Analisi qualitativa sulla partecipazione politica dei migranti entro i partiti politici italiani -...

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UNIVERSITAT POMPEU FABRA divpol Diversity in Political Parties’ Programmes, Organisation and Representation EUROPEAN UNION European Fund for the Integration of Third- Country Nationals Diversity in Political Parties REPORT INTERVISTE DivPol Project Partners:

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UNIVERSITAT POMPEU FABRA

divpolDiversity in Political Parties’ Programmes, Organisation and Representation

EUROPEAN UNION

European Fund for the Integration of

Third-Country Nationals

Diversity in Political Parties

REPORT INTERVISTE

DivPol Project Partners:

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Indice

Indice

1. Note metodologiche

1.1 Introduzione

1.2 Profilo degli intervistati

1.3 Profilo delle associazioni coinvolte nei focus group

2. L’inclusione degli stranieri nei partiti italiani: un quadro generale

2.1 Misure adottate per favorire l’inclusione dei cittadini provenienti dai Paesi terzi

2.2 Assegnazione di incarichi: il metodo della cooptazione2.3 Ghettizzazione tematica degli ambiti di intervento

3. L’adesione ai partiti politici: percorsi di comunanza ideologica e spazi di rivendicazione sociale

3.1 I percorsi di comunanza ideologica3.2 Il partito come spazio di rivendicazione sociale3.3 Partiti e associazioni: dualità di interessi in dialogo

4. Indicazioni conclusive: elenco dei fattori che favoriscono e ostacolano la partecipazione dei migranti nei partiti

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1. Note metodologiche

1.1 Introduzione

Il presente documento rende conto dei risultati della ricerca condotta dall’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali sulla partecipazione dei migranti all’interno dei partiti politici, con l’obiettivo di approfondire la conoscenza dei processi che promuovono e ostacolano tale realtà.

L’approccio metodologico utilizzato ha previsto:

1) L’individuazione di partiti politici rappresentativi all’interno del panorama italiano, uno scenario estremamente variabile che comprende oltre 60 partiti1. I partiti politici individuati sono stati PDL, PD, SEL, PRC, IDV. Accanto alle più recenti formazioni partitiche di destra (PDL) e di sinistra (PD, SEL), costituitesi tra i 2007 e il 2011, è stata inserita una formazione storica, il PRC. In maniera da includere alcune significative esperienze di partecipazione dei cittadini stranieri, è stato selezionato un partito attualmente non attivo, l’IDV, che mantiene dei rappresentanti nelle istituzioni locali. All’interno delle formazioni individuate, il lavoro d’indagine ha coinvolto in particolare le dirigenze e le segreterie, sia nazionali che locali, e alcuni dipartimenti impegnati sul tema immigrazione e in politica internazionale. La decisione di rivolgersi ad alcune sezioni di partito presenti a livello locale, in particolare in quei territori in cui è alta l’incidenza di popolazione straniera, oltre che alle dirigenze e i dipartimenti nazionali, nasce dalla necessità di approfondire la conoscenza delle misure e delle azioni adottate sui diversi livelli. Sul piano nazionale si è cercato cioè di comprendere, ad esempio, quali problematiche scaturiscono dalla scarsa partecipazione dei migranti nei partiti e più in generale dalle condizioni normative restrittive vigenti in Italia, quali ambiti sono ritenuti più interessanti dai cittadini migranti e dalle associazioni che li rappresentano, quali invece riescono a diventare oggetto di osservazione e d intervento da parte delle dirigenze e aree di partito. Nel dialogo con le sezioni di partito territoriali si è potuto anche indagare quelle esperienze di successo che hanno apportato cambiamenti a livello locale, la costruzione di reti ed iniziative territoriali, le campagne di promozione della partecipazione dei migranti alla vita politica della città, a partire inizialmente dai primi ruoli consultivi all’interno delle amministrazioni locali.

2) L’individuazione di rappresentanti di associazioni di migranti presenti nel territorio ha privilegiato diversi tipi di realtà associative: associazioni di migranti con un chiaro orientamento politico di riferimento, che vedono quindi l’associazionismo come mezzo per promuovere campagne per il riconoscimento dei loro diritti, per rivendicare la propria causa inerente a questioni politiche del paese d’origine, per organizzare spazi di confronto nei quali affrontare problemi di carattere sociale vissuti nel contesto d’insediamento all’estero. Accanto ad esse compaiono inoltre associazioni che si sono sviluppate e integrate nel territorio facendosi garanti di determinati servizi (ad esempio corsi di lingua italiana, asili nido, servizi di consulenza), altre invece sono nate e sono presenti nel territorio come punti di riferimento per le loro comunità di origine, organizzando iniziative culturali e celebrando ricorrenze religiose. All’interno di quest’ultima tipologia si inserisce l’associazionismo religioso, promotore di principi e usanze cultuali della comunità religiosa di appartenenza. 1http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-10-24/bilanci-partiti-italiani-anno-115158.shtml? uuid=AbwmSHwG.

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3) La rilevazione dei dati nei mesi Giugno-Luglio 2013 mediante 45 interviste in totale, focalizzate a rappresentanti politici, iscritti ai partiti, leader di associazioni di stranieri. Rispetto al numero degli iscritti stranieri nei partiti occorre precisare che, pur non esistendo alcuna banca dati, la stima fornita dagli intervistati delinea un fenomeno che resta ancora circoscritto ad alcune esperienze, che si concentrano prevalentemente in alcuni partiti.

Nell’indagine sono 29 le interviste effettuate in collaborazione con i rappresentanti e gli iscritti ai partiti politici contattati (del PD sono 13 le testimonianze raccolte, di SEL sono 8, 2 del PDL, infine 4 per il PRC e una per l’IdV); per quanto concerne tali testimonianze non deve sorprendere l’elevato numero di interviste somministrate ad esponenti dei partiti di sinistra rispetto all’unico partito di centro destra coinvolto (il Popolo della Libertà). A motivare questa palese differenza possiamo evidenziare prima di tutto la difformità di impostazione adottata dai partiti di centro-sinistra da quelli di centro-destra rispetto alla definizione delle rispettive linee di partito. Se i partiti di sinistra infatti storicamente si sono mostrati attenti al tema dei diritti e della solidarietà sociale e aperti ad un dialogo con le comunità migranti, costituzionalmente quelli di destra, anche per vincolo di statuto, non si mostrano interessati al tema dell’immigrazione, ad eccezione di alcuni casi, riportati nell’indagine. Conseguentemente i primi risultavano e risultano tutt’ora il principale interlocutore politico a cui potersi rivolgere nel contesto italiano. Oltre a ciò crediamo sia importante evidenziare l’esistenza di un maggior numero di militanti e iscritti migranti che partecipano alla vita di quei partiti di sinistra di recente formazione (PD, SEL). Si evidenzia in effetti un cambiamento sia nell’approccio alle tematiche inerenti l’immigrazione, sia all’organizzazione e alla creazione di interventi e di spazi di discussione nei quali coinvolgere i cittadini stranieri.

Le restanti 16 testimonianze sono il risultato dei due focus group, ai quali hanno partecipato i rappresentanti associativi contattati, invitati a dibattere in gruppo sul tema della partecipazione politica dei cittadini provenienti dai Paesi terzi all’interno dei partiti.

In sintesi, i profili degli intervistati possono essere riassunti comunque in cinque categorie:

- Politici con un background da migrante;

- Politici senza un background di migrante;

- Membri del partito provenienti da Paesi terzi;

- Membri del partito provenienti da Paesi UE2;

- Rappresentanti di organizzazioni rappresentative dei migranti.

Tra gli intervistati è elevato il numero di cittadini italiani coinvolti nell’indagine (33): tra questi un terzo sono cittadini autoctoni, la maggior parte ha acquisitolo status di cittadino italiano. I cittadini stranieri sono in totale 12. Non è stato possibile ricavare dalle interviste una stima del numero di cittadini migranti iscritti ai partiti o individuare la maniera per quantificare più concretamente la presenza di cittadini stranieri all’interno dei partiti politici coinvolti. Pur avendo coinvolto nella nostra indagine una buona parte di cittadini stranieri e/o con un background da migrante, considerando la realtà che è

2 Per quanto l’indagine si focalizzi sui percorsi di inclusione politica dei cittadini provenienti dai Paesi terzi, si è ritenuto opportuno inserire un intervistato di nazionalità romena, consigliere comunale presso il Comune di Riano, referente eletto all’interno delle istituzioni locali dell’associazione SpiritRomanesc, coinvolta nei focus group, in maniera da aprire uno spazzato conoscitivo sulle problematiche inerenti la partecipazione politica nei partiti e l’esercizio del voto amministrativo riguardanti i cittadini comunitari.

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emersa attraverso l’indagine, non sembra che il numero di cittadini migranti interni al partito siano una realtà consistente.

Delle testimonianze raccolte 26 sono uomini e 19 sono donne. Per quanto concerne queste ultime 10 risultano essere iscritte ad un partito e 9 provengono invece dal mondo dell’associazionismo migrante(ambito nel quale 5 delle 13 intervistate ricoprono il ruolo di presidente).I giovani coinvolti nella fase di indagine sono 6: una giovane attivista iscritta al PD che non ricopre alcun incarico nel partito, tre giovani politici col ruolo di rappresentanti dei partiti di sinistra presso le istituzioni nazionali e locali (parlamentari e consiglieri comunali) e infine due facenti parte di organismi esecutivi nel ruolo di coordinatore nazionale e locale di dipartimenti o sezioni immigrazione.

Poco meno della metà dei rappresentanti dei partiti politici intervistati ricopre posizioni di dirigenza all’interno del partito (14), di questi solo cinque svolgono funzioni di rappresentanza e/o ruoli dirigenziali entro i partiti.

Per concludere occorre evidenziare il fatto che la maggior parte delle testimonianze raccolte hanno interessato il territorio romano, area che presenta un elevato numero di cittadini stranieri, di amministrazioni e uffici governativi, nonché le sedi nazionali delle formazioni partitiche italiane. La capitale attrae inoltre le realtà migranti politicizzate ad intraprendere manifestazioni, riunioni organizzative, azioni di rivendicazioni e di lotta per i loro diritti ed essere per questo maggiormente visibili. Il riuscire però a rintracciare anche altre esperienze di varie realtà comunali e regionali (come la Toscana e il Veneto con le narrazioni dei rappresentanti comunali di Padova e Treviso) ci ha permesso di comprendere come la partecipazione dei cittadini stranieri entro i partiti politici abbia diversi trend territoriali, sia diversificata nelle modalità e nelle forme all’interno del territorio italiano, producendo diversi risultati.

1.2 Profilo degli intervistati

La somministrazione di interviste in profondità ha interessato diverse tipologie di testimonianze: semplici iscritti a quei partiti coinvolti nell’indagine, impegnati nella militanza presso le proprie sezioni di appartenenza e nel promuovere territorialmente delle iniziative di sensibilizzazione e di segretariato sociale; esponenti dei partiti di sinistra con migrant background, candidati ed elettia livello comunale e municipale in diversi comuni italiani; infine esponenti di riferimento interni ai partiti nei ruoli di dirigente, segretario nazionale o di sezione locale, parlamentare, coordinatore d’area, responsabile del dipartimento nazionale o locale immigrazione e addetti alla cooperazione internazionale. Le interviste hanno raggiunto i referenti politici che operano in alcune delle regioni maggiormente attive sul tema della partecipazione politica degli stranieri nella programmazione, organizzazione e rappresentazione degli stranieri nei partiti. Le città interessate dall’indagine sono state nel Lazio, in Toscana e nel Veneto: Firenze, Padova, Roma e Treviso.

Nella tabella che segue sono elencati profilo politico e dati socio-anagrafici degli intervistati appartenenti ai diversi partiti sulla base di alcuni fattori oggetto di analisi: partito politico di riferimento, ruolo entro il partito, cittadinanza, migrant background, genere e città nella quale svolgono la loro attività politica.

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Tabella 1: Profilo e dati degli intervistati.

Partito

Ruolo - incarico interno Cittadinanza

Migrant Background

Genere

Città

PD

Parlamentare Italiana Si Uomo

Roma

Delegato assemblea immigrazione Italiana Si Uomo

Roma

Consigliere ministro esteri Italiana Si Uomo

Roma

Responsabile immigrazione sezione Esquilino Italiana Si Uomo

Roma

Iscritta forum immigrazione Italiana No Donna

Roma

Iscritta e membro consulta stranieri Cittadina di paesi terzi

si Donna

Roma

Coordinatore nazionale forum immigrazione Italiana No Uomo

Roma

Segretario generale Italiana No Uomo

Roma

Consigliere aggiunto Cittadina di paesi terzi

Si Uomo

Roma

Iscitto Cittadina di paesi terzi

Si Uomo

Roma

Consigliere comunale Italiana Si Donna

Padova

Parlamentare Italiana No Uomo

Roma

Coordinatore forum immigrazione Firenze Italiana Si Donna

Firenze

PDL

Parlamentare e dirigente di partito Italiana no Donna

Roma

ex parlamentare Italiana Si Donna

Roma

SEL

Iscritto Cittadina di paesi terzi

Si Uomo

Roma

responsabile relazioni internazionali (paesi del mediterraneo)

Italiana Si Uomo

Roma

Presidente gruppo parlamentare Sel Italiana No Uomo

Roma

Consigliere comunale Italiana Si Uomo

Treviso

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Responsabile dipartimento immigrazione Italiana No Uomo

Roma

Iscritta Cittadina di paesi terzi

Si Donna

Roma

Iscritta Italiana Si Donna

Firenze

Presidente di municipio Italiana No Donna

Roma

PRC

Responsabile dipartimento immigrazione Italiana No Uomo

Roma

Iscitto Italiana Si Uomo

Roma

Membro segreteria sezione Tor Pignattara Italiana no Uomo

Roma

IDV

Consigliere comunale comunitaria Si uomo

Riano (Rm)

Come emerge chiaramente nel grafico, più della metà degli intervistati sono cittadini con una precedente esperienza da migrante alle spalle, diciotto in totale. Tra questi, solo una ristretta minoranza (cinque) ricopre funzioni di rappresentanza e/o ruoli dirigenziali entro i partiti, riuscendo ad incidere sia nella scelta delle politiche e delle strategie nazionali sia nell’acquisizione di un ruolo ben definito entro il partito.

La maggior parte dei cittadini che hanno acquisito dopo una lunga esperienza di militanza lo status di cittadino italiano, in maniera strumentale ad una nomina politica o istituzionale, ricopre nel partito ruoli ascrivibili a livello locale alle seguenti categorie: iscritti a sezioni di partito, consiglieri comunali o consiglieri aggiunti, responsabili comunali o regionali di dipartimenti immigrazione. Come vedremo successivamente, ai cittadini autoctoni sono aperte le strade ad esperienze interne ai partiti ed istituzionali. Delle dieci testimonianze la maggior parte infatti ricopre funzioni di coordinamento all’interno del proprio partito sia a livello locale che nazionale.

1.3 Profilo delle associazioni presenti nei focus group

I due focus group hanno coinvolto13 associazioni di migranti presenti nel territorio romano, suddivise in enti che operano sull’intero territorio nazionale, con sede a Roma, e in organismi a carattere locale, la cui azione resta circoscritta alla città di Roma. Come già accennato, sono state essenzialmente coinvolte quattro tipologie associative: associazioni organizzatesi su base etnico – nazionale, associazioni di migranti con finalità e scopi basati essenzialmente sulla progettazione e sulla fornitura di servizi, associazioni religiose e infine associazioni di stranieri politicamente impegnate ed attive. In riferimento a queste ultime, occorre puntualizzare che pur rappresentando nei focus group una realtà certamente consistente (delle tredici testimonianze raccolte, un terzo può essere ricondotto a tale profilo associativo), in realtà non sono certamente la tipologia associativa maggiormente rilevante nella realtà che compone la società civile.

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L’associazionismo migrante nel territorio italiano sembra infatti orientarsi ancora maggiormente sulla scelta aggregativa di carattere etnico – nazionale,con l’obiettivo di condividere e garantire alla propria comunità d’origine presente nel territorio cultura e usanze del paese di provenienza.

Presentiamo nello specifico l’elenco completo delle associazioni che hanno partecipato ai due focus group, momento di dibattito circa le problematiche rispetto alla partecipazione e al dialogo delle associazioni di migranti con i partiti politici. La tabella anche in questo caso evidenzia alcuni fattori oggetto di analisi: nome dell’associazione, cittadinanza, migrant background, genere e comune nel quale ha sede l’associazione.

Tabella 2: Profilo rappresentanti delle associazioni di migranti.

Associazione Cittadinanza

Migrant Background

Genere

Comune

Ass.ne Culturale Islamica Italia

Italiana

Si Uomo

Roma

Ass.ne SpiritRomanesc

Comunitaria

Si Donna

Roma

Ass.ne Euro Latina Italiana

Si Uomo

Roma

Villaggio Esquilino Italiana

No Uomo

Roma

Gruppo consigliere aggiunto

Italiana

No Donna

Roma

Associazione Albanese

Italiana

No Donna

Roma

Comunità palestinesi Lazio

Stranieri

Si Uomo

Roma

Ass.ne Questa è Roma

Italiana

Si Uomo

Roma

Ass.ne Donne Capoverdiane

Italiana

Si Donna

Roma

Ass.ne Cambiare Davvero

Italiana

Si Donna

Roma

Ass.ne Nodi Italiana

Si Donna

Roma

Gruppo Consigliere aggiunto

Italiana

Si Donna

Roma

Ass.ne stranieri lavoratori italia

Straniera

Si Uomo

Roma

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Ass.ne Beza Italiana

Si Donna

Roma

Phrala Europa Comunitaria

Si Donna

Roma

Tra le associazioni di migranti coinvolte possiamo individuare in sintesi: associazioni rivolte a rappresentare le comunità religiose di appartenenza, associazioni rivolte alla promozione di campagne di carattere sociale e/o giuridico – normativo per i diritti degli immigrati (permesso di soggiorno, rappresentanza delle seconde generazioni, quote rosa) e infine associazioni che progettano e forniscono servizi (corsi di lingua italiana, asili nido interculturali, consulenza tecnico-giuridica).Ci si associa allora per promuovere integrazione e socializzazione comunitaria, molto spesso per mantenere la cultura e le usanze del proprio paese di origine, ma anche per creare un punto di riferimento per gli stranieri presenti in Italia, che si trovano ad affrontare difficoltà finanziarie e sociali. L’associazionismo rappresenta ancora, dopo più di venticinque anni di permanenza regolare e continuativa, un ambito che assorbe le richieste di mutuo aiuto ed è ancora lontano dal divenire cassa di risonanza per la partecipazione politica, ad eccezione dell’associazionismo giovanile, espressione della rete delle seconde generazioni dei nuovi italiani, nel quale ritroviamo interessanti esperienze di attivismo di base fino ad elevati percorsi di avanzamento di carriera. Il coinvolgimento delle associazioni nel lavoro di indagine ha permesso inoltre di ricostruire storicamente il rapporto tra l’associazionismo e i partiti politici, in particolare con le formazioni di sinistra, da diversi anni impegnate sul tema dell’immigrazione in Italia. A tal proposito, occorre segnalare che l’intero contenuto del presente report, in particolare l’analisi storica dei percorsi di comunanza ideologica di seguito riportata, è frutto dei dati rilevati mediante le interviste focalizzate e i focus group.

2. L’inclusione degli stranieri nei partiti italiani: un quadro generale

Quali spazi di partecipazione e di rappresentanza sono destinati ai cittadini stranieri dei Paesi terzi all’interno delle formazioni partitiche italiane? Quali sono le misure adottate dai partiti per favorire l’inclusione dei cittadini stranieri? Quali sono le ragioni che inducono gli stranieri ad intraprendere percorsi di attivismo e militanza nei partiti?

Soffermando l’indagine sulle principali formazioni partitiche di entrambi gli schieramenti politici, di destra e di sinistra, e sulle esperienze di rilievo nazionale e locale confluite nei partiti, possiamo asserire che ad oltre vent’anni di distanza dalla presenza significativa e radicata della popolazione straniera in Italia, perdura ancora la mancanza di rappresentanza diretta degli interessi di una parte oramai significativa della popolazione in Italia.

In realtà, le ragioni della sotto-partecipazione dei cittadini stranieri alla vita politica italiana, che approfondiremo in seguito, non possono in generale prescindere dal un lato dalla crisi della rappresentanza e della politica, che investe trasversalmente le nuove formazioni partitiche.

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L’autoreferenzialità rispetto alle pubbliche funzioni e la perdita del ruolo primigenio di favorire partecipazione al procedimento elettorale e la parità di accesso dei cittadini alla vita pubblica sono ritenuti responsabili del depauperamento del ruolo delle istituzioni e del deficit democratico per la scarsa attenzione alla dimensione culturale, giovanile e femminile e per l’elevato livello di gerarchizzazione interno ai partiti.

Dall’altro lato, la mancanza di partecipazione politica degli stranieri nei partiti, ad eccezione di alcuni casi riscontrati nei partiti di sinistra, rientra in generale nella scarsa incisività delle politiche di integrazione e degli indirizzi politici complessivi sul fenomeno migratorio, che concentrano l’attenzione dell’Italia sugli aspetti dell’irregolarità e dell’emergenza, anche dinanzi alla stanzialità del fenomeno e alle chiare indicazioni contenute negli ordinamenti europei.

Nonostante le previsioni legislative europee rispetto all’esercizio della piena libertà di partecipazione all’interno della vita sociale e l’estensione della titolarità dei diritti politici ai cittadini dei Paesi terzi, permangono nei partiti in Italia limitazioni statutarie, assenza di regolamenti interni volti a favorire l’inclusione, o scarsità di misure adottate per favorire il godimento dei pieni diritti politici degli stranieri soggiornanti.

Al mancato impegno legislativo per il superamento della partecipazione degli stranieri soltanto in organismi consultivi o mediante l’acquisizione della cittadinanza italiana si sommano le risposte istituzionali tardive alle rivendicazioni per la tutela dei diritti umani e sociali elementari, violati da restrizioni normative all’ingresso, al soggiorno e al lavoro regolare.

La sottovalutazione della partecipazione politica degli stranieri nella programmazione, organizzazione e rappresentazione dei partiti politici si evince in generale dal disinteresse verso un gruppo sociale che tarda in Italia a diventare bacino elettorale, che riscontra l’attenzione quasi esclusivamente da parte di alcune formazioni partitiche di sinistra, per le quali l’immigrazione rappresenta un aspetto valoriale della propria constituency.

La promozione di politiche legislative che tutelino i diritti, volte all’abrogazione del reato di clandestinità, alla chiusura dei CIE, all’abbreviazione dei tempi per l’ottenimento del soggiorno o del riconoscimento di asilo, del rinnovo dei diversi titoli di soggiorno e della concessione della cittadinanza e del diritto di voto, rientra nell’advocacy dei partiti di sinistra, che hanno fatto dell’immigrazione una lotta politica e una ragione di competizione tra loro, in virtù di un forte legame con le ONG e i movimenti civili, volgendo il proprio interesse verso le seconde generazioni, in prospettiva di una futura proiezione di voto, che vedrebbe una quota di popolazione di origine straniera entrare nel bacino elettorale.

Analizzare le misure, passate e recenti, adottate dai partiti per favorire l’inclusione degli stranieri è utile per delineare quali meccanismi si siano attivati all’interno dei partiti e delle comunità immigrate, quali i ruoli assegnati negli organismi consultivi e gli ambiti di intervento.

Portare infine in rassegna le stime fornite dagli intervistati riguardo al numero dei cittadini stranieri iscritti in quattro tra le principali formazioni partitiche italiane (PD, PDL, SEL, PRC) delinea un fenomeno assai circoscritto a poche centinaia di esperienze, che coinvolgono i territori più attivi e le città principali, quali Catania, Firenze, Padova, Roma, Treviso, o piccoli paesi di provincia della vasta area metropolitana romana come Riano.

Seppur rimanendo su numeri ancora circoscritti in Italia, occorre registrare infine diverse eccellenze in questo tema ed esperienze di attivismo, che le ritroviamo ancora oggi nelle aree del nord – ovest e del nord – est d’Italia, oltre che in Toscana. In tali zone, i partiti sono fortemente organizzati e radicati territorialmente e si registrano un

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significativo numero di amministratori di origine straniera eletti nelle amministrazioni pubbliche di comuni piccoli o grandi.

1.1 Misure adottate dai partiti per favorire l’inclusione dei cittadini provenienti dai Paesi terzi

A differenza delle organizzazioni dei lavoratori, impegnate sin da quando nel Paese la popolazione straniera divenne una quota significativa della forza-lavoro nella tutela e nell’inserimento dei lavoratori immigrati nella vita sindacale, le formazioni partitiche dell’epoca, anche quelle di sinistra, che radunavano diverse organizzazioni al livello territoriale, stentarono a sviluppare una sufficiente sensibilità culturale verso il tema dell’immigrazione, che iniziò ad assumere rilevanza al livello sociale3.

Il ritardo nella creazione di specifiche sezioni impegnate a migliorare la condizione subalterna vissuta dalla forza-lavoro straniera in Italia, contrapposta all’attivismo delle forze sindacali e al loro operare esclusivo sul tema del lavoro e dei diritti, portò al crescere delle esperienze di attivismo e di militanza degli stranieri nel mondo sindacale e associazionistico, e progressivamente a ricoprire ruoli di rilievo, rispetto ai partiti, che apparivano non in grado di accogliere proposte di cambiamento.

I senegalesi, impiegati nelle fabbriche del nord e nei campi agricoli del sud, insieme alla comunità albanese di storico insediamento in Italia, occupata nel settore edilizio, elessero i propri rappresentanti all’interno dei principali sindacati di categoria4, che iniziavano a popolarsi di lavoratori stranieri, entrati col tempo a far parte anche dei quadri dirigenziali dei corpi sociali ritenuti più attivi per la difesa dei diritti e più aperti a far proprie le istanze di cambiamento dal basso.

Il movimentismo, soprattutto le giovani esperienze in alcuni territori nate all’interno dell’associazionismo e di organizzazioni sociali e politiche, ha offerto visibilità sociale ed ha aperto le strade a quei leader di comunità più attivi, che hanno intessuto stretti rapporti con la società, con le associazioni, con il mondo sindacale, con le amministrazioni e con gli organismi di volontariato.

Le prime misure adottate da alcuni partiti per favorire l’inclusione dei cittadini provenienti dai Paesi terzi si ebbero non prima degli anni ’90, col varo della prima legge Martelli e la costituzione di organismi consultivi interni ai partiti, impegno che scaturì, come vedremo in seguito, dal legame tra i movimenti antirazzisti e i partiti di sinistra, vincolati nella lotta dei lavoratori a rappresentare i diritti di una nuova classe di lavoratori italiani. Uno dei primi stranieri che ricoprì l’incarico di responsabile nazionale del Dipartimento immigrazione fu Touty Coundoul, a capo della prima sezione immigrazione creata nel 1991 all’interno del PRC.

Di pari passo all’aumentare del numero dei cittadini migranti in Italia sorsero sezioni e dipartimenti all’interno dei partiti di sinistra, che restano ad oggi le uniche operanti. In un quadro storico di progressiva frantumazione dei partiti di massa, che andrà a delineare una morfologia che col tempo si definirà assai frastagliata, aumentarono all’interno delle nuove formazioni di sinistra tavoli tematici e dipartimenti,

3 Intervista a Stefano Galieni, responsabile dipartimento nazionale immigrazione PRC.

4 Intervista a Jean Leonard Touadì, Consigliere Ministro Esteri PD.

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con l’incarico di rappresentare paternalisticamente le istanze e di fare lobby e advocacy per conto della popolazione straniera, senza prevedere reali spazi di confronto e relegando i problemi interni alle comunità immigrate univocamente a peculiarità culturali.

Ad oggi, osservando il quadro morfologico complessivo dei partiti, quelli che hanno adottato delle misure inclusive, oggetto d’indagine, risultano essere soltanto alcune formazioni di sinistra. La maggioranza, non considerando i cittadini stranieri dei potenziali elettori, non ha adottato previsioni statutarie inclusive e non si è dotata di veri e propri dipartimenti o consulte, temendo campagne impopolari a sostegno di non votanti ed evitando in tal modo di incorrere nel rischio della perdita di consensi.

Analizzare le misure adottate dai partiti per favorire l’inclusione dei cittadini provenienti dai Paesi terzi significa soffermarsi quasi esclusivamente sui partiti di sinistra, ad eccezione del PDL, principale partito di centro-destra, nel quale è confluita l’esperienza in materia immigrazione portata avanti da Alleanza Nazionale su alcuni temi che godono oramai di largo consenso in Italia, quale il riconoscimento del diritto di voto amministrativo e l’adozione di misure che semplifichino l’acquisizione della cittadinanza da parte dei nati in Italia, osteggiati oramai solo dalle forze politiche di governo xenofobe della Lega Nord.

Prima di vedere da vicino gli interventi politici adottati, i ruoli e le funzioni assegnati ai cittadini stranieri, occorre sottolineare come le misure di maggiore rilevanza adottate dai partiti nel corso degli ultimi anni, che interessano entrambi gli schieramenti, riguardino: la redazione di proposte politiche che diano rappresentanza normativa, volte a migliorare le condizioni di vita degli stranieri; la formazione di una futura classe dirigente mediante l’apertura di scuole di formazione politica territoriale anche ai cittadini stranieri; la costituzione di reti ed organismi territoriali.

Rispetto agli interventi istituzionali, in forma di proposta di legge, pur non ripercorrendo nello specifico l’analisi e le proposte normative dei partiti, occorre segnalare sinteticamente le possibilità previste di assegnazione del diritto di voto amministrativo agli immigrati non appartenenti all’UE all’interno del disegno di Legge Turco – Napolitano, articolo stralciato e trasferito in un disegno di legge di natura costituzionale, mai oggetto di esame per l’opposizione dei partiti di destra. Si tratta di un’iniziativa politica del governo di centro-sinistra che riconosceva allo straniero, anche in esecuzione di trattati e accordi internazionali, il diritto di voto secondo le modalità stabiliti dalla legge, con esclusione delle elezioni delle camere e delle elezioni regionali.

Se ad oltre quindi anni di distanza i disegni di legge sul diritto di voto amministrativo sono divenuti proposte bipartisan, un’estrema distanza politica tra gli schieramenti politici si registra in merito alle disposizioni circa la disciplina dell'immigrazione e riguardo alle norme per regolamentare la condizione dello straniero, in merito alle quali è intervenuto recentemente il Parlamento Ue con la richiesta implicita di modifica della legge Bossi-Fini. Una legge, secondo quanto riportato dall’On. Bergamini, deputata PDL“che era proprio frutto di un’interazione politica di alto livello su tre istanze politiche molto diverse se pensiamo alla destra rappresentata da Fini, alla Lega e noi del PDL che abbiamo un approccio meno ideologico”.

Il terreno degli interventi legislativi vede compatti i diversi partiti di sinistra, che propongono la riforma della cittadinanza, l’abolizione del reato di clandestinità, alcuni persino la chiusura dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), accogliendo in tal modo le principali istanze mosse dalla popolazione immigrata in Italia e da una parte dell’elettorato italiano attento ai temi dei diritti e della solidarietà sociale.

Vere e proprie misure d’inclusione adottate dai partiti nel corso degli ultimi anni riguardano il legame con i territori maggiormente attivi nella tutela dei diritti degli stranieri. Tale legame è rinsaldato mediante la creazione di reti e di coordinamenti con il mondo del volontariato e dell’associazionismo, formale e informale, ad opera soprattutto

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di circoli e di sezioni locali di partito. Particolarmente attive nella creazione di una politic community sono le sezioni formate in maggioranza da giovani militanti, come riferiscono gli interlocutori del circolo PD Esquilino5.

Accanto alle attività delle sezioni territoriali del partito, sono sorte organizzazioni specificatamente dedicate alla costruzione di reti con le comunità straniere. Tra le più rilevanti esperienze, va segnalata l’istituzione da parte del PD di forum immigrazione locali, definiti spazi di partecipazione dal basso e laboratori di rappresentanza sociale. Assemblee politiche periodiche e dibattiti aperti, organizzazione di iniziative interne, costruzioni di reti con la società civile, creazione spazi di partecipazione, approfondimenti tecnico-giuridici, campagne sociali di sensibilizzazione e iscrizione al voto in occasione della primarie, queste le principali attività svolte prevalentemente dalle sezioni territoriali per favorire una maggiore partecipazione politica.

“Il Forum Immigrazione del PD, che ha sedi dislocate nelle principali città italiane a maggiore concentrazione di stranieri, funziona come luogo aperto per iscritti e non, politici e rappresentanti di associazioni. L’idea è di creare in piccolo un luogo dove si incontrano le esperienze.

L’unico modo è fare del forum l’elemento che porta da un lato a vivere nel partito le questioni specifiche dell’immigrazione, dall’altro agire su proposte politiche che diano rappresentanza politica.

E’ attivo in quelle zone nelle quali abbiamo un partito organizzato territorialmente. Se forte nei rapporti con la società, con le associazioni, con il sindacato, con le amministrazioni volontariato, è ovvio che quello diventa un partito ricettivo della società. Il partito è particolarmente presente nelle aree del nord-ovest e del nord-est d’Italia, oltre che in Toscana, dove abbiamo concentrati molti ragazzi che fanno politica e un buon gruppo di amministratori di origine straniera, che sono diventati consiglieri. In altre zone, dove il partito è meno organizzato, mi riferisco da Roma in giù, dove anche la presenza di immigrati è più bassa rispetto al centro-nord, lì la presenza è chiaramente più bassa.

Il forum è un modo poi di accorciare le distanze, di coinvolgere sia il politico, sia il dirigente di partito, sia la colf o la badante interessata a confrontarsi su queste tematiche.

Noi come forum abbiamo momenti assembleari ogni quattro cinque mesi, nei quali vengono riportati i lavori svolti in questi intervalli, le buone prassi svolte e gli ambiti di intervento.

Con gli stranieri individuiamo i temi per loro principali. Oltre a questo esistono focus group che lavorano nello specifico sulle proposte di legge che da oggi a domani possono migliorare la vita. Ad esempio qualsiasi nazionalità straniera in Italia ha come obiettivo: cancellare la Bossi-Fini e tutto il collegato del pacchetto Maroni sulla sicurezza.

Nelle riunioni questo emerge sempre come primo bisogno e chiaramente sostituirla con una legge che vada in direzione più europea. Questo è un approdo per noi scontato ma va comunque elaborato in un luogo deputato. Nelle riunioni con le associazioni abbiamo proposto di estendere la riforma della cittadinanza non solo ragazzi nati in Italia ma anche cresciuti qui. Si fa quindi un lavoro costante per mettere a fuoco macro temi come questi o piccoli, che incidono sulla vita italiana e

5 Intervista a Cesare Dornetti, responsabile immigrazione PD Esquilino.

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danno la percezione però di una cittadinanza vera. Parlando di giovani, ad esempio un ragazzo in origine marocchina ha bisogno di documentazioni che richiedono mesi prima di permettergli di iscriversi in una scuola di calcio. Ed è un esempio ottimistico”.

Marco Pacciotti, coordinatore nazionale Forum Immigrazione PD

I partiti che muovono i primi passi nella direzione dell’inclusione politica sono esclusivamente quelli che assegnano al tema dei diritti un ruolo centrale e che hanno provveduto a creare sezioni e dipartimenti immigrazione, che sono gli stessi che hanno aperto alla candidabilità di cittadini di origine straniera nelle diverse scadenze elettorali. Le più significative esperienze d’inclusione si registrano nel PD, partito che arruola presso i forum immigrazione locali, creati nei principali capoluoghi delle regioni a maggiore presenza straniera, un significativo numero di stranieri aderenti, numerosi rappresenti istituzionali naturalizzati, eletti all’interno dei consigli comunali e provinciali dopo esperienze di militanza nelle sezioni giovanili, le più attive in materia di interventi a favore dell’immigrazione ed in generale a leggere i cambiamenti in atto al livello sociale. Emerge all’interno del PD una partecipazione fondamentalmente caratterizzata a livello giovanile e una rete strutturata oramai in Italia di giovani aderenti di seconda generazione, che hanno persino espresso nell’ultima tornata elettorale nazionale una loro rappresentanza in Parlamento.

A partire dalle realtà territoriali, si delinea in tal modo un meccanismo duale perpetuato dai partiti, che vede da un lato la ricerca locale dei consensi attraverso il confronto col territorio, dal quale scaturisce la possibilità di maggiori spazi ed incarichi in sezioni specifiche; allo stesso tempo l’esercizio di un meccanismo complementare e opposto, evidente al livello nazionale, che denota una mancata divisione del potere all’interno degli organismi nazionali proprio in virtù di una ricerca di consenso su scala nazionale.

1.2 Assegnazione di incarichi: il metodo della cooptazione

Per quanto non sia possibile fornire una stima dettagliata per ciascun partito in Italia sul numero dei migranti coinvolti nella vita dei partiti politici, i dati emersi nell’indagine qualitativa ricostruiscono la struttura organizzativa di alcuni settori di interesse e i ruoli ed incarichi ivi assegnati di ciascuna organizzazione politica coinvolta nell’indagine. Dal quadro fornito dagli intervistati, emerge come i partiti, vedremo più sul piano nazionale che locale, siano in realtà serrati nell’assegnare riconoscimento e visibilità al proprio interno ad esperienze di partecipazione dal basso se non esclusivamente nelle forme, ove previste da statuto, della militanza e dell’attivismo sociale.

Analizzando il funzionamento strutturale interno di quattro formazioni partitiche (PD, PDL, SEL, PRC), emerge un’impostazione gerarchizzata, deleghe non sufficientemente rappresentative del pluralismo nel tessuto sociale della componente giovanile, femminile e migrante, e infine assenza di stranieri nei quadri dirigenziali, nei comitati politici o in assemblee o congressi nazionali. A ben guardare le singole esperienze di successo coinvolgono soggetti con migrant background (come meglio analizzato nella parte inerente al profilo degli intervistati), che hanno acquisito la cittadinanza italiana, requisito non ascritto ma obbligato per ricoprire incarichi all’interno delle istituzioni italiane ed opportuno a ricoprire dei ruoli all’interno di un partito.

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Tabella 3: Ruoli, funzioni e incarichi assegnati ai cittadini originari dei Paesi terzi.

Partito

Ruolo/

Incarico interno

Funzione/

Incarico istituzionale

PD -Delegato assemblea nazionale

-Presidente Nuovi italiani

-Coordinatori locali Forum Immigrazione

- Delegato municipale immigrazione

-Ministro

- Parlamentare

- Consigliere Ministro Esteri

-Consigliere comunale

-Membro consulta stranieri

-Consigliere aggiunto

-Membro segreteria politica in Comune

PDL

-Parlamentare

SEL

-Membro Coordinamento immigrazione

-Responsabile relazioni internazionali in Medio Oriente e paesi del Mediterraneo

-Membro consulta stranieri

-Consigliere comunale

-Presidente Municipio

PRC

-Segretario sezione

-Responsabile immigrazione locale

-Membro comitato elettorale in elezioni locali

IDV*

-- -Consigliere comunale

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* Il partito Italia Dei Valori (IDV), sciolto a Marzo 2013 a seguito di un insuccesso elettorale, mantiene dei rappresentanti eletti in diverse amministrazioni locali.

Dalla tabella sopra riportata si deduce quasi un’assenza di assegnazione di incarichi interni al partito, anche in quelle formazioni che concedono la possibilità di iscrizione ai cittadini provenienti dai Paesi terzi. Al contempo sono diversi gli incarichi e le funzioni istituzionali.

Sia che non si preveda un esplicito divieto all’interno della regolamentazione statutaria, sia che il diritto dei partiti vincoli la partecipazione politica a dei requisiti o lasci espressione al pieno diritto di uguaglianza e parità di trattamento, il risultato resta quello di un posizionamento degli stranieri iscritti nei partiti tra le ultime fila dell’organizzazione. L’assenza inoltre, ad eccezione del PD, SEL e PRC, di settori di intervento strutturati con possibilità di programmi ed interventi specifici sull’immigrazione non dà possibilità di creare altri spazi di partecipazione sociale, che potrebbero far prendere il via ad eventuali percorsi di carriera.

La mancata assegnazione di ruoli di potere a personalità politiche provenienti dall’estero o a leader di comunità (che approdano al partito avendo come punto di partenza organismi composta da migranti o formazioni politiche estere) si evidenzia dall’analisi dei quadri dirigenziali (organi dirigenti, assemblee e coordinamenti) e degli organismi esecutivi (dipartimenti o sezioni, direzione o esecutivo nazionale).

Eppure tra i ruoli assegnati ai cittadini dei Paesi terzi ritroviamo alcuni membri di segretarie regionali e locali, coordinatori d’area o delegati di assemblee nazionali e soprattutto un numero considerevole di rappresentanti istituzionali, nazionali e locali. In quest’ultimo caso si tratta di cittadini naturalizzati al momento dell’assegnazione dell’incarico, titolari dello status di migrante per tutto il percorso di militanza all’interno del partito, delegati a ruoli di rappresentanza istituzionale e di partito, persino di elevato calibro come quello di ministro della Repubblica Italiana.

L’attuale natura dell’ordinamento e l’assenza del diritto di voto concorrono a determinare l’assenza di assegnazione di ruoli nei partiti. Occorre difatti premettere che la natura delegata della democrazia rappresentativa in Italia assegna un ruolo centrale ai partiti per quanto riguarda la costruzione del consenso e l’orientamento degli interventi politici, i quali, secondo l’attuale legge elettorale proporzionale a liste bloccate senza preferenze, nominano direttamente i candidati che saranno eletti.

Finché non verranno accolte le proposte di modifica per l'abrogazione della legge elettorale n. 270 del 21 dicembre 2005, definita porcellum, l'elettore può dunque limitarsi a votare: per delle liste di candidati senza aver la possibilità d'indicare preferenze; per le elezioni primarie (facoltative) per la selezione dei candidati alle competizioni elettorali, aperte in diverse tornate elettorali a sinistra anche alla partecipazione al voto dei cittadini stranieri.

Accanto alla natura dell’ordinamento, l’assenza di ruoli operativi all’interno dei partiti è ricondotta a prevalenti orientamenti politici che hanno determinato sino ad oggi la mancanza del diritto di voto, come è possibile leggere direttamente da una rappresentante del PDL, principale partito politico dello schieramento di destra.

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Non ci sono stranieri all’interno del partito con ruoli operativi perché chi non ha il diritto di voto non ha neanche il diritto di tesserarsi per il partito. Questa scelta, anche se impopolare, è corretta, non vedo demagogia, perché molto pragmatica: i partiti oggi servono per finalizzare l’esercizio del diritto di voto. Il partito è un’organizzazione molto particolare, non a caso riceve un finanziamento per una funzione specifica. Quindi credo che questo approccio sia molto pragmatico, se non hai il diritto di voto sei il benvenuto ovviamente a partecipare a tutte le iniziative e i dibattiti. Però sarebbe un contro senso che tu non puoi votare e svolgi un ruolo operativo all’interno del partito. Se una persona è interdetta dal diritto di voto non si tessera, perché il principio vale per tutti. Non c’è mai stato entro il partito qualcuno che aveva la funzione di ascoltare gli stranieri. Questo perché il partito è sempre stato un partito più destrutturato, più movimentista dei partiti tradizionali. A differenza del Partito Democratico, noi non abbiamo mai avuto dei veri e propri dipartimenti, delle vere e proprie consulte, tematiche dedicate, abbiamo fatto qualche tentativo anche di recente però sembra difficile scrollarsi di dosso una dimensione originaria movimentista, quindi fortemente aggregativa su istanze specifiche o durante il periodo delle elezioni; che poi è quella che si è rilevata essere la forma più diretta”. Deborah Bergamini, deputata PDL.

Avendo difficoltà a potersi misurare in termini di consenso elettorale, la modalità di selezione e di assegnazione degli incarichi o delle nomine dei rappresentanti delle comunità straniere, non votanti in Italia, resta quella della cooptazione, un meccanismo che ha agito trasversalmente all’interno delle diverse formazioni, sia sindacali sia partitiche, per favorire l’ingresso di quei cittadini stranieri che rivestono attualmente delle cariche all’interno di un partito.

Più che tentativi reali di inclusione o di vere e proprie “campagne di arruolamento” nei confronti delle comunità straniere, si è portato avanti un iniziale processo di inserimento negli organismi partitici e sindacali, condotto in modo per lo più verticistico e finalizzato all’ottenimento di far propria la visibilità legata a quelle esperienze di successo, sviluppatesi all’interno delle comunità straniere in vari territori.

In tal modo il meccanismo della cooptazione simbolica di personalità di spicco all’interno dei movimenti, dell’associazionismo o del sindacalismo sin da subito si è rivelata l’unica maniera, giudicata non democratica seppur necessaria, di avvicinarsi e di entrare nei partiti.

La cooptazione soggettiva può anche avere dei pregi, può mettere in luce personalità che altrimenti misurate con il consenso non avrebbero possibilità di emergere. E in un sistema non ancora più compiutamente democratico può essere una strada necessaria. Credo che possano essere superate se decidiamo di ripristinare una democrazia di partiti piena, dove anche le preferenze siano strumenti di selezione preferibile alla cooptazione. Fausto Raciti, Segretario nazionale dei Giovani Democratici e deputato PD.

La cooptazione è ritenuta derivante dall’assenza di autentici strumenti e meccanismi democratici. L’idea di merito, solitamente deciso dall’alto, mai dal basso, è alla base della selezione delle classi dirigenti nazionali e locali, e non svolge una funzione strumentale in termini di esercizio democratico, che resta relegato unicamente al consenso.

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All’interno degli ambiti decisionali, inoltre, alcuni tecnicismi, come le quote nelle candidature o diversi sistemi di delega alla rappresentanza, che difficilmente hanno favorito dei mandati rappresentativi e la presenza di stranieri nei quadri dirigenziali, hanno dato inizio ad un processo di strumentale visibilità politica ad alcune esperienze di successo, specie ai rappresentanti delle seconde generazioni, la parte maggiormente attiva in termini di rivendicazione dei diritti politici e sociali formata da giovani di origine straniera nati e cresciuti in Italia.

Referenti dell’associazionismo dei giovani di origine straniera, cittadini esercitanti il diritto di voto in Italia con un profilo di attivo protagonismo sociale, sono assorbiti all’interno della vita di quelle formazioni, che hanno deciso di investire sui “nuovi italiani”, nuova quota di elettorato incaricato di ricoprire alcuni ruoli interni, ad oggi esclusivamente relegati in materia di politiche migratorie.

1.3 Ghettizzazione tematica degli ambiti di intervento

Osservando da vicino i risultati dell’analisi e le esperienze segnalate dagli intervistati di maggiore rilevanza nel corso degli ultimi anni, che coinvolgono i principali partiti di entrambi gli schieramenti, emerge in maniera chiara come gli ambiti di intervento e i ruoli, assegnati ai cittadini di origine straniera dopo lunghi anni di militanza e spesso a seguito dell’acquisizione della cittadinanza italiana, siano quasi esclusivamente inerenti al mondo dell’immigrazione.

Le forme di partecipazione si caratterizzano per una tendenza alla ghettizzazione tematica, ossia all’assegnazione di incarichi al livello locale (raramente al livello nazionale) in quei partiti che prevedono la possibilità che cittadini stranieri possano iscriversi, limitatamente alle politiche migratorie, unico settore ritenuto di competenza e compatibile con i profili degli ‘incaricati stranieri’.

Per quanto vi siamo limitate eccezioni al livello locale, vedendo poi da vicino le funzioni e gli incarichi istituzionali è possibile asserire che tale meccanismo si registra sia per coloro che rivestono cariche all’interno del partito sia per quelli che ricoprono ruoli istituzionali. Ciò avviene anche in quei partiti maggiormente attenti ai temi del riconoscimento dei diritti.

A ben guardare, le esperienze di successo rappresentano una dimostrazione del fatto che qualora ai cittadini provenienti dai Paesi terzi venissero assegnati dei ruoli, gli unici messi a disposizione ruoterebbero intorno alla tematica dell’immigrazione. Un esempio ricorrente nel corso delle interviste riguarda l’attuale incarico di Ministro per l’Integrazione, assegnato dal PD ad una donna medico di origine congolese, già responsabile provinciale del Forum della cooperazione internazionale ed immigrazione e membro della Commissione welfare e politiche sociali a Modena, incaricata, nonostante l’elevata competenza professionale, a ricoprire una carica istituzionale in virtù della propria appartenenza originaria.

Questo esempio di inclusione politica comunque singolare non trova seguito nelle varie cariche pubbliche o nelle responsabilità direttive, neppure di sezioni o dipartimenti immigrazione, i cui ruoli di responsabilità sono assegnati anch’essi esclusivamente ad autoctoni.

L’ambito di azione politica previsto dai principali partiti di sinistra, inerente alle questioni dell’immigrazione o del rilascio della cittadinanza, non assorbe negli incarichi automaticamente quei cittadini interessati direttamente da tali problematiche.

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In virtù del funzionamento strutturale interno, l’assegnazione di incarichi, inoltre, non prevede meccanicamente l’entrare a far parte dell’entourage di un partito o l’attribuzione di un compenso. Esplicativa in tal senso è l’esperienza riportata da un membro della segreteria regionale e responsabile immigrazione del Lazio del PD, unico delegato dell’assemblea nazionale di origine straniera, il quale, nonostante ripetuti incarichi, non è mai diventato parte del corpo politico6.

Ciò che appare come un evidente limite culturale, qual è il rappresentare esclusivamente la propria causa all’interno di un’organizzazione politica italiana, non risulta una condizione ritenuta limitativa dalla totalità degli intervistati. Non è unanime la critica riguardo al conferimento di un riconoscimento, che ruoti unicamente intorno al tema dell’immigrazione.

Tale concezione in parte è ricondotta proprio al concetto di meritocrazia. Le competenze e il bagaglio esperienziale dei cittadini stranieri che militano nei partiti sono considerati dei meriti individuali da valorizzare. A tal riguardo, i leader provenienti dal mondo dell’associazionismo di comunità, poi entrati a far parte di un partito, vantano una mole di interventi giuridico – amministrativi, servizi di mediazione con i pubblici uffici, nonché una profonda conoscenza delle procedure inerenti all’ottenimento dei diversi titoli di soggiorno e in generale della normativa. Tale competenza è ritenuta necessaria per contribuire nella risoluzione delle vertenze territoriali e nell’elaborazione di un programma politico e/o di proposte di provvedimenti normativi, che rispecchino le istanze proprie della popolazione straniera in Italia. Come vedremo nella sezione dedicata al contributo dato dall’associazionismo all’inclusione degli immigrati alla vita partitica, tra le misure di inclusione adottate dai partiti il poter incidere sulle disposizioni normative, inclusive delle richieste nate dal basso, resta l’obiettivo più ambito. In questo momento storico, l’impegno in Italia di chi è parte dei partiti è volto all’abrogazione della Bossi-Fini, all’approvazione di una riforma della cittadinanza e a ridefinire un sistema di accoglienza per i profughi e i rifugiati che sbarcano in Italia7.

Pur in assenza di incarichi interni al partito, i tavoli di discussione tematica nei quali siedono alcuni cittadini di Paesi terzi sono orientati allo studio e all’analisi di: disposizioni normative; servizi di disbrigo pratiche; analisi del mercato del lavoro; tutela dei diritti umani. A seguito delle varie vicende dei drammatici sbarchi a Lampedusa, balzate agli onori della cronaca, la violazione dei diritti umani e il deterioramento delle condizioni della vita degli immigrati in Italia vede impegnati con maggiore attenzione e impegno gli iscritti stranieri nei partiti su questi temi, in maniera da sollecitare maggiori risorse da mettere in campo e urgenti provvedimenti in tema di politiche migratorie.

Coloro però che si sono occupati per anni di integrazione, oramai inseriti in impieghi professionali altamente qualificati in Italia e profondi conoscitori del sistema-Paese, vedono ristretto l’operare solo in un ambito settoriale, qual è l’immigrazione. Chi ha all’attivo lunghi anni di permanenza in Italia e desidera intraprendere dopo una durevole militanza un percorso di carriera politica vanta oramai la cittadinanza italiana, requisito non ascritto ma obbligato per ricoprire incarichi all’interno delle istituzioni italiane, non utile comunque ad interrompere la ghettizzazione degli impieghi.

Chi ha intrapreso o si occupa di favorire i processi d’inclusione sociale ribadisce come le problematiche legate al fenomeno migratorio possano essere

6 Intervista a Sibi Mani, delegato dell’Assemblea Nazionale PD.

7 Intervista a Mercedes Frias, iscritta e già parlamentare PRC.

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lette in maniera più ampia all’interno delle politiche sociali, del mercato del lavoro e delle politiche internazionali.

In tal modo è possibile ridimensionare anche la sottovalutazione delle competenze, ribadendo la necessità di inquadrare politicamente l’immigrazione nei vari ambiti. Primi fra tutti il lavoro, settore di interesse e di intervento di coloro che provengono dal sindacalismo di base e confederale. Il tema della permanenza regolare è fortemente legato al vincolo del contratto di soggiorno, che regola il rapporto di lavoro subordinato fra un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione Europea. In un momento storico contrassegnato da una forte flessibilità lavorativa, che muta più volte l'attività occupazionale e/o il datore di lavoro, le condizioni del mercato del lavoro non trovano riscontro in politiche migratorie che attualmente tengono conto della precarietà, della forte mobilità lavorativa e della crescita del precariato contrattuale. Di contro, assistiamo ad un forte irrigidimento delle norme in materia di flussi di ingresso e soggiorno regolare, senza che vi sia un innalzamento dei tempi di rinnovo dei diversi titoli di soggiorno. Il lavoro nero, fenomeno italiano oramai strutturale che domina incontrollato alcuni settori lavorativi, nonché il mercato nero degli affitti, rendono chiaramente l’idea di come la problematica del soggiorno regolare non possa esclusivamente rimanere circoscritta e slegata dai principali ambiti, che compongono le politiche sociali.

Infine, non può essere ignorato lo scenario internazionale (guerre, calamità naturali, povertà, violazione dei diritti umani) dentro il quale si inseriscono le migrazioni, determinante in materia di flussi di migranti economici, di esuli o di rifugiati che fuggono da diverse aree del mondo e giungono in Italia. L’ambito della cooperazione internazionale, che nasce come approccio di tipo collaborativo per sostenere lo sviluppo nei paesi più svantaggiati del sud del mondo, vede inserite personalità attive nel mondo della politica, impegnate in progetti di cooperazione per conto dei dipartimenti internazionali dei partiti, che vanno dall’assistenza socio-sanitaria alla tutela dei diritti umani, dalla sicurezza alimentare e sviluppo rurale all’educazione di base e alla formazione professionale, dal sostegno a programmi di informazione e democratizzazione alla valorizzazione del territorio e del patrimonio culturale dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS).

2. L’adesione ai partiti politici: percorsi di comunanza ideologica e spazi e rivendicazione sociale

Carriera, idealismo, visibilità pubblica, potere, solidarietà, queste sono alcune delle ragioni che spingono ad intraprendere percorsi di attivismo e di militanza nei partiti.

Nel corso di diversi decenni le ragioni che hanno determinato l’ingresso dei cittadini provenienti dai Paesi terzi nei partiti sono state dettate da diversi ordini di fattori, primi fra tutti:

1. il mutamento e la crisi dello scenario internazionale, che determinò il primo flusso in ingresso di esuli politici provenienti dai diversi teatri di guerra o di repressione;

2. le carenze nel quadro normativo e politico italiano, che, in assenza di previsioni normative che regolassero la vita degli stranieri in Italia, negli anni ’90 già presenti in numero rilevante, necessitavano di essere colmate attraverso un adeguamento ai nuovi cambiamenti sociali.

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Come approfondiremo nelle sezioni successive, le ragioni riferite dagli intervistati, che si ricollegano ai cambiamenti nel quadro politico internazionale, hanno determinato un’adesione di studenti, di esuli e di attivisti politici dettata da un proseguimento all’interno delle formazioni partitiche dei paesi d’accoglienza di un percorso politico, secondo una precisa comunanza ideologica.

L’ingresso in politica dettato dalla necessità di mostrare attenzione verso un fenomeno in veloce crescita in Italia, quasi completamente de-regolamentato fino agli anni ’90, interessò le personalità più attive all’interno dell’associazionismo e dei diversi organismi di comunità, impegnati a ritagliare all’interno dei partiti degli spazi di rivendicazione sociale.

Analizzeremo nelle parti successive più specificatamente alcune tra le principali ragioni indicate dagli intervistati alla base del loro coinvolgimento nell’attività politiche dei partiti, riportando stralci dei racconti delle storie di vita di alcuni dei diretti protagonisti. Tale coinvolgimento raramente è riportato come una scelta individuale, per quanto non si possano nascondere talvolta degli interessi personalistici. L’ingresso in politica è dettato innanzitutto da esigenze collettive, che sottendono svariate ragioni a monte delle diverse rivendicazioni sociali di chi diventa un portavoce nel partito, sia esso un singolo migrante (esule o attivista) o un rappresentante delle comunità straniere.

2.1 I percorsi di comunanza ideologica

Negli anni ’70-’80, prima ancora della successiva ratifica della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, denominata di Strasburgo, che ha comportato, come abbiamo già evidenziato nel report desk, il proliferare e il nascere del tessuto associazionistico italiano in tema di inclusione dei cittadini provenienti dai Paesi terzi, in una società investita allora da una ventata politica innovativa anti – capitalistica, ritenuta persino rivoluzionaria, gli studenti stranieri originari da paesi dell’area mediterranea e gli esuli politici provenienti da ogni parte del mondo, sperimentarono nuove forme di partecipazione e contestazione e trovarono notevoli alternative di aggregazione dinanzi al fiorire allora di molteplici gruppi politici e sindacali antagonisti8.

I partiti politici rappresentavano allora gli unici spazi di partecipazione, i primi ad accogliere gli esuli politici che in quegli anni lasciavano il Latinoamerica e il Medio Oriente, diretti in Italia. L’allora secondo partito di massa italiano, il Partito Comunista Italiano (PCI), insieme al PSI, offrirono solidarietà e sostegno agli esuli in un costante impegno politico per restituire la democrazia a quei popoli in lotta per la liberazione dalle dittature militari e dai continui golpe militari, che sconvolsero intere popolazioni nel Novecento (come accadde, ad esempio, in Latinoamerica, precisamente in Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Guatemala, Nicaragua e Perù).Quella del Cile di Allende, ad esempio, è stata una presenza forte nell’immaginario del PCI degli anni Settanta, che ispirò il partito di Berlinguer nella massiccia mobilitazione seguita alla proposta del Compromesso storico: dalla necessità di un richiamo simbolico congeniale alla via italiana al socialismo, negli anni in cui si imponeva all’attenzione il mito rivoluzionario dell’America Latina, alla formazione delle rilevanti analogie politiche che, a partire dall’ascesa della

8 A. Caragiuli, Islam metropolitano, Edup, 2013, Roma.

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Democrazia Cristiana (DC), si manifestarono in due paesi pur tanto diversi come l’Italia e il Cile9.

A seguito della messa al bando formale dei partiti di sinistra in quei paesi attraversati da repressioni politiche e militari, molti esponenti trovarono asilo in Italia.

Tra i vari attivisti politici impegnati nelle varie lotte di liberazione dell’epoca, l’Italia diede asilo anche ad alcuni militanti sopravvissuti al massacro del Settembre nero in Giordania, dove si consumò nel ‘70 lo sterminio e l’imprigionamento di migliaia di civili palestinesi, e a quello di Sabra e Chatila a seguito dell’invasione israeliana del Libano dell’82, massacro quest’ultimo denunciato dopo una visita ai luoghi del massacro dal Presidente Pertini, in un momento storico in cui alto era il ruolo ricoperto dall’Italia nella scena politica internazionale10. Ad essere accolti in particolare i rappresentanti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), alla ricerca di un sostegno alla propria causa in Italia, ottenuto in particolare dal PSI (storico il discorso di fine anno alla nazione del Presidente Pertini del 31 Dicembre 1983) che ricoprì nei confronti del conflitto arabo-israeliano una posizione nettamente filo-palestinese11.

Aderendo alla Terza Internazionale12, l’OLP di Yasser Arafat ebbe sostanzialmente il Partito Comunista Italiano come punto di riferimento per l’Italia, ma negli anni Ottanta il PSI avviò la costruzione di un rapporto di amicizia e collaborazione con i rappresentanti del popolo palestinese: Craxi e Arafat, anche con la mediazione dei rappresentanti dell’OLP in Italia, misero in piedi una linea di dialogo diretto, che negli anni del governo raggiunse il momento culminate13.

L’intenso attraversamento politico di un Paese, l’Italia, allora al centro con la sua polita estera della scena internazionale portò alla graduale formazione di associazioni politiche a carattere studentesco - attive ad esempio nelle università le associazioni degli studenti iraniani in fuga dal regime dello Shah - e all’inserimento di alcuni esuli ed attivisti all’interno del PCI.

La condivisione ideologica, che rientrava nel progetto politico internazionale comunista, fu la naturale motivazione ad aderire al PCI e alle forze extra parlamentari di Avanguardia Operaia, poi Democrazia Proletaria, di quanti ne condividevano l’impostazione culturale, ideologica e di programma internazionale da parte di una formazione partitica tra le principali protagoniste della scena politica mondiale.

9 A. Santoni, Pci e i giorni del Cile, Carocci, Milano, 2008.

10 Intervista ad Ali Rashid, membro del dipartimento internazionale SEL e già parlamentare PRC.

11“Io sono stato nel Libano. Ho visto i cimiteri di Sabra e Chatila. E’ una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quell’orrendo massacro. Il responsabile dell’orrendo massacro è ancora al governo in Israele. E quasi va baldanzoso di questo massacro compiuto. E’ un responsabile cui dovrebbe essere dato il bando dalla società”, 31 dicembre 1983, discorso di fine anno alla Nazione.

12 L'Internazionale Comunista (in italiano Comintern) fu l'organizzazione internazionale dei partiti comunisti attiva dal 1919 al 1943, nota anche come Terza Internazionale.

13 Università degli Studi “Roma Tre”, Dottorato di ricerca in“Storia dell’Italia contemporanea: politica, territorio, società”, Ciclo XX, di Francesca Pacifici” I socialisti italiani e la questione mediorientale (1948-1987), aa.cc. 2008-2009.

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L’ingresso e la militanza dei rifugiati e degli esuli politici (leader politici, sindacalisti, rappresentanti dei partiti comunisti, etc.), nonché l’impegno storico del partito per la tutela dei diritti dei lavoratori proletari esteso agli stranieri in arrivo in Italia, determinò lo sviluppo di politiche a favore della tutela dei diritti umani e del riconoscimento dell’asilo politico, dei diritti della nuova manovalanza, che trovava anche nelle forze sindacali di allora spazi di opportunità e protagonismo politico.

Proprio la militanza nei quadri nazionali o presso le sezioni territoriali di partito, unita all’impegno nei confronti della politica del proprio paese d’origine, portò le dirigenze di allora ad assegnare ruoli di spicco alle nuove personalità di rilievo giunte dall’estero. Tra queste, gli intervistati riportano l’impegno e la militanza di molti italo – argentini, alcuni cittadini italiani già di nascita in quanto figli di famiglie italiane emigrate in Argentina14, in testa ancora oggi nelle direzioni locali dei partiti, come ricordano le esperienze di Susanna Fantino, iscritta a SEL ed attuale Presidente del Municipio VII del Comune di Roma, e Giorgio Ucceliani, ex Segretario della sezione PRC di Tor Pignattara e attuale membro della segreteria del circolo, attivista politico in Argentina venuto in Italia per la dittatura di Pinochet, di bisnonno italiano, recatosi a fine ‘800 in Argentina.

Le forti motivazioni delle personalità politiche che scelsero l’Italia come paese di esodo per continuare anche le proprie battaglie politiche, strutturarono ulteriormente il programma internazionale di politica estera di un partito già ideologicamente a favore della pace e della fratellanza tra lavoratori di ogni paese, attento alle questioni internazionali e unito ai diversi partiti comunisti in federazioni formate dai principali partiti di massa, protagonisti sulla scena mondiale.

Tra i ruoli ricoperti negli organismi esecutivi e dirigenziali, assegnati a grosse personalità di rilievo internazionale in asilo in Italia, va menzionato quello che il PRC ha assegnato ad Ali Rashid, parlamentare in Italia ed alto esponente politico dell’OLP, il quale che ha rappresentato all’interno del PRC, attualmente di SEL, la questione arabo – israeliana come una scelta di campo filo-palestinese.

“La parte palestinese della mia esperienza non è molto personale perché è un’esperienza collettiva che riguardava tutta la mia generazione. Ci trovavamo in condizioni difficili, da occupati da parte degli israeliani o profughi sfuggiti dalla propria patria. Da piccolo, pur piacendomi molto la letteratura, la lettura, la poesia, la scrittura, mi sono trovato dentro un movimento di massa che ha abbracciato le armi.

La lotta armata ha avuto come risultato l’affermare la questione palestinese, ma, secondo me, i risultati erano molto scarsi, era meglio puntare sulla crescita politica, economica, civile, culturale, del popolo palestinese, in modo da poter mantenere il suo ruolo di avanguardia nel mondo arabo. Nel 1965 ero già militante, dirigente della mia zona anche dell’organizzazione giovanile, facevo parte di Al-Fatah, che è il movimento principale della rivoluzione palestinese di allora. E come contenitore nazionale avevamo l’OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, quindi non era ancora nata l’Autorità nazionale palestinese. Eravamo in contatto con le forze politiche italiane, ma in modo particolare con il PCI di allora. Poi c’era in Italia anche un movimento molto forte a sinistra del Partito Comunista che era la sinistra extra-parlamentare e c’erano ottimi legami tra questi partiti e le varie organizzazioni palestinesi. Ho deciso di venire in Italia nel ’71. Avevo rapporti particolari con l’allora movimento studentesco, oltre naturalmente al PCI, che con il PSI, con alcuni settori della DC, avevano fatto della causa nazionale della liberazione dei popoli una loro bandiera. Il PCI era molto attivo non soltanto con i palestinesi ma ha sostenuto la lotta di tutti i popoli che lottavano per la loro libertà, per la loro

14 Intervista a Susi Fantino, Presidente del Municipio VII Roma Capitale.

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indipendenza. Quell’esperienza è durata poco perché ho dovuto interrompere, tornare in Libano per molti anni, prima di rientrare in Italia, nell’82 in modo definitivo.

Sono stato nominato Primo Segretario della Delegazione generale palestinese in Italia nel 1986. Pur nel ruolo istituzionale, era chiara la mia tendenza a prendere posizione sempre più a sinistra. E mi trovavo a mio agio sul piano culturale, sul piano ideologico con le forze di sinistra. Quel rapporto preferenziale, che avevo da giovane con il movimento studentesco, è proseguito con il tempo anche con Democrazia proletaria che fu fondata da alcuni leader sia del movimento studentesco che dell’Avanguardia operaia. E lì svolgevo un ruolo molto attivo anche in politica estera, tanto sulla questione palestinese c’era un sostegno aperto, incondizionato. Per accettare l’offerta di Rifondazione Comunista quando Bertinotti era Segretario, ho dovuto dimettermi dal mio incarico diplomatico, per ricoprire il ruolo da parlamentare in Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati.Cambiare ruolo e accettare la candidatura al Parlamento è stata una delle scelte più sofferte che ho fatto nella mia vita, avevo una doppia veste come compagno palestinese coinvolto in qualche modo nel dibattito politico italiano. Accettare questo voleva dire proprio entrare in una contraddizione difficile da sanare, cambiare ruolo, come cambiare identità dal momento quando si viene eletti al Parlamento, si diventa rappresentanti del popolo italiano.

A seguito di numerose scissioni, alcune giustificate, altre meno, avvenute dentro il partito della Rifondazione Comunista, laceranti perché hanno privato lo scenario politico italiano di una forza di sinistra di governo, numerosa, presente sul territorio, che poteva anche dare un contributo per condizionare le scelte politiche nazionali a favore di una maggiore giustizia sociale e un avanzamento culturale per le libertà personali, ora si registra il limite più grande che ha il ceto politico italiano, che non riesce a comprendere il cambiamento accelerato che è avvenuto nel mondo, sul piano economico, sul piano finanziario, e che i tipi di soluzione da dare ai nostri problemi che non guardano i confini nazionali di una nazione, sono molto più estesi”.

Ali Rashid, già Primo Segretario della Delegazione generale palestinese in Italia e parlamentare XV legislatura.

2.2 Il partito come spazio di rivendicazione sociale

Tra i profili degli intervistati, accanto agli studenti e agli esuli scampati ai diversi teatri di guerra un numero rilevante di esperienze politiche confluite nei partiti proviene dal mondo dell’associazionismo, che per primo mostrò un’attenzione al fenomeno dell’immigrazione, progressivamente in crescita in Italia.

Accanto ad un impegno all’interno della sfera dell’associazionismo, segnalato nell’indagine prevalentemente dagli intervistati stranieri, la partecipazione politica nei partiti da parte dei cittadini dei Paesi terzi si caratterizza per l’aver scelto di aderire in quelli che sono ritenuti “spazi di rivendicazione sociale territoriale”, forma organizzativa che una comunità ampia di individui utilizza quale strumento per partecipare al gioco democratico e per rappresentare gli interessi collettivi.

Si tratta dei soggetti migranti più attivi nella lotta per i diritti, entrati in Italia a cavallo dei flussi di ingresso per motivi di lavoro, quote sempre più rilevanti che videro affiancarsi gradualmente ai primi gruppi di migranti, in particolare agli esuli e agli studenti, formazioni comunitarie provenienti prevalentemente dai paesi vicini geograficamente e legati politicamente all’Italia.

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Le forze della sinistra dell’epoca, che radunavano diverse organizzazioni al livello territoriale, stentarono a sviluppare una sufficiente sensibilità culturale verso il tema dell’immigrazione, che inizia ad assumere rilevanza al livello sociale. I primi dipartimenti o sezioni immigrazione nei partiti difatti risalgono solo agli anni ‘90.

Proliferavano invece associazioni e circoli ricreativi presso le parrocchie, organizzazioni pronte a fornire inizialmente diversi tipi di sostegno e a promuovere la carità nelle diverse strutture della Caritas, che iniziavano ad accogliere un numero di bisognosi stranieri in crescita15.

Il fervore culturale e movimentista che attraversava la società civile portò alla nascita di numerosi soggetti associativi, alcuni dei quali, oggi completamente autonomi, sono ancora protagonisti determinanti della nostra società civile. Altre esperienze riconfluiranno invece dentro l´ARCI, che negli anni ‘80 inizia a strutturarsi in aree tematiche, facenti capo ad una confederazione di associazioni autonome operanti su vari temi: cultura, welfare locale, antimafia, diritti dei migranti, pace e cooperazione, campagne sui diritti civili, ambiente, promozione della cittadinanza attiva e del rinnovamento della politica attraverso la partecipazione responsabile dei cittadini16.

Sino all’ingresso attivo dei migranti nelle organizzazioni allora impegnate in tema di accoglienza e alla nascita di organizzazioni autonome di stranieri, l’approccio al tema dell’immigrazione è ritenuto paternalistico e strumentale, ed è denunciato soprattutto dai cittadini di origine straniera che scelsero dopo una breve militanza presso le organizzazioni sociali e politiche collegate ai partiti di sinistra di proseguire il proprio percorso nei partiti di destra.

“Quando sono arrivata in Italia, mi sono confrontata con le associazioni per vedere che cosa facevano. Quelle di centro sinistra non mi piacevano per niente perché sfruttavano gli stranieri, erano anche politiche, sfruttavano l’immigrato perché non deve sapere la lingua, non deve realmente partecipare, ti lasciavano sempre al margine. Si nota subito quando avevano interesse a dare oppure ad imparare” Souad Sbai, deputata PDL.

Le prime battaglie civili promosse dai migranti aprirono il movimento antirazzista italiano ai veri protagonisti delle lotte di rivendicazione dei diritti degli stranieri e diedero il via ad un movimento auto-organizzato mosso dalle prime associazioni e comitati. La prima manifestazione antirazzista mai organizzata in Italia, che vide la partecipazione di centinaia di migliaia di manifestanti stranieri, si ebbe in occasione della tragica scomparsa del rifugiato sudafricano Jerry Masslo, assassinio che emozionò profondamente l'opinione pubblica e portò il governo a varare, dopo le numerose proteste, il Decreto Legge 30 dicembre n. 416, recante norme urgenti sulla condizione dello straniero, convertito poi nella Legge n. 39 del 1990: la legge Martelli.

“Sin dal mio primo arrivo in Italia ho sempre frequentato i partiti politici. Uno che arriva a Roma negli anni del ’78, le uniche organizzazioni che avevano un’attenzione sul fenomeno dell’immigrazione e quindi sulla nostra presenza erano o le organizzazioni cattoliche, quindi Caritas, e dall’altra parte le sezioni del PRC, poi

15 Intervista a Romolo Salvador, Consigliere Aggiunto presso Roma Capitale.

16 Dal sito www.arci.it.

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i DS poi l’ARCI. Quindi le mie prime esperienze con la politica in Italia erano le organizzazioni territoriali dei partiti di sinistra. Tutto quello che si muoveva intorno a questi temi portò alla prima legge organica sull’immigrazione, cioè la legge Martelli, in seguito alla morte di rifugiato sudafricano. Così come non sono stato un grande militante delle associazioni nazionali, ho sempre privilegiato associazioni che creavano luoghi aperti dove c’erano tante nazionalità. Ho sempre detestato fin da quando sono arrivato qui, una certa propensione del mondo immigrato ad auto-ghettizzarsi. L’auto-ghettizzazione è direttamente proporzionale al riconoscimento rivolto dalla società ospitante. Più la società ospitante si dimostra chiusa più il riflesso di chiudersi nell’auto-ghettizzazione c’è. Quindi ho sempre pensato che noi avremmo fatto passi in avanti nella misura in cui, mantenendo salda la propria identità, eravamo in grado di dialogare con la società italiana”.

Jean LéonardTouadi, Consigliere speciale del Ministro degli Esteri, deputato XVI Legislatura.

Gli stranieri che confluirono nei partiti, provenienti dalle esperienze associazionistiche più attive nella rivendicazione dei diritti, aprirono la strada alla rappresentanza diretta degli interessi di una parte oramai significativa del tessuto sociale italiano.

Come già riportato nell’analisi desk, tra le frange più attive politicamente all’interno delle comunità straniere, coloro che sono stati esclusi dagli spazi di partecipazione nei partiti hanno riversato il proprio impegno all’interno di organizzazioni ed associazioni politiche. Questo non significa che la chiusura dei partiti orienti verso l’associazionismo, che resta per molti un volano verso il successo, per quanto la spinta propulsiva all’impegno sociale sia dettata non da vocazioni personalistiche di carriera, bensì dal porsi al servizio dei più deboli. La vocazione al sociale e alle esperienze di volontariato è determinante per coloro che provengono dalle aree depresse del mondo. Il partito è ritenuto come uno strumento al servizio delle persone più fragili. Tale considerazione, condivisa da chi è impegnato nel sociale, spinge a ritagliarsi un ruolo in un partito, a costruire un percorso politico per migliorare la propria vita e quella degli altri, cominciando ad accorgersi dell’importanza del lavorare intorno ad una nuova “composizione di classe”, dando un contributo personale di ognuno per modificare l’assetto sociale.

L’idea alla base è più movimentista, basata sulla coscienza politica avanzata volta al raggiungimento di un obiettivo, piuttosto che la costruzione di un percorso di militanza mosso dall’interesse verso uno scatto di carriera.

Per comprendere l’origine di tali percorsi, non tutti di successo, occorre sottolineare il forte nesso tra i movimenti che hanno visto protagonisti i migranti in Italia negli anni ‘90, che sono prevalentemente il movimento dei sans papier e quello antirazzista, e i partiti politici. Il legame travalica la condivisione da parte dello schieramento di sinistra delle campagne sui diritti dei migranti, benché tale rapporto in alcuni momenti di forte criticità sociale (ad esempio durante il varo del Pacchetto Sicurezza) è arrivato a prevedere l’organizzazione di iniziative e percorsi di lotta comuni.

Possiamo sostenere che la cooptazione ha portato a far confluire nei partiti, ritagliandosi anche ruoli di spicco, i principali leaders stranieri che hanno guidato i movimenti di lotta auto organizzata dei migranti in Italia, fondatori delle prime associazioni di migranti nate nelle diverse realtà di lotta territoriale.

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A differenza di esuli ed attivisti politici, questi soggetti non necessariamente provengono da percorsi di militanza nel paese di provenienza. Le diverse forme di attivismo che li vedono protagonisti in Italia scaturiscono anche da un vissuto migratorio discriminatorio ed escludente nel paese d’accoglienza.

Attraverso la carriera negli organismi associativi, hanno rotto il muro d’ingresso. L’adesione all’interno di quelle formazioni partitiche di sinistra, ritenute più attive in tema di diritti sociali, nella maggioranza dei casi ha comportato la rinuncia all’impegno civile associativo a favore della scelta di entrare a far parte di spazi di partecipazione ritenuti importanti veicoli di istanze e tramite tra la società civile e le istituzioni.

E’ interessante nella sezione successiva soffermarsi su quali siano state le risposte dei partiti alle istanze mosse dalle associazioni attraverso i propri rappresentanti all’interno delle formazioni partitiche e su quale sia la natura del dialogo intrapreso dalle associazioni e i partiti politici.

2.3 Partiti e associazioni: dualità di interessi in dialogo

In veste di portavoce delle istanze di una specifica categoria sociale, gli organismi associativi impegnati sul tema immigrazione rientrano in generale nei gruppi di interesse sotto la lente dei partiti.

Proprio la natura informale nella maggior parte dei casi di tali aggregazioni di individui, uniti, più che organizzati per il raggiungimento di obiettivi comuni, rende la dialettica tra i partiti e le associazioni complessa. Essa affonda le sue radici nei legami stretti dalle formazioni partitiche con i primi movimenti organizzati dei migranti in Italia. I leader delle diverse lotte rivendicative per il diritto al lavoro garantito, all’abitare, al riconoscimento dello status di rifugiato, hanno col tempo affiancato le associazioni antirazziste, andando a costruire a partire dagli anni ’90 in poi organizzazioni autonome, composte in maggioranza da stranieri.

Di apri passo, le varie formazioni comunitarie, attive e interessate più che sulle vertenze per rivendicare i propri diritti sull’organizzazione di spazi culturali di vita, crearono degli organismi informali di comunità, sulla base dei modelli originari dei paesi di provenienza (su base religiosa, etnico – nazionale, culturale).

Le chiavi di accesso per migliorare la propria condizione di vita e di lavoro in Italia è divenuta la salvaguardia della propria cultura e identità. Proprio questa tipologia aggregativa ha reso difficoltoso il far coincidere l’associazionismo dei migranti con la definizione di gruppi di interesse associativi, dal momento che le rivendicazioni sono spesso portate avanti dalle associazioni in maniera spontanea, disorganizzata e contingente, basate su un generico interesse comune, più che sull’organizzazione di sistematiche attività.

Come vedremo dettagliatamente, dalle testimonianze raccolte si percepisce da parte delle associazioni la complessità nel cercare di gettare le basi di una dialettica politica costruttiva con i partiti, ritenuta, salvo alcune eccezioni, al momento improduttiva, ininfluente al livello decisionale in rapporto alle politiche pubbliche.

Poche le associazioni che rivestono la funzione di articolazione degli interessi collettivi e la formulazione della domanda politica, che può assumere forme o modalità molto diverse. Poche quelle che da gruppo di interesse si trasformano in

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gruppo di pressione. Gli interlocutori dell’indagine ritengono che un tessuto associazionistico a carattere mono etnico e mono nazionale, autoreferenziale e volto al mantenimento e al sostegno della cultura originaria, non sia un veicolo di integrazione in grado di dare una risposta organizzata che possa indirizzare le scelte ed ottenere risultati politici.

La caratterizzazione etnica dell’associazionismo può anzi andare nella direzione opposta al vero inserimento dell’immigrato a livello locale.

Non vi è apertura verso gli autoctoni, quanto piuttosto una funzione di "mediazione sociale al contrario" basata sul meccanismo dell’ “autoreferenzialità etnica”17.

La funzione di intermediazione non è volta a risolvere il problema dell’inserimento dell’immigrato nella società d’insediamento, bensì gli obiettivi sono quelli di promuovere l’aggregazione tra connazionali, attraverso l’organizzazione di attività ricreative e culturali; offrire luoghi di ritrovo dove trascorrere i momenti di socializzazione; sedare le controversie interne alla comunità; fornire assistenza e servizi riguardanti il comparto lavorativo.

E’ invece l’associazionismo sociale e politico ad essere sotto la lente di ingrandimento dei partiti, in particolare la rete G2, espressione delle seconde generazioni organizzatesi al livello nazionale, che muove agli organismi politici e governativi italiani precise istanze e rivendicazioni sociali, come vedremo, alcune spesso rimaste inascoltate.

Ho iniziato con l’associazionismo nel 2008 quando insieme ad alcuni ragazzi abbiamo fondato l’associazione “LasecondagenerazioneCatania” nata per portare avanti battaglie e rivendicazione sulla cittadinanza dei ragazzi di seconda generazione, con l’obiettivo poi di affiliarci ad una associazione con rete nazionale come la ReteG2. Grazie all’incontro avuto a Catania con il coordinatore nazionale del Forum Immigrazione sono entrata nel PD a far parte del forum. Esperienza intensa, frutto di un percorso lunghissimo, non scontato e molto spesso sommerso. Faccio un esempio: adesso tutti si stupiscono dell’elezione della ministra nera, di KhalidChaouki in Parlamento, si tende anche a strumentalizzare queste nomine. Mi viene in mente in tal caso la critica che è stata fatta secondo cui determinate scelte sono state prese per spostare l’attenzione dalle problematiche reali.

Sicuramente dal momento che si parla non più soltanto di seconda generazione ma anche di terza e quarta e di una popolazione che comprende ormai più di un milione di ragazzi e adulti di sicuro, non rappresenta un problema marginale o di nicchia. Il lavoro del forum in tal caso è utile perché per me riesce ad entrare nelle comunità e riesce a fare delle seconde generazioni di immigrati non oggetto di informazione ma anche soggetto principale di veicolo di quelle che sono le rivendicazioni delle comunità. Per quanto riguarda le G2 nello specifico io credo che il tassello da capire è che la ricchezza di queste generazioni consiste nell’essere italiano e quindi nell’avere le stesse potenzialità rispetto agli autoctoni, come i coetanei. Un valore aggiunto in tal caso è dato poi dalle origini familiari che fanno da ponte di collegamento tra culture e generazioni. Quindi secondo me anche per quanto riguarda le seconde generazioni, un modo che ha il partito per attirare e valorizzare questa richiesta delle seconde generazioni di partecipare, è non

17 Articolo di Antonella Ceccagno, Nei-Wai: interazioni con il tessuto socioeconomico e autoreferenzialità etnica nelle comunità cinesi in Italia, rivista Mondo Cinese n°101, 1999, pp.75-93.

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accontentarsi dell’idea che una seconda generazione non si deve occupare di cittadinanza. Molti ragazzi del Forum Immigrazione di seconda generazione fanno i giornalisti infatti, si occupano di altre tematiche. Io nasco ad esempio come giornalista, sono nel calderone delle seconde generazioni ma ho i genitori italiani, io mi occupo di tutt’altro, se io ho raggiunto cariche di rappresentanza entro il sindacato le ho ottenute per il lavoro svolto nel campo e non per una quota ‘seconda generazione’ o in quanto immigrata. Per me l’unico passo per avere davvero un’uguaglianza sostanziale è essere considerata uguale come gli altri. Valorizzando ciò e non categorizzandolo. Per quanto concerne invece gli immigrati, secondo me per attirarli occorrono pratiche politiche. Ci si riconosce nel partito se si vede che nelle linee del partito ci si possa rispecchiare. (…) Dovrebbero andare allora più di pari passo la linea politica generale del partito con il lavoro tematico. Anche se comprendo la differenza tra le due cose, non riesco ancora ad essere così brava a scinderle, scindere soprattutto il mio ideale di partito con quanto invece risulta necessario per far si che il partito conti qualcosa nel panorama politico” (Elvira Ricottadamo, Associazione La Seconda Generazione Catania)

A partire da alcune specificità mosse dai gruppi giovanili, quali sono le richieste avanzate in generale dalle associazioni impegnate sul tema immigrazione ai partiti politici italiani?

Considerando nel loro insieme le associazioni di migranti partecipanti ai focus group (associazioni di migranti con orientamento e obiettivi prevalentemente politici, associazioni e/o organizzazioni interessate a progettare servizi a favore delle comunità presenti nel territorio, rete G2, infine associazioni organizzatesi su base etnica con lo scopo di condividere le usanze e la cultura del proprio paese di origine) possiamo classificare le richieste avanzate dalle associazioni impegnate sul tema immigrazione ai partiti politici italiani in tre categorie: istanze tecnico-giuridiche; istanze di partecipazione politica; istanze di inclusione sociale e sostegno.

Nello specifico, la tabella sottostante elenca le diverse tipologie di richieste, suddivise a seconda della tipologia associazionistica.

Tabella 4: Richieste avanzate ai partiti politici per tipologia di associazioni.

Tipologia

Associazione

Richiesta avanzata ai partiti politici

Associazioni culturali etnico-nazionali

Spazi di incontro

Corsi di lingua italiana

Associazioni politiche Abrogazioni e modifiche legislative

Campagne di voto

Spazi di discussione politica e di condivisione nella programmazione

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Interlocuzione nelle vertenze

Consulenza nella ricerca di fondi e sedi

Associazioni erogatrici di servizi

Attività di disbrigo pratiche

Orientamento giuridico legale

Spazi di segretariato sociale

Consulenza nella ricerca di fondi e sedi

Le richieste rivolte al partito ovviamente si declinano in generale a seconda della tipologia associativa e delle necessità peculiari che ciascun ente si trova ad affrontare: se consideriamo ad esempio le associazioni di migranti a carattere politico la funzione richiesta ai partiti politici è quella di rappresentare un punto di riferimento per ciò che riguarda i cambiamenti tecnico-giuridici. Si ricerca un dialogo e un appoggio istituzionale in favore di campagne politiche promosse dalla società civile (diritti dei cittadini migranti, campagne sul diritto di voto, interlocuzione nelle vertenze). La richiesta ad esempio mossa dall’associazionismo politico di coinvolgere le comunità straniere nella campagne di voto in occasione delle primarie del centro-sinistra e per il voto amministrativo, esclusivamente per quanto riguarda i comunitari, può essere ricondotta alla scarsa propensione politica di alcune comunità all’esercizio del voto, causata sia dalla mancanza nel paese di origine di una dialettica politica democratica, sia dall’articolato percorso richiesto ai cittadini migranti per l’ottenimento del diritto di voto solo attraverso l’acquisizione della cittadinanza italiana. Tali ostacoli rendono necessario avviare delle campagne di sensibilizzazione e partecipazione all’esercizio dei diritti politici garantiti, non soddisfatto a pieno dagli immigrati in Italia, esclusi di fatto e disincantati dalla politica.

Le associazioni impegnate sul versante del servizi e dell’integrazione richiedono che vengano adottate misure di sostegno e consulenza nella ricerca di fondi e nella partecipazione a bandi pubblici, in maniera da supportare lo sviluppo e l’organizzazione delle attività dell’associazione. Ciò che invece sembra richiedere le parte dell’associazionismo migrante organizzata su base etnica è una maggiore disponibilità ad ottenere spazi di incontro e di segretariato sociale rivolti alle comunità, di supporto alla gestione e al disbrigo pratiche giuridico – legali, abrogazioni o modifiche legislative e una maggiore decisione politica nell'affrontare le tematiche riguardanti il mondo dell’immigrazione.

Questo in particolare quando rivolgiamo la nostra attenzione all’esperienza che caratterizza le piccole realtà associative presenti nel territorio nel loro rivolgersi alle rappresentanze partitiche locali. Se volgiamo invece la nostra analisi alle proposte rivolte dalle associazioni di migranti più sviluppate a livello territoriale e nazionale, ci accorgiamo invece che la dialettica proposta alle dirigenze nazionali di partito si sviluppa mediante l’adesione a campagne sociali, ad esempio la campagna del 2012 “ItaliaSonoAnch’Io” promossa dalla Caritas e dalla ReteG2 (rivolta ad affermare i diritti di cittadinanza delle seconde generazioni e accolta da tutte le rappresentanze del centro sinistra del parlamento Pd, Sel e Prc), la “GiornataInternazionaleMigranti” proposta dall’OIM – Organizzazione internazionale

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per le migrazioni e dall’ ILO – International Labour Organization o infine la più recente campagna “LasciateCIEntrare” contro i centri di detenzione amministrativa dei migranti (anch’essa accolta e supportata dai partiti di centro sinistra). Tali iniziative associative su scala nazionale, oltre ovviamente a coinvolgere un numero sicuramente ampio di comunità, rappresentano le iniziative maggiormente condivisibili per i partiti, perché si sposano più facilmente con i principi e le linee guida che caratterizzano le ideologie democratiche e di sinistra che abbiamo visto essere quelle più attente alla tematica indagata. Non richiedono altro infatti che l’appoggio e il supporto, a differenza delle istanze che mirano direttamente alla costruzione di servizi e di proposte operative a livello locale, che impegnerebbero maggiormente i partiti in termini di risorse finanziarie.

Provando ad analizzare quali siano le attività e i fattori che promuovano a livello locale la partecipazione delle associazioni di migranti e dei suoi iscritti alla vita politica dei partiti, viene in mente la competenza a creare una rete diffusa di relazioni e spazi di discussione, ad essere in grado di mettere in pratica progetti realmente utili alla popolazione straniera. I rappresentanti delle associazioni sono in genere invitati a partecipare alla vita del partito iscrivendosi e/o partecipando agli spazi di discussione pensati per confrontarsi su determinate tematiche e in tali sedi condividere le buone pratiche attuate nelle loro associazioni a favore di una maggiore integrazione e convivenza locale tra le comunità: “Sono stato eletto presidente di un’organizzazione d’immigrati filippini, lì è nata la mia partecipazione, mi hanno chiamato per eventuali incontri di sensibilizzazione e testimonianza sulle buone pratiche degli immigrati e da lì è nata la mia partecipazione al PD”Romolo Salvador consigliere aggiunto PD.

Durante i focus group organizzati con le associazioni di migranti, gli interlocutori si sono confrontati su un’altra tematica, oggetto di interesse di ricerca, ossia quali sono le misure adottate dai partiti politici in risposta alle istanze avanzate dalle associazioni di stranieri. Con tale quesito s’intendeva ovviamente far luce sulle strategie e sugli spazi attraverso cui i partiti prevedono di impostare un confronto ed un coinvolgimento con le associazioni di migranti. Le principali risposte date dai principali partiti di sinistra emerse nei focus group sono riportate in tabella.

Tabella 5: Risposte dei partiti di sinistra alle istanze avanzate dalle associazioni di stranieri.

Partiti politico

Risposta alle istanze delle associazioni

PD

SEL

PRC

Segretariato sociale

Concessione di spazi di incontro

Coinvolgimento nelle campagne per il voto

Interventi di abrogazione e/o modifica dei provvedimenti normativi

Adesione a campagne nazionali proposte dalle reti associative

Abbiamo già precedentemente evidenziato come siano i partiti di centro-sinistra quelli costituzionalmente interessati ad avviare una dialettica politica con le associazioni di migranti, ossia quelli che, in base anche ai principi e agli ideali

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politici fondanti, risultano essere più aperti alla partecipazione politica del mondo migrante (le campagne a favore del diritto di cittadinanza, di voto, le iniziative contro il razzismo rappresentano i principi centrali della loro advocacy politica) e disposti ad aprire le loro sezioni alle esperienze di confronto con tali comunità. Questi si propongono generalmente a livello territoriale come enti in grado di rappresentare e sviluppare in termini politici le istanze di riconoscimento dei diritti di tali comunità. Recuperando in tal caso quanto veniva evidenziato nei focus group sembrerebbe che i presupposti per un lavoro di collaborazione non manchino. Sino ad oggi le proposte partitiche hanno rivelato una ridotta capacità di sviluppo e di successo concreto, come si evince dalle testimonianze di seguito riportate:

“Il Pd ha parlato tanto, sta facendo tanto per immigrazione però a livello territoriale non si trova un punto di riferimento col quale potersi incontrare; le iniziative per l’integrazione della comunità sono tante, i politici parlano anche tanto di integrazione, di competenza, di servizi però noi siamo tutti qua a cercare un punto di incontro”, rappresentante UDC e membro dell’Associazione Cambiare Davvero.

“Le cose che siamo riusciti ad avere (attraverso il dialogo con i partiti) sono quelle di cui abbiamo già diritto, non c’è un vero rendimento quindi di questo lavoro politico se non per le cose di cui abbiamo già diritto che non si deve neanche lottare” Rappresentante comunità palestinese del Lazio.

Le scelte strategiche adottate dai partiti a livello locale e nazionale consistono comunque nel proporre ai rappresentanti associativi la partecipazione a spazi creati ad hoc per confrontarsi sulle politiche e sulle problematiche dell’immigrazione, nell’assicurare la disponibilità di farsi carico delle domande, dei problemi che li caratterizzano e di proporsi come enti in grado di promuovere cambiamenti a livello politico. Infine, mostrandosi disponibili ad appoggiare le campagne nazionali proposte dalle associazioni più ampie e più diffuse del territorio a favore dei diritti di uguaglianza, di cittadinanza delle comunità straniere presenti nel territorio italiano, delle seconde generazioni e del lavoro migrante. Tra le ambivalenze emerse nel dialogo che caratterizza le associazioni di migranti e i partiti politici una buona parte si concentra sulle modalità di dialogo proposte dai partiti in occasione delle campagne elettorali. Molte associazioni evidenziano infatti come soprattutto durante le scadenze elettorali i partiti si adoperano al livello territoriale per creare contatti con gli enti impegnati sul tema immigrazione e si interroghino su proposte e strategie che intendono promuovere per risolvere le questioni. Ciò che emerge quale causa dello scarso successo di tali strategie è fondamentalmente lo scollamento che si verifica poi concretamente tra i due diversi livelli dei partiti, tra le sezioni territoriali e le dirigenze nazionali. Se il lavoro territoriale del partito rappresenta contemporaneamente per il partito stesso un modo sia per permettere ai suoi rappresentanti locali di farsi conoscere dalle diverse realtà locali sia per comprendere le problematiche specifiche, dall’altro questa funzione non sembra produrre cambiamenti nelle scelte e nelle decisioni che vengono poi attuate dalle dirigenze nazionali. Ipotizziamo che tale discrepanza rappresenti una delle motivazioni che inducono spesso i rappresentanti associativi ad essere disincantati e ad indurli molto spesso a ricorrere all’aggettivo strumentalizzanti nel descrivere tali iniziative. La maggior parte delle comunità straniere infatti presenti tutt’ora nel territorio italiano è ancora largamente esclusa dal diritto di voto. Questo dato, oltre a produrre come dicevamo un interesse relativo da parte dei migranti verso la politica, spinge molto spesso i rappresentanti delle associazioni ad essere prevenuti dinanzi alle proposte ricevute di partecipare attivamente alle campagne elettorali. Anche per questa ragione la dialettica politica tra associazioni e partiti non produce risultati rilevanti ad oggi in termini partecipativi, poiché ancora diretta esclusivamente più ad una verifica della utilità

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delle proposte e delle iniziative che il partito intende politicamente proporre, più che alla costruzione di esperienze condivisibili e alla produzione di un effettivo cambiamento nel senso stesso che ha la partecipazione politica a livello locale e nazionale.

Gli stranieri che ricoprono un ruolo rilevante nei partiti, investiti del compito di gettare le basi di un dialogo costruttivo, in realtà si rivelano schiacciati dalla visione dominante interna a tali formazioni, tendenzialmente gerarchizzata. L’indisponibilità di ricoprire cariche interne al partito e la riduzione dei ruoli esclusivamente a rappresentanti immigrazione in alcune sezioni locali scatena tra i leader di comunità e i rappresentanti delle diverse associazioni di stranieri una spietata competizione politica, che rende eventuali nomine interne ai partiti non rappresentative e la costruzione di un dialogo interno al mondo dell’associazionismo tutt’altro che semplice.

La cooptazione di fatto non ha generato una dialettica politica vera e propria con l’associazionismo, ma ha intessuto singole relazioni. Questo dato suggerisce come le singolari esperienze di carriera non abbiano prodotto una vera e propria inclusione. D'altronde, il successo di alcuni leader di comunità è il risultato legato al metodo della cooptazione, che ha attivato un rapporto solo con le frange maggiormente integrate di gruppi di stranieri, staccate completamente dalle comunità di appartenenza e spesso naturalizzati.

Cooptazione, acquisizione della cittadinanza, status sociale elevato, diventano allora la condizione sine qua non per poter far politica e ricoprire dei ruoli nei partiti, affianco ai requisiti dell’obbligo della militanza, della comunanza ideologica e di un forte interesse per la politica.

Un dialogo che non si è sufficientemente sviluppato anche per colpa del profilo dell’associazionismo italiano, fortemente monoetnico, che non ha al primo punto dei propri obiettivi l’integrazione sociale.

4. Indicazioni conclusive: elenco dei fattori che favoriscono e ostacolano la partecipazione dei migranti nei partiti

Per un riepilogo conclusivo, si ritiene utile riassumere in breve le ragioni della sotto partecipazione dei cittadini stranieri nelle vita partitica italiana e gli elementi di trasformazione da introdurre per stimolare tale partecipazione, proposti dai rappresentanti dei partiti politici intervistati e dai referenti delle associazioni di stranieri.

Nelle tabelle 6 e 7 troviamo elencati i fattori che ostacolano e quelli che favoriscono l’inclusione degli stranieri nei partiti, viste da due angolazioni diverse, ossia dai rappresentanti politici delle formazioni partitiche coinvolte e dai rappresentanti delle associazioni.

Tabella 6: Elenco dei fattori che ostacolano e favoriscono l’inclusione degli stranieri nei partiti segnalati dai rappresentanti politici delle formazioni intervistate

FATTORI CHE OSTACOLANO L’INCLUSIONE

FATTORI CHE FAVORISCONO L’INCLUSIONE

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- Crisi della politica e della rappresentanza e auto-referenzialità dei partiti

- Ritardo istituzionale e assenza di riforme legislative

- Limitazioni e esclusioni statutarie

- Ghettizzazione degli ambiti tematici

- Assegnazione di ruoli e incarichi mediante metodo della cooptazione

- Assenza di un sistema di quote o di tecnicismi nelle candidature

- Assenza di dipartimenti o sezioni specifici e mancanza di sistemi di accoglienza

- Deleghe non rappresentative

- Discriminazione nei percorsi di avanzamento di carriera e assenza di stranieri nei quadri dirigenziali

- Divisione in correnti interne

- Ritardo culturale nell’approccio paternalistico ed emergenziale al tema dell’immigrazione

- Garanzia di accesso di cittadini stranieri alle scuole di formazione politica territoriale

- Apertura delle sezioni giovanili al dialogo sociale

- Apertura dei circoli territoriali alla mediazione istituzionale e a scambi interculturali

- Creazione di sezioni tematiche e dipartimenti

- Redazione di proposte politiche e normative condivise

- Costruzione di reti con le associazioni e la società civile

- Rottura delle dinamiche di ghettizzazione e selezione pubblica della classe dirigente

- Partecipazione alle campagne di sensibilizzazione promosse dalle associazioni di carattere nazionale

- Superamento della gestione emergenziale del fenomeno migratorio

- Adozione di riforme e modifiche normative

- Costruzione di programmi politici in collaborazione con G2 e la popolazione migrante

Tabella 7: Elenco dei fattori che ostacolano e favoriscono l’inclusione degli stranieri nei partiti segnalati dai rappresentanti delle associazioni di stranieri intervistate

FATTORI CHE OSTACOLANO L’INCLUSIONE

FATTORI CHE FAVORISCONO L’INCLUSIONE

- Disorientamento per la frammentazione partitica

- Concentrazione

- Apertura alle istanze avanzate dalle associazioni di stranieri

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prevalente dell’associazionismo su basi etniche e auto ghettizzazione delle comunità straniere

- Esperienza negativa con la politica nel proprio paese di origine (limitazione dei diritti politici, repressione, dittatura, etc)

- Difficoltà a partecipare alle campagne di voto e/o a conoscere il sistema e le modalità di votazione

- Appartenenza a specifici profili (G2, status medio-alti, esponente politico, leader di comunità, etc.)

- Esperienze di impegno civile e militanza associativa-sindacale-partitica all’estero e in Italia

- Esperienze dirette nelle forme di rappresentanza consultiva e nelle sezioni giovanili

- Acquisizione requisito della cittadinanza italiana

- Attivazione di misure che favoriscono percorsi di carriera e creazione di spazi di discussione

- Capacità di organizzarsi in rete per promuovere campagne in risposta alle istanze territoriali

- Superamento dell’auto-referenzialità etnica e intervento delle associazioni nel campo dei servizi

- Adozione di riforme e modifiche normative

In sintesi, emerge in maniera evidente come nel primo caso i rappresentanti dei partiti politici abbiano messo in evidenza tra gli elementi ostativi all’inclusione degli stranieri nella vita dei partiti l’attuale situazione di forte instabilità politica, che attraversa l’Italia, che si ripercuote negativamente sulla partecipazione politica complessiva. Il sentimento dell’antipolitica scaturisce prevalentemente dall’autoreferenzialità dei partiti rispetto alle pubbliche funzioni e la perdita del ruolo primigenio di favorire partecipazione al procedimento elettorale e la parità di accesso dei cittadini alla vita pubblica.

L’accento da parte dei rappresentanti politici è posto:

- sulla crisi della politica e della rappresentanza, che investe trasversalmente le nuove formazioni partitiche, di recente composizione ma incapaci di farsi attraversare da nuove esperienze e approccio; sul prevalere di sentimenti di antipolitica dinanzi al predominio della mala-politica, caratterizzata da un depauperamento del ruolo delle istituzioni e da deficit democratico per la scarsa attenzione alla dimensione culturale, giovanile e femminile e per il livello di gerarchizzazione interno; sull’autoreferenzialità rispetto alle pubbliche funzioni e perdita del ruolo primigenio di favorire partecipazione al procedimento elettorale e

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parità di accesso dei cittadini alla vita pubblica; sull’incapacità delle formazioni partitiche di adottare una linea politica unitaria in risposta all’attuale crisi economica; stato di debolezza in cui vertono i corpi sociali.

- sul ritardo istituzionale, in particolare sull’assenza di riforma della legge sulla cittadinanza e del diritto di voto, sulla mancata riforma dell’art.49 della Costituzione18 e sull’assenza di legislazione volta alla regolamentazione di funzioni e ruolo dei corpi intermedi tra individuo e autorità.

- sui vincoli di esclusione di tipo formale (assenza di diritto di elettorato attivo e passivo, divieti o limitazioni negli statuti dei partiti, iscrizioni legate alla sola cittadinanza italiana o alla regolarità giuridica di permanenza etc.), di tipo sostanziale (funzionamento strutturale interno caratterizzato dall’assenza di rappresentanti nei vari livelli degli organi decisionali e nelle strutture), di tipo culturale (partecipazione garantita ai soli tesserati, assenza di discussione della definizione dei programmi, etc.)

- sul ritardo culturale nella concezione e nel ruolo ricoperto dalla politica e dai partiti rispetto ai cambiamenti sociali introdotti dalle migrazioni in Italia, rappresentati politicamente e mass mediaticamente come fenomeni emergenziali (topos simbolico degli sbarchi a Lampedusa); subordinazione e assenza di programmi e campagne di contrasto all’allarmismo xenofobo, che vede la rappresentazione dell’immigrato ospite, anziché soggetto di diritto.

In particolare l’enfasi è posta sul funzionamento strutturale e sul funzionamento culturale dei partiti quale ostacolo alla partecipazione. Nello specifico:

- funzionamento strutturale: differenti statuti e requisiti ascritti alla partecipazione dei migranti; assenza, ad eccezione del PD e PRC, di settori di intervento strutturati con possibilità di programmi specifici sull’immigrazione ed incarichi, sistema di quote e tecnicismi nelle candidature, impostazione di partito gerarchizzata, deleghe non rappresentative e assenza di stranieri nei quadri dirigenziali, nei comitati politici o assemblee o congressi nazionali, strumentalizzazione delle nomine e delle candidature; sistema di deroghe per l’estensione dei vincoli di candidabilità stabiliti dagli statuti; mancata adozione di programmi specifici di accoglienza.

- funzionamento culturale: deficit democratico per la selezione degli incarichi interni ed istituzionali e metodo della cooptazione per la nomina dei membri in base a criteri non meritocratici, in particolare della cooptazione simbolica; ghettizzazione delle aree tematiche; scarsa attenzione alla rappresentazione della dimensione giovanile e femminile, autoreferenzialismo e interessi tattici; divisioni in correnti interne e mancanza di una linea politica unitaria; approccio paternalistico al tema dell’immigrazione, politica tuttologa che non si documenta prima di agire; ritardo culturale delle dirigenze; assenza di dati ufficiali sugli iscritti stranieri in vista della mancanza di una formula di iscrizione o di selezioni di tipo socio-anagrafico; mancato sostegno ai candidati di origine straniera; discriminazione di genere nei percorsi di avanzamento di carriera.

Accanto a questi elementi, i rappresentanti dell’associazionismo dei migranti hanno messo in evidenza tra gli elementi ostativi all’inclusione degli stranieri nella vita dei partiti in particolare le difficoltà emerse all’interno delle reti dei cittadini stranieri, che sono le seguenti: modello dell’associazionismo partitico ritenuto meno disponibile a dare risposte alle istanze, rispetto a quello sindacale; disorientamento

18L’art.49 della Costituzione Italiana recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

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dinanzi alla frammentazione partitica ed alla continua nascita di nuove formazioni; sviluppo dell’associazionismo su basi etniche e non politiche; differenti approcci alla politica in base alle specificità culturali, che rendono le deleghe non rappresentative e determinano mancati accordi nell’individuazione di linee comuni all’interno da parte di organismi collegiali composti da stranieri; scarsa disponibilità di tempo libero e di mezzi per favorire esperienze di militanza; frequenti cambi di residenza e assenza per alcuni gruppi di una permanenza stanziale; auto-ghettizzazione delle comunità straniere in assenza di riconoscimento sociale; diffidenza verso la politica, svuotata dalla funzione della rappresentazione degli interessi collettivi, e rassegnazione circa la strumentalizzazione degli immigrati nei partiti politici; difficoltà a partecipare a campagne informative sul voto e a conoscere il sistema e le modalità di votazione; difficoltà a riconoscere nei programmi politici risposte a istanze che vertono sul rispetto dei diritti; vincoli di alcuni partiti all’iscrizione di cittadini stranieri; assenza di una coscienza politica avanzata, specie in quelle comunità provenienti da contesti privi di esercizio di partecipazione ai processi elettorali e politici; assenza tra i gruppi di pressione di rappresentanti dell’associazionismo degli stranieri; esclusione da una logica di divisione correntista all’interno dei partiti; normativa restrittiva d emergenziale, che impedisce l’integrazione sociale degli stranieri in Italia; visione stereotipica della migrazione fornita dai media; approccio paternalistico verso i cittadini stranieri inseriti in politica; immaturità da parte degli immigrati, ad essere consci del proprio potenziale e in generale l’isolamento delle comunità straniere rispetto al tessuto sociale.

Gli elementi di trasformazione da introdurre per stimolare la partecipazione degli stranieri segnalati dalle associazioni coinvolte nell’indagine sono i seguenti:

- cambiamenti culturali: nuova cultura politica, che superi razzismo istituzionale ed esclusione sociale, insiti anche nei partiti; inclusione dei nuovi italiani; rottura del meccanismo di ghettizzazione dei temi ed individuazione collegiale delle tematiche di intervento; apertura alla presenza giovanile e al dialogo sociale; impostazione di partito non gerarchizzata; apertura dei circoli ai territori quali sedi di mediazioni istituzionali e scambio interculturale (esperienza Forum Immigrazione PD); promozione dell’uguaglianza sostanziale, delle politiche di parità e dell’antidiscriminazione; organizzazione di campagne e battaglie concrete in un’ottica strategica, anziché autoreferenziale; svecchiamento delle dinamiche gerarchizzate di partito; superamento della gestione emergenziale del fenomeno migratorio; superamento della visione sussidiaria e paternalistica nei rapporti con le diverse realtà straniere dando voce alle rappresentanze nei luoghi decisionali.

- cambiamenti normativi: riforma art 49 della Costituzione Italiana; esercizio diritti elettorali e superamento delle figure consultive straniere previste nelle amministrazioni; diritti di cittadinanza; abolizione delle legislazione restrittiva attuale (reato di clandestinità, legge Bossi-Fini, Pacchetto sicurezza, etc).

- cambiamenti tecnici: apertura della formazione politica ai migranti; facilitazione di esperienze di successo e creazioni di reti, specie con i movimenti; aumento di risorse umane ed economiche per l’organizzazione di campagne e interventi a favore degli stranieri; resa effettiva dell’apertura dei circoli territoriali alle attività richieste dalle associazioni di stranieri (iniziative culturali, scuole di lingua, riunioni organizzative, etc.) e la costruzione di programmi politici insieme alle reti di stranieri, specie il segmento della popolazione G2; rinnovo della classe dirigente; adeguamento della programmazione politica dei circoli ai cambiamenti

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della composizione sociale dei territori; maggiore coordinamento nei partiti tra le tematiche migratorie e quelle internazionali; inserimento liste aggiunte alle primarie (mille adesioni solo a Roma durante le primarie del centro sinistra); apertura di seggi particolari per la promozione della lista aggiunta alle primarie e l’indicazione delle sezioni di voto; quote di rappresentanza; selezione pubblica della classe dirigente mediante primarie aperte, per favorire competenze e non profili selezionati sulla cooptazione o prove di forza sul tesseramento.

Infine, gli elementi che hanno favorito le esperienze di successo sono i seguenti: appartenenze a specifici profili (G2, figura politica, sindacale e/o intellettuale, status medio – alti ); inclinazione personale alla politica; rappresentanza e impegno civile associativo e sindacale, acquisizione del requisito della cittadinanza; percorsi politici pregressi, determinanti per l’orientamento nella scelta del partito e/o dello schieramento politico; esperienze dirette nelle forme di rappresentanza consultive e nelle primarie; esponenti di movimenti e formazioni partitiche estere; ruoli nella propria comunità; militanza nel partito; esperienze nelle giovanili e in sezioni con alti tassi di giovani iscritti; circoli attivi in tema immigrazione e con un alto numero giovani aderenti a sezioni giovanili.