Analisi settore gioielleria

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Contrino Roberta M. 1003411 Folini Michela 1009239 Luciano Marina 1003367 Mignacca Manuela 1002130 Verga Emanuele 1009425 Zocca Alessandro G. 1003291 ANALISI DEL SETTORE DELLA GIOIELLERIA IN ITALIA Corso di Laurea Magistrale in MARKETING, CONSUMI E COMUNICAZIONE A.A. 2011/2012 ECONOMIA DEI SETTORI Prof. LUCA BARBARITO - Dott.ssa ANTONELLA ARDIZZONE

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Contrino Roberta M. 1003411 Folini Michela 1009239 Luciano Marina 1003367 Mignacca Manuela 1002130 Verga Emanuele 1009425 Zocca Alessandro G. 1003291

ANALISI DEL SETTORE DELLA GIOIELLERIA IN ITALIA Corso di Laurea Magistrale in

MARKETING, CONSUMI E COMUNICAZIONE A.A. 2011/2012

ECONOMIA DEI SETTORI

Prof. LUCA BARBARITO - Dott.ssa ANTONELLA ARDIZZONE

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INDICE INTRODUZIONE 3 CAPITOLO 1: Le forze che influenzano il settore 5

1.1 Lo Stato 5 1.1.1 Il consumo pubblico 5 1.1.2 Le politiche industriali 6 1.1.3 Le politiche commerciali 6 1.1.4 L’attività legislativa 7

1.2 L’ambiente macroeconomico 7 1.2.1 La variazione del PIL e quella di settore 7 1.2.2 Il costo delle materie prime 8 1.2.3 Il costo del lavoro 9

CAPITOLO 2: I caratteri della domanda 10

2.1 La segmentazione del mercato 10 2.2 La differenziazione dei prodotti 12

2.2.1 La differenziazione verticale 14 2.2.2 La differenziazione orizzontale 14

CAPITOLO 3: I caratteri dell’offerta 15

3.1 Classi dimensionali del settore e grado di concentrazione 15 3.1.1 La suddivisione dei produttori per classi dimensionali 15 3.1.2 Il grado di concentrazione del settore 17

3.2 Destinazione geografica della produzione 17 3.3 Le barriere del settore 18 3.4 Il processo produttivo in fasi: la filiera 19

3.4.1 I fattori critici di successo 20 CAPITOLO 4: Il comportamento delle imprese 21

4.1 Selezione delle imprese e scelta delle variabili strategiche 21 4.2 Individuazione dei gruppi strategici 21 4.3 Analisi dei gruppi 22

CAPITOLO 5: L’analisi delle performance 24

5.1 Conclusioni 26 BIBLIOGRAFIA 27 SITOGRAFIA 27 ALLEGATI:

A: Questionario per l’indagine della domanda 28 B: Grandi imprese al FY2010 29 C: Distretti produttivi del settore 29 D: Output analisi in componenti principali (S.P.S.S.) 29

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INTRODUZIONE

La gioielleria italiana contribuisce con un peso pari al 21% al saldo commerciale, in relazione a una quota del 7% sul fatturato dell'intero Sistema Moda1, di cui fa parte.

Fonte: rielaborazione dati a cura di P. Varacca Capello

La filiera del gioiello in Italia “è concentrata nella produzione di articoli di oreficeria e gioielleria; è assente, salvo relative eccezioni, dalle attività a monte”2. Comprende, quindi, vari processi partendo dal design, passando per la fabbricazione dei prodotti e arrivando fino alla distribuzione e alla vendita, ma tralasciando le attività estrattive. Una ricerca desk ha permesso di individuate le aziende che la compongono e di estrarre le relative informazioni dalla banca dati AIDA, rintracciando i codici ATECO 2007 corrispondenti a quelle che appaiono come le due macro-attività della filiera: produzione3 e vendita4. Sono cinque i codici ottenuti:

24.41.00 : produzione di metalli preziosi e semilavorati;

32.12.10 : fabbricazione di oggetti di gioielleria ed oreficeria in metalli preziosi o rivestiti di metalli preziosi;

32.12.20 : lavorazione di pietre preziose e semipreziose per gioielleria e per uso industriale;

47.77.00 : commercio al dettaglio di orologi, articoli di gioielleria e argenteria;

95.25.00 : riparazione di orologi e di gioielli. L’elevato numero di operatori ha portato a una serie di iniziative volte alla riduzione dei confini del settore. Innanzitutto, il focus di studio è stato concentrato solo sul micro settore produttivo.

1 Casadei M., Nel settore gioielli l'Italia non è più d'oro, IlSole24ORE, 16 febbraio 2012 http://www.luxury24.ilsole24ore.com/ModaStili/2012/02/italia-non-piu-d-oro_1.php

2 Varacca Capello P., Miti da sfatare nel gioiello, Egea, 2007 (Cit. Il settore orafo in Italia, pag. 207)

3 Agenzia delle Entrate: Studio di settore VD33U – Produzione e lavorazione di oggetti di gioielleria ed oreficeria.

4 Agenzia delle Entrate: Studio di settore VM15A – Commercio al dettaglio e riparazione di orologi e gioielli.

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Per affinare la ricerca, sono stati presi in considerazione solo gli operatori attivi nel 2010, scartando tutte le aziende in liquidazione o che avessero già cessato l’attività. È stato indispensabile lavorare in rapporto al suddetto anno, in quanto non è stato possibile reperire i valori del FY2011 per tutte le imprese, poiché non ancora disponibili sulla banca dati. Non è stata fissata una soglia di fatturato5 che limitasse il campione di analisi: come si vedrà nei capitoli successivi, il settore è notevolmente frammentato e caratterizzato da un’ingente quota di mercato apportata da imprese dalle dimensioni ridotte. L’ultima fase di scrematura è basata sullo studio della distribuzione territoriale delle imprese.

Le cartine mostrano come società (a sinistra) e ricavi del settore (a destra) non siano equamente distribuiti sul territorio nazionale, anche a causa dei tre principali distretti della gioielleria. Accanto ai dati nazionali, è possibile osservare le attività dei distretti industriali. “Il distretto può essere identificato come un sistema produttivo locale nel quale si rileva la presenza di un insieme di piccole e medie imprese che si scambiano semilavorati e servizi, appartenenti alla stessa filiera merceologica e caratterizzate da un’omogeneità di tradizioni civiche che sono supportate da associazioni economiche ed organizzazioni sociali”6.

Principali distretti produttivi7 del settore

Storicamente, le tre province specializzate nelle attività produttive inerenti il settore della gioielleria italiana sono Arezzo, Vicenza e Alessandria (Valenza). Questo si riflette anche nei valori del fatturato 2010, che risultano essere gli unici superiori ai 500 migl€. La provincia aretina, aderente alla Federazione Distretti Italiani, gode di fama internazionale, grazie alla qualità e al know how detenuto dalla filiera: ciò ha reso l’area leader nazionale di

5 Riferimento a nota 22

6 Salsano E., Lineamenti di sviluppo locale: I distretti industriali, Liguori Editore, 2002 (Cit. pag. 18)

7 Allegato C

Somma di Ricavi delle vendite migl. EUR 2010

Provincia Totale

Arezzo 1.229.433,59

Vicenza 883.202,81

Alessandria 630.880,51

Nord

Produzione: 55,08%

Vendita: 53,63%Centro

Produzione: 42,47%

Vendita: 39,4%

Nord 56,50%

Centro 41,42%

Sud e isole 2,08%

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settore con dei ricavi che, nel FY2010, hanno raggiunto una cifra che supera il miliardo di Euro. L’offerta estremamente ampia comprende sia prodotti finiti che semilavorati della gioielleria, dell’oreficeria e dell’argenteria. La città di Valenza (AL) è, invece, specializzata nella produzione di gioielli e articoli di alta oreficeria, contraddistinti dal design e dall’innovazione, parte integrante delle imprese del territorio, che presentano alti livelli di internazionalizzazione.

Anche il distretto orafo-argentiero di Vicenza si caratterizza per la vasta gamma, proposta da poche imprese sia di piccole e medie dimensioni, di tipo artigianale, ma molto specializzate, che da grandi industrie con grossi volumi.8

Viste le premesse soprastanti, per ridurre il campione a un totale più agevolmente analizzabile con i software statistici, sono stati considerati solo i tre distretti principali. Per la delineazione dei confini, quindi, si è prestata maggiore attenzione ai criteri di interdipendenza tra i produttori e di sostituibilità dal lato dell’offerta. Infatti, i processi produttivi delle grandi insegne sono caratterizzati dalle stesse fasi che portano alla realizzazione dei capolavori dei piccoli laboratori dalla tradizione artigianale: ciò che cambia sono i materiali e il design. Altre imprese tralasciate, poiché poco rilevanti o difficili da rintracciare, sono state:

i possibili subfornitori e i terzisti non specializzati, quindi, non catalogati nei precedenti codici;

i produttori che realizzano prevalentemente moda e che decidono di sviluppare una Brand Extension focalizzata sui gioielli (es. Emporio Armani), le cosiddette “marche fashion”9;

gli studi di design e i professionisti esterni, a cui alcuni produttori possono essersi affidati;

le società di certificazione e controllo qualità. Riassumendo, il campione risulta essere composto da 742 aziende, che rappresentano solo i primi tre codici ATECO 2007 individuati e che appartengono solo ai distretti produttivi con fatturato maggiore a mezzo miliardo di Euro. Si tratta di un settore ristretto, poiché sono state escluse sia le attività estrattive a monte che quelle a valle, relative alla commercializzazione e ai servizi post vendita. 8 Osservatorio nazionale distretti italiani http://www.osservatoriodistretti.org/

9 Varacca Capello P., Miti da sfatare nel gioiello, Egea, 2007 (Cit. Il settore orafo in Italia, pag. 209)

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CAPITOLO 1 Le forze che influenzano il settore

1.1 Lo Stato

1.1.1 Il consumo pubblico Per parlare di “consumo pubblico” nel settore del gioiello è possibile riferirsi esclusivamente al consumo dell’oro, in quanto non sono disponibili dati pubblici relativi al consumo di pietre e altri semilavorati. L’istituto che gestisce le riserve nazionali di valuta e di oro è la Banca Centrale della Repubblica Italiana. Diversi sono i motivi per cui Banca d’Italia gestisce le riserve auree: primo fra tutti, il mantenimento di credibilità nei confronti del Sistema Europeo di Banche Centrali. A dicembre 2010, la Banca d’Italia ha dichiarato di possedere una riserva ufficiale di circa 2.412 tonnellate, corrispondente ad un controvalore in oro di 83,197 miliardi. Utili considerazioni circa le riserve di oro della Banca Centrale Italiana, si rintracciano nell’articolo de “La Repubblica Economia & Finanza” del 07/11/2011, scritto da Roberto Petrini: “[…] l’Italia è il terzo Paese al mondo per consistenza di riserve auree, dopo Stati Uniti e Germania […] Il prezzo dell’oro dopo la crisi del 2007 è schizzato da 667 dollari l’oncia ai 1.756”.

1.1.2 Le politiche industriali Poter quantificare oggettivamente l’effettivo ammontare degli incentivi è un’impresa ardua. Esistono cinque distinte fonti ufficiali che si confrontano sul tema e che pubblicano numeri discordanti, perché calcolati con finalità differenti in base a agevolazioni, soggetti o metodi. Dei 34,5 miliardi di euro spesi nel 2010, solo una cifra compresa tra i 4,5 e i 3 miliardi (2,7 secondo una stima Met - Monitoraggio economia e territorio, che comprende anche i fondi comunitari), viene realmente erogata all’industria; i restanti 30 miliardi circa sono destinati a soggetti non definibili come attività imprenditoriali con finalità di lucro (es. CONSOB, ENAV, istituti educativi e didattici, imprese municipalizzate, ecc.). Inoltre, dai dati relativi al Conto Economico della PA, non risultano sovvenzioni o contributi rivolti in particolare al settore specifico; vengono, invece, prediletti i settori che producono auto e motoveicoli ecologici, elettrici o ibridi, veicoli nautici, macchine agricole e dispositivi per la diffusione della rete internet a banda larga.

1.1.3 Le politiche commerciali Il 2010 ha visto sorgere una nuova politica commerciale per fronteggiare la pesantissima crisi: la diminuzione generale dei dazi per sostenere il comparto orafo nell’accesso ai mercati internazionali. Gli effetti risultano essere molteplici: aumento della trasparenza, riduzione del mercato nero e concorrenza più competitiva grazie all’assenza di grosse barriere.

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Nell’anno successivo, sono iniziate le contrattazioni relative alla liberalizzazione del commercio internazionale tra Confindustria e la WTO (World Trade Organization). Federorafi evidenzia che, in ogni caso, i dazi imposti da alcuni Stati incidono ancora sulle esportazioni del settore. In tal senso, l’Associazione ha dato inizio al Free Trade Agreement con la Corea del Sud, aprendo contemporaneamente le negoziazioni con altri Paesi (es. India, USA, ecc.) e orientandosi verso un accordo che permetta la libera commercializzazione dei preziosi nel territorio della Comunità Europea.

1.1.4 L’attività legislativa Oltre alle tradizionali norme di diritto che regolamentano in commercio in Italia, il settore necessita di una serie di tutele e garanzie specifiche che completino il lavoro già svolto dalla Metodologia di Controllo introdotta e resa pubblica dall’Agenzia delle Entrate nel 1997. Ciò che viene sempre più richiesto dagli addetti ai lavori è la tracciabilità dei prodotti durante tutte le fasi della filiera, partendo dalle materie prime e giungendo al prodotto finito, allo scopo di poter definire origine, etica e standard. In tal senso si colloca “TF – Traceability & Fashion”, un sistema di certificazione volontaria, proposto da Unioncamere e riconosciuto dall’Unione Europea, che consente di raggruppare tutte le filiere del Made in Italy che apportano un valore aggiunto alla manifattura del macrosettore moda. Una volta certificati gli standard, l’azienda può disporre di un’etichetta di certificazione e di un codice identificativo adoperabile per ricercare ulteriori informazioni sul sito www.tfashion.camcom.it . Molte altre sono le iniziative promosse come lo Statuto della neonata Federpreziosi (Federazione Nazionale delle Imprese Orafe Gioielliere Argentiere Orologiaie, facente parte di Confcommercio Imprese per l’Italia) e i Patti di Sviluppo del distretto orafo di Vicenza.

1.2 L’ambiente macroeconomico

1.2.1 La variazione del PIL e quella di settore

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L’andamento del settore della gioielleria appare ciclico e i riflessi sulle variazioni sono più alti di quelli del prodotto interno lordo: l’output risulta altamente correlato al PIL. Casi particolari si hanno nel 2003 e nel 2004, anni in cui si notano significativi squilibri rispetto al resto dell’andamento. Una possibile spiegazione può essere attribuita alla relazione fra l’estrazione dell’oro e il prezzo di tale metallo, la cui quotazione, proprio nel 2003, raggiunge il minimo valore in relazione ai 20 anni precedenti, per poi tornare a risalire vertiginosamente. Nel 2004, il prezzo continua a crescere e si attenua la diminuzione dell’attività estrattiva, già in decremento dal 2001. Tornando allo studio delle variazioni dell’output di settore, si può dedurre che la forte contrazione dal 2007 al 2009 non sia da attribuirsi solo alla diminuzione del PIL nazionale, ma sia riferita all’intero sistema economico mondiale e alla profonda crisi, che ha causato un rallentamento generale dei sistemi economici nazionali. Nello stesso anno, le esportazioni della gioielleria italiana subiscono un calo del 9%, non eccessivamente negativo se confrontato con il -18% delle esportazioni globali italiane10. L’impennata tra 2009 e 2010 è sicuramente riferibile a un aumento del prezzo dell’oro pari almeno al 25% e non a un incremento del venduto11. Il peso del settore rispetto al PIL rimane sostanzialmente stabile, con un leggero trend di aumento12.

1.2.2 Il costo delle materie prime Il 22 giugno 2012, Confcommercio pubblica l’articolo intitolato “Fiducia dei consumatori ai minimi dal 1996”13. L’indice di fiducia su imprese e famiglie (Isae), elaborato dall’Istat, infatti, si riduce al livello più basso delle serie storiche. Il calo si riconduce alle preoccupazioni per la disoccupazione e allo scenario di crisi economica globale. L’indice Isae attualmente si attesta intorno all’85.3, contro il 96.1 rilevato nel 2010. La congiuntura economica sfavorevole e il basso clima di fiducia, si presume abbiano influenzato le dinamiche economiche del settore. Così come denuncia l’articolo del 14 maggio 2012 di Repubblica & Finanza14, il settore orafo italiano ha apparentemente subito una crescita dei fatturati. La crescita, però, è strettamente collegata all’aumento del prezzo dei metalli; a prezzi costanti, infatti, il fatturato ha registrato un calo del 4,3%. Punta di diamante del settore orafo rimangono le esportazioni che, con una crescita del 10,5% mostrano un profilo di speranza e ripresa. Si dimostrano entusiasmanti i risultati dei vari distretti, soprattutto quello di Vicenza, che registra una crescita delle esportazioni pari al 7,6%.

10

Elaborazione OID Valenza su dati ISTAT e Sole 24 Ore, 2009. 11

www.goldprice.org 12

Le percentuali relative al settore complessivo (non solo ai tre distretti selezionati) appaiono doppie. 13

Fiducia dei consumatori ai minimi dal 1996, www.confcommercio.it, 22/6/2012 14

De Ceglia V., Mercato interno fermo per il settore orafo rotta obbligata verso paesi lontani, www.Repubblica.it, 14/5/2012

Anno Peso del settore

2002 0,17%

2003 0,15%

2004 0,16%

2005 0,15%

2006 0,16%

2007 0,17%

2008 0,16%

2009 0,14%

2010 0,18%

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All’instabilità e alle condizioni sfavorevoli del mercato interno, quindi, si preferiscono le opportunità di crescita e di espansione in Oriente o nel più vicino Mediterraneo. “Nei primi 9 mesi del 2011 le esportazioni sono cresciute del 12,8%, mentre nel 2010 l’Italia ha esportato gioielli in metalli preziosi per un valore di 4.573 milioni di euro, +26,8% rispetto all’anno precedente”.15 Mentre le imprese dei distretti manifatturieri soffrono, i picchi del prezzo così alto dell'oro stanno fomentando il boom delle insegne "Compro oro" specializzate nell'acquisto di monili usati per un giro d'affari di 3 miliardi all'anno.

1.2.3 Il costo del lavoro Il costo del lavoro in Europa varia da un valore massimo di 44,2 €/h a uno minimo di 3,5. Il dato per l’Italia mostra una maggiore convenienza di un’ora lavorativa rispetto alla media dei Paesi aderenti alla moneta unica (Eurozona), ma non rispetto a quelli che non hanno adottato l’Euro; questo potrebbe comportare un possibile spostamento di parte del processo produttivo italiano in questi ultimi Stati. Resterebbe, a questo punto, da valutare la probabile perdita di valore non associando più i prodotti al Made in Italy. La manodopera all’interno del settore orafo rimane una barriera all’entrata. Nazioni come la Turchia o l’India riescono spesso a riprodurre le medesime tecniche di realizzazione, collocando i prodotti a livello mondiale, ma a costi inferiori. Tutto ciò va a discapito del settore italiano, dove la domanda di manodopera altamente specializzata è ancora elevata e proviene sia da piccoli laboratori, sia da grandi catene. Nonostante il costo del lavoro per gli operai specializzati rimanga piuttosto alto, negli ultimi anni si è manifestata una carenza di tecnici qualificati; tra le cause di tale fenomeno si possono ricondurre la diminuzione di interesse nei confronti dell’artigianato e il distacco tra formazione scolastica e offerta di lavoro. In altre parole: manca un vero e proprio progetto di educazione che miri allo sviluppo della competitività dell’offerta italiana; questo tipo di programmi formativi è invece già attivo in altri Paesi emergenti.

15

De Ceglia V., Mercato interno fermo per il settore orafo rotta obbligata verso paesi lontani, www.Repubblica.it, 14/5/2012 (Cit.)

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CAPITOLO 2 I caratteri della domanda

Il settore, notoriamente nato con tecnologie di tipo artigianale, è sempre stato caratterizzato da una domanda focalizzata su beni di ottima fattura, realizzati da noti marchi della tradizione del Made in Italy. Dagli anni ’80, però, è iniziata una rivoluzione ad opera di quello che si presenta come il nuovo trend di mercato: la ricerca della “Fashion Jewellery”. Si tratta di prodotti a fattura industriale standardizzata con distribuzione massiccia. Questo ha fatto sì che il gioiello perdesse la sua “natura elitaria”, per diventare un vero e proprio accessorio di moda. Cambiano i materiali: da metalli e minerali pregiati e rari, si passa a leghe e pietre comuni. Tali mutamenti si riflettono su acquisti e situazioni d’uso, andando a modificare gradualmente anche la domanda dei consumatori. Permane, ma in netta diminuzione rispetto al passato, quella porzione di acquisti orientata all’alta gioielleria, vista ora come “bene rifugio”. Al contrario, aumenta la richiesta del “gioiello accessibile” come accessorio che completi l’outfit. Il settore viene trainato da quest’ultima categoria di prodotti, grazie, soprattutto, al supporto di materiali prima sottovalutati come l’acciaio. La debolezza dei consumi è causata:

dall’abbandono dei prodotti tradizionali in favore dei brand moda;

dalla globalizzazione e, quindi, dall’aumento della concorrenza;

dalla stagionalità della domanda, concentrata quasi esclusivamente nelle ricorrenze e nelle festività;

dalla riduzione del prezzo di riserva degli acquirenti, dovuta all’aumento dei prezzi;

una riduzione del potere d’acquisto della classe media motivata dal mancato aumento dei redditi e dall’attuale situazione di crisi economica globale.

Gli effetti sono stati numerosi, tra questi troviamo:

la graduale perdita di potere competitivo delle PMI;

la riduzione della tutela delle innovazioni di prodotto che ha portato a un aumento della contraffazione;

la fluttuazione continua del prezzo dell’oro.

2.1 La segmentazione del mercato La curva di domanda dei beni di lusso risulta essere sostanzialmente rigida, rispetto ai beni normali. Contrariamente alla norma, fino ad un certo livello di prezzo la quantità domandata cresce all'aumentare del prezzo. Una volta che il consumatore percepisce un disequilibrio tra prezzo e qualità effettiva, la curva torna ad assomigliare ad una classica relazione prezzo/quantità nella quale all'aumentare del prezzo si verifica una diminuzione della quantità domandata16.

16

F. Mosca, Marketing dei beni di lusso, PEARSON Prentice Hall, 2010

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L'elasticità della domanda rispetto al reddito è intuitivamente elastica (più che proporzionalmente) in maniera positiva: all'aumentare delle disponibilità economiche del consumatore peserà sempre meno la scelta d'acquisto per articoli costosi. Dall’analisi dei paragrafi precedenti, è facilmente comprensibile come la domanda di settore, un tempo basata sull’unicità del prodotto, sul valore ostentativo, sulla purezza e sulla rarità dei materiali, si sia evoluta da omogenea a eterogenea. Ciò si traduce in una sorta di inquinamento del valore di prestigio. La causa è da riscontrarsi nella nascita di nuovi bisogni (es. riconoscimento di gruppo, essere al passo con la moda..) soddisfatti dalla Fashion Jewellery, che introduce materiali meno pregiati, ma alla portata di tutte le tasche, democratizzando la gioielleria. È possibile ipotizzare allora “un’elasticizzazione” graduale della curva di domanda del gioiello, che tenderebbe ad avvicinarsi progressivamente alla curva di domanda dei beni normali per la riduzione della propria immagine di bene di prestigio e del valore intrinseco dei prodotti. Riassumendo, appare evidente la presenza di due segmenti di mercato: la gioielleria di alta gamma e la Fashion Jewellery. Le aree strategiche d'affari (ASA) permettono la raffigurazione del settore in differenti porzioni omogenee in base a tre assi dimensionali: la tecnologia produttiva (materiali di produzione), i benefici ricercati (funzioni) e i gruppi di clienti.

La tecnologia adottata riguarda la similarità produttiva dal lato dell’offerta: essa differisce a seconda dei vari materiali. I benefici ricercati concernono il prestigio sociale derivante dal possesso di gioielleria di alta qualità, il riconoscimento dello status sociale elitario o di appartenenza a un gruppo, l’abilità di

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seguire moda e tendenze, la possibilità di vivere esperienze di shopping piacevoli e l’utilizzo dei gioielli come investimento a lungo termine con difficile svalutazione. In ultimo, i gruppi di clienti si diramano in rapporto all’età anagrafica e al sesso.

2.2 La differenziazione dei prodotti Una volta ottenuti i segmenti del settore, spaccando una domanda eterogenea, si procede con lo studio della differenziazione interna a ciascun segmento. Avendo prestato maggior attenzione al criterio di sostituibilità per i produttori per la definizione del settore, si è ritenuto utile prospettare anche uno studio delle abitudini di acquisto dei consumatori. Per valutare l’importanza delle caratteristiche specifiche dei gioielli è stato adoperato un questionario17. Tale strumento è stato somministrato a un campione casuale di 399 individui tramite modalità CAWI, grazie all’utilizzo di piattaforme di social network e alla diffusione via e-mail. L’obiettivo è stato quello di valutare modalità, tempistiche e ragioni di acquisto, attraverso sette domande, di cui una batteria espressa in scala Likert 1-5.

La prima richiesta è stata utilizzata per scremare il campione: il 46% dei rispondenti sostiene di non aver comprato alcun prodotto nell’ultimo anno. Il restante 54% viene scisso tra chi (51%) ha effettuato l’acquisto di persona e chi (3%) si è affidato a terzi, delegando l’acquisto. Solo coloro che acquistano o delegano, hanno concluso il questionario; i dati che seguono si riferiscono, quindi, a questa maggioranza.

A questo punto, si è provveduto a studiare il destinatario finale del gioiello. Il 38% afferma di aver effettuato un acquisto per uso personale, mentre la restante fetta di rispondenti ha affrontato la spesa allo scopo di regalare il prodotto. Tra le tre occasioni d’acquisto ipotizzate, la più selezionata è stata la ricorrenza (es. compleanno, anniversario, ecc..), mentre l’ultima le festività (es. San Valentino, Natale, ecc..). Ciò che appare rilevante è il 18,31% di risposte che hanno evidenziato l’assenza di una necessità particolare18. Analizzando più a fondo questo ultimo dato, si è riscontrato che è scindibile in un 75,86% attribuibile a coloro che hanno effettuato un acquisto per se stessi e un 24,14% di chi ha regalato il prodotto.

17

Allegato A 18

Le somma delle percentuali supera il 100% poiché era possibile indicare più di una risposta.

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Scendendo nello specifico dello studio dei prodotti, quattro sono state le domande proposte. La prima è riferita alle tipologie di prodotto maggiormente acquistate. A pari merito si presentano collane e bracciali, seguite da orecchini, anelli , ciondoli e altri prodotti come spille, pochette e scarpe gioiello. La seconda19 si riferisce ai prezzi e li analizza in rapporto a cinque classi20. Ciò che appare evidente è che la maggior parte degli acquisti si concentra nella fascia di prezzo tra i 51€ e i 350€. La seconda fascia per rilevanza è quella con prezzi inferiori ai 50€. Queste due informazioni consentono di dedurre che la maggior parte della domanda si concentra sulla Fashion Jewellery e sulla gioielleria a basso prezzo, a discapito dell’alta gamma e della fascia di prodotti con prezzo medio (351-1000€). Per quanto concerne la distribuzione, si deduce che la maggior parte degli acquisti avviene nelle catene multimarca, per lo più disposte nei centri commerciali. A queste seguono, in ordine decrescente, laboratori e oreficerie, negozi monomarca, grandi magazzini, negozi storici nei grandi centri città. Infine troviamo outlet, televendite e e-commerce a pari merito. L’ultima domanda riguarda il peso di alcune variabili identificate come possibili ragioni alla base della scelta tra i vari prodotti. I rispondenti hanno dovuto indicare l’importanza di ogni criterio esprimendo un valore da 1 (per niente) a 5 (indispensabile).

Una volta ottenuti tali valori, si è proceduto creando le singole medie ponderate. Molto importante risulta essere il materiale con una media di 4,04. Successivamente troviamo, a pari

19

Le somma delle percentuali supera il 100% poiché era possibile indicare più di una risposta. 20

Fonte fasce di prezzo: Varacca Capello P., Miti da sfatare nel gioiello, Egea, 2007 (Il settore orafo in Italia)

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merito (3,65), lo stile e il prezzo, seguono il prestigio (3,17) e la tendenza o moda (2,63) e, infine, il brand (2,58). Riassumendo, le tre variabili fondamentali per i consumatori sono materiale, stile e prezzo.

2.2.1 La differenziazione verticale La differenziazione verticale, basata sulla qualità dei prodotti, è presto misurabile sia grazie alla scala in carati che quantifica il peso (0,2 g) di metalli e leghe, sia grazie alle scale di purezza relative alle singole pietre. Le imprese che abbiano intenzione di differenziarsi verticalmente devono investire molto sulla qualità e sulla lavorazione dei prodotti, senza dimenticare di impegnare risorse anche nella comunicazione e nella pubblicità. Questo perché la differenziazione si gioca sulla percezione della qualità e non sulla reale qualità del prodotto: la differenziazione di imprese che non comunicano correttamente può non essere recepita dalla domanda. Altra componente che influenza la qualità del prodotto è la rarità, sia del singolo pezzo di gioielleria, soprattutto se firmato, sia dei materiali utilizzati nella realizzazione. In ogni caso, il settore del gioiello italiano si differenzia in modo verticale, all’estero e rispetto alle importazioni, per il fatto di appartenere alla categoria di beni di lusso del Made in Italy.

2.2.2 La differenziazione orizzontale La differenziazione orizzontale, invece, si focalizza principalmente sul design e su altre caratteristiche del prodotto meno rilevanti. Con design si intende l’estetica e la forma del pezzo di gioielleria. Ad esempio, alcuni design vengono considerati di tipo classico e non subiscono i capricci dei trend, mentre altri sono fortemente legati alla moda in atto e mutano notevolmente in base al periodo storico. Nel settore, si può presumere che il consumatore sia molto severo e che si orienti in base a gusti, al prezzo e all’occasione d’uso.

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CAPITOLO 3 I caratteri dell’offerta

Il settore si trova attualmente in una fase di maturità caratterizzata dalla saturazione della domanda. La competizione è molto forte e basata sulla differenza degli input adoperati per la produzione. Il valore è giocato proprio sulla qualità dei materiali, criterio molto rilevante per la definizione del prezzo. La gamma prodotti è stagionale e i modelli cambiano in base alla collezione mantenendo, però, delle caratteristiche base piuttosto omogenee, soprattutto per quanto riguarda il “remake” di alcuni pezzi di successo. Per studiare l’offerta è necessario creare una fotografia dello spazio di mercato e del quadro strategico.

3.1 Classi dimensionali del settore e grado di concentrazione

3.1.1 La suddivisione dei produttori per classi dimensionali Adoperando i valori indicati dalla tabella standard di riferimento formalizzata dall’Unione Europea21, è possibile distinguere quattro categorie di operatori di settore: micro, piccole, medie e grandi imprese. Un’ulteriore suddivisione si basa sulle due principali fasi della filiera, creando due classi: produzione e distribuzione. L’offerta del settore è stata studiata in relazione all’anno 2010, tenendo in considerazione simultaneamente i due criteri sopracitati.

21

Tabella descrittiva delle PMI formalizzata dalla Commissione Europea con la raccomandazione 1442 del 6/5/2003.

Tipo Dipendenti Fatturato (migl.€) Totale di bilancio (migl.€)

Media impresa < 250 ≤ 50.000 ≤ 43.000

Piccola impresa < 50 ≤ 10.000 ≤ 10.000

Micro impresa < 10 ≤ 2.000 ≤ 2.000

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La maggior parte degli operatori presenta dimensione micro (73,72%), ma apporta solo una piccola percentuale di fatturato totale (rispettivamente 13,24%). Il fatturato percentuale porzionato risulta inversamente correlato al numero di operatori esistenti; fa eccezione la classe dei grandi produttori che costituisce poco meno di un quarto dei medi, ma che apporta meno fatturato. Ipotizzando un’equa distribuzione dei ricavi per classe, una micro impresa fatturerebbe lo 0,18% del totale di settore, una piccola 1,17%, una media 6,05% e una grande il 26,76%. Appare evidente che, nonostante le origini siano legati ai piccoli laboratori artigianali, sono le grandi imprese a trarre maggiori ricavi operando nel settore.

Osservando il grafico22, si possono trarre le seguenti conclusioni:

esiste un trend di crescita del fatturato delle micro imprese che si interrompe bruscamente nel 2010;

l’andamento dei ricavi delle piccole e medie imprese appare mediamente più stabile di quello delle micro, ma anche queste subiscono un crollo in relazione al FY2010;

le grandi imprese apportano percentuali di fatturato più altalenanti, in particolare tra il 2002 e il 2004;

queste ultime sono le prime a subire l’effetto della crisi del 2009 ma,

contrariamente alle altre tre classi, riescono a reagire già l’anno successivo giungendo a valori superiori al primo anno di analisi. Per valutare le oscillazioni delle percentuali di fatturato apportate da ogni classe dimensionale è necessario valutare se esiste una qualche relazione con il numero di aziende operanti in ogni classe. Dal grafico è possibile trarre le seguenti informazioni:

la percentuale di micro produttori ha un trend crescente, questo è dovuto solo alla nascita di nuovi operatori e non allo spostamento lungo le classi dimensionali;

nel 2009 si inverte il trend a causa della mortalità di alcune micro imprese, non in grado di

22

Il 13,24% del fatturato 2010 viene apportato da micro imprese. Se si considerassero tutti i micro produttori, comprendendo anche quelli non appartenenti ai tre principali distretti evidenziati nel capitolo introduttivo, la percentuale salirebbe a 97,05%. Questo spiega perché non è stata fissata una soglia minima di fatturato nella delimitazione dei confini.

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affrontare la crisi in atto. Dall’analisi si dimostra che l’aumento della percentuale di fatturato apportata dai grandi operatori nel 2010 non è dovuta all’ingrandimento della classe, ma a una migliore capacità di affrontare la crisi.

3.1.2 Il grado di concentrazione del settore23

Il rapporto di concentrazione (CR4), ottenuto dalla sommatoria della quota di mercato delle quattro aziende con maggior fatturato, è pari a 0,15. L’indice di Herfindal-Hirschman è 0,01 e viene calcolato come sommatoria dei

quadrati delle quote di mercato corrispondenti a tutti gli operatori. Con tali numeri relativi al CR4 e ad H, è possibile sostenere che vi sia un’elevata frammentazione di settore. L’ipotesi viene sostenuta anche dal numero equivalente: se tutti gli operatori fossero uguali per dimensione, vi sarebbero circa 74 imprese. Ci si troverebbe in condizioni molto vicine alla concorrenza perfetta. Osservando quali siano i quattro operatori che apportano più ricavi, si nota che vi sono solo concorrenti con due (24.41.00 e 32.12.10) dei tre codici ATECO 2007 selezionati in fase di delineazione dei confini settoriali. Per rintracciare la più grande impresa corrispondente al terzo codice (32.12.20), occorre spostarsi alla 86-esima posizione: IT.TE.DI. S.R.L. ha una quota di mercato di 0,22%, questo potrebbe essere giustificato dal fatto che la produzione è destinata a un uso industriale e non al mercato finale, come invece accade per i precedenti codici che costituiscono la maggioranza del settore.

3.2 Destinazione geografica della produzione Due terzi della produzione della gioielleria italiana è destinata all’esportazione, di questi circa il 70% deriva dai distretti di Arezzo, Valenza e Vicenza. La forte contrazione della richiesta di gioielleria da parte dei principali paesi di esportazione (EAU -32,3% e USA -42,8% nel periodo 2007-2009) e la crisi economica del 2008, che ha causato forti oscillazioni nel prezzo delle materie prime, possono spiegare l’andamento negativo del grafico24. Tendenza inversa si prospetta nel 2010, grazie a incrementi rilevanti della domanda svizzera (+63,4%), turca (+49,8%), cinese (+39,1%) e di Hong Kong (+38,4%).

23

Alleato B 24

Fonte del grafico: Vernizi S., Criticità e opportunità competitive nel settore della gioielleria, 6/9/2011

Ragione Sociale ATECO 2007 Codice Ricavi delle vendite migl. EUR 2010 TRATTAMENTI CENERI AUROARGENTIFERE S.P.A. 244100 135.488,36 BATAZZI METALLI PREZIOSI S.P.A. 321210 109.329,61 SAFIMET S.P.A. 244100 87.215,45 VIERI - S.P.A. 321210 83.677,80

CR4 0,15

H 0,01 N. Equiv. 74,35

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Numerosi sono gli Stati verso cui sono dirette le esportazioni25.

Il mercato più rilevante per le aziende italiane che desiderano internazionalizzarsi è rappresentato dagli Emirati Arabi Uniti: finanziariamente ricchi e in continuo sviluppo infrastrutturale offrono possibilità di espansione del campo del retail della gioielleria. Successivamente gli sbocchi principali risultano essere Svizzera, Stati Uniti e Francia.

Il panorama delle esportazioni italiane è alquanto dinamico. Se si confronta il grafico al 2010 (sopra) con quello al 200026 (a destra) si può vedere come sia notevolmente cambiato il peso delle quote. Gli EAU hanno invertito la propria posizione con gli USA, così come accade anche tra Francia e Hong Kong. La Svizzera quadruplica il proprio dato. Compaiono il colosso cinese, la Turchia e la Spagna. Si assiste a un generale aumento dei valori dei singoli stati, con una conseguente diminuzione della percentuale residua per gli altri Stati. Dato contrastante, è la sparizione di Panama tra i grandi importatori.

3.3 Le barriere del settore Le barriere all'entrata del settore sono relativamente basse. La grande maggioranza delle imprese è di piccole dimensioni, caratterizzata da una produzione di tipo artigianale, con numero medio di addetti per impresa pari a circa 4 e con barriere tecniche e tecnologiche limitate. Anche per la produzione industriale standardizzata, le tecnologie necessarie non sono particolarmente complesse (es. gli apparecchi galvanotecnici sono facilmente reperibili nel nostro Paese). Unica eccezione è l’alta gamma che necessita di grandi capitali di investimento in entrata per l’acquisto delle materie prime. Genericamente, il know-how stlistico, la presenza di marchi con ottima reputazione, la disponibilità di manodopera qualificata in numeri rilevanti, il rinnovo del campionario e la gestione del network

25

Fonte dati: Monte dei paschi di Siena. 26

A. Zucchella, L'internazionalizzazione delle imprese orafe, Università Insubria, 2001

Dati al 2000

Dati al 2010

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distributivo, particolarmente complesso per il mercato estero, risultano essere gli ostacoli principali per le aziende che desiderano operare nella gioielleria27. Discorso analogo per le barriere all’uscita che, essendo caratterizzate pressoché solo da investimenti in capitale fisso, risultano essere un’altra volta limitate. Soprattutto perché, come già detto più volte, la dimensione delle impresa media è molto piccola ed essendo i processi di lavorazione artigianali anche l’acquisto di macchinari complessi (eventualmente da smobilitare) è limitato.

3.4 Il processo produttivo in fasi: la filiera Le macro-fasi di produzione degli articoli di gioielleria sono quelle canoniche della produzione di beni in genere; infatti si articolano in: approvvigionamento e acquisti, gestione e creazione del portafoglio prodotti, marketing e vendite. Alcune di queste fasi ricoprono nel processo produttivo un peso molto diverso. È facilmente comprensibile come, nelle aziende artigianali, la funzione marketing sia pressoché inesistente, la creazione di un portafoglio prodotti sia limitata (o addirittura non pianificata) e le attività di approvvigionamento abbiano numeri estremamente diversi. Le fase più particolari del processo produttivo degli articoli di gioielleria sono quelle a monte: infatti le attività di estrazione e preparazione dei metalli e delle pietre assumono un ruolo cruciale. Questo soprattutto per la localizzazione geografica delle materie prime, le miniere più importanti di metalli e pietre preziosi si trovano in Africa, Canada, Australia e Russia. È facilmente comprensibile come l’approvvigionamento non sia un processo immediato, non solo per l’effettiva distanza dalle fonti, ma anche per le difficoltà e i costi legati al trasferimento di materie prime così preziose. Subito successiva alla fase di estrazione dei metalli e delle pietre, vi è la separazione dagli elementi estranei, la pulitura e la selezione. Le attività estrattive sono svolte in maniera crescente da grandi gruppi multinazionali (come le sudafricane AngloGold Ashanti per l’oro e la De Beers per i diamanti). L’acquisto dell’oro può avvenire tramite banchi di metalli preziosi o banche, anche sottoforma di prestito d’uso (sostanzialmente un finanziamento, non monetario, ma in metallo prezioso). In Italia i banchi metalli sono circa una ventina (localizzati tra Arezzo, Milano e Valenza). Le attività dei banchi non riguardano solo la compravendita, ma anche il frazionamento in pezzature particolari (a differenza delle banche che forniscono solo lingotti standard da 12 kg), il trasporto, l’affinazione, la certificazione e l’assaggio (ovvero la valutazione della quantità d’oro presente nel rottame di metallo prezioso). La prima vera e propria attività di trasformazione della materia prima consiste nella levigatura, nel taglio e nella sfaccettatura per le pietre; invece, per i metalli nella fusione in barre, nella trasformazione in lamine o fili, a seconda dell’esigenza dei clienti. Queste operazioni vengono svolte da operatori specializzati (numerosi gli italiani, anche se le maggior concentrazione di questo tipo di attività di trasformazione si ha in India e Cina) o anche da grossi gruppi internazionali che si sono integrati verticalmente.

27

Databank, L'edicola DBK, N°7 Aprile 2012

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A questo punto inizia il vero e proprio processo di preparazione del gioiello: preparazione delle leghe specifiche per i metalli, assemblaggio e processi galvanici di placcatura. Per la realizzazione dei gioielli che contengono anche pietre preziose, le operazioni continuano con incastonatura, pulitura e punzonatura. In generale, queste attività sono svolte da aziende specializzate con gradi di integrazione variabili, anche se non particolarmente elevati e comunque più integrate a monte nei paesi in via di sviluppo e più a valle nelle economie avanzate (come per esempio in Italia dove si è avuta l’acquisizione della catena di gioiellerie Bluespirit da parte di Morellato). La maggior parte delle piccole e medie imprese italiane produce per conto terzi e sviluppa, nel contempo, alcune linee autonome di prodotto; le imprese più grandi, al contrario, producono a proprio marchio o in licenza. ATTIVITÀ MATERIE PRIME / PRODOTTI MODELLI DI BUSINESS

ESTRAZIONE Pietre preziose Pietre semipreziose Pietre sintetiche (produz.)

Oro Argento Platino

Miniere Coltivatori Perle Aziende specializzate

Grandi conglomerate integrate verticalmente

LAVORAZIONE Selezione Lavorazione

Fusione Trasformazione Leghe

Aziende specializzate

COMMERCIO MATERIE PRIME e SEMILAVORATI

Certificazione Barre Semilavorati

Operatori specializzati Borse Valori Banche

PRODUZIONE

Gioielli Accessori

Gioielli Oreficeria Argenteria Accessori

Produttori di nicchia Grandi produttori Terzisti

VENDITA

Gioiellerie indipendenti Catene indipendenti Catene integrate Vendita on-line GDO

La filiera dei prodotti di gioielleria, suddivisa per tipo di attività. Fonte: rielaborazione propria.

3.4.1 I fattori critici di successo

Com’è intuibile da quanto sopra riportato, il processo di approvvigionamento, non essendo così convenzionale, risulta di rilevanza cruciale, anche a causa della grande fluttuazione dei prezzi dei metalli preziosi nel mercato mondiale. Le aziende produttrici di gioielli sono assolutamente price-taker, essendo condizionate dalle quotazioni e dalle attività estrattive che sono controllabili in maniera minima dalle parti a valle della filiera (un po’ come avviene per il mercato del petrolio). Lo sviluppo di brand di successo e la creazione di una rete di vendita sono ovviamente altri punti cruciali (di importanza maggiore per le grandi aziende), ma senza specificità così rilevanti da meritare un discorso a parte e comunque molto simili al mondo del lusso in genere, dell’abbigliamento o degli altri bene di marca.

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CAPITOLO 4 Il comportamento delle imprese

Per analizzare il settore e i comportamenti delle aziende che lo compongono, è stato indispensabile suddividerle in gruppi strategici, in modo da poter effettuare un successivo confronto.

4.1 Selezione delle imprese e scelta delle variabili strategiche Il campione di studio comprende la totalità delle imprese interne ai confini del settore. I 742 produttori italiani di gioielleria, dislocati nei principali distretti, vengono analizzati attraverso tre variabili strategiche riferite all’anno 2010: la quota di mercato a valore, il valore aggiunto (=ricavi delle vendite - costi della produzione) e l’indice di gestione delle scorte (= scorte/ricavi delle vendite). La scelta di tali variabili è stata un procedimento estremamente complesso: sono le uniche disponibili e utili a studiare la produzione, che non risultino altamente correlate tra loro.

4.2 Individuazione dei gruppi strategici Tramite una Cluster Analysis di tipo gerarchico con legame Ward e distanza euclidea è stato ottenuto il programma di agglomerazione che rimanda i coefficienti di agglomerazione per ognuno dei 741 stadi. Calcolando la variazione di quest’ultimo, si è compreso come il collettivo di analisi fosse suddiviso in due gruppi strategici.

Programma di agglomerazione

Cluster accorpati Stadio formazione

Stadio Cluster1 Cluster2 Coefficienti Cluster1 Cluster2 Stadio successivo Var% Coeff.

... … … … … … … …

736 1 13 225,719 728 729 740 9,72%

737 3 4 247,669 733 727 740 9,93%

738 14 250 272,254 735 731 739 9,82%

739 14 31 298,988 738 734 741 12,40%

740 1 3 336,060 736 737 741 28

22,98%

741 1 14 413,299 740 739 0 -

Anche il dendrogramma conferma l’esistenza di due cluster.

28

Rappresenta l’aumento percentuale del coefficiente di agglomerazione aggregando dal livello 740 al successivo. Presenta un valore basso, ma accettabile in quanto il collettivo di imprese è numeroso. In corrispondenza di tale variazione si individuano due cluster.

Variazione 22,98%

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4.3 Analisi dei gruppi strategici La seconda metodologia adoperata è l’Analisi in Componenti Principali, utilizzata per ottenere una mappa di posizionamento e studiare i due cluster.

Il primo gruppo, in blu, ha una varianza interna minore; mentre il secondo, in verde, è decisamente eterogeneo per la prima componente principale29 e presenta valori anomali per la seconda30.

Appaiono diversi anche in rapporto alla quota di mercato media pari a 0,06 per il primo cluster e 1,43 per il secondo. Questo è spiegabile poiché le aziende non sono egualmente distribuite nelle classi dimensionali: il primo valore è influenzato dalla maggiore presenza di micro (99,45% delle micro imprese del settore) e dai piccoli produttori (97,20% delle piccole imprese del settore); invece, il secondo gruppo da aziende medie e dai grandi operatori del settore, non presenti nel cluster 1.

29

La prima componente principale, denominata “Valore prodotto” è altamente correlata alla quota di mercato e al valore aggiunto dalla produzione.

30 La seconda componente principale, denominata “Efficienza del magazzino” è altamente correlata alla gestione delle scorte.

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Ultima differenza riguarda l’attribuzione del codice ATECO: non esistono lavoratori di pietre nel secondo cluster.

L’unica similitudine rintracciata è la distribuzione delle imprese nel territorio: entrambi i cluster sono maggiormente presenti nel distretto di Arezzo, segue quello di Vicenza e, infine, Alessandria.

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CAPITOLO 5 L’analisi delle performance

Attraverso il calcolo di alcuni indici di bilancio è possibile capire meglio le peculiarità del settore in analisi. Non è cosa facile giustificare gli indici, soprattutto, tenendo conto del gran numero di imprese contenute nel campione. Per questo, è possibile trarre solo macro-valutazioni, vista l’impossibilità di analizzare ogni singola impresa. Scarteremo, quindi, la possibilità di un’analisi in rapporto al comportamento, cercando di focalizzarci sullo studio struttura-risultati e tenendo in considerazione i fattori più significativi emersi: la grande frammentazione del settore e il basso numero medio di dipendenti.

2008 2009 2010

Redditività ROA 2,63% 4,99% 4,56%

Redditività ROS 2,81% 4,44% 3,99%

Cash Flow C.F./Ricavi 1,55% 1,97% 2,26%

Cassa Cassa/Ricavi 5,00% 4,11% 3,61%

Efficienza Gestione Scorte Scorte/Ricavi 27,00% 23,26% 23,16%

Efficienza Capitale Investito Ricavi/Attività 111,12% 133,13% 129,75%

Liquidità Indice Liquidità 1,26 1,33 1,23

Indebitamento Debiti/Attività 0,54 0,55 0,55

La prima considerazione di ordine generale che emerge è il netto peggioramento di tutti gli indici nell’anno 2009, la motivazione può essere facilmente ricondotta alla crisi economica che ha colpito, in quell’anno, in misura maggiore tutte le imprese. L’indice di cassa mostra un miglioramento, ma questo è sicuramente riconducibile alla diminuzione dei ricavi e non ad un miglioramento della gestione o dei tempi di incasso; infatti, l’indice di Cash Flow mostra un peggioramento). Nel 2010, la situazione migliora notevolmente e, in alcuni casi, raggiunge migliori rispetto al 2008. Va tenuto comunque conto di quanto sopra: alcuni indici non danno una visione piena del fenomeno ed è opportuno raffrontarli nel complesso. I valori del ROA e del ROS non evidenziano una profittabilità particolarmente elevata, diversamente da come ci si potrebbe naturalmente aspettare da un settore che produce beni ad alto valore intrinseco. A causa del valore dei prodotti finiti, il mark-up di valore applicabile agli output è inferiore ai prodotti di moda o del mercato del lusso: è l’alto costo delle materie prime a influire limitando la profittabilità delle imprese. Il buon valore di efficienza di gestione delle scorte (permangono poche risorse inutilizzate) fa pensare a un settore che produce prevalentemente con modalità just-in-time, ma è facilmente comprensibile come questo sia a causa delle dimensioni delle aziende: imprese di tipo artigianale lavorano con magazzini estremamente ridotti, mentre i terzisti lavorano effettivamente sugli ordini ricevuti.

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Gli ultimi indici di Efficienza del Capitale Investito, di Liquidità e di Indebitamento presentano valori più che soddisfacenti: dimostrando come il settore, nonostante non presenti redditività eclatanti, sia solido e sia in grado di fare fronte agli impegni sorti attraverso la gestione caratteristica. Il basso valore dell’indebitamento è nuovamente giustificabile grazie alla dimensione prevalente dell’impresa, la quale produce con le risorse che può avere effettivamente a disposizione. Viste le dimensioni e il ridotto potere contrattuale anche l’accesso al credito è difficoltoso: i bassi livelli di debito potrebbero dimostrare anche l’effettiva impossibilità ad ottenere prestiti e finanziamenti bancari.

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CONCLUSIONI Volendo riassumere quanto rilevato dall’analisi, è possibile trarre una serie di conclusioni. Il settore appare ciclico in rapporto al PIL nazionale, ma presenta fluttuazioni più reattive. È caratterizzato da una diversa distribuzione delle imprese sul territorio nazionale, che porta all’individuazione di tre distretti produttivi. È eterogeneo, sia in rapporto alla domanda che all’offerta. La prima è segmentata in due categorie: alta gamma e Fashion Jewellery; mentre, la seconda in base alle caratteristiche strutturali delle aziende. Alta è sia la differenziazione verticale, per la qualità dei materiali, che quella orizzontale, in base al design. I beni prodotti hanno subito una mutazione del valore fondamentale: non sono più considerati beni rifugio, appartenenti al mondo del lusso, ma accessori che completano lo stile personale. Le variabili che influiscono maggiormente sull’acquisto sono il materiale, lo stile e il prezzo. Tornando allo studio dell’offerta, nonostante la grande maggioranza degli operatori del settore sia di dimensioni micro, sono i grandi produttori ad apportare più quota percentuale di fatturato. Sono questi ultimi gli unici a reagire tempestivamente alla crisi del 2009, questo permette di dedurre che la dimensione possa essere un fattore critico di successo. La vocazione del settore italiano è orientata alle esportazioni: almeno i tre quarti31 della produzione è destinato a mercati esteri. Un altro fattore critico riscontrato riguarda la filiera. Vista la particolarità e la rarità delle materie prime utilizzate, l’attività di approvvigionamento ricopre un ruolo chiave. Il campione di analisi è estremamente eterogeneo, ma è possibile comunque rintracciare la presenza di due gruppi strategici. Il primo cluster presenta una varianza interna contenuta ed è composto per lo più da piccole e micro imprese, il secondo comprende tutte le grandi imprese, ma presenta comportamenti piuttosto diversificati all’interno del gruppo. Concludendo, il settore appare solido e maturo ma, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare da una produzione ad alto valore aggiunto, i risultati di reddittività non sono particolarmente alti.

31

Moda 24, il Sole 24 ore, All’estero posti da leader gioielli Made in Italy, 7 settembre 2012

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BIBLIOGRAFIA Agenzia delle Entrate: Studio di settore VD33U – Produzione e lavorazione di oggetti di gioielleria ed oreficeria.

Agenzia delle Entrate: Studio di settore VM15A – Commercio al dettaglio e riparazione di orologi e gioielli.

Commissione Europea, raccomandazione 1442 del 6/5/2003

Databank, L'edicola DBK, N°7 Aprile 2012

OID Valenza su dati ISTAT e Sole 24 Ore, 2009

Moda 24, il Sole 24 ore, All’estero posti da leader gioielli Made in Italy, 7 settembre 2012

Monte dei paschi di Siena, database nazionale

Mosca F., Marketing dei beni di lusso, PEARSON Prentice Hall, 2010

Salsano E., Lineamenti di sviluppo locale: I distretti industriali, Liguori Editore, 2002

Varacca Capello P., Miti da sfatare nel gioiello, Egea, 2007 (Il settore orafo in Italia)

Vernizi S., Criticità e opportunità competitive nel settore della gioielleria, 6/9/2011

Zucchella A., L'internazionalizzazione delle imprese orafe, Università Insubria, 2001

SITOGRAFIA www.confcommercio.it

www.corriereasia.com

www.goldprice.org

www.itint.gov.it

www.lastampa.it

www.linkiesta.it

www.osservatoriodistretti.org

www.pambianconews.com

www.quaeris.it

www.repubblica.it

www.vicenzafiera.it

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ALLEGATO A Questionario per l’indagine della domanda

Sesso: □Maschio Età: _____ anni Occupazione: _________________ □Femmina Titolo di studi: __________ Regione di residenza: ___________

1) Nell’ultimo anno, ha mai acquistato prodotti di gioielleria?

□ Sì (Domanda 2) □ No (Grazie per aver collaborato!) □ Ho delegato ad altri il mio acquisto (Domanda 2)

2) Per chi era il prodotto acquistato? (è possibile più di una risposta)

□ Te stesso □ Era un regalo Per quale occasione? □ Festività (Es.: San Valentino, Natale)

□ Ricorrenza (Es.: compleanno, anniversario) □ Nessuna occasione particolare 3) Quali dei seguenti prodotti sono stati acquistati nell’ultimo anno?

□ Anello □ Collana □ Bracciale □ Spilla □ Orecchini □ Ciondolo □ Altro (non orologi)

4) In quale fascia di prezzo si collocano i prodotti acquistati nell’ultimo anno?

□ Meno di 50€ □ Tra 51€ e 350€ □ Tra 351€ e 1000€ □ Tra 1000€ e 5000€ □ Più di 5000€

5) Dove è stato effettuato l’acquisto?

□ Negozi storici dei grandi centri città □ Negozi monomarca (Es.: Tiffany, Cartier, Bulgari) □ Catene multimarca (Es.: presenti nei centri commerciali) □ Grandi magazzini □ Laboratori e oreficerie □ Outlet □ e-Commerce □ Televendite

6) Quantifica l’importanza delle seguenti caratteristiche relativamente all’acquisto di un gioiello:

Caratteristica 1 - per niente 2 - poco 3 - abbastanza 4 - molto 5 - indispensabile

Brand

Prestigio

Tendenza

Materiale

Stile

Prezzo

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ALLEGATO B Grandi imprese al FY2010

ALLEGATO C Distretti produttivi del settore

ALLEGATO D Output analisi in componenti principali (S.P.S.S.)

Ragione Sociale Provincia Forma Giuridica ATECO 2007 Codice Ricavi delle vendite migl. EUR 2010 QM

TRATTAMENTI CENERI AUROARGENTIFERE S.P.A. Arezzo S.P.A. 24.41.00 135.488,36 4,94%

BATAZZI METALLI PREZIOSI S.P.A. Alessandria S.P.A. 32.12.10 109.329,61 3,99%

SAFIMET S.P.A. Arezzo S.P.A. 24.41.00 87.215,45 3,18%

VIERI - S.P.A. Vicenza S.P.A. 32.12.10 83.677,80 3,05%

BULGARI GIOIELLI S.P.A. Alessandria S.P.A. a socio unico 32.12.10 76.696,41 2,80%

ITAM S.P.A. Arezzo S.P.A. 32.12.10 64.806,78 2,36%

CRIVELLI - S.R.L. Alessandria S.R.L. 32.12.10 64.711,25 2,36%

CASA DAMIANI S.P.A. Alessandria S.P.A. 32.12.10 60.824,82 2,22%

BETTER SILVER S.P.A. Vicenza S.P.A. 32.12.10 56.735,89 2,07%

SAMPA S.P.A. Arezzo S.P.A. 32.12.10 52.722,98 1,92%

ALESSI DOMENICO S.P.A. Vicenza S.P.A. 32.12.10 50.899,20 1,86%

Somma di Ricavi delle vendite migl. EUR 2010

Provincia Totale Percentuale

Arezzo 1.229.433,59 31,25%

Vicenza 883.202,81 22,45%

Alessandria 630.880,51 16,04%

Milano 312.649,46 7,95%

Firenze 256.619,53 6,52%

Treviso 151.932,38 3,86%

Padova 82.843,60 2,11%

Ferrara 52.713,01 1,34%

Roma 48.335,80 1,23%

Napoli 45.264,84 1,15%

Altri 240.329,26 6,11%

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Analisi del settore della gioielleria in Italia Pagina 30 di 30