Anno 11, numero 2 (105) - Febbraio 2014 Curia e pastorale ... · Paola Cascioli, Gaetano Sabetta,...

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Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 11, numero 2 (105) - Febbraio 2014

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22 FebbraioFebbraio20142014

Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degliartefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione.Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propriainsindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. Articoli, fotografie ed altro materiale, anche se non pubbli-cati, non si restituiscono. E’ vietata ogni tipo di riproduzione di testi, fotografie, disegni, marchi, ecc. senza esplicita autorizza-zione del direttore.

Ecclesia in camminoBollettino Ufficiale per gli atti di Curia

Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli attidella Curia e pastorale per la vita della

Diocesi di Velletri-Segni

Direttore ResponsabileMons. Angelo Mancini

CollaboratoriStanislao FioramontiTonino Parmeggiani

Mihaela Lupu

ProprietàDiocesi di Velletri-Segni

Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004

Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l.Redazione

Corso della Repubblica 34300049 VELLETRI RM06.9630051 fax 96100596 [email protected]

A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Luigi Vari, mons.Franco Risi, mons. Franco Fagiolo, don AndreaPacchiarotti, don Antonio Galati, don Gaetano Zaralli, SuoreApostoline Velletri, don Marco Nemesi, p. Vincenzo Molinaro,Paola Cascioli, Gaetano Sabetta, Claudio Capretti, PierGiorgio Liverani, Antonio Venditti, Sara Gilotta, equipediocesana Pastorale Giovanile, equipe Caritas diocesa-na, Gregory Specchi, Rossana Favale,Vincenzo Valente,Sara Calì, Sabina Iarussi, Natalina Zanatta, equipe Policoro,Ciro Gravier Oliviero, Mara Della Vecchia, Alessandro Gentili,Edoardo Baietti.

Consultabile online in formato pdf sul sito:www.diocesi.velletri-segni.it

DISTRIBUZIONE GRATUITA

In copertina:Presentazione al tempio

Vittore Carpaccio, 1510, Venezia.

- Formarsi continuamente all’ascolto

della Parola, + Vincenzo Apicella p. 3

- Messaggio Urbi et Orbi di Papa Francesco

Natale 2013, S. Fioramonti p. 4

- Il primo Messaggio di Papa Francesco

per la Giornata Mondiale della Pace (...),

S. Fioramonti p. 5

- Gli auguri del Papa per il 25°di

consacrazione episcopale di S.E. mons.

A. M. Erba, vescovo emerito p. 7

- Cultura dei “diritti” o del cedimento?Pier Giorgio Liverani p. 8

- Parola - chiave: accoglienza,Sara Gilotta p.10

- Simone di Cirene e la MisericordiaClaudio Capretti p. 9

- Per una partecipazione piena, attiva e consapevole / 5, don A. Pacchiarotti p.11

- La celebrazione dei Battesimi in Quaresima,don Andrea Pacchiarotti p.13

- La Carità nella storia della chiesa / 4,don Antonio Galati p. 12

- Il Programma Europeo di Aiuti alimentari agli indigenti (...), Paola Cascioli p. 14

- Itinerario di formazione per i Volontari 2013-2014,equipe Caritas diocesana p. 15

- Il giardino fiorisce ... quando si profila un ad-Dio,Gaetano Sabetta p.16

- Credo nello Spirito santo / 3,

don Dario Vitali p.17

- La preghiera del cristiano è sostegno per i

sacerdoti, mons. Franco Risi p. 18

- La madrina col cappellino,

don Gaetano Zaralli p. 19

- Amiamo la nostra Vocazione,Suore Apostoline Velletri p. 20

- Pastorale Giovanile: Fai centro con l’Amore,equipe diocesana PG p. 21

- Il Repertorio nazionale di canti per la liturgia: un dono prezioso, ignorato e dimenticato,

mons. Franco Fagiolo p. 22

- La preparazione al Matrimonio cristiano,p. Vincenzo Molinaro p. 23

- Visita Pastorale alla Parrocchia S. Paolo ap.,Gregory Specchi p. 24

- Persone nuove in Cristo Gesù (...),Rossana Favale p. 28

- Colleferro: Strade di Pace in cammino seguendo la stella, V. Valente p. 29

- Le feste del mese di Febbraio, S. Calì p. 30 - Dalla Comunità di Segni, S. Iarussi p. 31- Nuovi Orizzonti compie 20 anni,

Natalina Zanatta p. 32

- La Kalenda ed Augusto, C.O. Gravier p. 34- Pio XI e le leggi razziali, C. Capretti p. 36- Fede popolare a Valmontone /2 ,

S. Fioramonti p. 38- La Misa a Buenos Aires, M. Della Vecchia p. 39 - Genitori 1 e 2, Antonio Venditti p. 40- Due eventi incentrati sulla Sacra Sindone e sul pittore veliterno A. Mariani (...),

Edoardo Baietti p. 42

p. 43

- Caravaggio, Il Sacrificio di Isacco,don M. Nemesi p. 44

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33FebbraioFebbraio20142014

� Vincenzo Apicella, vescovo

“E’ troppo poco che tu sia mio servo per restaurare

le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele.

Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza

fino all’estremità della terra” (Is.49,6).

CCosì aveva annunciato il profeta Isaia e, quando Maria e Giuseppe

portano il Bambino al Tempio per l’incontro col suo popo-

lo, il vecchio Simeone vede già adempiuta la promessa ed

esclama: “i miei occhi hanno visto la tua salvezza,preparata da te

davanti a tutti i popoli, luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo

popolo Israele” (Lc.2,30-32). Ma come può brillare questa luce per

ogni uomo e come può la salvezza giungere a tutti i popoli fino all’e-

stremità della terra, se non c’è qualcuno che annunci questa BuonaNotizia e sia capace di testimoniare la gioia che essa arreca?

Evangelii Gaudium - La Gioia dell’Evangelo, sono esattamente le

prime parole dell’Esortazione Apostolica che Papa Francesco ci ha

rivolto in occasione della chiusura dell’Anno della Fede ed in segui-

to al Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2012.

Il documento ha proprio lo stile caldo e familiare dell’esortazione

e dell’incoraggiamento e comunica in ogni pagina la passione e l’an-

sia di chi, dopo aver incontrato il Risorto, si preoccupa solo di cor-

rere a condividere con tutti i fratelli la scoperta che ha trasformato

la sua vita, come avvenne per i discepoli di Emmaus. Ma vi pos-

siamo trovare anche una lettura sapienziale e profonda

della nostra situazione di cristiani nel mondo di oggi

e le linee programmatiche su cui il Vescovo di Roma

intende orientare il suo ministero e la vita di tutta la

Chiesa.

In estrema sintesi, si può dire che il Papa propone

ad ogni Chiesa l’esigenza di una conversione pro-

fonda, nella consapevolezza antica che essa ha sem-

pre bisogno di essere “riformata”, per restare fede-

le alla sua vocazione ed essere capace di uscire

dalle sue sicurezze terrene, per andare incontro

a quanti ancora attendono di fare esperienza

della misericordia di Dio, diventando in ogni

suo aspetto missionaria.

“Più della paura di sbagliare spero che

ci muova la paura di rinchiuderci nel-

le strutture che ci danno una falsa

protezione, nelle norme che ci tra-

sformano in giudici implacabili, nel-

le abitudini in cui ci sentiamo tran-

quilli, mentre fuori c’è una moltitu-

dine affamata e Gesù ci ripete senza

sosta: voi stessi date loro da mangia-re (Mc.6,37)” (EG.49).

Di fronte alle sfide del mondo attuale, fon-

dato su di una economia dell’esclusione,

sull’idolatria del denaro, su profonde dis-

uguaglianze e ingiustizie, non possiamo

abbandonarci né ad un pessimismo ste-

rile, né ad una mondanità spirituale, che

“consiste nel cercare, al posto della glo-

ria del Signore, la gloria umana ed il benes-

sere personale” (EG.93), spesso camuf-

fati “sotto drappeggi spirituali o pasto-

rali” (EG.97). Il cuore di ogni evangelizzazione

rimane sempre una grande familiarità per-

sonale con la Parola di Dio: ognuno “deve essere disposto a lasciar-

si commuovere dalla Parola e farla diventare carne nella sua esi-

stenza concreta…deve accettare di essere ferito per primo da quel-

la Parola che ferirà gli altri, perché è una Parola viva ed efficace,

che come una spada penetra fino al punto di divisione dell’animae dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i senti-menti e i pensieri del cuore (Eb.4,12). (EG.150).

Questo vale in primo luogo per chi ha il compito di predicare e tene-

re l’omelia nell’assemblea liturgica, ma anche per ogni battezzato,

che dal Sacramento ricevuto riceve il mandato di essere a sua vol-

ta evangelizzatore, chiamato all’ascolto del Signore e, insieme, dei

fratelli. “La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto

bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola.

La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evange-

lizzare. E’ indispensabile che la Parola di Dio diventi sempre più il

cuore di ogni attività ecclesiale…Lo studio della Sacra Scrittura deve

essere una porta aperta a tutti i credenti. E’ fondamentale che la Parola

rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per tra-

smettere la fede…Questo esige che le diocesi, le parrocchie e tut-

te le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perse-

verante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante per-

sonale e comunitaria” (EG.175).

Riporto volentieri queste espressioni ripetute e forti, poiché è il con-

tinuo richiamo risuonato in questi anni e, specialmente, in ogni incon-

tro che ho avuto con le parrocchie ed i diversi grup-

pi diocesani in questi mesi dedicati alla Visita pasto-

rale. Il Papa continua con un denso e corposo capi-

tolo sulla dimensione sociale dell’evangelizzazio-

ne, poiché la proposta dell’evangelo non consiste

solo in una relazione personale con Dio o in pic-

coli gesti di “carità spicciola”: “una fede autentica,

che non è mai comoda e individualista, implica sem-

pre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di

trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore

dopo il nostro passaggio sulla terra…

Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sem-

pre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoc-

cupazione per lo sviluppo integrale dei più abban-

donati della società ” (EG.183.186).

Infine, dice Papa Francesco: “per mantenere vivo

l’ardore missionario, occorre una decisa fidu-

cia nello Spirito Santo…Egli può guarirci da

tutto ciò che ci debilita nell’impegno missio-

nario… Non c’è maggiore libertà che quella di

lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a cal-

colare e a controllare tutto, e permettere che Egli

ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui

desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni

epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere

misteriosamente fecondi!” (EG.280).

Nel nostro cammino ci accompagna e ci sostiene sem-

pre l’intercessione di Maria, Madre dell’evangeliz-

zazione, “la donna orante e lavoratrice a Nazareth,

ed è anche Nostra Signora della Premura, colei che

parte dal suo villaggio per aiutare gli altri senza

indugio. Questa dinamica di giustizia e di tene-

rezza, di contemplazione e di cammino verso gli

altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per

l’evangelizzazione” (EG.288).

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sintesi a cura di Stanislao Fioramonti

SSalutati i suoi ascoltatori (“Cari fratelli e sorelle di Roma edel mondo intero, buongiorno e buon Natale!”), papa Francescoha prima invitato tutti a unirsi al canto degli angeli che appar-

vero ai pastori di Betlemme nella notte in cui nacque Gesù. Perché,ha detto, “è un canto che unisce cielo e terra, rivolgendo al cielola lode e la gloria, e alla terra degli uomini l’augurio di pace”. Prima di tutto il Natale ci chiama a dare gloria a Dio, perché è buo-no, è fedele, è misericordioso; “e ognuno di noi possa dare gloriaa Dio soprattutto con una vita spesa per amore suo e dei fratelli”.Quanto alla Pace agli uomini, sappiamo che la vera pace è un impe-gno di tutti i giorni, che si porta avanti a partire dal dono di Dio,dalla sua grazia che ci ha dato in Gesù Cristo.“Guardando il Bambino nel presepe – ha proseguito - pensiamo aibambini che sono le vittime più fragili delle guerre, ma anche aglianziani, alle donne maltrattate, ai malati…”

E qui Francesco ha iniziato la litania delle aree del mondo scon-volte dalla guerra, iniziando dalla Siria: “Le guerre spezzano e feri-scono tante vite! Troppe ne ha spezzate negli ultimi tempi il con-flitto in Siria, fomentando odio e vendetta”. Invitando a pregare ilSignore “perché risparmi all’amato popolo siriano nuove sofferen-ze e le parti in conflitto mettano fine ad ogni violenza e garanti-scano l’accesso agli aiuti umanitari”, ha avvertito che “oggi si uni-scono a questa nostra implorazione per la pace in Siria anche cre-denti di diverse confessioni religiose”, ed ha invitato anche i noncredenti a desiderare la pace: “tutti uniti, o con la preghiera o conil desiderio. Ma tutti, per la pace”.La seconda terra bisognosa di pace è la Repubblica Centroafricana,“spesso dimenticata dagli uomini – ha aggiunto Francesco - ma nondal Signore”, che vuole portare pace “anche in quella terra, dila-niata da una spirale di violenza e di miseria, dove tante personesono senza casa, acqua e cibo, senza il minimo per vivere”. La terza è il Sud-Sudan, “dove le tensioni attuali hanno già pro-vocato troppe vittime e minacciano la pacifica convivenza diquel giovane Stato”, e dove invece il cuore dei violenti deve esse-

re convertito perché depongano le armi e si intraprenda la via deldialogo. Il papa ricorda ancora la Nigeria, lacerata da continui attac-chi che non risparmiano gli innocenti e gli indifesi; e la Terra Santa,dove auspica che giungano a felice esito i negoziati di pace tra Israelianie Palestinesi. “Sana le piaghe dell’amato Iraq, colpito ancora dafrequenti attentati; proteggi quanti sono perseguitati a causa deltuo nome. Dona speranza e conforto ai profughi e ai rifugiati, specialmentenel Corno d’Africa e nell’est della Repubblica Democratica delCongo”. E ancora il desiderio che i migranti trovino accoglienzae aiuto, e che “tragedie come quelle di quest’anno, con i numero-si morti a Lampedusa, non accadano mai più!”.Ancora la preghiera al Bambino di Betlemme perché quanti sonocoinvolti nella tratta di esseri umani si rendano conto della gravi-tà di tale delitto contro l’umanità. E di guardare ai tanti bambini chevengono rapiti, feriti e uccisi nei conflitti armati, e a quanti vengo-no trasformati in soldati, derubati della loro infanzia. Di guardare a questo nostro pianeta, che spesso la cupidigia e l’a-

vidità degli uomini sfrutta in modo indiscriminato; e alle vittime dicalamità naturali, soprattutto il caro popolo filippino, gravemen-te colpito dal recente tifone.Il papa ha concluso: “Cari fratelli e sorelle, in questo mondo, in questa umanità oggi è nato il Salvatore, cheè Cristo Signore. Fermiamoci davanti al Bambino di Betlemme. Lasciamo che il nostro cuore si commuova: non abbiamo paura diquesto. Lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio; le carezzedi Dio ci danno pace e forza. Dio è pace: chiediamogli che ci aiu-ti a costruirla ogni giorno, nella nostra vita, nelle nostre famiglie,nelle nostre città e nazioni, nel mondo intero. Lasciamoci commuovere dalla bontà di Dio. In questo giorno illuminato dalla speranza evangelica che provie-ne dall’umile grotta di Betlemme, invoco il dono natalizio della gioiae della pace per tutti Gesù, nato per noi, conforti quanti sono pro-vati dalla malattia e dalla sofferenza; sostenga coloro che si dedi-cano al servizio dei fratelli più bisognosi. Buon Natale a tutti!”

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sintesi a cura di Stanislao Fioramonti*

1. Dopo aver augurato a tutti un’esistenza col-ma di gioia e di speranza, Francesco fa alcu-ne considerazioni preliminari. La prima: “Nel cuore di ogni uomo alberga il desi-derio di una vita piena, alla quale appartiene unanelito insopprimibile alla fraternità. L’uomo infat-ti è un essere relazionale e questo porta a vede-re e trattare ogni persona come un vero fratel-lo; senza di essa diventa impossibile la costru-zione di una società giusta, di una pace solidae duratura”.Seconda considerazione: “La fraternità sicomincia ad imparare in seno alla famiglia. Lafamiglia è la sorgente di ogni fraternità, e per-ciò è anche il fondamento e la via primaria del-la pace. Nei dinamismi della storia, purnella diversità delle etnie, delle socie-tà e delle culture, vediamo seminatacosì la vocazione a formare una comu-nità composta da fratelli che si accol-gono reciprocamente. Ma “tale voca-zione è spesso contrastata e smen-tita nei fatti, in un mondo caratteriz-zato da quella “globalizzazione del-l’indifferenza” che ci fa “abituare” allasofferenza dell’altro.In tante parti del mondo infatti si con-tinua ad assistere alla lesione dei dirit-ti umani fondamentali, specie quelli allavita e alla libertà di religione. Ne sono esempi “il traffico degli esse-ri umani, sulla cui vita e disperazio-ne speculano persone senza scrupoli;e le guerre, quelle fatte di scontri arma-ti e quelle “meno visibili, ma non menocrudeli, che si combattono in campoeconomico e finanziario con mezzi altret-tanto distruttivi di vite, di famiglie, diimprese”. Citando l’enciclica Caritas in veritatedi Benedetto XVI, papa Francesco aggiun-ge: “la globalizzazione ci rende vici-ni, ma non ci rende fratelli. Anzi, le mol-te situazioni di sperequazione, di pover-tà e di ingiustizia, segnalano non solouna profonda carenza di fraternità, maanche l’assenza di una cultura della solidarie-tà; e le nuove ideologie, caratterizzate da indi-vidualismo, egocentrismo e consumismo mate-rialistico, alimentano quella mentalità dello“scarto” che induce al disprezzo e all’abbandonodei più deboli, degli “inutili”. Inoltre - e qui Francesco richiama la sua enci-clica Lumen fidei - le etiche contemporanee sonoincapaci di produrre vincoli autentici di fraternità,poiché una fraternità priva del riferimento ad unPadre comune, quale suo fondamento ultimo,non riesce a sussistere.

2. «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9).Per comprendere meglio questa vocazione del-l’uomo alla fraternità, per riconoscere gli osta-coli alla sua realizzazione e individuare le vieper superarli, Francesco ricorre alla Sacra Scritturaricordando il primo tipo di fraternità, quello tra

Caino e Abele figli di Adamo ed Eva. Abele è pastore, Caino è contadino. La loro iden-tità profonda e la loro vocazione è quella di esse-re fratelli, pur nella diversità della loro attività ecultura, del loro modo di rapportarsi con Dio econ il creato. Ma Caino, non accettando la pre-dilezione di Dio per Abele, che gli offriva il megliodel suo gregge, uccide per invidia Abele; cosìrifiuta di riconoscersi fratello, di relazionarsi posi-tivamente con lui.I motivi profondi che hanno indotto Caino a misco-noscere il vincolo di fraternità, di reciprocità edi comunione con Abele – sottolinea Bergoglio- stanno nel suo rifiuto di opporsi al male, dis-prezzando il progetto di Dio; così egli frustra lasua originaria vocazione ad essere figlio di Dioe a vivere la fraternità.

Il racconto di Caino e Abele insegna che l’umanitàporta inscritta in sé una vocazione alla frater-nità, ma anche la possibilità drammatica del suotradimento. Lo testimonia l’egoismo quotidiano,che è alla base di tante guerre e tante ingiusti-zie.

3. «E voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8).Per rispondere alla domanda se gli uomini potran-no mai corrispondere pienamente all’anelito difraternità, impresso in loro da Dio Padre, a vin-cere l’indifferenza, l’egoismo e l’odio e ad accet-tare le legittime differenze dei fratelli, Francescosi rifà al Vangelo di Matteo e all’apostolo Paolo.Dice l’evangelista: poiché vi è un solo Padre,che è Dio, voi siete tutti fratelli. La radice della fraternità è contenuta nella pater-nità di Dio, nell’amore personale, puntuale e con-creto di Dio per ciascun uomo (cfr Mt 6,25-30),

che quando è accolto diventa il più formidabi-le agente di trasformazione dell’esistenza e deirapporti con l’altro, aprendo alla solidarietà e allacondivisione operosa. In particolare, prosegueil papa con san Paolo, la fraternità umana è rige-nerata in e da Gesù Cristo con la sua morte erisurrezione. Cristo diventa principio nuovo e definitivo di tut-ti noi, chiamati a riconoscerci in Lui come fra-telli perché figli dello stesso Padre. Nella morte in croce di Gesù c’è anche il supe-ramento della separazione tra popoli. Come silegge nella Lettera agli Efesini (cfr 2,14-16), GesùCristo è colui che in sé riconcilia tutti gli uomi-ni. Egli è la pace, poiché dei due popoli (il popo-lo dell’Alleanza e quello dei Gentili) ne ha fat-to uno solo, abbattendo il muro di separazione

che li divideva, ovvero l’inimicizia. Nella famiglia di Dio, dove tutti sonofigli di uno stesso Padre, non vi sono“vite di scarto”. Tutti godono di un’e-guale ed intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti sono sta-ti riscattati dal sangue di Cristo, mor-to in croce e risorto per ognuno. Perquesto non si può rimanere indifferentidavanti alla sorte dei fratelli.

4. La fraternità, fondamento e via per la pace.Ciò premesso, per far comprendereche la fraternità è fondamento e viaper la pace, Francesco ricorda leEncicliche sociali dei pontefici.Nella Populorum progressio di PaoloVI (1967), secondo la quale lo sviluppointegrale dei popoli è il nuovo nomedella pace, non solo i singoli, ma anchele Nazioni debbono lavorare assiemeper edificare l’avvenire comune del-l’umanità. Questo dovere riguarda in primo luo-go i più favoriti, che dovrebbero rispon-dere a tre tipi di obblighi: il dovere disolidarietà, che esige che le Nazioniricche aiutino quelle meno progredi-te; il dovere di giustizia sociale, cherichiede il ricomponimento in termini

più corretti delle relazioni difettose tra popoli for-ti e popoli deboli; il dovere di carità universale,che implica la promozione di un mondo più uma-no per tutti, senza che il progresso degli uni costi-tuisca un ostacolo allo sviluppo degli altri.Nella Sollicitudo rei socialis di Giovanni PaoloII (1987) la pace è opus solidaritatis, ed è unbene indivisibile. O è bene di tutti o non loè di nessuno. Essa può essere realmente con-quistata e fruita, come miglior qualità della vitae come sviluppo più umano e sostenibile, solose si attiva da parte di tutti «una determinazio-ne ferma e perseverante di impegnarsi per ilbene comune». Ciò implica di non farsi guidare dalla «brama delprofitto» e dalla «sete del potere», di favorirel’altro invece di sfruttarlo, di “servirlo” invece diopprimerlo per il proprio tornaconto.

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66 FebbraioFebbraio20142014

5. Fraternità, premessa per sconfiggere lapovertà.Nella Caritas in veritate (2009) Benedetto XVIricorda che la mancanza di fraternità tra i popo-li è una causa importante della povertà. In mol-te società esiste una profonda povertà relazio-nale, dovuta alla carenza di solide relazioni fami-liari e comunitarie; vediamo diversi tipi di dis-agio, di emarginazione, di solitudine e varie for-me di dipendenza patologica. Una simile povertà può essere superata solo attra-verso la riscoperta e la valorizzazione di rap-porti fraterni in seno alle famiglie e alle comu-nità, attraverso la condivisione delle gioie e deidolori, delle difficoltà e dei successi. Inoltre, seda un lato si riduce della povertà assoluta, dal-l’altro cresce gravemente la povertà relativa,cioè le diseguaglianze tra persone e gruppi diuna certa regione o di un determinato contestostorico-culturale. Servono allora anche politiche efficaci che pro-muovano il principio della fraternità, permettendoalle persone di accedere ai “capitali”, ai servi-zi, alle risorse educative, sanitarie e tecnologi-che, affinché ciascuno abbia l’opportunità di rea-lizzare il suo progetto di vita e di esprimersi pie-namente come persona. E servono politiche che riducano una ecces-siva sperequazione del reddito. L’insegnamentodella Chiesa (con San Tommaso d’Aquino) sul-la cosiddetta ipoteca sociale è chiaro: se è leci-to, anzi necessario «che l’uomo abbia la pro-prietà dei beni» , quanto all’uso, li «possiede nonsolo come propri, ma anche come comuni, nelsenso che possono giovare non unicamente alui ma anche agli altri». Infine, un ulteriore modo di promuovere la fra-ternità (e di sconfiggere la povertà), fondamentaleper essere veramente cristiani, è quello di sce-gliere stili di vita sobri ed essenziali, di con-dividere le proprie ricchezze. È il caso delle per-sone consacrate che professano voto di pover-tà, ma anche di tante famiglie e cittadini respon-sabili, che credono fermamente che la relazio-ne fraterna con il prossimo è il bene più prezioso.

6. La riscoperta della fraternità nell’economia. Le gravi crisi finanziarie ed economiche con-temporanee - che trovano origine nel progres-sivo allontanamento dell’uomo da Dio e dal pros-simo, nella ricerca avida di beni materiali e neldepauperamento delle relazioni interpersonalie comunitarie - hanno spinto molti a ricercarela soddisfazione, la felicità e la sicurezza nel con-sumo e nel guadagno oltre ogni logica di unasana economia. Già nel 1979 Giovanni Paolo II, nella enciclicaRedemptor hominis, avvertiva “il pericolo che,mentre progredisce enormemente il dominio daparte dell’uomo sul mondo delle cose, di que-sto suo dominio egli perda i fili essenziali, e invari modi la sua umanità sia sottomessa a quelmondo, ed egli stesso divenga oggetto di mani-polazione, mediante tutta l’organizzazione del-la vita comunitaria, mediante il sistema di pro-duzione, mediante la pressione dei mezzi di comu-

nicazione sociale». Il ripetersi delle crisi economiche deve portarea ripensare i modelli di sviluppo economi-co e a cambiare stili di vita. La crisi odierna, pur con il suo grave retaggioper la vita delle persone, può essere anche un’oc-casione propizia per recuperare le virtù della pru-denza, della temperanza, della giustizia e del-la fortezza, onde superare i momenti difficili eriscoprire i vincoli fraterni, nella fiducia che l’uo-mo ha bisogno ed è capace di qualcosa in piùdella massimizzazione del proprio interesse indi-viduale.

7. La fraternità spegne la guerra.La guerra è una grave e profonda ferita infertaalla fraternità e molti conflitti si consumano nel-l’indifferenza generale. Francesco assicura a quan-ti vivono nei paesi in guerra la vicinanza di tut-ta la Chiesa, la cui missione - afferma - è diportare la carità di Cristo anche alle vittime iner-mi delle guerre dimenticate - attraverso la pre-ghiera per la pace, il servizio ai feriti, agli affa-mati, ai rifugiati, agli sfollati e a quanti vivononella paura - e di alzare la sua voce per far giun-gere ai responsabili il loro grido di dolore e farcessare violenze e soprusi.Il papa rivolge un forte appello a chi con le armisemina la morte, affinché riscopra nel nemicoda abbattere un fratello e gli vada incontro conil dialogo, il perdono e la riconciliazione. E’ chiaro, prosegue Francesco citando la suaLettera al Presidente Putin (4 settembre 2013)“che nella vita dei popoli i conflitti armati costi-tuiscono sempre la deliberata negazione di ognipossibile concordia internazionale, creando divi-sioni profonde e laceranti ferite che richiedonomolti anni per rimarginarsi. Le guerre costitui-scono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungerequelle grandi mete economiche e sociali che lacomunità internazionale si è data. Finché ci saràuna così grande quantità di armamenti in cir-colazione, aggiunge, si potranno sempre trovarenuovi pretesti per avviare le ostilità”. Per questo rinnova l’appello dei suoi Predecessoriin favore della non proliferazione delle armie del disarmo, a cominciare da quello nuclea-re e chimico. Ma gli accordi internazionali e leleggi nazionali, pur essendo necessari ed alta-mente auspicabili, non bastano a porre l’uma-nità al riparo dal rischio dei conflitti armati. Occorre una conversione dei cuori che per-metta a ciascuno di riconoscere nell’altro un fra-tello di cui prendersi cura, con il quale lavora-re insieme per costruire una vita piena per tut-ti. È questo lo spirito che anima molte delle ini-ziative della società civile, incluse le organizzazionireligiose, in favore della pace. E dunque papaBergoglio auspica “l’effettiva applicazione nel dirit-to internazionale del diritto alla pace, quale dirit-to umano fondamentale, pre-condizione neces-saria per l’esercizio di tutti gli altri diritti”.

8. La corruzione e il crimine organizzato avver-sano la fraternità . Le giuste ambizioni di una persona, soprattut-to se giovane, non vanno frustrate e offese, non

va rubata la speranza di poterle realizzare. Tuttavia l’ambizione non va confusa con laprevaricazione. Anche nelle dispute, aspettoineliminabile della vita, bisogna sempre ricor-darsi di essere fratelli e perciò educare ed edu-carsi a non considerare il prossimo come un nemi-co o come un avversario da eliminare.La fraternità genera pace sociale perché creaun equilibrio fra libertà e giustizia, fra respon-sabilità personale e solidarietà, fra bene dei sin-goli e bene comune. Per favorire tutto ciò unacomunità politica deve agire in modo trasparentee responsabile. I cittadini devono sentirsi rappresentati dai pote-ri pubblici nel rispetto della loro libertà. Invecespesso tra cittadino e istituzioni si incuneano inte-ressi di parte che deformano tale relazione, pro-piziando un clima perenne di conflitto. Un autentico spirito di fraternità vince l’egoismoindividuale che impedisce alle persone di vive-re in armonia tra di loro. Egoismo che si sviluppa socialmente sia nel-le molte forme di corruzione, sia nella forma-zione delle organizzazioni criminali che logo-rando legalità e giustizia colpiscono al cuore ladignità della persona. Esse offendono gravementeDio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il crea-to. Bergoglio pensa al dramma della droga; alladevastazione delle risorse naturali, all’inquina-mento, allo sfruttamento del lavoro; ai traffici ille-citi di denaro e alla speculazione finanziaria, chespesso assume caratteri predatori e nocivi perinteri sistemi economici e sociali, esponendo allapovertà milioni di persone; alla prostituzione chemiete vittime soprattutto tra i più giovani,rubando loro il futuro; all’abominio del trafficodi esseri umani, ai reati e agli abusi contro i mino-ri, alla schiavitù ancora in tante parti del mon-do, alla tragedia spesso inascoltata dei migran-ti sui quali si specula indegnamente nell’illega-lità; alle condizioni inumane di tante carceri. L’uomo però può sempre convertirsi e cambia-re vita, e questo può essere un messaggio difiducia anche per coloro che hanno commes-so crimini efferati. La Chiesa fa molto in tutti questi ambiti, il piùdelle volte nel silenzio; il papa esorta e incoraggiaa fare sempre di più, nella speranza che tali azio-ni messe in campo da tanti uomini e donne corag-giosi possano essere sempre più sostenute anchedai poteri civili.

9. La fraternità aiuta a custodire e a coltivare la natura.La famiglia umana ha ricevuto dal Creatore undono in comune: la natura. La visione cristianadella creazione consente gli interventi sulla natu-ra per trarne beneficio, a patto di agire respon-sabilmente, usando saggiamente le risorse a van-taggio di tutti, rispettando la bellezza, la finali-tà e l’utilità dei singoli esseri viventi e la loro fun-zione nell’ecosistema. Invece siamo spesso guidati dall’avidità, dallasuperbia del dominare, del possedere, del mani-polare, dello sfruttare; non custodiamo la natu-ra, non la rispettiamo, non la consideriamo comeun dono gratuito di cui avere cura e da mette-

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77FebbraioFebbraio20142014

Ci congratuliamo con il Venerabile Fratello AndreaMaria Erba, B., già Vescovo di Velletri-Segni,sia per il suo fecondo cammino spirituale cheper le iniziative pastorali realizzate per il cri-stiano profitto dei confratelli della Congregazionedei Chierici Regolari di San Paolo, Barnabiti,e dei sacerdoti e fedeli laici della comunità eccle-siale di Velletri-Segni mentre, nell’occasione for-nita dal suo giubileo episcopale d’argento (25°anniversario di episcopato, n. d. T.), gli espri-miamo tutto il meglio, gli auguriamo il premio aisuoi meriti e gli concediamo l’ApostolicaBenedizione, auspice della ricompensa divina,richiedendogli preghiere perché possiamo por-tare a termine con scrupolo l’incarico Petrino.

Dal Palazzo Vaticano, 18 dicembre 2013. Francesco

re a servizio dei fratelli, comprese le generazionifuture. Il settore agricolo è il settore produttivoprimario per nutrire l’umanità, ma la persistentevergogna della fame nel mondo rinnova la doman-da: in che modo usiamo le risorse della terra? Le società odierne devono riflettere sulle prio-rità a cui si destina la produzione. E’ un dovere cogente utilizzare le risorse dellaterra in modo che tutti siano liberi dalla fame.Le iniziative e le soluzioni possibili sono tante,non solo l’aumento della produzione. E’ risaputo che quella attuale è sufficiente, eppu-re milioni di persone soffrono e muoiono di famee ciò costituisce un vero scandalo. È necessario trovare i modi affinché tutti pos-sano beneficiare dei frutti della terra, non sol-tanto per evitare che si allarghi il divario tra chipiù ha e chi deve accontentarsi delle briciole,ma per un’esigenza di giustizia, equità e rispet-to verso ogni essere umano. La destinazione universale dei beni è uno deiprincipi-cardine della dottrina sociale dellaChiesa. Rispettare tale principio è la condizio-

ne essenziale per consentire un fattivo ed equoaccesso a quei beni essenziali e primari di cuiogni uomo ha bisogno e diritto.

10. Conclusione.La fraternità deve essere scoperta, amata, spe-rimentata, annunciata e testimoniata. Ma puòessere vissuta pienamente solo con l’amore dona-to da Dio. Il necessario realismo della politicae dell’economia non può ridursi ad un tecnici-smo privo di idealità, che ignora la dimensionetrascendente dell’uomo. Quando manca l’apertura a Dio, ogni attivitàumana diventa più povera e le persone sono ridot-te a oggetti da sfruttare. Solo se accettano que-sta apertura la politica e l’economia riusciran-no a strutturarsi sulla base di un autentico spi-rito di carità fraterna e potranno essere strumentoefficace di sviluppo umano integrale e di pace.Noi cristiani crediamo che nella Chiesa siamotutti reciprocamente necessari, perché adognuno di noi è stata data una grazia secondola misura del dono di Cristo, per l’utilità comu-ne (cfr Ef 4,7.25; 1 Cor 12,7).

Cristo è venuto nel mondo per portarci la gra-zia divina, cioè la possibilità di partecipare allasua vita. Ciò comporta tessere una relaziona-lità fraterna, improntata alla reciprocità, al per-dono, al dono totale di sé, secondo l’ampiezzae la profondità dell’amore di Dio.È questa la buona novella che richiede ad ognu-no un passo in più, un esercizio di ascolto del-la sofferenza e della speranza dell’altro, anchedel più lontano.Cristo abbraccia tutto l’uomo e vuole che nes-suno si perda. Lo fa senza costringere nessu-no ad aprirgli le porte del cuore e della mente.Ogni attività deve essere allora contrassegna-ta da un atteggiamento di servizio alle perso-ne, specialmente quelle più lontane e sconosciute.Il servizio è l’anima di quella fraternità che edi-fica la pace. Maria, la Madre di Gesù, ci aiuti acomprendere e a vivere tutti i giorni la fraterni-tà che sgorga dal cuore del suo Figlio, per por-tare pace ad ogni uomo su questa nostra ama-ta terra.

(n. d. r.: le evidenze in neretto del testo sono del Redattore.)

segue da pag. 6

Il 6 gennaio u.s. il vescovo emerito della Diocesi S. E.

Mons. Andrea Maria Erba ha ricordato il XXV anni-

versario della sua Consacrazione Episcopale, nel nume-

ro precedente di Ecclesia in C@mmino abbiamo dedi-

cato ampio spazio. Mentre il numero di gennaio era in

stampa è giunto a mons. Erba l’augurio autografo di

Papa Francesco che riportiamo qui e ne riportiamo anche

la fedele traduzione dal latino. (n. d. r.)

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88 FebbraioFebbraio20142014

Pier Giorgio Liverani

QQuanto dista l’Uruguaydall’Italia? All’ingrossododicimila chilometri

in linea d’aria. E che influen-za può avere sulla nostra poli-tica e la nostra cultura?Il rovescio, se si potessedefinire, di dodicimila. Eppureè bastato che il nuovo Presidentedi quella Repubblica decidessedi liberalizzare la cannabis (lamarijuana o l’erba), che in Italiaè cominciata una campagnaper la sua liberalizzazione. Questa droga è considerata daquasi tutti “leggera”, cioè qua-si innocua, anzi dotata di pote-ri terapeutici o analgesici. In ogni caso un’utilizzazionesanitaria non ne giustificherebbel’uso personale, ma a Torino,tanto per cominciare, inConsiglio comunale la Sel(Sinistra e libertà) ha già pre-sentato una mozione per il suolibero «uso medico e ricreativo». Bisognerebbespiegare a questi signori che la cannabis nonè più l’erba di una volta: con un accurato lavo-ro botanico d’incroci e di OGM, oggi anche laquasi innocente marijuana è ormai una drogaassai pericolosa, della quale, infatti, si occupanole mafie della cocaina e simili. Ma vedrete cheprima o poi finiremo alla richiesta “popolare” dilibera erba Non dobbiamo, però, occuparci didroghe.A Palermo il Tribunale dei minori ha affidato auna coppia di persone omosessuali un ragaz-zo di 17 anni che viveva in una casa-famiglia.È il primo caso in Sicilia, ma già il secondo inItalia dopo la decisione della Cassazione (gen-naio dell’anno scorso) che «un minorenne puòcrescere in modo equilibrato anche in una fami-glia gay»: un chiavistello giuridico per aprire leporte al “diritto” delle coppie omosessuali all’a-dozione. Ormai, invece di resistere alla corru-zione dei costumi e della cultura, certi tribuna-li l’accompagnano con sentenze in ogni mate-ria: sul “diritto di morte” (Eluana e altri), sullamedicina sperimentale (vedi “Stamina”), sul “dan-no” provocato da un aborto mancato eccetera.Invece di attenersi ai codici e alle leggi, si rifan-no al “principio di autodeterminazione” e pro-ducono “diritti” nuovi. Anche il Ministero degli Esteri ha “aperto” unaporta ai suoi diplomatici e funzionari omoses-suali. La loro associazione (“GLobe-Mae”: le pri-

me consonanti maiuscole significano Gay e Lesbiche,e la seconda sigla Ministero Affari Esteri) denun-cia discriminazioni perché i passaporti non indi-cano il loro “orientamento” e all’estero causa-no difficoltà alle coppie.Il ministro, Emma Bonino, ovviamente hasubito ceduto alla richiesta di aiuto e così un’al-tra porta è stata diplomaticamente aperta allalegalizzazione di tutte le coppie “omo”. Semprein Italia, il Consiglio comunale di Roma ha giàdato un primo voto per l’istituzione del Registrodelle “Unioni civili”. E, sempre a Roma, dopo ilcaso del liceo Terenzio Mamiani (ahimé, quel-lo della mia gioventù), l’Ottavo Municipio(Ostiense, Garbatella, San Paolo) ha invitato tut-te le scuole del suo territorio a trasformare suidocumenti il padre e la madre degli studenti ingenitori alfanumerici: “Genitore 1 e Genitore 2”,una dicitura che rende la coppia una sempliceformula burocratica e ideologica socchiudendoun’altra porta al matrimonio omosessuale.Questo elenco di casi non è fine a se stesso.Dovrebbe essere preceduto da un altro di coseormai scontate: aborto, divorzio, fecondazioneartificiale, eutanasia (già praticata per senten-ze di tribunali) e seguito da quello delle coseprobabili: matrimoni omosessuali, riapertura del-le “case chiuse”, riconoscimento della prostituzionecome “lavoro sessuale” eccetera.Dopo di quella «dello scarto», spesso ricorda-ta da papa Francesco, si sta consolidando la

“cultura del cedimento”, valea dire della debolezzache le forze politiche, leIstituzioni dello Stato e quel-le locali dimostrano versoil moltiplicarsi dei deside-ri e delle voglie di quelleparti di opinione pubblicaalle quali ormai basta usa-re il nome di “diritto civile”per mettere in moto ilmeccanismo del cedi-mento a ogni richiestaideologica, specialmente seha già avuto accoglienzain Europa.Una sorta di diffusa xeno-filia rende appetitoso,anche giuridicamente, ai lai-cisti tutto ciò che viene dal-l’estero. Se si dovesse epotesse fare un bilancio ditipo import-export, ci si tro-verebbe davanti a nume-ri assai alti di import e bas-sissimi di export. Un bilancio che in qualche

modo darebbe la misura dell’attuale diffuso deca-dimento del senso morale. La serie (che si vaallungando) dei “diritti” rivendicati in Italia dalSessantotto in poi ha radici non nell’umanesi-mo ma nelle ideologie. Uccidere un figlio dopoaverlo fatto e invece di farlo nascere?Permettere la confusio seminis ac sanguinis nel-la fecondazione artificiale o nell’affitto dell’utero,che sono speci di adulterio con l’altro coniugeconsenziente? Uccidere un vecchio o un mala-to quando non se ne può più o si ha fretta del-l’eredità? Sposarsi tra maschi o tra femmine innome di un “orientamento” sessuale? Rinunciareai nomi divini di padre e di madre per una for-mula alfanumerica? Tutto ciò e molto altro appartengono non all’“uman-ità”, ma ai falsi princípi di un regime che si chia-ma democrazia, ma ne cambia i contenuti: l’au-todeterminazione e un’uguaglianza che non tieneconto della diversità. In base soltanto aidesideri e alle voglie queste assurdità diventano“diritti” (dovremmo chiamarli “distorti”): basta urlar-li per qualche tempo nelle strade o sui giornaliper trasformarli in necessità, conquiste civili, urgen-ze, priorità. Tanti anni fa uno slogan di Mussolinidiceva «Noi tireremo diritto». È soltanto un’assonanza e non c’entra nientecon i diritti civili, ma oggi potremmo correggerlo:i diritti te li tirano addosso…

Nell’immagine del titolo: opera dell’artista Fabien.

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99FebbraioFebbraio20142014

Claudio Capretti

AAsciugo la fronte dalsudore dopo una mat-tinata di duro di lavoro.

Tra non molto il sole sorgeràalto, è tempo di lasciare i cam-pi e di fare ritorno a casa, dal-la mia famiglia. Mi avvicino ad una delle por-te di Gerusalemme e da lon-tano scorgo le figure dei mieifigli, Alessandro e Rufo. Li guardo con orgoglio nasco-sto poiché sono la mia ragio-ne di vita. Il più grande già ini-zia a sentirsi un piccolo uomo;il tempo in cui lo prendevo permano e si lasciava condurre dame si sta allontanando. Li rag-giungo e insieme possiamo rien-trare in città. Un frastuono divoci ci raggiunge, il tumulto diun corteo rabbioso sembra col-pirci in pieno. Non sono un cre-dente, almeno non nel Dio diquesto popolo, ma come si puòessere figli di Mosè, e profe-rire parole così dure?. Catturati dalla folla, diveniamoforzati spettatori di ciò che cisi pone dinnanzi. Un Uomo, pri-vo di ogni bellezza e di ogni digni-tà, è schiacciato sotto il legno di una pesantecroce. Oltraggiato, beffeggiato da una folla chesembra aver perso ogni parvenza umana, checon cattiva ostinazione si accanisce contro diLui. “A morte il Nazareno”, è il grido che sentoripetere con insistenza e non con senso di giu-stizia, ma con palese cattiveria.D’istinto copro gli occhi di entrambi i figli, nascon-do a loro ciò che non posso nascondere a mestesso: il corpo martoriato di questo condannatoa morte. Vorrei chiudere gli occhi voltarmi daun’altra parte, ma non riesco e gli occhi conti-nuano a posarsi su Colui che chiamano il Nazareno.Cosa avrai fatto di così malvagio per meritaretutto questo? Di quali crimini ti sarai caricato?Ti vedo cadere, ed invece di risollevarti i tuoiaguzzini incitati da quella parte di folla che sem-bra essersi incamminata verso la disumanità,si accaniscono ancora di più su di Te. Si fermano, forse avranno intuito che non arri-verà mai sul luogo dove verrà crocifisso. Oraparlottano fra di loro, e uno di loro si volge ver-so di me, indicandomi con la frusta. Vedo avan-zare verso di me un aguzzino e senza dire unaparola, mi strappa dai miei figli e mi conducedinnanzi al Nazareno. Capisco subito: vogliono che lo aiuti a portarela croce. Tento un’ inutile resistenza, guardo imiei figli spaventati, non so cosa fare. Poi unadonna si pone dietro di loro, capisco che si pren-derà cura di Alessandro e Rufo. Mi volto verso di Te, Nazareno, ti guardo comea volerti dire che io non c’entro niente con la

tua esecuzione, neanche ti conosco, sono soloun bracciante e non appartengo al tuo popolo,sono infatti nativo di Cirene. Perché mai pro-prio oggi, in questo preciso momento, lenostre strade si sono incrociate? E’ il tuo respi-ro ansimante, il tuo sguardo colmo di ogni uma-na sofferenza è il tuo volto coperto di sangue,la tua testa coronata di pungenti spine a rispon-dermi, a chiedermi di aiutarti.La compassione che ora nasce in me verso diTe, si impadronisce del mio cuore e sento allon-tanarsi da me ogni forma di resistenza. Ti cin-go i fianchi, appoggio il tuo braccio sulla miaspalla e ti aiuto a rialzarti. Poi, lascio che i mal-vagi aguzzini carichino su di me la tua croce,divenuta ora anche la mia. Una croce intrisa deltuo sangue che si riversa sulla mia tunica, l’at-traversa, fino ad inumidire la mia spalla.Ti appoggi ora un po’ a me, insieme riprendia-mo il cammino. “A morte il bestemmiatore”, urlaqualcuno ai lati della strada. Altri ancora con mal-vagità gli fanno eco: “Diceva di essere il Messia,il Figlio di Dio, ma guardatelo, ..” Ubriachi dal-l’odio, lanciano parole più dure dei sassi, e Tutaci, sembra quasi Tu voglia farti carico di que-ste ingiustizie. Guardi coloro che ti oltraggianocon occhi che sembrano traboccare dolore emisericordia. Forse sai che quell’odio che tra-bocca dai loro cuori, dopo aver divorato Te, divo-rerà ognuno di loro. Chi sei Nazareno? Qual è il tuo nome? Perchénon reagisci, fai qualcosa, dimmi qualcosa. Sembraquasi che Tu abbia letto nei miei pensieri, i nostri

sguardi si incrociano di nuovo,un dolore attraversa il mio cuo-re, invisibilmente lo trapassa.Nasce in me la convinzione chenon puoi meritare tutto questo,se lo subisci così senza ribellartideve esserci qualcos’altro chesfugge agli occhi di tutti.Non ho più orrore del tuo aspet-to martoriato, ed ho la sensazioneche su di Te si sia riversato tut-to il male del mondo come seTu ne fossi l’unico responsabi-le. Ma forse non lo sei, forse staipagando per conto di qualcunaltro. Vedo ai bordi della stradai miei figli, il più piccolo piange,vorrebbe venire da me, spero chela donna che lo accompagna nonglielo permetta. Avanzo faticosamente, e cado-no gocce del tuo sangue sullepietre, e sembra che queste urli-no, sembra che siano più tene-re dei cuori dei tuoi aguzzini. Alcunedonne piangono al tuo passaggio,una di loro si avvicina a Te, asciu-ga il tuo Volto, vorrebbe alleviareun poco il tuo dolore, ma la sol-dataglia, aizzata dalla folla urla-te contro questo gesto di cari-tà inveisce di nuovo contro di Teed ordina che il corteo riprenda

il suo cammino. Stiamo per attraversare una del-le porte di Gerusalemme, ti vedo cadere di nuo-vo in mezzo al fango e nessuno è presente perrialzarti, gli sgherri si accaniscono con maggiorecrudeltà, ti rialzi di nuovo e il mio cuore vienedi nuovo afferrato da una nuova ed intensa com-passione, verso di Te. Eri per me uno scono-sciuto, eri l’ultima persona che oggi avrei volu-to incontrare, eppure, condividere questa cro-ce con Te, sta facendo nascere in me qualco-sa di nuovo. Da oggi qualcosa cambierà e peraltre vie condurrò la mia esistenza. Prima eri solo il Nazareno, ora, c’è qualcosa inTe che mi porta a chiamarti Signore. “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me,se così si fa con il legno verde, con il sec-co che avverrà”? Sono le prime parole che tisento dire e le rivolgi a queste donne che pian-gono per Te. Non sono parole di rabbia per ituoi aguzzini, non le spingi a compatirti anco-ra di più, ma dalle tue labbra escono solo paro-le di misericordioso monito.Il triste corteo si arresta, siamo giunti al mon-te Golgota, poggio la croce a terra, ti guardo ecerco di avvicinarmi a Te. Vorrei alleviare un poco le tue sofferenze, mai carnefici me lo impediscono, percuotono fero-cemente anche me e mi allontanano da Te. Forse è il prezzo per averti incontrato, per esser-mi lasciato conquistare da Te, per aver condi-viso con Te un po’ della tua sofferenza. Forse, chi mi ha costretto a portare la croce conTe, sperava che io mi accanissi su di Te, che

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1010 FebbraioFebbraio20142014

mi unissi alla loro malvagità. Ma tutto ciò nonè accaduto. Veramente basso è il prezzo chesto pagando per averti seguito, per aver con-segnato la mia anima a Te, Parola che dinnanzialla crudeltà, all’ingiustizia, tace. Mi guardi ancora, forse l’ultima volta, forse pergratitudine, forse perché sai che dalla mia ani-ma si è alzata forte la voce dell’appartenenzaa Te, Misericordia che tace. E piango, mio Signore per la tua immane sof-ferenza, piango perché comprendo che su di Te

si è riversato il peccato di ogni uomo, compre-so il mio. Mi raggiungono i miei figli, con lo sguar-do ringrazio la donna che ha avuto cura di loro,li sento abbandonarsi ad un pianto liberatorio.Anche il maggiore si stringe forte a me. Dovrei andar via, ma non posso, mi fermo insie-me a quella folla che non ti oltraggia, ma mutaspettatrice si raccoglie per guardare un Giusto,che senza ribellarsi, viene inchiodato alla cro-ce. Non ho mai pregato Signore, ma in questomomento non posso reprimere questa preghiera

che esce da un cuore toccato da Te, dal tuo amo-re. Per questo mi inginocchio e ti dico:“Ti adoro o croce santa che fosti ornata delcorpo sacratissimo del mio Signore, coperta

e tinta del suo preziosissimo sangue. Ti adoro o mio Dio, posto in croce per me. Ti adoro o santa croce per amore di Colui

che è il mio Signore”.

Nell’immagine del titolo: Gesù aiutato dal Cireneoa portare la croce, BOSCH, Hieronymus 1515, Madrid

Sara Gilotta

DD i Papa Francesco, delle sue parole, anzi dei suoi insegnamenti,le cronache sono assai ricche e uno dei concetti fondamen-tali da lui già più volte ripetuto è quello che riguarda l’ acco-

glienza come dovere fondamentale di ogni cristiano. In verità gran par-te degli uomini si può considerare accogliente, nel senso che ad ogniessere umano è gradito essere accogliente soprattutto nei confronti dichi consideriamo amico o talora di chi consideriamo utile. Ma nell’inse-gnamento del Papa l’ accoglienza non può che avere come base le paro-le del Vangelo che da sempre ci ricorda di amare l’altro come noi stes-si. E qui credo che risiedano tutte le difficoltà di applicare appieno l’ac-coglienza, che, anzi, diviene qualcosa di molto difficile persino da com-prendere. Quale cristiano, infatti, è davvero in grado di considerare l’al-tro come fratello da accogliere? In teoria siamo tutti capaci, ma nella real-tà la situazione cambia nel profondo. Sia perché nel nostro mondo è prevalsa una visione immanente edutilitaristica del vivere, sia perché nell’uomo è insita naturalmente la for-za dell’egoismo, che lo induce facilmente ad atteggiamenti di chiusuraverso l’ altro spesso avvertito addirittura come ostacolo al proprio benes-sere. Eppure l’insegnamento di Gesù appare chiarissimo, a patto peròche ciascuno di noi sia disposto non solo a riconoscere, ma ad accet-tare ed ancor di più a praticare il principio secondo il quale “Dio è amo-re” o “Deus caritas est” come ha scritto Papa Benedetto. In questo Dio di amore dovremmo essere capaci , dunque, di trovarepace e gioia, condizioni dello spirito, da cui l’accoglienza non potrebbeche derivare spontaneamente e senza incontrare ostacoli. Gesù nelle sue parabole ha più volte insegnato che cosa intendesseper amore verso Dio e verso il prossimo, ma, secondo me, la parabolapiù bella e più chiara è quella del buon samaritano. Perché ben si puòriferire al mondo contemporaneo in cui la nozione stessa di prossimo

è andata dilatandosi, creando senza alcun dubbio nuove grandidifficoltà già nella definizione e comprensione di prossimo. Non solo, ma mi sembra che oggi sia molto più semplice asse-rire di nutrire fede e amore per Dio, che comprendere in quell’a-more l’altro o tutti gli altri. Non è un caso, infatti, che nella nostra società esiste ed è fortela realtà dell’emarginazione essendo un momento storico den-so di difficoltà ed in cui il numero dei poveri è considerevolmen-te aumentato. Sembra impossibile, ma la fame ha raggiunto lenostre terre , quasi annullando le differenze storiche tra Nord eSud, perché il lavoro manca o è talmente malpagato da indurremolti a ricorrere ai tanti enti benefici per poter avere un pasto cal-do. Così la miseria non è più un effetto del sottosviluppo nel mon-do e in Italia, ma è divenuta il volto stesso di una società dallaquale l’equità si è allontanata e lo sfruttamento è andato semprepiù aumentando , coinvolgendo così anche chi fino a non moltotempo fa era in grado di mantenere onestamente se stesso e lasua famiglia. A questa già triste condizione, non si può dimenti-care di aggiungere coloro che cercando di fuggire dalle guerre edalla fame, approdano, disperati sulle nostre coste. Di fronte a questa situazione molti sono coloro che liberamentee generosamente si prodigano in aiuti e sanno accogliere i dispe-

rati , che giungono nel nostro paese, come in tutta Europa. Tuttavia trop-pi sono ancora coloro che , aiutati da politiche ghettizzanti , che ven-gono applicate a sradicati di qualsiasi tipo, non solo non accettano quel-li che giudicano diversi e perciò pericolosi, ma mostrano nei loro con-fronti chiari atteggiamenti di rifiuto nei quali è chiaro che non può alber-gare né l’amore per Dio, né ovviamente quello per l’altro.Se così non fosse non potrebbero esistere o non sarebbero mai esisti-ti i cosiddetti centri di smistamento e di raccolta, vera barbarie del nostrotempo, per la quale ad ognuno dei clandestini viene assegnato un nume-ro di riconoscimento, che finisce per diventare l’unico bagaglio, per chispesso è privo anche di un euro per comprare un panino. D’ altra parte questi drammi sono generati innanzitutto da leggi inique,che hanno codificato la paura dell’invasore e la necessità del loro rifiu-to. Così Cristo e il suo Vangelo vengono messi da parte anche da chia parole si proclama cristiano. Tuttavia il Papa non si riferisce solo a tali forme, pur drammatiche, dirifiuto e di volontà di emarginazione, ma aggiunge che è necessario tor-nare a saper accogliere in famiglia, nel rapporto tra genitori e figli, oltreche tra coniugi,( anch’ esso non facile nel nostro tempo).E per dirlo è ricorso a tre semplici parole: scusa, grazie, permesso . Perché queste così semplici parole non vengono più usate ? E’ che essehanno perso nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità il loro verovalore, per diventare assai spesso formule vuote della cosiddetta buo-na educazione,prive, appunto, di vero significato. Forse chiedere scu-sa non è facile, perché chiedere scusa significa chiedere perdono di unerrore ed ancor di più significa riconciliazione e superamento delle incom-prensioni, che fanno soffrire , inducendoci a dimenticare anche in fami-glia il dono dell’accoglienza, che, appunto, è amore.

Nell’immagine del titolo: Il Buon samaritano, maestro ignoto di Netherlandis, 1537, Amsterdam.

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1111FebbraioFebbraio20142014

don Andrea Pacchiarotti

NNel rito di ordinazione del vescovo, al momen-to della consegna dell’anello, simbolo del-la sponsalità con la Chiesa locale, l’or-

dinante dice all’ordinando: “Ricevi l’anello, segnodi fedeltà, e nell’integrità della fede e nella purez-za della vita custodisci la santa Chiesa, sposadi Cristo“. In questa simbologia la chiesa Cattedrale appa-re come l’immagine concreta della Chiesa loca-le, la Sposa, con la quale il vescovo è unito davincoli d’amore e da un legame autentico di fedel-tà e di dono. La Cattedrale appare nella sua bel-lezza e verità quando il vescovo celebra in essacon i suoi presbiteri, i diaconi, i ministri e tutti ifedeli cristiani, come ricorda il famoso passo delConcilio Vaticano II:“Il vescovo deve essere con-siderato come il grande sacer-dote del suo gregge: da lui deri-va e dipende in certo modo lavita dei suoi fedeli in Cristo.Perciò tutti devono dare la piùgrande importanza alla vita litur-gica della diocesi che si svol-ge intorno al vescovo, prin-cipalmente nella chiesa cat-tedrale, convinti che c’è unaspeciale manifestazione del-la Chiesa nella partecipazio-ne piena e attiva di tutto il popo-lo santo di Dio alle medesimecelebrazioni liturgiche, soprat-tutto alla medesima eucaristia,alla medesima preghiera, almedesimo altare cui presiedeil vescovo circondato dai suoisacerdoti e ministri”(SC 41). I contenuti del testo conciliare espri-mono, a partire dal mistero celebrato, il volto del-la Chiesa reso manifesto da precise relazioni: ilpopolo santo di Dio raccolto intorno al suo pasto-re, il quale non è solo, ma circondato dal suo pre-sbiterio e dai ministri. In modo nuovo SC accen-tua il rapporto liturgia-Chiesa e richiama alcuni prin-cipi inscindibili: dopo la puntualizzazione che laChiesa è “sacramento di unità”, popolo santo radu-nato in assemblea (SC 6, 26, 33) e che sogget-to celebrante è l’assemblea liturgica presiedutadal vescovo, espressione della chiesa locale (SC41), si dichiara che la liturgia costituisce la Chiesa(SC 6), ne manifesta la natura (SC 2), ne attuala missione, fino a diventare fonte e culmine del-la sua attività (SC 10). La liturgia esprime in modoessenziale la natura della Chiesa come un “noi”,assemblea radunata per rendere grazie a Dio, nonsoltanto per le mani del celebrante, ma insiemecon lui, attraverso una partecipazione corale e vivache permetta la visibilità della Chiesa, Corpo diCristo. La celebrazione nella Chiesa Cattedrale,nella sua specificità e unicità, appare come il rifles-so dell’unica liturgia e come il simbolo dell’unitàdella Chiesa nella persona del suo Pastore. La Cattedrale è la sede del vescovo, che su quel-la Cattedra diviene il segno vivo di Cristo e del-la sua Chiesa diffusa su tutta la terra. Quando nel-la preghiera eucaristica si dice: “Ricordati della

tua Chiesa… rendila perfetta nell’amore, in unio-ne con il nostro Papa Francesco e il nostro vesco-vo Vincenzo”, non si intende solo pregare per loro,ma con loro, ed esprimere la volontà e la veritàdi una comunione che solo con loro ci fa Chiesa.L’autorità del vescovo deriva dal fatto di esseregarante della comunione con il Papa e con la Chiesauniversale, garante della viva Tradizione della Chiesa,garante del deposito della fede, custodito nel teso-ro delle Sacre Scritture e del Magistero ed espres-so nella sacra liturgia (G. Viviani).“Poiché nella sua Chiesa il vescovo non può pre-siedere personalmente sempre e ovunque l’inte-ro suo gregge, deve costituire necessariamentedei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto pre-minente le parrocchie organizzate localmente eposte sotto la guida di un pastore che fa le veci

del vescovo: esse infatti rappresentano in certomodo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra.Per questo motivo la vita liturgica della parrocchiae il suo legame con il vescovo devono essere col-tivati nell’animo e nell’azione dei fedeli e del cle-ro; e bisogna fare in modo che il senso della comu-nità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazionecomunitaria della messa domenicale” (SC 42). La parrocchia, dunque, rappresenta la Chiesa uni-versale, non solo nel senso che ne è un’imma-gine, quanto piuttosto nel senso che la rende pre-sente. Se la Diocesi, come Chiesa locale, rappresentapiù perfettamente la Chiesa universale, la parrocchia,nata dalla diocesi, rende anch’essa comprensi-bile e visibile a coloro che gli appartengono. Il Concilio ha rilevato così l’eminenza ecclesiologicadella parrocchia, perché la parrocchia può esse-re considerata il luogo ordinario in cui si entra afar parte del popolo di Dio e si vive la propria espe-rienza ecclesiale. Dall’assemblea liturgica si forma un’autentica comu-nità parrocchiale, poiché il compito specifico del-la parrocchia è di dare una visibilità alla comuni-tà dei credenti, di riunirli e di santificarli. La par-rocchia raggiunge la sua più espressiva dimen-sione ecclesiale quando si riunisce per la cele-brazione dell’Eucaristia (D. Scardilli).

Questa verità sulla Pasqua di Cristo, che attra-versa tutta la liturgia, ha bisogno di una parteci-pazione di tutti i soggetti battezzati, i quali, perritus et preces, ossia mediante i riti e le preghie-re, prendono parte e si riconoscono parte del miste-ro che celebrano. L’ “actuosa participatio“ è il nuovo paradigma par-tecipativo, nel quale alla medesima azione ritua-le, sia celebrata in Cattedrale sia nelle parrocchie,a diverso titolo prendono parte tutti i membri del-l’assemblea: chi presiede, i diversi ministri e il popo-

lo radunato (D. Vitali). La rilevanzadella Cattedrale va riproposta ese ben compresa e sperimentata,può diventare fattore di cresci-ta per l’intera comunità diocesanaattorno al suo Pastore.I fedeli cristiani sanno e hannoprovato che possono ritrovarsiin essa come a casa propria, nel-la consapevolezza che amare laCattedrale è amare la propriaChiesa locale.Nel nostro contesto socio-culturaleurge necessariamente riaffermarel’importanza e la validità dellaParrocchia. Nonostante le variecrisi, essa rimane ‘’tutt’oraun organismo di primaria impor-tanza nelle strutture visibili del-la chiesa” (Giovanni Paolo II). Siamoben consapevoli delle grandi ric-chezze presenti in esse. In questi anni di servizio ministeriale,

tra le mura della Nostra Cattedrale, posso ben affer-mare che: l’attività pastorale deve portare il fede-le e le comunità a riscoprire la ‘’culla’’ della fededi un popolo che si riconosce appartenente ad unadiocesi. Credo sia una scommessa vincente: unascommessa che ci farà sentire più Chiesa-comu-nità.Il cuore di questo rinnovamento sarà la riscopertadella Chiesa cattedrale, della sua importanza pri-maria nella nostra vita. La scoperta di appartenere ad una Chiesa e diessere tale – che la Lumen Gentium esprimeràcome Popolo di Dio, Corpo di Cristo – introducein quell’ecclesiologia di comunione che è il cuo-re del Vaticano II. Focolare attorno al quale ritro-varsi per spezzare il pane e fare memoria dellegrandi opere che Dio ha compiuto nella storia del-la Nostra Chiesa particolare, proiettandosi cosìal futuro della novità di Dio. La Cattedrale di san Clemente I, secondo l’esperienzadei due discepoli di Emmaus (Lc 24), che fannoritorno - anche se è notte e sono stanchi - al Cenacolodi Gerusalemme, come il segno evidente del valo-re prezioso e immancabile della comunità e delsenso profondo della comunione con Pietro, e congli Apostoli e i loro Successori, proprio a partiredal “luogo” e dall’esperienza della Cena,dell’Eucaristia, oggi come allora (G. Viviani).

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1212 FebbraioFebbraio20142014

don Antonio Galati

CContinuando a sondare il modo in cui i membri della Chiesa han-no esercitato la carità nell’arco della sua storia bimillenaria siincontra un fenomeno particolare: la liberazione dei cristiani

fatti prigionieri dai musulmani. Una liberazione che avveniva riscattandoil prigioniero con una somma di denaro o, anche, sacrificando la pro-pria libertà in favore di altri. Il contesto storico è quello dell’espansio-ne dell’Islam e delle crociate.

Contesto storico-geografico

Con la vita e la predicazione di Maometto, in Arabia fa il suo ingres-so nella storia l’Islam. Nato a La Mecca nel 570 e morto a Medina nel632, Maometto iniziò la sua predicazione in Arabia, portando gli ara-bi alla fede monoteista, che lui stesso ha conosciuto durante i suoiviaggi commerciali. Nel 622 vedette fallire i suoi piani di conquista edi fondazione di un regno teocratico a La Mecca e dovette fuggire aMedina: ebbe così inizio l’Egira, cioè l’inizio dell’era maomettana.Quest’aspirazione però fu coronata nel 630 con la conquista, questavolta riuscita, di La Mecca, appena due anni prima della sua morte1. Dal 632, i califfi, cioè i successori di Maometto, svilupparono in manie-ra decisa la teocrazia e spinsero i confini del nuovo impero ben al dilà della sola Arabia, conquistando gran parte del territorio dell’Impero

Romano d’Oriente e spingendosi anche all’interno dell’Europa occi-dentale2. Tutto questo, a cui si aggiunsero sia i maltrattamenti subiti dal X seco-lo in poi dai cristiani indigeni della Palestina che i pericoli a cui anda-vo incontro i pellegrini in Terra Santa, a causa della presenza di musul-mani più duri rispetto ai “primi” conquistatori, portarono ad un senti-mento di sdegno nell’Occidente e nell’Oriente ancora cristiano, con lavolontà di strappare al dominio islamico i territori della Palestina e delMedio Oriente, anche suscitato dallo stesso imperatore d’Oriente chechiese aiuto al papa Urbano II per respingere gli attacchi aCostantinopoli da parte dei musulmani3: iniziò così il periodo delle cro-ciate. Già Gregorio VII (1073-1085) nel 1074 levò un appello per unacrociata, anche se il suo interesse nella lotta per le investiture non glipermise di concretizzare l’impresa, cosa che invece riuscì al suo suc-cessore Urbano II (1088-1099)4. In tutto, oltre la prima, la storia conosce altre sette crociate.

I Mercedari e i Trinitari: la carità verso i cristiani oppressi e imprigionati dai musulmani

Senza voler dare un giudizio sul valore morale delle crociate e cer-cando di collocarle nel contesto storico-culturale dell’epoca, si può affer-mare che queste erano la risposta per la liberazione dei territori in pre-cedenza cristiani. Accanto alla liberazione delle terre, però, la Chiesasi preoccupò anche di liberare i cristiani stessi dalla prigionia maomettana. Ciò che muoveva questo interesse era il fatto che in quelle prigioni lepersone subivano maltrattamenti di vario tipo e, cosa ritenuta più gra-ve, erano costantemente tentati di apostatare dal cristianesimo, per-ché i carcerieri musulmani promettevano ai prigionieri la libertà se que-st’ultimi si convertivano all’islamismo5.In risposta a questo pericolo, mossi dall’amore verso i propri fratelli,perché oppressi e perché rischiavano di svendere la vita eterna perla libertà terrena, nacquero almeno due congregazioni con l’obiettivospecifico di riscattare la libertà dei cristiani imprigionati dai musulma-ni: l’Ordine della Santissima Trinità per la redenzione dei prigionieri,conosciuti come Trinitari, e l’Ordine della Beata Maria della Mercede,o Mercedari.Il primo, fondato da Juan de Mata (1160-1213) e Felicedi Valois (?-1212), si occupò della liberazione dei prigionieri cristianiad Algeri, Tunisi, Costantinopoli e in Egitto. La prima spedizione avven-ne nel 1199 e riportò nell’Europa cristiana 186 prigionieri. Inoltre fon-darono “case di misericordia” per accogliere coloro che, rientrati in patria,non avevano dove e di che vivere, oltre che ad ospedali per i malatie delle missioni nelle terre islamiche, per la conversione dei non cri-stiani e per restare vicino a chi non riuscirono a liberare. Il 19 settembre 1580 ad Algeri, per 500 scudi, riscattarono la libertàdi Miguel de Cervantes, l’autore di Don Chisciotte6.I mercedari, invece, sorsero per volontà di Pietro Nolasco (1180-1249)a Barcellona come un ordine militare, trasformandosi nel 1318 in unordine mendicante. Come i Trinitari, si impegnarono nella liberazionedei prigionieri cristiani in mano ai musulmani per scongiurare la loroconversione all’Islam. Accostando le prime costituzioni dei merceda-ri, e anche la tradizione dell’apparizione di Maria a Pietro Nolasco7 edel loro quarto voto8, appare chiaro come il loro impegno al riscattodei prigionieri cristiani è un atto di carità che ripropone in pieno l’attodi amore del sacrificio di Cristo nei confronti dell’umanità per la sualiberazione dalla prigionia della morte. Infatti per riscattare i prigionierisi doveva pagare una determinata quota - e ciò comportava per que-ste congregazioni religiose l’impegno a racimolare il denaro con gli ave-ri dei religiosi stessi e con l’elemosina -, ma se questa quota non sipoteva pagare erano gli stessi religiosi che si facevano incarcerare,a rischio della loro vita, al posto dei prigionieri da voler liberare, incar-nando pienamente le parole del Signore sul dare la vita per i propriamici9.

continua nella pag. accanto

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1313FebbraioFebbraio20142014

don Andrea Pacchiarotti

LLa Quaresima è un tempo di silenzio e ascolto, riflessione e pre-ghiera. È un tempo di grazia che la Chiesa ci dona, perché ascol-tando e custodendo la Parola di Dio possiamo convertirci impa-

rando a discernere la volontà di Dio, cercare di comprendere a qualeprogetto Egli ci chiama. Molti chiedono di celebrare il Battesimo in questo periodo dell’Anno litur-gico; effettivamente nessuna norma ne proibisce la celebrazione. Una tale proibizione sarebbe deltutto fuori luogo perché il Battesimoesprime quella salvezza che cipuò venire solo da Dio, dono gra-tuito e soprannaturale di quell’amoredivino che non ha né tempi, néorari. Tuttavia il Battesimo è ancheaggregazione alla Chiesa e inse-rimento nel suo cammino (cfr. RICA,Introduzione Generale, 4).L’anno liturgico è l’espressione diquesto cammino ecclesiale e ilcontesto entro il quale si svolgono«tutti gli itinerari catecumenali pro-pri delle diverse età della vita uma-na» (cfr. RICA, Presentazione CEI).«Il modo più ordinario per segui-re un itinerario di fede è di con-dividere il cammino della Chiesanell’anno liturgico... Assumere il dinamismo propriodell’anno liturgico significa vive-re in comunione con tutta la Chiesa»(CEI, L’iniziazione cristiana, Nota 3, 36). Ora il Battesimo, unitamenteagli altri due sacramenti dell’ini-ziazione (Confermazione e primapartecipazione all’Eucaristia),per il loro stretto e fondamenta-le rapporto con il mistero pasquale,trovano la loro più significativa col-locazione nella Veglia pasquale,come attesta l’antica tradizioneliturgica della Chiesa, oppure, sevi sono difficoltà, nel tempo pas-quale (cfr. RICA 55 e 58). Nel corso dell’anno, soprattuttoper quanto riguarda i bambini, peri quali la tradizione della Chiesa

non ama procrastinare troppo questo sacramento (cfr. CDC 867), le nor-me raccomandano che il Battesimo sia celebrato in domenica, Pasquasettimanale (cfr. RBB 9; CDC 856).La Quaresima è il tempo della preparazione che dispone tutti i fedeli,senza distinzione, «alla celebrazione del mistero pasquale, in cui i sacra-menti dell’iniziazione vengono inseriti» (RICA 21). «Solo per gravi neces-sità pastorali… è consentito di scegliere, oltre al periodo dell’iniziazio-ne (riti preparatori) che si svolge abitualmente in Quaresima, un altrotempo e particolarmente il tempo pasquale per celebrare i sacramenti

dell’iniziazione» (RICA 58). Da questo testo si deduceche, eccetto in caso grave,la Quaresima non è affattoil tempo opportuno per cele-brare il Battesimo se sivuole dare ad esso pienez-za di senso nel giusto con-testo ecclesiale. È su questa corretta inter-pretazione della norma chesi fondano le disposizioni dialcuni episcopati regionali edi singoli vescovi. Anche ilnostro vescovo Vincenzo hadato disposizione nella nostraDiocesi di non celebrare inQuaresima i battesimi. Siamo consapevoli che all’i-nizio questa “proibizione” fae farà fatica ad entrare nelvissuto, ma col passare deltempo, aiutati anche da unagiusta catechesi, tutti sapran-no accoglierla. La “proibizione”, se così, pos-siamo chiamarla, entra unpo’ alla volta nella coscien-za collettiva e raggiunge ilsuo obiettivo: che tutticomprendano il carattere spe-ciale di queste settimane nel-le quali attendiamo laPasqua per celebrare l’in-corporazione a Gesù Cristoe alla comunità.

Nell’immagine del titolo: il battistero della Parrocchia

S. Anna in Valmontone.

1 Cfr. K. BIHLMEYER – H. TUECHLE, Storia della Chiesa, vol. I, pag. 290ss.2 Ibid., pag. 292s. e cfr. anche K. BIHLMEYER – H. TUECHLE, Storia della Chiesa, vol. II, pag. 51.70.3 Cfr. K. BIHLMEYER – H. TUECHLE, Storia della Chiesa, vol. II, pag. 212s.4 Ibid.5 Cfr. J. M. LABOA, Storia della carità nella vita del cristianesimo, pag. 156.6 Ibid.7”Io sono Maria, che tu hai invocato. Ho visto le afflizioni dei miei figli nella cattività; iloro gemiti sono giunti alle mie orecchie; ho ascoltato le loro suppliche, sono discesadal Cielo per liberarli dai loro mali e ti ho scelto perché tu realizzi i miei desideri. Sarai sommamente gradito a me e a mio Figlio se fonderai un ordine religioso, cheda quel momento proteggerò sempre, i cui membri abbiano come scopo di liberare,anche a costo della propria libertà e del proprio sangue, i miei figli che gemono nel-la dura prigionia, correndo il grandissimo pericolo di dannarsi eternamente” (cfr. J. M.

LABOA, Storia della carità nella vita del cristianesimo, pag. 157).8 “Si fa quarto voto di rimanere in ostaggio nella terra dei mori, se fosse necessarioper liberare qualche cristiano prigioniero; quando si abbia timore che [questo cristia-no] possa rinnegare la fede, siamo obbligati sotto la pena di peccato mortale a libe-rarlo e a rimanere al suo posto, finché l’ordine non ci riscatti, ché è segno di grandeperfezione dare la vita per quella del prossimo” (cfr. J. M. LABOA, Storia della caritànella vita del cristianesimo, pag. 157).9 Cfr. Gv 15,13.

Nell’immagine del titolo: gruppo scultoreo che raffigura San Giovanni Matha, Felicedi Valois e Ivo, Praga Ponte Carlo. Qui colpisce la figura chiamata Turek na Moste,il turco sul ponte che sta di guardia insieme ad una cane ringhioso nella cella dovesono tenuti prigionieri tre cristiani. Il gruppo venne ordinato all’artista Brokoff peronorare i santi fondatori dei Trinitari, l’ordine incaricato di liberare i fedeli dai musul-mani. (n. d. r.)

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1414 FebbraioFebbraio20142014

Paola Cascioli*

IIl PEAD, Programma Europeo D’Aiuto agliindigenti, è nato nel 1987 nell’ambito del-la Politica Agricola Comune con l’obiettivo

di donare le scorte di prodotti agricoli in ecce-denza alle associazioni caritative che aiutanogli indigenti e garantisce la distribuzione di ciboai 18 milioni di poveri che vivono nell’UnioneEuropea.Attraverso il PEAD quest’anno sono state dis-tribuite gratuitamente agli stati membri oltre 100.000tonnellate di prodotti alimentari. In Italia il PEADè attuato da ormai 20 anni dall’ AGEA (Agenziaper le Erogazioni in Agricoltura), tramite la col-laborazione di sette Enti Caritativi formalmen-te riconosciuti ed iscritti al relativo Albo istitui-to presso l’AGEA: Associazione BancoAlimentare di Roma Onlus, Associazione SempreInsieme per la pace, Caritas italiana, Comunitàdi Sant’Egidio, Croce Rossa Italiana,Fondazione Banco Alimentare Onlus eFondazione Banco delle Opere di Carità.Questi sette Enti nel 2013 hanno distribuito inItalia prodotti alimentari ad oltre 15.000 StruttureCaritative territoriali che li hanno donati a cir-ca 4 milioni di persone in stato di bisogno, il70% dei quali italiani. La collaborazione tra AGEA

e Organizzazioni caritativeha permesso di costruire unarete di solidarietà che coin-volge migliaia di volontariche si occupano di soste-nere milioni di personebisognose. Anche la Diocesidi Velletri-Segni ha parte-cipato a questo program-ma tramite le Caritas par-rocchiali e gli altri Enti Caritativipresenti sul territorio, dis-tribuendo agli indigenti dagennaio a dicembre 2013,40 tonnellate circa digeneri alimentari (così sud-divisi: formaggio 2.140 kg;legumi 2.246 kg; latte11.232 lt; biscotti 900 kg;confetture 622 kg; pasta 7.500kg; fette biscottate 554kg; riso 7.560 kg; farina 1.980kg; zucchero 3.840; olio disemi girasole 1.920 lt.)Fin dalla sua nascita il pro-gramma era basato sulla redi-stribuzione della produ-zione eccedente dell’agri-coltura europea ma suc-cessivamente queste ecce-denze si sono sempre piùridotte, portando così laCommissione UE a finan-ziare direttamente l’acqui-sto di cibo per i poveri. Nel 2013 all’Italia è stato desti-nato un importo monetariototale di € 98.269.856, dicui € 92.272.165 destina-

ti all’acquisto sul mercato interno di alimenti e€ 5.997.761 al rimborso delle spese di trasportoe degli oneri di magazzinaggio ed amministra-tivi degli Enti Caritativi. Alcuni Paesi europei, sostenendo che il programmadovesse rientrare nell‘ambito delle politiche socia-li e dunque fosse di competenza dei singoli PaesiUE, hanno fatto blocco fin quando la Commissioneeuropea non ha proposto che nel bilancio 2014-2020 il programma alimentare dovesse esserecoperto non più con i fondi della politica agri-cola, ma con quelli di coesione, prevedendo cosìdi terminare il PEAD alla fine del 2013 con laconseguente cessazione, in Italia, della gestio-ne di risorse comunitarie o nazionali destinateagli aiuti agli indigenti da parte dell’AGEA. La fine di un programma di questa portata stagenerando profonda preoccupazione e una seriedi domande: come si potranno aiutare i poveriche rimarranno senza aiuti alimentari? Che rea-zione avrà la popolazione bisognosa di frontealla mancanza di aiuto? Che fine farà la rete diaiuto creatasi in questi anni? Le strutture caritative presenti sul territorio comepotranno sopperire a questa mancanza?Una parziale risposta a questi interrogativi arri-va dalla Commissione europea che, nella suaproposta del Quadro Finanziario 2014-2020, ha

deciso di destinare 2,5 miliardi di euro per la crea-zione di un nuovo strumento di lotta contro leforme estreme di povertà e di esclusione: il Fondosociale europeo (FSE). Tuttavia, la base giuridica del Fondo Sociale Europeoprevede che le attività sostenute siano attinentiall‘occupazione o alla mobilità dei cittadini piùsvantaggiati e non prevede aiuti materiali né dis-tribuzione di beni di prima necessità (alimenti,ecc.). Quindi, terminando il PEAD e permanendoil bisogno di offrire assistenza materiale agli indi-genti, è emersa la necessità di un nuovo stru-mento separato dal FSE. Dopo un lungo percorso di dibattiti e consulta-zioni, il 24 ottobre 2012 la Commissione euro-pea ha pubblicato la proposta di un Fondo diaiuti europei agli indigenti (FEAD) che noncoprirà soltanto le emergenze alimentari, ma anchequelle relative alla casa e all’educazione dell’infanzia,fornendo un’assistenza non economica ma conl’erogazione di prodotti alimentari e/o beni di con-sumo di base alle persone indigenti, con parti-colare attenzione ai senzatetto e ai bambini. Il12 giugno 2013 il Parlamento europeo ha appro-vato a larghissima maggioranza la relazione sulFEAD ed ogni Stato membro dovrà presenta-re alla Commissione europea un programma ope-rativo per il periodo compreso tra il 1° gennaio2014 e il 31 dicembre 2020. In Italia il Ministroper le Politiche Agricole Nunzia De Girolamo haannunciato che nella legge di stabilità sono sta-ti sbloccati 5 milioni di euro per la creazione diun nuovo fondo di aiuto agli indigenti (FondoNazionale di aiuti alimentari agli indigenti),con la promessa che ulteriori risorse arriverannonei prossimi mesi e che importanti sgravi fisca-li saranno applicati a quelle aziende, enti e isti-tuzioni che dimostrino di spendersi per chi habisogno. Gli Enti Caritativi presenti sul territorio italianoche in questi anni hanno beneficiato del PEADsono molto preoccupati sia per la fine del pro-gramma sia per le prospettive relative al nuo-vo fondo, per questi motivi si sono uniti per pro-muovere l’iniziativa “Insieme per l’Aiuto ali-mentare” al fine di sensibilizzare il Ministero delLavoro e delle Politiche Sociali che gestirà i nuo-vi fondi del FEAD. Gli Enti chiedono infatti non solo che il Ministerosi impegni a destinare gran parte di questi fon-di agli aiuti alimentari, come previsto dallo spi-rito del Fondo stesso, ma che coinvolga urgen-temente, in un auspicabile lavoro comune, i sog-getti che nel settore operano da altre 20 anniper la stesura dei programmi operativi.In particolare Caritas Italiana ha deciso di con-tinuare a monitorare gli sviluppi in merito a tut-te le questioni di politica economica in ambitonazionale ed europeo, con l’impegno a dare comu-nicazioni immediate in merito alle Caritas dio-cesane.Nel frattempo come Caritas Diocesana non cirimane che cercare soluzioni alternative: la dis-tribuzione di alimenti ai poveri (sia sotto formadi consegna di pacchi che di mense) spesso èla prima tappa per una reale inclusione socia-

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1515FebbraioFebbraio20142014

Caritas Diocesana

LLunedi 20 gennaio La Caritas e la Migrantes diRoma hanno presentato la nuova edizione dellaGuida “Immigrati a Roma e Provincia.

Luoghi di incontro e di preghiera”, che aiuta a prende-re conoscenza del panorama multireligioso del nostroterritorio. La GUIDA è anche un buon sussidio che accom-pagna ogni percorso di accoglienza e di inserimento. Presso la Sala Tiberiade del Seminario MaggioreRomano hanno dato il loro saluto i rev.di Feroci don Enricodella Caritas Romana e e Felicolo don Pierpaolo dell’Ufficiodiocesano romano Migrantes. Hanno illustrato i contenuti della guida ancora due rap-presentanti degli uffici diocesani ovvero Francesca DeMartino e Lidia Pittau mentre Gnavi don Marco ha rela-zionato sull’aspetto della multireligiosità presente in Roma.Presenti all’incontro vi erano i rappresentanti di altre fedireligiose: Mons. Siluan per l’Episcopato ortodossorumeno, don Iacovici della comunità cattolica romena di rito latino, ilDr. A. Redouane per il Centro Islamico Culturale, la pastora Silvia Rapisarda

della Chiesa Evangelia Battista e alcuni rappresentanti buddhisti del Tempiodi via dell’Omo.

le. A questo scopo sono state realizzate le col-lette alimentari di maggio 2012 ed ottobre 2013a Velletri e si ipotizza di attivare una rete conalcuni dei principali supermercati presenti nelterritorio diocesano per la raccolta e la successivadistribuzione di generi alimentari alle Caritas par-

rocchiali. Anche la creazione di unEmporio della Solidarietà

potrebbe rappresentare una alternativa concretae dignitosa all’attuale sistema di distribuzionedi viveri agli indigenti: la creazione, cioè, di unluogo dove poter trovare generi di primanecessità ad erogazione gratuita. I prodotti messi a disposizione potrebbero pro-venire da donazioni di aziende e da raccolte ali-mentari. Si vuole puntare su un lavoro in rete

tra le istituzioni, associazio-ni di volontariato e centri d’a-scolto in modo da renderei servizi rivolti agli utenti piùefficaci, evitando lo spre-co di risorse materiali edeconomiche, promuo-vendo così la collabora-zione e la solidarietà.Sarebbe necessario pre-disporre percorsi diffe-renziati per le famiglie,

affinché si attui una promozione piuttosto cheuna semplice assistenza; fare una distribuzio-ne attenta con un lavoro in rete, per evitare checi sia chi si approfitta e chi invece rimanga esclu-so; recuperare gli sprechi e razionalizzare le risor-se per dare un chiaro segnale di cambiamen-to di stili di vita. Ciò che si cerca di fare non sarebbe esaustivoper i bisogni del nostro territorio, ma potrebbeessere una testimonianza concreta affinché nonsia mai perso di vista il valore dell’accoglienza,della solidarietà e della gratuità.

*Caritas Diocesana

Fonti: Percorsi di Secondo Welfare; Dipartimento Politiche Europee Pres. Cons.dei Ministri.

Nell’immagine del titolo: La Carità,Bartolomeo Schedoni, 1611, Napoli.

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equipe Caritas diocesana

PPotremmo dire che sull’ascolto… neabbiamo sentite tante! O condivide-re le parole di Bruce Lee « La mag-

gior parte delle persone parla senza ascol-tare. Ben pochi ascoltano senza parlare. È assai raro trovare qualcuno che sappiaparlare e ascoltare», ma preferiamo fermarcialla speranza che «Ascoltare bene è qua-si rispondere»(Pierre Marivaux, 1734/35):ecco il senso di questo itinerario che muo-ve dalla capacità, dai rischi, dalle chancedi ascoltare noi stessi e gli altri, a quelli rela-tivi all’ambito sociale e delle sfide che ci cir-condano.Programma:

Giovedì 27 febbraio 2014

ore 17.30 - Artena

Parrocchia Santo Stefano, Piazza C.

Colombo 1 (salone parrocchiale).

L’ascolto: dal personale all’inter personale.

(Equipe Diocesana)

Giovedì 20 marzo 2014

ore 17.30 - Artena

Parrocchia Santo Stefano, Piazza C. Colombo

1 (salone parrocchiale).

L’ascolto della società che ci circonda.

(Roberto Latella - sociologo e formatore)

Domenica 6 aprile 2014

ore 9.30 - Centro S. Maria dell’Acero

Giornata comunitaria - Incontro annuale dei volon-

tari e degli operatori Caritas.

Martedì 13 maggio 2014

ore 21- Colleferro

Parrocchia San Bruno, Via dei Pioppi -

Incontro aperto a tutti

In ascolto delle domande della vita.

(don Luigi Verdi - Fraternità di Romena).

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1616 FebbraioFebbraio20142014

Gaetano Sabetta

TTibhirine, luogo solitario e pieno di vita, immerso nel verde dellaprovincia algerina del Batna, palcoscenico del martirio diChristian, Christophe, Luc, Paul, Michele, Bruno e Célestin. Sette

monaci trappisti vengono trucidati nel corso della guerra civile in Algeriadel 1996 perché scelgono la sequela di Cristo, perché decidono di resta-re con la loro gente pur sapendo dei rischi che correvano: questo è il“giardino” (Tibhirine in lingua berbera significa appunto “giardino”), ora-mai fiorito, diventato presenza fraterna, condivisione di vita con i musul-mani, nel silenzio, nella preghiera e nell’amicizia. Molte sono ancora lezone d’ombra circa i reali responsabili del massacro dei sette monacidel monastero di Tibhirine. Mentre la responsabilità dell’atto cruento venne addossata fin dall’inizioalle milizie terroriste del Gruppo islamico armato (Gia), oggi, recenti rive-lazioni non escludono possibili errori delle forze armate algerine. Della loro storia, magistralmente raccontata dal film “Des Hommes etdes diex” [in italiano: “Gli Uomini di Dio”], ci preme riportare un lungostralcio del testamento spirituale di Fra Christian, superiore del mona-stero, il cui titolo recita: “Quando si profila un ad-Dio”.“Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittimadel terrorismo che sembra coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivonoin Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia siricordassero che la mia vita era donata a Dio e questo paese. Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe esse-re estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: comepotrei essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente,lasciate nell’indifferenza dell’anonimato. La mia vita non ha più valore

di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l’innocen-

za dell’infanzia. Ho vissuto abba-stanza per sapermi complice

del male che sembra, ahi-mè, prevalere nel mon-

do, e anche di quel-lo che potrebbe

compirmi alla cie-ca. Venuto il

momento, vor-rei avere quel-

l’attimo dilucidità che

mi per-

mettesse di sollecitare il perdono di Dio e quellodei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso diperdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpi-to. Non potrei auspicare una tale morte. Mi sem-bra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fat-to che questo popolo che amo sia indistintamen-te accusato del mio assassinio. Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, for-se, chiameranno la “grazia del martirio”, il dover-la a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto sedice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’is-lam. So il disprezzo con il quale si è arrivati a cir-

condare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia. Ètroppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via reli-giosa con gli integralismi degli estremisti. L’Algeria e l’islam, per me, sonoun’altra cosa: sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza,[…], ritrovandovi così spesso il filo conduttore dell’evangelo imparato sul-le ginocchia di mia madre, la mia primissima chiesa, proprio in Algeriae, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani. Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi han-no rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: “Dica adesso quel chepensa!”. Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la miapiù lancinante curiosità. Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello delPadre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, total-mente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investitidel dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comu-nione e il rista-bilire la somi-glianza, gio-cando con ledifferenze. Di questa vitaperduta, total-mente mia, etotalmente loro,io rendo graziea Dio che sem-bra averla volu-ta tutta intera perquella gioia, attra-verso e non-ostante tutto. In questo graziein cui tutto è det-to, ormai, dellamia vita, includocertamente voi,amici di ieri e dioggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle miesorelle e a miei fratelli […]. E anche a te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel chefacevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio da te pre-visto. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piacea Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Inšā’Allāh.

I Padri cistercensi uccisi nella guerra civile in Algeria.

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1717FebbraioFebbraio20142014

don Dario Vitali*

UUna presentazione del terzo articolo delCredo sarebbe incompleta se non si pro-vasse a comprendere il silenzio sullo Spirito,

soprattutto nella Tradizione latina, che ha fatto par-lare di Lui come del Grande Sconosciuto. Si trat-ta di un silenzio che dura da un millennio, gros-somodo dal grande scisma d’Oriente, quando laChiesa greca e la Chiesa latina, nel 1054, si sco-municarono a vicenda.Uno dei motivi, come ho scritto sul numero scor-so di Ecclesia, era la questione del Filioque: loSpirito, che nella concezione monarchica dei gre-ci, procede unicamente dal Padre, per i latini pro-cedeva dal Padre e dal Figlio: aggiunta questache si diffuse soprattutto nei paesi del Nord-Europae che fu accolta a Roma solo intorno al Mille. Questo fatto, naturalmente, per sé solo non bastaa spiegare il silenzio sullo Spirito, che dipendepiuttosto da una diversa sensibilità: mentre la teo-logia greca, più speculativa, insiste maggiormentesulla divinizzazione dell’uomo, che rimandasoprattutto all’azione dello Spirito, quella latina,che si muove più a suo agio con le categorie giu-ridiche del diritto romano, preferisce il registro cri-stologico della redenzione. Questa diversa sensibilità si coglie (per fare unaltro esempio) anche nella dottrina dell’Eucaristia:ciò che trasforma il pane e il vino nel Corpo e Sanguedi Cristo per gli Orientali è lo Spirito inteso comeFuoco, per gli Occidentali le Parole di Cristo (perquesto il sacerdote, nella preghiera eucaristica,doveva pronunciare le parole della consacrazio-ne distintamente e in modocomprensibile). Eppure la liturgia latina cono-sceva preghiere allo Spiritodi rara bellezza: si pensi all’in-no Veni Creator, o allasequenza di Pentecoste,Veni Sancte Spiritus, conservateanche nella riforma del con-cilio Vaticano II.I due testi contengono espres-sioni altissime, come quelleche richiamano i titoli di«Paraclito, dono altissimo diDio, fonte viva, fuoco, amo-re, unzione spirituale», oche invocano lo Spirito come«Padre dei poveri, datore deidoni, luce dei cuori», come«Consolatore perfetto, Ospitedolce dell’anima, dolcissi-

mo sollievo». Se tutta la vita cristiana è vita nel-lo Spirito, come è stato possibile che egli diven-tasse il Grande Sconosciuto? Si possono indivi-duare con sicurezza due cause. La prima riguar-da la teologia, in particolare la Scolastica. Con questo nome di indica quel modo di fare teo-logia che si impose nel Medioevo, e che ebbe comemaestri insigni Tommaso d’Aquino e Bonaventuradi Bagnoregio. A differenza della teologia mona-stica, che utilizzava il metodo della lectio (di fat-to una commento alle Sacre Scritture), laScolastica adottò il metodo della quaestio, checonsisteva nella discussione di un argomento attra-verso il pro et contra, cioè gli argomenti a favo-re o contrari a un enunciato, che il magister (inquesto caso, il teologo) doveva sciogliere con unasentenza che, se risolutiva, faceva scuola. A ben vedere, si trattava di un metodo fortementerazionale, che avrà conseguenze profonde sul mododi formulare il discorso teologico, non più artico-lato sul registro dell’esperienza, ma su quello del-l’astrazione.Questo ebbe un riflesso enorme sulla pneuma-tologia: mentre la teologia monastica utilizzavavolentieri un linguaggio spirituale, che si riferivaalla presenza e all’azione dello Spirito santo nel-la Chiesa e nella vita del credente, la Scolastica,con il suo linguaggio concettuale, ha finito per direle stesse cose attraverso un termine astratto comegratia. Basta vedere quante classificazioni dellagrazia (attuale e abituale, sanante e santifican-te, ent.) sono stati capaci di concepire gli autoridella Scolastica per rendersi conto di questo cam-bio radicale di esprimersi.

È interessante, ad esempio, che auto-ri come Tommaso e Bonaventura,che parlano molto dello Spirito quan-do commentano la Sacra Scrittura,tendono nelle opere teologiche (laSumma Theologiae su tutte) alla pneu-matologia una teologia della grazia.Questo ha certamente favorito unmodo di pensare e di parlare chenon teneva nel debito conto la pre-senza e l’azione dello Spirito san-

to. Accanto a questo, e in modo ancora più pro-fondo, esiste un’altra ragione, di cui Tommaso eBonaventura sono spettatori e anche protagoni-sti. All’inizio del XIII secolo (precisamente nel 1202)era morto Gioacchino da Fiore, il grande abateche propose la divisione della storia in tre età:quella del Padre, corrispondente all’AnticoTestamento e regolata dalla Legge; quella del Figlio,corrispondente al Nuovo Testamento e regolatadal Vangelo; quella dello Spirito, che doveva ave-re inizio in quel periodo e che sarebbe stata segna-ta dall’amore, alimentato dalla presenza e dall’azionedello Spirito santo. Per quanto riguardava la Chiesa, l’idea dominanteera che salisse al soglio pontificio un papa chenon fosse successore di Pietro, ma di Giovannie realizzasse finalmente il comandamento dell’amore.Il movimento degli Spirituali, che si andava ingros-sando in quel periodo, trasformò queste idee inuna bandiera contro la gerarchia ecclesiastica,contestata di difendere privilegi e ricchezza e per-ciò di tradire il Vangelo. Ne nacque uno scontroprofondo e per certi versi insanabile tra l’istitu-zione ecclesiastica e questi contestatori (i qualifondavano le loro posizioni sullo Spirito che soste-neva la loro visione profetica di Chiesa), con l’e-sito di alimentare nel corpo ecclesiale una lottaintestina che finì per sfibrarlo.La rappresentazione più efficace di questaopposizione insanabile sta nella distanza tra duemodelli di papato: povero e perdente, ma ama-to quello di Celestino V, il quale incarnava l’idealedegli Spirituali; potente e odiato quello diBonifacio VIII, simbolo di una gerarchia ecclesiastica

intenta a puntellare il suo pote-re. Ma le due figure non sonoche la punta dell’iceberg didue modelli di Chiesa, quel-la spirituale e quella istituzionale,che ha segnato tutta lamodernità. L’esito più drammatico del-lo scontro, infatti, è un’ulte-riore divisione nella Chiesa,con lo strappo della Riformaprotestante, che incarna gliideali della Ecclesia spiritualiscontro Roma, bollata comeBabilonia che tiene prigionierala Chiesa di Cristo. La risposta cattolica a Trentoè la difesa della «sana dot-trina cattolica» contro l’infe-zione dell’eresia, che si con-centra sulla difesa dell’istituzione

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1818 FebbraioFebbraio20142014

ecclesiastica. Sulla base della contrapposizionepolemica, a fronte dell’idea protestante della Chiesainvisibile (perché solo lo Spirito conosce i suoi),si capisce l’insistenza sul carattere visibile e gerar-chico della Chiesa; ma si capisce anche il silen-zio sullo Spirito, in contrasto con i Riformatori chene facevano il principio e fondamento della Chiesaspirituale. Questo non significa che la teologia cattolica abbianegato, per ragioni di polemica, la persona del-lo Spirito; ma ha ostacolato la possibilità di richia-

marsi alla sua ispirazione per fondare una ideaprofetica di Chiesa: toccava alla gerarchiadiscernere se e quando lo Spirito agiva nella vitadella Chiesa. Si capisce allora perché il riferimentoallo Spirito fosse evocato unicamente per le espe-rienze mistiche: si trattava di realtà così straor-dinarie da costituire un fenomeno di nicchia, chenon poteva avere incidenza sul vissuto della Chiesa,regolato invece da una rigida disciplina moraleche faceva capo alla Chiesa gerarchica. Questosilenzio è durato fino al concilio Vaticano II. GiovanniXXIII parlò, per questo evento, di una rinnovata

Pentecoste. Per l’intervento dei Padri delle Chiese d’Oriente,lo Spirito è stato riscattato dall’oblio e indicato comeprincipio che costituisce la Chiesa. Da allora il recu-pero della presenza e dell’azione dello Spirito nonsolo nella riflessione teologica, ma nella vita deicredenti, è diventato sempre più evidente, e oggiquello pneumatologico costituisce uno dei “luo-ghi” privilegiati dell’esperienza cristiana, perso-nale e comunitaria.

*Docente Ordinario alla P.U.G. di Roma

mons.Franco Risi

VVorrei insieme a voi rivolgere uno sguardo a tutta la Sacra Scrittura,e attualmente alla vita della Chiesa, per cercare di comprenderecome Dio, attraverso la storia della salvezza, ha avuto sempre a

cuore i suoi eletti. Nell’antica Legge era lecito che i Profeti, in particolare,fossero i mediatori tra Dio ed il suo popolo. Essi interrogavano Dio tramitevisioni e rivelazioni, in quanto la legge evangelica non era ancora stata sta-bilita. Il popolo d’Israele si rivolgeva ai Patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe;poi a Mosè, ai giudici ed infine ai profeti, perché li aiutassero a capire qua-le fosse la volontà di Dio, così da poterla mettere in pratica. San Giovanni della Croce nel trattato Salita del Monte Carmelo, spiega checon la venuta di Gesù Cristo, cessa questo modo dei credenti di rappor-tarsi con Dio: “Ora che la Fede è basata in Cristo e la legge evangelica èstabilita in quest’era di grazia, non è più necessario consultare Dio né cheegli parli o risponda come allora. Infatti donandoci il Figlio suo, che è la suaunica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta e non ha più nul-la da rivelare”. Se Dio non si fosse fatto uomo, l’uomo non avrebbe potutoprendere parte alla vita divina: come Gesù è stato generato dalla Vergineper opera dello Spirito Santo, così anche noi saremo rigenerati alla vita eter-na. Dio ha restituito agli uomini la possibilità di accogliere liberamente confede la Salvezza operata da Cristo. La Lettera agli Ebrei esorta i primi cristiani a superare la Legge Mosaica ea fissare lo sguardo solamente su Cristo: «Dio che aveva già parlato neitempi antichi molte volte ed in diversi modi ai Padri per mezzo dei Profeti,ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1). In questa prospettiva, Gesù chiama alcuni discepoli a costituire con essiil collegio apostolico come fondamento della Chiesa. Leggiamo nei Vangeliche prima di chiamarli prega il Padre, li conduce in disparte perché stes-sero con Lui per poi inviarli nel mondo. La preoccupazione principale di Gesù è pregare per i suoi Apostoli, difattidurante l’Ultima Cena, Egli rivolto verso Pietro disse: “Simone, Simone, ecco:Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te,perché la tua Fede non venga meno. E tu, una volta convertito, confermai tuoi fratelli” (Lc 22,32). Ugualmente, l’evangelista Giovanni, nella preghierasacerdotale di Gesù rivolta al Padre afferma:

“Non prego che tu litolga dal mondo,ma che li custodiscadal Maligno. Essi non sono delmondo come io nonsono del mondo.Consacrali nellaVerità […] Come tu hai mandato me nel mondo, anche io mando loronel mondo […]” (Gv 15, 15-17). Possiamo affermare che il primo a pregare per quelli che stessero conlui fu proprio Gesù nel cenacolo: fu il primo intercessore presso il Padreperché li proteggesse nell’annunciare il Vangelo nel mondo. Infine, nelgiorno di Pentecoste, Maria Santissima, madre del Signore e della Chiesa,è in preghiera con gli Apostoli nel cenacolo in attesa dello Spirito Santoche li trasformi con il fuoco del suo amore, rendendoli idonei a conti-nuare la missione di Gesù e saperla testimoniare nel mondo con laloro stessa vita a vantaggio di tutti. Essi sono il fondamento della Chiesa,la quale ha sempre educato i credenti a pregare per i sacerdoti, e con-

tinua anche nei nostri tempi con grande impegno. La Chiesa ci esorta a pregare per i sacerdoti che nel mondo attuale speri-mentano difficoltà di ogni genere, perché siano confortati nelle loro soffe-renze, sostenuti nei loro dubbi e confermati nella loro fedeltà. Dio Padre, ilsuo Figlio Gesù Cristo, sua madre Maria, hanno sempre pregato e conti-nuano ancora a pregare dal cielo per i sacerdoti, perché siano fedeli con-tinuatori della missione di Gesù. Certamente, senza il sacerdote santo, ilmondo diventerebbe sempre più inumano. È confortante per un sacerdotel’esempio di Santa Teresa di Lisieux che fu piena di gioia quando compre-se di essere chiamata a pregare per i sacerdoti: “[…] L’unico fine delle nostrepreghiere e dei nostri sacrifici è di essere l’apostolo degli apostoli”. Papa Benedetto XVI ha ricordato che il sacerdote è un uomo “tutto di Dio,tutto degli uomini”, per questo egli rivolse al popolo di Dio un accorato appel-lo per voler bene ai sacerdoti e pregare per loro perché adempiano il mini-stero in piena collaborazione con il Santo Padre e con i propri Vescovi. PapaFrancesco invita continuamente tutta la Chiesa a pregare per i sacerdoti;egli stesso lo ha fatto davanti a tutti i Vescovi rivolgendosi a Maria, madredei sacerdoti, con queste parole:“Madre del silenzio, che custodisce il mistero di Dio,liberaci dall’idolatria del presente, a cui si condanna chi dimentica.Purificagli occhi dei Pastori con il collirio della memoria:torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e penitente.Madre della bellezza, che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano,destaci dal torpore della pigrizia, della meschinità e del disfattismo.Rivesti i Pastori di quella compassione che unifica e integra: scopriremo la gioia di una Chiesa serva, umile e fraterna.Madre della tenerezza, che avvolge di pazienza e di misericordia,aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità di chi non conosce appartenenza.Intercedi presso tuo Figlio perché siano agili le nostre mani, i nostri piedi e i nostri cuori: edificheremo la Chiesa con la verità nella carità.Madre, saremo il Popolo di Dio, pellegrinante verso il Regno”. Da ciòpossiamo impegnarci, anche noi, a pregare per i nostri sacerdoti per-ché vivano la loro vita a servizio di tutti sulla sequela di Cristo umile epovero.

Nell’immagine del titolo: Gesù con gli apostoli, da un antifonario del 1321.

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1919FebbraioFebbraio20142014

don Gaetano Zaralli

“Caro Don Gaetano, debbo fare da madrina e la parrocchia dove si celebrerà il battesi-mo ha rilasciato un foglio su cui sta scritto che i padrini debbono esse-re battezzati (e fin qui sono in regola), devono aver ricevuto la cre-sima (e ancora ci sto dentro) e che non siano dei separati in procintodi divorzio... OH!!! Qua mi nasce il dubbio: essendo separata, senza togliere l’intenzionedi un secondo matrimonio, mi si dice, forse, che non sono in gradodi seguire mia nipote nella crescita spirituale? Eppure in coscienza mi reputo idonea forse più di altre coppie affia-tate... E se una coppia scoppiasse dopo aver fatto da padrini? Beh,ormai il battesimo è fatto.... E’ pure vero che una coppia di padrini fanno più figura di una don-nina sola soletta.... E se mi vestissi molto elegante, compenserei? Cerco di comprendere le motivazioni e quin-di di trovare giustificazioni a certe men-talità, ma... proprio non capisco...”.

Mirella

MM i è particolarmente simpatica laSignora Mirella e, ora che hadeciso di vestire elegante il gior-

no in cui farà da madrina, mi porta gioio-samente al sorriso. Metterà i tacchi alti?Perché no? La sua figura, un po’ schiac-ciata, finalmente svetterà e supererà i con-fini delle banalità che la opprimono. Quale vestito indosserà? Lei ama il nero eprobabilmente insisterà su quel colore, maga-ri ravvivandolo con dei lustrini che sul pet-to disegneranno un fiore. Sarà modesto ilsuo abito, senza quelle scollature pronun-ciate che distolgono gli occhi di chi guar-da dal volto che, al contrario, merita atten-zione, specie quando nel sorriso la luce degliocchi incrocia la curva morbida delle lab-bra… Il sorriso di una donna separata è sem-pre mesto, se nella solitudine che la circondanon sa a chi dedicarlo. Chissà se metterà gli orecchini!… Forse solo qualcosa che brilli, ma con mode-stia, là dove i capelli scuri e lisci passanoveloci per raccogliersi scodinzolanti dietrola nuca… Le teste delle donne separatesono scrupolosamente attaccate al collo emal sopportano gli eccessi dei gioielli, spe-cie se ci sono figli da accudire.Il cappellino? No, non lo metterà!… Il cappellino potrebbe azzerare il poco slan-cio guadagnato a fatica dai tacchi… E poii cappellini da cerimonia non si addiconoalle signore separate, perché attraverso laveletta, che copre la fronte e scende mali-ziosa a turbare i residui dell’innocenza, potreb-bero essere più uno specchio di ipocrisiache non un copricapo. Mirella è separata dal marito e sembra nonabbia per ora alcuna intenzione di adire aldivorzio. Perciò, se si tiene lontana dallatentazione della carne, se riprende a fare

la corte al suo vecchio mari-to, magari con la speranzadi ricondurlo agli antichiaffetti, lei non solo potràfare la santa comunione,ma tranquillamente potràindossare quel cappelli-no con la veletta, perchè collima questa volta con la madrina che il DirittoCanonico promuove. Se non fosse per i figli, alle donne separate con-verrebbe essere vedove…Il certificato di “idoneità” sta diventando un assillo per chi ha il compitodi scegliere i padrini: ormai nella cerchia dei parenti o degli amici è sem-pre più difficile trovare la persona che sia indenne da pene canoniche.L’imbarazzo è presente anche nelle teste dei parroci che, dinanzi a gen-te poco rispettosa delle leggi cattoliche, ma ben disposta a seguire uncammino di fede cristiana, non sanno più che pesce prendere…

Se accettano di dare il battesimo ai figli dicoppie irregolari, che comunque assicuranoun’educazione cristiana alla prole, perchédovrebbero negare la funzione di padrinia chi, pur essendo in condizioni problematichecon la Chiesa, dimostrano di essereanche loro come quei genitori credenti eottimi educatori? L’argomento forte di cui si servono i par-roci per tentare di tenere lontano dai ritidei sacramenti quei genitori e quei padri-ni fuorilegge è il “cattivo esempio” che offri-rebbero ai figli e ai figliocci col vivere nelgroviglio delle mille contraddizioni. Ai parroci si chiede misericordia più chela conoscenza della verità; da loro si pre-tende amore e comprensione più che lafredda dottrina; da loro ci si aspetta un atteg-giamento profetico e non il ferreo legali-smo di tutti i giorni. Nella mentalità del popolo cattolico, chenon vuole esser definito zavorra, sta pas-sando ormai come fatto normale la presenzapresso le comunità cristiane delle famiglieallargate, delle coppie sposate solo civil-mente e di quelle che di matrimonio pro-prio non vogliono sentir parlare… anchese tutti costoro alla luce dei canoni zop-picano tremendamente.Una ragazza da cresima mi chiese se accet-tavo come sua madrina la zia divorziata:lei è l’unica persone adatta a seguirla neglianni difficili della giovinezza, con lei c’è unrapporto meraviglioso e sarebbe difficile tro-vare un’altra persona in grado di sostituirla…“Se non accetti mia zia come madrina, nonfarò la cresima!”L’ultimatum della ragazza non è un ricat-to, ma una testimonianza di fede. Lei cre-de in Dio, crede in Gesù Cristo e crede anchenello Spirito Santo… Lei ha superato per-fino gli ostacoli che la tenevano lontana dal-la Chiesa… Ora tocca al prete dimostra-re di non essere sordo alle sue esigenzee di non vivacchiare sotto la fragile pro-tezione delle leggi.

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2020 FebbraioFebbraio20142014

Suore Apostoline Velletri

“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che

si incontrano con Gesù”.

QQueste le prime parole che leggia-mo nell’esortazione apostolica di papaFrancesco Evangelii gaudium. La

Chiesa è per sua natura missionaria e per-ciò chiamata ad annunciare e a testimoniarela gioia del Vangelo a tutti: la gioia e la bel-lezza di un incontro vivo e personale con Cristoe con la sua Parola. Il cristiano non può farea meno di raccontare la “bella notizia del Vangelo”,perché fa esperienza della misericordia di Dioe della sua Provvidenza, e impara a leggere larealtà con occhi nuovi, illuminati dalla fede, dal-la speranza e dalla carità. Certamente il modopiù bello e più originale per annunciare il Vangeloè viverlo e testimoniarlo con la nostra vita. È tra-smettere l’esperienza concreta dell’amore di Dio

a tutti. Non ci sono parole, metodi o gesti piùgiusti da seguire ma parla la nostra vita nellamisura in cui lasciamo entrare Dio nella nostrastoria di ogni giorno. Abbiamo detto più volte cheDio chiama e riconosciamo e crediamo che Diodona a ciascuno una vocazione, chiama alla comu-nione con lui per realizzare un progetto di feli-cità per la vita di ogni persona. La vocazione diventa così la bella notizia daannunciare a tutti. Potremmo dire che anchela vocazione, come l’amore, si diffonde per con-tagio. Incontrando un religioso, un sacerdote,un missionario, una coppia di sposi,… posso incon-trare Cristo e riconoscere in ogni chiamata il vol-to di Dio. Una bella vocazione vissuta bene econ gioia può far nascere il desiderio e la doman-da vocazionale. Ciò non significa che dobbia-mo camminare sempre col sorriso stampato sulvolto, felici e contenti! Ma certamente il cristia-no è chiamato a vivere sostenuto da una spe-ranza sempre nuova, aperto verso un futuro pos-

sibile, perché non poggia su se stesso ma suDio e in Lui confida. “L’esperienza cristiana dice che i due termini –testimonianza e vocazione – si richiamano reci-procamente: la testimonianza credente ha in séuna forza irradiante che provoca attenzione, sifa appello e, d’altra parte, ogni vocazione è fina-

lizzata a generare testimonianza, rendendo anzi-tutto il chiamato stesso ad essere presso gli altritestimone di ciò in cui crede”. (cfr. A. Bagnascoin Vocazioni 2/2010)Il testimone è colui che avendo fatto esperien-za della salvezza di Dio nella propria vita, indi-ca Cristo – come Giovanni il Battista che sa benechi non è per poter dire chi è: “non sono il Cristo,non sono Elia e neppure un profeta, ma sonovoce di uno che grida nel deserto: Rendete dirit-ta la via del Signore…” (cfr. Giovanni 1, 20-23).Il testimone rimanda sempre a Cristo: Egli è lasua pace, la sua gioia e la sua salvezza.Come annunciamo la nostra vocazione? Quantoriconosciamo la bellezza e la gioia della nostrachiamata? Vivere la nostra chiamata ci permettedi entrare in un dinamismo vocazionale che maisi interrompe. Sì, perché la vocazione sicostruisce giorno per giorno. Il “sì” a Dio si rin-nova sempre. La vocazione cresce con noi, nel-la misura in cui ci lasciamo prendere per mano

da Dio, e permettiamo a Dio di cambiar-ci e trasformarci sempre, per fare scopertesempre nuove su noi stessi. Si tratta dinon stancarsi mai della propria chiama-ta ma di vederla sempre sotto nuove pro-spettive, ma soprattutto … di amare la nostravocazione!Ma come si ama la propria vocazione?Riconoscendo la nostra vita amata da Dio.Non siamo stati noi a donarci la vita maè Dio che ha pensato a noi da sempre eci ha creati per un fine speciale e sem-plice: amare! E questo modo di amare sitraduce nelle diverse vocazioni. L’amore è conseguenza di una relazione:

amiamo ciò che ci piace, ciò che è bello e cheattira la nostra attenzione. Conoscere noi stes-si, le nostre capacità, i nostri limiti, accogliercicon uno sguardo buono ci aiuta e ci insegna adamarci così come siamo e a riconoscere converità e libertà l’altro. Crescere nella propria chiamata vocazionale ci

permette di scoprire semprecose nuove che prima nonconoscevamo. Ad esempiola vita religiosa si scopre ognigiorno e si ama vivendola eritrovando dentro se stessile motivazioni che ci spingonoa vivere in un determinatomodo. Così la vocazione almatrimonio matura nellamisura in cui l’amore tra unuomo e una donna è sem-pre pronto ad aprirsi alla vita,a mettersi in discussione, acrescere. La vocazione richiede impe-gno e discernimento. Essaquindi è anche o soprattut-to questione di cuore, di emo-zioni, di sentimenti forti e pro-fondi. Non può fermarsi a unarisposta puramente intel-lettuale ma chiede di esse-re vissuta in ogni dimensione

della persona umana: con tutto noi stessi! Siamoquello che scegliamo di fare e che ci rende piùfelici. Una felicità sempre da ritrovare e che attra-versa anche momenti di crisi, di fatica, di con-fusione e di stanchezza.La vocazione è l’avventura più bella perché cipermette di realizzare proprio il nostro deside-rio e bisogno di amare e di essere amati. Macome anche altre volte abbiamo sottolineato emi piace ricordarlo anche qui: non è un cam-mino da fare da soli, ma necessita di un con-fronto, di una guida spirituale, di una vita di pre-ghiera e di … tanto amore! Concludo con una citazione molto famosa di s.Teresa di Gesù Bambino che ha fatto dell’amorela sua vocazione: “La Carità mi diede la chia-ve della mia vocazione. Capii che la Chiesa ave-va un Corpo, composto da diverse membra, ilpiù necessario, il più nobile di tutti non le man-cava: capii che la Chiesa aveva un Cuore e che

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2121FebbraioFebbraio20142014

A cura dell’Equipe Diocesanadi Pastorale Giovanile

DD urante la crescita tutti gli uomi-ni e le donne si pongonouna fatidica domanda:

cosa significa Amare? Ognuno cer-ca la propria risposta. Ognuno,secondo i momenti della propria vita,la cerca in un ambito diverso. C’è chila cerca nei libri, chi la cerca nell’e-sperienza, chi nella fede, chi nellaragione. Non c’è una risposta più nobi-le dell’altra; infatti è il modo di vive-re l’Amore che nobilita la risposta acui siamo arrivati.Questa è stata l’impostazione datadall’equipe di Pastorale Giovanile nelweek–end del 18/19 gennaio, dove45 giovani, della diocesi e non, han-no affollato il Centro di Spiritualità SantaMaria dell’Acero.I partecipanti hanno notato chenonostante il campo fosse chiamato “Fai centro con l’Amore”, non havoluto solo dare risposta al significato dell’Amore, poiché l’equipe di PastoraleGiovanile ha preferito suggerire il modo per vivere l’Amore. Un Amoreche deve essere inteso all’interno di un progetto di vita, fatto dal con-nubio di istinti e innamoramento i quali presi singolarmente non fan-no vivere l’Amore puro ma ne accentuano solo un aspetto. Un Amoreche deve aiutarci a convivere, condividere e camminare con gli altri.Un Amore che non è perfezione, perché nonostante l’Amore sia il sen-timento che più ci avvicina a Dio e in sé sia prefetto, noi, come uomi-ni e donne, siamo imperfetti e anche la perfezione la viviamo in modoimperfetto e così alle volte ci ritroviamo a toccare il fon-do. Un Amore che deve essere vissuto nel modo più sem-plice ma allo stesso tempo deve essere responsabile. Un Amore che può essere identificato con la religiosità,intesi entrambi come un percorso composto da gestua-lità e sentimento con i quali si deve vivere e crescere. Un Amore che è l’essenza di Dio che ci aiuta ad affron-tare le difficoltà e a superarle. Un Amore che plasma lavita dei cristiani accompagnandoli nel cammino che por-ta alla salvezza, rendendoli autentici e Vivi.A ben vedere la proposta fatta dall’equipe di PastoraleGiovanile, spiegando e delimitando il modo di vivere l’Amore,ne ha dato una definizione. Amore non è istinto ma è lacertezza del bisogno di ESSERE, non è perfezione ma

è la certezza che nonostante il dolore e le limitatezze si RISORGE. Sirisorge perché è l’Amore a farci risorgere.Il sabato pomeriggio siamo stati guidati nella riflessione dalle provocazionidel prof. Gigi Avanti, consulente famigliare che, insieme alla moglie, faparte della Consulta Nazionale della CEI per la Pastorale della Famiglia.La domenica mattina don Corrado Fanfoni, riprendendo gli spunti antro-pologici del giorno precedente, ci ha fatto riflettere sulla nostra relazionecon Gesù prendendo in esame alcuni brani del Vangelo.

Nell’immagine del titolo: un’opera pittorica di Pam Powell.

questo Cuore era acceso d’Amore. Capii che solo l’Amorefaceva agire le membra della Chiesa: che se l’Amore sidovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero piùil Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro san-gue… Capii che l’Amore racchiudeva tutte le vocazioni,che l’Amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tut-ti i luoghi! Allora ho esclamato: la mia vocazione l’ho tro-vata finalmente1 La mia vocazione è l’Amore! Sì, ho tro-vato il mio posto nella Chiesa e questo posto, o mio Dio,me lo hai dato tu: nel cuore della Chiesa, mia Madre,sarò l’Amore! Così sarò tutto, così il mio sogno sarà rea-lizzato!”La vocazione è tutta amore. Amare la nostra vocazioneè molto di più: è amare Dio autore di ogni vocazione, èamare la Chiesa madre e comunità di vocazioni… è diven-tare l’Amore!

segue da pag. 20

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2222 FebbraioFebbraio20142014

Mons. Franco Fagiolo*

AA quasi cinque anni dalla pubblicazio-ne del Repertorio Nazionale di Cantiper la Liturgia curato dalla C.E.I. (mag-

gio 2009), è doverosa una domanda: nelle nostreparrocchie che uso ne abbiamo fatto? Come maise ne parla poco e non viene preso in consi-derazione? Perché è stato snobbato? E questadomanda ce la dovremmo porre un po’ tutti: sacer-doti, parroci, vice parroci, religiosi, suore, orga-nisti e strumentisti di chiesa, direttori di cori par-rocchiali, cantori, catechisti ed educatori… Da tempo si sentiva il bisogno di uno strumen-to del genere; tutti lo aspettavamo come un toc-casana, necessario per mettere da parte tuttele improvvisazioni “fai da te” ed educare i nostricori, i nostri cantori, le nostre assemblee al can-to, parte integrante della Liturgia. Nella nostra Diocesi, è stata regalata una copiadel repertorio ad ogni parrocchia, se ne è par-lato in diverse occasioni, è stato presentato negliincontri di formazione liturgico-musicale, è sta-to oggetto di riflessione proprio su queste colon-ne di Ecclesia….. Sicuramente non è stato com-preso il significato e l’importanza dell’evento!Eppure, il Repertorio di Canti per la Liturgia èstato voluto personalmente da Benedetto XVIche più volte aveva sollecitato la C.E.I. a por-tare a termine il lavoro (da non dimenticare chePapa Ratzinger non è l’ultimo arrivato in fattodi musica e di liturgia!!!). Già nella Sacrosanctum Conciluium e neiPraenotanda del Messale Romano si invitava-no i Vescovi a occuparsi e vigilare sui canti chevenivano inseriti nella celebrazione della mes-sa. Finalmente, dopo quarantacinque anni (!!!),questo benedetto Repertorio ha visto la luce, machi se ne è accorto?

E’ stato seguito l’iter normale di qualsiasi libroliturgico con tutta la trafila necessaria (appro-vazione dell’assemblea generale dei vescovi ita-liani, recognitio da parte della Congregazionedel culto divino e la disciplina dei sacramenti):ciò sta a significare l’ufficialità di questa pubblicazione,fondamentale per le migliaia di celebrazioni cheogni domenica si svolgono nella nostra Italia.Questo Repertorio ha messo fine alla preoccupazione,che per tanti anni abbiamo avu-to, di andare a ricercare testie musiche fatti apposta perla liturgia, pertinenti per i varimomenti liturgici, senza sta-re dietro alle mode o ai nostricapricci, alle personali sen-sazioni, magari accontentandocidi quello che ci veniva pro-pinato da qualche avventu-riero. Come scrisse il Segretariodella C.E.I. nella presenta-zione del repertorio“mette a disposizione dellenostre comunità un buon nume-ro di composizioni che rispon-dono alle esigenze liturgiche,con l’obiettivo di coniugarela dignità delle parole e del-le musiche con la cantabili-tà, al fine di sostenere e pro-muovere la partecipazione atti-va dell’assemblea”. Purtroppo, tutto questo nonè bastato! Era la prima vol-ta di un repertorio naziona-le, fatto con criterio e com-petenza da valenti speciali-sti del settore e noi siamo sta-ti capaci di mandarlo in

fumo! Sì, è vero, il testo della C.E.I.è stato oggetto di diverse cri-tiche, ci sono state delle lamen-tele, qualcuno ha storto ilnaso, ma non si doveva but-tare tutto all’aria…..Insomma, come è stato scrit-to, ci si è fermati a osservareil dito che mostrava la luna, dimen-ticando di guardare la luna! Peccato! Abbiamo perso unabella occasione. Possiamo fare qualcosa? Penso proprio di sì. Però bisogna sgombrare ilcampo (e le nostre testoline) datanti pregiudizi e affidarci sere-namente a chi, nella Chiesa ita-liana, ha avuto il compito di svol-gere questo importante lavoro.E’ un regalo quello che abbia-mo ricevuto, un dono prezio-so che Santa Madre Chiesa ci

mette a disposizione per la gloria di Dio e la san-tificazione dei fedeli.

(continua)

*Resp.le Diocesano del Canto per la [email protected]

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2323FebbraioFebbraio20142014

P. Vincenzo Molinaro*

II l cammino di preparazio-ne al matrimonio nella nostradiocesi anche quest’anno

è partito con i migliori auspici. Diversigruppi hanno richiesto la presenzadel responsabile diocesano del-la pastorale della famiglia che èintervenuto accompagnato da alcu-ne coppie di sposi nella qualitàdi testimoni. Alcuni gruppi han-no già concluso il percorso sta-bilito e attendono solo di incon-trarsi insieme a tutti i fidanzatidella diocesi con il vescovo mon.Vincenzo Apicella. La data è fissata, sarà domeni-ca 6 aprile e il luogo più proba-bile S. Maria dell’Acero, possi-bilmente sarà confermato inquesto stesso numero dellarivista. La riflessione che vorreiproporre riguarda l’aspetto litur-gico e celebrativo spesso ritenutala ragione logica di tutto il cammino di prepara-zione. Come accade, gli aspetti esteriori, sonosotto gli occhi di tutti, lasciano il segno nella memo-ria e quindi facilmente acquisiscono una priori-tà e importanza che invece compete a elemen-ti essenziali e meno apparenti (cfr. CEI,Orientamenti pastorali sulla preparazione al matri-monio e alla famiglia, nn.20-23).Durante il percorso formativo si stabilisce un con-tatto con la Parola del Signore. Si scava nellaBibbia per scoprire la presenza in essa di unaricchezza straordinaria di immagini, di messag-gi, di poesie, di allusioni: tutto si può riportare almatrimonio. Questa idea base, dell’uomo e della donna chia-mati al matrimonio per realizzare la pienezza del-l’immagine di Dio nello scambio del loro amore,per la maggior parte costituisce come un salu-tare shock religioso. Esso li stimola a un contattomeno opportunistico e più serio e vitale. Ed eccosciogliersi davanti alle coppie l’abbondanza nonfrettolosa, la curiosità stimolata nel percorso for-mativo, ora li spinge a cercare di più e a porta-re alle migliore conseguenze la conoscenza del-la Parola. Nel nostro ambiente, salvo i casi di matri-moni tra una parte cat-tolica e una parte cri-stiana non cattolica, ingenere tutti scelgono lacelebrazione inseritanella eucaristia. Qualche volta anchequella festiva, un segnoda incoraggiare anchese è comprensibile unacerta resistenza con-siderando la dilatazio-ne dei tempi che la cele-brazione nuziale ine-vitabilmente richiede. E’sicuramente una gra-

zia che la gran parte del tempo che i giovani dedi-cano alla preparazione sia presa dalla lettura del-la Parola di Dio, con le sue svariate proposte, enon che l’unico desiderio degli sposi si concen-tri sulla scelta dei fiori e dei canti. Anche questiimportanti come parte del tutto ma non come uni-co elemento, quello esteriore e appariscente cherischia di coprire il resto. Vi sono giovani che quan-do si accostano alla Parola, non si contentano,ci prendono gusto ed ecco quindi le richieste dicoinvolgimento maggiore rivolto a genitori e testi-moni. Essi chiedono loro di partecipare tutti alsacramento del perdono e ottengono risultati com-patibili con l’armonia delle loro famiglie. Certo, accogliere genitori, fratelli, testimoni allaconfessione non capita tutti i giorni. Ma i frutti piùbelli devono venire. I giovani vogliono conosce-re le varie novità che il Rito offre, non le pren-dono senza un sano discernimento, ma entra-no un po’ di più in questo incontro con una per-sona per la via del mistero di Dio. E ciò che piùconta, Dio non è colui che impedisce l’incontro,ma lo facilita, aprendone significati invisibili all’oc-chio. Questo è il rito della velatio, quando gli spo-si entrano nel cono d’ombra della Sua presen-

za, protetti dalla fraternità dei testimoni per uscir-ne e proporsi a loro volta testimoni di un amo-re che non potrà aver fine. Nel senso che andrà avanti con i tempi di Dio.Ecco le preghiere, le letture, la carità… ecco ilbattesimo, ecco finalmente il rito del matrimonioscelto tra le varie possibilità e vissuto con pie-na adesione… Sembrano lontani i tempi quan-do di giovani dicevano: “Basta che non debbaleggere”. Oggi questa affermazione viene fatta,ma non sempre, da chi celebra 50 anni di noz-ze e quasi sempre è dovuta alle condizioni degliocchi….I nubendi, invece, vogliono essere pro-tagonisti del sacramento e accettano tutta l’ab-bondanza del rito che permette sia loro sia ai par-tecipanti alla festa di entrare con maggiore con-sapevolezza nel mistero dell’amore di Dio chesi fa visibile nell’amore dell’uomo.Una celebrazione gioiosa, improntata a una cer-ta sobrietà, a gesti significativi espressi nella sem-plicità, è la migliore garanzia per la partecipazioneattenta e coinvolta dell’assemblea. Gli sposi benpreparati sono concentrati e non si lasciano dis-trarre dalla troupe televisiva che li accompagna,guardano all’essenziale. Esso pur invisibile è pre-

sente nel mondo. E’ il dono di Dio chesi rinnova in ogni cop-pia che ripete con gioiail gesto di Gesù di unadonazione per lavita. Nel segno del-l’amore è la vita cheviene sepolta perrinascere con mag-giore ricchezza.

*Delegato Dioc.no perla Pastorale Familiare

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2424 FebbraioFebbraio20142014

“Signore ritorna! … vienie visita la Tua Vigna”“Benedetto colui che vie-ne nel nome del Signore”“La gioia è una particola-rità del cristiano perchénella domenica, giornodel Signore, lo sposo stacon la sposa e non si puònon fare festa”

Gregory Specchi

QQueste tre frasi hanno caratterizzato laVisita Pastorale da domenica 19 a saba-to 25 Gennaio, nella parrocchia di San

Paolo Apostolo. La prima frase “Signore ritor-na! … vieni e visita la Tua Vigna”, è un invitoa vedere e verificare come il vignaiolo sta lavo-rando la Vigna del Signore e come la Vigna, rispon-de ai lavori del vignaiolo. Essendo questa unaparrocchia situata nella vasta campagna veli-terna, questa frase è fatta su misura. Allo stesso modo lo è il benvenuto espresso dalparroco don Mauro De Gregoris con la secon-da frase “Benedetto colui che viene nel nomedel Signore”, nella quale si benedice colui cheviene a visitare nel nome del Signore la SuaVigna. La Visita si è svolta secondo il seguen-te programma:

Domenica 19 Gennaio

La visita pastorale è iniziata con l’arrivo in par-rocchia del vescovo Vincenzo Apicella alle ore9.30 di domenica 19 gennaio. Nel desiderio diaccogliere nel migliore dei modi il loro vesco-vo, i fedeli hanno abbellito il cortile e l’entratadella parrocchia con un grande stri-scione di benvenuto con le paroledel Salmo 117 “Benedetto colui cheviene nel nome del Signore” e festo-se decorazioni colorate. Alle 10.00 è iniziata la celebrazio-ne della Santa Messa della secon-da domenica del Tempo Ordinario,con l’incensazione dell’icona che accom-pagna il vescovo nelle varie tappedella visita pastorale. Nel commento alla liturgia del gior-no, il vescovo ha sottolineato comenel Battesimo si diventi nuovecreature, figli di Dio e membri del-la Chiesa. Ciò comporta una vita cri-

stiana di relazione profonda con il Padre, il FiglioGesù Cristo e lo Spirito Santo che ci rende capa-ci di vivere la nostra vocazione come membravive del Corpo Mistico di Cristo e di mettere a

servizio della comunità i propri carismi e le pro-prie capacità. Mons. Apicella ha esortato a vive-

re la Visita Pastorale come un’esperienza chepotrà rafforzare la conoscenza e le relazioni trai vari membri della comunità parrocchiali cheinsieme costituiscono la Diocesi di cui il vesco-

vo è costituito Pastore. A seguito della Messa,l’incontro con il Gruppo Giovani della parroc-

chia, durante il quale ragazzi han-no illustrato le attività svolte finorae rivolto al vescovo diverse doman-de e curiosità. Il vescovo ha esor-tato i ragazzi all’apertura verso glialtri, all’ascolto della Parola di Dioe all’amore reciproco. Alle 12.30 la visita alla comunità india-na Sikh, in Via dei Cinque Archi.Qui l’accoglienza rivolta a mons. Apicellae al parroco don Mauro De Gregorisè stata addirittura sorprendente. Subito dopo l’arrivo, infatti, essi sonostati invitati a togliere le scarpe perentrare in un piccolo cortile coper-to e a sedere a terra, in attesa di esse-

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2525FebbraioFebbraio20142014

re serviti. In pochi secondi, uscendo dalla “cuci-na” adiacente (un capannone con decine di uomi-ni al lavoro intorno a grandi piastre alimentatea legna), alcuni Sikh muniti di vassoi hanno offer-to al vescovo e a chi lo seguiva diverse ciba-rie caratteristiche della cucina indiana. Dopo questa bella (e buona) accoglienza, la comu-nità Sikh ha invitato i visitatori a purificare le manie indossare una bandana arancione, per

entrare (sempre scalzi) nel tempio vero e pro-prio, il Gurdwara. Qui un “lettore”, seduto sot-to un baldacchino, era intento nella proclama-zione del “libro sacro” mentre altri fedeli eranoseduti in ascolto. Il vescovo, rispettando le usan-ze Sikh, si è inchinato per poi procedere allavisita del tempio. Prima di uscire dal tempio, comeda usanza, un Sikh ha offerto ai visitatori il “Karah

Parashd”, un cibo sacro costituito da unimpasto di farina, zucchero e burro. Durantetutta la visita, un ragazzo Sikh con buo-na padronanza della lingua italiana haaccompagnato e illustrato ogni cosa alvescovo rispondendo alle curiosità di que-st’ultimo. Caldissimi sono stati i salutifinali, durante i quali non sono manca-ti baci e abbracci da parte di tutta la comu-nità. I Sikh si sono rivelati maestri nel-l’accoglienza del prossimo e del “diver-so”. Questo incontro, seppur breve, reste-

rà sicuramente impres-so nella mente delvescovo e di chi eracon lui come un’esperienza ini-ziale di “dialogo interreligioso”.

Lunedi 20 Gennaio

Alle ore 9.00 è iniziata la visi-ta alla Scuola di Mercatora. Ilvescovo ha dapprima incon-trato i bambini nelle rispet-tive aule ed ha poi assi-stito agli spettacolini musi-cali preparati dagli alun-ni per l’occasione. L’incontrosi è concluso con uno scam-

bio di doni. Nel pomeriggio il vescovo havisitato le case alloggio per anziani nella zonadei Fienili portando la propria vicinanza agliospitati, con i quali si è serenamente intrat-tenuto, e impartendo loro la benedizione. Presso la terza casa alloggio è stata cele-brata la Santa Messa. Nella serata, la Messaè stata celebrata presso la casa di una fami-

glia di fedeli in Via delle Muracce,che ha raccolto la partecipazionedegli abitanti della zona.

Mercoledì 22 Gennaio

Dopo la pausa di Martedì, ilvescovo ha ripreso la visita pasto-rale, nel giorno del suo 67° com-pleanno, nonché nel 70° anniversariodel bombardamento di Velletri. Comeunico impegno della giornata la visi-ta alla Scuola di Sole Luna. Tra canzoni, poesie e domande,i ragazzi hanno avuto modo di far-

si conoscere e di conoscere il vescovo, il qua-le ha sottolineato come il 22 Gennaio sia perVelletri una data da non dimenticare, esortan-do gli alunni e gli insegnanti a diffondere e avivere i valori della pace. I bambini hanno dimo-strato di essere sensibili a questi valori mani-festandoli attraverso i loro lavori.

Gli alunni, insieme con leloro maestre hanno accol-to il vescovo cantando incoro gli auguri di buon com-pleanno. Anche in questascuola, la visita si è con-clusa con un allegro e reci-proco scambio di doni.

Giovedì 23 Gennaio

Nelle prime ore della mat-

Visita del vescovo e del parroco alla Comunità Sikh.

L’incontro con i ragazzi del dopo cresima.

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2626 FebbraioFebbraio20142014

tinata il vescovo ha visitato i malati e gli anzia-ni in Via dei Cinque Archi, tra cui la signora Ginadella veneranda età di 102 anni, conosciuta datutti gli abitanti della zona avendo svolto l’atti-vità di fornaia per lunghissimi anni. Al termine della mattinata è seguita la visita alla

“Funghitex”, azienda produttrice di substrati incu-bati per la produzione di funghi con sedi a Velletrie Giulianello, diretta dal Sig. Mattozzi, il qualeha voluto che anche il personale di Giulianellofosse presente alla visita del vescovo per rice-vere la sua benedizione. Alle ore 16.00 il vescovo ha visitato alcune real-tà agricole e zootecniche della zona effettuan-do una sosta presso la proprietà dei coniugi Romaniper ammirare un bellissimo presepio artigiana-le da loro realizzato all’aperto nello spazio adia-cente alla loro abitazione.In seguito il vescovo si è soffermato per un bre-ve incontro di preghiera con gli zelatori e i fre-quentatori del Giardino di Maria di Nazareth neipressi della ferrovia dei Cinque Archi, apprez-zando vivamente la cura con la quale viene man-tenuto questo luogo di devozione dedi-cato alla Vergine Maria. E’ seguita la visi-ta a due case di riposo nella zona di SoleLuna dove, in una di esse, è stata anchecelebrata la Santa Messa.

Venerdì 24 Gennaio

La mattinata è stata dedicata al mondodel lavoro, con la prima visita alla fabbricadi vilpelle “Coronet” dove il vescovo è sta-to gentilmente accolto dal direttore Sig.Domenico Beraldi e dagli operai presentinel loro turno di lavo-ro. In seguito il vescovo havisitato la fabbrica di pro-dotti in cemento“Sol.Pre.A” iniziatanegli anni ‘50 dal con-cittadino Sig. RolandoColonnelli e diretta dalfiglio Alberto, che dà lavo-ro a circa 30 operai. E’seguita la visita all’a-

zienda “Bagaglini Prefabbricati” specializzatanella produzione di manufatti in cementoe carpenterie in ferro, il cui proprietario, ilveliterno Sig. Paolo Bagaglini, ha volutoche fossero presenti per l’occasioneanche gli operai dell’azienda agricola, perun totale di oltre 40 dipendenti. La mattinata si è conclusa incontrando ilpersonale dell’officina “C.E.A.M.”, attiva nelcampo della lavorazione in ferro, allumi-nio e pvc, gestita dai Sigg. RobertoComandini e Vincenzo Potini, entrambi diVelletri. In tutti questi incontri il vescovo siè interessato vivamente ai processi pro-

duttivi congratulandosi per la tenacia, per la crea-tività e per la dedizione con cui questi impren-ditori, giovani e meno giovani, portano avanti,nonostante il momento di crisi, le loro attività,preoccupati soprattutto di assicurare il lavoro a

Visita del vescovo alla fabbrica CORONET.

Visita del vescovo alla C.E.A.M.

Gruppo degli operai e collaboratori delle aziende

del sig. Bagaglini.

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2727FebbraioFebbraio20142014

tanti padri e madri di famiglie. Tutti gli incontri sono terminati con un momen-to di preghiera e con la benedizione del vesco-vo. Nella serata il vescovo ha incontrato il Consiglio

Pastorale della parrocchia, i cui mem-bri e lo stesso parroco hanno fattopresente le difficoltà connesseall’azione pastorale dovute all’infe-lice ubicazione della chiesa, situa-ta ai margini di una pericolosa stra-da provinciale, nonché alla mancanzadi spazi adeguati per poter svolgerele varie attività. Il vescovo ha pre-so atto di ciò esortando a prevedereinsieme soluzioni idonee in questosenso. Subito dopo, i parrocchiani si sonoincontrati presso il locale “Velidance”per una serata di convivenza ed intrat-

tenimento insieme al vescovo. Le famigliepresenti, con oltre 160 persone,che hanno trascorso un’alle-gra serata in amicizia che hafavorito la reciproca conoscenzasono state allietate da musi-che locali, poesie dialettali escenette teatrali organizzatedagli stessi parrocchiani, conla gioiosa e familiare la par-tecipazione del vescovo cheha ringraziato vivamente peril momento di comunionevissuto con i fedeli. La sod-disfazione dei partecipanti edegli organizzatori è stata grande ed una-nime. Nei saluti finali, don Mauro ha espres-so sentiti ringraziamenti a nome di tutti alSig. Rolando Colonnelli e alla Sig.ra Elisaper aver messo a disposizione i loro loca-li con annessi servizi per la realizzazionedi questo straordinario evento, offrendo lapossibilità ai parrocchiani di usufruire di unluogo spazioso e adeguato per trascorre-

re insieme i momenti conclusivi della Visita Pastorale.

Sabato 25 Gennaio

Visita ai malati e agli anziani di Via Colle SanFrancesco. Visione dei confini parrocchiali conil comune di Aprilia e sosta nella vecchia cap-pella ormai inutilizzata e fatiscente annessa allatenuta Brandizzi in Via Campoleone, accolti gen-tilmente dall’amministratore Sig. FilibertoGiannini. Nel pomeriggio si è svolto l’incontrocon i catechisti e i genitori dei bambini e i ragaz-zi che frequentano il catechismo. La Visita Pastorale si è conclusa con la cele-brazione che il vescovo ha presieduto

nella festività liturgicadella Conversione diSan Paolo, al quale èdedicata la parroc-chia. La terza frase cheha caratterizzato la VisitaPastorale, citata dalVescovo in una dellesue omelie, rappresentaappieno ciò che haespresso la suddettaVisita, cioè “La Gioiae la Festa che non può

mai mancare al cristiano”.Proprio così, questa parrocchia anche se “unpo’ disagiata”, ha vissuto questa settimana nel-la festa e nella gioia di poter avere nella pro-pria comunità la presenza di colui che è venu-to nel nome del Signore e questo lo si è potu-to constatare dall’accoglienza riservata alnostro Pastore nei vari incontri effettuati duran-te la settimana e dal saluto finale, il quale nonè stato un addio, ma anzi, un arrivederci.

Visita del vescovo

alla Funghitex.

Visita del vescovo all’azienda

agricola Bastiani.

Visita del vescovo

alla Sol.Pre.A.

Allevamento bovini dell’azienda

agricola del sig. Peretti Gabriele.

Allevamento ovini dell’azienda agricola

del sig. Coccia Sisto.

L’incontro del Consiglio parr.le per gli

Affari economici.

Serata di convivenza presso il locale “Velidance” del sig. R. Colonnelli.

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2828 FebbraioFebbraio20142014

Rossana Favale*

AAZIONE - agire- CATTOLICA -delcattolico- in forma laica e volonta-ria, questo è lo spirito di sintesi di

tutto l’operato dell’Associazione, indipenden-temente dai statuti, regolamenti, cariche elet-tive e ruoli. L’associazione fin dalla sua nasci-ta è stata una scuola di esperienze democra-tiche, rivolte al futuro con un agire leale nei con-fronti del prossimo, del bene comune nell’ambitosociale e politico, condivisa dall’organizzazioneecclesiale.

La condivisione molte volte è stata confrontoduro, da molti non accettato, non compreso nel-la sua complessità per i ruoli differenti tra i lai-ci i sacerdoti e i vescovi. Questi confronti hanno portato, nei centocin-quanta anni di vita associativa una formazio-ne di laicato cattolico non tonacale, ma fattodi persone che ogni giorno vivendo la quoti-dianità in famiglia, nel lavoro, nella scuola edin ogni altro luogo, rivolto nell’agire per il benecomune. Tutto questo ha portato ad iscriverenel libro dei Santi e dei Beati numerosi uomi-ni e donne che hanno creduto e lavorato nel-l’ambito dell’Azione cattolica e come ha det-

to Benedetto XVI “essi rappresentano la coro-na dell’associazione e accompagnano gliiscritti ad una vita di testimonianza e di comu-nione con il Signore in una Chiesa missiona-ria, posta dinanzi ad una emergenza educa-tiva come quella che si riscontra oggi in Italia,in una Chiesa chiamata a prove anche moltoesigenti di fedeltà, in una Chiesa che quotidianamentesi confronta con la mentalità relativistica, edo-nistica e consumistica, in una Chiesa che chia-ma all’eroismo della santità. Rivolgendosi agli iscritti ha esortato ad esse-re annunciatori instancabili, educatori prepa-

rati e generosi, testimoni coraggiosi con unafede amica dell’intelligenza sempre confidan-do nella misericordia di DIO. Con questo spirito di compartecipazione , anchenella nostra diocesi di Velletri - Segni ci stia-mo preparando alla XII Assemblea diocesanache si è svolta il 02 febbraio, il cui tema PER-SONE NUOVE IN CRISTO GESU’ riprende esat-tamente la realtà locale in quanto verranno rin-novate le cariche sociali per il consiglio diocesano,il quale parteciperà alla XV assemblea nazio-nale nella quale verranno affrontati i quattro impe-gni che caratterizzeranno la vita associativa neltriennio 2014-2016 essi sono:

1 CORRESPONSABILI DELLA GIOIAIl cristiano deve essere rivoluzionario per la

grazia (…). La grazia fa di noi rivoluzionari (…)perché cambia il cuore. Un cuore che ama, un cuore che soffre, un cuoreche gioisce con gli altri, un cuore colmo di tenerez-za per chi, portando impresse le ferite della vita,si sente alla periferia della società (Papa Francesco,Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma,17 giugno 2013) 2 LE RADICI E LE METEInteriorità e spiritualitàL’uomo è come un viandante che, attraversando

i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva,zampillante e fresca, capace di dissetare in pro-fondità il suo desiderio profondo di luce, di amore,di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo deside-rio! E Gesù ci dona quest’acqua viva: essa èlo Spirito Santo, che procede dal Padre e cheGesù riversa nei nostri cuori. (Papa Francesco,Udienza generale, 8 maggio 2013) 3 LE SCELTE E I PERCORSIAdesione e vita associativaSe vivete l’appartenenza all’Azione Cattolicacon forza, dovete vivere in questa tensione, unatensione tra l’interiorità dell’incontro con Gesù

continua nella pag. accanto

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2929FebbraioFebbraio20142014

Vincenzo Valente

DDurante il periodo d’Avvento, i bambini del

catechismo per la Prima Comunione del-

la Parrocchia di San Gioacchino di Colleferro

hanno approfondito il tema della pace e preso

parte alla campagna di solidarietà “IO NON ABI-

TO QUI.

In cammino con chi fugge dalla guerra” promossa

dalla Caritas Diocesana di Roma. La guerra in

Siria ha provocato oltre due milioni di rifugiati anco-

ra in fuga nei paesi limitrofi.

Gli operatori della Caritas di Roma ed alcu-

ni giovani sono andati in Turchia l’esta-

te scorsa ed hanno incontrato alcune di

queste persone. Questa campagna

nasce da un incontro e dalla creazione

di un legame.

La campagna, alla quale sta partecipan-

do anche la comunità parrocchiale di San

Gioacchino, ha l’obiettivo di far conoscere

la realtà e sostenere la Caritas Turchia

nell’accoglienza dei profughi provenien-

ti dalla Siria. Angelo, Giovanni Paolo, Giulia,

Maria e Maria Antonietta, aiutati dal cate-

chista Vincenzo e da Eva (servizio civi-

le in Caritas di Roma), hanno approfon-

dito il tema della pace a partire da un pas-

so del Vangelo di Matteo (Mt 3,3):

“Preparate la via del Signore, raddrizza-te i suoi sentieri!”.Che cosa significa “Preparate la via del Signore”?

Significa costruire strade di pace.

E come si costruiscono le strade di pace? Si

costruiscono creando dei legami.

Con le foto scattate in Turchia dagli operato-

ri della Caritas di Roma, i bambini del cate-

chismo hanno realizzato una grande stella come-

ta appesa poi in chiesa.

Una stella che ci indica il cammino. E se ci

accorgiamo che quello che vediamo lungo la

strada non è un bel vedere, basta non tornare

indietro e continuare con fiducia e speranza

a fare un passo dopo l’altro.

Insieme. E non è poco!

che spinge verso l’esterno e mette tutto in ques-tione, tra un andare e un tornare continuo (CardinalBergoglio all’AC Argentina, 2011)4 PER UNA VISIONE INTEGRALE DELL’UOMOAPERTO AL TRASCENDENTE Come l’Associazione può aiutare, attraversole proprie proposte formative, i propri cammi-ni e le proprie attività, a far crescere la con-sapevolezza della centralità della persona oggie della necessità di avere a cuore la vita in tut-ti i suoi momenti?In questo ultimo triennio la vita associativa dell’ACnella nostra diocesi è vissuta a fasi alterne ,con grandi lanci di entusiasmo iniziale per tut-ti i settori , seguita con un appiattimento per ilsettore adulti, e secondo le occasioni ed even-ti in forma discontinua per il settore giovani eragazzi. Si è concretizzato quello che con gran-de lungimiranza di analisi Vittorio Bachelet haapprofondito nella sua esperienza e sintetiz-zato con il seguente concetto: “Se diamo qual-cosa per la nostra attività, abbiamo sempre biso-gno di un risultato concreto, almeno parziale,per avere la forza di andare avanti altrimenti,non dico al primo insuccesso, ma al primo atten-dere prolungato del successo ci scoraggiamo,diciamo che tutto va male, che non vale la pena,

che bisogna cercare formule nuove, In sostan-za non abbiamo pazienza e non siamo capa-ci di lavorare ad un piano di largo respiro comequello della Provvidenza…”.Nel nostro caso, mai affermazione di analisi,più giusta , si identifica alla nostra associazionediocesana, con la sua complessità di territo-rio, da Segni a Velletri, piccoli paesi e grandicittà con parrocchie di campagna e parrocchiecome San Clemente con circa 16.000 residenti,con pochi sacerdoti che si devono occuparedi tutto, dall’amministrazione civile e finanzia-ria della parrocchia all’apostolato e all’assistenza.Con forme di aggregazione laicale molte vol-te non preparata o poco attenta alle finalità del-le varie associazioni di cui fanno par-te, dove l’apparire molte volte è piùimportante dell’esserci e della par-tecipazione collettiva.In diocesi, l’associazione è presentein 4 parrocchie a Velletri e 2 parrocchiea Colleferro, e sono tesserati; nelsettore adulti nr. 75, nel settore gio-vani nr. 32, nel settore ragazzi nr.53 per un totale di 160 iscritti. L’auspicioche le varie assemblee che si svol-gono ogni tre anni sia un tempo benspeso per rinnovarsi e ritrovarsi, rin-

novare la propria vocazione laicale e testimo-niare la propria appartenenza al cattolicesimovissuto giorno per giorno.La sfida del prossi-mo triennio è lavorare affinché ogni socio diazione cattolica sia sempre più consapevoledel proprio ruolo e della missione civile prin-cipale che è la tutela ed il rispetto del creato,ed in questo particolare momento di crisi, il dirit-to al lavoro e l’agire per la promozione uma-na, valorizzare il servizio associativo come ilproprio stile di vita quotidiana.

* Presidente Azione Cattolica diocesana

segue da pag. 28

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3030 FebbraioFebbraio20142014

Comunita di Segni

LLa festa della Presentazione del Signoreè una festa antica e solenne.L’Oriente bizantino la chiama la Festa

dell’Incontro, per ricordare il primo incontropubblico del Signore con il suo popolo, rap-presentato dal giusto Simeone e dalla profe-tessa Anna. Già nel IV secolo la pellegrina Egeria docu-menta questa festa nel suo Diario di viaggio:quaranta giorni dopo il 6 gennaio, aGerusalemme, si svolgeva una solenne pro-cessione andando fino all’Anastasis, il SantoSepolcro.Nel V secolo si introdussero anche le luci comerichiamo al cantico di Simeone: “Luce per illu-minare le genti”. Papa Sergio I tra il 687-701introdusse tale festa anche a Roma e ne fis-sò la data al 2 febbraio.

La Presentazione del Signore una ricorren-za strettamente pasquale, ma anche epifanica,che manifesta il Signore e anticipa laPasqua. E’ una giornata luminosa, a metà percorso trala luce del Natale e quella sfolgorante dellaPasqua. Tradizionalmente questa festa è lacosiddetta Candelora, con la Benedizione deiceri a la Processione.Quest’anno, il 2 febbraio è domenica. NellaParrocchia di S. Maria Assunta, nel Centro Storicodi Segni, alle ore 10,15, prima della messaprincipale, come è suggerito dalla Guida litur-gico-pastorale, ci siamo dati tutti appuntamentoalla Chiesa del Gesù (anche quelli che nor-malmente frequentano le altre rettorie) per laBenedizione delle Candele. Poi ha avuto luogo la solenne Processione risa-lendo per Via S. Vitaliano (la famosa via Ritta,come si dice a Segni), per giungere in Cattedrale

per la S. Messa. Con questa celebrazione comu-nitaria non soltanto abbiamo dato forte rilie-vo alla tradizionale Festa della Candelora, maci siamo sentiti membra vive del corpo di Cristoche è la Chiesa. Veramente, abbiamo fatto una bella esperienza:il Popolo santo di Dio, radunato per celebra-re la Pasqua settimanale, ha incontrato il suoSignore, per poter camminare sulle strade diquesto mondo alla luce del Vangelo.La celebrazione si è conclusa con il consue-to lancio dei palloncini colorati in Piazza S.Maria per la XXXVI Festa della Vita. Infatti, ogni anno, per la Festa della Vita, i ragaz-zi del catechismo preparano bigliettini di augu-ri, di propositi, di impegno, di preghiere perla difesa della vita; questi biglietti vengono abbi-nati ai palloncini, e così, lanciati in aria in untripudio di gioia e di festa, porteranno nei luo-ghi più impensati e chissà a quali persone l’au-gurio e la gioia di vivere.

Sara Calì

LLa festa della Candelora ricorda la pre-sentazione di Gesù al Tempio il 2 febbraio,40 giorni dopo la nascita, e la purifica-

zione della Madonna, in ottemperanza alla leggegiudaica.È tradizione, prima della S. Messa, distribuire aifedeli le candele che verranno accese e benedetteal momento della celebrazione eucaristica, poi con-servate per difendersi da temporali e da altre cala-mità. Simboleggiano Cristo come “luce del mon-do”, in ricordo delle parole di Simeone quando videil Bambino Gesù: “Ora lascia, o Signore, che il tuoservo vada in pace secondo la tua parola; perchéi miei occhi han visto la tua salvezza, preparatada te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare legenti e gloria del tuo popolo Israele”. Pare che la prima benedizione delle candele siaavvenuta in Gallia il X secolo, in occasione delleprocessioni per le cerimonie penitenziali in con-trapposizione alle “lustrazioni” pagane. Il rito è atte-stato anche in area precristiana, i Romani, infat-ti, usavano accendere candele a Giunone Februata,nel mese di febbraio dedicato alla purificazione.Del Santo, festeggiato il 3 febbraio, S. Biagio, inve-ce, si sa poco perché la cronaca del suo martirioè tardiva e in parte leggendaria. Forse medico,fu vescovo di Sebaste in Armenia. Secondo la leggenda, in seguito alla persecuzio-ne di Licinio, il Santo si rifugia in una grotta del mon-te Argeo, per poter continuare a guidare, anche dalontano, i suoi fedeli. Lo nutrono gli uccelli e altrianimali che ogni sera si mettono davanti alla grot-ta e aspettano la sua benedizione. Il fatto è riferito al Prefetto che immediatamentene ordina la cattura. Biagio non si oppone ai pre-

toriani e, durante il cammino, libera un bambinoda una spina in gola, con la sola preghiera. Per questo episodio è diventato protettore dellagola, infatti, il 3 febbraio, durante la messa, il sacer-dote tocca con due candele incrociate, benedet-te il giorno della Candelora, la gola dei fedeli, oppu-re la unge con olio di oliva. Ancora secondo la leggenda, entrati nella città diSebaste, Biagio distrugge le statue degli dei conlo sguardo. Viene sottoposto a crudeli torture: è fru-stato, posto sull’eculeo, gli slogano braccia e gam-be, poi lo straziano con pettini di ferro (molti pit-tori lo hanno raffigurato con il pastorale e il petti-ne di ferro perché protettore di cardatori e tessi-tori). Ma il Santo è fermo nella sua fede. Viene allo-ra rinchiuso in una corazza rovente e alcune don-ne che cercano di alleviargli le sofferenze, ven-gono accusate di essere cristiane, e, a loro vol-ta, torturate, bruciate e decapitate. Anche per S. Biagio è la fine: gettato in uno sta-gno con una pietra al collo, miracolosamente risa-le in superficie e cammina sull’acqua, sfida i paga-ni a invocare la potenza dei loro dei per cammi-nare sulle onde. Gli ottanta uomini che accettano,periscono miseramente annegati. Allora un Angelogli dice: “Ora va’ a ricevere la corona che Iddio tiha preparato”, l’indomani, il 3 febbraio del 316, ilSanto viene decapitato. Le sue reliquie sono con-servate a Maratea, dove è molto venerato, e a Romadove è conservata la gola, molte altre sono spar-se in diversi luoghi di culto europei.

Nell’immagine del titolo:San Biagio, 1491,Hans Memling, Lubecca, Sankt-Annen-Museum.

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3131FebbraioFebbraio20142014

Sabina Iarussi

II l 20 dicembre, nella sala Pio XIdella Concattedrale S. MariaAssunta di Segni, la Compagnia

Teatrale Parrocchiale “Piccoli Ciclopici”,cresciuta nel numero dei componenti,ma soprattutto nelle capacità artisticheed espressive, è tornata a cimentarsi nel-lo spettacolo Il Paese dei Natali incro-ciati, messo in scena in occasione del-la Cerimonia di Apertura della V Edizionedel Concorso di Presepi “La Notte de Nataleè Notte Santa, ha nato jo Bambinéglioalla capanna”. Una storia di incontri, quella rappresentatae quella personale dei piccoli attori: “incro-ci” di fiabe, personaggi e scenari;incontri e confronti di persone e di vite;storie di crescita, di conquista di sen-so e di consapevolezza, maturati pro-gressivamente nell’ambito dell’ormaipluriennale attività del Laboratorio Teatrale, sot-to la guida sapiente della Prof.ssa Simonetta Ercolie dei suoi preziosi collaboratori, fortemente soste-nuta e incoraggiata dal Parroco, Mons. FrancoFagioloAl centro di tutto ci sono i bambini che, nella cor-nice di una biblioteca, incontrandosi nelle let-ture, incontrano il Natale e, leggendo un libro,schiudono quel piccolo scrigno luminoso di imma-gini e sogni, di racconti narrati ed agiti nello spa-zio scenico e imparano a conoscersi, ricono-scendosi in ciò che solo apparentemente è remo-to e “Altro”: nell’alterità dei mondi di fiaba (il pae-se di Chinonsò de“Il Grinch” di Theodor SeussGeisel), degli oggetti animati e degli animali magi-ci (l’anima segreta delle cose parlanti e salvifi-che de “L’uccellino azzurro” di MauriceMaeterlinck), delle frizzanti maschere popola-ri che incastonano la “Storia delle Storie” (la Nativitàde “La cantata dei pastori”, tratta da un testodel 1698 di Andrea Perrucci), della parola poe-tica, riecheggiata in rapide, ma significative cita-zioni (il monito di Ada Merini a vivere l’ “oggi den-tro la storia” personale e universale o quello diBrodskij sull’importanza della lettura… ).

I piccoli attori, funamboli sul filo sottile che sepa-ra realtà e finzione, fondendo in tal modo iden-tità e Altro da sé, sulla scena si fanno perso-naggi mentre incontrano sé stessi e, interpre-tando più ruoli (volti e maschere, persone rea-li e animali, bambini e oggetti parlanti e danzantio pozzi narranti),sfiorano la dimen-sione metateatra-le, porgendo aglispettatori, sull’on-da lieve della fia-ba, il messaggio diVita del Bambinoche nasce.Lo spettacolo, la cuirealizzazione que-st’anno ha richie-sto un incremen-to di tempo e diimpegno nell’atti-vità laboratoriale diformazione, datol’accresciuto nume-ro di bambini di età

e di esperienza mol-to diverse, è stato,come sempre, cura-to nel dettaglio anchenegli aspetti tecnici sce-nografici e musicali,grazie alla competenteregia di SimonettaErcoli e alla valida col-laborazione dell’Aiutoregia di Laura Valenzi,Antonietta del Regnoe Alessandra Battisti,alla perizia di Lucae Gianfranco Caporilliche hanno curatodirettamente l’alle-stimento e l’organiz-

zazione, nonché alla disponibilità di molti geni-tori che si sono prodigati in ogni modo, consa-pevoli del valore formativo di questa attivitàE’ doveroso infine menzionare tutti i giovani atto-ri che hanno calcato la scena, animati certamenteda passione e creatività, ma sorretti anche da

costanza, autodisciplina e determinazione,maturate nella condivisione di un progetto e diun cammino di crescita:Alessio Veronica, Anastasia Arleo, Shari Baglioni,Alessio Bianconi, Anton Braharu, JoannaBraharu, Gioele Brandimarte, Sara Brandimarte,Fabio Caporilli, Roberto Caporilli, GioeleCaratelli, Tommaso Caratelli, Ludovica Ciotti, ChiaraColaiacomo, Daniela Colaiacomo, FrancescoColaiacomo, Natalie Colaiacomo, Sara Colaiacomo,Greta Coluzzi, Tiziano Coluzzi, Anita Cozzi, FrancescaDi Malta, Giorgia Gagliarducci, Alessio Iacobucci,Rebecca Lorenzi, Sara Lorenzi, Laura Marchetti,Noemi Pizzotti, Matilde Salvi, Denise Santoro,Michelangelo Sebastiani, Nicole Sportoletti, AgneseWaclaw.

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3232 FebbraioFebbraio20142014

Natalina Zanatta

DDomenica 12 gennaio 1.000 perso-ne presenti al Teatro Orione diRoma e molti di più in diretta strea-

ming da varie parti del Mondo hanno festeggiatoi 20 anni di nascita della Comunità Nuovi Orizzonti,fondata da Chiara Amirante, che interviene intutti gli ambiti disagio sociale realizzando azio-ni di solidarietà a sostegno di chi vive situazio-ni di grave difficoltà, prostituzione, dipendenza

da alcol e droga. In programma l’intervento diapertura di Chiara, testimonianze dei primi ragaz-zi accolti e di coloro che hanno visto nascerela Comunità, la Celebrazione della SantaMessa e momenti musicali e artistici con notiesponenti del mondo culturale e dello spetta-colo. Erano presenti anche amici come AndreaBocelli, Filippo Neviani (NEK), Lorella Cuccarini,Matteo Marzotto, e tanti altri ma soprattutto il“popolo di risorti”: i ragazzi e le ragazze chevivono nelle Comunità e nei centri di spirituali-tà di Nuovi Orizzonti, che sono stati letteralmentestrappati alla morte dell’anima e del corpo.Nell’occasione è stato presentato il nuovo volu-

me della fondatrice “E gioia sia. Il segreto perla felicità”, introdotto dalla prefazione di LorellaCuccarini, nelle librerie dal 14 gennaio 2014 (Ed.Piemme). “Provo profonda commozione nel cuo-re e tanta gratitudine a Dio per aver strappatomigliaia di vite alla disperazione - ha detto ChiaraAmirante. Mi sembrava una follia lasciare le miesicurezze e comodità per seguire il Vangelo, mase non l’avessi fatto non avrei avuto una vitapiena, non avrei mai provato quella gioia pie-na, divina, vera, che non passa e che oggi pos-

so testimoniare. Eccoperché abbiam volutoche questo ventennale coin-cidesse con l’uscita del libro“E gioia sia”: per condi-videre con tutti la chiamataalla gioia di cristiani e noncristiani. Tutti dobbiamocrescere nella gioia e lagioia dipende da come sce-gliamo di vivere. Il segre-to per la felicita?Lo rivela Gesù nel Vangelodi Giovanni (cap.15): “Rimanete nel mioamore. Vi dico queste seperché la mia GIOIA siain voi e la vostra GIOIAsia PIENA. Amatevi COME

io vi amato.” La gioia è conservare la grati-tudine del cuore anche nei momenti di doloree non smettere mai di amare, anche dopo feritedolorosissime dell’anima”.Alcune dichiarazioni:NEK: Ho conosciuto Nuovi Orizzonti 10 anni faed è stato un colpo di fulmine, amore a primavista. Mi han colpito gli sguardi amorevoli neimiei confronti. Mi è subito piaciuta la decodifi-ca di Dio che Chiara sa fare. Da quando l’hoconosciuta metto sempre un po’ di Dio nei mieidischi. Nelle case di recupero della Comunità,invece di darmi la mano mi hanno abbraccia-to. Oggi siamo tutti molto distanti. Quello di Nuovi

Orizzonti è un buon modo di combattere la malat-tia dell’indifferenza e uno strumento per ricor-darsi che non siamo eterni (solo Dio è eterno),ma siamo immortali.ANDREA BOCELLI: Cito 2 aneddoti per spie-gare cosa significa l’ ”amore” di cui parla ChiaraAmirante. Il primo: un professore all’Universitàdiceva che se nel mondo c’è il male, allora Dionon esiste. Un alunno gli chiese: professore, secon-do lei esiste il freddo? Lui rispose: non esiste,è solo assenza di caldo e il buio è solo assen-za di luce. Lo studente concluse: quindi ancheil male è solo assenza di bene, cioè assenzadi Dio. Il professore chiese: chi sei? Rispose:Albert Einstein. La fede in Dio, allora, non è affat-to cosa di poco conto ... è un raggio di sole inquesto mondo che del sole ha tanto bisogno.Secondo aneddoto: Madre Teresa si trovò accan-to a un sofferente che emanava cattivo odore.Un passante le disse: io non lo farei per tuttol’oro mondo. Lei rispose: nemmeno io! Questoè l’amore. LOREDANA SENO (prima amica che ha accom-pagnato Chiara nelle uscite di strada): L’orizzontedi Dio è proprio infinito…chi avrebbe immagi-nato di accogliere tutte queste persone! Chi avreb-be mai pensato a questa opera così grande?Ricordo i primi anni a Trigoria, quando ancheio ho lasciato casa e lavoro per dedicarmi agliemarginati. Ricordo la bellezza della vita dei pri-mi anni, la naturalezza e semplicità nel fare lecose, la radicalità delle scelte data dall’ispira-zione divina, vivere la povertà come la cosa piùsemplice del mondo. Camminavamo solo perfede, quasi incosciente, solo con la folle certezzanella Provvidenza di Dio. Chiedevamo offertecon la scatola da scarpe, con la semplicità deibambini. Il clima era quello di una vera famiglia:entravi in casa e non sapevi chi era l’ultimo ragaz-zo accolto e chi era il responsabile.PAOLO ZANNI (primo ragazzo accolto aTrigoria): quando sono entrato in comunità micorrevano dietro 3 magistrati, per non contare

continua nella pag. accanto

Filippo Neviani (NEK) e Chiara Amirante.

Chiara Amirante con Andrea Bocelli.

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carabinieri, panettieri, baristi e tutto ilresto…per i guai che avevo combina-to. Chiara Amirante è laureata inScienze Politiche, io invece ho tre Master:due a Regina Coeli e uno a Rebibbia.All’inizio è stato difficilissimo: Chiara,Loredana e Tonino (il primo amico di Chiarasceso in strada), mi parlavano di ama-re il fratello, del Vangelo, ma io avevoun piede nella tomba e “nun ce la pote-vo fa’”. Poi ho capito che Dio è Padre,è stata dura perché io mio padre la pri-ma volta che l’ho visto era legato conla camicia di forza. Anni duri, quelli di

Trigoria, ma bellissimi. Coi materassi in terra per dormi-re, ma uno spirito di libertà dav-vero unico. Giochi, scherzi, par-tite di calcio, tutte le pazzie cheDio ti chiede di fare! La mia storia personale è moltodura e dolorosa, ma guardando comeDio ha trasformato la mia vita, ecos’è diventata Nuovi Orizzonti oggi,non riesco più a raccontare la par-te negativa di me. Io in questi 20anni forse non mi sono santifica-to ma sicuramente mi sono sal-vato la vita. Sono salvo…

equipe Progetto Policoro

II ll centro diocesano per il Progetto Policoro, l’Azione Cattolica dio-cesana e la Caritas diocesana, unitamente al gruppo embriona-le del Movimento lavoratori di Azione Cattolica (Mlac diocesano)

con il patrocinio della Diocesi Suburbicaria di Velletri-Segni e con il par-tenariato della Cooperativa sociale “il Melograno” (di Valmontone), sonolieti di presentarvi il progetto: “Impariamoi mestieri agricoli”. Il progetto che intendiamo realizzare nel ter-ritorio diocesano di Velletri-Segni mira, asensibilizzare e a sviluppare forme di atten-zione al mondo dell’agricoltura per svilup-pare l’attivazione di buone pratiche che con-sentano la valorizzazione delle risorse esi-stenti: sia di tipo ambientale che umane. L’attività che ci sembra più adatta a inne-scare un tale processo virtuoso risulta esse-re l’attivazione di “laboratori dei mestieri agri-coli”. Il primo laboratorio che proponiamoper l’anno 2014 è il Corso base di apicol-tura: primo laboratorio teorico/pratico deimestieri agricoli articolato in 4 incontri percomplessive 20 ore, per un massimo di 30(trenta) partecipanti che si svolgerà pres-so il Centro di Spiritualità Santa Maria dell’Acero(Via Colle dell’Acero, 165 – 00049 Velletri). Tale percorso formativo si svolgerà a caden-za annuale e sarà propedeutico per la par-tecipazione ai successivi corsi specialisti-ci. Le lezioni per il 2014 seguiranno il seguen-te calendario didattico:

- Primo incontro sabato 22 Febbraio 2014.Apicoltura, amatoriale e professionale, hobbyo fonte di reddito? Importanza dell’apicol-tura per il territorio (ecologia, fiori e piante) e per l’agricoltura.Morfologia e biologia delle api (regina, operaie, fuchi). La famiglia del-le api come organismo sociale. Calendario delle attività in apiario. Abbigliamentonecessario dell’apicoltore (guanti, maschere, camiciotti, tute, scarpe chiu-se) e relativi costi.

- Secondo incontro sabato 1 marzo 2014.La casa delle api: in natura e nell’allevamento. L’arnia a fondo pieno fis-so, a fondo antivarroa fisso rete, a fondo mobile con rete antivarroa. Varitipi d’arnia: Dadant standard, a cubo, Langstroth). L’attrezzatura apistica (nido, melario, telaini per nido e per melario, foglicerei, trasformatore, leve, diaframma, affumicatore, escludiregina, api-scampo, nutritore, poggiatelaino, ecc.).

Localizzazione e disposizione degli alveari. La sciamatura, la cattura deglisciami e le tecniche di fusione degli sciami. L’arnietta portasciami, piglia-sciami a sacco. Controllo della sciamatura e la creazione di sciami arti-ficiali. Costo d’uno sciame.

- Terzo incontro sabato 8 marzo 2014.La produzione del miele: il lavoro delle api dai fiori all’arnia, per il nido

e per il melario. Importanza della flora api-stica scadenzata nei 12 mesi dell’anno. Conoscenza delle piante nettarifere e/o pol-linifere e loro tempi di fioritura. Apicoltorecome piantatore d’alberi e fiori. Prelievo deimelari: con apiscampo, con soffiatore, conspazzola. Il laboratorio: norme di igiene.Operazioni di laboratorio: disopercolatura,centrifugazione, crivellazione, filtrazione, matu-razione, invasettamento. Strumenti e relativi costi: banco e coltelli oforchette per disopercolare, centrifuga,crivelli, filtri, maturatori, rifrattometro, vasiper il miele. Classificazione del miele: mono-florale, poliflorale, di melata. Il colore, la liqui-dità e la cristallizzazione. Norme per l’etichettatura.

- Quarto incontro sabato 15 marzo 2014.Altri prodotti dell’alveare: la propoli. Comeraccoglierla e come lavorarla. Il polline. Lacera. La gelatina o pappa reale. Il velenod’api. Principali malattie delle api. Legislazioneattinente alle api ed alla commercializza-zione dei prodotti dell’alveare (partita IVAo meno, denuncia alla ASL, registri dei trat-tamenti e della produzione).Il corso sarà preceduto da una tavola roton-da sul tema “Mettiamoci le Mani”.

Al termine del ciclo di studi teorici è prevista una esercitazione praticadei corsisti all’interno dell’apiario, nonché l’attivazione di Percorsi didat-tici aperti a gruppi di Acr, gruppi scolastici, gruppi informali (es. famiglie,Casa Famiglia Nazareth, ecc) e a quanti fossero interessati a visitarlo.Infine, ogni corsista riceverà un manuale tecnico, delle dispense illustrativee un attestato di frequenza, usufruirà altresì del materiale tecnico perapicoltore e apicoltura, avrà la possibilità di intrattenersi per il pranzograzie al servizio di ristoro attivo nel centro diocesano.

Per maggiori informazioni e/o iscrizioni:Tel: 3406845924

Email: [email protected]

segue da pag. 32

Chiara Amirante conLorella Cuccarini.

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Ciro Gravier Oliviero

II ll 18 dicembre scorso nella chiesa parrocchiale di San GiovanniBattista a Velletri si è tenuto, in unisono tra il Museo Diocesano(il cui Presidente è don Marco Nemesi) e il Comitato Veliterno

per il bimillenario augusteo, un incontro centrato sulla Kalenda di Natale.La cerimonia si è svolta in due fasi: una prima, di natura prettamenteculturale, con l’analisi e la spiegazione del testo della Kalenda (curatada Ciro Gravier Oliviero, coordinatore del Comitato) e un dotto interventodi don Dario Vitali sulla genealogia di Cristo nei Vangeli, che è stata unaapprofondita rilettura della storia della salvezza; ed una seconda, piùspecificatamente religiosa, che è consistita nella celebrazione del Vesprodi Natale all’interno del quale don Franco Fagiolo, parroco di Segni eresponsabile del canto liturgico nella diocesi di Velletri-Segni, ha can-tato la Kalenda in lingua latina e ingregoriano, suscitando una viva emo-zione.Una profonda riflessione è stata pro-posta ai presenti da Sua Eccellenzail Vescovo Apicella, che ha presie-duto il Vespro. Egli ha messo in paral-lelo il natale di Cristo con la sua mor-te e resurrezione, che la nascita pre-figura e giustifica. I Vangeli usanonelle due circostanze le stesse paro-le. Per la nascita: Maria avvolse ilbambino in fasce e lo depose in unamangiatoia perché non c’era per loroun posto nella locanda. Per la mor-te: deposto dalla croce, Cristo fu avvol-to in un sudario e deposto in un sepol-cro dato in prestito, perché non c’e-ra una tomba per lui. L’evento ha inteso essere anche unavvio dell’anno 2014 in cui si com-memora il bimillenario della mortedi Augusto: nella Kalenda si dice infat-ti “… nell’anno quarantaduesimo del-l’impero di Cesare Ottaviano Augusto,quando in tutto il mondo regnava lapace, … nasce Gesù Cristo …”.

Ma che cosa è esattamente la

Kalenda di Natale?

È un antichissimo testo del-la liturgia cristiana di rito roma-no che il diacono intonavala notte di Natale (“in vigi-lia Nativitatis Domini”), al ter-mine del rito solenne dei PrimiVespri e prima della SantaMessa. È una splendida ricapitola-zione dei principali eventi bibli-ci (il diluvio, il viaggio di Abramo,la fuga degli Ebrei dall’Egittosotto la guida di Mosè, l’in-coronazione di Davide, la pro-fezia di Daniele) e delle datestoriche più significative e diriferimento universale del mon-do greco-romano (le Olimpiadi,

la fondazione di Roma, Augusto) dalla creazione del mondo fino all’av-vento di Cristo. Dal punto di vista musicale è un autentico gioiello del-la musica sacra della Chiesa d’Occidente. Se ne conoscono due versioni: una più antica, di origine medievale, eduna più recente (del 2001) che, a seguito della riforma liturgica volutadal Concilio, ha sostituito definitivamente la precedente, con la rimozionedi elementi e datazioni che non erano più d’accordo con l’esegesi aggior-nata dei testi sacri.Di seguito riportiamo entrambi i testi, con la traduzione italiana del testoattuale e la relativa spiegazione dei versetti, dai quali appare evidenteche tutte le vicende umane sono finalizzate, nella visione della Chiesa,alla venuta del Messia Salvatore, figlio di Dio, che è il vero signore del-la storia.

continua nella pag. accanto

L’intervento di don Dario Vitali.

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Claudio Capretti

UUna delle pagine della nostra storia nazio-nale che non ci fanno onore è certa-mente quella che riguarda le leggi anti

ebraiche, introdotte nel sistema giuridico dal gover-no fascista nel settembre del 1938. Non pos-siamo far finta che non sia successo nulla, edè per questo che occorre mantenere accesala lampada della storia, alimentarla con l’olio del-la memoria, affinché questa luce possa preservarcidagli inganni del male e simili mostruosità nonabbiano mai più a ripetersi. Questo articolo ha lo scopo non solo di fare memo-ria di un evento così triste, ma anche quello diricordare la figura di un grande pontefice, PioXI, nella ricorrenza del 75° anniversario del suoritorno alla casa del Padre, che avvenne il 10febbraio 1939. Vorrei quindi evidenziare quale fu l’atteggiamentoche il Pontefice assunse nei riguardi delle leg-gi razziali cercando di smontare una delle tan-te “leggende nere” inerenti ai presunti silenzi del-la Chiesa a riguardo della questione ebraica. Macerchiamo di andare con ordine. Il 5 e il 7 settembre furono approvati due decre-ti leggi che riguardavano gli ebrei; il primo è quel-lo sulla scuola (il cosiddetto “decreto Bottai”);e l’altro inerente all’espulsione degli ebrei stra-nieri dal territorio italiano. E’ da specificare che già da un anno esisteva-no delle leggi per la “difesa della razza”, crea-te per scoraggiare l’unione tra gli italiani e le don-ne delle colonie africane. Il decreto-legge riguar-dante la scuola, stabiliva l’espulsione immediatadall’insegnamento delle scuole italiane di ogniordine e grado, di persone di razza ebraica.Inoltre l’art. 2 statuiva: “ Alle scuole di ogni ordi-ne e grado ai cui studi sia riconosciuto effettolegale, non potranno essere iscritti alunni di raz-za ebraica”.

Lo storico Giovanni Sale evidenzia chela scelta di applicare la legislazione antiebraica partendo dalle scuole non era casua-le, non solo perché entrava in vigore all’i-nizio dell’anno scolastico, ma anche per-ché per la prima volta il problema degliebrei veniva posto dinnanzi alla nazione.Il secondo decreto riguardava il divietoagli ebrei stranieri di fissare stabiledimora presso i territori dell’Italia e dei ter-ritori occupati. Venivano inoltre revocate le concessio-ni di cittadinanza italiana fatta ad ebreistranieri posteriormente al 1° gennaio 1919.La maggioranza degli italiani e in modoparticolare i cattolici, accolsero con indi-gnazione e con rabbia la legislazione anti-

semita. Molte furono le lettere inviate alVaticano con la richiesta che il Santo Padre inter-venisse presso Mussolini in favore degli ebrei.Pio XI il 9 settembre tramite il padre gesuita PietroTacchi Venturi, trasmise il seguente messaggioa Mussolini:“Il Santo Padre come italiano si rattrista vera-mente di vedere dimenticata tutta una sto-ria di buon senso italiano, per aprire la por-ta o la finestra a un’ondata di antisemitismotedesco”. Dal canto suo Mussolini il 18 settembre da Trieste,rispose indirettamente che l’Italia non aveva deci-so la politica razziale per fare “cosa gradita” allaGermania, aggiungendo inoltre che “l’ebraismomondiale è sempre stato un nemico giurato delfascismo”. I due decreti non fecero altro che gettare le basiper una politica ancora più discriminatoria neiconfronti degli ebrei italiani. Ciò si verificò il 6ottobre 1938, quando il Gran Consiglio fascista,adottò le seguenti delibere:1. Divieto di matrimonio tra italiani/e appartenentia razze non ariane;2. Espulsione degli ebrei dal partito fascista; 3. Divieto per gli ebrei di “essere possessori odirigenti di aziende di qualsiasi natura che impie-ghino cento o più persone” o “essere posses-sori di oltre cinquanta ettari di terreno”;4. Divieto di prestare servizio militare; 5. Allontanamento dagli uffici pubblici; 6. Speciale regolamentazione per l’acces-so alle professioni. Gli ebrei, per mezzodi queste disposi-zioni, venivano inse-riti in uno status giu-ridico diverso daquello degli italiani. Lo stesso giorno,Pio XI, pro-nunciò un

memorabile discorso contro il razzismo e con-tro l’antisemitismo. Esso non fu divulgato in Italiaa causa delle disposizioni date ai prefetti dalministro Alfieri il 5 agosto 1938, che consiste-vano di vietare che i discorsi del Papa contro ilrazzismo venissero pubblicati da riviste e gior-nali cattolici. Tutto ciò favorì la causa del razzismo, in quan-to diede l’idea che il Santo Padre, per motivi poli-tici, non avesse voluto prendere una posizionechiara. Riportiamo il punto saliente del discorso che ilPapa tenne a Castel Gandolfo davanti a dei pel-legrini belgi, facendo riferimento alla parola del-l’apostolo Paolo, sulla nostra discendenza spi-rituale con Abramo: “L’antisemitismo non è compatibile con il sub-lime pensiero e la realtà evocata in questotesto. L’antisemitismo è un movimentoodioso, con cui noi cristiani non dobbiamoavere nulla a che fare. Non è lecito che i cri-stiani prendano parte all’antisemitismo. Noiriconosciamo che ognuno ha il diritto all’au-todifesa e che può intraprendere le azioni neces-sarie per salvaguardare gli interessi legitti-mi. Ma l’antisemitismo è inammissibile.Spiritualmente siamo tutti semiti”. Sono parole chiarissime pronunciate con dolo-re che esprimono tutto il disappunto e la sof-ferenza del Santo Padre per la sciagura che sta-va per abbattersi sugli ebrei . In attesa delle disposizioni legislative del GranConsiglio, la Santa Sede adottò un atteggiamentodi prudenza al fine di non esasperare l’animodi Mussolini il quale già da tempo era maldispostonei riguardi del Papa. In questo momento storico ogni intervento diret-to del Vaticano contro il Gran Consiglio, avreb-be solo peggiorato la situazione. A prevalere fu quindi questa linea, con l’inten-to di salvare il salvabile e non nuocere ulteriormenteagli ebrei. Di rilevanza fu un documento che laSanta Sede promulgò per i vescovi ordinandoloro di istruire il clero e quindi di conseguenzai fedeli, sui pericoli delle tesi del razzismo esa-sperato. Tutto ciò doveva essere fatto con la mas-sima prudenza. Oggi sono in

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molti che, senza avere una cognizione storica ed una conoscenza di que-sti fatti, non si fa scrupolo di accusare la Chiesa di un silenzio e di un’o-mertà, che mai ci furono.E’ bene ricordarlo con forza, la Chiesa non fu mai spettatrice passiva ditale aberrazione. Essa si adoperò in ogni modo e con ogni mezzo al finedi evitare il peggio e di alleviare le sofferenze degli ebrei. E con altret-tanta prudenza e determinazione si mosse il suo successore, Pio XII.Se il Santo Padre, Pio XI avesse fatto ciò che oggi molti reclamano (com-preso anche qualche esponente del mondo ebraico), o meglio, un’ac-cusa frontale contro le leggi razziali e di conseguenza un accusa con-tro il nazi-fascismo, il popolo ebraico avrebbe pagato un prezzo moltopiù alto di quello che pagò in vite umane. Ed oggi, le ideologie del male tramite i loro “pifferai magici”, sarebberoben felici di accusare la Chiesa che avrebbe fatto meglio ad adottare unatteggiamento più prudente, ne si farebbero scrupoli a ritenerla comeunica responsabile delle conseguenze nefaste derivate da un’imprudenzache, per grazia di Dio, non ci fu.Il male, fin dalle origini non fa altro che fare il suo mestiere, che in defi-nitiva è quello di nascondersi nel diffondersi, e una delle sue tattiche pre-ferite è quella di distogliere l’attenzione su di se accusando Colei (forsel’unica) che realmente lo contrasta da secoli, o meglio, la Chiesa.E’ la logica del male che instancabilmente (pur cambiando orchestrali,strumenti e direttori d’orchestra nell’arco della storia), non fa che ripe-tere la consumata musica di sempre con le medesime stonature, chesolo un orecchio attento può avvertire. “La Chiesa” affermava papa GiovanniXXIII, “ha molti nemici, ma non è nemica di nessuno”.

ECUMENISMO

Settimana di

Preghiera per

l’Unità dei Cristiani

18 - 25 gennaio 2014

NNell’ambito della

Settimana diPreghiera per l’Unità

dei Cristiani il 18 e il 23 gen-

naio u.s., alle ore 18.30, rispet-

tivamente presso la Cattedrale

e il Centro Ecumene di Velletri, si sono svol-

ti due incontri che hanno visto, nel nome del

Signore Nostro Gesù Cristo, la comunità cat-

tolica, quella metodista e quella ortodossa rume-

na unite, consapevoli delle loro diversità, in

un’unica Chiesa in preghiera.

Gli incontri sono stati presieduti da S.E. Mons.

Vincenzo Apicella, dal Rev. Pastore Massimo

Aquilante e dal Rev. Padre Vasile Radu che,

nelle loro meditazioni, hanno evidenziato come

la strada ecumenica è lunga e piena d’insi-

die, ma che può essere resa meno faticosa e

più agevole con la conoscenza, l’ascolto, il

rispetto reciproco valori che sviluppiamo e acqui-

siamo nello stare insie-

me e nella preghiera

comune.

Un folto numero di fede-

li delle tre comunità ha

partecipato agli even-

ti con entusiasmo e sin-

cero spirito ecumenico

elevando a Dio, con pre-

ghiere e canti, una

liturgia di lode che

oserei definire prefi-

gurazione paradisiaca

tanto era la comunio-

ne che si respirava tra

le tre comunità.

segue da pag. 36

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3838 FebbraioFebbraio20142014

Stanislao Fioramonti

SSono immagini sacre poste dentro una nic-chia (quadrata, rettangolare, ovale...) e siste-mate su palazzi privati o pubblici (su fac-

ciata, parete laterale, angolo o portone d’ingres-so), su torri o campanili oppure sui muri delle stra-de pubbliche a scopo protettivo o a ricordo di fat-ti o volontà particolari avvenuti nel corso della sto-ria. La parola latina Aedicula significa appunto pic-cola casa, tempietto e le edicole hanno spessoorigini remote, ad esempio nell’antica Roma daitempietti agli dei Lari, protettori della casa; furo-no erette come luoghi di preghiera per i viandantie stanno a ricordare la presenza di Dio e il dove-re del cristiano di pregare sempre e dovunque.A differenza delle chiese, l’edicola sta dove si svol-ge la vita del popolo, quasi a proteggerlo e bene-dirlo. Rappresenta la manifestazione concreta del-la devozione popolare verso la Madonna, espres-sa con ex voto, targhe-ricordo o più semplicementecon fiori sempre freschi o con un lume sempreacceso, che ha pure la funzione civica di rischia-rare le strade buie a favore dei viandanti.Specialmente nel mese di maggio, dedicato a Maria,davanti alle Madonnelle inghirlandate di verdura

e fiori si recitava il rosario, si cantavano gli innimariani e in qualche occasione particolare si cele-bravano anche messe o funzioni religiose com-memorative. A Valmontone ne restano diverse:1) Maiolica del Salvatore posta nell’anno 1900all’angolo del palazzo Trifogli (già Capri-Galanti)con piazza U. Pilozzi. (vedi foto 1)2) Immagine del Salvatore nella casa che eradei Giorgi in via S. Francesco 13. (vedi foto 2)3) Madonna al balcone di palazzo Bertarelli inpiazza Giusto de’ Conti; una fascia marmorea sot-totante reca la scritta “Protexisti me” e volti di angio-letti in bassorilievo. (vedi foto 3)4) Madonna sulla casa-torre dei Portici, postanel 1945 dopo la ricostruzione post-bellica di piaz-za della Repubblica e delle case della Valle. (vedi foto 4)5) Madonnina in via del Balcone, casa di AdrianaD’Emilia, dal 1962 di Maria Malaspina.6) Madonnina in via S. Stefano, sul muro poste-riore della chiesa, voluta da Angelo Mascipaolonel 1996 dopo i lavori per le tubature del gas meta-no.7) Due nicchie alla prima curva della salita diColle Ventrano. La più recente (vedi foto 5) èposta nel muro, contornata da ciottoli di fiume cemen-tati, senza scritte; contiene due statuine, una del-la Madonna Immacolata, e una più piccola di S.Bernadette. Ricorda dunque il santuario diLourdes. Secondo GinoCaporossi, sarebbe stata“restaurata dai fratelli Petrucciprima della guerra; poiTintisona ha fatto sistemarela nicchietta nel muro dicemento”.8) Pietà (rovinata) in via PortaRomana, sull’ingresso del risto-rante Il Tasciotto.9) Sacro Cuore in viaMolino S. Giovanni, sull’in-gresso dello studio notarile.10) Nicchia della Madonnaverso la fine di viale Kennedy,per celebrare il mese dimaggio.11) Lastra marmorea delpatrono S. Luigi Gonzagasul muro dell’ arco di Via Nova,realizzata e donata alla cit-

tà da Benedetto Zappalà nel 1991, nel 4°Centenario della morte del santo. (vedi foto 6)12) Edicola di S. Antonio di Padova in largoS. Maria in Selce 12.13) Edicola vuota sull’ingresso secondario (ver-so la via Nova) del palazzo Doria. (vedi foto 7)14) Una delle più antiche è l’ Edicola della Madonnadel Buon Consiglio in via della Passeggiata,(vedi foto 8) una rientranza stretta tra due palaz-zi e chiusa da un cancelletto, che contiene unaimmagine mariana incorniciata. Si trova a 20 metridall’incrocio di via della Passeggiata con via Casilina,sulla destra scendendo.Luigina Piccirillli (1919-2005), che ha abitato pertantissimi anni lì vicino, ricordava che quando erapiccola “le case che ora si vedono non c’erano,ma la Madonna c’era; c’erano due soli apparta-menti, dove vivevano altrettante famiglie. Dietrola cappella, che prima era più grande, c’era unarimessa per il carbone. Poi la guerra ha distrut-to tutto e nel 1955-56 hanno costruito tutte que-ste case, lasciando la cappella ma riducendonele dimensioni. Il palazzo nel quale rimase inseri-ta apparteneva a una famiglia che oggi non vivepiù a Valmontone, ed è stato acquistato verso il1949 da Giovanni Valentino e Maria Santini”. E’ questa famiglia che da allora si occupa dellaedicola, alla quale è legata una curiosa leggen-da che racconteremo in anteprima, la leggenda

del tesoro di San Leonardo. Esisteva untempo presso la porta Napoletana il mona-stero di San Leonardo de Valle Montono,fondato probabilmente nel 1351 daIldebrandino Conti, figlio del feudatariodel castello e vescovo di Padova. Appartenne inizialmente ai monacibenedettini Olivetani, fondati nel 1313dal senese Bernardo Tolomei a MonteOliveto. Nel 1523 il monastero risulta apparte-nere ai monaci benedettini Celestini, isti-tuiti da papa Celestino V sul finire del‘300 (v. Monasticon Italiae, Cesena 1981),ma nella seconda metà del ‘700, in segui-to alla decadenza di tale Ordine, il mona-

Foto 1. Foto 2.

Foto 3.Foto 4.

continua a pag.39

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stero fu venduto e ridotto ad abitazione privata. La sua chiesa guardava la piazza d’armi del bor-go e forse per qualche tempo fu adibita a cap-pella militare, ma poi fu demolita e non restò cheil nome di San Leonardo alla zona e al torrionepiù orientale del paese, dove sarebbe sorto l’OspedaleCivile Vittorio Emanuele III.I particolari della leggenda del tesoro di San Leonardoli ho conosciuti da Angelo Maria Cretacci (1912-1990), originario dell’Arnara (FR), che abitava conla moglie Amelia Ferretti (1905-1987) nella casaricavata dal monastero e che affermava: “Raccontavano i paesani che un carcerato di Velletriaveva detto che a San Leonardo, all’uscita del Soledi Valmontone (porta Napoletana era anticamentechiamata anche porta Orientale o porta del Sole,n. d. R.), c’era una casetta che dava su una scar-pata lungo la quale spuntava una pianta di fico:sotto di essa era sepolta una conca contenente60 lingotti d’oro. Il carcerato aveva detto pure che

chi trovava il tesoro doveva costruire un’edicolaalla Madonna del Buon Consiglio (quella esistenteoggi in via della Passeggiata)”. Quando nell’ulti-mo quarto dell’800 si stava costruendo la“Passeggiata Regina Margherita” (oggi via dellaPasseggiata), un certo Giorgi era il caposquadradegli operai, i quali erano piuttosto ingenui, “ottu-si” diceva Cretacci. Durante il lavoro sotto la rupedi San Leonardo uno di questi operai all’improv-viso gridò: ‘Giorgi, me s’è ficcato jo’ picco’!’; Giorgiaccorse e conoscendo la storia del tesoronascosto, quando in quel punto vide affiorare pez-zi di rame capì l’antifona e mandò quei poveret-ti a lavorare più avanti dicendo: ‘Quì ci penso io’.Cretacci venne a Valmontone nel 1932 e la sto-ria del tesoro gliela raccontò la suocera valmon-tonese Maria Cecconi, vedova di un ferroviere roma-no, Michele Ferretti, morto per incidente sul lavo-ro. Angelo abitava a San Leonardo e la sua pro-prietà arrivava, attraverso una scarpata a tre gra-

dini, fin giù alla Passeggiata. Sperando di trova-re quella fortuna, comprò da Pepparello Leoni 25metri di rete a maglia e diversi passoni, facendoanche un debito di 25 lire! Recintò tutta la scarpata e cominciò a scavare.Scavava di sera e di notte, dopo aver lavorato tut-to il giorno allo stabilimento di Colleferro, dove sirecava in bicicletta. Scavò col piccone e con lavanga, trovò l’acqua e quando da un tombolo emer-sero due palle da cannone (di ghisa), pensò diessere vicino alla grande scoperta. Continuò a sca-vare per molti altri giorni ancora, ma del tesoronessuna traccia. Allora la suocera gli disse: “I 60lingotti se li è presi chi ha fatto costruire l’edico-la della Madonna!”. Cretacci si informò e vennea sapere che era stato proprio Giorgi, il capos-quadra. Ecco perché, concluse, i Giorgi aValmontone sono considerati signori!”.

Le foto dell’articolo sono di Francesco Fioramonti.

Foto 5.

Foto 6. Foto 8.Foto 7.

Mara Della Vecchia

LLa Misa a Buenos Aires conosciuta anche come Misatango, ècosì chiamata perché in essa convivono i caratteristici ritmisincopati e le armonie dissonanti del tango con la scrittura cora-

le contrappuntistica. Presenta grande varietà di invenzioni melodiche,mettendo insieme, in modo originale e audace lo stile musicale del tan-go con la tradizione del testo latino della messa ordinaria ( kyrie, Gloria,Credo, Sanctus, Benedictus, Agnus Dei). È stata composta tra il set-tembre del 1995 e l’aprile del 1996 e venne eseguita la prima volta inArgentina dall’orchestra Sinfonica Nazionale di Cuba con il coro del-la facoltà di legge di Buenos Aires e il coro polifonico de Vincente Lopezal quale fu dedicata, inoltre oltre al coro e orchestra, l’organico pre-vede un mezzosoprano e il pianoforte.Il compositore dell’opera è Martìn Palmeri, nato a Buenos Aires nel1965 è autore di diverse opere che vengono eseguite in tutto il mon-do; oltre alla Misa a Buenos Aires, ricordiamo l’opera Mateo, il concertoper violoncello Presagios, l’oratorio de Navidad, il concerto per Bandoneò,il Magnificat. La Misa a Buenos Aires è stata eseguita il 29 ottobre scor-so a Roma nella basilica di Sant’Ignazio di Loyola nell’ambito del XII Festivalinternazionale di musica e arte sacra; la scelta di eseguire l’opera è sta-ta dettata dalla volontà della Fondazione pro musica e arte sacra, orga-nizzatrice del Festival, di rendere omaggio a papa Bergoglio, grande esti-matore del tango. Nel concerto di Roma l’autore stesso ha preso parteall’esecuzione suonando il pianoforte. Lo stesso compositore era di nuovo al pianoforte qualche giorno più tar-di, il 31 ottobre, nell’aula Magna dell’Università Bocconi a Milano, quan-do la Misatango è stata eseguita, ma questa volta con un organico diver-so rispetto alla versione romana, infatti. oltre al pianoforte al mezzoso-

prano e al coro, c’erano il bandoneon e il contrabbasso. La realizzazione della Misa a Buenos Aires ha posto al compositore stes-so diverse problematiche espressive e tecniche: egli stesso, infatti, diceche restituire il suono tipico e inconfondibile del tango attraverso il corogli è risultato molto difficile, se non impossibile; tutte le soluzione trovatee sperimentate per ottenere la sonorità del tango, non riuscivano a sod-disfarlo. Per questo alla fine ha trovato una strada del tutto nuova, maattraverso la quale il coro ha mantenuto la sua importanza “classica” e iltango ha trovato la sua libera espressione. Così nella Misa il tango coni suoi ritmi, la sua armonia e le sue linee melodiche resta la voce dell’orchestra,mentre il coro è “libero” di cantare il testo della Misa.

Nell’immagine del titolo un momento del XII Festival internazionale di musica e arte sacra.

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Antonio Venditti

LL’espressione è stata coniata da scuo-le, che si ritengono all’avanguardia edin tale logica escogitano “formule

moderne”, con l’intento di risolvere “problemi”ed evitare “discriminazioni”. Il “problema” in questione è il superamento, suimoduli scolastici d’iscrizione, della dicitura “padree madre”, ritenuta non corrispondente all’odiernarealtà sociale, caratterizzata da “famiglie allar-gate”, dove le tradizionali figure non sono con-temporaneamente presenti e l’una o l’altra è “sosti-tuita”, di fatto diffusamente, da quella suben-trata nella formazione della nuova coppia. La “discriminazione”, determinata dalla dicitu-ra precedente, consisterebbe nella ”impossibilità”,da parte della figura familiare aggiunta, di eser-citare il “ruolo genitoriale”, ad esempio, nellafirma delle “giustificazioni” e nei rapporti con idocenti. A mio avviso, non è con le innovazio-ni nominalistiche che si risolvono le comples-se situazioni familiari del nostro tempo, non ridu-cibili alla rideterminazione dei ruoli interni, per-ché “padre o madre”, anche se presenti in diver-si nuclei familiari, mantengono il loro ruolo “geni-toriale”, non alienabile, da parte loro, e non assu-mibile da altre persone. Nell’euforia dell’”innovazione”, alle autoritàscolastiche, che hanno inventato la nuova dici-tura, è sfuggita l’evidente improprietà lingui-stica e giuridica, oltreché naturale, perché il “geni-tore 1” sicuramente è presente, ma non il “2”:marito/moglie o compagno/compagna che sia,non è “genitore” dei figli del partner.Dietro la spiegazione dell’ “adattamento” ad unatendenza attuale, c’è una posizione ideologi-ca, che punta al superamento delle due distin-te figure, paterna e materna, un vero e propriorifiuto del padre e della madre. E ciò, in cam-po educativo soprattutto, non è un mero formalismo,ma uno stravolgimento pedagogico. E’ lecita ladomanda: “Come potrà comportarsi la scuola,

difronte alla rivendicazione di “paternità” o “mater-nità” degli aventi diritto?” Non sarà facile difen-dere l’”innovazione”, né giusta, né opportu-na.L’esperienza personale mi permette diosservare che la tradizionale dicitura “padre,madre o chi ne fa le veci”, oltre ad indicare chia-ramente la realtà ”naturale”, permette di risol-vere già alcune fattispecie, come quella della“assenza” di un genitore e della presa in con-siderazione della persona deputata a farne leveci; c’è, invece, distinzione - opportuna oltre-ché legittima -tra le persone esercenti la patriapotestà, padre e madre, e la nuova figura, che,pur parte integrante della “famiglia allargata”,non assume, in nessun caso, il ruolo genito-riale, con tutte le prerogative connesse. In sintesi, i genitori, pur divisi e presenti in fami-glie diverse, mantengono la comune respon-sabilità, paterna e materna, nella crescita e nel-l’educazione dei figli. Sempre sono esistiti e sem-pre esisteranno i casi di genitori distratti, se nonaddirittura degeneri, ed encomiabili sono daritenersi le persone che, nelle forme piùopportune, ne assumono la supplenza, senzarivendicare posizioni inesistenti; semmai tutti glisforzi devono essere tesi al recupero pieno delruolo proprio, da parte dei suddetti genitori, perla serenità e l’equilibrio nella crescita dei lorofigli. Esistono, però, casi sempre più diffusi digenitori, che, dopo la separazione ed il divor-zio, determinati da odiosi ed insanabili conflit-ti, vengono privati, dagli ex coniugi o ex com-pagni, di ogni rapporto con figli o figlie, nonostantele chiare norme legislative, che impongono lacondivisione di tutti gli interventi, per la loroeducazione. A questi genitori “disperati” la scuo-la potrà dimostrare di essere nel giusto, aven-doli cancellati ed arbitrariamente sostituiti? Sesi fosse trovato al loro posto, l’operatore sco-lastico si sarebbe autoannullato e avrebbe accet-tato, in nome dei presunti “diritti civili”, la suasostituzione, consentendo a considerare il figlio/a“proprietà” dell’altro o dell’altra, assieme a cui

è stato concepito e messo al mondo? L’aver cancellato sulla scheda d’iscrizione le paro-le “padre e madre”, significa facilitare le ango-scianti situazioni suaccennate, con le gravi edinevitabili conseguenze, riconoscendo impro-priamente nella funzione di “genitore”, una per-sona che, non solo non lo è, ma, arbitrariamente,dal coniuge o compagno è stato investito di tale“ruolo”, a danno del genitore vero, annullato anchedalla scuola, con ripercussioni non certo posi-tive sul processo formativo.Si parla tanto di diritti, in ogni ambito della vitaassociata, e molta attenzione è posta sulla tute-la di ogni persona, che deve essere messa alriparo da ingiustizie e discriminazioni, ma, poi,allo stato dei fatti, al di là delle enunciazioni diprincipi, le sperequazioni di trattamento aumen-tano e si tende a privilegiare alcune formule,senza la volontà o la capacità di impedire altrieffetti, ancora più gravi di quelli che si intendeeliminare.In campo educativo, in particolare, le astrazioninon servono; serve, invece, la considerazionedi tutti i soggetti, nella singolarità e nell’intera-zione tra di loro. Il soggetto principale dell’e-ducazione - bambino, fanciullo, adolescente, gio-vane - è al centro del processo educativo etutti gli altri, genitori ed educatori, ruotano attor-no a lui ed operano per lui. Ecco perché, cercare di oscurare la vera figu-ra paterna o materna aggrava ed esaspera ilconflitto derivante dalla separazione dei geni-tori; ed è semplicistico credere che tale con-flitto possa attenuarsi o risolversi addirittura, sosti-tuendo il papà o la mamma, come elementi inter-cambiabili di un meccanismo sociale. Sappiamo che le “famiglie allargate” si differenzianoper complessità da quelle nucleari, perché vicoesistono parti delle famiglie precedenti, conla necessità di nuovi e non facili equilibri; e perfiglie e figli, restati fuori, rimangono, da partedei genitori, precisi doveri. Pertanto, ai conflitti precedenti, altri se ne pos-sono aggiungere, se non si accetta la neces-saria condivisione della potestà genitoriale.Occorrerebbe il pieno accordo sull’impostazionee sulla pratica educativa, ma sappiamo che èdifficile raggiungere tale obiettivo e che anzi,purtroppo, spesso non si pone nemmeno. Ad esempio, nell’applicazione delle regole, i duegenitori potrebbero non essere d’accordo ed acomplicare la situazione potrebbero interferireregole diverse esistenti nella “nuova” entità fami-liare, in cui l’educando si trova inserito. E’ meglio l’azione flessibile o la rigidità? Le puni-zioni devono consistere solo nella privazionedi qualcosa oppure possono prevedere anchelo “schiaffo”, di recente rilievo “penale”? E chi deve somministrarle: il “genitore 1”, quel-lo vero, o il “genitore 2”? Le risposte varieranno, secondo le diverse con-cezioni, ma dovrebbero, in ogni caso, tener con-to, non solo dell’efficacia delle scelte educati-ve, ma anche e soprattutto delle reazioni deisoggetti interessati, che saranno in relazioneal grado di accettazione delle figure familiari.

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Ad esempio, non basta, infatti, che unamadre dica al figlio: “E’ questo il tuo “geni-tore”: fa’ quello che ti dice!” Potrebbe, infatti, rispondere: “Non è miopadre: non voglio dipendere da lui!”Certo è che esiste il fenomeno allarmantedi ragazzi e ragazze, che, perduta la chia-rezza dei punti genitoriali di riferimento,non più autorevoli e credibili, si sgancianodalla famiglia: bruciate le tappe della cre-scita, con la fine precoce della fanciul-lezza e della preadolescenza, s’incam-

minano su strade pericolose e sono faci-li prede di malvagi “cacciatori”. Considerarequesta terribile evenienza, potrebbeservire a rendere meno problematiche lesituazioni familiari, nel senso che sem-pre si dovrebbe riflettere sulle ripercus-sioni che le scelte dei genitori hanno imman-cabilmente su figli e figlie; per il loro bene,si dovrebbero evitare irrigidimenti, man-tenendo sempre una forma efficace di dia-logo, di per sé rasserenante e beneficasul rapporto educativo.

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Alessandro Gentili

SSono andato a vedere, conmolta fatica (Roma, Testaccio,Museo del Macro: traffico,

parcheggio, vigili, strade blocca-te, manifestazione, sensi unici edivieti, smog….) ma con vivace inte-resse, la mostra del grande foto-grafo giapponese KazuyoshiNomachi (“Le vie del Sacro”) in cuiil fotografo ritrae volti, persone, pae-saggi, stati dell’animo, tutti e tut-to alle prese con il SACRO.Tutte le religioni. Meno la cristia-na occidentale. Devo confessare che ne sono usci-to ancor più perplesso, di quan-to già non lo sia, su come vengavissuta la religione nel paese, ilnostro, dov’è nato e dove prosperaun cristianesimo sempre più stan-co, sempre meno importante,sempre più desideroso di incen-di che di fiammelle costanti. Senza poter entrare nel dettaglio (una mostrafotografica va più vista che commentata), Nomachi ha deposto dinanziai nostri occhi- mai stanchi di tivvù e pubblicità, volgarità e gossip- un’u-manità che si rispecchia in un mondo pervaso dalla presenza del SACRO,attraverso quello che le tradizioni e la natura offrono ogni giorno, dal tibe-tano al musulmano, dalle Ande al Gange, dal Nilo al Sahara. C’è, in questi volti, in queste persone, un messaggio che rimbalza daun continente all’altro, da una religione all’altra: quello legato al desti-no, inscritto nel cuore di ogni uomo, il destino che fa di ogni persona,una persona legata al Dio della pro-pria specie, della propria razza, del-la propria terra, del proprio tempo (inte-so come freddo-caldo, ghiaccio-sab-bia, mare-montagna, inverno-estate).Questi visi, questi sguardi non recla-mano nulla. Non chiedono nulla. Nessuna biblioteca, nessun convegno,nessun proclama. Nulla. Nessuna sovra-struttura o diaframma si interpone traloro e Dio. La forza di questo messaggiosta nella pacata e serena (talvolta anchedrammatica, certo) di una vita costan-temente vissuta e interpretata alcospetto del Dio di tutti gli uomini e ditutte le razze e di tutte le lingue. Basta guardare attentamente alcuni di

questi volti, pervasi da un’atten-zione, da una tensione, da unareverenza, da un timore che nonho mai, personalmente, osservatodurante le Sacre Funzioni dellenostre amatissime Chiese (ben’in-teso e sia ben chiaro che chi scri-ve fa parte di questo popolo cosìdisattento, così distratto). Leggevoin uno dei Padri della Chiesa (S.Ireneo?) che al Suo ritorno, il Signoreritroverà la Chiesa così come l’halasciata alla Sua Ascensione: pic-cola, screditata, traballante,magari tornata nelle catacombe(pochi ma sinceri?).Confesso: talvolta mi pare che Dioci chieda più di quello che pos-siamo. Parlo, ovviamente, dellareligione dei nostri tempi, del nostrocontinente, del nostro paese. Siobietterà: ciascun tempo ha avu-to le sue persecuzioni.Quelle che a noi sembrano mon-

tagne più alte di quelle di cinquanta anni fa, probabilmente sono dellamedesima altezza e difficoltà. Sarà…ma è anche vero che ciascuna gene-razione porta sulle sue spalle il peso di quelle che lo hanno precedutoe quelle iniziano ad essere troppe, il numero aumenta. E’ possibile scrivere un libro “nuovo”? Pensare un pensiero mai pensa-to prima? Tutto è stato detto e scritto e filmato. Cos’altro c’è da aggiun-gere? Siamo schiacciati dai secoli che ci hanno preceduto, dai miliardidi persone che hanno vissuto prima di noi, dai loro pensieri, dalle loroesperienze. Continuiamo a leggere, a scavare, nella speranza di trova-

re qualcosa di nuovo. L’Ecclesiaste ci redarguisce, il vec-chio Qohèlet ancora urla: nulla di nuo-vo sotto il sole. Ed ecco quindi la mostradi Nomachi: dove per un breve inter-vallo di tempo che abbiamo sottrattoalle corse frenetiche, questi volti ciindicano un luogo e un tempoancora tutto da vivere, ancora tut-to da scoprire. Lontani anni luce daRoma e dintorni, il Gange, il Tibet,il deserto, popolati da questi uma-ni, ci danno la speranza che laggiùvivere il SACRO è ancora possibi-le ed è possibile aggiungere un “nuo-vo” su questa fragile terra, su que-sto nostro cammino.

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Edoardo Baietti

QQuando un nostro geniale antenato, chepotremmo annoverare tra i primi artisti,decise di cimentarsi nell’arte rupestre,

iniziò quel lungo processo che, grazie al sem-pre valido assioma dantesco “poca favilla granfiamma seconda” ci permette oggi di trovarci inuna società ricca di arte e cultura e di immer-gerci nella riscoperta di preziosi e talvolta enig-

matici documenti. Due interessanti appuntamenticurati dalla Diocesi di Velletri- Segni hanno amal-gamato vari ambiti della conoscenza.

Venerdì 24 gennaio, una gremita Cattedrale diSan Clemente, con un applauso scrosciante, haaccolto lo storico e archeologo dott. Maria GraziaSiliato, invitata dal Centro Studi “SS. Clementee Bruno”, per regalare alla cittadinanza una luci-da analisi sulla Sindone di Torino, un telo di lino

sul quale si può vedere impressa la figura di unuomo recante segni di torture identificabili coni patimenti subiti da Gesù Cristo. L’evento, come spiegato da don Mariani e donVitali, che hanno introdotto e presentato la notastudiosa, si inserisce nel progetto “Cattedrale-dialogo”, questa volta incentrato sul mistero sin-donico - “Un enigma storico o un eccezionaledocumento?”. Questo momento ha rappresen-tato una grande opportunità per riflettere su un

tema altamente rile-vante. La studiosa, nel rin-graziare tutti i presenti,ha ricordato il calorosoaffetto dei cittadiniveliterni, affermandodi ritornare nella nostracittà con un grande pia-cere.L’incontro sulla sto-ria del particolareoggetto ha avuto il meri-to di esaudire le aspet-tative dei presenti,ripercorrendo le vicis-situdini e gli emozio-nanti episodi legati al velo.

Torino, Chambéry, Costantinopoli, Edessa:questi ed altri i luoghi che hanno custodito nelcorso degli anni il telo di lino che ha fatto dis-cutere il mondo intero. Le analisi scientifiche,I’esame del Carbonio 14, l’esame sulle tracceematiche, l’esame medico – legale e lo studiosul tessuto, hanno dimostrato inequivocabilmentepunti a favore della veridicità storica. Il contributo del video proiettato, sempre ad ope-ra della nota archeologa, ha permesso la com-prensione di tematiche e di studi complessi tra-mite un linguaggio chiaro ed esaustivo, che nonha mancato di coinvolgere e appassionare il nume-

roso pubblico. Se lascienza fosse unadisciplina circolare,ermeticamente chiusa,che offre verità che nonlasciano spazio a frain-tendimenti, il mondosarebbe costituito daun freddo meccanici-smo e parole come “pia-cere”, “immaginazio-ne” e “amore”diven-terebbero futili signi-ficanti privi di signifi-cato.Razionalizzando ogniattimo, ogni pensiero,ogni relazione socia-

le, la condizione lamet-triana di “HommeMachine” giungerebbeall’estremo.Proprio in questo si vedel’importanza e la gran-dezza di questo gene-re di incontri, lodevoli ini-

ziative che impreziosiscono la nostra cittadina.

Sabato 25 gennaio, presso la sala Silvana PaoliniAngelucci del Museo Diocesano, è stato presentatoil corposo volume dedicato alla figura del gran-de Aurelio Mariani, pittore che purtroppo è sta-to spesso relegato nell’ambito dell’arte locale.Il lavoro della dottoressa Sara Bruno, coadiu-vata dagli studiosi Silvia Felli, Antonio Iommellie Alessandra Cosmi, ha portato alla realizzazione

di un’opera complessa, che si snoda attraver-so percorsi di lettura sulla vita e sulle opere del-l’eccelso artista.“Aurelio Mariani (1863-1939). Sacro contemporaneoe alla bella maniera”: questo il titolo del volu-me che rende dignità all’immagine di un uomoche dell’arte ha fatto la propria vita. Una missione. In questo modo possiamo defi-nire l’esistenza del Mariani, un’esistenza fattadi arte, fede e meraviglia che confluiscono in unadelicata architettura di tecnica e sentimento.La dott. Sara Bruno, prima a prendere la paro-la, ha sottolineato la grande mole di lavoro neces-saria per il completamento del testo, soprattuttoa causa della carenza di documenti. Il risultato, frutto dell’amore e della passione per

Don Dario Vitali e la dott.ssa Maria Grazia Siliato

L’intervento del direttore del Museo, don Marco Nemesi

L’intervento del pronipote del pittore,

Luciano Mariani

L’esposizione in Cattedrale della foto

della Sacra Sindone.

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Bollettino diocesano:

Prot. n° VSC A 01/ 2014

M.R. MARCHETTI don FabrizioTenendo conto delle difficoltà di inserimento di don Alberto Raviglia nella Parrocchia di S. Maria Assunta in Gavignano, di cui è stato nominato par-roco il 23.09.2013,volendo assicurare una cura pastorale più adeguata a quella comunità e desiderando altresì venire incontro alle necessità di donAlberto con un sostegno e un aiuto fraterno a norma dei cann. 545-548 CJC,ti nomino Vicario Parrocchiale della suddetta Parrocchia.La presente nomina entra in vigore da domenica 12 gennaio p.v.Potrai prendere alloggio nella canonica parrocchiale e collaborare con il parroco nella gestione anche amministrativa. Sono sempre a tua disposizio-ne per ogni difficoltà che potrai incontrare e invoco sul tuo servizio pastorale ogni benedizione del Signore perché tu possa far crescere la comunio-ne nella parrocchia e nel presbiterio. Ti ringrazio della tua disponibilità e ti assista anche la protezione materna di Maria e San Rocco patroni dell’a-mata comunità gavignanese.Velletri, 09.01.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

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Prot. n° VSC A 02/ 2014

DECRETO DI NOMINA A VICARIO PARROCCCHIALE DELLA DI MARIA SS.MA IMMACOLATA IN COLLEFERROSecondo quanto disposto dal can. n° 547 del C.D.C. , volendo rispondere alle attese della Parrocchia di Maria SS.ma Immacolata in Colleferro, dopoche p. E. Dell’Uomo ha lasciato l’incarico, sentite le indicazione del rev.do P. Provinciale dei Frati Minori Conventuali, con il presente decretonomino teP. Paulo Rosenberg Nogueira Lima ofm conv. nato il 30-11-1973 a QUIXADA - CEARA. BRASILEOrdinato Sacerdote il 07-08-2010 a Russas CearaVicario Parrocchiale della Parrocchia di Maria SS.ma Immacolata in Colleferro.Nell’attuare quanto richiesto dai cann. 545§1, 548 e ss. in sintonia con il parroco, ti assista la mia paterna benedizione.Velletri, 14.01.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo

Il cancelliere vescovile,Mons. Angelo Mancini

il grande pittore, mostra lo spessore del Mariani“uomo” e del Mariani “artista”. L’appoggio di donMarco e del vescovo mons. Vincenzo Apicellaè stato fondamentale durante tutte le fasi del lavo-ro. Il libro può essere acquistato presso i grup-pi editoriali “Il mio libro” e “Feltrinelli”. Il disegnoiniziale del monografico prevedeva un unico testosulla vita e una parte dedicata alle opere, maalla fine si è sviluppato un percorso che, dallavita, delinea i punti focali della crescita culturalee dello stile.La dott. Silvia Felli ha evidenziato i rapporti coni pedagogisti Lasalliani, con una formazione basa-ta su “disciplina, fede e semplicità”, peraltro ele-menti riscontrabili proprio nello stile persona-le dell’autore.

Il dott. Antonio Iommellisi è dedicato alla cor-relazione del Marianicon altri autori ealtre opere, ponen-do confronti tra arti-sti del calibro diSignac, Von Stuck,Munch e molti altri. La dott. AlessandraCosmi ha invecesapientemente rela-zionato sulla produ-zione grafica, mostran-do la forza espressivae l’estrema cura peri particolari.

L’intervento del vescovo,S.E. mons. V. Apicella edel pronipote dell’arti-sta, Luciano Mariani,hanno evidenziato lacommozione e la gioia perla pubblicazione di tale volu-me, sottolineando la pre-senza delle opere del-l’artista in varie nazioni. Giunti a questo punto, pro-prio la riscoperta di un auto-

re come Mariani, e lo studio di un enigma sto-rico come quello della Sacra Sindone fanno sor-gere spontanea una domanda: cosa ci prospettail futuro? Riusciranno le nuove generazioni, pro-prio come i quattro relatori, a continuare i durilavori di ricerca e documentazione per riesaminarenuove verità e meravigliosi ambiti del sapere?Sarà una strada, per citare il maestro Milton, “lun-ga ed impervia”, ma saranno dunque i giovani,novelli Adamo ed Eva, a porre le basi per unfuturo migliore, evitando, se possibile, di adden-tare il celeberrimo frutto.

Da sinistra: Luciano Mariani, Sara Bruno e Lorenzo, Antonio Iommelli,

don Marco Nemesi, Alessandra Cosmi, Silvia Felli.

Il pubblico presente alla presentazione,

sala Silvana Paolini Angelucci.

segue da pag. 42

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Michelangelo Merisi da Caravaggio,

Il sacrificio di Isacco,

1603, Galleria degli Uffizi, Firenze.

don Marco Nemesi*

IIl cardinale Maffeo Barberini, futuro Papa Urbano VIII, commissiona,nel 1603, a Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, la realizza-zione del “Sacrificio di Isacco”, conservato a Firenze presso la Galleria

degli Uffizi. Il giovane artista lombardo, apprende il mestiere nella bot-tega di Simone Peterzano, uno degli esponenti del tardo Manierismolombardo, qui impara a dipingere dal vero, l’amore per la natura e lostudio degli effetti della luce. Nel 1592, Caravaggio lascia Milano e si trasferisce a Roma al segui-to della marchesa Costanza Colonna. Per quanto riguarda il periodoche si riferisce ai primi anni romani dell’artista, tutte le fonti sono con-fuse e contrastanti, per cui non è possibile stabilire un’esatta cronolo-gia degli eventi. Stando comunque alle fonti, in questo primo e oscu-ro periodo romano Caravaggio collabora con il pittore Antiveduto Gramatica,entrando in seguito a bottega presso Giuseppe Cesari, più noto comeil Cavalier d’Arpino, autorevole e prestigioso pittore della Roma di ClementeVIII Aldobrandini. Nell’ambiente artistico romano, dominato dallo stilemanierista, dove l’artista faceva sfoggio della sua abilità tecnica nel rap-presentare i perso-naggi nelle posizioni piùarticolate, Caravaggioporta una ventata riv-oluzionaria: nei suoi dip-inti gli eroi della storiasacra hanno il volto diuomini e donne dellastrada, stanchi e feritidalla vita; questo susci-ta scalpore e un po’ d’in-vidia, ma anche tantaammirazione da partedi potenti mecenati,come i l cardinaleFrancesco Maria DelMonte. L’esperienza romana sichiude il 28 maggio 1606quando, durante una ris-sa, Caravaggio uccideRanuccio Tomassoni daTerni, fratello del capo-rione di Campo Marzio,personaggio di rilievo.Il pittore è condanna-to al “bando capitale”, una condanna a morte o forse un esilio perpe-tuo dalla città pontificia. In questi anni difficili anche lo stile del pittorediventa più drammatico, lo scontro tra tenebra e luce si accentua, i colo-ri si fanno più scuri, e le ombre più intense. L’episodio biblico dipinto è riferito alle vicende del patriarca Abramo cheanziano vede realizzarsi la promessa di Dio di avere un figlio dalla moglieSara, dopo averlo tanto atteso. Eppure, dopo che gli è stato donato daDio, riceve l’ordine divino di prendere questo suo unico figlio Isacco edi offrirlo in sacrificio. Abramo lega il ragazzo all’altare sacrificale e stende la mano per immo-larlo, ma l’angelo del Signore lo chiama dal cielo e gli dice: «Abramo,

Abramo!». Abramo risponde: «Eccomi!». L’angelo dice: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcunmale! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo uni-co figlio». Allora Abramo alza gli occhi e vede un ariete impigliato conle corna in un cespuglio. Abramo va a prendere l’ariete e lo offre inolocausto invece del figlio”(Genesi 22,10-13).Caravaggio fotografa questo istante, è un momento molto concitato,dove le varie forze agiscono una contro l’altra. Al centro del quadro dom-ina Abramo, un vecchio calvo, barbuto e forte, che veste un drappo ros-so sangue su una veste ocra; la sua mano sinistra blocca la testa delfiglio Isacco riversa sull’altare e nella destra tiene il coltello sacrificale. Isacco grida e si agita per tentare di liberarsi dalla presa decisa del padre,lo conferma il pollice di Abramo premuto sulla sua guancia, l’urlo del-la giovinezza e dell’innocenza che sta per essere violata. A fare da modello a Isacco, fu il garzone di Caravaggio, Cecco Boneri,che più avanti divenne anch’egli pittore. Il viso di Abramo, con espres-sione interrogativa, è rivolto alla sinistra del dipinto, dove all’improvvi-so appare un angelo, dai tratti di un adolescente, che con la mano destra,ferma e decisa, afferra il braccio del patriarca, impedendogli di affon-dare il pugnale nel collo del ragazzo. L’angelo compie in simultanea i gesti che esprimono il nuovo dupliceordine divino, poiché afferra il polso di Abramo bloccando la traiettoriadel coltello levato in aria e indica l’ariete da sacrificare, rimasto impi-gliato con le corna in un cespuglio, che affaccia il muso mite sulla destra.Con lo sguardo intento e con la bocca schiusa il messaggero celestetrasmette l’urgenza ad Abramo, che sentendosi fermato lo interroga con

gli occhi, ridotti a cupefessure sotto la frontecorrugata da un dolo-re che non si è anco-ra mutato in speranza,né tanto meno in sol-lievo. La luce batte sul cor-po del giovane ange-lo in diagonale, river-berandosi poi in Isacco.Sempre la luce mostrala lama del coltello.L’artista è riuscito a met-tere in evidenza l’ob-bedienza di Abramo,infatti, la sua mano tie-ne il coltello in modo riso-luto, non esita nell’of-frire a Dio l’unico suofiglio. Da notare che il voltodel patriarca è penetrato(e non accecato) dal-la luce divina, piena èla sua speranza nella

Provvidenza, la lettera agli Ebrei ci dice quale erano i suoi pensieri:“Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco […] Egli pensava infat-ti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo rieb-be e fu come un simbolo” (Eb 11,17-19). La luce divina fa emergere dall’ombra le sagome degli alberi e fuggepoi lontano nell’orizzonte del paesaggio, dove s’intravedono alberi e case,mentre le nubi fosche si diradano. Abramo è l’uomo che obbedisce allavoce di Dio e, in quest’obbedienza, egli è trasformato: era salito sul mon-te come padre di Isacco, ne scenderà come padre dei credenti.

*Dir. Uff. Diocesano Beni Culturali, Chiese e Arte sacra