinazionali, soprattuttostatunitensi, come McDonald's o Apple, accu-sandoli di aver violato tali regole, beneficiandoillegittimamente di esenzioni d'imposta ("aiutidi Stato") per centinaia di milioni di euro e or-dinandone la restituzione alle amministrazionifiscali europee.Puntuale il contrattacco americano, ove oltre adaccusare la Commissione europea di andare benaldilà delle proprie competenze, si prospetta ad-dirittura una riforma fiscale epocale, destinata asostituire l'imposta sulle società con una nuovatassa - Destination-Based Cash Flow Tax - daicontorni ancora oscuri, ma che prevedendo(come l'IVA nostrana) una tassazione nel luogodi consumo dei beni, comporterebbe una detas-sazione dei ricavi da esportazione e inoltre, perle imprese americane, l’indeducibilità dei costirelativi a beni importati, con conseguente "ag-giustamento" al momento del passaggio allafrontiera. Se approvata, una tale riforma fiscalerischia di essere un duro colpo alle nostre espor-tazioni e … pure per noi fiscalisti: obbligandocia rivedere distinzioni che credevamo consoli-date, come quelle tra imposte dirette, indirettee diritti doganali. Naturalmente, occorrerà ve-dere in quale misura tali decisioni siano compa-tibili con gli impegni presi dagli Stati Unitinell'ambito dell'Organizzazione Mondiale delCommercio.Inutile dire, infine, che di accordi commercialitransatlantici (come il TTIP) tra UE e USA, almomento non si parla più (e non certo per le ra-gioni avanzate da molte organizzazioni non go-vernative) e che Trump, oltre l'intenzione dierigere veri muri alla frontiera messicana, hadetto di voler uscire anche dagli accordi multi-laterali di libero scambio esistenti, come ilNAFTA. Insomma, per le imprese esportatriciitaliane, e per la Commissione europea - solarappresentante dei paesi dell’Unione Europea aitavoli negoziali del commercio internazionale -si annunciano tempi difficili.

L'UNIONE EUROPEA, IL COMMERCIO E LA FISCALITÀ NELL'ERA TRUMP

ORA QUALE EUROPA? 34

1 Con una pressione fiscale assai elevata, ma che Trump vorrebbe rendere ben più attrattiva: è di pochi giornifa la proposta di portare l'aliquota imponibile sugli utili delle imprese dal 35% al 15%.

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Il Centro Europe Direct Genova ha sposato conentusiasmo e convinzione l’idea di presentare unprogetto per promuovere e far conoscere ilPiano di Investimenti per l’Europa, più notocome “Piano Juncker”, indirizzando l’iniziativaa cittadinanza e stakeholders del territorio: ilprogetto “Investire sull’Europa con l’Europa” èstato approvato dalla Rappresentanza in Italiadella Commissione europea e si inquadra in unpiù ampio contesto di azioni informative che sisvolgono, a partire dal mese di marzo, in diversecittà d’Italia – ed Europa – con destinatari ban-che ed istituti di credito, associazioni di catego-ria, imprese, università ed enti locali sulle

opportunità di nuovi prestiti a marchio Unioneeuropea e Banca Europea per gli Investimentiprevisti dal Piano.Elemento principale del Piano degli Investi-menti per l’Europa è il Fondo Europeo per gliInvestimenti Strategici (FEIS) che, istituito nel2015, promuove investimenti nelle PMI e inprogetti infrastrutturali, creando un ambientefavorevole agli investimenti e mobilitando capi-tali privati grazie ad un effetto moltiplicatore.L’Italia risulta essere al momento il Paese cheguida la classifica dei beneficiari di finanzia-menti, rafforzando nei soggetti istituzionali,quali Enti locali e Centri di informazione euro-pea, la consapevolezza di dover continuare nellavoro capillare di informazione e sensibilizza-zione sul territorio. Punto centrale della proposta di progetto pre-sentata dal Centro Europe Direct Genova è statala creazione di una solida rete di partenariato lo-cale e regionale, che comprende: ABI Liguria,Autorità portuale di Genova, CNA Liguria,Confartigianato Genova, Confindustria Ge-nova, Enterprise Europe Network – ConsorzioAlps, Confcooperative Liguria, Lega Liguredelle Cooperative e Mutue, Filse Spa – Finan-ziaria Ligure per lo Sviluppo Economico, con lacollaborazione di Regione Liguria (Autorità digestione POR FESR). Inoltre, il parlamentareeuropeo Brando Benifei e il componente del Co-mitato Economico e Sociale Europeo MarcoVezzani hanno accettato di collaborare raccor-dando la dimensione locale e regionale alle ri-spettive Istituzioni europee: il progetto genovese

PIANO DI INVESTIMENTI PER L’EUROPA – UN PROGETTO PER GENOVA E PER LA LIGURIA

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PIANO DI INVESTIMENTI PERL’EUROPA – UN PROGETTO PERGENOVA E PER LA LIGURIA GIANLUCA SABA - responsabile ufficio Relazioni internazionali del Comune di Genova

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è stato presentato ufficialmente lo scorso 27marzo e prevede una serie di incontri, tecnici eper il grande pubblico, tra maggio e novembreprossimi.La scelta del Centro Europe Direct Genova dipuntare con forza sul “Piano Juncker”, facen-done il fulcro delle proprie attività di comunica-zione e informazione per l’anno 2017, ha presolo spunto da una riflessione sul contesto dellanostra città e sulle sfide che la attendono neiprossimi anni: l’interesse per questi nuovi stru-menti finanziari è a Genova particolarmente ele-vato, tenendo conto del fatto che esistono giàdiverse piste di lavoro e progetti fondati su inve-stimenti infrastrutturali, a diversi stadi di avan-zamento (Blue Print, recupero della CasermaGavoglio, progetti Smart City, per fare alcuniesempi). Ma un altro caso esemplare è il lavoroche si sta realizzando sul PON Metro (Pro-gramma Operativo Nazionale Città Metropoli-tane), in cui lo sforzo di coordinamento interno,di progettazione e di comunicazione sul territo-rio che il Comune e la Città Metropolitanastanno portando avanti va esattamente nella di-rezione, auspicata dal “piano Juncker” di mobi-litare tutti gli attori, pubblici e privati, per larealizzazione di grandi progetti strategici.

Per concludere, vorrei ricordare il lavoro svolto inquesti anni dal Comune di Genova alla Presi-denza del Forum Sviluppo Economico di Euro-cities, la rete delle grandi città europee: durante idue anni della Presidenza di Genova, si è lavoratocon gli altri partner europei per evidenziare e va-lorizzare il contributo che le città, in un processo“dal basso”, possono dare al rilancio dell’Europa,in termini di formazione, di valorizzazione dellecapacità e dei talenti, di promozione di impresa edi attrazione di investimenti (si pensi alla “Decla-ration on Work”, adottata nel giugno 2015 daiSindaci delle città della rete). Sono proprio lecittà il miglior manifesto di un’Unione Europeache vuole reagire ad una grave crisi, di identità edi fiducia nelle Istituzioni: il “Piano Juncker”nasce anche come risposta alle esigenze dellacittà, veri motori di sviluppo e punti di riferi-mento per i cittadini europei.Tutto questo patrimonio di esperienze testimo-nia la tradizionale e costante attenzione di Ge-nova verso l’Europa, vista finalmente come unastraordinaria opportunità di crescita e sviluppo,in un momento storico così difficile per il fu-turo dell’Unione, proprio nell’anno di celebra-zione del sessantesimo anniversario dei Trattatidi Roma.

PIANO DI INVESTIMENTI PER L’EUROPA – UN PROGETTO PER GENOVA E PER LA LIGURIA

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CENTRO D’INFORMAZIONE EUROPE DIRECTDIREZIONE MARKETING DELLA CITTÀ, TURISMO E RELAZIONI INTERNAZIONALI

Palazzo Ducale, Piazza Matteotti 24r, 16123 Genova - 010 [email protected]

www.comune.genova.itpagina Facebook: Centro Europe Direct Genova

profilo Twitter: Europe Direct Genova

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Leggo la sintesi del numero e immagino già uncoro: spetta alla scuola educare all’Europa legiovani generazioni! Come persona di scuola co-nosco i limiti di un’istituzione il cui scopo è tra-mandare conoscenza ed insegnare competenze,un’istituzione che lavora con persone educate inprimis dalla famiglia e dalla società; al giornod’oggi queste persone, dovendo fronteggiare unadifficile situazione economica, chiedono alla UEsicurezza e lavoro: soddisfare queste esigenze sa-rebbe per la UE il miglior mezzo per farsi amare.

Sono d’altra parte consapevole che la UE ha unasua specifica identità (una coerente e ampia po-litica ambientale, una difesa dei diritti sociali,una struttura istituzionale unica), una sua storiaed un obiettivo già raggiunto (70 anni di paceininterrotta) di cui i giovani devono essere infor-mati: la scuola ha un suo ruolo da giocare. Ac-cetto quindi l’invito a lavorare sull’Ue e mi voltoverso il mio ministero a chiedere lumi. Nel 2015un Gruppo pilota nazionale elaborò un moduloper la formazione a tappeto dei docenti italianisui temi dell’Educazione civica europea1. Sonopassati due anni e nulla è stato realizzato. Sonoquindi delusa e amareggiata.La palla è dunque esclusivamente in mano allescuole, che in parte sono pronte, come dimostranol’esistenza del Gruppo pilota (composto in granparte da docenti) e il coevo progetto ligure, in parteno, come dimostra la sporadicità degli interventi.La palla attualmente si può così riassumere:

una pletora di progetti di associazioni varie che1si rivolgono ai singoli docenti,i tradizionali canali ufficiali, quali Erasmus+, E-2twinning ed Euroscola,un Pon fresco di bando dedicato alla cittadi-3nanza europea2.

Quali i punti di forza e di debolezza di questistrumenti?Per il punto 1 la forza sta nella passione e nel

ACCOMPAGNARE I GIOVANI IN EUROPA NON SOLO BANDIERE AI PORTONI

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ACCOMPAGNARE I GIOVANI IN EUROPA. NON SOLO BANDIERE AI PORTONI CHIARA SARACCO - insegnante

1 http://www.politicheeuropee.it/newsletter/19316/educazione-civica-europea-roma-chiama-la-liguria-risponde2 http://www.indire.it/2017/04/03/80-milioni-di-euro-per-la-cittadinanza-europea/

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convincimento delle associazioni, che lavoranocome pionieri a dissodare una terra arida, ap-poggiandosi a manipoli di insegnanti sensibili; ladebolezza sta nella mancanza di mezzi e di visi-bilità, nella frammentarietà degli interventi. Perquanto riguarda gli altri due punti, ci sono dafare dei distinguo. Erasmus+3 e E-twinning4 ini-ziano ad essere strumenti conosciuti e praticatianche in Italia; il punto di debolezza: si può rea-lizzare un progetto Erasmus o un gemellaggiosenza mai pronunciare la parola ‘UE’; si trattadi strumenti utilizzati soprattutto per la possibi-lità di praticare lingue straniere e quindi in ge-nere appannaggio degli insegnanti di lingue,perché si ricevono fondi con cui finanziare atti-vità scolastiche e viaggi. Il nuovo Pon sembra al-linearsi su questa posizione, anche se richiedealmeno in uno dei due possibili canali l’introdu-zione di un modulo di Educazione civica euro-pea. E con questo si arriva al punto: quello cheserve per rendere consapevoli le nuove genera-zioni del ruolo che l’UE giocherà nelle loro vitenon è un viaggio in uno dei Paesi dell’Unione enemmeno la competenza linguistica nel mas-simo numero possibile di lingue comunitarie,ma una formazione giuridica, economica, sto-rica, sociale. Un’educazione alla cittadinanza,un’educazione civica, una Cittadinanza e Costi-tuzione. Chiamiamola come si vuole, credo cheil concetto sia chiaro. Da questo punto di vistalo strumento che più mi sento di raccomandareè Euroscola5, iniziativa del PE per il trienniodelle superiori durante la quale delegazioni distudenti provenienti dai Paesi membri parteci-pano alla simulazione di un’assemblea parla-mentare: si parla inglese, si ricevono fondi perfinanziare la missione, si parla dell’UE con fun-zionari dell’UE.Anch’esso ha delle carenze: come tutte le altreiniziative porta lontano. L’UE sta a Strasburgo,

nella lontana cittadina turca con cui si intesse ilgemellaggio..., ma l’UE non viene mai a casanostra?Azzardo quindi qualche consiglio in conclu-sione:

dare stabilità agli interventi: i docenti devono4poter contare su iniziative che si ripetono ognianno, perché ogni anno hanno di fronte semprenuovi studenti: che senso ha formare con unprogettino due classi (circa 50 persone) quandoogni anno ne diplomiamo circa 500.000?organizzare le sparse truppe delle molte associa-5zioni in modo da non disperdere le energie emassimizzare i risultati.collaborare strettamente con le scuole in modo da6rispondere alle loro esigenze. Porto un esempio:le scuole superiori devono fronteggiare l’alter-nanza scuola lavoro, 400 ore per i tecnici/profes-sionali e 200 per i licei; non è facile organizzaremolte altre attività oltre a questa. Quindi chiedoagli amici europeisti: ma non è possibile coniugareun percorso di sensibilizzazione europea con unostage presso un ente, per esempio gli Europe Di-rect, che lavora per l’UE?Formare gli insegnanti e quindi studiare la nor-7mativa in elaborazione nelle sezioni relative al-l’obbligo di aggiornamento6 e al reclutamentodei nuovi docenti7.Sfruttare le opportunità che le misure in fieri8sugli esami di Stato conclusivi dei cicli sembranoaprire là dove si prospetta di valutare le compe-tenze di Cittadinanza e Costituzione in sede dicolloquio orale8.Ed infine portare l’UE a casa, rispondendo alle9giuste domande di chi, pur vivendo in unmondo globalizzato, ha i piedi ben piantati in unterritorio specifico: queste sanzioni contro i pe-scatori, sono ingiuste, no9? E questo Juncker, isoldi dove li ha messi? E a me, che servono?

ACCOMPAGNARE I GIOVANI IN EUROPA NON SOLO BANDIERE AI PORTONI

UNO SPAZIO PER LA SCUOLA38

3 http://www.erasmusplus.it/scuola/opportunita-per-la-scuola/4 http://www.indire.it/progetto/etwinning/: 30.000 sono gli insegnanti italiani iscitti su un totale di 300.000 circa5 http://www.europarl.europa.eu/euroscola/en/home.html6 http://www.istruzione.it/allegati/2016/Piano_Formazione_3ott.pdf7 http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs070417bis8 Ibidem9 http://www.ivg.it/2017/02/regione-mai-fianco-dei-pescatori-liguri-le-assurde-sanzioni-della-ue/

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Nel referendum del giugno scorso, l’Irlanda delNord, tutt’oggi parte del Regno Unito, ha votatoper rimanere nell’Unione Europea (UE) conuna maggioranza del 56 per cento. Tuttavia èben noto che a livello nazionale ha vinto, 52 a48 per cento, il fronte per l’uscita dalla UE.Cosa si cela dunque dietro quel “no” così caricodi significato e conseguenze per le 6 conteedell’Ulster? Quella dell’UE e dell’Irlanda del Nord è unastoria poco conosciuta, ma durata 35 anni. Il suoinizio è stato motivato dall’impossibilità dellacomunità Europea di rimanere a guardare men-tre violenza e discriminazioni causavano più di

3000 morti nel solo territorio rimasto nella co-munità ad essere in situazione di conflitto.Guerra che, negli anni, ha sconfinato nella Re-pubblica irlandese (Éire) e in Inghilterra. Le istituzioni Europee, coadiuvate dall’inces-sante attività di uomini straordinari quali l’exleader del partito Socialdemocratico e Laburi-sta nord irlandese John Hume (premio Nobelnel 1998), hanno di fatto accompagnato la re-gione nelle tappe fondamentali del suo camminoverso la pace. L’UE ha fornito supporto econo-mico, ma soprattutto ha funzionato come la solaarena dove un dialogo pacifico tra le parti -quella rappresentata dai cattolici indipendentistie quella opposta dei protestanti unionisti fedelialla corona britannica - è stato possibile. Graziea quel dialogo, l’UE ha fatto scomparire la fron-tiera tra le “due Irlande”, che facendo entrambeparte della comunità potevano sentirsi già unite.Per mezzo di interventi ed azioni previste dallacornice dei Fondi Strutturali europei queste sisono poi riavvicinate anche in termini economicie sociali. La cooperazione transfrontaliera è statacosì incentivata e facilitata, permettendo di in-tervenire sulle aree lungo la frontiera che piùavevano sofferto a causa del conflitto. Inoltre ilsupporto finanziario proveniente da Bruxelles èstato fondamentale per il rilancio dell’industrialocale e per restituire fiducia agli investitori in-ternazionali, che avevano smesso di credere nellaproduzione e nella manifattura Nord Irlandeseallo scoppio del conflitto, nel 1969. Tale ripresaeconomica era essenziale per sopperire alla cre-scente disoccupazione e per restituire speranza

IL PROCESSO DI PACE IN IRLANDA DEL NORD ALL’OMBRA DEL BREXIT

PUNTI DI VISTA DALL’EUROPA 39

IL PROCESSO DI PACE IN IRLANDA DEL NORD ALL’OMBRA DEL BREXIT GIADA LAGANÀ - dottoranda alla Scuola di Scienza politica e Sociologia, National University of Ireland, Galway

© Raffaele D’Angelo

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a quella nuova generazione che si vedeva co-stretta a emigrare, oppure a raggiungere i ranghidelle associazioni paramilitari, quali l’IRA o l’Ul-ster Volunteer Force (UVF) di matrice protestante,per assicurarsi un futuro. Infine l’UE, attraversoil programma “PEACE” per la pace e la ricon-ciliazione in Irlanda del Nord, ha conferitonuova autonomia governativa alle istituzioni e aipartiti politici di rappresentanza locali, prigio-nieri del centralismo britannico da più di 30anni. Il programma “PEACE I” è stato il primoad essere approvato. Nel marzo 1999, il Consi-glio europeo ha deciso che il programma spe-ciale dovesse rimanere in vigore per il periodo2000-2004 sotto il nome di “PEACE II”. Que-sto è stato poi prorogato e “PEACE III”, relativoal periodo 2007-2013, ha ripreso talune dellepriorità dei programmi precedenti ed è ora con-siderato come un esempio di strategia della co-struzione della pace da condividere in altreregioni della comunità. In questo modo l’UE siè fatta di essa garante, soprattutto a seguito dellatregua finalmente stipulata in modo ufficiale il10 aprile del 1998, quando i cosiddetti “accordidel Venerdì santo” hanno messo fine a 30 annidi tensioni e scontri. Quindici anni dopo la firma del trattato i citta-dini si sentono però ancora più sicuri al riparodelle barriere, tant’è che i “muri della pace”(muri di 4-8 kilometri che separano i quartiericattolici da quelli protestanti) sono ancora tuttiin piedi in Irlanda del Nord. Oggi i vacanzieri ri-visitano il periodo buio del conflitto attraverso imurales della cattolica Falls road e della prote-stante Shankill road a Belfast e, senza la leggeradifferenza di rivestimento stradale e la bruscasparizione dei pannelli bilingue, la frontiera trale città di Emyvale, nella Repubblica d’Irlanda,e di Aughnacloy, in Irlanda del Nord, passa fa-cilmente inosservata. La Brexit potrebbe però riportare il paese ad unbivio, insieme al ritorno dei controlli doganali alconfine tra le “due Irlande” e, con essi, forse unritorno alla violenza. Se l’Europa ha giocato unruolo fondamentale nel contribuire alla cessazionedi tutte le attività militari e nella ricostruzioneideale e materiale della società civile, la strada nonè pertanto ancora conclusa. Questo è dimostrato,

tra l’altro, dalla ancora corrente attività di sup-porto dell’UE al processo di pace: un nuovo pro-gramma (PEACE IV, 2014-2020) è stata lanciatoufficialmente nel gennaio 2016, con un forte ac-cento sui finanziamenti mirati ai minori e ai gio-vani. “La sola garanzia che abbiamo ottenuto dalleautorità europee concerne la non-interruzione diPEACE IV” affermava Martina Anderson, Euro-parlamentare e rappresentante del partito catto-lico Sinn Féin (considerato il braccio politicodell’IRA) lo scorso dicembre. Il “no” della popolazione nord-irlandese nel giu-gno scorso nasconde insomma la consapevo-lezza di questa storia, insieme alla fiducia ripostanel futuro della pace nella regione, che è intrin-seco al supporto dell’UE. Se le lealtà politichelocali non sono state modificate, l’Europa hasvolto comunque un ruolo fondamentale, mo-strando alla popolazione la via che, dal passato,conduceva ad un futuro più radioso. Un bruscoritorno a quel trascorso, ancora così vivo nellamente della popolazione, costituisce una ricettaideale per il disastro. Lo Sinn Féin, come d’al-tronde lo Scottish National Party in Scozia, senteche la Brexit rappresenta un’occasione forse ir-ripetibile per realizzare le proprie ambizioni diindipendenza. Gli ingredienti ci sono, ma finoranon si tratta che di ipotesi.

IL PROCESSO DI PACE IN IRLANDA DEL NORD ALL’OMBRA DEL BREXIT

PUNTI DI VISTA DALL’EUROPA 40

Concorso fotografico #EUinMyRegion 2016 Foto di BillyHoran (Irlanda). © Unione europea

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Il tema che mi è stato affidato è un tema impor-tante perché i partiti europei rinviano al pro-blema del sistema politico e istituzionale dellaUE, e di conseguenza investono la questionedella democrazia europea, che credo sia davverouno dei principali nodi dell’Europa di oggi, forseil più significativo di tutti. Il problema della po-litica economica o delle politiche sull’immigra-zione della UE, argomenti importantissimi,rinviano infatti al momento del processo deci-sionale, cioè all’esercizio della sovranità popo-lare. A questo proposito qualche anno fa ilpolitologo Peter Mair aveva denunciato con toniallarmati che “spostando il processo decisionalea un livello più alto, gli architetti della costru-zione europea sono stati in grado di lasciarsi leprocedure democratiche alle spalle”. Le paroleerano sicuramente un po’ forti, poiché i cittadinieleggono non solo gli europarlamentari maanche, con modalità diverse, i governi degli Statinazionali, ma è indubbio che il problema esistae non possa essere ignorato poiché il Parlamento

europeo (PE) non dispone dei poteri di cui do-vrebbe godere in un sistema compiutamente de-mocratico. Del resto, il tema del deficitdemocratico europeo è un problema presentesin dagli albori della Comunità europea, ma chesi è aggravato enormemente con la crescita dellecompetenze della UE, in particolare a partire dalTrattato di Maastricht, soprattutto in riferi-mento all’unione economica e monetaria.L’argomento del nostro incontro ovviamente ètroppo vasto per poter essere trattato nel tempoche ho a disposizione, perché racchiude al suointerno tanti temi: dalla nascita e sviluppo deigruppi parlamentari e dei partiti europei alle po-sizioni sull’Europa dei partiti nazionali europei,dal ruolo che essi rivestono nel sistema politicoeuropeo a un’analisi critica del loro ruolo nel-l’attuale assetto istituzionale, sino a una rifles-sione sugli scenari che si potrebbero aprire peril futuro. Da storico svolgerò pertanto solo laprima parte, arrivando sino al Trattato di Maa-stricht, lasciando alla dottoressa Anna Colombo,che sicuramente su questo aspetto ha maggiorecompetenze delle mie, la ricostruzione delle vi-cende più recenti dei partiti europei e l’indica-zione delle prospettive future. Anche cosìristretto l’argomento rimane comunque vastis-simo, e pertanto rimando al dibattito per suc-cessivi approfondimenti e, se mi è consentito, alvolume da me curato nel 2015, con il collegaFabio Sozzi, Unione politica in progress. Partiti egruppi parlamentari europei (1953-2014), per leedizioni Cedam-Wolters Kluver.Dal punto di vista storico i partiti politici degliStati nazionali europei cominciano a fare i conticon l’Europa nel momento in cui la prospettivadi dar vita a uno Stato europeo iniziò a prendere

PARTITI POLITICI ED EUROPA (GENOVA, 7 FEBBRAIO 2017)

ATTIVITÀ DEL CENTRO IN EUROPA 41

PARTITI POLITICI ED EUROPASintesi degli interventi al seminario “Forze politiche ed Europa dagli anni Cinquanta ad oggi” organizzato il 7 febbraio 2017 da Centro in Europa e associazione Le Radici e le Ali.

Forze politiche edEuropa dagli anniCinquanta al Trattatodi Maastricht

di Guido Levi, docente di Partiti e movimentipolitici in Europa all’Università di Genova

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forma. Quindi con la Seconda guerra mondiale,quando diventa chiaro, dopo una simile trage-dia, che sarebbe stato necessario voltare paginanel sistema delle relazioni internazionali. Primac’erano singole personalità politiche che, in an-ticipo sui tempi, riflettevano sull’Europa (daMazzini a Einaudi, da Sturzo a Rosselli, per li-mitarci al caso italiano), ma con la Secondaguerra mondiale sono per la prima volta i partitia sviluppare un’idea di Europa. Spinelli sin dalManifesto di Ventotene considerava la guerra unospartiacque, l’uscita della prospettiva europeadal campo dell’utopia, del sogno irrealizzabile.Durante la Resistenza - tema noto ma sino aoggi non adeguatamente approfondito - moltigruppi partigiani, e di conseguenza i partiti incui i resistenti militavano, indicarono gli Statiuniti d’Europa tra gli obiettivi programmaticidel periodo post bellico.Non stupisce pertanto che siano stati proprio ipartiti nella seconda metà degli anni Quarantaa dar vita a movimenti per l’unità europea, mo-vimenti che precedono la nascita stessa dellaComunità europea del biennio 1950-1951 conla Dichiarazione Schuman e il Trattato istitutivodella Comunità europea del carbone e dell’ac-ciaio (CECA). Mi riferisco per i cattolici alleNouvelles Equipes Internationales (NEI), fon-date a Lucerna nel 1947, che peraltro avevanoavuto un importante precedente in quel Segre-tariato internazionale dei Partiti democraticid’ispirazione cristiana che era stato fondato daSturzo a Parigi nel dicembre 1925, e al Movi-mento socialista per gli Stati uniti d’Europa fon-dato a Londra, sempre nel 1947, su iniziativadell’Independent Labour Party. In questa fasel’Internazionale socialista (IS) non era ancoraparticolarmente europeista: lo sarebbe diventatapiù avanti sotto la guida di Willy Brandt. Inizial-mente antieuropeisti erano invece i partiti co-munisti, poiché strettamente legati all’URSS,che negli anni della guerra fredda riteneva che ilprocesso d’integrazione europeo, avviato dagliamericani con il piano Marshall, fosse in primoluogo rivolto contro di loro. Europeisti eranoanche i liberali, che però avrebbero dato vita aun movimento liberale per l’unità europea soloqualche anno dopo, nel 1952.

Il discorso cambia completamente a partire dal1952, quando entra materialmente in vigore laCECA che, tra le sue istituzioni annovera ancheun’Assemblea parlamentare, cioè la primaforma del Parlamento europeo, e soprattuttol’anno successivo, il 1953, quando all’interno delPE i partiti iniziano ad organizzarsi per gruppi.Tre sono quelli rappresentati in questa primafase: i cattolici, i socialisti e i liberali. Questo èl’ordine in termini di consistenza numerica sinoal 1959, anno in cui i liberali superarono per laprima volta i socialisti. Questa vicenda è impor-tante perché orientò in senso europeista i partitimembri. Direi che tutti e tre i gruppi si possonodefinire europeisti, forse i cattolici un po’ piùdegli altri grazie a figure come De Gasperi,Schuman, Adenauer. Curiosamente nel corsodegli anni Cinquanta si verificò un’inversione ditendenza: diventa un po’ meno europeista ilgruppo democristiano un po’ più europeistaquello socialista.Sappiamo però che in quegli anni l’Assembleaparlamentare contava poco, tanto che quei segginon erano allora particolarmente ambiti. Alcunideputati addirittura consideravano il passaggiodal Parlamento nazionale a quello europeo unasorta di punizione, quasi un allontanamento daicentri di potere e dalla politica attiva. Com’ènoto per molti anni l’unico potere di cui dispo-neva il Parlamento europeo era un generico po-tere di controllo dell’esecutivo e solo più avantiesso avrebbe acquisito un più concreto potere diratifica del bilancio comunitario, che peròavrebbe solo potuto essere approvato o respinto,ma non emendato. Di ciò inevitabilmente risen-tiva il dibattito parlamentare e la capacità diorientare le scelte del Consiglio, ossia degli Statinazionali, i veri detentori del potere in Europa.Non riuscirono pertanto a fare molto i partitinella battaglia per la Comunità europea di difesa(CED), quando cioè fallì nel biennio 1953-1954il tentativo di dare vita alla Comunità politicaeuropea i cui poteri avrebbero dovuto essere de-finiti da uno Statuto, che di fatto era una Costi-tuzione; né sarebbero riusciti poi a scongiurarela svolta economica dei Trattati di Roma, trattatiimportantissimi certo, di cui giustamente si ce-lebra quest’anno il sessantesimo anniversario,

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ma trattati che perdono di vista il tema dell’uni-ficazione politica e del federalismo che inveceera ben presente nella Dichiarazione Schuman.Negli anni Sessanta abbiamo la nascita di unquarto gruppo nel PE, quello gollista, staccatosida quello liberale, che peraltro nasce in derogaa un regolamento che indicava in 17 il numerodi membri necessari per formare un gruppo po-litico. Negli anni Sessanta si compiono anche al-cuni passi nella direzione della nascita dei futuripartiti europei: viene fondato nel 1965 l’Unioneeuropea dei cristiano-democratici, soprattuttoper volontà della DC italiana, tanto che MarianoRumor ne fu il primo segretario, mentre all’in-terno dell’IS, più precisamente all’interno del-l’Ufficio di collegamento Internazionale tra ipartiti socialisti dell’Europa dei Sei, venne ela-borato un programma comune. Decisiva in talsenso fu la chiara conversione europeista dellaSPD tedesca, che sino a quel momento aveva in-vece espresso posizioni neutraliste: anche questaera in qualche modo una conseguenza del cele-berrimo congresso socialdemocratico di BadGodesberg. Tra i partiti comunisti abbiamo laconversione europeista del PCI negli anni im-mediatamente successivi alla morte di Togliatti,con l’ingresso nel 1969 della prima pattuglia dicomunisti italiani nell’Assemblea di Strasburgo.La vera svolta europeista dei comunisti italianisarebbe tuttavia avvenuta solo con la segreteriaBerlinguer, succeduto nel 1972 a Luigi Longo.A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta sisvolge quindi la grande battaglia per l’elezionediretta del PE, che vide in prima fila i movimentiper l’unità europea, ma che trovò convergenzeanche in molti governi e partiti. Una battagliaportata a termine solo nel 1979, ma di lontaneorigini, se è vero che questa possibilità era con-templata sin dall’articolo 21 del trattato istitu-tivo della CECA, poi dal Trattato istitutivo dellaCED, dall’articolo 138 dei Trattati di Roma, edal Progetto Dehousse. Questa battaglia è im-portante perché si riteneva che l’elezione direttadel PE ne avrebbe rafforzato la legittimità e, in-direttamente, avrebbe sancito anche l’aumentodei suoi poteri.Gli anni Settanta, al di là dell’elezione diretta delPE, sono fondamentali per la storia dei partiti e

dei gruppi parlamentari europei. I gruppi cre-scono di numero passando da 4 a 6, poiché conallargamento si forma il gruppo dei conservatorieuropei e, dopo l’ingresso dei membri del Particommuniste français (PCF), quello comunista.A questo proposito non si può non ricordare chePCI e PCF ebbero sempre posizioni diversesull’Europa (molto più critici i secondi rispettoai primi). Crebbe inoltre anche il gruppo deinon iscritti (con l’ingresso di partiti nazionalisti,agrari, e altre forze che non si riconoscevanonella storia e nei programmi dei gruppi esi-stenti). L’elemento più importante del periodoforse è rappresentato dal sorpasso del grupposocialista su quello cattolico: dal 1975 al 1999sarebbe risultato il più importante nel Parla-mento europeo. Ma le elezioni dirette del PE de-terminarono soprattutto lo sviluppo dei partitieuropei, che in vista di tale scadenza furono co-stretti ad attrezzarsi e a costituire un embrionedi struttura organizzativa. Così nel 1974 sarebbenata la Confederazione dei partiti socialisti dellaComunità europea (sempre all’interno dell’IS),mentre il Partito popolare europeo sarebbe statofondato a Bruxelles nel 1976 e nello stesso annola Federazione dei liberali e dei democratici eu-ropei. Ad onore del vero va tuttavia detto che aldi là dei nomi (partito, federazione, confedera-zione) nessuna di queste organizzazioni presen-tava le caratteristiche che noi attribuiamo aipartiti: avere un programma definito, essere unostrumento di partecipazione democratica, e so-prattutto competere realmente per il potere.Gli anni Ottanta in Europa sono infine gli annidelle speranze mancate perché senza entrare nelmerito è evidente che l’Atto unico europeo fuuna riforma istituzionale modesta rispetto alprogetto protofederalista elaborato dal PE e ap-provato da esso, nel febbraio 1984, a larghis-sima, e trasversale, maggioranza. Anche per ilParlamento europeo abbiamo sì una crescita deipropri poteri, potere di cooperazione e parereconforme nel processo legislativo, ma non an-cora adeguata. Che l’Atto unico fosse inade-guato era evidente, dato che pochi anni dopo siè dovuto scrivere un nuovo trattato, per quantofosse nel frattempo cambiato il contesto inter-nazionale in virtù di un evento cruciale e ina-

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spettato come il crollo dell’URSS e del sistemasocialista. La storia dei gruppi parlamentari nelcorso degli anni Ottanta si complicò notevol-mente, con i gruppi che salirono a 8, tra cuiquello della destra radicale che noi oggi po-tremmo definire nazionalista ed euroscettica, equello verde, che inizialmente era in realtà ungruppo rosso-verde, denominato arcobaleno. Danotare che in quegli anni i Verdi erano molto cri-tici verso l’Europa, o almeno questa era la posi-zione di alcuni tra i partiti verdi nazionali cheformavano l’eurogruppo.Com’è noto – e con questo concludo il mio in-tervento - il Trattato di Maastricht impresse unasvolta nella storia dei partiti europei, perché essifurono per la prima volta associati al processo dicostruzione europea. I partiti politici a livello eu-ropeo – si affermava nell’art. 138a – rappresen-tano “un importante fattore per l’integrazionein seno all’Unione. Essi contribuiscono a for-mare una coscienza europea e ad esprimere lavolontà politica dei cittadini dell’Unione”. Nona caso il Partito dei socialisti europei sarebbestato costituito proprio nel 1992, dopo aver su-perato non pochi problemi interni, soprattuttoin virtù delle resistenze dei laburisti inglesi. Anche sotto questo aspetto il trattato di Maa-stricht del ’92 è all’origine dell’Europa che ab-biamo noi oggi, con tutti i suoi pregi e difetti.Sicuramente il trattato imprime al processo d’in-tegrazione europea un salto qualitativo signifi-cativo, soprattutto, come già accennato, inriferimento alla prospettiva dell’unione econo-mica e monetaria. Tuttavia è anche vero che pro-prio in questo periodo l’Europa mette da parte,più o meno consapevolmente, la dimensionedell’unificazione politica. Tra la fine degli anniOttanta e i primi anni Novanta vengono infatticreate due conferenze intergovernative cheavrebbero dovuto far compiere all’Europa unsalto qualitativo. La prima era sull’unione eco-nomica monetaria e aveva come figura di ga-rante Jacques Delors, all’epoca presidente dellaCommissione europea. L’altra, che non avevavere e proprie figure di riferimento, avrebbe in-vece dovuto creare quelle istituzioni politicheche avrebbero permesso all’unificazione econo-mica e monetaria di avere solide radici istituzio-

nali. Il fatto che la prima conferenza abbia avutoesito positivo, mentre la seconda non abbia pro-dotto risultati, ha creato quelle contraddizioniche noi ancor oggi vediamo e viviamo. Non acaso nacquero in quel periodo molti partiti eu-roscettici, a cominciare dallo United KingdomIndependence Party (UKIP) di Nigel Farage,futuro protagonista della Brexit.

Il trattato di Maastricht del ’92 è il primo checita l’importanza dei partiti politici come vettoridi democrazia e creatori di un demos europeoche ancora manca drammaticamente e che, pur-troppo, paradossalmente si sta costruendo at-torno a quelle forze politiche che allora nonc’erano e oggi assumono l’Europa, l’immigra-zione e la globalizzazione quali collanti per pro-grammi di protesta, unicamente distruttivi. È a Maastricht, inoltre, che si sono messe le basiper la creazione della moneta unica; purtropposi pensò in modo del tutto ideologico che a unamoneta comune sarebbe seguito in modo auto-matico uno spazio di politiche macroeconomi-che coordinate con una capacità fiscale e quindiun bilancio. Questo non è accaduto. Otto anni dopo, con il Consiglio europeo di Li-sbona, si aveva ancora la speranza (ma senza unavera volontà politica) che mettendo insieme leeconomie, i sistemi di protezione sociale, i mec-canismi di bilancio, i fondi strutturali, ecc. degliallora quindici Paesi dell’UE, si sarebbe riuscitiad affiancare una vera Europa politica a quella

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Forze politiche edEuropa dagli anniCinquanta ad oggi

di ANNA COLOMBO, consigliere speciale delGruppo dei Socialisti e Democratici al Parla-mento europeo, già segretaria generale delmedesimo Gruppo

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monetaria. Ciò non è successo per due ragioni.Il Partito Popolare Europeo nel 1992 compie unsalto di qualità, allargando sì la sua famiglia, maperdendo in uniformità, convinzione, coraggioed europeismo nell’integrazione europea. Dal-l’inizio degli anni ’90 sino al ’99, il PPE di Wil-fried Martens, democristiano fiammingo,annacqua il suo DNA, il suo vero programmapolitico, fino ad allora nella scia di Adenauer eSchuman, aprendo a formazioni nuove che per-mettono al suo partito di diventare la primaforza politica nel Parlamento europeo, scalzandoi Socialisti che lo erano stati fino al 1999. Ma ilPPE raggiunge questo risultato trasformandosiin un qualcosa che va dai democristiani storici(che, rimasti in cinquanta, si uniscono non acaso nel sottogruppo di pressione Schuman per-ché intendevano restare ancorati ad un’idea diEuropa sociale costruita sino ad allora insiemeai Socialisti), al Partido Popular spagnolo diAznár, a Forza Italia di Berlusconi, a tutte leforze neoliberiste dei Paesi scandinavi, fino acoadiuvare la creazione di quei partiti di centro-destra - già allora in parte filo populisti – neiPaesi che nel 2004 entreranno nell’UE. Si con-sente anche l’ingresso dei conservatori britannicinel gruppo parlamentare del PPE, per quanto itories non siano ammessi nel PPE. La seconda ragione è legata ahimè - in queglianni - alla mancanza di coraggio della famigliasocialista, sia dal punto di vista delle politiche chedel salto di qualità della cessione di sovranità al-l’Europa. Ciò accadde perché quella socialista erauna famiglia politica divisa tra la maggioranza chepensava alla globalizzazione – compresa di dere-golamentazione finanziaria e sociale – in modonon sufficientemente critico e chi invece, in par-ticolare Lionel Jospin in Francia, avrebbe volutouna famiglia politica molto più critica e interven-tista, ad esempio nella regolamentazione dei mer-cati finanziari e in una vera e propria politica diarmonizzazione sociale in Europa. Ma la crisi in Europa inizia e si sviluppa fonda-mentalmente accanto alla trasformazione gene-tica del PPE di cui sopra; il PPE, sostituendogradatamente il centro sinistra al governo nellamaggioranza dei paesi UE, diventa un conglo-merato di potere, maggioritario nelle istituzioni

europee e in molti Paesi della UE. E perde inbuona parte quindi il suo anelito europeista;viene così a mancare un progetto e le stesse isti-tuzioni europee si svuotano di senso.Si passa da una visione di “metodo comunitario”,dove la Commissione è il motore dell’Europa epoi Parlamento europeo e Consiglio legiferano, aun sistema dove la Commissione diventa di fattoun segretariato del Consiglio (si veda la presi-denza decennale di Manuel Barroso).Se è vero che siamo ancora in una fase “embrio-nale” di veri partiti politici europei, la politica inEuropa c’è stata eccome, e dal punto di vista delleegemonie delle destre ha funzionato benissimo. Bisogna poi chiedersi quali siano state le nostreresponsabilità per arrivare a questo punto. La costruzione di forze politiche europee e la co-struzione di un popolo europeo che scelga la suaidea di Europa quando va a votare, indipenden-temente dal Paese in cui è, guardando a forzepolitiche europee che hanno un proprio “dise-gno” dell’Europa, va di pari passo con l’au-mento dei poteri del Parlamento europeo. Già prima del 1979 - anno della prima elezionediretta del PE - ci sono state battaglie epiche al-l’interno del Parlamento europeo perché gli fos-sero riconosciuti quei minimi poteri di bilancioche hanno poi costituito il punto di partenza perfare dell’Assemblea ciò che è oggi, una cameraparlamentare quasi a pieno titolo, come quelle deinostri Paesi. È poi fondamentale capire che, a differenza diquanto accade nei nostri Paesi, dove i partitipreesistono, sono più importanti e determinanol’azione dei gruppi parlamentari, in Europa èvero il contrario. Sono i gruppi parlamentari, so-prattutto dal ’79 in poi, che formano la classedirigente europea. Dispongono di una voce nelbilancio del Parlamento europeo e di staff reclu-tati dalle migliori università. Al Gruppo S&D(già gruppo Socialista) parlamentari europeiprovenienti da tutti i Paesi della UE, soprattuttoall’interno della propria famiglia politica, attra-verso il dialogo e la buona politica si impegnanoa creare compromessi virtuosi, realizzandol’esperienza di gran lunga più avanzata di socia-lismo e progressismo in Europa e probabilmentenel mondo.

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Questi gruppi hanno il potere di assumere alParlamento europeo decisioni importanti, con-divise al proprio interno tra le diverse compo-nenti nazionali ma di fatto hanno all’interno delPartito Socialista Europeo lo stesso potere di in-fluenza che hanno i partiti nazionali. I partiti politici europei, che pure nel tempohanno acquisito una vera autonomia logistica estrutturale, funzionano ancora per consenso,all’unanimità. In sostanza, i partiti nazionalicontinuano a non voler devolvere sovranità aipartiti europei. Nella maggior parte dei casi, ciòche viene deciso dal Partito del Socialismo Eu-ropeo è poi disatteso nella sede più importante,quella del Consiglio europeo e del Consiglio deiministri. Perché se i ministri dei Paesi nei qualisiamo al governo non fanno proprie le istanzepolitiche sovranazionali espresse dal PSE, unpartito europeo rischia davvero di non averesenso.L’altro grosso limite dei partiti europei è di es-sere partiti di partiti, e non partiti di persone.Nel 2004, quando Poul Nyrup Rasmussen di-ventò presidente del PSE, provammo a chiedereai nostri partiti nazionali che un cittadino po-tesse iscriversi direttamente al partito europeosenza passare dall’iscrizione al partito nazionale,ma ciò non fu consentito. L’unica cosa che si ot-tenne fu la creazione di una rete di “attivisti” delPSE che tuttora esiste. Sono circa quindicimilaattualmente in Europa, per la maggior parte gio-vani che danno sostegno diretto alle campagneeuropee del PSE. Nessuna forza politica nei paesi d’Europa ha ve-ramente superato il limite nazionale nel suoagire politico. Sono gli stessi limiti della Confe-derazione europea dei sindacati, che non è riu-scita a costruire una piattaforma di confrontocon la controparte datoriale che travalichi gliegoismi nazionali e possa dirsi davvero europea. In conclusione, due note di ottimismo. Nel 2014, su impulso del PSE, si è fatta per laprima volta una battaglia, in ritardo ma impor-tante, perché si corresse alle elezioni europeecon degli spitzen kandidaten: ogni famiglia poli-tica europea, cioè, poteva designare chi sarebbe

diventato il presidente della Commissione euro-pea nel caso in cui la famiglia politica stessaavesse vinto le elezioni e fosse stata in grado dicostruire una maggioranza parlamentare al PE.Non ce l’abbiamo fatta per poco. Il PPE haperso molti seggi, noi ci siamo mantenuti manon siamo arrivati primi. È stata però interrottal’emorragia di voti alle elezioni europee. E ab-biamo comunque vinto una battaglia istituzio-nale: sotto minaccia di un blocco delladesignazione del presidente della Commissione,il Parlamento europeo ha fatto sì che fosse no-minato Jean-Claude Juncker, il candidato delPPE, contro la volontà iniziale del Consiglio edella cancelliera Merkel in particolare. Siamo in-somma riusciti a far rispettare il principio del-l’indicazione del candidato presidente da partedelle famiglie politiche europee. Dovremo reiterare questa battaglia alle elezionieuropee del 2019, sperando nel frattempo che irischi attuali mettano in chiaro che davveroquando si vota per l’Europa si deve votare perprogetti diversi che riguardino l’Europa, auguran-doci di essere in grado, questa volta, di metterein campo un vero programma per un’Europa diprogresso, che è così o non è. L’altra speranza è che fra sette mesi l’SPD diMartin Schulz, che sta facendo campagna elet-torale dicendo che la Germania non è nullasenza l’Europa, e che c’è bisogno di una Ger-mania europea e non di un’Europa tedesca,vinca le elezioni. Continuo ad essere convinta che l’Europa debbarimanere tale con il metodo comunitario – doveciascun Paese vale uno - ma dobbiamo ricono-scere che l’unico modo perché cambi l’Europa,diventi più forte, è che cambi la Germania. Eventi gravi come la Brexit e l’elezione di Trumpnegli Stati Uniti devono dare un sussulto all’Eu-ropa, a cominciare dal vertice di Roma del pros-simo 25 marzo, dove spero non ci ritroveremosoltanto a festeggiare il compleanno di una si-gnora di sessant’anni nemmeno tanto in salute:non solo perderemmo un’occasione ma signifi-cherebbe che la situazione dell’UE è davveromolto, molto grave.

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L’Unione Europea è oggi alle prese non solo conuna serie di crisi sia globali che interne, maanche con un’arena internazionale sempre piùsfavorevole a tentativi di aggregazione fra Stati.Quale sarà il futuro dell’UE in un mondo i cuileader propongono protezionismo e chiusuracome propri cavalli di battaglia?È questa l’importante domanda con cui MarioTelò, professore presso l’Università LUISS diRoma e l’Università Libera di Bruxelles, ha de-ciso di confrontarsi nell’ambito l’incontro“Un’Europa forte tra Putin e Trump?” organiz-zato lo scorso 3 marzo dal Centro in Europa.Dopo l’introduzione della direttrice del Centro,Carlotta Gualco, il prof. Telò è stato intervistatoda Vittorio De Benedictis, giornalista fra i piùesperti di questioni europee nella redazione delSecolo XIX. Dal loro dialogo è emersa una situa-zione in cui l’Unione Europea è chiamata a fron-teggiare cinque differenti e concomitanti crisi chene minano la stabilità, la prima delle quali èquella economico-sociale generatasi a seguito delcrollo del mercato dei subprime del 2008, i cuistrascichi generano ancora oggi alti tassi di disoc-cupazione e crescita economica stagnante soprat-tutto fra le economie del Sud Europa. La secondacrisi è quella migratoria nata a seguito della ca-duta del regime di Gheddafi ed inaspritasi a se-guito dello scoppio della guerra civile siriana. InEuropa questi movimenti migratori hanno por-tato non solo ad una gravissima emergenza uma-nitaria, ma anche al rinfocolamento di tutti queigruppi politici nazionalistici ed euroscettici chevedono nel ritorno ai controlli di frontiera su base

nazionale l’unica soluzione alle presunte ineffi-cienze gestionali di Bruxelles. La terza e la quartariguardano minacce alla sicurezza dei paesi mem-bri dell’Unione provenienti rispettivamente dal-l’esterno (l’intervento russo in Ucraina ad Est el’ascesa di Daesh a Sud) e dall’interno (i feno-meni terroristici sempre più comuni nelle nostrecittà) a cui l’UE non è stata in grado di rispon-dere unitariamente a causa dell’assenza di unapolitica estera comune condivisa, un campo que-sto ancora troppo legato ai meccanismi intergo-vernativi dell’unanimità. L’ultima di questecriticità risiede nella percepita mancanza di legit-timità che ha investito le istituzioni europee, ac-cusate da più parti di essere “lontane” daimeccanismi democratici di espressione della vo-lontà dei cittadini europei.Una risposta al come poter affrontare problema-tiche così disparate è stata presentata dallaCommissione Europea guidata da Jean-ClaudeJuncker il 1° marzo 2017 per mezzo del cosid-detto “Libro Bianco”, dove è contenuta un’ana-lisi delle cinque possibili linee d’azione chel’Unione Europea potrebbe adottare nel pros-simo futuro per contrastare le forze che ne mi-nacciano la sopravvivenza. Le possibili scelte (fracui la Commissione si guarda bene di scegliere)spaziano da un gattopardesco “muddlingthrough”, in cui si afferma che l’Europa cosìcom’è è perfettamente in grado di reggere agliurti e che non vi è quindi la necessità di operaredrastici cambiamenti di rotta, ad ambiziosi pro-getti di accrescimento dell’integrazione fra tuttigli Stati membri in tutte le aree politiche.

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UN’EUROPA FORTE TRA PUTIN E TRUMP? Sintesi dell’intervento di Mario Telò, professore ULB e Luiss, all’incontro pubblico organizzatodal Centro in Europa il 3 marzo 2017

Sintesi a cura di Edoardo Agosti

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La soluzione proposta dal professor Telò nel suorecente libro “L’Europe en crise et le monde” sibasa sul principio della creazione di un’Europaa “cerchi concentrici” o “a più velocità”; unapossibilità prevista giuridicamente dall’art. 20del Trattato dell’Unione Europea (TUE), e po-liticamente dal terzo fra gli scenari contenuti nelsopraccitato “Libro Bianco”. Questa opzionepermetterebbe a gruppi ristretti di paesi membridi rafforzare la loro integrazione in determinatiambiti, senza dover per questo necessitare del-l’approvazione unanime di tutti gli Stati mem-bri, come sarebbe invece richiesto in caso dimodifica dei trattati. Una collaborazione raffor-zata in materia economico-fiscale fra i paesidell’Eurozona (già di per sé un esempio di col-laborazione rafforzata) tramite la creazione di unparlamento elettivo relativo alla stessa e capacedi legiferare in materia fiscale potrebbe, adesempio, sia sanare parzialmente la crisi di legit-timità delle istituzioni europee - provvedendo uncorrispettivo elettivo al più elitario ECOFIN -

sia aiutare ad arginare le divergenze socioecono-miche fra un’Europa mediterranea sempremeno competitiva ed un’Europa “nordica”meno sensibile ai postumi della crisi del 2008.A questo proposito c’è da ricordare che un paesecome l’Italia deve molti dei suoi problemi dicompetitività a scelte proprie e non ad “oppres-sive” politiche europee, come invece spesso so-stenuto nel dibattito pubblico nazionale. Già nelmarzo 2000 venne varata, con il consenso ditutti i Capi di Stato e di Governo dell’Unione,un piano di sviluppo coordinato fra tutti gli Statimembri denominato “Strategia di Lisbona”.Questo piano prevedeva già allora misure perrafforzare la competitività dei paesi membri, trale quali un’allocazione del 3% alla ricerca ed in-novazione. Il professor Telò, nella sua lucidaanalisi, nota come paesi che meno si sono avvi-cinati a questa soglia (come l’Italia, che si assestaoggi ad un misero 1,4%) siano oggi quelli cheper forza di cose si sono trovati ad essere econo-micamente e politicamente marginali rispetto ai

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Firma del Trattato per una Costituzione europea (Roma, 2004). La Costituzione europea sarà affossata dai referendum popolariin Francia e Paesi Bassi (2005). © Comunità europee Foto: Georges Boulougouris

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paesi del Nord Europa, che si attestano intornoal 3,5-4%.Questa forte dipendenza della rilevanza politicadi un paese membro alla competitività della suaeconomia è legata alla natura di “Potenza civile”propria dell’Unione Europea. Lungi dal poter(o dal voler) competere militarmente con super-potenze quali gli Stati Uniti o la Russia, l’UEtrova la sua forza nell’essere la prima potenzacommerciale mondiale, una forte potenza mo-netaria (25% delle riserve monetarie mondialisono in Euro) ed un attore di primo piano incampo diplomatico ed umanitario. Non a casol’Europa è l’unica regione in cui le spese militari,nell’ultimo decennio, sono diminuite anzichéaumentare.Tuttavia, nel suo intervento il professor Telònota come l’attuale situazione internazionale sia,purtroppo, altamente sfavorevole ad una po-tenza che fa del dialogo e dell’apertura commer-ciale la propria raison d’être.Da un lato, l’indirizzo di politica estera ameri-cana dettato dal presidente Trump minaccia diessere, almeno nei proclami, protezionista e bi-laterale. In questo quadro, qualsiasi negozia-zione fra un paese europeo e gli USA sisvolgerebbe esclusivamente sul piano dei rap-porti di forza diretti, ed in questo caso è facileimmaginare quale delle due parti finirebbe a farela parte dell’agnello. Da questa volontà di man-tenere una posizione di forza nasce dunque lavolontà dell’attuale presidente USA di contra-stare qualunque iniziativa che punti ad incre-mentare l’integrazione europea in termini dipolitica estera e commerciale, anche e soprat-tutto attraverso la proposizione del “modelloBrexit” come esempio da seguire.Il mantenimento di un’Europa il più possibile di-visa è anche, per diverse motivazioni, l’obbiettivodella Russia di Putin, potenza economicamente“stracciona”, ma dalle forti velleità imperiali. LoTsar di Mosca lavora da anni al rafforzamentodella Comunità Euroasiatica, un’entità regionalegerarchica dominata dalla Russia e che ad oggiconta la partecipazione di Bielorussia, Kaza-khstan, Armenia, Georgia ed Azerbaigian. Nel-l’idea di Putin, tale progetto avrebbe dovutocoinvolgere anche l’Ucraina, ma le proteste filo-

europeiste di Piazza Maidan e la successiva occu-pazione russa della Crimea in violazione dei trat-tati internazionali hanno posto in netto contrastoil progetto regionalista russo e quello europeo. Inquesto confronto l’unica arma a disposizionedell’Unione è quella delle sanzioni economiche,che necessitano dell’adesione di tutti i membridell’UE per poter essere messe in atto. In questoquadro, il piano di Mosca non può quindi cheesplicarsi nel tentativo di disfare il progetto regio-nalistico europeo, anche tramite l’appoggio a forzepolitiche che puntano allo sfilacciamento dell’UEin favore di progetti di rilancio nazionale e nazio-nalistico (fra cui spicca il Front National guidatoda Marine Le Pen).L’esistenza di profonde discrepanze fra le situa-zioni economiche e politiche dei paesi membrirende allettante la flessibilità data dalla soluzionepresentata dal professor Telò, in cui a gruppi dipaesi è permesso organizzarsi in autonomia (masenza minare la coesione dell’Unione) al fine dimettere in atto soluzioni ad hoc per tutti quei pro-blemi locali che rischiano ad oggi di non trovaresoluzioni perché diversi o addirittura opposti aquelli incontrati dalla maggioranza degli altri Statimembri. Di fronte a sfide così diverse e pericolose,è importante che l’Europa si riscopra capace dirinnovarsi ed adattarsi ad un mondo pianeta sem-pre più piccolo, disordinato e pericoloso.

UN’EUROPA FORTE TRA PUTIN E TRUMP?

ATTIVITÀ DEL CENTRO IN EUROPA 49

9 maggio 1950, dichiarazione del ministro degli esteri franceseRobert Schuman. Inizia il processo di integrazione europea. © Comunità europee Foto: Karel van Milleghem

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