ALERIO ANFREDI «V · 2016-10-04 · LA DISFATTA DI AUGUSTO NEL 9 DOPO CRISTO “Ho ... Sono...

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LA STAMPA SABATO 1 OTTOBRE 2016 . VII LA DISFATTA DI AUGUSTO NEL 9 DOPO CRISTO “Ho osato riscrivere Tacito sulla strage di Teutoburgo” Sono entrato nel cuore di Arminio, il germanico che tradì i romani e ho sofferto a “uccidere” ad uno ad uno i legionari di Varo VALERIO M. MANFREDI MAX FERRERO/SYNCSTUDIO la maschera di bronzo del mu- seo di Kalkriese per farlo com- parire irriconoscibile a Teuto- burgo e uccidere suo fratello Arminio se fosse stato possibile. Ho osato riscrivere l’incontro singolo dei due fratelli sulle rive del Weser, troppo retorico e im- postato nella superba pagina di Tacito. L’ho riempito di foga e di insulti. Più verosimile. E mi so- no occupato anche di altri due fratelli: il centurione Marco Ce- lio, raffigurato in alta uniforme e decorazioni in un piccolo ce- notafio del museo di Bonn, ca- duto a Teutoburgo e suo fratello Aulo, di Bologna tutti e due. «Se troverete le sue ossa portatele qui» ha scritto sulla pietra. Do- veva aver seguito Germanico sul campo della strage per cer- care le ossa del fratello centu- rione. Me li sono tirati su i miei personaggi e mi ci sono affezio- nato (in narrativa è lecito). E mi sono affezionato a tutti i legio- nari di Varo fatti a pezzi, inchio- dati agli alberi attraverso le or- bite degli occhi. Non potevo evi- tarlo. E ho sofferto a ucciderli uno per uno con le spade e le lance germaniche. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Valerio Massimo Manfredi «Teutoburgo» Mondadori pp. 358, 20 a tutti i suoi compagni per alto tradimento? E come non si ac- corse in giorni e giorni di mar- cia che il comandante dei suoi ausiliari germanici lo stava por- tando in un mattatoio senza via di uscita? E come si era guada- gnato Arminio la cittadinanza romana e il rango di eques se non in veste di ufficiale del- l’esercito romano uccidendo molti dei suoi consanguinei du- rante le campagne di Tiberio del 5 e del 6? Un eroe scomodo per la Ger- mania moderna. Come sarebbero stati l’Euro- pa e il mondo se la Germania fosse stata romanizzata, se i po- poli che un giorno avrebbero di- strutto l’impero, devastato e saccheggiato le sue città aves- sero appreso il latino e imparato la disciplina sotto le aquile? * * * Non avevo mai esplorato in forma letteraria un evento di tanta formidabile potenza e mi sono riletto a fondo soprattutto Tacito, Velleio Patercolo e Dio- ne Cassio. Ma come delineare Arminio? Un mastino addomesticato alla Tutto parte quando Armin e Wulf, figlioletti del prode principe germanico Sigmer, vengono catturati dai romani. Portati a Roma, vengono allevati nella cultura, nel lusso, nel fascino di una grande civiltà. E si inseriscono talmente bene nel mondo latino che conquistano la fiducia dell’imperatore Augusto e vengono nominati comandanti degli ausiliari germanici nelle legioni. Ma il richiamo del sangue non riesce a spegnersi. E a poco a poco Armin matura la decisione di tradire la civiltà adottiva, portando Roma al disastro di Teutoburgo. Con il passo del grande narratore, Valerio Massimo Manfredi coniuga l’esattezza storica con il respiro epico per raccontare attraverso due destini individuali una sconfitta militare epocale. Ma anche l’affresco della romanità imperiale, con il suo orgoglio, la sua potenza, la sua raffinatezza. E la sua vulnerabilità nei confronti dei «barbari» che abitano il Nord. Valerio Massimo Manfredi Diario di scrittura di Valerio Massimo Manfredi ha pubblicato numerosi romanzi, saggi e raccolte di racconti. Tra i suoi titoli più famosi «Lo scudo di Talos», «La trilogia di Alexandros», «L’ultima Legione», «Il mio nome è nessuno». E’ stato tradotto in tutto il mondo in oltre 40 Paesi superando le 12 milioni di copie vendute «V are, redde mihi le- giones!» Queste, secondo la testimonianza di Svetonio, le sconsolate parole dell’im- peratore Augusto dopo aver saputo della strage di Teuto- burgo (9 d.C.), un disastro che tolse il sonno all’impera- tore e lo convinse a rinuncia- re per sempre alla romaniz- zazione della Germania. Quella battaglia tremenda che cambiò le sorti del mon- do di allora ma anche del no- stro mondo di moderni, durò tre giorni e tre notti sotto l’infuriare dei temporali. Sconvolto, Augusto si con- vinse definitivamente della impossibilità di annettere la Germania. Abbandonò così uno dei più ambiziosi proget- ti dell’Impero romano, quello di portare il confine nordo- rientale all’Elba, seicento chilometri a est del Reno. Augusto aveva condotto in Germania quasi vent’anni di guerre con massicce campa- gne militari impegnando deci- ne di legioni, centinaia di mac- chine da guerra e migliaia di navi delle flotte fluviali e ocea- niche, ma quella disfatta fu per lui un punto di non ritorno. Ovviamente l’onta di Teuto- burgo doveva essere vendica- ta e Tiberio, divenuto impera- tore, affidò l’impresa al nipote Germanico che tornò sul cam- po di Teutoburgo disseminato delle ossa di ventimila uomini sei anni dopo il disastro per dare loro sepoltura, poi con- dusse la sua enorme armata contro Arminio a Idistaviso. Fu un bagno di sangue: men- tre Germanico gridava «Non fate prigionieri!» i Germani la- sciavano sul campo più di ven- timila guerrieri disseminati lungo un’estensione di trenta chilometri. Il conto era salda- to. Germanico supplicò Tibe- rio di permettergli di condur- re a termine la conquista della Germania, ma non ci fu niente da fare. Dovette rientrare a Roma e ripartire poi per l’Oriente dove morì in circo- stanze misteriose. Due anni dopo morì anche il suo grande nemico Arminio perché vole- va farsi re di tutti i Germani (il primo Reich?), assassinato dai suoi stessi consanguinei. Molti sono gli interrogativi che restano senza risposta: perché Augusto voleva il con- fine all’Elba? Semplice rettifi- ca del confine Reno-Danubio? Improbabile. E come mai Varo si fidò ciecamente di Arminio quando importanti capi ger- manici lo esortavano a met- terlo subito in catene assieme Il romanzo ma di formulare una risposta, a cogliere il non detto nelle poche parole proferite dall’interlocu- tore, a capire i silenzi delle per- sone e degli eventi. Non ci sorprende allora di ri- trovare tra le pagine di «esercizi spirituali», che avremmo la ten- tazione di confinare in una zona estranea al quotidiano dell’esi- stenza umana, l’esatto opposto: l’incarnazione, la piena aderen- za di una parola che diviene atto meditato, gesto responsabile, agire concreto per il bene comu- ne. È dall’ascolto attento, della Parola, della storia e dell’altro, che nasceva in Martini la capa- cità di profezia, la sollecitudine per la chiesa e per la sua unità, la vicinanza ai poveri, il farsi prossimo ai lontani, il dialogo con i non credenti fino a consi- derarli propri maestri cui affi- dare cattedre per la ricerca del senso delle cose e della dignità delle persone. Dalla rilettura di queste pagi- ne così evangeliche per ispirazio- ne e formulazione, il lettore esce con una domanda semplice ep- pure ricca di implicazioni fonda- mentali e di ricadute sul tessuto della convivenza civile al di là di ogni barriera religiosa: «Siamo capaci di scommettere sul futu- ro?». La risposte non è scritta nelle oltre mille pagine del volu- me, non perché non esista, ma perché è affidate al quotidiano «esercizio» di ciascuno di noi. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI guerra che scopre di essere na- to lupo? E come suo fratello Fla- vus («biondo» il nome germani- co è ignoto) che era anche lui un ufficiale romano e lo rimase an- che dopo Teutoburgo: chiamò suo figlio «Italicus», come dire che la sua scelta di campo era chiara e lo sarebbe rimasta per sempre. Gli ho messo sul volto a queste domande [...]. Di qui l’importanza di quegli scritti in prosa – come quelli di cui que- sto volume fornisce un’ampia testimonianza – in cui Pound espone le sue idee sulla poesia, sull’economia e la politica. Que- sti scritti sono a tal punto parte integrante della sua produzio- ne poetica, che si è potuto a ra- gione affermare che «i Cantos sono ovviamente l’esposizione di una teoria economica che cerca nella storia una esempli- ficazione». Come un poeta arcaico, Pound si sente responsabile dell’intero paideuma (come egli ama dire, usando un termi- ne di Frobenius) dell’occidente in tutti i suoi aspetti. «Usura», «denarolatria» e, alla fine, «avarizia» sono i nomi che egli dà al sistema mentale – simme- tricamente opposto allo «stato mentale eterno» che, secondo il primo assioma di Religio, defi- nisce la divinità – che ne ha de- terminato il collasso e che do- mina ancora oggi – ben più che ai suoi tempi – i governi delle democrazie occidentali, dediti concordemente, anche se con maggiore o minore ferocia, al- l’«assassinio tramite capitale». Non è qui il luogo per valuta- re in che misura, malgrado le sue illusioni sui «popoli latini» e sul fascismo, le teorie economi- che di Pound siano ancora at- tuali. Il problema non è se la ge- niale moneta di Silvio Gesell, che tanto lo affascinava e sulla quale, per impedirne la tesau- rizzazione, si deve applicare ogni mese una marca da bollo dell’un per cento del suo valore, sia o meno realizzabile: decisi- vo è, piuttosto, che, nelle inten- zioni del poeta, essa denuncia quella «possibilità di strozzare il popolo attraverso la moneta» che egli vedeva non senza ra- gione alla base del sistema ban- cario moderno. Che il poeta che aveva percepito con più acutez- za la crisi della cultura moder- na abbia dedicato un numero impressionante di opuscoli ai problemi dell’economia è, in questo senso, perfettamente coerente. «Gli artisti sono le an- tenne della razza. Gli effetti del male sociale si manifestano in- nanzitutto nelle arti. La mag- gior parte dei mali sociali sono alla loro radice economici». © Giorgio Agamben 12 milioni di copie

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LA STAMPASABATO 1 OTTOBRE 2016 .VII

LA DISFATTA DI AUGUSTO NEL 9 DOPO CRISTO

“Ho osato riscrivere Tacitosulla strage di Teutoburgo”Sono entrato nel cuore di Arminio, il germanico che tradì i romanie ho sofferto a “uccidere” ad uno ad uno i legionari di Varo 

VALERIO M. MANFREDI

MAX FERRERO/SYNCSTUDIO

la maschera di bronzo del mu-seo di Kalkriese per farlo com-parire irriconoscibile a Teuto-burgo e uccidere suo fratello Arminio se fosse stato possibile.Ho osato riscrivere l’incontrosingolo dei due fratelli sulle rivedel Weser, troppo retorico e im-postato nella superba pagina diTacito. L’ho riempito di foga e diinsulti. Più verosimile. E mi so-no occupato anche di altri duefratelli: il centurione Marco Ce-lio, raffigurato in alta uniformee decorazioni in un piccolo ce-notafio del museo di Bonn, ca-duto a Teutoburgo e suo fratelloAulo, di Bologna tutti e due. «Setroverete le sue ossa portatele qui» ha scritto sulla pietra. Do-veva aver seguito Germanicosul campo della strage per cer-care le ossa del fratello centu-rione. Me li sono tirati su i mieipersonaggi e mi ci sono affezio-nato (in narrativa è lecito). E misono affezionato a tutti i legio-nari di Varo fatti a pezzi, inchio-dati agli alberi attraverso le or-bite degli occhi. Non potevo evi-tarlo. E ho sofferto a ucciderli uno per uno con le spade e le lance germaniche.

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

ValerioMassimoManfredi

«Teutoburgo»Mondadori

pp. 358, € 20

a tutti i suoi compagni per altotradimento? E come non si ac-corse in giorni e giorni di mar-cia che il comandante dei suoiausiliari germanici lo stava por-tando in un mattatoio senza viadi uscita? E come si era guada-gnato Arminio la cittadinanzaromana e il rango di eques senon in veste di ufficiale del-l’esercito romano uccidendo molti dei suoi consanguinei du-rante le campagne di Tiberio del 5 e del 6?

Un eroe scomodo per la Ger-mania moderna.

Come sarebbero stati l’Euro-pa e il mondo se la Germania fosse stata romanizzata, se i po-poli che un giorno avrebbero di-strutto l’impero, devastato esaccheggiato le sue città aves-sero appreso il latino e imparatola disciplina sotto le aquile?

* * * Non avevo mai esplorato in

forma letteraria un evento ditanta formidabile potenza e misono riletto a fondo soprattuttoTacito, Velleio Patercolo e Dio-ne Cassio.

Ma come delineare Arminio?Un mastino addomesticato alla

Tutto parte quando Armin e Wulf, figlioletti del prode principe germanico Sigmer, vengono catturati dai romani. Portati a Roma, vengono allevati nella cultura, nel lusso, nel fascino di una grande civiltà. E si inseriscono talmente bene nel mondo latino che conquistano la fiduciadell’imperatore Augusto e vengono nominati comandanti degli ausiliari germanici nelle legioni. Ma il richiamo del sangue non riesce a spegnersi. E a poco a poco Armin matura la decisione di tradire la civiltà adottiva, portando Roma al disastro di Teutoburgo. Con il passo del grande narratore, Valerio Massimo Manfredi coniuga l’esattezza storica con il respiro epico per raccontare attraverso due destini individuali una sconfitta militare epocale. Ma anche l’affresco della romanità imperiale, con il suo orgoglio, la sua potenza, la sua raffinatezza. E la sua vulnerabilità nei confronti dei «barbari» che abitano il Nord.

Valerio Massimo Manfredi

Diariodi scritturadi

Valerio MassimoManfredi ha pubblicato

numerosi romanzi, saggi eraccolte di racconti. Tra isuoi titoli più famosi «Lo

scudo di Talos», «Latrilogia di Alexandros»,«L’ultima Legione», «Il

mio nome è nessuno». E’stato tradotto in tutto ilmondo in oltre 40 Paesi

superando le 12 milioni dicopie vendute

«Vare, reddemihi le-giones!»Q u e s t e ,s e co n d o

la testimonianza di Svetonio,le sconsolate parole dell’im-peratore Augusto dopo aversaputo della strage di Teuto-burgo (9 d.C.), un disastroche tolse il sonno all’impera-tore e lo convinse a rinuncia-re per sempre alla romaniz-zazione della Germania.Quella battaglia tremendache cambiò le sorti del mon-do di allora ma anche del no-stro mondo di moderni, duròtre giorni e tre notti sottol’infuriare dei temporali.Sconvolto, Augusto si con-vinse definitivamente dellaimpossibilità di annettere laGermania. Abbandonò cosìuno dei più ambiziosi proget-ti dell’Impero romano, quellodi portare il confine nordo-rientale all’Elba, seicentochilometri a est del Reno.

Augusto aveva condotto inGermania quasi vent’anni di guerre con massicce campa-gne militari impegnando deci-ne di legioni, centinaia di mac-chine da guerra e migliaia dinavi delle flotte fluviali e ocea-niche, ma quella disfatta fu per lui un punto di non ritorno.

Ovviamente l’onta di Teuto-burgo doveva essere vendica-ta e Tiberio, divenuto impera-tore, affidò l’impresa al nipoteGermanico che tornò sul cam-po di Teutoburgo disseminatodelle ossa di ventimila uominisei anni dopo il disastro per dare loro sepoltura, poi con-dusse la sua enorme armatacontro Arminio a Idistaviso.Fu un bagno di sangue: men-tre Germanico gridava «Non fate prigionieri!» i Germani la-sciavano sul campo più di ven-timila guerrieri disseminatilungo un’estensione di trenta chilometri. Il conto era salda-to. Germanico supplicò Tibe-rio di permettergli di condur-re a termine la conquista dellaGermania, ma non ci fu nienteda fare. Dovette rientrare aRoma e ripartire poi perl’Oriente dove morì in circo-stanze misteriose. Due annidopo morì anche il suo grandenemico Arminio perché vole-va farsi re di tutti i Germani (ilprimo Reich?), assassinato daisuoi stessi consanguinei.

Molti sono gli interrogativiche restano senza risposta:perché Augusto voleva il con-fine all’Elba? Semplice rettifi-ca del confine Reno-Danubio?Improbabile. E come mai Varosi fidò ciecamente di Arminioquando importanti capi ger-manici lo esortavano a met-terlo subito in catene assieme

Il romanzo 

ma di formulare una risposta, acogliere il non detto nelle pocheparole proferite dall’interlocu-tore, a capire i silenzi delle per-sone e degli eventi.

Non ci sorprende allora di ri-trovare tra le pagine di «esercizispirituali», che avremmo la ten-tazione di confinare in una zonaestranea al quotidiano dell’esi-stenza umana, l’esatto opposto:l’incarnazione, la piena aderen-za di una parola che diviene attomeditato, gesto responsabile,agire concreto per il bene comu-ne. È dall’ascolto attento, dellaParola, della storia e dell’altro, che nasceva in Martini la capa-cità di profezia, la sollecitudineper la chiesa e per la sua unità,la vicinanza ai poveri, il farsiprossimo ai lontani, il dialogo con i non credenti fino a consi-derarli propri maestri cui affi-dare cattedre per la ricerca delsenso delle cose e della dignitàdelle persone.

Dalla rilettura di queste pagi-ne così evangeliche per ispirazio-ne e formulazione, il lettore esce con una domanda semplice ep-pure ricca di implicazioni fonda-mentali e di ricadute sul tessuto della convivenza civile al di là di ogni barriera religiosa: «Siamocapaci di scommettere sul futu-ro?». La risposte non è scrittanelle oltre mille pagine del volu-me, non perché non esista, ma perché è affidate al quotidiano «esercizio» di ciascuno di noi.

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

guerra che scopre di essere na-to lupo? E come suo fratello Fla-vus («biondo» il nome germani-co è ignoto) che era anche lui unufficiale romano e lo rimase an-

che dopo Teutoburgo: chiamòsuo figlio «Italicus», come direche la sua scelta di campo erachiara e lo sarebbe rimasta persempre. Gli ho messo sul volto

a queste domande [...]. Di quil’importanza di quegli scritti in prosa – come quelli di cui que-sto volume fornisce un’ampiatestimonianza – in cui Pound espone le sue idee sulla poesia,sull’economia e la politica. Que-sti scritti sono a tal punto parteintegrante della sua produzio-ne poetica, che si è potuto a ra-gione affermare che «i Cantossono ovviamente l’esposizione di una teoria economica che cerca nella storia una esempli-ficazione».

Come un poeta arcaico,Pound si sente responsabiledell’intero paideuma (comeegli ama dire, usando un termi-ne di Frobenius) dell’occidentein tutti i suoi aspetti. «Usura»,«denarolatria» e, alla fine, «avarizia» sono i nomi che eglidà al sistema mentale – simme-tricamente opposto allo «statomentale eterno» che, secondo ilprimo assioma di Religio, defi-nisce la divinità – che ne ha de-terminato il collasso e che do-mina ancora oggi – ben più cheai suoi tempi – i governi delledemocrazie occidentali, dediticoncordemente, anche se conmaggiore o minore ferocia, al-l’«assassinio tramite capitale».

Non è qui il luogo per valuta-re in che misura, malgrado le sue illusioni sui «popoli latini» esul fascismo, le teorie economi-che di Pound siano ancora at-tuali. Il problema non è se la ge-niale moneta di Silvio Gesell,che tanto lo affascinava e sullaquale, per impedirne la tesau-rizzazione, si deve applicareogni mese una marca da bollo dell’un per cento del suo valore,sia o meno realizzabile: decisi-vo è, piuttosto, che, nelle inten-zioni del poeta, essa denunciaquella «possibilità di strozzareil popolo attraverso la moneta» che egli vedeva non senza ra-gione alla base del sistema ban-cario moderno. Che il poeta cheaveva percepito con più acutez-za la crisi della cultura moder-na abbia dedicato un numero impressionante di opuscoli aiproblemi dell’economia è, in questo senso, perfettamentecoerente. «Gli artisti sono le an-tenne della razza. Gli effetti delmale sociale si manifestano in-nanzitutto nelle arti. La mag-gior parte dei mali sociali sonoalla loro radice economici».

© Giorgio Agamben

12 milionidi copie