[Agricoltura. .ITA].Tecnologia.del.Legno

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Università degli Studi di Torino – Facoltà di Agraria 1 Materiale didattico, destinato ad esclusiva circolazione interna, per l'impiego come dispensa nell'ambito del Corso/Modulo di Tecnologia del legno IL LEGNO (aspetti biologici, anatomici e morfologici) a cura del prof. R. Zanuttini III ^ edizione

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    Materiale didattico, destinato ad esclusiva circolazione interna, per l'impiego come dispensa nell'ambito del Corso/Modulo di Tecnologia del legno

    IL LEGNO (aspetti biologici, anatomici e morfologici)

    a cura del prof. R. Zanuttini

    III^ edizione

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    INTRODUZIONE Il legno ha da sempre offerto un contributo decisivo per la sopravvivenza dell'uomo e lo sviluppo del suo processo di civilizzazione, basti pensare alla costruzione delle palafitte, alla scoperta del fuoco, alla realizzazione dei primi strumenti per la caccia e degli attrezzi per la lavorazione del terreno o ad innumerevoli altri esempi che evidenziano l'ineguagliabile versatilit di questo materiale nei confronti di svariati impieghi. Nella letteratura greca antica e nella bibbia il termine "legno" era sinonimo di "materiale" ed indubbio che lo sviluppo delle attivit agricole, artigianali e la stessa rivoluzione industriale siano stati possibili grazie all'uso diretto o indiretto (ovvero come fonte di energia termica) del legno e dei prodotti da esso derivati. La sua importanza e lo stretto legame con le attivit umane sono riassunti nel noto detto popolare secondo cui "il legno segue l'uomo fin dalla culla" con il quale si intende appunto esprimere la molteplicit delle possibili applicazioni cui destinato. Spesso, tuttavia, il legno gode di scarsa considerazione in ambito accademico e scientifico, nonostante che molti progettisti, non conoscendo in dettaglio le sue caratteristiche (sia come legno massiccio che sotto forma di prodotti derivati), lo impieghino in maniera inadeguata determinando, ad esempio, sovra-dimensionamenti delle strutture, errori nella stima delle propriet meccaniche, ecc.. Lo studio del legno, infatti, non rientra quasi mai (in particolare nel nostro Paese) nei Corsi universitari che trattano la scienza e la tecnologia dei materiali e l'insegnamento della Tecnologia del legno attualmente relegato al solo Corso di Laurea in Scienze forestali della Facolt di Agraria (presso cui peraltro di prossima attivazione anche uno specifico Corso di Diploma) ed a qualche specifico indirizzo nell'ambito della Facolt di Ingegneria. A parziale giustificazione di tale trascuratezza, si ritiene generalmente che, oltre a costituire un materiale talmente tradizionale sul quale, almeno ad un primo approccio, non sembrerebbero esistere segreti, il legno pu apparire superato da numerosi nuovi prodotti che ne farebbero relegare l'impiego ad alcuni settori specifici e marginali. A questo proposito, la messa a punto di moderni e sofisticati materiali, come ad esempio molti compositi, il cui ciclo di fabbricazione risulta controllato durante l'intero processo industriale, avrebbe dovuto accelerare ancor pi la progressiva sostituzione e scomparsa del legno in molti dei principali settori in cui esso trova abituale impiego. Contrariamente alle suddette aspettative, e secondo attendibili dati statistici, il consumo globale di legno e dei prodotti derivati continua, invece, a registrare un aumento quasi proporzionale all'incremento demografico e all'evoluzione culturale della popolazione, in particolare per quanto riguarda i settori dell'arredamento e delle costruzioni1. In questo contesto, due fenomeni molto importanti sono considerati i principali responsabili del rinnovato interesse per il legno: il forte sviluppo della scienza dei materiali e, pi in particolare, lo studio dei compositi - molti dei quali

    riproducono la struttura tipica dei tessuti legnosi - che hanno permesso di conoscere meglio le caratteristiche specifiche del legno e della numerosa classe dei suoi prodotti derivati;

    il recente nuovo approccio nella pianificazione delle risorse e nella valutazione della produzione industriale, da cui derivano una serie di considerazioni che hanno consentito al legno non solo di recuperare importanza ma, addirittura, di assumere una posizione privilegiata nei confronti di molti materiali ad esso alternativi.

    Relativamente al primo punto, in contrapposizione ai metalli e alle loro leghe, ai polimeri sintetici ed ai materiali di origine minerale (vetro, ceramica, pietra e calcestruzzo) che, malgrado alcune diversit specifiche, costituiscono una categoria di prodotti abbastanza affini, in quanto omogenei, il legno e la gran parte dei prodotti legnosi evidenziano i seguenti aspetti peculiari:

    1 Questa tendenza evidenzia, peraltro, percentuali diverse a seconda dei Paesi considerati: in Italia, ad esempio, il legno trova impiego

    per circa il 95% nel settore dell'arredamento, anche se la moderna tecnologia del lamellare ne sta favorendo una maggiore e sempre crescente diffusione nel settore dell'edilizia strutturale.

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    peso volumico ridotto, i cui valori, variando da 0,1 a 1,3 risultano tra i pi bassi riscontrabili nell'ambito dei materiali con potenzialit strutturali ovvero che sono in grado di svolgere una funzione portante (la gamma dei valori tipici dei metalli e delle loro leghe si situa, ad esempio, ad un livello di circa 20 volte superiore); fortissima anisotropia (prerogativa, peraltro, tipica anche dei compositi fibrosi artificiali), che si traduce nella presenza di una direzione preferenziale lungo cui si registra una correlazione particolarmente elevata tra la massa volumica (un tempo detta "densit") del materiale e le sue caratteristiche di resistenza meccanica; struttura cellulare, che appare porosa ad un primo livello di osservazione macro e microscopica e fibrosa se si considera la sua ultrastruttura; forte igroscopicit, dovuta alla natura chimica dei componenti la parete delle cellule legnose ed indotta dalle variazioni di temperatura e della tensione di vapore dell'ambiente esterno, i cui effetti influenzano notevolmente sia le sue caratteristiche fisiche (massa volumica, ritiro, resistivit) che le sue propriet meccaniche (resistenza, rigidezza, deformabilit); natura biodegradabile, che si manifesta tramite l'azione di molti organismi del regno vegetale (batteri e funghi) ed animale (insetti e molluschi), mentre i comuni agenti abiotici della corrosione dei metalli non determinano, in genere, un'influenza particolarmente negativa; composizione chimica di base, costituita essenzialmente da carbonio, idrogeno e ossigeno (nelle proporzioni del 40-50% di carbonio, 5-6% di idrogeno e 40-46% di ossigeno) riuniti a formare vari polimeri organici, che rende il legno una materia prima fondamentale per la produzione di cellulosa, una fonte di carboidrati per la sintesi chimica nonch un buon combustibile; caratteristiche estetiche particolari, legate ad alcuni aspetti cromatici e morfologici dei tessuti, per cui il legno di molte specie presenta ampie variet di colore, venatura, tessitura e figure decorative unitamente ad un fascino ed un calore naturale che costituiscono, molto spesso, il fattore determinante nella sua scelta per svariati impieghi e lo rendono uno dei materiali pi apprezzati in molte applicazioni nel settore dell'arredamento e dell'industria del mobile. Questo insieme di propriet fa s che, a seconda dei casi, il legno risulti insostituibile per certi impieghi di ebanisteria e liuteria, molto interessante come materiale strutturale per numerosi sistemi costruttivi, inadatto per gli usi in cui sono richieste elevate caratteristiche di rigidezza o di durabilit o, ancora, una totale incombustibilit. Al di l di una miglior conoscenza delle sue caratteristiche tecnologiche, conseguente ad alcune ricerche di base condotte, in particolare, nei Paesi ove tale risorsa naturale pi abbondante ed in cui l'economia forestale riveste un'importanza preminente (Finlandia, Stati Uniti, Giappone, Germania e Francia), il rinnovato interesse per il legno stato stimolato soprattutto dall'esigenza di definire una pi razionale politica delle materie prime e dei materiali disponibili. A questo proposito, dal momento che le specifiche tecniche richieste per un determinato impiego sono generalmente soddisfatte da varie tipologie di prodotti tra le quali risulta possibile effettuare una scelta ( il caso dei materiali per l'edilizia nel cui ambito , ad esempio, lecito progettare una trave in acciaio, in cemento armato, in legno massiccio o in lamellare), gli argomenti di tipo economico sono risultati, finora e quasi sempre, discriminanti e decisivi. La recente evoluzione della societ industriale obbliga, invece, i diversi settori produttivi a tenere in maggior considerazione alcuni fattori che in passato erano stati completamente trascurati; tra questi si sottolineano in particolare: - il rischio crescente di esaurimento delle materie prime; - il costo energetico del materiale; - l'impatto ambientale dei processi di produzione e riciclaggio.

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    In considerazione dell'enorme quantitativo di materiali utilizzati e del continuo incremento dei consumi che si registra di pari passo con l'aumento della popolazione e del suo tenore di vita medio, apparso, infatti, subito evidente che alcuni prodotti di sintesi, seppure utili e particolarmente adatti in specifici settori di impiego, non possono sostituire completamente quelli tradizionali e pi abbondanti. Il costo energetico di un materiale, calcolato nei diversi stadi della sua produzione, posa in opera e riciclaggio, che in passato era quasi sempre stato trascurato o considerato marginale (anche in ragione dei limitati costi dell'energia), sta diventando sempre pi di fondamentale importanza. Da varie parti, inoltre, viene ormai suggerito, quando non addirittura imposto, che i costi indiretti legati ai danni di qualsiasi tipo provocati da ciascun processo industriale vengano contabilizzati nel prezzo finale del prodotto che ne deriva (vedasi, ad esempio, l'obbligo per le societ che gestiscono le cave di sostenere le spese di ripristino ambientale allo scadere della concessione). Di conseguenza, le scelte future non saranno pi falsate dal profitto derivante dalla produzione di materia li di per s poco costosi ma che richiedono alla collettivit di sopportare un costo addizionale indiretto a volte molto elevato. E' fuor di dubbio che, in relazione ai suddetti fattori decisionali, il legno evidenzi alcuni considerevoli vantaggi. Innanzitutto un materiale molto abbondante in vari Paesi ed interamente rinnovabile, a condizione che vengano attuate le necessarie pratiche colturali previste da appositi piani di gestione e, ove possibile, siano seguiti i principi dettati dall'assestamento forestale. Il suo costo energetico particolarmente contenuto, tanto che l'energia richiesta per produrre una massa unitaria di legname (1000 kWh/t) molto ridotta se confrontata a quella necessaria per altri materiali potenzialmente concorrenti (l'acciaio, ad esempio, richiede circa 4000 kWh/t e l'alluminio fino a 70000). La lavorazione del legno, inoltre, pu essere eseguita con un consumo energetico limitato sia manualmente, mediante attrezzature semplici e rudimentali come accetta e sega, sia industrialmente, tramite impianti tecnologicamente sofisticati. L'impatto ambientale delle attivit produttive, di posa in opera o riciclaggio risulta parimenti tra i pi ridotti (la produzione iniziale della materia prima legno, che si realizza attraverso l'attivit fotosintetica delle piante arboree, ha addirittura un impatto nettamente positivo). Nell'ottica di un pi razionale impiego delle risorse e delle diverse tipologie di materiali disponibili, il legno non pu quindi che ricoprire un ruolo di primaria importanza. E' per indispensabile conoscere a fondo le sue caratteristiche specifiche, al fine di prevederne un impiego ottimale in funzione dei requisiti richiesti e riconsiderare a brevissimo termine l'intera politica e programmazione forestale mondiale e nazionale con l'obiettivo di conseguire una produzione pi adeguata ed una migliore utilizzazione della risorsa esistente. Il nostro Paese, infatti, notoriamente impegnato sullo scenario internazionale per la sua rilevante e qualificata attivit di trasformazione industriale (, ad esempio, all'avanguardia nella produzione delle macchine per la lavorazione del legno, cos come in molti settori dell'arredamento e del design ove la creativit degli ingegneri ed architetti italiani si esprime ai livelli pi elevati) ma , purtroppo, notevolmente carente di materia prima, tanto che l'importazione di legname e dei materiali legnosi costituisce la terza voce nel passivo della nostra bilancia commerciale dopo l'energia ed i prodotti agro-alimentari. Secondo una definizione di un certo effetto, il nostro Paese , infatti "ricco di boschi poveri" per cui, a causa degli elevati costi di utilizzazione o della minor qualit degli assortimenti ritraibili, risulta spesso conveniente importare il legname dall'estero piuttosto che usare quello di produzione interna e ci, ovviamente, non in un'ottica di accumulo delle risorse finalizzata a garantirne una maggiore disponibilit futura. Anzi, a questo proposito, opportuno sottolineare che, qualora non sia specificamente previsto da un razionale piano di gestione, il mancato taglio dei soprassuoli forestali provoca un loro invecchiamento biologico cui pu conseguire una maggior instabilit ecologica ed una minor funzionalit a cui la natura in grado di porre rimedio con le proprie risorse solo in tempi lunghissimi e con cicli evolutivi secolari.

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    MATERIA PRIMA, PRODOTTI E ATTIVITA' ECONOMICHE DI SETTORE

    Il legno come risorsa naturale rinnovabile La produzione mondiale annua di legname oggetto di transizioni commerciali di circa 2,4 109 t. Di tale quantit, meno di un terzo utilizzata industrialmente (come paleria e travame, tondame da sega, assortimenti da sfogliatura o tranciatura, tronchetti da triturazione o da cartiera, ecc.) e la restante come legna da ardere o per la produzione di carbone. Il legno trova anche impiego come materia prima per la produzione di alcool ed altri composti chimici. Il rapporto ponderale tra le suddette destinazioni risulta molto diverso se si considerano separatamente i consumi dei Paesi industrializzati e di quelli in via di sviluppo (PVS): nei primi la percentuale di legname utilizzato come combustibile , mediamente, pari al 19% del totale, nei secondi raggiunge quasi l' 80%. L'industria di trasformazione dei prodotti forestali si trova, poi, nella condizione privilegiata ed unica di poter usare i propri residui di lavorazione per generare parte del proprio fabbisogno di energia termica o elettrica e, in molti casi, si stanno gi sfruttando gli importanti vantaggi che derivano da tale opportunit. Il livello che potr raggiungere il consumo di legname come risorsa energetica dipender, comunque, dall'evolversi dei principali fattori economici. Dal momento che la tecnologia legata alla trasformazione del legno e dei materiali derivati in continuo sviluppo, la tendenza sembrerebbe quella di una possibile riduzione dei residui derivanti dai vari processi industriali, che potrebbe influire sulla loro futura disponibilit come combustibile. Esistono, per, enormi quantit di legname attualmente inutilizzate ed abbandonate sul letto di caduta (soprattutto nelle foreste tropicali) che, quanto meno, potrebbero trovare impiego in tal senso, anche se considerazioni di carattere ecologico devono far riflettere sulla possibilit di utilizzare parte di tale biomassa onde evitare un'eccessiva asportazione di sostanza organica utile per i processi di formazione del suolo. Vari fattori economici (in verit, spesso difficilmente prevedibili nella loro evoluzione) potranno quindi determinare l'insorgere di un'eventuale conflittualit della domanda relativamente ad una destinazione finale piuttosto che all'altra. La produzione mondiale di legname, inoltre, dello stesso ordine di grandezza (in peso) di quella del ferro e dell'acciaio. A differenza di questi ultimi, tuttavia, il legno costituisce una risorsa rinnovabile, in molti casi naturalmente, in altri mediante reimpianto dopo il taglio del soprassuolo principale o a seguito dell'imboschimento di aree precedentemente destinate ad altro tipo di coltura. In funzione del clima, delle esigenze ecologiche della specie legnosa e dell'impiego finale previsto per gli assortimenti ritraibili, gli alberi possono raggiungere la maturit con turni di soli 10 anni (per es. nei pioppeti), ma possono anche richiederne pi di 100 (nel caso di fustaie di varie specie longeve), passando per un'ampia

    Previsione della disponibilit (stima della data di esaurimento) delle principali

    risorse naturali agli attuali livelli di impiego. Da [41].

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    gamma intermedia caratterizzata da diverse tipologie selvicolturali (cedui, piantagioni a rapido accrescimento, fustaie tropicali). In ogni caso, come accade per un capitale di cui si prelevano soltanto gli interessi maturati, finch le utilizzazioni non supereranno i loro incrementi, molti popolamenti arborei continueranno a rimanere anche una fonte inesauribile di preziosa materia prima. Potranno, infatti, variare la composizione del soprassuolo o le dimensioni dei fusti destina ti all'abbattimento ma, tramite un'appropriata gestione forestale, la risorsa principale continuer a riprodursi. Anzi, ampiamente dimostrato che una gestione intensiva e corretta, se ecologicamente sostenibile, pu determinare un aumento anche consistente della produzione legnosa senza particolari controindicazioni di carattere ambientale. Trasformazione industriale del legno La qualit del legno dei popolamenti forestali e degli impianti di arboricoltura industriale pu essere, almeno in parte, controllata e modificata mediante interventi di miglioramento genetico (particolarmente importanti nel caso della pioppicoltura) e l'adozione di opportune pratiche colturali che possono influenzarne le condizioni di accrescimento. Da un punto di vista applicativo, tuttavia, tali opportunit risultano piuttosto limitate. I molti fattori coinvolti nella produzione legnosa interagiscono, infatti, in maniera complessa, mentre si possono ugualmente determinare esigenze od obiettivi gestionali diversi e, talvolta, in conflitto tra loro. E' opportuno, inoltre, ricordare che, nell'ambito della selvicoltura, i tempi sono sempre molto lunghi e i risultati di varie operazioni o scelte colturali si possono manifestare anche dopo alcuni decenni. In ogni caso, per la grande disponibilit di specie diverse, risulta spesso possibile scegliere il tipo di legno (e generalmente anche la qualit) che meglio si adatta ad uno specifico impiego. Il legno di Douglas e di Larice, ad esempio, tra i migliori per un uso strutturale e per la posa in opera in ambiente esterno, il Teak offre eccellenti prestazioni nel settore nautico, il Noce particolarmente apprezzato dall'industria mobiliera e dei componenti d'arredo. Un'ulteriore espansione della disponibilit della risorsa legno poi offerta dalle trasformazioni industriali. La forma e le dimensioni finali dei materiali legnosi, infatti, possono essere impartite mediante semplici operazioni di taglio del legname massiccio o tramite l'incollaggio reciproco di frazioni legnose di inferiori dimensioni unitarie. La curvatura del legno e la fabbricazione di prodotti legnosi sagomati, realizzata mediante deformazioni permanenti del materiale, pur rivestendo un'importanza limitata, risulta parimenti effettuabile. L'impregnazione in autoclave riguarda, in genere, il solo legno il cui impiego prevede che vengano eseguiti trattamenti preservanti (nel caso, ad esempio, di un uso in ambiente esterno) o igniritardanti (per l'uso in locali pubblici). Ugualmente possibili sono varie combinazioni tra legno e materie plastiche, sia introducendo quest'ultime sotto forma di monomero e realizzandone poi la polimerizzazione in situ, sia mediante opportuni trattamenti atti a modificare la composizione originaria dei costituenti chimici del legno. Il metodo di gran lunga pi utilizzato nella trasformazione industriale rimane, comunque, quello di ridurre il legname in elementi unitari (i quali possono, al limite, avere le dimensioni di una singola fibra, cio lunghezza di 2-3 mm e pochi micrometri di larghezza e spessore) che vengono poi ricomposti tra loro, generalmente tramite l'impiego di adesivi e l'azione di una pressione adeguata, realizzando vari tipi di materiali legnosi. Facendo variare le dimensioni e la forma dei singoli elementi, la loro disposizione reciproca, il tipo di adesivo, il metodo o le condizioni di composizione e pressatura infatti possibile realizzare un'ampia gamma di prodotti. Tavole o listelli possono essere accostati o giuntati lateralmente e longitudinalmente tra loro in modo da produrre pannelli di legno massiccio. Porzioni di segati a cui sono stati preventivamente eliminati i difetti di maggior gravit possono essere giuntate "di testa" a formare le cosiddette "lamelle" che vengono poi incollate e sovrapposte per realizzare elementi strutturali, come ad esempio travi ed archi, di maggiori dimensioni rispetto a quelle ottenibili con i tradizionali assortimenti di legno massiccio. Sottili fogli di legno dello spessore di pochi millimetri (detti "sfogliati" e "tranciati" a seconda del sistema di taglio utilizzato) possono essere ricomposti tra loro per realizzare pannelli compensati, multistrati e placcati nei quali la direzione della fibratura orientata perpendicolarmente tra i vari strati adiacenti, o strutture

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    microlamellari (commercialmente note con i termini di "LVL", abbreviazione di Laminated Veneer Lumber, o "PLV", per Parallel Laminated Veneer) in cui la fibratura del legno risulta, invece, parallela. La composizione e l'incollaggio di elementi in legno massiccio (listelli, tavolette, ecc..) con sfogliati sottili di rivestimento superficiale sono alla base della produzione dei paniforti. Elementi di dimensioni inferiori, noti con il termine collettivo di "particelle", includono unit con forma leggermente diversa tra loro, quali ad esempio scaglie, schegge, trucioli, ecc.. Esse hanno, in genere, lunghezza di 30 mm (a volte superiore) e vengono agglomerate a formare pannelli detti, appunto, "di particelle" (tra i quali si annoverano, ad esempio, i waferboards, i flakeboards e i chipboards o "truciolari") che possono presentare o meno una direzione preferenziale di orientazione dei loro elementi unitari, anche in strati diversi. Singole fibre o fascetti di queste costituiscono, infine, le unit elementari utilizzate per realizzare ulteriori tipologie di prodotti come, ad esempio, nel caso della carta, dei pannelli di fibre o dei compositi di tipo analogo. Tuttavia, mentre le fibre sono anisotrope, a seconda dell'orientazione reciproca tra le suddette unit, il prodotto finale pu risultare anch'esso isotropo nel piano del pannello oppure evidenziare propriet direzionali. La produzione mondiale di pannelli a base di legno, che attualmente di circa 1 m3 per ogni 4 m3 di legname segato, indica chiaramente l'importanza dei suddetti materiali derivati. Non vi sono dubbi, peraltro, che essa sia destinata ad aumentare grazie all'uso di legname di dimensioni via via pi ridotte reso possibile dai moderni progressi tecnologici nel settore delle macchine per la trasformazione industriale del legno, anche se, per il momento alcuni degli impieghi citati risultano economicamente proponibili solo disponendo di assortimenti legnosi di un certo diametro, come nel caso, ad esempio, della sfogliatura o della tranciatura. Le attivit economiche Le attivit economiche legate al legno, che rientrano anche sotto la denominazione di "filiera legno", possono essere raggruppate, nel loro insieme, in quattro settori principali: 1. produzione legnosa; 2. prima lavorazione (o trasformazione); 3. seconda lavorazione; 4. commercio. La produzione forestale concettualmente molto simile a quella di vari settori dell'agricoltura ed ha come obiettivo principale (anche se non l'unico) la migliore utilizzazione delle potenzialit ecologiche offerte da una determinata stazione2. Essa produce biomassa che viene misurata in volume apparente (o in peso) di legname commercialmente ritraibile, in genere, al netto del volume della chioma (rami e cimale) degli alberi stessi. Per il settore della prima lavorazione il compito prioritario quello di trasformare la materia prima legno in "semilavorati" cio in elementi utilizzabili per le attivit produttive che seguiranno. E' a questo livello che possono e devono realizzarsi le attivit di sintesi ed elaborazione di un materiale. Il legno, infatti, non quasi mai utilizzato nel suo stato originario, cio esattamente come viene prodotto in natura, ma subisce, in genere, un processo di suddivisione pi o meno accentuato (mediante un'azione di taglio) ed un'operazione di essiccazione che determinano importanti modifiche delle sue propriet fisiche e meccaniche (peraltro estremamente limitate a livello cellulare in confronto a quanto possibile ottenere con altri materiali quali leghe e polimeri). Inoltre, a partire da quegli "elementi unitari" che sono anche stati anche definiti come costituenti fondamentali di una "tavola non periodica degli elementi legnosi di base" (toppi, travi, segati, fogli, particelle, fibre, cellulosa, ecc..), possibile realizzare molteplici combinazioni che, tramite un processo controllato di riaggregazione, 2 Nell'ambito delle scienze forestali tale termine indica il complesso dei fattori ambientali di un determinato sito che possono avere

    influenza sull'accrescimento del soprassuolo vegetale.

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    conducono a materiali nuovi, le cui propriet possono essere molto diverse rispetto a quelle del legno originario e, soprattutto, pi uniformi (vedasi, ad esempio, le strutture lamellari, i pannelli, la carta, ecc..). L'attivit di prima trasformazione riveste, dunque, un ruolo chiave nei riguardi di una risorsa forestale teoricamente disponibile per molti settori potenziali utilizzatori dei semilavorati che da essa possono derivare. Le maggiori difficolt risiedono proprio in questa sua posizione strategica: chi impegnato nella prima trasformazione del legno deve, infatti, conoscere in dettaglio le caratteristiche della materia prima, la sua qualit e variabilit, ma deve altres tener conto delle esigenze dei settori a valle nell'ambito della filiera e dar prova di grande ingegnosit per realizzare, a prezzi competitivi, elementi di materiali ben definiti a partire dal legname disponibile. La seconda lavorazione , invece, costituita da un insieme di settori produttivi la cui attivit legata solo parzialmente alla conoscenza degli aspetti tecnologici della materia prima legno e dei materiali derivati. Il suo obiettivo quello di realizzare prodotti che rispondano ad una domanda di mercato. Un mobilificio, ad esempio, come qualsiasi altra industria del settore manifatturiero, ha in magazzino vari elementi di materiali diversi che servono per l'assemblaggio di un certo prodotto finito e che sono definiti indicandone una configurazione geometrica (caratteristiche dimensionali) ed un insieme di propriet (fisiche, meccaniche, estetiche, prestazionali, ecc..) ritenute adatte a soddisfare le esigenze previste per un determinato impiego. Detti elementi, quale che sia il materiale in questione (la terminologia tecnica varia in funzione del diverso settore merceologico), potranno essere costituiti da fogli o lamine (lastre o lamiere nel caso di metallo, tranciati nel caso del legno), elementi a sezione poligonale (per esempio, segati o pannelli), o altro. Sostanzialmente, quindi, all'attivit di seconda lavorazione (ad esempio, nel caso di un industria del settore dell'arredamento) interessano prevalentemente la tipologia ed il volume di questi elementi mentre viene ignorato del tutto l'albero da cui essi provengono, cos come in un'officina meccanica, generalmente, non si sa nulla della colata da cui sono state ricavate le barre d'acciaio in uso. Si profila dunque l'esistenza di un rischio effettivo d'incomprensione e di interpretazioni erronee tra i settori della produzione legnosa e della seconda lavorazione. Ci risulta ancor pi evidente oggigiorno che, a livello di quest'ultima, si utilizzano con sempre maggior frequenza ( ci perfettamente logico ed auspicabile) i materiali pi vari che vengono assemblati tra loro al fine di ottimizzare le caratteristiche ed il costo del prodotto richiesto. Il commercio, infine, almeno per quanto riguarda l'Italia, e proprio in considerazione della carente disponibilit interna di materia prima, occupa una posizione preponderante potendo, tra l'altro, intervenire al termine dell'intera sequenza produttiva od a qualsiasi livello tra le attivit precedenti. Esso, tuttavia, implica ugualmente la necessit da parte degli operatori di sviluppare una buona preparazione professionale che includa adeguate conoscenze tecniche relativamente ai prodotti offerti.

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    CARATTERISTICHE E PROPRIETA' DEL LEGNO

    Relativamente alle sue propriet intrinseche, il legno, in quanto prodotto naturale di origine biologica, caratterizzato da un elevato grado di variabilit. Ci dipende, innanzi tutto, dal gran numero di specie legnose esistenti che, peraltro, non esattamente noto. Stime attendibili parlano di pi di 30000, ma la gran parte di esse vegeta nelle Regioni tropicali ove, ancor oggi, la flora non stata completamente esplorata. Il numero delle specie botaniche il cui legname costituisce un reale oggetto di commercio attualmente limitato ad una piccola frazione del totale, considerando, per, che la maggior parte delle propriet meccaniche del legno sono influenzate dalla sua massa volumica, il fatto che la Balsa, la specie pi "leggera", abbia un valore di tale caratteristica fisica pari a circa 160 kg/m3 in confronto a quello di circa 1280 kg/m3 del Lignum vitae, una tra le specie pi "dense", evidenzia con chiarezza le possibili differenze riscontrabili. Oltre alle differenze di carattere genetico, la variabilit del legno delle diverse specie spesso dovuta all'influenza di alcuni fattori di tipo ambientale e selvicolturale sull'accrescimento dei fusti arborei. La variabilit delle caratteristiche del legno si manifesta, inoltre, non solo tra soggetti arborei di specie diverse (variabilit interspecifica), ma ugualmente fra individui della stessa specie anche appartenenti allo stesso popolamento (variabilit intraspecifica) e, addirittura, all'interno di uno stesso fusto, in quanto i modelli naturali di accrescimento e l'eterogeneit anatomica che pu derivarne legano le propriet di un campione di legno alla sua posizione radiale (intesa come distanza di prelievo rispetto al centro della sezione trasversale del tronco) ed all'altezza lungo il fusto dal quale stato ricavato. Per un corretto impiego del legno, pertanto, importante tener conto di tutti i vari fattori di variabilit elencati. Nel caso, poi, di un uso strutturale opportuno che qualsiasi calcolo relativo alle caratteristiche di resistenza meccanica del legno debba basarsi, per motivi di sicurezza, sui valori minimi registrati per la sollecitazione considerata piuttosto che sulla media dei risultati ottenuti. Infatti, il coefficiente di variazione (ovvero lo scarto tipo espresso in percentuale rispetto al valore medio) della resistenza del legno privo di difetti nei confronti delle principali sollecitazioni piuttosto elevato e mediamente pari al 20%. Un'ulteriore importante causa di variabilit dei valori di resistenza del legno la presenza di difetti quali, ad esempio, nodi, deviazioni della fibratura ed alterazioni fungine che, proprio per tale motivo, rappresentano i principali parametri da prendere in considerazione nella classificazione del legname per uso strutturale. A questo proposito, il valore della tensione ammissibile a flessione per tavolame misto di Douglas e Larice, importato dagli Stati Uniti e classificato visivamente, pu variare da 1,9 a 16,9 N/mm2 a seconda della diversa classe di resistenza determinata dalle tipologie di difetti presenti. Per tener conto dei molteplici fattori di variabilit e rappresentare in maniera pi corretta le reali condizioni di sollecitazione del materiale in opera, l'Eurocodice 5 (EC5) prevede, ad esempio, di utilizzare nei calcoli per la progettazione e verifica delle strutture di legno i valori di resistenza determinati su provini di medie dimensioni presentanti difetti e di considerare come "valore caratteristico" quello corrispondente al 5 percentile inferiore della distribuzione di frequenza della propriet in esame. Il legno un materiale fortemente anisotropo, nel senso che per la particolare disposizione degli elementi cellulari che lo compongono le sue caratteristiche anatomiche e morfologiche dipendono dalla sezione esaminata e le sue stesse caratteristiche e propriet tecnologiche sono influenzate in modo significativo dalla direzione lungo la quale vengono rilevate. Se il fusto di un albero viene tagliato perpendicolarmente al suo asse di accrescimento, la sezione trasversale che ne deriva pu evidenziare una serie di anelli concentrici che rappresentano i segni dei vari accrescimenti legnosi. Se tagliato parallelamente al suo asse di accrescimento si possono ottenere sezioni longitudinali, orientate lungo piani normali o tangenziali ai suddetti anelli, che, pertanto, evidenziano caratteristiche specifiche. In pratica, il legno pu essere sezionato lungo qualsiasi direzione trasversale - che corrisponde, ad esempio, alla "testata" di un tronco o di un segato - e lungo infinite direzioni longitudinali che risultano, a loro volta, distinte in "longitudinali radiali", "longitudinali tangenziali" o intermedie tra queste. Ai fini della caratterizzazione delle sue propriet fisico-meccaniche ugualmente importante distinguere se queste risultano o meno misurate secondo la direzione longitudinale, che anche detta "assiale" o "parallela alla

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    fibratura", in quanto gran parte delle cellule costituenti i tessuti legnosi sono orientate in tal senso. La resistenza del legno e la sua rigidezza (in particolare nei confronti di una sollecitazione di trazione) sono, infatti, molto elevate parallelamente alla fibratura e molto ridotte perpendicolarmente ad essa. Al contrario, le variazioni dimensionali che accompagnano la perdita di umidit del legno (fenomeno meglio noto come "ritiro") sono piuttosto lievi parallelamente alla fibratura e decisamente pi ingenti lungo le direzioni radiali e tangenziali. Nel caso, ad esempio, della resistenza e del modulo di elasticit a trazione, i valori estremi ottenuti nelle diverse direzioni stanno tra loro nel rapporto di circa 50:1. Nel caso, invece, del ritiro, il valore in direzione assiale trascurabile mentre quello tangenziale pu essere particolarmente elevato (in media il doppio di quello radiale e fino a 10-15 volte superiore a quello assiale). Il grado di anisotropia del legno pertanto notevole. Qualora venga trascurata la curvatura degli anelli di accrescimento, esso pu, tuttavia, essere considerato un materiale ortotropo e tale approssimazione valida, a maggior ragione, nel caso di campioni ricavati ad una certa distanza dal centro del fusto. In ben determinate condizioni di impiego, il legno un materiale estremamente durevole. Mobili con intarsi di notevole pregio artistico ritrovati nelle tombe dei Faraoni si sono conservati perfettamente per oltre 4000 anni. Il clima molto secco e costante all'interno delle piramidi ha, infatti, permesso che, in tal caso, si realizzassero le condizioni ideali per la sua preservazione da qualsiasi agente di degradamento. Anche in Giappone, tuttavia, Paese a clima piuttosto umido, si ritrovano ammirevoli edifici sacri in legno ancora integri dopo 1300 anni di servizio e parimenti, nel clima ancor pi rigido e severo delle montagne norvegesi, esistono numerosi esempi di costruzioni interamente in legno (stave churches) erette da circa 800 anni e conservatesi in ottimo stato. Il legno , comunque, biodegradabile e se, sotto un certo aspetto, ci pu costituire un vantaggio (quando, ad esempio, un prodotto ligneo diviene inutilizzabile e deve essere smaltito), rappresenta spesso un grave pericolo nel momento in cui interessa, invece, la sua conservazione e durata dopo la posa in opera. La soluzione per un'efficace prevenzione quella di creare condizioni sfavorevoli allo sviluppo degli organismi che possono causarne il biodegradamento e che sono rappresentati principalmente da funghi e insetti. Nel caso dei primi, ad esempio, importante mantenere il legno allo stato essiccato, evitando che la sua umidit possa superare una certa soglia di rischio. Nel caso, invece, di alcuni insetti particolarmente dannosi, come ad esempio le termiti, assolutamente necessario evitare il contatto del legno con il terreno. Il legno esposto alle intemperie pu, comunque, conservare anch'esso a lungo la sua funzionalit senza evidenziare particolari problemi qualora venga impiegata la specie pi adatta (ciascuna specie botanica , infatti, caratterizzata da un certo livello di durabilit biologica naturale) ed i dettagli costruttivi prevedano che l'acqua possa evacuare velocemente dalla superficie, evitando il pericolo di ristagno di umidit o di fenomeni di condensazione che risultano dannosi specialmente in prossimit di eventuali giunzioni, cavit e nelle zone di contatto con la muratura perimetrale. In alternativa, contro i rischi di alterazioni fungine o di attacco da parte di insetti, possono rivelarsi efficaci vari tipi di trattamenti preservanti. Il legno suscettibile all'azione del fuoco, tuttavia, mentre elementi lignei di dimensioni limitate bruciano molto facilmente, strutture di ampia sezione risultano, invece, molto resistenti. A condizione che venga realizzata una corretta progettazione, seguiti adeguati sistemi ed idonee precauzioni costruttive, le strutture di legno offrono un elevato grado di sicurezza nei confronti del rischio di incendio e, a differenza di quelle realizzate con altri ma teriali, permettono di evacuare in tempo utile le aree colpite e di intervenire opportunamente per riportare l'evento sotto controllo. Durante le prime fasi di sviluppo di un incendio, infatti, le strutture di legno conservano la maggior parte della loro resistenza originaria evitando il rischio di cedimenti improvvisi che spesso si verificano nel caso di altri materiali. Ci risulta possibile per la bassa conducibilit termica del legno ed ancor pi per quella dello strato carbonizzato che si forma sulla sua superficie al contatto con il fuoco. A questo proposito, inoltre, conoscendo la velocit di carbonizzazione possibile stimare con buona attendibilit la sezione resistente residua dei vari elementi che compongono una struttura lignea e stabilire a quale intervallo di tempo dall'inizio di un eventuale incendio essa in grado di resistere.

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    In quanto materiale igroscopico, il legno tende ad assorbire o a cedere umidit in una continua ricerca dell'equilibrio con le condizioni termo-igrometriche (di temperatura e umidit relativa dell'aria) dell'ambiente con cui a contatto. Le variazioni di umidit del legno al di sotto del punto di saturazione, che rappresenta lo stato teorico in cui tutte le pareti cellulari sono sature d'acqua senza che questa sia presente nelle loro cavit, hanno un'importanza pratica su tutte le sue propriet. Durante l'essiccazione (sia che essa avvenga mediante stagionatura naturale od essiccazione artificiale) il legno , infatti, soggetto a fenomeni di ritiro dimensionale; viceversa, se viene messo nuovamente a contatto con acqua od umidit elevata, subisce un rigonfiamento. Il ritiro volumetrico totale del legno nel passaggio dallo stato fresco a quello anidro (quest'ultimo conseguibile solo in condizioni controllate di laboratorio) varia, in funzione delle diverse specie, da circa 6 a pi del 20%. Mediamente, circa 2/3 del suddetto ritiro si manifestano in direzione tangenziale e circa 1/3 in quella radiale, mentre il ritiro longitudinale risulta, come gi detto, trascurabile. Il legno in opera subisce, peraltro, variazioni di umidit tali da determinare una frazione limitata del potenziale ritiro totale, sebbene, anche in tal caso, le sue variazioni dimensionali (unitamente ad eventuali deformazioni indotte dalle forze in gioco) possano risultare importanti. Per contenere l'effetto dovuto ad oscillazioni termo-igrometriche brevi e limitate possibile intervenire con opportuni rivestimenti protettivi che, tuttavia, non consentono di evitare completamente il fenomeno. In alternativa il legno pu subire un trattamento chimico atto a ridurne l'igroscopicit, ma ci risulta spesso troppo oneroso per la maggior parte dei suoi comuni impieghi. Il metodo pi semplice ed efficace per risolvere il problema delle variazioni dimensionali del legno rimane, pertanto, quello di utilizzarlo in maniera adeguata, cercando di evitare la posa in opera di singoli elementi massicci che presentino ampie superfici tangenziali e, ove questo non sia possibile, facendo ricorso a soluzioni tecniche grazie alle quali gli eventuali movimenti abbiano modo di verificarsi senza determinare particolari inconvenienti.

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    CLASSIFICAZIONE, NOMENCLATURA BOTANICA, TERMINOLOGIA TECNICO-COMMERCIALE

    Il legno un tessuto vegetale, fibroso e consistente, che costituisce la struttura portante del fusto, dei rami e delle radici degli alberi (e arbusti) appartenenti alla sottodivisione botanica delle Gimnosperme e Angiosperme (limitatamente alla classe delle) dicotiledoni. Le sue funzioni nell'ambito della pianta sono soprattutto quella fisiologica di trasporto dei liquidi, meccanica di sostegno, di accumulo di sostanze nutritive e di produzione di secrezioni di vario tipo. Il legno che riveste una certa importanza economica, se utilizzato per scopi diversi dalla combustione, costituisce la materia prima per molti tipi di lavorazioni industriali. Quello ricavato dai fusti delle specie arboree (le radici non trovano impiego; i rami sono per lo pi usati come combustibile), dopo essere stato trasformato in legname da lavoro, diventa un materiale estremamente versatile, destinato a molteplici impieghi sotto forma di travi, segati, legno lamellare, pannelli, ecc... Materiale legnoso si riscontra anche nei fusti di un'altra categoria di vegetali, quella delle Angiosperme monocotiledoni che include, ad esempio, i Bamb, i Rattan e le Palme; anch'esso simile al precedente in quanto a composizione lignocellulosica ma ne differisce sostanzialmente nella struttura anatomica. I legnami vengono comunemente distinti in softwoods (Conifere) o hardwoods (Latifoglie). Tale denominazione fa' riferimento alla classificazione botanica3 degli alberi da cui essi derivano ma indica, parimenti, una diversa struttura dei loro tessuti. In pratica, poi, i due suffissi hard e soft sono prevalentemente usati come aggettivi riferiti alla massa volumica e non, come farebbe supporre il loro reale significato tecnico, alla durezza del legno, anche se, sia quello che presenta la minore massa volumica che quello caratterizzato dai suoi valori pi elevati appartengono entrambi alle Latifoglie. La denominazione dei vari legnami, in genere, la stessa degli alberi che li hanno prodotti, tuttavia esistono alcune eccezioni a tale regola. In ambito tecnico e commerciale, ad esempio, il loro nome solitamente riferito alla specie botanica (es: Rovere, Farnia, Cerro, ecc..) o, meno frequentemente, al genere di appartenenza (es: Quercia). Tra le indicazioni terminologiche pi comunemente usate si possono, comunque, ricordare e distinguere le seguenti:

    NOME SCIENTIFICO: indica il nome della specie botanica da cui proviene il legname esprimendolo secondo la nomenclatura binomia. Tale nome si compone di due termini scritti e pronunciati in latino (in modo che possano essere usati e compresi universalmente) che indicano il genere e la specie botanica e dell'iniziale o dell'abbreviazione del nome del botanico che per primo ha descritto la specie stessa (es. Abies alba Mill.). Quest'ultima precisazione, tuttavia, non compare generalmente nelle pubblicazioni relative agli impieghi tecnici del legno ove, al massimo, viene usato il nome scientifico abbreviato (es. Abies alba). Nel caso di pi specie legnose appartenenti ad uno stesso genere botanico, si usa indicare il nome del genere seguito dalla sigla "spp." (es: Khaya spp., Pinus spp., ecc..). NOME LOCALE: quello correntemente utilizzato nei Paesi in cui il legname stato prodotto. Le lingue di riferimento pi comuni sono: l'inglese, il francese, lo spagnolo, il portoghese (parlato, ad esempio, in Brasile e Angola), varie lingue o dialetti africani, asiatici e sudamericani.

    NOME COMMERCIALE: quello pi ricorrente nelle contrattazioni commerciali ed spesso scelto sulla base di criteri legati alla maggior facilit di pronuncia o memorizzazione. Talora i nomi commerciali fanno riferimento a ben determinate caratteristiche del legno o della specie botanica ("Legno ferro", Bois de rose, Tulipier, ecc.), tal'altra a denominazioni di fantasia.

    3 La grande maggioranza delle specie legnose appartenenti alle Conifere sempreverde, mentre nel caso delle Latifoglie

    caducifoglia.

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    NOME PILOTA: quello ritenuto pi adatto ad essere usato nelle diverse lingue. Esso definito nell'ambito di un'apposita Commissione dell'A.T.I.B.T. (Association Technique Internationale des Bois Tropicaux).

    NOME UNIFICATO: quello stabilito dalle norme terminologiche nazionali. L'elenco dei nomi unificati in uso in Italia contenuto nelle Norme UNI 2853, 2854 e 3917 che riportano anche utili indicazioni relative alle corrispondenti denominazioni in uso nelle principali lingue straniere nonch il nome scientifico abbreviato della specie botanica da cui proviene ciascun legname cons iderato.

    Tropicali: con tale denominazione si indicano i legnami di specie botaniche che vegetano spontaneamente nell'area geografica compresa tra i due tropici. Talora, vengono comunque considerati "tropicali" anche i legnami di specie il cui areale naturale si estende al di fuori di tale zona (legnami australiani, asiatici, sudamericani). Altra dizione molto frequente e comune quella di "legnami esotici" che indica una generica provenienza da luoghi molto lontani. Nell'ambito della terminologia tecnico-commerciale si riscontrano, peraltro, varie possibilit di confusione ed equivoci. Tra i molteplici esempi opportuno segnalare che: nomi uguali spesso si riferiscono a legnami di specie appartenenti a generi botanici diversi (come, ad

    esempio, nel caso del Noce del Tanganica o dei vari Mogani centroamericani, africani e asiatici). La diminuzione della disponibilit di alcune specie botaniche ha, infatti, indotto i commercianti ad immettere sul mercato, facendo uso di denominazioni scorrette ed arbitrarie, legnami (per lo pi esotici) che per una certa somiglianza nell'aspetto naturale o previo idonei trattamenti artificiali (di impregnazione, verniciatura, ecc.) riproducono, in modo pi o meno conforme, le caratteristiche morfologiche di alcuni legni pregiati. Tale pratica, spesso si configura come un tentativo di speculazione effettuato utilizzando, al posto di questi ultimi, legnami di specie di costo contenuto e di scarso valore intrinseco. In genere, poi, quanto pi una denominazione "di fantasia", tanto maggiore la probabilit che possa nascondere una volont di inganno. Non sarebbe, invece, scorretto parlare di "legno di ......", tinto in color Noce, ecc.. legnami appartenenti a specie diverse dello stesso genere botanico vengono a volte riportati sotto una stessa denominazione commerciale (come, ad esempio, nel caso del gruppo di legnami che rientrano sotto la denominazione comune di Yellow pines, ecc..). A questo proposito, dal momento che legnami di specie diverse ma appartenenti ad uno stesso genere possiedono analoghe caratteristiche morfologiche, con adeguate conoscenze di botanica ed anatomia del legno possibile ricercare legni di specie pregiate in aree geografiche in cui essi sono ancora poco o per nulla utilizzati (tale approccio, peraltro, da tempo seguito soprattutto nel caso di molti legnami sostitutivi del Rovere, del Noce, ecc..). Tuttavia, se in molti casi risulta oggettivamente difficile distinguere i suddetti legnami sulla base delle sole caratteristiche macroscopiche, occorre anche considerare che, a volte, essi possono presentare caratteristiche tecnologiche piuttosto diverse tra loro ( il caso, ad esempio, del legno di Rovere e di Cerro). legnami appartenenti ad una stessa specie botanica sono spesso commercializzati con denominazioni diverse a seconda della provenienza geografica. Soprattutto per i legnami tropicali vengono frequentemente utilizzate denominazioni molto diverse che sono dovute per lo pi alla moltitudine di lingue e dialetti in uso nell'area geografica di provenienza (ad esempio: Ayous, Obeche, Wawa, Samba) o ad effettive influenze di tipo ecologico, climatico e stazionale sulle caratteristiche tecnologiche del legno (ad esempio, il Pino silvestre "di Svezia").

    Altra tipica imprecisione lessicale molto comune nel commercio del legno e quella relativa al termine "essenza". Sul vocabolario italiano, con tale denominazione si indicano "sostanze volatili, dotate di odore aromatico, prodotte per lo pi dalla distillazione di specie appartenenti al regno vegetale". La stessa dizione stata per impropriamente introdotta nella letteratura botanica, forestale e tecnologica come sinonimo di "specie tassonomica". Essa un francesismo (dal francese essence = "specie legnosa", oltre che "benzina") che, se non

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    crea confusione al lettore italiano, pu trarre in errore un traduttore straniero il quale, con l'impiego del nostro vocabolario, potrebbe tradurre il termine "essenze forestali" con "ol essenziali forestali". La questione offre lo spunto per sottolineare l'importanza di fare sempre riferimento a norme ben precise nell'indicare e valutare qualsiasi caratteristica o propriet di un prodotto. Tra le varie tipologie di norme esistenti (terminologiche, metodologiche, prestazionali) quelle terminologiche risultano appunto fondamentali nell'ambito del settore del commercio e della produzione del legno in quanto, unificando i termini e le definizioni tecniche, forniscono agli operatori un linguaggio comune consentendo, qualora regolarmente applicate, di evitare confusioni, malintesi, contestazioni o, addirittura, controversie giudiziarie.

    Al fine di evitare o ridurre al minimo le possibilit di equivoci ed incomprensioni sarebbe, pertanto, opportuno utilizzare: 1) il NOME UNIFICATO del legname (eventualmente il NOME PILOTA se si tratta di transizioni commerciali internazionali) o, se questo non esiste, il NOME COMMERCIALE o il NOME LOCALE di pi frequente impiego, precisando, se possibile, il NOME SCIENTIFICO (anche abbreviato) della specie botanica da cui esso stato ricavato; 2) la PROVENIENZA GEOGRAFICA, necessaria per giudicare se lecito attribuire al legname in esame le caratteristiche tipiche normalmente riferibili alla specie a cui esso appartiene. Alcune caratteristiche tecnologiche, infatti, risultano molto spesso influenzate da fattori climatici e pedologici legati alla stazione in cui l'albero cresciuto e quindi alla sua provenienza geografica.

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    ASPETTI MACROSCOPICI DEL LEGNO Sotto la denominazione di "legno" viene comunemente intesa la materia prima fornita dai fusti degli alberi a seguito di un'attivit vegetativa che si esplica mediante un accrescimento primario (in altezza) e secondario (in diametro) e d luogo alla formazione di successivi strati concentrici di conoidi legnosi. Le caratteristiche macroscopiche del legno sono quelle visibili ad occhio nudo o con una lente a piccoli ingrandimenti (2x, 3x). Prendendo come riferimento l'asse di accrescimento di un fusto, esse variano nella loro apparenza in funzione del piano lungo il quale il campione viene sezionato ed osservato. A tal proposito si possono considerare tre sezioni principali: trasversale longitudinale radiale longitudinale tangenziale Tali sezioni risultano ricavate tramite un taglio eseguito lungo le tre direzioni omonime e che determina l'ottenimento di tre superfici corrispondenti. La superficie trasversale , ad esempio, quella relativa alla testata di un tronco, quelle longitudinali sono, invece, ben evidenti sulle superfici principali di molti prodotti derivati (ad esempio, sui segati). SEZIONE TRASVERSALE La sezione trasversale di un fusto arboreo presenta, generalmente, una forma circolare sulla cui superficie, a prima vista, spesso possibile riconoscere una porzione centrale di midollo, una intemedia di legno o xilema, che esplica prevalentemente la funzione di trasporto della linfa grezza dalle radici verso la chioma e conferisce rigidezza alla pianta, ed una esterna nota con la denominazione generica di corteccia.

    Principali sezioni di riferimento e relativi aspetti macroscopici dei tessuti legnosi.

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    Un'osservazione macroscopica pi dettagliata permette di evidenziare un complesso di cellule differenziate costituenti la zona esterna che in effetti formata da una porzione di tessuti morti (ritidoma ), con funzione di protezione, ed una, detta libro o floema, in cui avviene la discesa della linfa elaborata dalla chioma dell'albero. Tra libro e legno inserita una zona generatrice detta cambio, responsabile dell'accrescimento diametrico del fusto mediante la formazione di nuove cellule, che corrisponde a quella superficie gelatinosa riscontrabile asportando la corteccia di un albero in piedi o appena abbattuto all'inizio della ripresa vegetativa. Esso, verso l'esterno, d origine a nuovi tessuti di libro e, verso l'interno, a nuovi tessuti di legno che, per le specie arboree delle zone temperate, non sono di formazione continua ma seguono un ritmo determinato dalle stagioni e caratterizzato da una netta interruzione invernale. Nel corso di una stessa stagione vegetativa si verifica, inoltre, una maggiore attivit cambiale dalla parte dello xilema, per cui questo viene prodotto in quantit maggiore rispetto alla porzione pi periferica del fusto che costituisce il floema. In seguito alla loro formazione a livello del cambio, le nuove cellule iniziano un processo di differenziazione e di ispessimento delle loro pareti che le porta ad assumere la forma definitiva prevista dalle funzioni che esse dovranno svolgere. La lignificazione costituisce, poi, lo stadio finale dello sviluppo di una cellula ed implica alcune trasformazioni chimiche della parete di quest'ultima quali, in particolare, la deposizione di lignina. A lignificazione avvenuta il protoplasma risulta, in genere, completamente consumato e, pertanto, con l'eccezione di pochi strati di nuove cellule nella fase di sviluppo e di quelle pi prossime alla fascia cambiale periferica, le cellule mature che costituiscono i tessuti legnosi sono morte. Midollo Il midollo un cilindro di tessuto parenchimatico4 primario situato in corrispondenza dell'asse lungo il quale si sequenzialmente venuto a trovare il promeristema dell'apice vegetativo dell'albero durante il suo accrescimento longitudinale, cio in altezza. Esso si trova in genere al centro della sezione trasversale e, in ogni caso, rivela con la sua posizione la regolarit di accrescimento diametrico del fusto. Il midollo pu variare di dimensioni, da molto piccolo ed appena percettibile ad occhio nudo in alcune specie legnose, a largo e cospicuo in certe altre (Sambuco, Ailanto). Nelle Conifere piuttosto uniforme, nelle Latifoglie assume un aspetto diverso relativamente alle sue caratteristiche di: - forma, che pu essere a stella (Rovere); triangolare (Faggio, Betulla); ellittica (Frassino, Acero); circolare (Noce, Olmo); squadrata (Teak); - colore, che pu variare dal nero al biancastro; - struttura, che pu apparire compatta (solida); spugnosa (porosa); settata; cava. Anelli di accrescimento Le piante arboree aumentano di diametro grazie all'attivit simmetrica del cambio in direzione radiale. Il fusto modifica, cos, progressivamente nel tempo la propria forma, mentre le apposizioni successive di nuovi strati legnosi si configurano come una serie di anelli di accrescimento, spesso ben visibili in una sua sezione trasversale, localizzati internamente alla fascia periferica cambiale e intorno alla porzione centrale di midollo. Tale organizzazione dipende dalle modalit di sviluppo della pianta che consistono nella sovrapposizione, per lo pi periodica, di conoidi di accrescimento concentrici.

    4 Tra i vari tipi di cellule che compongono il legno, quelle parenchimatiche svolgono la funzione di trasporto delle sostanze elaborate e

    di accumulo delle sostanze di riserva. Le cellule parenchimatiche, come verr meglio descritto nel capitolo successivo, formano gruppi cellulari disposti prevalentemente in direzione radiale (nel cui caso costituiscono i cosidetti "raggi parenchimatici") o assiale.

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    Nei climi temperati e freddi l'attivit vegetativa degli alberi non continua ma subisce un'interruzione durante la stagione invernale in cui le temperature raggiungono valori critici, a prescindere dal fatto che l'albero possa apparire "sempreverde". Gli anelli di accrescimento, ad ognuno dei quali corrisponde, in molti casi, un ciclo annuale di vegetazione che si estende generalmente dalla primavera all'autunno, costituiscono quindi una manifestazione pi o meno regolare di un'attivit periodica riscontrabile anche in altri fenomeni naturali quali, ad esempio, la formazione delle corna di uno stambecco. Nel corso dell'accrescimento, inoltre, la formazione dei tessuti legnosi non omogenea ma caratterizzata da un'intensa produzione iniziale che tende a rallentare man mano che la stagione avanza per poi arrestarsi completamente nel tardo autunno. Durante questo ciclo, le dimensioni e la densit delle cellule costituenti il legno possono variare in maniera pi o meno accentuata dando origine a differenziazioni che consentono di distinguere i diversi anelli di accrescimento e di individuare, al loro interno, due distinte porzioni di tessuti, spesso strutturalmente diverse tra loro e caratterizzate da un diverso colore o da una diversa compattezza. In tal caso, ogni anello di accrescimento costituito da un settore generalmente pi chiaro, meno denso, relativo alla porzione di tessuti legnosi formatisi all'inizio della ripresa vegetativa, detto legno primaticcio, e da un settore pi scuro e compatto, che corrisponde alla porzione di tessuti formatisi nella stagione inoltrata, noto come legno tardivo. Nelle Conifere, ad esempio, si formano cellule a lume ampio e pareti sottili alla ripresa dell'attivit vegetativa e cellule schiacciate radialmente, con lume ridottissimo e pareti molto spesse verso il termine del periodo di accrescimento annuale. Ne consegue che, ad un'osservazione macroscopica, la prima zona appare pi chiara mentre la seconda assume una colorazione bruna (o in ogni caso pi scura), con un contrasto quasi sempre evidente nel passaggio tra un anello di accrescimento e il successivo. Nelle Latifoglie, alla ripresa vegetativa, la necessit di una facile e rapida circolazione dei succhi pu portare, in alcune specie, alla formazione di cellule con lume particolarmente ampio oppure a un loro maggior numero per unit di superficie trasversale. Caratteristica delle Latifoglie, infatti, la presenza di pori, cio piccole aperture di forma rotondeggiante che consistono nel lume cellulare di elementi vasali (cellule adibite alla funzione di conduzione) sezionati trasversalmente e che in genere risultano visibili ad occhio nudo all'interno degli anelli di accrescimento. Man mano che la stagione procede, il diametro e/o il numero di tali cellule pu diminuire e, di conseguenza, la percettibilit dei singoli ane lli legata pi ad una differenza di compattezza che ad una diversa tonalit di colore dei tessuti. Sulla base della distribuzione dei suddetti pori nell'ambito di ciascun anello di accrescimento, le Latifoglie vengono poi classificate in due categorie principali: ad anello poroso (come, ad esempio, Rovere, Castagno e Frassino), caratterizzate da legno primaticcio con pori notevolmente pi grandi di quelli del legno tardivo e che

    appaiono concentrati a formare una tipica corona circolare pi interna (ovvero che, nell'ambito di un singolo anello, localizzata verso il midollo;

    a porosit diffusa (ad esempio, Faggio e Pioppo),

    Sezioni trasversali (a circa 200x) di legni di conifera in cui appaiono ben

    evidenti il limite tra due anelli di accrescimento sucessivi (), la porzione di legno primaticcio (L.P.) e quella di legno tardivo (L.T.).

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    caratterizzate, invece, da pori di dimensioni omogeneee e pi o meno uniformemente distribuiti nell'ambito dell'anello che, pertanto, non presenta differenze sensibili fra legno primaticcio e tardivo.

    In molte specie legnose gli anelli di accrescimento risultano, quindi, distinguibili per via delle differenze tra la porzione di legno tardivo corrispondente ad un generico anno di vegetazione e quella di legno primaticcio formatasi all'inizio della stagione successiva. A questo proposito, la demarcazione tra gli anelli di accrescimento successivi risulta pi evidente, in ordine decrescente, passando dal legno delle Conifere, a quello delle Latifoglie ad anello poroso e delle Latifoglie a porosit diffusa. In queste ultime, tale distinzione spesso resa possibile dalla riduzione delle dimensioni dei pori verso il termine della stagione vegetativa o da lievi particolarit istologiche presenti al limite di ciascun anello di accrescimento (ad esempio, la deposizione di una sottile fascia periferica di cellule di "parenchima di chiusura"). Altre specie botaniche, come ad esempio il noce, evidenziano un legno con caratteristiche dell'anello intermedie tra i due tipi anzidetti. Esse sono note come "ad anello semi-poroso o "a porosit semi-diffusa" e sono spesso caratterizzate da una diminuzione regolare delle dimensioni dei pori nel passaggio dal legno primaticcio a quello tardivo (in ogni caso, assomigliano pi alle Latifoglie a porosit diffusa che a quelle ad anello poroso). Nelle specie legnose che vegetano in climi tropicali, gli anelli di accrescimento non sono sempre ben distinguibili ad occhio nudo e la loro eventuale apparenza generalmente dovuta a periodi di alternanza tra stagioni piovose ed asciutte. Nelle aree geografiche caratterizzate da un andamento costante delle precipitazioni (ad esempio, nelle foreste pluviali equatoriali) le ragioni della presenza di anelli di accrescimento ben distinti, come a volte possibile rilevare, non sono state, invece, ancora completamente chiarite. Il termine di "anelli annuali", che spesso utilizzato come sinonimo di "anelli di accrescimento", non , comunque, corretto, neppure se limitato alle specie che vegetano nelle aree geografiche a clima temperato, poich si possono verificare alcuni casi anomali. Non tutte le specie legnose, infatti, rispondono in maniera identica, con le stesse modalit e con lo stesso ritmo per quanto riguarda l'accrescimento. Talvolta, nel corso della stessa stagione vegetativa, alcune interrompono temporaneamente l'attivit cambiale, dando origine ai cosidetti "falsi anelli" (anelli doppi, tripli); in altri casi, possono formarsi anelli che non si estendono a tutta la sezione trasversale del tronco (anelli discontinui); in qualche stagione, infine, pu addirittura accadere che non si verifichi alcuna formazione di anelli di accrescimento (anelli mancanti). Anelli di accrescimento doppi si riscontrano, soprattutto (nei Pini mediterranei, nel Cipresso ai limiti dell'areale, nel Larice delle Alpi, nel Faggio dell'Italia centrale), quando l'attivit cambiale turbata da qualche fattore esterno particolarmente sfavorevole, generalmente di tipo climatico (ad esempio, una siccit prolungata) o in conseguenza di attacchi di patogeni che interessano gli apici vegetativi e provocano la riduzione della produzione di ormoni dell'accrescimento o, addirittura, la defogliazione. In questo caso si nota un sottile strato di cellule simili a quelle di legno tardivo, che sembrano delimitare l'anello, a cui segue una nuova formazione di

    Esempi di possibile distribuzione della porosit nel legno di latifoglie. (sez. trasv. 14x).

    Da sinistra: anello poroso, anello semi-poroso, porosit diffusa. Da [12].

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    cellule di tipo primaticcio allorch, nell'ambito della stessa stagione vegetativa, vengono ristabilite le normali condizioni di accrescimento e l'attivit cambiale riprende regolarmente. Anelli discontinui compaiono, per lo pi, in seguito ad un'interruzione localizzata della divisione del cambio dovuta ad una carenza nutrizionale che si verifica, ad esempio, nel caso di alberi con chioma asimmetrica o parzialmente danneggiata e nei soggetti stramaturi. Le cause dell'omessa formazione di anelli risalgono, di solito, a drastiche modificazioni della morfologia o del volume della chioma, a gravi disturbi nutrizionali, a stagioni particolarmente severe (il Larice delle montagne bavaresi, ad esempio, sembra che perda fino a 5-6 anelli di accrescimento ogni cento). Anelli doppi e discontinui sono, peraltro, abbastanza facilmente riconoscibili; pi difficile l'individuazione di anelli mancanti che, spesso, pu essere rilevata solo per confronto, analizzando sezioni trasversali di fusti della stessa specie provenienti da altre aree geografiche o da altri popolamenti. Di conseguenza, la valutazione dell'et degli alberi fatta sulla base del conteggio degli anelli di accrescimento deve essere sempre considerata con cautela (anche se, a volte possibile ovviare a ci potendo disporre di una serie di dati relativi all'andamento climatico della zona). Il conteggio degli anelli di accrescimento e la misurazione della loro ampiezza, infatti, vengono spesso utilizzati per determinare l'et e la velocit di accrescimento degli alberi. Di tale tipo di indagini si occupano, con scopi e metodologie differenti, la dendrocronologia e l'auxometria. Per stimare in modo attendibile l'et degli alberi delle specie che vegetano nelle Regioni a clima temperato-freddo, deve poi essere necessariamente preso in considerazione il numero degli anelli di accrescimento visibili in una sezione trasversale ricavata da una porzione del fusto in prossimit del terreno (ceppaia o testata di un tronco tagliato in corrispondenza dell'inserzione delle radici). Nel caso, infatti, di un'altezza di prelievo diversa, occorrer aggiungere un numero di anni corrispondente al periodo richiesto alla giovane pianta per raggiungere l'altezza considerata. E' fondamentale, poi, accertarsi della presenza di eventuali falsi anelli o di anelli discontinui. Nei climi tropicali invece, dove la vegetazione non subisce un netto arresto, la formazione di nuovi tessuti legnosi pu avvenire con continuit e gli anelli di accrescimento sono raramente visibili o non corrispondono ad un ciclo di vegetazione legato all'anno solare, per cui non generalmente possibile utilizzare tale metodo per condurre una stima attendibile dell'et degli alberi. In tal caso, gran parte delle considerazioni inerenti gli aspetti selvicolturali si basano sul diametro dei fusti invece che su criteri cronologici e gli interventi su una stessa particella vengono ripetuti con frequenza rego lare (ad esempio, ogni 30 anni) utilizzando le piante che hanno raggiunto un valore diametrico minimo preventivamente stabilito a prescindere dalla loro et (come avviene anche da noi per il trattamento selvicolturale delle fustaie disetanee). L'ampiezza degli anelli di accrescimento pu essere notevole o limitata, a seconda che essi appaiano larghi o stretti, ed generalmente variabile in quanto l'albero reagisce a diversi fattori endogeni ed esogeni. Nei confronti di questa caratteristica possibile riscontrare differenze significative sia tra il legno di specie botaniche diverse che tra quello di alberi appartenenti ad una stessa specie, come pure tra campioni prelevati da porzioni diverse di uno stesso fusto. L'ampiezza degli anelli risulta influenzata da fattori genetici, stazionali, climatici, nonch dall'esecuzione di eventuali interventi colturali e da cause accidentali. I vari fattori, poi, agiscono contemporaneamente e spesso in sinergia tra loro, mentre lo stesso accrescimento di un anno dipende anche da quanto si verificato negli anni precedenti: un evento di particolare intensit (ad esempio, un periodo di siccit prolungata), infatti, pu ripercuotere i suoi effetti per alcuni anni successivi. A parit di condizioni ambientali, alcune specie possono manifestare una particolare rapidit di accrescimento, altre possono crescere piuttosto lentamente; in alberi molto vecchi gli anelli pi esterni tendono ad avere uno spessore particolarmente ridotto. In genere, l'ampiezza degli anelli di accrescimento e la sua variazione nel tempo appaiono influenzate soprattutto dalle condizioni ecologiche di accrescimento, nell'ambito delle quali la disponibilit di luce riveste spesso un'importanza prioritaria. In alcune Regioni, le variazioni di ampiezza degli anelli sono strettamente legate alle condizioni climatiche e, in particolare, all'intensit delle precipitazioni ed alla temperatura registrate durante il periodo vegetativo. In tal caso, risulta spesso possibile studiare il clima del passato e datare reperti archeologici mediante opportuni confronti tra curve relative all'ampiezza degli anelli di un campione e curve climatiche di riferimento.

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    Tale relazione migliore nelle aree geografiche dove l'accrescimento risulta condizionato da un fattore limitante che, nelle Regioni aride, generalmente rappresentato dalle precipitazioni e, nelle Regioni fredde, dalla temperatura. Durame e alburno Le cellule formate per ultime dall'attivit cambiale, quelle situate cio all'esterno della porzione legnosa dell'albero, rimangono vitali per breve tempo e, svuotate dei contenuti cellulari, provvedono al trasporto della linfa grezza dalle radici verso la chioma, ove l'attivit clorofilliana elabora le sostanze richieste per l'accrescimento. Ad un certo momento, esse cessano tale funzione di conduzione subendo trasformazioni consistenti, fondamentalmente, nella deposizione sulle loro pareti cellulari, e in parte anche all'interno del lume, di particolari sostanze che modificano alcune importanti caratteristiche del legno stesso. Il fenomeno detto "duramificazione" e comporta che la porzione interna del fusto pu evidenziare caratteristiche particolari rispetto a quella periferica assumendo, in svariati casi, una colorazione diversa dalla zona pi esterna e di pi recente formazione. Tali porzioni sono note rispettivamente come durame e alburno. A livello cellulare e biochimico la duramificazione indotta o accompagnata dai seguenti fenomeni: a) invecchiamento dei tessuti, per cui le cellule parenchimatiche muoiono subendo cambiamenti irreversibili quali, in particolare, il degradamento del protoplasma (con tutte le conseguenze che da ci possono derivarne); b) scomparsa dell'amido e sintesi di aminoacidi e prodotti di scissione pi semplici (con basso peso molecolare), capaci di penetrare lentamente nelle pareti cellulari impregnandole. In alcune specie legnose si nota, inoltre, un'intensa colorazione che deriva dall'ossidazione di sostanze originariamente non pigmentate; c) formazione, tra alburno e durame, di una "zona di transizione" ad intenso metabolismo in cui si registra l'aumento degli enzimi idrolizzanti gli zuccheri e catalizzanti la biosintesi di polifenoli che vengono sintetizzati a partire dai carboidrati provenienti dalla zona periferica attraverso i raggi parenchimatici. In prossimit del bordo pi interno di questa zona, le cellule morte dei raggi costituiscono una barriera al passaggio ed alla migrazione dei polifenoli per cui, man mano che il processo prosegue, si verifica un aumento della loro concentrazione che, raggiungendo presto una soglia letale alle cellule parenchimatiche, induce il loro degradamento e la conseguente formazione di un nuovo straterello di durame. In molte specie legnose, dette "a durame differenziato", le due porzioni differiscono per il colore con cui si presentano nelle varie sezioni anatomiche. In altre, note come specie "a durame indifferenziato", le due porzioni, seppure diverse nelle loro funzioni e caratteristiche, hanno la stessa colorazione. I legni di Douglasia, Larice, Pino, Rovere, Castagno, Noce, ecc.. presentano, ad esempio, una porzione centrale duramificata di colore pi scuro rispetto a quella periferica e decisamente pi chiara di alburno. I legni di Picea, Abete, Acero, Tiglio, ecc.. non evidenziano, invece, differenze cromatiche apparenti tra le due zone. In genere, poi, viene fatta un'ulteriore distinzione tra le specie che presentano sempre una differenziazione cromatica (dette pertanto "a durame obbligatoriamente differenziato") e quelle che possono o meno evidenziarla: per quest'ultime (Faggio, Frassino e Pioppo), infatti, viene usata la denominazione di specie "a durame facoltativamente differenziato" o di "specie con falso durame". Il durame, comunque, presente in tutti gli alberi di una certa et, indipendentemente dall'esistenza o meno di eventuali variazioni cromatiche. La differenza tra le due porzioni legnose , infatti, soprattutto di carattere funzionale, dal momento che, al crescere del diametro del fusto, dei rami principali e delle radici, i tessuti di pi vecchia formazione, quelli cio corrispondenti agli anelli di accrescimento localizzati verso il centro della sezione trasversale del fusto, smettono gradualmente di partecipare ai processi vitali dell'albero e cessano di svolgere la funzione di conduzione e di accumulo delle sostanze di riserva provvedendo al solo sostegno meccanico. Tale evoluzione associata a modificazioni di carattere fisiologico, chimico e strutturale.

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    In certi casi, quando il colore naturale del legno delle due porzioni rimane lo stesso, possibile usare opportuni reagenti che mettono in evidenza parte delle suddette differenze. I composti chimici presenti negli estrattivi5 (che non sono uguali tra durame e alburno), infatti, possono dar luogo a colorazioni nettamente dis tinte pur essendo il colore naturale del legno completamente indifferenziato. L'impiego di opportuni reagenti serve anche per saggiare, negli alberi a durame indifferenziato, la capacit di assorbimento di liquidi o di soluzioni di vario tipo in vista di eventuali trattamenti di impregnazione. A tale scopo, tuttavia, spesso sufficiente levigare ed inumidire la superficie della sezione trasversale di un campione di legno essiccato (ad esempio quella di una rotella ricavata da un tronco) e riprodurne l'aspetto con una fotocopiatrice: a causa della diversa permeabilit dei tessuti, le due porzioni di durame e alburno evidenzieranno una diversa tonalit di colore. Inoltre, poich la formazione di durame legata all'et dei tessuti legnosi, interessando la sezione trasversale del fusto a partire dalla porzione pi prossima al midollo, l'ampiezza della zona caratterizzata da una diversa tonalit cromatica diminuir progressivamente dalla base del fusto verso il cimale. La proporzione tra le due diverse porzioni dipender, quindi, dai seguenti fattori: specie legnosa considerata; et del soggetto arboreo (ovvero altezza, lungo il fusto, della sezione esaminata); condizioni di accrescimento. Nei confronti delle propriet del legno, le principali differenze tra i tessuti di durame e alburno sono dovute al fatto che la porzione di durame caratterizzata da una maggior massa volumica (da cui conseguono anche resistenze meccaniche superiori) e da una minor alterabilit e facilit di degradamento da parte di funghi e insetti che gli viene conferita dalle propriet antisettiche di molte sostanze duramificanti. L'umidit del legno solitamente maggiore nell'alburno che nel durame (in particolare, nel legno di molte Conifere), ma tale regola non deve essere considerata di carattere generale poich in alcune specie (ad esempio, nei pioppi euramericani) l'umidit del durame a volte notevolmente pi elevata di quella dell'alburno. Unitamente alla deposizione delle sostanze duramificanti si ha altres una diminuzione della permeabilit del legno: nelle Conifere ci dovuto alla presenza di punteggiature aspirate6 nella porzione duramificata, nelle

    5 Complesso eterogeneo di sostanze generalmente presenti nel lume cellulare dei componenti anatomici del legno (in particolare nella

    porzione di durame) che possono essere estratte mediante opportuni solventi. Da essi dipendono alcune caratteristiche peculiari del legno delle diverse specie e in particolare il colore, la durabilit naturale, la tossicit delle polveri, ecc.. Per una loro descrizione pi completa vedasi quanto riportato a pag. 46.

    6 Le punteggiature sono minuscole aperture, di vario tipo e forma (areolate, semplici, ecc..), presenti sulle pareti laterali di molte cellule legnose. Una punteggiatura si dice "aspirata" quando subisce modificazioni tali per cui non pi permeabile al passaggio di liquidi.

    Rapporto tra durame e alburno nell'ambito del fusto. Da [11].

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    Latifoglie in parte conseguenza della formazione di tille, ovvero di occlusioni del lume delle cellule che svolgono la funzione di conduzione. Parimenti, vi pu essere una differenziazione nell'acidit (la quale pu venire misurata agevolmente mediante rivelatori di pH) che non per univocamente diretta in un unico senso per tutte le specie giacch, per alcune (Pioppi) l'alburno pi acido del durame, per altre (Eucalipti) risulta vero il contrario. I succhi circolanti nell'albero, inoltre, contengono svariate sostanze (zuccheri, tannini, ecc.) - a cui possono aggiungersene altre provenienti dalle cellule escretrici di resine o di gomme - che, quando si verifica una diminuzione di umidit dovuta alla stagionatura o all'essiccazione artificiale, rimangono all'interno delle cavit cellulari. Tale complesso di sostanze estraneo alle pareti cellulari e per la sua caratteristica di essere generalmente solubile in acqua o in altri solventi, prende il nome di estrattivi. Per quanto si tratti di quantitativi minimi, gli estrattivi hanno grande importanza pratica perch intervengono nel processo di duramificazione influenzando in modo determinante molte caratteristiche del legno quali, in particolare, il colore, l'odore e il sapore, nonch la sua eventuale tossicit. Riepilogando quanto gi detto, in relazione al processo di duramificazione, le specie legnose possono essere divise in tre categorie: A) Legni che presentano durame indifferenziato: Abete rosso, Acero, ecc.. per i quali non si registrano rilevanti differenze di comportamento tra le due porzioni. B) Legni a durame obbligatoriamente differenziato Noce, Larice, Pini, ecc.. (netto) Eucalipti, ecc.. (graduale) che possono evidenziare: 1) una colorazione pi intensa e scura della zona di durame7 - con tinte assolutamente diverse: Ebano (alburno giallo, durame nero); Acacia nilotica; Tasso (alburno bruno-giallastro, durame color rosso vivo); - ristretta alla parte centrale del fusto (Pini); - occupante quasi tutta la sezione trasversale: Robinia, Castagno; Larice; Douglasia; 2) un aumento della massa volumica del legno nel passaggio dalla porzione di alburno a quella di

    durame, dovuta alla deposizione di sostanze duramificanti (fenomeno verificabile su provini attigui presentanti un'egual ampiezza degli anelli di accrescimento ed una stessa percentuale di legno tardivo) ed a cui consegue un aumento delle caratteristiche di resistenza meccanica del legno duramificato e, in particolare, della sua durezza che connessa all'irrigidimento delle pareti cellulari;

    3) una maggior durabilit del durame nei confronti dell'attacco da parte di funghi ed insetti, dovuta alla scomparsa delle sostanze fermentescibili, originariamente presenti nei succhi cellulari, e dell'amido ed alla loro sostituzione con sostanze che hanno propriet antisettiche (tannini e polifenoli);

    4) una minor permeabilit del legno, dovuta alla formazione di tille negli elementi vasali di molte Latifoglie ed alla diminuzione della possibilit di passaggio dei fluidi attraverso le punteggiature areolate, divenute assai meno pervie in conseguenza della loro aspirazione, nelle Conifere;

    5) una minor umidit del legno della porzione di durame rispetto a quella dell'alburno, anche se, a volte, pu determinarsi un accumulo di acqua all'interno dei tessuti della porzione di legno duramificato. Non sempre vero, infatti, che in mancanza di un flusso di soluzioni nelle cellule del durame questo debba necessariamente essere meno umido dell'alburno (vedasi, ad esempio, il legno di Pioppo).

    7 A questo proposito opportuno, tuttavia, non confondere la colorazione reale del legno con quella dovuta all'ossidazione dei succhi

    cellulari fuoriusciti dalla porzione di alburno in seguito al taglio della pianta (vedasi, ad esempio, il caso del Ciliegio).

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    C) Legni a durame facoltativamente differenziato (presentanti "falso durame") Faggio (in cui la zona centrale di colore pi scuro viene anche detta "cuore rosso") Frassino (in cui la zona centrale di colore pi scuro viene anche detta "cuore nero") Pioppo (in cui la zona centrale di colore pi scuro viene anche detta "cuore verde o bruno") nel qual caso: 1) si osserva, spesso, una colorazione pi intensa della porzione prossima al midollo con zonature per lo

    pi tondeggianti e di forma varia ma non concentriche e delimitate da bordi percettibili per una diversa tonalit cromatica. Nel complesso il durame facoltativo (o "falso durame") non occupa quasi mai una porzione rilevante della sezione trasversale ed ha spesso un contorno irregolare che non segue quello degli anelli di accrescimento;

    2) le opinioni sono discordi riguardo alla variazione di massa volumica e delle caratteristiche meccaniche del legno delle due porzioni;

    3) il durame facoltativo di Faggio e Pioppo non sembra avere influenza sulla durabilit del legno nei confronti dell'attacco di funghi ed insetti (a causa probabilmente del tipo di composizione chimica degli estrattivi);

    4) nei Pioppi l'umidit del durame generalmente maggiore di quella dell'alburno (da cui deriva la necessit di utilizzare regimi di essiccazione diversi per le due porzioni legnose).

    Tra i fenomeni che determinerebbero la formazione del durame facoltativo, sono stati segnalati, in particolare: a) un'inferiore tensione dell'ossigeno all'interno dei fusti rispetto a quella dell'ossigeno atmosferico; b) un anomalo affluso d'aria penetrata all'interno dei tessuti legnosi tramite mozziconi di rami, cretti da gelo, fessurazioni da vento; c) una diminuzione di umidit dei tessuti che favorirebbe lo scadimento di vitalit delle cellule parenchimatiche; d) il verificarsi a carico delle cellule ancora in vita (ma gi irrimediabilmente deteriorate) di una duramificazione anomala causata dalla pigmentazione e polimerizzazione ad unit ad alto peso molecolare delle sostanze contenute nei tessuti di riserva che rimarrebbero nel lume senza poter penetrare nelle pareti cellulari. In sostanza, quindi, la duramificazione (da non confondere con la lignificazione) un processo fisiologico, chimico ed enzimatico nel quale la cellulosa e la lignina delle pareti cellulari non intervengono minimamente. Per quanto riguarda, infine, le considerazioni pratiche relative alla presenza del durame, nel caso di un fusto arboreo esso porta a conseguenze di carattere tecnologico di notevole importanza in quanto pu influenzare in vario modo l'impiego e le trasformazioni industriali del legno, apportando alcuni vantaggi ed alcuni svantaggi. In linea di principio si pu affermare che il comportamento del durame tanto pi dissimile da quello dell'alburno quanto maggiore il contenuto di estrattivi, tanto che, nel caso di durame indifferenziato (per esempio nell'Abete rosso), a parte una diversa permeabilit dei tessuti, non possibile rilevare sostanziali differenze di propriet o comportamento. Tra i vantaggi si possono citare: - il piacevole aspetto delle superfici del legno quando la porzione di durame presenta una

    differenziazione cromatica; - la maggior resistenza del durame nei confronti di eventuali alterazioni fungine e degli attacchi di

    insetti, dovuta sia alla scomparsa dell'amido (fonte di nutrimento per molti agenti distruttori) che alla presenza di tannini, polifenoli ed altri estrattivi tossici per gli organismi xilofagi;

    - la possibilit, in determinati casi, di utilizzare gli estrattivi per diversi scopi industriali (estrazione di sostanze concianti, coloranti, profumate, adesive, ecc..);

    - l'aumento della durezza e delle altre caratteristiche di resistenza meccanica. Tra gli svantaggi si devono annoverare, invece,:

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    - la minor permeabilit del legno a liquidi e gas, che causa inconvenienti o comunque rende pi lenta la stagionatura o l'essiccazione artificiale e talora difficile o impossibile l'esecuzione di trattamenti preservanti;

    - il brusco e forte gradiente di umidit che a volte si stabilisce tra alburno e durame (per il fatto che il primo, in genere, essicca pi rapidamente del secondo), da cui derivano tensioni interne che inducono il durame a fessurarsi facilmente ed a manifestare vari inconvenienti durante la lavorazione;

    - le variazioni di colore che gli estrattivi possono subire per esposizione all'aria ed alla luce o per l' azione chimica di contatto con metalli o soluzioni varie;

    - l'azione irritante, nociva o addirittura tossica di alcune sostanze contenute negli estrattivi; - l'impossibilit di eseguire convenientemente l'incollaggio ed i trattamenti di verniciatura a causa

    dell'azione inibente di determinati estrattivi. Altre particolarit dei tessuti legnosi Macchie isolate nell'alburno (isole duramificate): sono anch'esse dovute all'aumento della tensione di ossigeno penetrato in seguito a ferite o lesioni corticali tali da interessare il cambio (iniezioni di aria nel legno determinano, ad esempio, la formazione di un alone nerastro) o a fenomeni di compartimentazione che implicano l'accumulo localizzato di estrattivi al fine di impedire il propagarsi di eventuali infestazioni in atto. Zone chiare incluse nel durame (frequenti soprattutto nel Larice ed in alcune specie tropicali): sono dovute all'interruzione localizzata della continuit delle cellule parenchimatiche radiali, per cui viene bloccata la migrazione dei carboidrati dall'alburno verso l'asse centrale di accrescimento del fusto e non pu, di conseguenza, realizzarsi la normale sintesi di polifenoli e di altre sostanze duramificanti. Alburno incluso o "lunatura" (frequente nel legno delle Querce): appare come una corona circolare di alburno inglobata tra tessuti di legno duramificato e di spessore radiale corrispondente a pi anelli di accrescimento. La presenza di questa particolarit sembrerebbe attribuibile ad uno dei seguenti motivi: a) gelo, che determinerebbe il degradamento delle cellule dell'alburno impedendo la trasformazione in tannini delle sostanze di riserva in esse contenute; b) cause patologiche, che indurrebbero la formazione di un anello esterno di durame il quale impedirebbe ulteriori trasformazioni dei tessuti legnosi interni ad esso. A fenomeni in parte analoghi alla duramificazione dovuta anche la formazione nei tessuti legnosi di vene o strisce scure od intensamente colorate (nel caso, del Noce, Limba, Palissandro, ecc..). Un'ulteriore caratteristica macroscopica del legno di alcune Conifere la presenza di canali resiniferi (tipica, ad esempio, nel legno dei Pini, Abet