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PROFILI SOSTANZIALI E PROCESSUALI RELATIVI ALL’ADOZIONE
AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’
Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere.
Il soggetto in età evolutiva ha assoluto bisogno, per un corretto
sviluppo della sua personalità individuale e sociale, di un
ambiente e di una situazione familiare idonei, come dimostrano i
numerosi studi sugli effetti dell’isolamento nello sviluppo
globale della personalità. Sulla base di tali ricerche, si è
giunti alla conclusione che i grandi istituti assistenziali – pur
se privi di connotazioni negative gravi, legate a carenze
materiali o episodi di maltrattamento – non consentivano uno
sviluppo armonico della personalità, che necessita di relazioni
affettive e punti di riferimento stabili1.
Pur sancendo a chiare lettere la centralità dell’istituto
familiare nel panorama sociale del nostro Paese, è la stessa Carta
Costituzionale a prevedere la necessità di predisporre strumenti
adeguati, nell’ipotesi in cui sia constatata l’incapacità dei
genitori a svolgere adeguatamente i loro compiti (art. 30 Cost.).
Il minore ha diritto a crescere ed essere educato nell’ambito
della propria famiglia (art. 1 comma 1 l. adoz.), ma quando essa
non è in grado di provvedervi, soccorrono vari istituti giuridici
(comma 4°). Di essi si darà contezza nelle pagine che seguono.
1 – L’affidamento familiare.
L’istituto dell’affidamento familiare, come alternativa rispetto
al ricovero in un istituto di assistenza, soddisfa l’esigenza di
allontanare un minore dall’ambiente di origine, quando questo non
sia idoneo alla sua educazione (art. 2 legge 184/1983, come
modificata dalla legge n. 149/2001). Esso può soddisfare ovviare sia a momentanee difficoltà del nucleo familiare, sia a carenze più profonde e durature, che potrebbero condurre ad un sostanziale
abbandono del minore. A seconda della natura di tali difficoltà,
si configurano diversi tipi di affidamento.
1 Cfr. AC MORO, Manuale di diritto minorile, Bologna, 2002.
1
Nella logica dell’affidamento istituto, il bambino si trova perciò ad avere due famiglie o comunque due nuclei affettivi di
riferimento: quello in cui è nato e quello in cui è cresciuto per
un certo periodo della sua vita. L’affido raggiunge il suo scopo
quando gli affidatari consentano al minore di avere rapporti con
la sua famiglia di origine, in funzione di supporto rispetto alla
stessa, essendo essi destinatari dei doveri, ma non già dei poteri
del genitore. E’ peraltro previsto in capo all’affidatario
l’obbligo di agevolare i rapporti tra i genitori ed il minore e di
favorire il reinserimento di quest’ultimo nella famiglia di
origine.
Presupposto necessario per l’istituto dell’affido è che la
difficoltà in cui viene a trovarsi la famiglia di origine, seppure
non sia a carattere momentaneo, non debba comunque sconfinare
nello stato di abbandono materiale e morale, che potrà dar vita
alla procedura di adottabilità (art. 8).
La situazione che giustifica l'affidamento etero-familiare, a
norma degli art. 2 ss. l. 4 maggio 1983 n. 184, come sostituiti
dai corrispondenti articoli della l. 28 marzo 2001 n. 149, e
quella che conduce alla pronuncia di adottabilità si
differenziano, dunque, in quanto la mancanza di "un ambiente
familiare idoneo" è considerata nel primo caso temporanea e
superabile con il detto affidamento, mentre nel secondo caso si
ritiene che essa sia insuperabile e che non vi si possa ovviare se
non per il tramite della dichiarazione di adottabilità, attraverso
la definitiva rescissione del legame con il nucleo familiare
originario, che si realizza con la dichiarazione dello stato di
adottabilità.
La determinazione della linea di demarcazione tra le due
situazioni potrà diventare assai problematica nei casi di
affidamento giudiziale, di competenza del TM, laddove la durata dell’affido può anche protrarsi per anni. La condizione del minore che si trovi in una situazione di
affidamento sine die, che non sfoci in un’adozione e neppure in un
rientro in famiglia, crea una situazione di incertezza nella
definizione della sua identità personale, sicché questa tipologia
di minore viene definita come “bambino nel limbo”, sospeso tra
instabili appartenenze, lasciate nella confusione e ambiguità.
2
Invece, nei casi di competenza del giudice tutelare, presupposto
fondamentale ed imprescindibile è costituito dalla provvisorietà
dell’affido.
Nel provvedimento va indicato il tempo dell’affido che non può
superare i 24 mesi, prorogabili dal TM. Non è determinato il tempo
massimo. Tuttavia prevalsa un’interpretazione giurisprudenziale
per cui esso può al massimo durare per tre anni, sulla base del
vecchio istituto dell’affiliazione (abrogato dall’art. 77 della
legge dell’84), che serviva a stabilizzare gli affidi di oltre 3
anni (art. 404 c.c.) e che deduceva dall’abrogazione dell’istituto
dell’affiliazione lo sfavore del legislatore per gli affidi
ultratriennali2.
- 2 – La disciplina dell’affidamento del minore.
La disciplina dell’affidamento del minore è posta in apertura
della legge n. 184, con la quale il legislatore ha armonizzato una
regolamentazione dispersa tra leggi speciali.
L’affidamento, inteso come temporaneo inserimento del minore in
una famiglia diversa da quella di origine, rientra dunque nel
complesso di azioni di sostegno alla stessa.
Si distingue tra affidamenti privati, giurisdizionali ed
amministrativi.
- Quanto ai primi, essi venivano ipotizzati sulla base dell’art.
318 c.c., come esistenza di un potere del genitore di affidare il
figlio a terzi, pur se la legge n. 184 prevede che non possa
configurarsi per più di sei mesi, termine oltre il quale il
genitore è tenuto a dare notizia all’autorità giudiziaria;
- Quanto agli affidamenti amministrativi, l’abrogato art. 404 c.c.
attribuiva all’istituto di pubblica assistenza il potere di
affidare il minore ad una persona di fiducia. E’ sopravvissuto
l’art. 403 c.c., che prevede il collocamento di urgenza del minore
materialmente o moralmente abbandonato, allevato in locali
insalubri o pericolosi, o da persone incapaci di provvedere alla
sua cura, da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, in un
luogo sicuro. Dopo il collocamento provvisorio in luogo sicuro,
2 Cfr. RUGGIANO, L’affidamento consensuale e l’inserimento del minore negli istituti, in Il processo civile minorile, Quaderni del CSM, 611 ss.
3
dovrà essere dato tempestivo avviso al TM, che deve disporre
l’affidamento ex legge n. 184
L’art. 2 l. n. 184/83 prevede che l’affidamento del minore che sia
temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo ad un’altra
famiglia possa essere disposto dal servizio sociale, previo
consenso dei genitori o del tutore, e in tal caso il provvedimento
è reso esecutivo dal giudice tutelare; ove manchi l’assenso di
tali soggetti, provvede il tribunale per i minorenni.
L’affidamento amministrativo può dunque essere disposto dal solo
servizio sociale, e non più dagli istituti.
- Quanto all’affidamento giurisdizionale, ai sensi dell’art. 330
c.c. il tribunale per i minorenni, dichiarando la decadenza dalla
potestà, ovvero ai sensi dell’art. 333 c.c. adottando i
provvedimenti più opportuni in caso di comportamenti
pregiudizievoli dei genitori, può prescrivere l’allontanamento del
figlio dalla residenza familiare e disporre l’affidamento del
minore a terzi, e può in casi di urgenza anche provvedere in via
provvisoria, prima della conclusione del procedimento. Peraltro,
nel corso degli accertamenti disposti nel procedimento di
abbandono, il tribunale per i minori può emettere ogni
provvedimento nei confronti del minore, compresa la sospensione
dalla potestà e la nomina di un tutore (art. 10 l. 184). E’ prassi
frequente del Tm disporre l’affidamento provvisorio del minore ad
una coppia idonea per l’adozione, sì che l’affidamento possa
trasformarsi in affidamento preadottivo.
Altre tipologie di affidamento giudiziario attengono a quello
disposto dal giudice tutelare, quando delibera sul luogo dove il
minore debba essere allevato e scelga anche le persone dalle quali
deve essere allevato; il giudice della separazione o del divorzio
può altresì affidare la prole a terzi (art. 2 l. 184,
analogicamente applicabile anche alla separazione).
Nell’ambito della sua competenza amministrativa, l’art. 25 Rdl n.
1404/1934 modificato dalla l. 888/56 prevedeva che il TM affidasse
il minore irregolare per condotta al preesistente servizio sociale
minorile, disponendone l’allontanamento dalla casa familiare. In
tal caso indicherà il luogo dove intende vivere e la persona o
l’ente che si prenderà cura di lui. Ancor più pregnante, a
fondamento dell’affidamento del minore al Servizio sociale, è il
4
disposto dell’art. 26 comma 3°, a norma del quale “la misura
dell’art. 25 n. 1 può altresì essere disposta quando il minore si
trovi nella condizione prevista dall’art. 333 c.c.”.
- 3 – I soggetti ed il contenuto dell’affidamento. I poteri del
giudice tutelare e del tribunale per i minorenni.
- L’affidamento familiare, inteso come affidamento a famiglie,
persone singole o comunità di tipo familiare, è disposto dal
servizio locale, dal genitore esercente la potestà o dal tutore.
L’espressione ‘servizio locale’ è generica ed è per la prima
volta contenuta in un testo normativo. Il d.p.r. n. 616/1977
stabilisce che il Comune è l’ente erogatore delle prestazioni
assistenziali, pur se alcune funzioni sono state mantenute dalle
province o delegate alle asl. Il provvedimento di affidamento deve
promanare dall’organo che ha la rappresentanza esterna dell’ente.
- Il soggetto affidatario può essere una famiglia (anche di
fatto), una persona singola o una comunità di tipo familiare;
perché il servizio provveda è necessario il “consenso” dei
genitori (successivamente la norma parla di assenso, ma la
differenza appare priva di significato). Deve essere
obbligatoriamente sentito il minore che abbia compiuto gli anni
12, ma può essere sentito, ove sia opportuno, anche un minore di
età inferiore.
- Quanto al contenuto dell’affidamento, l’art. 5 co. 3 fornisce
indicazioni rispetto a quello consensuale dell’affidamento
disposto dal servizio sociale, perché, quanto all’affidamento
disposto dal TM, si richiamano gli artt. 330 ss. C.c. Il
provvedimento deve essere motivato ed è necessaria un’indicazione
formale delle ragioni di inidoneità della famiglia. Devono essere
indicati i tempi e le modalità dell’esercizio dei poteri
attribuiti all’affidatario.
- E’ previsto che il giudice tutelare renda esecutivo il
provvedimento del servizio sociale. Ciò dovrebbe significare che
il controllo del giudice tutelare sia condizione di efficacia del
provvedimento, pur se nella prassi esso viene eseguito prima che
intervenga tale provvedimento. Esso ha comunque una funzione di
controllo sulla sussistenza dei presupposti di legge, oltre che di
5
verifica che non sussista una situazione di abbandono ovvero una
difficoltà non transitoria.
- Ove non vi sia il consenso dei genitori all’affidamento,
provvede il Trib. Min., essendo in tal caso indispensabile la
garanzia di un provvedimento giudiziario, che tenga luogo del
consenso mancante. La norma dice genericamente che il tribunale
provvede ai sensi degli artt. 330 ss. C.c. Non si modificano
comunque i presupposti dell’affidamento, che deve sopperire ad una
temporanea privazione di un ambiente familiare idoneo. Qualora il
tm si convinca che vi sia un’inidoneità dei genitori non
temporanea, che tuttavia non sia ancora tale da giustificare
l’apertura di una procedura di abbandono, il trib. Min. può
adottare i provvedimenti convenienti ex art. 333 c.c.
(allontanamento dalla casa familiare e affidamento a terzi).
- 4 - Profili sostanziali - la nozione di abbandono
a) ricostruzione storica dell’abbandono.
Il concetto di abbandono del minore, presupposto della
dichiarazione di adottabilità, è un’acquisizione tutt’altro che
recente nell’elaborazione giuridica e nelle formulazioni
legislative del nostro paese; di minori abbandonati, infatti,
parla già la legge 17 luglio 1890, n. 6972 sull'assistenza ai
poveri, oltre che varie altre leggi più particolarmente volte
all'assistenza minorile3: ai minori moralmente o materialmente
abbandonati, inoltre, si richiama l'art. 403 c.c., prevedendo il
loro collocamento in luogo sicuro, a cura della pubblica autorità.
Tuttavia, l’interesse delle istituzioni ai minori in condizioni di
abbandono non era – inizialmente – finalizzato alla
(ri)costruzione di un valido legame familiare alternativo a
quello, inesistente o gravemente carente, del nucleo di origine,
3 Per un approfondimento storico, si vedano la legge 18 luglio 1904, n. 390 nella sua interezza, e gli artt. 55 e 56 r.d. 1 gennaio 1905, n. 12, che distinguono per la prima volta minori materialmente e moralmente abbandonati; l'espressione viene riportata nella legge 10 dicembre 1925, n. 2277 sulla protezione e assistenza della materialità e infanzia, nonché, nel testo unico in materia, r.d. 24 dicembre 1934, n. 2316; infine, r.d.l. 8 maggio 1927, n. 798, che disciplina le funzioni della provincia nell'assistenza ai minori, si riferisce ai «fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all'abbandono».
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ma all’attuazione di tutta una congerie di interventi, aventi
natura esclusivamente o prevalentemente amministrativa.
Si trattava, dunque, di un concetto disgiunto da quello di
adozione, essendo quest’ultima originariamente finalizzata a
fornire una discendenza alle coppie (abbienti) che ne fossero
prive e non ad offrire una famiglia a bambini abbandonati.
E’ stato giustamente affermato4 che non più tardi di qualche
decennio fa allontanare un bambino equivaleva a disporne
l’istituzionalizzazione, sicché la popolazione delle strutture di
accoglienza era tanto numerosa quanto composita nella tipologia
dei problemi presentati.
Circa il merito delle ragioni che portavano alla scelta della
soluzione istituzionale, va ricordato che esistevano fatti di
costume che sembravano renderla obbligata e che, in quella fase
storica, essa era avallata da convinzioni diffuse ed accreditate
presso molta parte di operatori sociali e sanitari. Ad esempio,
erano numerosi i figli di madri nubili, abbandonati od esposti,
che (in alternativa al cosiddetto “baliatico”, che svolse una
funzione socialmente preziosa) venivano accolti presso strutture
in grado di ospitarli fino al sesto anno di età. Raggiunto tale
limite, se non era ancora possibile che le madri se ne facessero
carico, i minori, ormai portatori di sindromi carenziali di vario
genere, venivano trasferiti negli istituti medico – psico –
pedagogici (IMPP), la situazione interna dei quali non differiva
sostanzialmente da quella delle “istituzioni totali per adulti”,
delle quali rappresentava spesso l'anticamera: infatti, allo
scadere del diciottesimo anno di età, per molti di questi ragazzi
- per lo più psichicamente deteriorati e divenuti socialmente
inabili anche a causa della vita da internati condotta negli anni
cruciali del loro sviluppo - la “carriera” istituzionale doveva
obbligatoriamente proseguire e concludersi all'interno
dell'ospedale psichiatrico.
E’ con la legge 5.6.1967 n. 431, istitutiva dell’adozione allora
definita “speciale” – ma che ora a tutti gli effetti è da
considerarsi ordinaria – che lo stato di abbandono diventa il
presupposto per un intervento che potremmo definire ricostruttivo
del legame familiare, sulla base dell’affermazione, resa esplicita 4 Cfr. S. CIRILLO e M.V. CIPOLLONI: “L'assistente sociale ruba i bambini?" (1994).
7
dalla legge n. 184/1983, del diritto del minore di vivere
all’interno della famiglia, possibilmente la propria, ma – quale
extrema ratio – anche in un’altra.
Ecco, dunque, che la definizione sostanziale dell’abbandono assume
un’importanza di primissimo piano nell’ambito dell’intera materia
civilistica minorile, atteso che la rescissione del legame con la
famiglia naturale d’origine, che ne costituisce la conseguenza, è
il più drastico (e doloroso) degli interventi che il giudice possa
operare, unitamente al successivo atto di costruzione
“artificiale” di un nuovo legame.
Sebbene i lavori parlamentari della legge del 1967 avessero
suggerito l’indicazione di un “catalogo” di fatti e circostanze
costituenti abbandono, la scelta del legislatore fu di segno
esattamente opposto, sostanziandosi nella “mera” enunciazione di
un concetto – contenitore, da doversi “riempire” a cura
dell’interprete di contenuti concreti.
Lo stato di abbandono nella legislazione vigente.
Non vi è dubbio che il problema non si pone solo in caso di totale
mancanza della famiglia d’origine, come accade allorché il minore
non sia stato riconosciuto da alcuno dei genitori, ovvero sia
stato materialmente abbandonato, cioè privato dell’essenziale per
vivere; ma anche quando egli sia stato fatto oggetto di condotte
commissive costituenti reato contro la vita, la libertà o la
dignità della persona (si pensi a minori oggetto di abusi o
sfruttamento sessuali, sevizie, maltrattamenti reiterati, etc.).
Peraltro, il concetto di abbandono materiale può desumersi
dall’art. 403 c.c., che faculta l’autorità pubblica (autorità
amministrativa) ad allontanare il minore dal suo contesto di
appartenenza, in particolari casi di degrado, che la norma
specificamente integra. Ove tali condizioni permangano inalterate
nel tempo, sarà evidente la sussistenza di una condizione di
abbandono.
In questi casi, la condizione di abbandono e – dunque – di
adottabilità sarà riconoscibile in re ipsa.
Si tratta, tuttavia, di situazioni – limite, numericamente
piuttosto scarse, che – per usare un’espressione resa celebre da
8
una nota quanto risalente sentenza – fanno dei figli veri e propri
orfani di genitori viventi5. Oggi nessuno ritiene che i presupposti
dell’abbandono siano legati in maniera rigida a così gravi
circostanze, essendosi in via generale affermato un ampliamento
del diritti del minore (si pensi al più volte indicato diritto
all’affettività) che, di conseguenza, dilata i confini
dell’abbandono, comprendendo in esso una serie di condotte
omissive, direttamente incidenti sull’equilibrato e sereno
sviluppo psico-fisico del fanciullo.
Il bambino è dunque in stato di abbandono quando vi sia una
obiettiva e non transitoria carenza di quel minimo di cure
materiali, calore affettivo ed aiuto psicologico necessario a
consentirgli un normale sviluppo psico – fisico. L’assistenza
morale e materiale è infatti un insieme di prestazioni che siano
dovute dai genitori e che si sostanziano in quelle cure ed
attenzioni affettive, in quell’aiuto allo sviluppo della
personalità ed al regolare processo di socializzazione, in quelle
relazioni interpersonali profonde e ricche di spiritualità, di cui
il minore ha bisogno per un’ottimale maturazione sul piano fisico
e psichico.
L’ordinamento esige, perché sia dichiarata l’adottabilità, che
l’abbandono non sia conseguenza di una situazione di forza
maggiore a carattere transitorio (art. 8 co. 3). Le difficoltà
transitorie dei genitori devono infatti comportare, non già un
intervento ablativo, ma piuttosto un’attività di sostegno del
nucleo familiare, salvo che i soggetti tenuti all’educazione ed
all’assistenza dei minori non rifiutino il sostegno.
Il concetto di forza maggiore in materia di adozione non può
essere assimilato a quello ipotizzato dall’art. 1218 c.c, ovvero
alla situazione del creditore che ha diritto di ottenere
l’adempimento dell’obbligazione, e neppure al concetto penalistico
di evento derivante dalla natura e dal fatto dell’uomo che non
possa essere preveduto, o che comunque non possa essere evitato.
Esso è piuttosto afferente a quelle situazioni temporanee ed
inevitabili che impediscano alla volontà del genitore di adempiere
al proprio compito di assistenza materiale e morale del minore.
5 Così Trib. Min. Venezia 5 luglio 1971.
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L’elaborazione dottrinale, concorde (come del resto la
giurisprudenza) nell’affermare l’irrilevanza di qualsivoglia
profilo di “colpevolezza” in capo ai genitori rispetto allo stato
di abbandono del figlio (e, di conseguenza, la natura non
sanzionatoria del provvedimento dichiarativo dello stato di
adottabilità) ha tentato di attribuire più nitide fattezze al
concetto di abbandono prendendo le mosse, a contrariis,
dall’individuazione dei doveri parentali codificati (allevare,
mantenere ed educare la prole), successivamente affermando il
diritto ad un livello minimo di “prestazioni genitoriali”, al di
sotto del quale non vi sarebbe una mera inadeguatezza al ruolo
parentale, ma un autentico abbandono.
Si tratta, comunque, di un criterio non appagante, poiché sembra
richiamare una nozione di diritti del minore di tipo
“quantitativo”, di difficile, se non impossibile stima.
Le ultime elaborazioni, che hanno trovato ampio riscontro in
giurisprudenza, valorizzano quella che potremmo definire una
valutazione degli effetti, ritenendo sussistente la condizione di
abbandono allorché il contegno dei genitori, lungi dal risolversi
in una mera insufficienza dell'apporto indispensabile per lo
sviluppo e la formazione della personalità del minore, comprometta
o determini grave pericolo di compromissione per la salute e le
possibilità di armonico sviluppo fisico e psichico del minore
stesso. Di fronte ad un siffatto nocumento o al rischio di esso,
successivi atteggiamenti o progetti genitoriali per un
miglioramento della situazione in tanto rilevano in quanto, oltre
che seri, siano oggettivamente idonei al recupero della situazione
medesima6.
Nell’ottica di una valutazione del pregiudizio subito dal minore,
la Cassazione stabilisce che lo stato di abbandono che giustifica
la dichiarazione di adottabilità di un minore presuppone
l’individuazione, all'esito di un rigoroso accertamento, di
carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare di
per sé una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche
conto dell'esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di
origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice
6 Cass. civ., sez. I, n. 21100 del 28 ottobre 2005.
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inadeguatezza dell'assistenza o degli atteggiamenti psicologici
e/o educativi dei genitori.
A volte si è ritenuta sufficiente ai fini della dichiarazione di
abbandono del minore anche la sola carenza di assistenza
materiale, laddove non vengano soddisfatte le più elementari
necessità di vita del minore, tenuto conto del disposto dell’art.
1 cpv l. adoz. per cui le condizioni di indigenza dei genitori o
del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere
d’ostacolo all’esercizio del diritto dl minore alla propria
famiglia. In tal caso, la giurisprudenza di legittimità, ai fini
della dichiarazione dello stato di abbandono, richiede una
valutazione alquanto rigorosa, da cui risulti che dall’inidoneità
dei genitori possano derivare danni gravi ed irreversibili
all’equilibrata crescita dell’interessato7.
Casistica.
Sulla base di tale principio, è possibile individuare alcuni casi particolari, portati all’attenzione della Suprema Corte, che
riflettono ipotesi piuttosto diffuse nella prassi.
Iniziamo la nostra disamina dalla malattia mentale del genitore.Il “diritto alla genitorialità” anche per i pazienti psichiatrici
è stato un tema assai dibattuto a partire quanto meno dagli anni
settanta, allorché esso si impose quale elemento essenziale delle
nuove concezioni non custodialistiche dell’intervento sulla
patologia mentale, oltre che come comprensibile reazione ad una
tendenza, precedentemente piuttosto diffusa, per la quale
alterazioni anche minime rispetto ad una spesso ipotetica
“normalità” portavano ad allontanare dai genitori (ed in
particolare dalle madri nubili) minori in tenera età. Ne è nato
un opposto atteggiamento che potremmo definire della "famiglia a
ogni costo", evidenziatosi in taluni casi di figli di pazienti
7 Cfr. Cass. Sez. I, 28 giugno 2006 n. 15011, in cui la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato lo stato di abbandono in un caso nel quale era stato accertato, all'esito di una rigorosa analisi istruttoria, che i genitori, dai quali erano già stati allontanati i primi quattro figli, vivevano in una situazione di assoluto degrado e si erano dimostrati assolutamente carenti sul piano psicologico e pedagogico, e quindi incapaci, pur con il sostegno dei servizi, di offrire quel minimo di cure e di attenzioni indispensabile per non compromettere in modo grave e permanente lo sviluppo psicofisico del minore.
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psichiatrici, nei cui confronti i servizi di salute mentale hanno
ormai abbandonato la speranza di una guarigione, orientandosi
verso un affiancamento a lungo termine che ne contenga le fasi di
recrudescenza. Per gli operatori di tali servizi, almeno fino a
poco tempo fa, il problema dell'adeguatezza o meno del loro
paziente ai compiti parentali non si poneva in maniera perentoria,
ed anzi si faceva strada quello che è stato acutamente definito il
concetto di “figlio terapeutico”, vale a dire il legame affettivo
idoneo a contenere le pulsioni maggiormente ingovernabili
dell’assistito. Assai raramente si riteneva necessario segnalare
ai servizi per i minori la presenza di comportamenti dannosi per i
bambini, i quali rischiavano viceversa di essere utilizzati dagli
operatori della salute mentale come elementi di stabilizzazione
dello stato di compenso, più o meno precario, raggiunto dai loro
pazienti. Così avveniva frequentemente, e talora avviene ancora,
che alcuni bambini venivano mantenuti in famiglie con uno o
entrambi i genitori affetti da seria patologia psichica senza
chiedersi fino a che punto questo potesse nuocere8.
Da ultimo, è stata esclusa dal giudice di legittimità la
dichiarazione dello stato di abbandono per la sola presenza di
offerte di migliori tenori di vita da parte di terze famiglie
disposte all’adozione, sottolineando come l’istituto dell’adozione
non costituisca rimedio per procurare condizioni di vita migliori
di quelle che la famiglia di origine offre9.
La giurisprudenza ha a tale proposito affermato che, ai fini
della dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino
insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere
permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in
ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad
assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e
delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di
cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico
indispensabili per un'equilibrata e sana crescita psico-fisica.
8 Cfr. S. CIRILLO e M.V. CIPOLLONI, op. cit.
9 Cfr. Cass. 2 aprile 1998 n. 3405 per cui il fine dell’adozione non è quello di fornire al minore condizioni migliori, ma di porre rimedio ad una situazione di abbandono, con conseguente impossibilità di operare un raffronto tra il progetto di vita offerto dalla famiglia di origine e quello offerto dalla famiglia affidataria.
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In particolare, perché si realizzi lo stato di abbandono che
giustifica la dichiarazione di adottabilità di un minore, devono
risultare, all'esito di un rigoroso accertamento, carenze
materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare, di per sé,
una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche conto
dell'esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di
origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice
inadeguatezza dell'assistenza o degli atteggiamenti psicologici
e/o educativi dei genitori, con la conseguenza che, ai fini della
dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino
insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere
permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in
ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad
assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e
delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di
cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico
indispensabili per un'equilibrata e sana crescita psico-fisica 10.
Il tema del genitore tossicodipendente presenta varie analogie con quello del genitore paziente psichiatrico, poiché anche in questo
caso ci si trova in presenza di gravi problematiche personali del
padre o della madre, rispetto alle quali occorre sia verificare
con accortezza l’incidenza delle stesse sull’equilibrato sviluppo
psico – fisico del minore, sia elaborare una fondata prognosi
circa eventuali propositi di recupero che dovessero essere
esternati dagli interessati. Il tutto con un ancor più accentuato
rischio di strumentalizzazioni, ben sussistendo la possibilità
che soggetti coinvolti anche in vicende penali – come spesso
10 Cass. civ., sez. I, n. 8527 del 12 aprile 2006; nell'enunciare tale principio, la Corte ha confermato la decisione del giudice di merito, il quale, nel dichiarare lo stato di abbandono, aveva accertato, per un verso, che il disagio ambientale subito dal minore gli aveva procurato danni verosimilmente irreversibili, tanto che egli, presentando tutte le caratteristiche del bambino istituzionalizzato, si dimostrava incapace di instaurare rapporti significativi con l'adulto, non avendo mai avuto un rapporto con la madre; per l'altro verso, che anche la prognosi per il futuro era negativa, perché entrambi i genitori presentavano patologie che richiedevano terapie di lunga durata e di esito incerto. Tale sentenza si pone sulla scia di quanto già statuito da Cass. 9 gennaio 1998 n. 120, a mente della quale, al fine di dichiarare lo stato di adottabilità, non sono sufficienti carenze mentali anche permanenti del genitore, ma occorre dimostrare accertare se, in ragione di tali patologie, il genitore sia idoneo a conservare la consapevolezza del proprio compito ed offrire al minore le necessarie cure materiali e sostegno affettivo e psicologico.
13
accade per i consumatori abituali di sostanze stupefacenti –
tentino di sfruttare l’asserita necessità di occuparsi (o,
magari, di cominciare ad occuparsi) di un figlio per lucrare
benefici penitenziari.
E’ evidente che, uno stato di tossicodipendenza grave, rispetto
alla quale non vi sia alcun proposito di recupero, costituisca
motivo sufficiente a giustificare la declaratoria di adottabilità
del minore, ove nell’ambito familiare non vengano reperite
risorse personali ed affettive alternative. E’ altrettanto chiaro,
tenendo anche presenti i criteri “prudenziali” evincibili dalla
legislazione in materia di stupefacenti, che qualsiasi progetto di
recupero (atto a scongiurare la “perdita” del figlio
dell’interessato) debba essere adeguatamente documentato e già
avviato a concreta realizzazione.
A tali condizioni, possono essere valorizzate, quali elementi
sintomatici di una oramai raggiunta capacità parentale del
genitore, la forte spinta motivazionale data dal suo desiderio di
poter riavere il figlio con sé, nonché la stessa ansia da lui
dimostrata per la situazione di precarietà dello stesso,
unitamente ad elementi concreti (quali lo svolgimento di attività
di volontariato, la volontà manifestata di costruire un valido
rapporto con il figlio ed il raggiungimento di un’indipendenza
economica), attestanti il recupero di un’affettività e di una
progettualità concrete.
La giurisprudenza in materia ribadisce che, in tema di adozione di
minore è esplicitamente prevista e tutelata, ex l. n. 149 del
2001, che l'esigenza del minore di crescere in seno alla propria
famiglia di origine può essere sacrificata solo in presenza di
obbiettive, concrete situazioni di gravità tali da pregiudicarne
seriamente e definitivamente l'armonico sviluppo psicofisico;
pertanto la situazione di abbandono — quale presupposto dello
stato di adottabilità — deve essere valutata con particolare
rigore, in base a riscontri certi, concreti ed obbiettivi e non
meramente presuntivi e prognostici, potendosi essa individuare
solo in caso di carenza di cure materiali, morali ed affettive
tale da pregiudicare in modo grave e definitivo un equilibrato
sviluppo psicofisico del minore. Al fine di escludere i
presupposti dello stato di abbandono, si ritiene di valorizzare la
14
sussistenza di elementi sintomatici di un’ormai raggiunta capacità
genitoriale, quali la risoluzione del genitore che si sottoponga
ad un programma di recupero per tossicodipendenti, in ragione
della forte spinta motivazionale a riavere la figlia. 11.
Ulteriore situazione che può integrare i presupposti dello stato
di abbandono è costituita dallo stato di detenzione del genitore.E’ noto che lo stato di detenzione del genitore non può
considerarsi causa di forza maggiore di natura transitoria, per
quanto sia fisiologicamente destinato a terminare, in quanto non
costituisce una situazione fortuita, non imputabile al soggetto12.
11 Cass. civ., sez. I, n. 8877 del 14 aprile 2006 S.C. ha confermato la sentenza d'appello che aveva ritenuto non ricorresse lo stato di abbandono in presenza di una figura paterna per la quale al degrado legato alla tossicodipendenza era seguito un adeguato, fecondo percorso riabilitativo, con il conseguente recupero della dignità umana e sociale e della responsabilità genitoriale; nella specie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito di collocare temporaneamente la figlia minore del soggetto, già affidata ad una coppia di coniugi, alla comunità di recupero presso la quale era ospitato il padre, in quanto accompagnata dalla previsione della elaborazione, da parte degli operatori della comunità, di un progetto inteso alla sviluppo della sua relazione con il padre, e, quindi, propedeutico al suo definitivo affidamento al genitore. Tale sentenza segue il percorso già tracciato da Cass. 14 maggio 2005 n. 10126, che ribadisce la necessità di particolare rigore da parte del giudice di merito nella valutazione della situazione di abbandono del minore quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adattabilità, atteso il diritto del minore di crescere e di essere educato nella propria famiglia di origine, che deve essere reso effettivo attraverso la predisposizione di interventi di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine. In precedenza, Cass. Civ. sez. I 7 novembre 1998 n. 11241 stabilisce peraltro che integra gli estremi della situazione di abbandono del minore non soltanto la precisa ed esplicita manifestazione di volontà di abbandonare il figlio da parte dei genitori, ma anche la persistente adozione, da parte dei medesimi, di atteggiamenti improntati a condotte di vita disordinate e connotate da gravi anomalie caratteriali e/o comportamentali, tali da poter conseguentemente compromettere in modo grave ed irreversibile la crescita psicofisica del minore. (Principio affermato dalla S.C. in relazione ad una vicenda in cui entrambi i genitori, tossicodipendenti, avevano chiesto il ricovero in comunità onde poter conservare l'affidamento della figlia minore, da esercitarsi nell'ambito della medesima comunità). In giurisprudenza di merito si segnala Trib. Min. Perugia 22.7.1997, che ha stabilito quale presupposto per l’adozione speciale da parte della zia della minore ex art. 44 l. c il caso di stato di tossicodipendenza cronica di entrambi genitori.
12 In tema di adozione, lo stato di detenzione del genitore non integra gli estremi della "forza maggiore di carattere transitorio" (ipotizzata dall'ultima parte del comma 1 dell'art. 8 della l. n. 184 del 1983), la cui sussistenza, trascendendo la condotta e la volontà del soggetto obbligato, giustifica la mancata assistenza del minore, in quanto tale stato deve ritenersi imputabile alla condotta criminosa dal genitore stesso, volutamente posta in essere nella consapevolezza della possibile condanna e carcerazione. (cfr. Cassazione civile, sez. I, 10 giugno
15
Si segnala tuttavia in giurisprudenza un orientamento che valuta
in modo rigoroso la sussistenza del presupposto dello stato di
abbandono e ritiene che lo stato di detenzione del genitore non è
di per sé sufficiente a ritenere integrata tale condizione,
qualora il genitore manifesti attenzione alle esigenze del figlio.
In particolare, Cass. 14 maggio 2005 n. 10126 stabilisce che, ove
la madre del bambino sia impedita, a causa del suo stato di
detenzione, destinato a protrarsi per un periodo di lunga durata,
a prendersi cura del proprio figlio (non riconosciuto dal padre),
ma si mostri sensibile alle esigenze affettive di questo, tanto da
determinarsi a chiederne l'affidamento alla propria madre, già
affidataria di altro figlio della donna, onde evitare di recidere
definitivamente ogni legame con lui - la dichiarazione dello stato
di abbandono del minore non può discendere dal mero apprezzamento
negativo della personalità della nonna materna, in ipotesi anche
di età avanzata, con la quale il bambino abbia convissuto
instaurando significativi rapporti, ove non risultino elementi
concreti realmente in grado di incidere negativamente sul processo
di evoluzione, fisica ed intellettuale, del bambino, impedendone
una crescita serena ed un accudimento adeguato13.
In giurisprudenza di merito si annovera un importante precedente
del Trib. Min Bari 10 gennaio 2006, che ha ritenuto integrasse un
presupposto dello stato di abbandono della minore la condotta
della madre il fatto che la stessa, già tratta in arresto per un
reato di spaccio di stupefacenti, pochi mesi dopo la nascita della
bimba venga nuovamente arrestata, chiedendo di vedere la figlia
solo dopo che il Tribunale glielo aveva formalmente impedito.
Altro problema posto dalla prassi applicativa è quello della c.d. “genitorialità delegata”, vale a dire della totale “cessione” a terze persone delle facoltà (e dei doveri) connessi alla potestà.
Benché in talune pronunzie dei giudici di merito (per lo più
1998, n. 5755).
13 La sentenza contiene la chiara affermazione della rilevanza del legame del minore con gli stretti congiunti, in particolare dei nonni, ai fini della valutazione della insussistenza dello stato di abbandono pur in caso di impedimento dei genitori a prendersi cura dello stesso. In passato, la giurisprudenza di legittimità aveva ripetutamente affrontato il tema ponendo in evidenza la necessità al fine di evitare la dichiarazione di adottabilità, della prova della esistenza di rapporti significativi del minore con i congiunti entro il quarto grado.
16
relative a minori stranieri in età adolescenziale, dimoranti in
Italia presso fiduciari dei genitori) si affermi che ciò possa
costituire legittimo esercizio delle facoltà parentali, è da
ritenersi che una siffatta situazione configuri una condizione di
abbandono del minore.
In ossequio a tale principio è stato chiarito che del tutto
legittimamente il giudice del merito, accertata l'insufficienza
dell'assistenza morale e materiale dei genitori, non dipendente da
causa di forza maggiore di carattere transitorio, dichiara il
minore in stato di adottabilità, ove pure, per il passato, in
analoga situazione, si sia provveduto con l'affidamento etero-
familiare - che si sia rivelato inidoneo a risolvere la condizione
del minore -, il quale, di per sé, non è di impedimento alla
dichiarazione anzidetta, in forza dell'espressa previsione
dell'art. 8, secondo comma, della citata legge n. 184 del 1983
(non sostanzialmente modificato dall'art. 8 della legge n. 149 del
2001), atteso che anche la bontà dell'inserimento del minore
presso gli affidatari, se, per un verso, è influente ai fini della
successiva trasformazione dell'affidamento provvisorio in
affidamento definitivo, non lo è affatto, per altro verso, ai fini
del riscontro della sussistenza dello stato di abbandono14.
Infine, va’ esaminato il ruolo dei parenti prossimi del minore, la cui disponibilità a prendersene cura spesso emerge nei
procedimenti di adottabilità, non di rado per la prima volta e
sulla base di spinte motivazionali connesse più alla tutela del
“buon nome” della famiglia allargata, che al benessere del
bambino.
In un contesto di valorizzazione e di recupero, finché possibile,
del legame di sangue, ed anche dei vincoli (in particolare, di
quelli con gli ascendenti in linea retta) che affondano le loro
radici nella tradizione familiare, la quale – a sua volta – trova
14 Cass. civ., sez. I, n. 12168 del 9 giugno 2005; presupposto dell’affermazione giurisprudenziale è che la situazione che giustifica l'affidamento etero-familiare, a norma degli artt. 2 e segg. della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituiti dai corrispondenti articoli della legge 28 marzo 2001, n. 149, e quella che conduce alla pronuncia di adottabilità si differenziano, in quanto la mancanza di "un ambiente familiare idoneo" è considerata, nel primo caso, temporanea e superabile con il detto affidamento, mentre, nel secondo caso, si ritiene che essa sia insuperabile e che non vi si possa ovviare se non per il tramite della dichiarazione di adottabilità.
17
il suo riconoscimento nella costituzione (art. 29), viene
valorizzata la disponibilità a prendersi cura del minore da parte
dei parenti, da intendersi – in ossequio al complesso delle
disposizioni in materia – quelli entro il quarto grado, che
abbiano avuto rapporti significativi con il minore15. Dunque,
secondo la prevalente interpretazione, è proprio il legame
affettivo con il parente che giustifica l’esclusione dello stato
di abbandono16.
Tale principio è stato da ultimo ribadito dalla Cassazione 2006, a
mente della quale in tema di dichiarazione di adottabilità, e di
inidoneità non transitoria dei genitori a prestare le cure
necessarie al minore, qualora si manifesti, da parte di figure
parentali sostitutive, la disponibilità a prestare assistenza e
cure al minore, essenziale presupposto giuridico per escludere lo
stato di abbandono è la presenza di siffatti rapporti dello stesso
con dette persone, giacché la l. n. 184 del 1983 - specie dopo le
modifiche introdotte dalla l. n. 149 del 2001 - attribuisce
rilievo alla parentela, ai fini della esclusione dello stato di
abbandono, solo se accompagnata dalle relazioni psicologiche e
affettive che normalmente la caratterizzano (nella specie, in
applicazione del riferito principio, la Suprema Corte ha
confermato la pronuncia del giudice del merito che aveva ritenuto
irrilevante, al fine di escludere lo stato di abbandono, la
circostanza che i nonni materni avessero dato la propria
disponibilità ad accogliere il minore, facendo difetto un
15 Cass. civ., sez. I, n. 11019 del 12 maggio 2006.
16 Cfr. in primis Cass. 9 maggio 2002 n. 6629 in tema di dichiarazione di adottabilità, qualora si manifesti da parte di figure parentali sostitutive (quali, nella specie, la nonna materna, mai conosciuta dal minore) la disponibilità a prestare assistenza e cure al minore, essenziale presupposto giuridico per escludere lo stato di abbandono è la presenza di significativi rapporti dello stesso con tali persone, giacché alla parentela la legge n. 184 del 1983 attribuisce rilievo, ai fini della sopraindicata esclusione, solo se accompagnata dalle relazioni psicologiche e affettive che normalmente la caratterizzano, a più forte ragione a seguito delle modifiche introdotte alla predetta legge dalla l. 28 marzo 2001 n. 184, il cui art. 11, nel condizionare espressamente, in caso di decesso dei genitori, alla inesistenza di siffatti rapporti tra il minore ed i parenti entro il quarto grado la declaratoria di adottabilità, rende irragionevole una diversa disciplina con riferimento alla ipotesi della inidoneità dei genitori.
18
pregresso rapporto significativo da costoro instaurato con il
nipote)17.
Ciò si desume dalle disposizioni di cui all’art. 12 della legge
n. 184/83, che contiene previsioni di carattere sostanziale volte
a garantire, sia pure in via provvisoria, l’assistenza ed il
mantenimento, l’istruzione e l’educazione del minore, facendo
riferimento ai parenti entro il quarto grado che abbiano avuto
tali rapporti significativi con il minore. Peraltro, le indagini
relative ai parenti entro il quarto grado sono limitate a coloro
che abbiano avuto rapporti significativi con il minore. Inoltre,
anche l’audizione dei parenti entro il quarto grado è limitata a
coloro che abbiano avuto rapporti significativi con il minore.
Ciò va a più forte ragione affermato a seguito delle modifiche
introdotte alla disciplina dell’adozione con la legge 28 marzo
2001, n. 184, il cui art. 11 condiziona espressamente, in caso di
decesso dei genitori, alla inesistenza di siffatti rapporti tra il
minore ed i parenti entro il quarto grado la declaratoria di
adottabilità. L’ipotesi di decesso di entrambi i genitori viene
difatti equiparata a quella di inidoneità di entrambi. La
Cassazione ha in tal caso confermato la sentenza della Corte
d’Appello che aveva ritenuto irrilevante – ai fini dell’esclusione
dello stato di abbandono – la disponibilità espressa dai nonni
materni ad accogliere il minore, in considerazione del concreto
interesse dello stesso, che, essendo inserito stabilmente in
un’altra famiglia, avrebbe vissuto con disagio un ritorno nella
famiglia di origine che neppure conosce.
Qualora dunque il minore, abbandonato dai genitori, goda
dell’apporto sostitutivo dei nonni, ma questi non siano in grado –
ancorché per ragioni da loro indipendenti (età, consolidate
abitudini di vita) di offrire cure materiali e morali atte ad
assicurare l’interesse del minore, la dichiarazione di
adottabilità non trova ostacolo nel diritto del minore ad essere
educato nella propria famiglia, atteso che la normativa esprime
una scelta preferenziale in caso di inidoneità della famiglia ad
offrire supporto ed assistenza al minore.
17 Cassazione civile , sez. I, 10 agosto 2006, n. 18113
19
Il carattere significativo dei rapporti tra minore e parenti entro
il quarto grado va individuato nell’ottica dell’interesse del
minore, e va dunque escluso ove emerga un atteggiamento dei
parenti privo di ogni utile apporto ai bisogni materiali e morali
del minore, seguito da dichiarazioni di disponibilità che
risultino prive di concretezza e di serietà18.
Altro orientamento ritiene invece sufficiente ai fini
dell’esclusione dello stato di abbandono la mera disponibilità dei
parenti a prendersi cura del minore, anche quando non abbiano
stretti legami con lui19.
E’ comunque evidente – come si è già rilevato - che la dichiarata
disponibilità di uno di tali parenti ad occuparsi dello stesso non
è sufficiente, di per sé, ad escludere la situazione di abbandono,
dovendo la stessa essere suffragata da elementi oggettivi che la
rendano credibile20.
La giurisprudenza assolutamente prevalente è dell’idea che i
significativi rapporti affettivi debbano essere preesistenti alla valutazione del tribunale in ordine alla sussistenza dello stato
di abbandono21, ma non mancano pronunzie in senso contrario; in
particolare è stato affermato22 (sempre con riferimento all’ormai
nota concezione dell’adozione quale "extrema ratio") che la
18 Cfr. Cass. Civ. 7 gennaio 1987 n. 2, per cui il carattere " significativo " dei rapporti fra il minore e parenti entro il quarto grado, quale situazione ostativa alla dichiarazione dello stato di adottabilità, ai sensi dell’art. 12 della l. 4 maggio 1983 n. 184 deve essere individuato dal punto di vista degli interessi del minore, e, quindi, va escluso ove emerga un atteggiamento di detti parenti (nella specie, nonni) privo di ogni utile apporto alle esigenze morali e materiali del minore medesimo, seguito da dichiarazioni di disponibilità che risultino prive di concretezza e serietà.
19 cfr. Cass. Civ. , sez. I, 29 novembre 1996, n. 10656, a mente della quale anche alla luce di una corretta configurazione dell'istituto adottivo come "extrema ratio", essendo preferibile per il minore di crescere nella sua famiglia di origine (di cui fanno parte anche i parenti entro il quarto grado), non può dichiararsi la situazione di abbandono (anche) quando sia dimostrata la seria disponibilità a prestare assistenza materiale e morale al minore da parte di parenti entro il IV grado che con lo stesso non abbiano avuto per il passato significative relazioni materiali ed affettive).
20 Cass. civ. sez. I, n. 4407 del 28/2/2006.
21 Cass. civ., sez. I, n. 11993 dell’8/8/2002.
22 Cass. pen. sez. I, n. 1095 del 1°/2/2000.
20
mancanza di assistenza morale e materiale del minore e
l’indisponibilità ad ovviarvi, quali condizioni per la
dichiarazione dello stato di adottabilità, vanno valutate anche
con riguardo ai parenti entro il quarto grado che non abbiano
avuto rapporti significativi con il minore, a nulla rilevando che
l'art. 12, u.c., della citata legge n. 184 del 1983 limita la
partecipazione al procedimento di cui si tratta a coloro, tra
detti parenti, che abbiano mantenuto tali rapporti. La tesi viene
sostenuta avendo riguardo al carattere meramente processuale della
menzionata disposizione, dalla quale non potrebbe trarsi un
principio di diritto sostanziale che imponga di dichiarare lo
stato di adottabilità pur quando sia dimostrata la seria
disponibilità a prestare assistenza materiale e morale al minore
da parte di parenti entro il quarto grado che con il medesimo non
abbiano avuto per il passato significative relazioni materiali ed
affettive. Ne consegue che tale disponibilità andrebbe presa in
considerazione anche in sede di opposizione al decreto, o di
appello, ed anche con riferimento a fatti sopravvenuti
all'originario provvedimento.
- 5 – L’adozione ex art. 44 l. n. 184/83 e l’impossibilità di
affidamento preadottivo.
L’art. 44 della legge sull’adozione prevede delle ipotesi
tassative di adozione in casi particolari, nelle quali si consente
di derogare ai requisiti dell’adozione legittimante, in condizioni
particolari, per offrire tutela al minore.
Il primo caso, di cui all’art. 44 lett. a), riguarda il minore
orfano di entrambi i genitori, adottato da parenti entro il 6°
grado o da persone con cui abbia instaurato un rapporto stabile e
duraturo, prima della morte dei genitori. L’evidente finalità è
quella di evitare che il minore venga sradicato dal contesto
familiare, consentendo all’autorità giudiziaria di scegliere nel
novero più ampio possibile di nuclei familiari parentali.
La seconda ipotesi è costituita dall’adozione da parte di un
coniuge, del figlio (legittimato, legittimo, naturale o adottivo)
dell’altro coniuge. Qui, mancando lo stato di abbandono del
minore, non sarebbe possibile pronunciare l’adozione legittimante
21
e tuttavia, la ratio sottesa dalla normativa è quella di dare una
famiglia completa al minore, facendolo adottare dal nuovo coniuge
del genitore23.
L’ipotesi più significativa e discussa di adozione speciale è
quella di cui all’art. 44 lett. D), ovvero connessa
all’impossibilità di affidamento preadottivo. Quest’ultima ipotesi
era prevista alla lett. C, che poi è divenuta lett. D) a seguito dell’inserimento, da parte della legge n. 149/01, dell’ipotesi del
minore, handicappato e orfano di entrambi i genitori, che può
essere adottato anche da persone non legate a lui da vincoli
parentali ed affettivi. Si tratta, peraltro, di modifica
sostanzialmente ultronea, atteso che l’adozione di un bambino
affetto da problemi di salute, indipendentemente dalla sua
condizione di orfano, già rientrava nella precedente lett. C).
In dottrina, si discute se detta impossibilità vada intesa in
senso fattuale o giuridico.
La "constatata impossibilità di affidamento preadottivo", secondo
parte della dottrina, indica una situazione in cui sussistono
tutti i presupposti giuridici per procedere all'adozione
legittimante, ma in cui si riscontra un'impossibilità di fatto a
causa della situazione difficile del minore, che nessuna coppia di
coniugi è disposta ad accogliere. È quindi necessario che il
minore versi in stato di abbandono ai sensi dell'art. 8, l. n.
184/1983 e che tale condizione sia stata giudizialmente accertata
tramite la dichiarazione di adottabilità24. In questo ambito assai
restrittivo, qualche Autore ha cominciato a ritenere che una
ragionata previsione dell'impossibilità in fatto dell'affidamento
preadottivo consentirebbe di prescindere dalla dichiarazione dello
stato di adottabilità, costituendo quest'ultima soltanto una
23 Cfr. L. ORSINGHER, L’adozione, a cura di G. Cassano, Halley , Avellino, 2007, fl. 138.24 G. Cattaneo, Adozione, in Digesto, disc. priv., sez. civ., I, Torino 1987, 117; M. Dogliotti, Affidamento e adozione, in Trattato di diritto civile commerciale già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano 1990, 316; C. Ebene Cobelli, adozione in casi speciali, in Enc. giur. Treccani, I, Roma 1991, 2; A. Finocchiaro, in A. e M. Finocchiaro, Disciplina dell'adozione e dell’affidamento dei minori, Milano 1983, 448; Manera, L’adozione legittimante, Roma, 1990, 56 ss..; P. Ubaldi, Osservazioni in tema di affidamento familiare e di adozione in casi particolari, in Giur. it. 1985, I, 2, 693; A. Zini, Commento alla l. n. 184/1983, in Commentario breve al c.c., leggi complementari, a cura di G. Alpa e P. Zatti, Padova 1995, 85
22
complicazione o un rallentamento della procedura25. La
"constatazione" che la legge esige non può infatti ridursi ad una
mera previsione, sia pure fondata e ragionevole, ma deve tradursi
in una effettiva sperimentazione sfociata nell'insuccesso.
Tale interpretazione restrittiva è stata giustificata anche in
base a considerazioni storico-sistematiche. Nella relazione De
Carolis, concernente il disegno di legge da cui deriva la
normativa vigente, si osservava infatti l'opportunità di
conservare l'adozione non legittimante, per quanto ritenuta
storicamente superata, come si desume dall’abrogazione delle norme
del codice civile relative all’istituto dell’affiliazione, nei
seguenti termini:
“quando si sia constatata l'impossibilità di un affidamento
preadottivo del minore dichiarato adottabile e vi sia anche una
singola persona disposta ad occuparsene convenientemente e
continuativamente (vi sono situazioni di minori grandicelli o
handicappati che non si riesce a dare in affidamento preadottivo
per cui appare opportuno anche ripiegare sull'adozione non
legittimante da parte di persone non aventi i requisiti per
l'adozione legittimante)".
Sembra quindi chiaro che l'attuale lett. d) sia stata concepita
come una via d'uscita per le situazioni più problematiche, al fine
di evitare un'istituzionalizzazione sine die del minore.
Si è sottolineata, inoltre, la residualità dell'adozione
particolare rispetto al modello generale dell'adozione
legittimante, che è comunque considerato l’istituto maggiormente
idoneo a garantire la migliore famiglia al minore che si trovi in
stato di abbandono, nonché uno status giuridico equiparabile alla
filiazione.
La giurisprudenza di merito si è orientata invece per
un'interpretazione estensiva della formula di cui alla lett. d)
dell'art. 44, l. n. 84/1983, ritenendo che essa non possa
riduttivamente identificarsi con l'impossibilità di fatto
derivante dalle condizioni “anomale” del minore, ma che essa
ricorra anche nell’ipotesi di impossibilità giuridica di praticare
l’affidamento preadottivo, dovuta alla mancanza o impossibilità di
una dichiarazione di adottabilità, per l’insussistenza di una 25 Cfr. L. SACCHETTI, Il commentario dell’adozione e dell’affidamento, Rimini, 1986, 113 ss.
23
situazione di abbandono in senso giuridico26. Tra le altre, dunque,
l’impossibilità viene individuata nell’ipotesi in cui, essendo il
minore legato a figure genitoriali precise, voglia darsi veste
giuridica a situazioni di fatto. Particolarmente, ciò accade
quando il minore sia affidato a parenti, senza essere orfano dei
genitori, o quando gli adottanti siano privi dei requisiti di cui
all’art. 627.
Se è concordemente ammessa la riconducibilità all’art. 44 lett. D)
dell’adozione in casi particolari in favore di parenti entro il
quarto grado, in quanto non altera i rapporti tra adozione
legittimante e non, vi sono alcune interpretazioni avanzate della
dottrina e di parte della giurisprudenza di merito, che forniscono
un’interpretazione ancora più estensiva della formula
“impossibilità di affidamento preadottivo”: tale presupposto
ricorre anche qualora il distacco del minore dagli affidatari, sia
pure abusivi o privi dei requisiti necessari per l’adozione
legittimante (differenza di età, rapporto di coniugio, scelta
comparativa), possa con presumibile certezza procurargli gravi
26 Favorevole all’interpretazione relativa all’impossibilità giuridica dell’affidamento preadottivo nell’adozione speciale ex art. 44 lett. D), è la sentenza del Trib. Min. Milano 28 marzo 2007 in Guida al diritto – Famiglia e minori, n. 10/07, fl 83, che in un caso di adozione speciale di una minore, orfana di padre, che viveva dalla nascita con l’adottante, compagno della madre,ha affermato il principio per cui l’impossibilità di affidamento preadottivo si può avere anche quando manchi lo stato di abbandono, così valorizzando i legami affettivi creatisi e consentendo l’adozione da parte di persone singole o anziane. Con sentenza Trib. Min Milano, 7 febbraio 2007, in Famiglia e minori, Guida al diritto, n. 8/07, fl. 84, si è consentita l’adozione speciale anche nell’ipotesi in cui tra gli adottanti fosse intervenuta separazione legale, in considerazione del superiore interesse della minore alla contiità degli affetti. Un ulteriore caso in cui è stato disposta l’adozione ex art. 44 lett. D) a idonea coppia genitoriale, nella prospettiva che fosse garantita alla minore una frequentazione con la famiglia di origine, cfr. Trib. Min. Salerno, decreto 23 marzo 2007. 27 Cfr. in particolare App. Bologna 15 aprile 1989, Giur. merito 1991, 93, con nota di Manera, Trib. Min. Perugia, 22 luglio 1997, in Dir. Famiglia 1998, 1479, Trib. min. Bologna 29 maggio 1988, Dir. famiglia 1989, 139; App. Bologna 4 gennaio 1984 e 27 febbraio 1985, ivi 1985, 545, che consentono ai parenti entro il IV grado l'adozione del minore, che non sia orfano di madre e di padre, ai sensi della lett. c) dell'art. 44, l. n. 184/1983. Per un'interpretazione elastica del medesimo art. 44, lett. c), secondo cui l'impossibilità di affidamento preadottivo sussiste non soltanto nell'ipotesi in cui il minore, del quale è stato dichiarato lo stato di adottabilità, sia rifiutato dalle coppie aspiranti all'adozione a causa di una sua condizione personale anomala, ma anche qualora il distacco dagli affidatari (privi dei requisiti per l'adozione legittimante e eventualmente abusivi) possa provocare al minore seri e gravi traumi, cfr. Trib. min. Trieste 9 luglio 1984. Cfr. quanto all’applicabilità dell’art. 44 anche in materia di adozione internazionale, Trib. Min. Trento 11 marzo 2002, Dir. Famiglia 2004, nota GALOPPINI.
24
traumi in ragione dell’irreversibile legame affettivo
instauratosi.
In virtù della prevalenza del principio della continuità degli
affetti sul principio della legalità, pur non esistendo ostacoli –
né in fatto e né in diritto – all’adozione legittimante
(ovviamente rispetto a soggetti diversi da quelli attualmente
affidatari), non potrebbe ricorrersi a tale procedimento e, pur
quando fosse intervenuta la dichiarazione di adottabilità,
dovrebbe essere interrotto. Secondo tale orientamento, accanto
all’ “impossibilità oggettiva” di affidamento preadottivo,
derivante dall’assenza di coppie aspiranti, si è individuata
un’impossibilità “soggettiva”, giustificata esclusivamente in base
al preminente interesse del minore. Tale orientamento non viene
tuttavia accolto da una parte della dottrina, preoccupata del
fatto che in questo modo possa aprirsi la strada a situazioni
abusive, o che l’adozione speciale divenga uno strumento
alternativo e concorrente rispetto all’adozione legittimante28.
- 5 bis – l’elaborazione dottrinaria sul semi – abbandono
permanente e la sperimentazione dell’adozione mite.
28 La questione si è posta con particolare drammaticità in relazione alla nota vicenda di Serena Cruz. Si trattava di una bambina cilena portata illegalmente in Italia e trattenuta con sé da due coniugi. La situazione illegale si protrasse per oltre un anno, con espedienti posti in essere dai coniugi. Con sentenza del 18 aprile 1989 della Corte di Appello di Torino venne confermato il provvedimento di allontanamento della bambina dai coniugi, con successivo affidamento della stessa ad un’altra coppia. Nella contrapposizione, che spaccò l’opinione pubblica, tra il rispetto del principio di legalità e quello della prevalenza degli affetti, i giudici minorili si schierarono nel primo senso. Così argomentano i giudici di Torino: “…Il conflitto non è soltanto tra la persona di Serena e l'applicazione della legge. Nella situazione attuale di diffuso traffico di bambini, il conflitto si pone anche tra le persone di innumerevoli bambini (esposte ad essere oggetto di mercato) e la disapplicazione della legge. Infatti la legge difende le persone di tutti i bambini. Rifiutando di tradire la legge e di «legalizzare» la frode ad essa, i giudici operano a servizio dell'interesse di tutti i bambini. Se tale rifiuto produce una sofferenza per Serena, quella sofferenza non è conseguenza della applicazione della legge, bensì conseguenza della prolungata frode dei Giubergia…”. Il caso viene esaminato da G. ZAGREBELSKY, Il diretto mite, EINAUDI,1992, 292, Il quale evidenzia che il principio di legalità avrebbe dovuto trovare tutela in sede penale e mai sacrificando le esigenze affettive e di tranquillità psicologica della minore, facendole subire il trauma dell’allontanamento familiare e considera che il principio di solidarietà non può essere applicato astrattamente alla categoria dei minori, con sacrificio del concreto interesse della bambina in questione.
25
Cominciata nel giugno 2003 come semplice prassi giudiziaria
autorizzata dal CSM nel Tribunale per i Minorenni di Bari e
fondata sul parziale insuccesso della legislazione in tema di
affidamento familiare e sull’esigenza di dare maggiore impulso al
processo di deistituzionalizzazione dei minori (in vista della
scadenza del dicembre 2006 per la chiusura degli istituti), la
sperimentazione dell’adozione mite sta negli ultimi tempi
assumendo la dignità di un progetto culturale qualificante, del
tassello significativo di un più ampio discorso destinato a
modificare sensibilmente le linee normative attualmente vigenti in
tema di adozione e affidamento familiare29. 29 Le informazioni fornite sono contenute in due scritti del dr. Franco Occhiogrosso, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bari:
- “L’adozione mite due anni dopo”, relazione presentata al Convegno Ai.Bi, <I bambini nel limbo>, svoltosi a Bellaria il 28-31 agosto 2005, pubblicata su Minorigiustizia, n. 3, 2005, pag. 149 e ss.;
- “L’adozione mite e le nuove prospettive emergenti”, articolo pubblicato sulla rivista Minorigiustizia, n. 2, 2006, nella sezione Documenti.
L’iter di tale procedura si articola in due fasi, entrambe dirette ad approfondire la situazione personale e familiare del minore ed a formulare per lui un progetto di vita futura. La prima fase si propone il fine di verificare se vi sono le condizioni per il rientro del minore nella sua famiglia e di realizzarlo; la seconda è diretta –una volta accertata l’impraticabilità del rientro in famiglia- a procedere all’adozione in favore del minore, che sarà quella legittimante, se si riscontra una situazione di abbandono morale e materiale; sarà, altrimenti, l’adozione non legittimante di cui all’art. 44 lett d) della L. 184/1983, se il minore non è in abbandono, ma è permanentemente privo di ambiente familiare idoneo.La prima fase suindicata si attua con la ripetuta discussione della vicenda in camera di consiglio e con l’espletamento di un’istruttoria collegiale funzionale anzitutto a realizzare insieme con i servizi territoriali l’immediato rientro del minore nella propria famiglia; a programmare, inoltre, nell’eventualità che ciò non sia possibile, un piano d’intervento socio-giudiziario con prescrizioni dirette –anche prevedendo i sostegni e gli aiuti previsti dall’art. 1 L. 184/1983- ad agevolare il rientro del minore nella famiglia in tempi congrui; a procedere, in una terza ipotesi ad un affidamento familiare giudiziario (nell’ambito del procedimento civile pendente per il minore e previa comparazione tra tutte le famiglie disponibili ad accoglierlo), quando il minore sia ospite di una comunità e non risulti realizzabile, in tempi congrui, nemmeno con adeguati sostegni, il rientro del medesimo nella famiglia biologica. L’affidamento familiare, che viene disposto in tal caso, ha natura giudiziaria, essendo pronunziato ai sensi del combinato disposto degli artt. 4, 2° comma, L. 184/1983 e 330 e seguenti del codice civile, per effetto del disagio familiare riscontrato, in linea con un orientamento dottrinale da tempo affermato. Si creano così le condizioni per una verifica in tempi più lunghi (rispetto alle ipotesi prospettate in precedenza) delle possibilità di recupero della famiglia di origine e di successivo rientro del minore. Infine, nel caso in cui l’affidamento familiare superi la scadenza prevista ed anzi si protragga per vari anni oltre tale termine, gli affidatari del minore vengono invitati a presentare –sempre nel caso in cui il rientro nella famiglia di origine non risulti praticabile- una domanda di adozione mite come dimostrazione della loro disponibilità a modificare la qualità del rapporto già da tempo esistente con il minore, trasformandolo da
26
Il punto di partenza del discorso è costituito dalla constatazione
che il numero dei bambini dichiarati adottabili e poi adottati è
andato notevolmente diminuendo negli ultimi anni, a conferma che
le situazioni di pieno abbandono morale e materiale tendono a
ridursi, mentre resta sempre alto quello delle domande di
adozione. A ciò si aggiunge che l’adozione internazionale, verso
cui molte coppie si orientano, ha costi alti, che spesso
scoraggiano gli aspiranti adottanti.
Da un’indagine effettuata dal Centro nazionale di documentazione
ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza, risulta che, dei 10.200
bambini dati in affidamento familiare in Italia alla data del 30
giugno 1999, solo il 42 % è rientrato in famiglia, mentre ben il
58 % non vi è tornato. Una larga parte di bambini, quindi, resta
presso la famiglia affidataria e per lo più l’affidamento
familiare temporaneo si trasforma in un affidamento senza termine
(cd. affidamenti sine die) grazie a provvedimenti giudiziari di
proroga. Ma questi bambini rischiano di avere un futuro molto
incerto quando raggiungeranno il diciottesimo anno, perché la loro
famiglia di origine nella massima parte dei casi continuerà a non
essere in grado di accoglierli (pur mantenendo con loro rapporti
personali, sia pure per lo più sporadici), mentre gli affidatari
non si sentiranno impegnati in alcun modo ad accoglierli nella
loro famiglia come figli.
Infatti è di tutta evidenza che l’impostazione normativa attuale
ha trascurato del tutto il caso frequente della famiglia inidonea
parzialmente, ma in modo continuativo, a rispondere ai bisogni
educativi del figlio; che è cioè incapace di rispondere alle sue
esigenze educative, ma che non lo ha abbandonato e, anzi, ha con
lui un rapporto affettivo significativo, anche se inadeguato. In tal caso, da un lato, non è opportuno nell’interesse del minore
che tale rapporto venga del tutto cancellato, ma, dall’altro, non
affidamento familiare in adozione particolare ai sensi dell’art. 44 lettera d) legge 184/1983, oppure in quella legittimante dello stesso minore, se si ravvisano le condizioni per procedere alla sua dichiarazione di adottabilità. Viene in tal modo posto termine a quella condizione familiare precaria, consistente nell’affidamento “sine die”, che crea quella situazione nota con l’espressione “bambini nel limbo”, relativa a minori che rischiano vere e proprie crisi di identità, perché perennemente scissi tra la dimensione affettiva, che li fa sentire ben integrati nella famiglia affidataria, e quella giuridica, che li fa appartenere totalmente alla famiglia d’origine.
27
esiste una ragionevole previsione di pieno recupero di esso. Si
tratta del cd. semiabbandono permanente, che è privo di qualunque riconoscimento normativo, in quanto riceve quale risposta solo
l’affidamento familiare: viene, cioè, gestito come se si trattasse
di un’inidoneità familiare di carattere temporaneo, mentre si
tratta di cosa ben diversa30.
Una riflessione in termini giuridici sulla nozione dottrinaria di
semi – abbandono permanente si fonda sulla dicitura contenuta
nell’art. 44 “quando non ricorrono le condizioni dell’art. 7”, che
ha indotto la prevalente giurisprudenza a ritenere che l’adozione
in casi particolari prescinda dalla dichiarazione di adottabilità
dello stesso, se sussistono i presupposti sostanziali dello stato
di abbandono. Un’interpretazione evolutiva muove dalla lettura
coordinata tra l’art. 44 con riferimento all’esclusione dell’art.
7 e la lett. D), che fa riferimento all’impossibilità di affido
preadottivo, per ritenere che possa pervenirsi all’adozione
speciale, anche quando non ricorrano situazioni di abbandono del
minore tali da giustificare una pronuncia di adottabilità31.
Un ulteriore elemento interpretativo è costituito dal
coordinamento tra l’art. 44 lett. D e gli artt. 45 e 46, laddove,
ai fini dell’adozione speciale, non si esige il presupposto
dell’abbandono materiale e morale, quanto il consenso dei genitori
o del tutore e del minore che abbia compiuto gli anni 14, ovvero,
in caso di mancato assenso e quando esso sia ingiustificato, il
mancato esercizio della potestà a seguito di un provvedimento di
30 In ordine ad un’analisi sociologica del fenomeno del semi – abbandono, nel quale l’interruzione dei rapporti del bambino con le figure parentali potrebbe rivelarsi pregiudizievole, cfr. V. POCAR e P. RONFANI, Famiglia e diritto, Laterza, Bari, 101 ss. Si evidenzia il presupposto culturale della l.n. 184/83, della prevalenza della famiglia degli affetti su quella biologica. Commentano gli autori: “… all’attuale modello ‘forte’ di adozione potrebbe dunque affiancarsene uno ‘mite’, non rivolto a creare per legge una nuova ed esclusiva genitorialità…”. 31 Cfr. Trib. Min Bari, 7 maggio 2008, adottata ex art. 44 lett. D) , in un caso in cui la minore era da tempo collocata in affidamento familiare, ed incontrava regolarmente la madre. Si era dunque determinata una situazione definita “palesemente irreversibile”, ostativa ad un rientro della minore in famiglia, e d’altra parte la piccola aveva radicato con gli affidatari un saldo legame affettivo, atteso che viveva presso di essi dall’età di due anni, pur non avendo mai interrotto i rapporti con la madre. Questa peraltro aveva prestato l’assenso all’adozione della figlia ed aveva un ottimo rapporto con gli affidatari. Si segnala anche un decreto Trib. Min. Napoli, 24 ottobre 2007, nel quale, in un caso di persistente inadeguatezza della famiglia di origine, veniva comunque da questa espresso un consenso all’adozione mite dei minori.
28
sospensione o decadenza dalla potestà32. Tale previsione, oltre ad
escludere la necessità di una declaratoria dello stato di
adottabilità – che di per sé sospende la potestà genitoriale –
sembra escludere la necessaria ricorrenza del presupposto dello
stato di abbandono. Infatti, in caso di ingiustificato dissenso da
parte dei genitori, è sufficiente che ricorrano i presupposti per
assumere un provvedimento ablativo della potestà, ovvero occorrono
carenze nella capacità genitoriale certamente gravi, ma non di
tale entità da configurare una situazione di abbandono materiale e
morale tale, da determinare una declaratoria di adottabilità. Ad
ulteriore conferma, l’art. 10 della l.n. 184/1983 prevede la
possibilità di adottare i provvedimenti di cui agli artt. 330 –
333 c.c. in pendenza di un procedimento di adattabilità e dunque
prima ed indipendentemente da siffatta pronuncia33.
Il concetto di “semiabbandono permanente” è stata ripresa e
sintetizzata nella relazione alla Proposta di Legge n. 5724,
decaduta per fine legislatura, che era stata presentata il
16/3/2005 dai deputati Bolognesi, Finocchiaro, Turco ed altri alla
Camera. Nella relazione suddetta si legge:
“Il nostro sistema legislativo prevede tre diversi percorsi per
un bambino in difficoltà familiare:
a) in caso di difficoltà modeste, soprattutto se la famiglia
collabora, o comunque non si oppone, è previsto un sostegno dei
servizi sociali, i quali aiutando in vario modo sia la famiglia,
sia il bambino, fanno sì che il minore possa continuare a vivere
nel proprio nucleo familiare;
32 E’ pacifico che la mancanza di assenso da parte di un genitore esercente la potestà si ponga come ostativo all’adozione speciale, precludendo al giudice la valutazione del carattere giustificato dei motivi a suo fondamento (cfr. Cass. 26 luglio 2000, n. 9795, in Mass. Giust. Civ., 2000, 2047).33 Assai efficace, riguardo al rapporto tra adozione legittimante e non legittimante, è la seguente considerazione contenuta nella citata sentenza Trib. Min. Bari, 7 maggio 2008: “…Pertanto l’area di applicazione della prima adozione (quella non legittimante), è diversa da quella della seconda (quella legittimante) e ne deriva che il rapporto tra le due adozioni 44 d) e legittimante) non va inteso solo come riguardante in entrambi i casi i soli minori adottabili; ma deve essere interpretato in senso più ampio e cioè come simile a quello esistente tra due cerchi concentrici, dei quali il più piccolo riguarda i casi in cui il minore venga dichiarato adottabile e quindi sia destinato all’adozione legittimante, mentre il più grande riguarda quelle zone grigie dell’abbandono, quelle situazioni cioè che, pur non dando luogo ad un abbandono pieno, possono tuttavia ritenersi rientranti nel concetto di “semiabbandono permanente”…”.
29
b) in caso di difficoltà rilevanti, ma temporanee e quindi
considerate superabili in tempi sufficientemente brevi, il bambino
può essere dato in affidamento familiare, o temporaneamente
collocato presso una casa famiglia per un periodo della durata
massima di due anni;
c) in caso di difficoltà gravi, in cui la famiglia pone in essere
maltrattamenti rilevanti o abbandona materialmente e moralmente il
minore, e nel caso in cui la situazione risulta essere
irreversibile, il bambino viene dichiarato adottabile e dato in
adozione.
Questa impostazione del nostro sistema trascura completamente un
caso che invece, purtroppo, è assai frequente: quello designato
nella terminologia della giustizia minorile come “semiabbandono
permanente”. Si fa riferimento alle situazioni nelle quali la
famiglia del minore è più o meno insufficiente rispetto ai suoi
bisogni, ma ha un ruolo attivo e positivo, che non è opportuno
venga cancellato totalmente. Nello stesso tempo, non vi è alcuna
ragionevole possibilità di prevedere un miglioramento delle
capacità della famiglia, tale da renderla idonea a svolgere il suo
compito educativo in modo sufficiente, magari con un aiuto esterno
curato dai servizi sociali. Queste situazioni di carenza della
famiglia solo parziale,ma permanente, non sono contemplate dalla
legge. La recente riforma dell’adozione nazionale, entrata in
vigore nel 2001 (legge n. 149 del 2001) non ha preso in
considerazione questo problema…”.
Rispetto alle situazioni che rientrano nel semi – abbandono
permanente, che ancora non ha una consacrazione normativa, viene
valorizzata la suesposta interpretazione evolutiva di quella forma
di adozione in casi particolari prevista dall’art. 44 d) della L.
4.5.1983 n. 184, che consente l’adozione di bambini “quando vi sia
la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. Come si è
detto, questa espressione della legge viene intesa dalla
giurisprudenza come riferibile sia ai casi di bambini portatori di
difficoltà personali, sia a quelli in cui un bambino abbandonato
si trovi già presso un'altra famiglia, a cui è legato da un
30
rapporto affettivo solido, tanto che un allontanamento
determinerebbe per lui un serio pregiudizio34.
In sostanza questa forma di adozione si rivolge alle zone grigie
dell’abbandono dei minorenni, a quelle situazioni cioè che
inizialmente risultate di semiabbandono o di difficoltà
temporanea tale da condurre all’affidamento familiare (perché per
lo più manca una capacità educativa dei genitori di origine, ma
esiste un legame affettivo che non consente l’interruzione totale
dei rapporti), si siano poi evolute in senso negativo per effetto
del mancato rientro del bambino nella famiglia di origine, anche
se gli incontri e le visite con tale famiglia continuano.
Questa adozione, com’è noto, può essere effettuata da una coppia
o da persona singola e non prevede alcun limite massimo di
differenza di età tra adottanti e adottando. Si realizza con il
consenso del minore, se ultraquattordicenne, o dei genitori
naturali, se esercitano la potestà su di lui, oppure del tutore,
se i genitori, come non di rado accade, sono stati dichiarati
decaduti dalla potestà. Essa non interrompe il rapporto di
filiazione (al contrario dell’adozione legittimante) tra minore e
genitori di origine, ma ne aggiunge un secondo conseguente
all’adozione. La potestà spetta all’adottante. Di fatto i rapporti
interpersonali con la famiglia di origine sono rari e per lo più
34 In situazioni particolari, dichiarando lo stato di abbandono e quindi l’adottabilità, alcune pronunce hanno affermato che l’adozione non sempre deve necessariamente comportare l’interruzione di ogni rapporto affettivo e di fatto del minore con la sua famiglia d’origine, dovendosi invece tener conto dell’interesse del minore stesso a non disperdere la sua storia personale e a mantenere relazioni con alcuni parenti significativi per lui, ma non disposti a farsi carico della sua crescita (cfr. TM di Bologna 9/9/2000 in Famiglia e Diritto, n.1/2001 e TM di Roma, 1999 e 1990 ivi richiamate; TM di Bologna 28/11/2002 in Minori e Giustizia, n.1/2003). Sono state decisioni dettate dalla necessità di mantenere il minore nella famiglia a cui era stato affidato ed in cui era cresciuto nonostante si fosse instaurato un rapporto di conoscenza tra gli affidatari e membri della famiglia di origine (in entrambi i casi i nonni) che costituivano figure care ai minori e non disturbanti. Si è parlato in tali fattispecie, di ‘adozione aperta’ che, secondo questa interpretazione, consentirebbe di applicare in modo evolutivo l’istituto dell’adozione legittimante, che comunque è considerato come la principale forma di adozione, evitando così un’applicazione estensiva dell’adozione non legittimante, con il rischio che essa divenga sostitutiva della prima. Anche con riferimento all’adozione aperta, si è espresso il timore che un ricorso a tale forma di adozione “che non fosse necessariamente rigoroso e limitato” comprometterebbe la ratio e la funzione dell’adozione legittimante e potrebbe trasformare l’affidamento familiare nell’anticamera dell’adozione (cfr A.Figone in Famiglia e Diritto cit.).
31
disciplinati dal tribunale nel provvedimento di adozione, se ciò
viene fatto oggetto di specifica richiesta.
Proprio per le sue caratteristiche ed i suoi effetti questa
adozione viene indicata come “mite” in contrapposizione
all’adozione nazionale legittimante o “forte”, disciplinata dagli
articoli da 6 a 25 della L. 4.5.1983 n. 184, la quale interrompe
definitivamente il rapporto giuridico genitori-figli e non ne
prevede la perpetuazione neanche in via di fatto35.
La sperimentazione è consistita nel proporre alle coppie o ai
singoli disponibili un discorso di portata generale, che abbracci
tutte le prospettive e quindi nell’esporre loro, in occasione
della presentazione della domanda di adozione nazionale, i
contenuti dell’adozione mite ed il suo percorso complessivo;
contestualmente vi è stata una sensibilizzazione dei servizi
sociali e consultoriali sia rispetto ad un adeguato monitoraggio
delle situazioni dei minori in istituto o in affidamento
35 In senso critico rispetto all’adozione mite, si è espressa parte della dottrina minorile. Cfr. E. CECCARELLI, L’affidamento familiare nella legge e nelle sue applicazioni, in Affido forte e adozione mite: culture in trasformazione, ed. Angeli, Milano, 200, fl. 119 ss. che argomenta: “.. Costruire per legge “nuove” forme di adozione, proponendole per un’applicazione generalizzata e non doverosamente (quando lo richiede l’intesse del minore) residuale può indurre il giudice ad essere meno rigoroso, a preferire di essere (o sembrare) più “mite”. D’altra parte strutturare l’affidamento familiare come anticamera dell’adozione rischia di svuotarlo del suo senso e di scardinare la fiducia tra la famiglia del minore e la famiglia affidataria, che costituisce il presupposto necessario di ogni affido ben riuscito.L’adozione in casi particolari ha una sua storia di oltre un ventennio ed è servita a dare soluzioni dignitose ed utili per i minori in molti spesso non affrontati per tempo in modo risolutivo. Non sembra dunque opportuno riformularla come una innovativa soluzione che non sembra in realtà presentare vantaggi, ma invece potrebbe entrare in concorrenza (non sempre leale) con procedure di adottabilità che richiedono accertamenti più impegnativi e difficili…”.Tuttavia, cfr. F. OCCHIOGROSSO, L’adozione mite e le nuove prospettive emergenti, in Affido forte e adozione mite, cit. 91 ss. , in cui si confutano le argomentazioni relative a pericoli di confusione tra le varie forme di adozione: “…l’adozione mite offre un percorso diverso per la realizzazione dell’adozione aperta nell’ambito della quale si pone. Presenta peraltro alcuni vantaggi rispetto all’altra: è estremamente graduale e determina lentamente situazioni di fatto relative all’integrazione affettiva e sociale del minore nella famiglia affidataria tali da agevolare notevolmente l’adozione; L’adozione mite consente la definizione del percorso d’identità del minore, superando la sua condizione di “minore nel limbo”; _ evita la pronunzia del decreto di semiabbandono permanente, che costituisce sempre per i genitori una forma di stigmatizzazione, un’umiliazione psicologica che esaspera il loro disagio invece di favorire l’accettazione della situazione; … L. Solo nel caso in cui ogni impegno per realizzare un tale programma dovesse fallire, potrà intervenire la previsione normativa che consente al tribunale di procedere, in caso di mancato assenso del genitore non esercente la potestà, all’adozione particolare se ritiene che l’adozione realizzi il superiore interesse del minore…”.
32
familiare, sia delle disponibilità e dell’idoneità delle famiglie
dichiaratesi disponibili all’accoglienza di minori.
A conclusione di questa prima fase, si possono riferire i dati
relativi al percorso dell’adozione mite nel periodo giugno 2003–
luglio 2006. Sono stati de-istituzionalizzati 156 minori, di cui
43 sono rientrati definitivamente in famiglia; 113 sono stati
affidati in affidamento familiare; mentre 141 sono stati adottati:
di essi, 74 con adozione non legittimante e 67 con adozione
legittimante.
Il rilievo culturale di questa nuova prospettiva è attestato da
due proposte di legge – presentate nella passata legislatura – che
si occupano dell’argomento: l’una è quella n. 5701/2005, avente ad
oggetto “Modifiche alla legge 4/5/1983 n.184 in materia di
adozione aperta” ed è stata presentata l’8/3/2005 dall’on. Burani
Procaccini, presidente della Commissione Bicamerale per
l’infanzia, e da altri; la seconda è quella n. 5724/2005 in
materia di adozione aperta e adozione mite ed è stata presentata
dall’on. Bolognesi, autorevole componente della stessa Commissione
parlamentare e da altri36.
Le relazioni di entrambe le proposte, dopo aver fatto riferimento
ad un’indagine conoscitiva in tema di adozione e affidamento,
approvata dalla Commissione parlamentare per l’infanzia nella
36 Il Consiglio Direttivo dell’Associazione dei Magistrati per i Minori e per laFamiglia, in occasione della riunione del 24 giugno 2006, ha approvato il seguente documento:“… Da qualche anno è in corso un dibattito sull’adozione e sull’affidamento familiare che ha comportato da un lato la ricerca di nuove prassi, come a Bari con l’esperienza sull’adozione mite, e dall’altro la formulazione di numerose proposte di legge. Siamo convinti che a monte di questo dibattito ci sono dei problemi reali che devono essere pensati ed affrontati.E’ merito di questo dibattito l’avere messo in risalto che il diritto minorilefamiliare è di per sé un diritto mite, nel senso che si deve basare sulla comunicazione da parte dei Servizi e dei Giudici con le persone, adulti e minori, che ha come caratteristica fondamentale l’ascolto e che in via di principio – soprattutto quando è necessario disporre l’allontanamento – mira ad ottenere il consenso e la collaborazione delle persone coinvolte, minore compreso, pur nella consapevolezza che il Giudice deve in ogni caso decidere secondo il preminente interesse del minore.Il dibattito in corso è anche motivato dalla maggiore complessità dei modellifamiliari e dei modelli sociali di cui occorre prendere atto. Come nel campo della tutela degli incapaci ci si è accorti che il mondo non è diviso tra malati e sani, ma ci sono molte situazioni intermedie di disagio che hanno ricevuto una risposta nell’amministrazione di sostegno, così è altrettanto evidente anche nel settore della protezione dei minori che c’è tutto un campo di situazioni grigie (abbandono che matura progressivamente nel tempo, semi-abbandono) in cui va affermato con fermezza il diritto del minore alla famiglia, anche con l’apertura a nuove forme di accoglienza … “.
33
seduta del 2 novembre 2004, danno atto che “nel corso
dell’indagine si è avuto modo di approfondire le problematiche
legate al fenomeno del semiabbandono di bambini che, a causa
dell’inadeguatezza della normativa italiana a disciplinare
situazioni di famiglie che non riescono o non vogliono mettersi in
condizioni di provvedere alla corretta crescita e all’educazione
del minore, dopo un eventuale periodo di affidamento si trovano
nell’incertezza se dover tornare alla famiglia naturale o rimanere
presso quella affidataria (…)”
Un’ulteriore conferma della valenza dell’adozione mite quale
forma “non eccezionale” di adozione si è avuta con l’ordinanza
347/2005 della Corte Costituzionale (15/29 luglio 2005 della Corte
Costituzionale), decisione interpretativa, nella quale si afferma
che l’adozione in casi particolari, che ha effetti più limitati
dell’adozione legittimante, non presenta aspetti di eccezionalità
o almeno peculiarità tali da impedirne l’estensione agli
stranieri, sicché non vi è alcun divieto di rilascio del
certificato di idoneità all’adozione di minori stranieri in casi
particolari con la conseguenza che tale rilascio deve ritenersi
consentito ogni qualvolta sussistano le condizioni ex art. 4437.
Il punto centrale della questione sottoposta alla Corte
costituzionale è proprio questo: se, cioè, anche le persone
singole possono presentare domanda di idoneità all'adozione
internazionale limitatamente a quei casi in cui alle medesime
persone singole è consentito in Italia adottare un minore, cioè
nei casi previsti dell'articolo 44 legge 184/83 (cosiddetta
"adozione in casi particolari"). La Corte, riprendendo una
indicazione fornita dallo stesso tribunale remittente, sottolinea
innanzitutto come l'articolo 31, secondo comma, della legge 184/83
prevede che "nelle situazioni considerate dall'articolo 44, primo
37 Cfr. F. OCCHIOGROSSO, L’adozione mite due anni dopo, cit., “Anzitutto il rilievo della Corte che l’adozione particolare ha effetti più limitati di quella legittimante, ma non presenta aspetti di eccezionalità o peculiarità tali da impedirne l’estensione agli stranieri, comporta l’implicito riconoscimento che lo spazio autonomo di tale adozione già riconosciuto per l’adozione particolare di minori italiani non deve essere effettuato nell’ottica che si tratta di intervento “residuale”, come ha finora costantemente affermato la cultura dominante in materia. La Corte propone la più ampia prospettiva che, quando vi siano i requisiti indicati dall’art. 44. è questa normativa a dover essere applicata senza alcun atteggiamento di subalternità rispetto all’altra adozione: vi è in sostanza una pari dignità delle due adozioni, pur nella loro evidente diversità”.
34
comma, lett. a), il tribunale per i minorenni può autorizzare gli
aspiranti adottanti, valutate le loro personalità, ad effettuare
direttamente le attività" di intermediazione (al posto dell'ente
autorizzato). L'esistenza di una norma siffatta - che prevede una
procedura semplificata per alcuni tipi di adozione - sta a
significare che, se non altro per le ipotesi di cui all'articolo
44, primo comma, lett. a), l'adozione di un minore straniero può
realizzarsi nelle forme dell'adozione semipiena. Mentre, però, il
tribunale per i minorenni di Cagliari ritiene che l'estensione
anche alle altre tre ipotesi di cui all'articolo 44 (per esempio
l'adozione di un minore che - come nella fattispecie all'esame dei
giudici sardi - non potrebbe essere dichiarato adottabile per
difetto dei presupposti relativi allo stato di abbandono: lettera
d dell'articolo 44) non possa essere effettuata se non attraverso
una dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 29bis (nella
parte in cui, in contrasto con i principi fondamentali in materia
di tutela dei minori, non consentirebbe, appunto, l'adozione
internazionale di minori nelle altre ipotesi di cui all'articolo
44), la Corte costituzionale rigetta la questione dando
all'articolo 29 bis una interpretazione necessariamente estensiva
e cioè sostenendo la applicabilità in materia di adozione
internazionale di tutte le ipotesi di cui all'articolo 44.
La conclusione è che "nella normativa vigente non è evincibile il
divieto del rilascio del certificato di idoneità all'adozione di
stranieri in casi particolari, con la conseguenza che tale
rilascio deve ritenersi consentito ogni qualvolta sussistano le
condizioni di cui all'articolo 44". Questa interpretazione -
conclude la Corte - "è costituzionalmente corretta e riconduce ad
unità il sistema, consentendo di ritenere ammissibile l'adozione
internazionale negli stessi casi in cui è ammessa l'adozione
legittimante o in casi particolari".
Detto principio è stato ripreso dalla Corte di Cassazione con
sentenza 18 marzo 2006 n. 6078, in cui la prima sezione, nel
pronunciarsi su di un caso di adozione promosso da una cittadina
di origini rumene, all’epoca single, che aveva ottenuto in Romania
una sentenza di adozione e ne chiedeva il riconoscimento In
Italia, ha affermato l’impossibilità di riconoscere una
generalizzata adozione internazionale da parte del soggetto non
35
coniugato, per contrasto con i principi del nostro ordinamento
giuridico. Infatti, l’art. 6 della legge n. 184/1983 prevede
unicamente l’adozione legittimante in favore di coppie coniugate
da almeno tre anni, estesa successivamente dalla legge n.
149/2001, alle coppie che abbiano una convivenza prematrimoniale
di tale durata. In deroga a tale principio, l’art. 44 ammette
l’adozione in casi particolari in favore dei single, sicché solo
in questo caso il legislatore nazionale si è avvalso della facoltà
concessa dall’art. 6 della Convenzione europea in materia di
adozione firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata in
Italia con legge 22 maggio 1974 n. 357, di prevedere l’adozione da
parte di persone singole. Argomenta la Corte che, in via
interpretativa ed analogica, l’adozione internazionale di persone
singole deve ritenersi ammissibile negli stessi casi in cui è
ammessa l’adozione nazionale e che, dunque, non è ammissibile una
generalizzata applicazione dell’adozione internazionale ai single.
Il ragionamento della Corte si conclude con la seguente notazione:
“… Resta, ovviamente, fermo che, tanto più in presenza della
disposizione convenzionale sopra menzionata (art. 6 della
Convenzione di Strasburgo del 1967), che a ciò lo facoltizza, il
legislatore nazionale ben potrebbe provvedere - nel concorso di
particolari circostanze, tipizzate dalla legge o rimesse di volta
in volta al prudente apprezzamento del Giudice - ad un ampliamento
dell'ambito di ammissibilità dell'adozione di minore da parte di
una singola persona, anche qualificandola con gli effetti
dell'adozione legittimante, ove tale soluzione sia giudicata più
conveniente all'interesse del minore, salva la previsione di un
criterio di preferenza per l'adozione da parte della coppia di
coniugi, determinata dalla esigenza di assicurare al minore stesso
la presenza di entrambe le figure genitoriali, e di inserirlo in
una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilità...”.
Assai interessante è anche la notazione della Corte, che ha
fondato il rigetto del ricorso anche sull’assenza di prova del
preesistente “rapporto affettivo e genitoriale di fatto, ormai
consolidato”, che viene individuata come presupposto dell’adozione
in casi particolari ex art. 44. Tale obiter dictum appare assai
rilevante ai fini che ci occupano, in quanto la Suprema Corte,
nell’esprimere un’indicazione rivolta all’organo legiferante, in
36
favore del superamento dei limiti imposti all’adozione dal diritto
vigente, valorizza proprio il principio della continuità degli
affetti che è alla base della giurisprudenza evolutiva in esame38.
L’adozione “mite” nei numerosi casi di semi – abbandono permanente
realizza in definitiva un percorso nuovo ed incoraggiante per
coloro che da tempo sono alla ricerca di strade altre, nella
convinzione che vadano sempre più emergendo realtà complesse e
problemi reali, che è necessario analizzare e affrontare.
- 5 ter – L’assunzione del cognome nell’adozione non legittimante.
Un ultimo profilo di fondo da analizzare è quello relativo al
cognome, che deve assumere il minore adottando per effetto
dell’adozione non legittimante.
Vi è un orientamento giurisprudenziale che punta a trasformare
la cultura tradizionale dell’assunzione del cognome da parte
dell’adottando, quale pedissequa applicazione delle regole formali
e standardizzate (quelle indicate dalla lettura dell’art. 299 Cod.
Civ., richiamato dalla normativa relativa all’adozione
particolare) in altra, personalizzata, che prospetta
l’assunzione del cognome da parte dell’adottando come segno
distintivo della sua identità personale (Cass. sez. I, 26 maggio
2006 n. 12641; Corte Cost. 6 febbraio 2006 n. 61).
La normativa dell’art. 299 cod. civ., che disciplina questa
materia, è stata interpretata alla luce dei principi affermati in
materia di legittimazione e di filiazione naturale. Quanto alla
prima, la Corte Costituzionale nella sentenza 23 luglio 1996 n.
297 ha trovato riconoscimento legislativo nell’art. 33 D.P.R.
3/11/2000 n. 396. In base a tale disposizione il figlio
maggiorenne legittimato ha il cognome del padre, ma può scegliere
entro un anno dal giorno in cui ne viene a conoscenza di mantenere
il cognome portato in precedenza, se diverso, ovvero di aggiungere
o anteporre ad esso, a sua scelta, quello del genitore che lo ha
38 Un’importante apertura verso il principio della famiglia degli affetti, anteposto al vincolo di sangue, viene affermato in una pronuncia in tema di adozione speciale del Trib. Min. Cagliari, 20 novembre 2006, in Famiglia e minori, n. 3/2007, 83 afferma la rilevanza della volontà dell’adottato di assumere il cognome dell’adottante in sostituzione del proprio. Argomenta il Tribunale che l’assunzione del cognome dell’adottante “appare meglio rispondere all’interesse della minore di essere assimilata pienamente alla sua unica famiglia”.
37
legittimato. Tale principio trova conferma per i figli naturali
riconosciuti all’art. 262 cod. civ., che afferma, in sostanza, la
regola per cui il cambiamento del cognome, attuato a seguito di
interventi giudiziari, non deve essere inteso solo come astratta
ed automatica identificazione familiare del soggetto, ma va
considerato come il frutto della concreta identificazione
personale del medesimo sulla base della sua storia, del suo
vissuto, della sua volontà. Attuazione esplicita di questo
principio è anche nell’art. 95, comma 3°, dello stesso D.P.R.
396/2000, in base al quale l’interessato può richiedere il
riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome
originariamente attribuitogli, se questo costituisce ormai
autonomo segno distintivo della sua identità personale.
Con riferimento all’adozione, mentre nell’adozione legittimante
l’adottato perde il cognome originario ed assume quello
dell’adottante, nell’adozione nei casi particolari ex art. 44
legge n. 184/1983, come pure nell’adozione di maggiorenni, il
cognome dovrà essere determinato secondo il dispositivo dell’art.
299 c.c. Questa, modificata dall’art. 61 della legge n. 184/1983,
disciplina l’acquisto del cognome da parte dei maggiori di età,
stabilendo, come criterio generale, che nell’adozione dei
maggiorenni l’adottato anteponga il cognome dell’adottante a
quello originario (che conserva comunque) e, come criterio
speciale, che se l’adottato è figlio naturale non riconosciuto dai
propri genitori, il nuovo cognome, acquistato con l’adozione,
comporta automaticamente la perdita di quello originario39.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 120 dell'11 maggio
2001, ha dichiarato illegittimo l'art. 299, secondo comma, c.c.,
nella parte in cui non prevede che l'adottato maggiorenne può
aggiungere al cognome dell'adottante anche quello originariamente
attribuitogli dall'Ufficiale di Stato Civile, così accogliendo
l'orientamento dottrinario che riteneva la norma incostituzionale,
39 La ratio della disciplina appena esposta, è quella di far scomparire il cognome imposto dall'Ufficiale di Stato Civile ai figli naturali non riconosciuti, ai sensi dell'art. 71, 4° comma, R. D. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento di Stato Civile), soluzione che sembra ispirata all'antica idea di tutelare il figlio illegittimo occultando la sua origine (così BIANCA, Diritto Civile, v. II, Milano, 1985, 349).
38
in quanto eccessivamente discriminante nei confronti del figlio
naturale non riconosciuto, poi adottato.
Tale scelta è stata ritenuta in contrasto con l'invocato art.2
della Costituzione, dovendosi ormai ritenere principio consolidato
nella giurisprudenza della Corte quello per cui il diritto al nome
- inteso come primo e più immediato segno distintivo che
caratterizza l'identità personale - costituisce uno dei diritti
inviolabili protetti dalla menz ionata norma costituzionale
(sentenze n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994). La Corte ha
argomentato che, nel caso in esame, non solo l'interessato ha
utilizzato da sempre quel cognome, trasmettendolo anche ai propri
figli, ma tale segno distintivo si e' radicato nel contesto
sociale in cui egli si trova a vivere, sicché precludere
all'adottato la possibilità di mantenerlo si risolve in
un'ingiusta privazione di un elemento della sua personalità,
tradizionalmente definito come il diritto "ad essere se stessi".
Osserva in particolare la Consulta:
“… Ed è innegabile, d'altra parte, che l'antico sfavore verso i
figli nati fuori del matrimonio è superato dalla nostra
Costituzione oltre che dalla coscienza sociale. Per queste ragioni
il fatto che l'adottato acquisisca uno status del quale era privo
non e' motivo sufficiente per negare la violazione dell'art.2
della Costituzione. Non può essere dimenticato, d'altronde, che la
norma in esame e' anche del tutto irrazionale alla luce della
riforma dell'adozione di cui alla menzionata legge n. 184 del
1983. Con questa legge, infatti, si e' compiuta una netta
distinzione fra l'adozione di minori, sia essa legittimante o
meno, e quella di maggiorenni, regolata dal codice civile. Se la
ratio della prima e, almeno in linea di massima, quella di fornire
al minore una famiglia che sia idonea a consentire nel modo
migliore il suo sviluppo - il che spiega l'assunzione, da parte
dell'adottato, del solo cognome dell'adottante e la cessazione di
ogni rapporto con la famiglia d'origine (art.27 della legge n.184
del 1983)…”.
La Corte costituzionale fa comunque salva la c.d. adozione in casi
particolari, il cui obiettivo evidentemente non è il medesimo,
poiché tale adozione (art. 300 cod. civ.) non crea alcun vincolo
di parentela tra l'adottato e la famiglia dell'adottante, tanto
39
che il primo conserva tutti i propri precedenti rapporti, specie
quelli con la famiglia di origine (v. sentenze n. 500 del 2000 e
n. 240 del 1998 ed ordinanza n. 82 del 2001). In tale fattispecie,
dunque, viene fatto salvo il diritto del minore di salvaguardare
la propria storia personale e di mantenere il rapporto con la
famiglia di origine, anche attraverso la conservazione di un
importante segno distintivo dell’identità personale qual è il
cognome dei propri genitori biologici.
Tutto ciò confermerebbe – secondo il menzionato orientamento di
giurisprudenza creativa - la necessità di passare da
un’interpretazione formale e rigida ad una più elastica della
normativa in tema di cambiamento di cognome e ribadirebbe il
principio che è essenziale, ai fini della indicazione del cognome
che il soggetto deve assumere quando si verifichi una delle
situazioni descritte, l’accertamento se esso costituisca segno
distintivo dell’identità personale del soggetto medesimo. Tale
principio, sulla base dell’interpretazione evolutiva della Corte
costituzionale ed in ossequio al principio costituzionale
dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, senza
distinzione di condizioni personali (art. 3 Cost.), non può essere
interpretato come limitato ai soli soggetti maggiorenni, ma deve
essere ritenuto applicabile anche ai minorenni. In relazione a
questi ultimi, tenuto conto della particolare complessità della
valutazione (trattasi di un diritto personalissimo), che ha
indotto il legislatore nell’art. 33 citato a limitare ai soli
maggiorenni la riserva di consenso diretto del soggetto
interessato, viene applicato in via analogica il principio
affermato dall’art. 262, 2° comma, cod, civ., per l’attribuzione
del cognome paterno al figlio minore in caso di riconoscimento del
figlio minore da parte del genitore successivamente alla madre.
Tale disposizione prevede che in tal caso debba essere lo stesso
Tribunale – chiamato giudizialmente ad intervenire- a decidere
circa l’assunzione del cognome nell’esclusivo interesse del
minore40.
40 Cfr. Trib. Min. Bari, 8 maggio 2008, cit.
40
Sul punto si è tuttavia pronunciata la Corte costituzionale, che ha
affermato l’infondatatezza della q.l.c. dell'art. 55 l. n. 184 del
1983, nella parte in cui, rinviando all'art. 299 c.c. per
l'attribuzione del cognome al minore adottato in casi particolari,
non consente che il minore, o suoi legali rappresentanti, o gli
adottanti possano ottenere, sempre nell'interesse del minore, che
questi mantenga il suo precedente cognome, anteponendolo o
aggiungendolo a quello dell'adottante, o sostituisca il cognome di
quest'ultimo al suo, in riferimento agli art. 2, 3, comma 2, 30,
comma 3, e 31, comma 2, cost. (Corte costituzionale, 24 giugno
2002, n. 268).
In questi casi la Corte ha quindi ritenuto illegittime, per
violazione dell'art. 2 Cost., norme che, prevedendo dei criteri
rigidi ed automatici per l'attribuzione alla persona di un cognome
diverso da quello col quale essa era conosciuta nell'ambiente
sociale nel quale aveva sino a quel momento svolto la propria
personalità, finivano per far prevalere la corrispondenza del
cognome allo status familiare, sacrificando nel contempo il
diritto all'identità personale del soggetto; in entrambi i casi la
soluzione adottata è stata quella di lasciare la scelta se
mantenere il cognome originario - solo o in aggiunta a quello
adottivo - quale tratto consolidato della personalità.
La rimozione del carattere distintivo della vita precedente del
soggetto non si verifica nella disciplina per l'adozione in casi
particolari, per la quale è stato previsto che l'adottato assuma
il cognome dell'adottante anteponendolo al proprio, che in questo
modo non viene cancellato ma continua a costituire, in uno col
nuovo cognome attribuito al minore, un tratto essenziale della sua
identità personale.
Come questa Corte ha già più volte affermato (v., tra le molte, le
sentenze n. 27 del 1991 e n. 383 del 1999), l'adozione in casi
particolari, prevista dagli artt. 44 e seguenti della legge n. 184
del 1983, è un istituto diverso sia dall'adozione legittimante sia
da quella tra persone maggiori di età, pur avendo in comune con la
41
prima la finalità di perseguire l'esclusivo interesse del minore e
con la seconda l'effetto non legittimante del provvedimento, col
quale non vengono rescissi i rapporti dell'adottato con la sua
famiglia di origine.
Il legislatore, nello stabilire la disciplina dell'adozione in
casi particolari, ha quindi compiuto una "non facile composizione"
di esigenze diverse, tra le quali quella di "evitare che
l'instaurazione del nuovo rapporto comporti la rottura di quello
esistente con l'altro genitore biologico e/o con i di lui parenti,
pur quando con costoro il minore abbia instaurato e mantenga
legami significativi" (sentenza n. 27 del 1991, cit.), operando
una scelta del tutto conforme alle finalità dell'istituto.
A ciò va aggiunto che le ipotesi previste nell'art. 44 della legge
n. 184 del 1983 per questa particolare forma di adozione
considerano situazioni diverse fra loro e cioè: l'essere il minore
orfano di entrambi i genitori (art. 44, lettera a), ovvero figlio,
anche adottivo, dell'altro coniuge (lettera b), o il caso in cui
vi sia la constatata impossibilità di procedere ad un affidamento
preadottivo (lettera d); ed ora, dopo le modifiche introdotte con
la legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio
1983, n. 184, recante "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento
dei minori", nonché al titolo VIII del libro primo del codice
civile), anche l'ulteriore ipotesi in cui il minore, orfano di
padre e di madre, si trovi nelle condizioni indicate dall'art. 3,
comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per
l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate), in assenza del vincolo di cui alla lettera a).
Nel disciplinare l'attribuzione del cognome all'adottato, la
scelta fatta dal legislatore, nella sua discrezionalità, è stata
quella di non eliminare il legame del minore col proprio passato
e, perciò, con la sua identità personale come essa è stata ed è
conosciuta nell'ambiente sociale di cui egli è, e deve continuare
ad essere, parte; per tale ragione, pur essendo astrattamente
possibili soluzioni differenziate per i diversi casi (cfr. la
sentenza n. 27 del 1991), il legislatore ha previsto una
disciplina unitaria, rispettosa della personalità del soggetto
come tutelata dall'art. 2 Cost., proprio in quanto mantiene il
cognome originario, cui aggiunge, anteponendolo, quello
42
dell'adottante, con ciò dando atto dei precedenti e non interrotti
legami familiari dell'adottato.
4. - Non può neppure dirsi che la disciplina prevista dalla legge
per l'attribuzione del cognome ai minori adottati in casi
particolari violi le altre norme costituzionali indicate dal
giudice a quo; l'attribuzione del cognome dell'adottante,
anteposto a quello originario del minore facente già parte della
sua individualità, non può invero essere un ostacolo di ordine
sociale allo sviluppo della personalità umana ai sensi dell'art.
3, secondo comma, Cost., o costituire un trattamento deteriore dei
figli nati fuori dal matrimonio ai sensi dell'art. 30, terzo comma
Cost., o risolversi in una disciplina che non attua la protezione
del minore richiesta dall'art. 31, secondo comma, Cost..
Si tratta, al contrario, di una disposizione rispettosa della
personalità del minore e non discriminatoria; l'attribuzione del
doppio cognome, infatti, sta proprio a significare l'avvenuto
inserimento del minore nel nuovo nucleo familiare, senza che nel
contempo venga imposta la perdita del cognome col quale egli era
ed è conosciuto nei diversi ambienti che frequenta e dei legami
con la famiglia di origine, secondo la ratio complessiva della
adozione in casi particolari.
Il legislatore, avendo operato, nella sua discrezionalità, una
scelta non irragionevole, ha voluto quindi evitare, attraverso il
mantenimento del cognome originario cui si antepone quello
dell'adottante, proprio quell'effetto di perdita di legami
sociali, con conseguente difficoltà allo sviluppo della
personalità, che viene paventato dal giudice rimettente.
La norma impugnata non può neppure causare l'effetto di una minor
tutela per i figli nati fuori dal matrimonio, come sostiene il
rimettente, qualora l'adozione riguardi figli naturali
riconosciuti; anche in questo caso, infatti, si tratta di un
minore che già ha assunto il cognome del genitore che ha
effettuato il riconoscimento e che tramite esso è conosciuto
nell'ambiente sociale; la successiva adozione (in casi
particolari) da parte del coniuge del genitore che ha effettuato
il riconoscimento, anche mediante l'attribuzione del secondo
cognome, certamente non comprime la personalità del minore
43
- 6 – Profili processuali.
L’accertamento dello stato di abbandono e l’apertura del procedimento.
Non essendo stata emanata alcuna ulteriore disposizione di
proroga, allo stato attuale, anche in assenza della prevista
normativa di attuazione, devono ritenersi operative le modifiche
introdotte dalla legge 28 marzo 2001 n. 149, quanto alle
disposizioni di carattere processuale – di notevolissima
importanza, avuto riguardo all’istituzione ex novo della difesa
d’ufficio in ambito civile –, essendo prevista l’entrata in vigore
delle stesse “comunque” non oltre il 30 giugno 2007 per effetto,
da ultimo, dell'art. 1, secondo comma, della legge 12 luglio 2006,
n. 228, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 12
maggio 2006, n. 17341.
Quanto alle modalità di accertamento dello stato di abbandono, lo
svolgimento di indagini e l'assunzione di informazioni tramite i servizi sociali non comporta né un’alterazione della regola del contraddittorio, stante la possibilità per le parti di
controdedurre ed offrire ogni prova contraria, né un’anomala
delega a terzi di poteri decisori, poiché le risultanze di dette
indagini ed informazioni sono rimesse alla valutazione del giudice
procedente, nel quadro delle complessive emergenze istruttorie,
fra cui quelle acquisite anche su istanza delle parti42. Inoltre,
l’art. 10 cpv. prevede che i genitori, o in mancanza i parenti
entro il quarto grado che abbiano avuto rapporti significativi con
il minore, assistiti dal difensore, possano partecipare a tutti
gli accertamenti disposti dal tribunale, possano presentare
41 Varie sono state le proroghe, a partire dalla disposizione transitoria contenuta nell'art. 1, d.l. 24 aprile 2001, n. 150, conv. con modif., nella legge n. 240 del 2001 (proroga inizialmente “non oltre il 30 giugno 2002), termine poi prorogato al 30 giugno 2003, in forza del d.l. n. 126 del 2002, conv., con modif., nella legge 2 agosto 2002, n.175; quindi al 30 giugno 2004, per effetto del d.l. n.147 del 2003, conv., con modif., nella legge n. 200 del 2003, al 30 giugno 2005, in forza del d.l. n. 158 del 2004, conv., con modif., nella legge n. 188 del 2004, e al 30 giugno 2006, per effetto del d.l. n. 115 del 2005, conv., con modif., nella legge n. 168 del 2005.42
? Cass. civ. sez. I, n. 14675 del 29/12/1999.
44
istanze istruttorie , prendere visione ed estrarre copia degli
atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice.
La possibilità di secretare atti, indirettamente desumibile dal
novellato art. 10 (che, al 3° comma, prevede la facoltà, per i
soggetti legittimati, di prendere visione ed estrarre copia degli
atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice, il
quale – evidentemente – potrebbe non rilasciarla), non si ritiene
non possa riguardare dati rilevanti ai fini della decisione nel
merito, ma soltanto circostanze sprovviste di valenza probatoria,
sebbene potenzialmente idonee ad incidere in maniera negativa
sulla condizione del minore (come accade, ad es., per ogni
informazione atta a consentire l’individuazione del luogo protetto
ove lo stesso sia stato trasferito, ovvero della famiglia alla
quale sia stato provvisoriamente affidato).
Altro argomento di prioritaria importanza è quello dell’esigenza di ascoltare il minore, previsto – per effetto della legge n.
176/1991, che ha ratificato e reso esecutiva in Italia la
convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre
1989 – nella duplice forma, obbligatoria per gli ultradodicenni e
facoltativa per gli infradodicenni – che costituisce una costante
della materia che ci occupa (vedi artt. 7 e 25 per la
dichiarazione di adozione, 10 e 15 in tema di adottabilità, 22 e
23 in tema di affidamento preadottivo). La previsione è intesa ad
attribuire rilievo alla personalità e alla volontà del minore, in
relazione a provvedimenti che nel suo interesse trovano la loro
ragion d'essere, pertanto, la necessità o l'opportunità di
procedere a un nuovo ascolto del minore che sia già stato escusso
(ad es., nella fase cautelare ex artt. 330 – 333 c.c.), rientra
nella discrezionalità del giudice di merito, il cui mancato
utilizzo non è censurabile in Cassazione sotto l'aspetto della
violazione di legge43.
Un’importante innovazione introdotta dalla l. n. 149/01 è
costituita dall’abolizione dell’accertamento di ufficio della
situazione di abbandono, sicché le segnalazioni delle situazioni
di abbandono dovranno essere indirizzate al Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni. Questi, assunte le
43 Cass. civ., sez. I, n. 4124 del 21/3/2003.
45
necessarie informazioni, è legittimato a chiedere al Tm, con
ricorso, di dichiarare l’adottabilità di quelli tra i minori
segnalati o collocati presso gli istituti di assistenza pubblici o
privati, che risultino in stato di abbandono.
Il Presidente del TM, o un giudice da lui delegato, ricevuto il
ricorso provvede all’immediata apertura del procedimento,
disponendo, tramite i servizi sociali o l’autorità di PS, più
approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto
del minore, nonché sull’ambiente in cui ha vissuto o vive, al fine
di verificare la sussistenza dello stato di abbandono.
Gli adempimenti di garanzia.
In questa prima fase del procedimento di tipo sostanzialmente
cautelare – e comunque in tutta la fase dell’affidamento
preadottivo – possono essere disposti dal tribunale provvedimenti
temporanei, nell’interesse del minore, compresi quelli di
allontanamento dalla famiglia, collocamento temporaneo in altra
famiglia o in comunità, sospensione o decadenza dalla potestà,
nomina del tutore provvisorio. In casi di urgenza, detti
provvedimenti possono essere adottati da un giudice singolo, ma in
questo caso, ai sensi dell’art. 10 comma 5, devono essere
confermati, revocati o modificati dal Tribunale, nel termine di 30
giorni.
All’atto di apertura del procedimento sono avvertiti i genitori,
ovvero, se questi manchino, i parenti entro il quarto grado che
abbiano rapporti significativi con il minore. Si ritiene più
conforme ad esigenze di garanzia che alle parti sia comunicato, a
cura della cancelleria, l’intero ricorso del PM.
La l. 149/01 ha previsto che, insieme all’anzidetto avvertimento,
il Presidente del Tribunale invita i genitori o i parenti a
nominare un difensore e li informa della nomina di un difensore di
ufficio nel caso in cui non vi provvedano. Contestualmente, il tm
dovrà provvedere alla nomina di un difensore di ufficio. Si
richiamano, nell’ambito del procedimento di adattabilità, sia
l’art. 8, 4° comma, sia l’art. 10, 2° comma, l. maggio 1983, n.
184, così come modificati dagli artt. 8 e 10 della l. 28 marzo
2001, n. 149.
46
Da tali disposizioni si desume che per questi procedimenti la
difesa tecnica è sin dall’inizio obbligatoria.
Perciò, i genitori intanto «possono partecipare a tutti gli
accertamenti disposti dal tribunale, possono presentare istanze
anche istruttorie e prendere visione ed estrarre copia degli atti
contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice», in
quanto «assistiti dal difensore».
Si è molto discusso sul significato dell’espressione “assistenza
del difensore”, ovvero se sia da intendersi in senso ampio, ovvero
come difesa tecnica, ai sensi dell’art. 82 cpc.
E’ vero che la norma in esame discorre di «assistenza di un
difensore» e non di «ministero di un procuratore legalmente
esercente». Ma non sembra che ciò possa portare ad interpretare la
disposizione come facoltatività dell’assistenza del difensore. La
lettera sembra chiara nel disporre l’obbligo dell’assistenza del
difensore: «i genitori e il minore sono assistiti da un
difensore». D’altra parte, nessuno in passato ha negato che i
genitori potessero farsi assistere da un difensore, sicché la
disposizione per avere un senso non può che significare obbligo
dell’assistenza. Il diritto alla difesa di cui all’art. 24 cost.
si presenta, in primo luogo, come il diritto alla difesa tecnica,
con la precisazione che si tratta di una garanzia che non riguarda
il solo processo penale, ma ogni tipo di processo (anche civile,
anche camerale), come si può desumere anche dal 1° comma dell’art.
24 cost., intimamente connesso con il 2° comma.
Tale diritto alla difesa deve essere riconosciuto anche nei
processi relativi ai minori, che pure si svolgono in camera di
consiglio, dal momento che esso rappresenta un diritto
fondamentale che non può essere compresso in nome dell’esigenza di
assicurare una rapida definizione del processo (anche se
nell’interesse del minore). D’altra parte non è detto che
assicurare la difesa tecnica alle parti comporti un allungamento
dei tempi processuali.
Tale impostazione appare inoltre conforme a quanto stabilito, in
relazione al contraddittorio nel procedimento camerale ed alla
difesa nei procedimenti (assimilabili a quelli di competenza del
TM) in materia di amministrazione di sostegno, dalla Corte
costituzionale e dalla Cassazione.
47
La norma in esame va dunque interpretata nel senso che i genitori
e il minore stanno in giudizio assistiti - e non sostituiti - dal
difensore, ovvero che partecipano al giudizio sempre con la
assistenza-presenza del difensore.
E’ prevista la nomina di difensore di ufficio anche ai parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il
minore, nel caso in cui non vi siano i genitori.
Dal combinato disposto degli artt. 8, 4° comma, e 10, 2° comma,
deriva quindi che sono parti sia il minore sia i genitori e in
mancanza, i parenti entro il quarto grado, che abbiano rapporti
significativi con il minore.
La particolarità è che, con riferimento ai genitori, «il
presidente del tribunale per i minorenni li invita a nominare un
difensore e li informa della nomina di un difensore di ufficio per
il caso che essi non vi provvedano». Agli interessati verrà dunque
inviato l’invito a nominare un difensore di fiducia, prevedendo
già nella comunicazione iniziale la nomina di un difensore di
ufficio qualora essi non vi provvedano.
Poiché non vi sono elenchi di difensori di ufficio, si è ravvisata
l’opportunità, in accordo con i rappresentanti dell’ordine, che i
consigli degli ordini formino degli elenchi di avvocati esperti di
diritto minorile (civile). Si è manifestato un orientamento
contrario ad utilizzare i difensori di cui all’apposito albo
istituito per il processo penale, in considerazione della mancanza
di formazione dei predetti in materia civile. Preferibile è
apparsa la proposta di attingere dall’elenco degli avvocati
istituito in materia di patrocinio a spese dello Stato.
Per quel che concerne il minore si è unanimemente ritenuto che in
questo procedimento sia sempre presente un conflitto di interessi
tra genitori e minore, ai sensi dell’art. 78 cpc, sicché il p.m.
chiederà la nomina di un curatore speciale, che nominerà
l’avvocato per il minore.
Si è invero ritenuto maggiormente corrispondente all’interesse del
minore che il difensore venga nominato dal curatore speciale,
piuttosto che di ufficio dal giudice (come per le altre parti), in
considerazione del dato testuale per cui l’art. 10 1° co. Sulla
nomina del difensore d’ufficio non fa riferimento al minore, e
anche in considerazione del fatto che spesso in tali procedimenti
48
risulta già nominato il tutore provvisorio, che potrà provvedere
alla nomina del difensore del minore e che renderà inutile la
nomina del curatore speciale.
La nomina del curatore spetta ex artt. 78, 2° comma, 79, 1° comma,
e 80, 1° comma, c.p.c. in via iniziale al Presidente del Tribunale
per i minorenni, e comunque, nel prosieguo, al TM in composizione
collegiale. Si ritiene che non operi l’art. 320 c.c., che prevede
la nomina da parte del giudice tutelare, dal momento che la norma
fa riferimento ad una particolare fattispecie (amministrazione
degli interessi patrimoniali del minore), mentre le norme
richiamate hanno una portata generale e riguardano in concreto il
caso di un giudizio pendente.
In tali procedimenti, attivati su ricorso del PM contenente la
richiesta di nomina del curatore speciale per il minore,
contestualmente alla delega presidenziale viene emesso decreto di
fissazione della comparizione delle parti davanti ai giudici
delegati (togato e onorario insieme), con la nomina del difensore
di ufficio per i genitori e del curatore speciale – salva
successiva nomina del difensore di fiducia44.
Suscita perplessità, dal punto i vista operativo, l’introduzione
di un meccanismo tipicamente penalistico, qual è la nomina del
difensore d’ufficio ad una parte anche disinteressata al
procedimento, in un procedimento civile in cui la parte sta in
giudizio mediante formale costituzione tramite il conferimento di
mandato. Vi sono in proposito due opinioni, una delle quali
ritiene che, in caso di disinteresse della parte, il difensore
d’ufficio non potrebbe concretamente esplicare il suo mandato
difensivo. Secondo altra opinione, l’obbligatorietà della difesa
d’ufficio implica che il difensore possa esplicare un’attività
difensiva, sia pur minima, costituita dal deposito di memorie e di
deduzioni, o dalla richiesta di mezzi istruttori. Non si comprende
tuttavia quale rilievo sostanziale possa avere un’attività
difensiva in un procedimento di adottabilità, in cui la parte sia
palesemente disinteressata rispetto alle sorti del minore.
44 La norma prevede che la richiesta di nomina del curatore speciale debba promanare dal PM, anche se vi è giurisprudenza che ammette che l’anzidetta nomina possa avvenire anche di ufficio.
49
Le diverse procedure per la dichiarazione di adottabilità previste: artt. 11 e 12.
- Un procedimento più celere è previsto dall’art. 11 nel caso in
cui sia stato omesso il riconoscimento da parte dei genitori. In
tal caso, il tribunale se non disponga la sospensione del
procedimento per consentire ai genitori o ad uno di essi il
riconoscimento, dichiara l’adottabilità del minore. In
particolare, la sospensione può essere disposta dal tribunale per
un periodo massimo di due mesi, sempre che nel frattempo il minore
sia assistito dal genitore naturale o dai parenti entro il quarto
grado o in altro modo conveniente, permanendo comunque il rapporto
con il genitore naturale.
Ad ulteriore cautela, è previsto che il tribunale, in ogni caso,
anche a mezzo dei servizi sociali, informa entrambi i presunti
genitori, o comunque quello reperibile, che si possono avvalere
della facoltà di chiedere la sospensione del procedimento di
adottabilità per la durata di due mesi al fine di eventuale
riconoscimento.
L’art. 11 non richiede che il tribunale accerti formalmente e
senza ombra di dubbio (con dichiarazione scritta o raccolta a
verbale) che la madre del neonato non intenda riconoscere il
figlio. Non c’è in altri termini la previsione di alcuna
dichiarazione di non voler riconoscere, ma solo la presa d’atto
del mancato riconoscimento, a fronte della quale la legge equipara
il genitore che non ha riconosciuto il figlio al genitore
inesistente (art. 11 comma 2°)45. Non c’è dunque alcun obbligo di
accertamento circa la formazione della volontà al mancato
riconoscimento, ma è solo previsto che, ove possibile, debba
informarsi il genitore della possibilità di chiedere (non i
ottenere) la sospensione della procedura di adottabilità, al fine
di procedere al riconoscimento. Ulteriore presupposto da valutare,
al fine di consentire il riconoscimento tardivo, è che il genitore
biologico abbia mantenuto un rapporto con il figlio.
Si ritiene infatti prevalente il diritto del minore ad avere una
famiglia rispetto a quello della madre a ripensarci e di
richiedere, a distanza di tempo, il figlio non riconosciuto.
45 Cfr. Trib. Min. Bari 26 aprile 2007, caso Pralea.
50
Ed invero, nella disciplina della legge n. 184, al genitore
biologico, inteso come presunto o asserito genitore, non spettano
notifiche o poteri processuali: l'unica forma di tutela prevista è
quella offerta dall'art. 11, che nella prospettiva del recupero
della responsabilità genitoriale e del mantenimento del minore
nella famiglia di origine impone la ricerca dei presunti genitori
al fine di avvertirli della facoltà di chiedere la sospensione
della procedura per poter provvedere al riconoscimento prevedendo
altresì la possibilità, di sospendere la procedura stessa a fronte
di una in tal senso da parte di chi affermi di essere uno dei
genitori naturali, "sempre che nel frattempo il minore sia
assistito dal genitore naturale o dai parenti fino al quarto grado
o in altro modo conveniente, permanendo comunque un rapporto con
il genitore naturale".
In mancanza di genitori naturali che abbiano riconosciuto il
minore o la cui paternità, o maternità sia stata dichiarata
giudizialmente o che abbiano richiesto la sospensione della
procedura il tribunale per i minorenni, "senza eseguire ulteriori
accertamenti", deve dichiarare "immediatamente lo stato di
adottabilità (art. 11 comma 2), così come una volta decorso il
periodo di sospensione senza che sia stato effettuato il
riconoscimento deve provvedere senza altra formalità di procedura
alla pronuncia dello stato di adottabilità" (art. 11 comma 5).
Come appare evidente, tale disciplina sottende il principio che il
bambino non riconosciuto e, per definizione un bambino
abbandonato, in quanto deprivato non solo di ogni assistenza, ma
del bene primario della propria identità personale; in tali
ipotesi, in cui la mancanza di riconoscimento costituisce già
segno preciso di un rifiuto totale del minore, il legislatore ha
inteso privilegiare l'esigenza fondamentale del bambino a
conseguire un proprio "status" ed a crescere in un ambiente
familiare idoneo rispetto all'interesse al recupero della famiglia
biologica sancito dall'art. 1 (cfr. Cass. 6 agosto 1998 n. 7698)46.
46 Se è vero, secondo quanto affermato in alcune pronunce di questa Suprema Corte (Cass. 1982 n. 1725; 1990 n. 10515 ma v. in senso dubitativo Cass. 1996 n. 5351, in motivazione) che il genitore che non ha ancora provveduto al riconoscimento è legittimato all'opposizione, sempre che il riconoscimento stesso intervenga prima della decisione sull'opposizione - integrando lo "status" giuridico di genitore naturale una condizione della azione, e non un presupposto processuale - è tuttavia altrettanto vero che tale legittimazione per fatto sopravvenuto
51
Viene peraltro ribadito che, al fine della dichiarazione dello
stato di adottabilità del minore non riconosciuto dai genitori
naturali, il dovere di informare questi ultimi che possono
avvalersi della facoltà di chiedere una sospensione del
procedimento per provvedere al riconoscimento (art. 11, comma 6,
l. 4 maggio 1983 n. 184) non sussiste ove non sia accertata
l'esistenza di un rapporto in atto con il figlio. Peraltro, una
volta che tale dichiarazione di adottabilità sia intervenuta, la
legittimazione all'opposizione spetta solo a chi ha acquistato,
con il riconoscimento, la qualità di genitore (cfr. Cass. Civ. ,
sez. I, 10 giugno 1996, n. 5351). Tanto vuol dire che la
sospensione, seppur richiesta, non potrà mai essere disposta ove
tale rapporto non esista, ovvero sia cessato.
Peraltro, il genitore biologico potrà legittimamente opporsi alla
dichiarazione di adottabilità nei limiti in cui l’esercizio del
potere sia ancora possibile, e dunque se effettui il
riconoscimento oltre il periodo di sospensione concesso o senza
aver richiesto tale sospensione, dovrà confrontarsi con la
definitività del provvedimento. Infatti, l’art. 11 u.c. prevede
che intervenuta la dichiarazione di adottabilità e l’affidamento
preadottivo, il riconoscimento tardivo è privo di effetti e
l’eventuale gravame è inammissibile.
- Molto più complessa è la procedura prevista dall’art. 12, quando
risulti la presenza dei genitori o di parenti entro il quarto
grado che abbiano rapporti significativi con il minore. E’ infatti
prevista una convocazione di tali soggetti, con decreto motivato,
nelle forme degli artt. 140 – 143 cpc.
All’esito di tale audizione, il TM può impartire prescrizioni
idonee a garantire l’assistenza morale, l’istruzione o educazione
del minore, se siano concretamente utili a restaurare
significative relazioni, stabilendo periodici accertamenti; può
deve essere coordinata con la rigida disciplina dei termini per proporre opposizione fissata dalla legge, e, quindi con il principio di intangibilità, dei provvedimenti divenuti inoppugnabili e con la forza del giudicato. Ciò vale a dire che il genitore biologico potrà legittimamente opporsi alla dichiarazione di adottabilità nei limiti in cui l'esercizio di tale potere sarà (ancora) possibile, sulla base dei principi processuali dettati dall'art. 17. Resta, ovviamente, salva la possibilità per il genitore che abbia riconosciuto il minore nelle more del giudizio di opposizione promosso da uno dei soggetti legittimati di intervenire in causa per adesione.
52
chiedere al PM la promozione dell’azione per la corresponsione
degli alimenti; può sospendere il procedimento per un periodo non
superiore ad un anno.
La dottrina (AC Moro) non manca di rilevare come la
giurisdizionalizzazione ed il formalismo del procedimento,
finalizzate alla tutela degli interessi delle parti del
procedimento, hanno come effetto un allungamento dei tempi, a
detrimento dell’interesse del minore a ricevere in tempi brevi una
collocazione in una famiglia idonea ed una certezza del suo
status.
L’esito del procedimento di adottabilità.
Il tm può concludere la procedura o dichiarando che non vi è luogo
a provvedere (art. 16) o dichiarando lo stato di adattabilità
(art. 15).
In proposito è intervenuta un’ulteriore modifica sostanziale
introdotta dalla l. n. 149/01, nel senso che la dichiarazione di
adottabilità va fatta con sentenza e tale declaratoria va fatta
con riguardo ai presupposti da accertarsi al momento della
pronuncia, tenuto conto delle modifiche intervenute.
Si prevede che debbano essere sentiti il PM, il rappresentante
dell’istituto o della comunità presso cui il minore è collocato,
l’eventuale tutore ed il minore che abbia compiuto gli anni
dodici47.
Attesa la giurisdizionalizzazione del procedimento, si ritiene
che, per quanto riguarda le parti processuali del rapporto
47 Quanto alla previsione, di cui all'art. 15, secondo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, che nel procedimento sia sentito "il rappresentante" dell'istituto presso cui il minore è ricoverato, essa si riferisce non già al legale rappresentante, ma a qualsiasi esponente della comunità che ospita il minore, che, per essere a diretto contatto con quest'ultimo, sia in grado di esprimere un parere motivato sulla condizione dello stesso. È rimesso – anche in questo caso – all'accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, verificare l'idoneità del soggetto incaricato ad esprimere le valutazioni dell'istituto che ha cura del minore.
Con riferimento, invece, al tutore, egli deve essere sentito ed ha la facoltà di impugnare il provvedimento che lo conclude e che deve essergli comunicato; tuttavia, non ha la veste di parte “necessaria”, in quanto l'intervento nel procedimento e l'assunzione della qualità di parte costituiscono frutto di una sua scelta discrezionale.
Non vi è, infine, alcun obbligo giuridico all’ascolto degli eventuali affidatari in via provvisoria del minore.
53
(genitori o parenti, minore, tutore, pubblico ministero) il
giudice debba instaurare un contraddittorio finale convocandoli in
un un’unica udienza, e addirittura debba invitarli a precisare le
conclusioni. Si ritiene, infatti, che la previsione della
pronuncia di adottabilità con sentenza appellabile e la
conseguente soppressione del giudizio di opposizione
all’adottabilità davanti al TM, determini un’anticipazione delle
garanzie del contraddittorio nella fase precedente alla pronuncia
di adottabilità48.
- 7 - I gradi di giudizio successivi al primo.
La giurisprudenza citata si riferisce ovviamente alla normativa
previdente, nell’ambito della quale era previsto un giudizio di
opposizione (a seguito della pronuncia di adottabilità con
decreto), che si concludeva con sentenza, eventualmente oggetto di
gravame. Vanno ricordati tuttavia alcuni principi in tema di
rinnovazione degli accertamenti dopo la pronuncia di primo grado.
Nel giudizio di appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull'opposizione al decreto di adottabilità la rinnovazione delle
indagini sulla condizione del minore è meramente eventuale, in
quanto rimessa al prudente apprezzamento del giudice
dell'impugnazione, così come alla valutazione del medesimo giudice
è affidato il riscontro dell'opportunità di convocazione del
tutore e delle altre persone indicate nel penultimo comma
dell'art. 15 della legge 4 maggio 1983 n. 184, che non siano parti
del giudizio per non aver proposto opposizione al decreto di
adottabilità49.
Avverso le sentenze sullo stato di adottabilità pronunciate dalla
sezione per i minorenni della corte d'appello, il ricorso per cassazione continua ad essere ammesso esclusivamente per
violazione di legge, secondo la disciplina contenuta nel testo 48 L'opposizione avverso la dichiarazione dello stato di
adottabilità, anche a legislazione pre - vigente, introduceva un procedimento di natura contenziosa dinanzi al tribunale, con la conseguente applicabilità della norma di cui all'art. 82, comma 3 cod. proc. civ., relativo all'obbligo delle parti di stare in giudizio con il ministero di un procuratore legalmente esercente.
49
? Cass. civ., sez. I, n. 1738 del 11/2/1993
54
originario dell'art. 17 della legge n. 184/1983, ma l'entrata in
vigore della nuova normativa processuale (art. 16 della legge 28
marzo 2001, n. 149, sostitutivo del richiamato art. 17) - ha
esteso l'ambito dei motivi di ricorso per cassazione avverso le
dette sentenze, comprendendovi anche il vizio di motivazione ai
sensi dell'art. 360, comma 1°, numero 5, cod. proc. civ. –.
Tuttavia, si deve ritenere compreso in tale vizio anche il caso di
totale inesistenza o di mera apparenza della motivazione, per
insanabile contraddittorietà, mentre va esclusa l'ammissibilità di
qualsiasi controllo sull'adeguatezza e sufficienza della medesima,
anche con riferimento alla valutazione delle risultanze probatorie
acquisite50.
Ove vi sia giudizio di rinvio, anche in tale sede si può accertare, attraverso indagini di ufficio, la sopravvenienza di
fatti impeditivi, modificativi od estintivi dello stato di
abbandono, atteso che l'art. 17, quarto comma, della legge n.
184/1983 ammette nel giudizio di appello l'effettuazione di ogni
altro accertamento ed indagine opportuni e che l'art. 21 della
medesima legge prevede la revocabilità dello stato di adottabilità
per il venir meno dello stato di abbandono51.
Tra i rimedi giurisdizionali esperibili, infine, non è compresa l'opposizione di terzo, che presuppone in capo all'opponente la titolarità di un diritto autonomo ed incompatibile con la
situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra
altre parti; ne consegue che il genitore biologico che abbia
omesso di effettuare un tempestivo riconoscimento del minore non è
legittimato ad impugnare il provvedimento dichiarativo dello stato
di adottabilità con l'opposizione di terzo ordinaria52.
L’AFFIDAMENTO PREADOTTIVO E L’ADOZIONE NAZIONALE
- 1 – La seconda fase del procedimento di adozione: scelta dei
coniugi ed affidamento preadottivo.La sentenza di adozione ed i
suoi effetti.
50 Cass. civ., sez. I, n. 27384 del 12/12/2005.
51 Cass. civ., sez. I, n. 4101 del 17/4/1991.
52 Cass. civ., sez. I, n. 7698 del 6/8/1998.
55
La seconda fase dell’iter adozionale prevede la scelta, da
effettuarsi sulla base di una valutazione comparativa, dei
genitori adottivi, tra quelli in possesso dei requisiti previsti
dall’art. 6 della legge n. 184/83, con riferimento alla differenza
di età tra adottante ed adottato, nonché allo stato civile degli
adottanti.
L'affidamento preadottivo si distingue dagli altri modelli di
affidamento in ambito minorile, perché è quello che più di ogni
altro allontana giuridicamente il minorenne dalla famiglia di
origine. Presuppone infatti la definitività della dichiarazione di
adottabilità del medesimo e contribuisce ad accentuare un tale
allontanamento, perché aggiunge un altro tassello al percorso
diretto alla sua adozione legittimante con l’interruzione completa
del rapporto di filiazione originaria, in quanto - come detta
l'art. 21, 4° comma, della L. 184/1983 - rende irrevocabile lo
stato di adottabilità definitivo.
La legge sull'adozione, anche nel testo riformato con la L.
28/3/2001 n. 149, dedica a questo tema i soli tre articoli 22, 23
e 24, l'ultimo dei quali negli ultimi anni non ha mai trovato
applicazione.
L'art. 22 - proponendo l'articolazione normativa già presente
nelle disposizioni del testo precedente la riforma - introduce il
tema dell'affidamento preadottivo, non affrontando subito i temi
della comparazione delle coppie aspiranti in vista
dell'abbinamento con il minore adottabile e quello dell'ulteriore
iter, che si conclude con il provvedimento di affidamento
preadottivo (cosa che avviene solo a partire dal quinto comma
dell'art. 22), ma esponendo le modalità di proposizione della
domanda di adozione e quelle relative all'istruttoria riguardante
quest’ultima.
Per effetto di tanto, la dottrina parla di giudizio (o
procedimento) di affidamento preadottivo, facendolo iniziare dalla
fase della presentazione della domanda di adozione. Tutto ciò
potrebbe determinare l'errata percezione che l'iter istruttorio
delle domande di adozione nazionale debba svolgersi tra il momento
nel quale è divenuta definitiva la dichiarazione di adottabilità
di un minore, e quello del suo affidamento preadottivo. In realtà
56
da sempre l'istruttoria relativa alle domande di adozione e quella
del procedimento di adottabilità seguono percorsi autonomi e
distinti per incontrarsi solo al momento della comparazione in
vista dell'abbinamento53.
La domanda di adozione va presentata, senza l'osservanza di forme,
insieme a vari documenti che riguardano la situazione anagrafica,
quella penale, le condizioni di salute oltre alla dichiarazione
del reddito. In alcuni tribunali (ad esempio, Milano) gran parte
dei documenti suindicati (tranne quelli sulla salute) sono
sostituiti da autocertificazioni, sulle quali il tribunale
effettua controlli a campione. In altri (Bari e Venezia) si tiene
conto della circostanza, segnalata dalla Commissione per le
adozioni internazionali, che nei Paesi stranieri non è accettata
l'autocertificazione e, poiché la massima parte degli adottanti
propone domanda sia per l'adozione nazionale che per quella
internazionale, si ritiene più pratico richiedere la stessa
documentazione per entrambi i tipi di adozione.
Per le domande presentate da aspiranti adottanti, che risiedono
fuori del distretto giudiziario, criterio abbastanza diffuso è
quello per cui sono preferite le coppie che abitano nel distretto
del tribunale minorile, perché ciò consente di poter più
agevolmente vigilare sul buon andamento dell'affidamento
preadottivo. La giurisprudenza ha affermato un tale principio da
gran tempo (così Corte d’Appello Sez. Min. Perugia, 13 novembre
1971, in Esp. ried., 1972, fasc. 2, 33) e continua ad applicarlo.
La gran parte dei tribunali procede all'istruttoria completa anche
di queste domande, richiedendo agli altri tribunali copia degli
atti di parte e istruttori ed ascoltando anche le coppie in
tribunale.
Peraltro, esse sono soprattutto utilizzate da parte di alcuni
tribunali (Firenze, Salerno, Lecce) per la sistemazione di
bambini, che è opportuno allontanare dal territorio distrettuale
53 Cfr. F. OCCHIOGROSSO, L’affidamento preadottivo, inedito. L’A. commenta che molto più lineare risulta l'organizzazione sistematica prevista per l'adozione internazionale, nell'ambito della quale la fase istruttoria delle domande (art. 29 bis e 30) è tenuta distinta da quella successiva (art. 31-35). Anche per l'adozione nazionale sarebbe stato opportuno seguire un'impostazione analoga. Invece, la disciplina normativa dell’affidamento preadottivo comprende anche quella relativa alle domande di adozione ed alla sua istruttoria.
57
al fine di evitare rischi di reperimento da parte della famiglia
di origine. Alcuni tribunali (Roma, Ancona) si limitano a
richiedere la documentazione ed ad accantonare le domande degli
adottanti che risiedono "fuori distretto".
Nessun problema si pone per la decadenza triennale (biennale prima
della riforma) della domanda di adozione. Già in passato la
giurisprudenza aveva affermato che tale meccanismo è previsto per
evitare che "nella nota situazione di sproporzione tra numero di
bambini adottabili e numero di coppie aspiranti all'adozione venga
a formarsi un accumulo di domande in attesa", che può essere
lunghissima e priva di prospettive (Corte d’Appello Torino, Sez.
Min., 15 novembre 1985 in Dir. fam. pers. 1985, 139). La Corte
aveva anche aggiunto che in tali casi il tribunale non è tenuto ad
emanare un provvedimento suscettibile d'impugnazione, perché
l'applicazione della decadenza non lede alcun diritto, essendovi
la possibilità di ripresentare la domanda. Tali orientamenti
restano confermati anche dopo la riforma.
La rinnovazione della domanda è intesa dalla dottrina anche come
il modo previsto dalla legge per operare una nuova e completa
valutazione della coppia, atteso che il giudizio sull'idoneità
della coppia all'adozione può mutare sulla base di molte
variabili, tra le quali rientrano certamente il decorso del tempo
e le ulteriori esperienze vissute.
Il Tribunale, ai sensi dell’art. 22, sulla base delle domande
presentate, svolgerà degli accertamenti, avvalendosi dei servizi
socio – assistenziali, al fine di valutare la capacità della
coppia di rispondere alle esigenze di un bambino che ha subito
l’esperienza lacerante dell’abbandono, in un termine di 120
giorni, ulteriormente prorogabile. All’esito, il tribunale in
camera di consiglio, sulla base delle indagini espletate, effettua
il giudizio di comparazione tra le coppie, determinando quella
maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore.
Il provvedimento è assunto dal Tm, sentito il parere del PM, gli
ascendenti degli adottanti (ove esistano), il minore che abbia
compiuto i dodici anni, o anche più piccolo, se abbia adeguata
capacità di discernimento. Se il minore ha compiuto gli anni
quattordici, deve manifestare il suo consenso all’affidamento
della coppia prescelta. Importante è l’obbligo per il tribunale di
58
informare i richiedenti su tutti i fatti rilevanti relativi al
minore, accertati in corso di istruttoria e di non dividere i
fratelli in stato di adottabilità, salvo che non ricorrano gravi
ragioni.
La riforma ha introdotto alcune rilevanti modificazioni. Viene
anzitutto precisato che le “adeguate indagini” sulle coppie devono
essere effettuate ricorrendo ai servizi socio-assistenziali degli
enti locali singoli o associati. Si tratta di una indicazione
superflua, perché – pur mancando nella precedente normativa – essa
era già stata attuata dai tribunali. Più utile è invece
l’ulteriore precisazione normativa che consente di avvalersi delle
professionalità delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere,
perché essa permette di superare le difficoltà che sempre più
spesso venivano opposte dalle ASL, le quali ponevano problemi di
competenza sul piano amministrativo.
E’ poi stata data priorità nell’istruttoria alle domande dirette
all’adozione di minori di età superiore a cinque anni o con
handicap. La dottrina (Occhiogrosso) osserva che, mentre è
giustificata la prelazione data a coppie che siano disponibili ad
adottare minori portatori di handicap, non si comprende perché
essa – come prevede la legge - debba essere limitata solo a coloro
il cui handicap sia stato accertato ai sensi dell’art. 4 della L.
5.2.1992 n. 104 (cioè dalla ASL mediante specifiche commissioni
mediche) e non estesa a tutti i casi di handicap compresi quelli
nei quali, tale modalità di accertamento non sia stata effettuata.
Non si spiega neppure l’indicazione dell’età superiore a soli
cinque anni richiesta per privilegiare nell’iter istruttorio
coppie che si dichiarino favorevoli all’adozione di tali minori.
L’esperienza insegna che non è difficile realizzare l’adozione di
bambini di sei – sette anni ed anche più grandicelli e che i
problemi seri di accettazione cominciano con la preadolescenza.
Viene dunque emesso decreto di affidamento preadottivo,
immediatamente annotato a margine della sentenza di adottabilità,
della durata di un anno, prolungabile di un altro anno e
determinandone le modalità.
Si va affermando nei tribunali per i minorenni la prassi di
computare nella durata dell’affidamento preadottivo il pregresso
periodo di affidamento provvisorio ex art. 10 comma 3° l.n.
59
184/83, per quanto le finalità dei due istituti siano
ontologicamente diverse, essendo questo tendenzialmente destinato
a soddisfare la temporanea mancanza di un ambiente familiare
idoneo54. Tale impostazione ha inizialmente suscitato delle
diffidenze, sul presupposto di una pretesa onnipotenza del
Tribunale per i Minorenni, che non terrebbe conto della
eventualità che le sue pronunce siano travolte dai successivi
gravami. E’ tuttavia prevalsa la considerazione dell’interesse del
minore ad essere quanto prima inserito in un contesto familiare
per lui positivo e conforme alle sue esigenze di crescita55.
Con l’affidamento preadottivo cessa lo stato di abbandono del
minore, in quanto il medesimo viene inserito in un ambiente
familiare idoneo, con acquisto da parte degli adottanti della
potestà genitoriale nei suoi confronti, pur permanendo la nomina
del tutore di cui alla sentenza di adottabilità. Solo in caso di
serie e gravi difficoltà di inserimento del minore, l’affidamento
preadottivo può essere revocato all’esito del procedimento
camerale di cui all’art. 23 l. adoz56.
L’art. 24 della L. 184/1983 prevede che il decreto di affidamento
preadottivo possa essere impugnato con reclamo alla corte 54 Si veda la seguente massima: “L'affidamento preadottivo rappresenta una fase necessaria del procedimento di adozione, non surrogabile dall'affidamento provvisorio o di mero fatto; tuttavia, laddove l'interesse del minore lo richieda, il periodo di affidamento preadottivo può essere inferiore a dodici mesi e sommarsi al periodo di affidamento provvisorio (nella specie, discutendosi dell'adozione di un minore di diciassette anni e due mesi - con conseguente preclusione dell'adozione legittimante nell'ipotesi in cui fosse stato disposto l'affidamento preadottivo per il periodo di un anno - è stata ammessa la possibilità di sommare il periodo di affidamento preadottivo all'affidamento provvisorio alla vigilia del compimento del diciottesimo anno di età da parte dell'adottando)”: cfr. Tribunale minorenni L'Aquila, 06 marzo 2002, Gius 2002, 1185 (s.m.)
55 Cfr. M. DOGLIOTTI, A. FIGONE, Famiglia e procedimento, II edizione, Ipsoa, 302 ss..56 L'annullamento, da parte della Corte d'appello, del provvedimento, del Tribunale per i minorenni, di revoca di un affido preadottivo non comporta automaticamente il riaffido del minore a quello degli affidatari in preadozione che mostri di volersene prendere cura per procedere poi alla sua adozione, dal momento che l'adozione da parte di persona singola conserva, nel nostro ordinamento, carattere eccezionale, sicché spetta al Tribunale per i minorenni scegliere la soluzione più confacente all'interesse del minore procedendo ad una comparazione della disponibilità dell'affidatario e delle "chances" da lui offerte con la disponibilità e le "chances" di altra coppia aspirante all'adozione (cfr. Corte appello Napoli, 15 maggio 1996, Leggiero, Dir. famiglia 1996, 1402 nota CENCI).
60
d’appello. Non si fa riferimento al ricorso per cassazione, che
però la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile (Cass. 6 febbraio
1993 n. 1502, Giur. It. 1994, I, 1, 1615).
Interessanti risultano, per la diversità di valore che
attribuiscono alla posizione giuridica degli affidatari, alcune
divergenti decisioni della Cassazione. Da un lato,è stato infatti,
affermato che “ i provvedimenti resi dal tribunale per i
minorenni, in tema di affidamento temporaneo del minore, di stato
di adottabilità nonché di affidamento preadottivo sono impugnabili
dinanzi alla corte d’appello esclusivamente dai soggetti
espressamente contemplati dagli art. 10, 17, 24 della legge
citata, non anche pertanto, da soggetti diversi, quali coloro che
siano affidatari del minore stesso in base a mero accordo
intervenuto con i genitori”, (Cass. 27/3/1985 n. 2151); dall’altro
è stato deliberato che: “il decreto camerale, reso dalla corte
d’appello, sezione per i minorenni, in sede di reclamo avverso il
provvedimento del tribunale per i minorenni sull’affidamento
preadottivo, secondo la previsione degli artt. 22-24 della legge 4
maggio 1983 n. 184, è impugnabile con ricorso per Cassazione, ai
sensi dell’art. 111 della Costituzione, in quanto non si esaurisce
in un intervento di natura amministrativa, nell’ambito di una
gestione pubblicistica degli interessi del minore (come invece il
decreto di affidamento provvisorio o fiduciario, disposto in
pendenza del procedimento per la dichiarazione di adottabilità),
ma statuisce su posizioni di diritto soggettivo, in via decisoria,
con attitudine cioè a spiegare effetti di giudicato sostanziale,
assegnando al minore uno “status” prodromico alla successiva
adozione, con il suo stabile inserimento nel nucleo familiare dei
coniugi che hanno chiesto l’adozione stessa”.
Trascorso un anno – ma nell’interesse esclusivo del minore questo
termine può essere prorogato di un altro anno – il Tribunale, se
ricorrono tutte le condizioni, pronuncia con sentenza l’adozione.
In caso di morte di uno dei coniugi durante l’affidamento
preadottivo, l’adozione può essere pronunciata nei confronti del
coniuge superstite su istanza di questo e quando ciò sia
nell’interesse del minore. L’art. 21 della legge n. 149/01 ha
modificato l’art. 2 l. adoz., nel senso che, se nel corso
dell’affidamento preadottivo interviene la separazione tra i
61
coniugi affidatari, l’adozione può essere disposta nei confronti
di entrambi, ovvero nei confronti di uno solo nell’esclusivo
interesse del minore, qualora i coniugi o il coniuge ne facciano
richiesta57.
Con la pronuncia definitiva di adozione il minore acquista lo
stato di figlio legittimo degli adottanti come se fosse nato da
loro, ne acquisisce e trasmette il cognome, stringe rapporti di
parentela con tutti i parenti dei nuovi genitori. Perde di contro
ogni rapporto con la famiglia di origine, fatti salvi i soli
divieti matrimoniali58. Se l’adozione è disposta in favore della
moglie separata il minore acquisisce il cognome di lei.
Gli effetti si producono allorquando la sentenza diviene
definitiva. La decisione costitutiva del nuovo status di figlio
legittimo non è revocabile come nell’adozione ordinaria59.
Tuttavia, atteso che la nuova disciplina prevede che la pronuncia
di adozione sia effettuata con sentenza e non più con decreto, non
vi sono più ragioni per escludere l’applicabilità dell’istituto
della revocazione previsto dal titolo III capo IV cpc.
- 2 – L’accesso all’informazione sulla famiglia di origine tra
garanzia dell’identità dell’adottato e tutela della riservatezza
del genitore.
57 In caso di separazione personale tra i coniugi che abbiano ottenuto l'affidamento preadottivo di un minore e in caso di richiesta di adozione da parte di uno solo di essi, essendo venuti meno i presupposti dell'accertamento compiuto sull'idoneità dell'adozione, il tribunale, nell'esercizio dei suoi poteri di vigilanza, appena venutone a conoscenza, deve riconsiderare la situazione, delibando l'idoneità del richiedente e, ove non la ravvisi, deve, nell'interesse del minore, rigettare la richiesta di adozione formulata ai sensi dell'art. 25, comma 5, della l. n. 184 del 1983, ancorché non sia decorso un anno dall'affidamento, revocando l'affidamento e adottando i provvedimenti temporanei ex art. 23, comma 6, della stessa legge (cfr. Cassazione civile , sez. I, 29 aprile 1998, n. 4371, Leggiero c. Orefice, Giust. civ. Mass. 1998, 904).
58 Cfr. i menzionati recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di adozione aperta, volti ad affermare la compatibilità dell’adozione legittimante con il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine, in considerazione del fatto che la recisione dei rapporti giuridici non comporti necessariamente la cessazione dei rapporti di fatto. 59 Cfr. Corte cost. 20 luglio 1992 n. 344, che ha stabilito che l’art. 27 l. adoz. non è in contrasto con l’art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede che possa essere pronunciata per gravi motivi nell’interesse dell’adottato la revoca dell’adozione.
62
La versione originaria dell’art. 28 della legge n. 184/1983 non
ammetteva la possibilità di conoscere le generalità dei genitori
naturali dell’adottato, sul presupposto che, con l’adozione
legittimante, il minore vedesse il proprio status di figlio
naturale sostituito con quello di figlio adottivo.
L’adozione era vista, infatti, come una nuova nascita del minore
e, conseguentemente, tutto ciò che era avvenuto in un momento
precedente perdeva di rilevanza. Nell’ottica che intendeva
scongiurare il pericolo di una doppia genitorialità, era pertanto
preclusa la visione dei documenti informazioni sui genitori
naturali, ai sensi dell’art. 24 1 comma legge n. 241/1990, che
esclude l’accesso “nei casi di segreto o di divieto di
divulgazione espressamente previsti dalla legge”. L’assolutezza
del disposto normativo veniva stemperata nel senso di consentire
all’ufficiale di stato civile di fornire notizie, informazioni,
estratti relativi all’origine dell’adottato, solo previa
autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria. I presupposti
per concedere tale autorizzazione venivano ricondotti
esclusivamente a tutela dei diritti costituzionalmente garantiti,
principalmente la salute60.
Sulla spinta del diritto convenzionale (art. 20 della Convenzione
europea di Strasburgo sull’adozione dei minori; art. 7 – 8 della
Convenzione di New york e art. 30 della Convenzione dell’Aja sulla
protezione dei minori e sulla cooperazione in tema di adozione
internazionale), la legge n. 149/2001 modificava integralmente
l’art. 28, consentendo all’adottato di accedere alle informazioni
relative all’identità dei propri genitori biologici. In
particolare, l’età ritenuta idonea dal legislatore a consentire la
conoscenza di siffatte informazioni senza riportarne un trauma
psicologico è indicata nei 25 anni. Raggiunta tale età, cessa la
segretezza sul rapporto genitoriale biologico e l’unica situazione
giuridica meritevole di tutela per l’ordinamento è il diritto
all’informazione dell’adottato.
60 In mancanza di un interesse serio e non emulativo in capo alla istante, va respinta la richiesta volta ad ottenere l'autorizzazione all'accesso ai documenti amministrativi ai fini delle identificazione della madre naturale, la quale deve essere tutelata nel suo diritto all'anonimato (cfr. Tribunale minorenni Perugia, 19 luglio 1999).
63
Diversa è la previsione contenuta nel primo comma dell’art. 28,
per cui l’adottato è informato di tale sua condizione nei tempi e
nei modi più opportuni. Le informazioni concernenti l'identità dei
genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi,
quali esercenti la potestà dei genitori, su autorizzazione del
tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati
motivi. Il tribunale accerta che l'informazione sia preceduta e
accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le
informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una
struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i
presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave
pericolo per la salute del minore. Per gli infra – venticinquenni,
dunque, la conoscenza dell’identità dei genitori biologici non si
configura come diritto autonomo, ma come strumentale alla tutela
di distinte situazioni giuridiche. Conseguentemente, il diritto di
conoscere le proprie origini non ha carattere unitario, ma
presenta due anime61: fino ai 25 anni, il legislatore vede il
diritto all’informazione come strumentale alla tutela di altre
situazioni giuridiche, mentre oltre i 25 anni sorge un vero e
proprio “diritto a sapere”, che non deve avere fondamento in altre
situazioni soggettive.
La dottrina è divisa circa la necessità o meno che l’accesso
dell’adottato ultraventicinquenne sia subordinato al rilascio di
autorizzazione. Più rispondente alla formulazione testuale della
norma e maggiormente accreditata in giurisprudenza, sembra essere
la tesi affermativa, atteso che il comma 6, che disciplina il
procedimento finalizzato a valutare l’equilibrio psico – fisico
del richiedente richiama il comma 5, che disciplina il diritto di
accesso sia per l’infra che per l’ultra venticinquenne62. Vi è 61 Cfr. S. MAZZUCCHI, Dei rapporti tra l’identità dell’adottato e la riservatezza del genitore naturale (in margine alla sentenza n. 425 del 2005 della Corte costituzionale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it . Cfr. App. min. Torino 13 settembre 2004, in Diritto della famiglia e delle persone, n. 2/2008, con nota di GALUPPI, in cui si evidenzia l’interesse ad evitare che l’adottato maggiorenne, ma di età inferiore ai 25 anni, il cui sviluppo psico – fisico è ancora incompleto, possa ricevere un trauma psico – fisico dalla conoscenza delle proprie origini, sicché l’accesso alle medesime è subordinato alla sussistenza di esigenze sanitarie collegate al familiare. 62 Cfr. M. PETRONE, Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, Milano, 2004, 49. Con riferimento alla valorizzazione del profilo relativo alla salvaguardia dell’equilibrio psico – fisico dell’adottato, cfr. Trib. Min. Trento decreto 20 marzo 2007, in Famiglia e minori, n. 7/2007, 88, ai sensi del quale è opportuno che l’accesso alla propria origine ed all’identità dei genitori biologici avvenga tramite l’accompagnamento dei giudici onorari
64
tuttavia una tesi contraria per cui, sul presupposto che, fissando
l’età dei 25 anni, il legislatore abbia fatto una valutazione in
astratto circa la maturità psico – fisica del soggetto, ritiene
ultroneo l’accertamento del giudice circa la possibilità che venga
turbato l’equilibrio psico – fisico del soggetto63.
Dette disposizioni vanno coordinate con il successivo comma 8°, a
mente del quale, facendo salvo quanto è previsto dai commi
precedenti, l’autorizzazione non è richiesta per “l’adottato di
maggiore età, quando i genitori sono deceduti o divenuti
irreperibili”. Appare preferibile l’accezione, fondata sul
principio della generale necessità dell’autorizzazione, per cui il
riferimento alla “maggiore età” si riferisca ai maggiori degli
anni diciotto, e non già al maggiorenne che non abbia ancora
compiuto i 25 anni.
L’anzidetta norma deve essere peraltro coordinata con il comma 7°,
a mente del quale “… l'accesso alle informazioni non è consentito
nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non
volere essere nominata ai sensi dell' articolo 30, comma 1, del
decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396…”.
Il combinato disposto dei commi 7 e 8 sembra ridimensionare la
portata del principio della mediazione del giudice minorile quale
presupposto indefettibile per l’esercizio del diritto
all’informazione dell’adottato, che cede il passo rispetto alla
tutela del diritto all’anonimato dei genitori naturali.
Sul punto è intervenuta Corte costituzionale, 25 novembre 2005, n.
425 in Diritto & Giustizia 2005, Riv. notariato 2006, 3 101, con
nota di TRUCCO, ai sensi della quale non è fondata la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, l. 4 maggio
1983 n. 184, come modificato dall'art. 177, comma 2, d.lg. 30
giugno 2003 n. 196, in quanto non contrastante con l'art. 2 cost.,
costituendo invece la norma espressione della ragionevole
valutazione comparativa dei diritti inviolabili dei soggetti
interessati. Non è altresì fondata la questione di legittimità
psicologi, cui è demandato il compito di rilasciare le informazioni in possesso del Tribunale per i Minorenni. In giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Min. Sassari 16 gennaio 2002, in Famiglia e diritto 2003, 69 con nota di Figone e Trib. Min. Perugia, 19 luglio 1999 e App. Palermo, 11 dicembre 1992. 63 Cfr. E. PALMERINI, Art. 28, in Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001, n. 149), commentario, a cura di CM Bianca e L Rossi, in Le nuove leggi civili commentate, 2002, 1021.
65
costituzionale della medesima norma sia in riferimento all'art. 32
cost., sotto il profilo dell'asserito pregiudizio del diritto
dell'adottato alla sua identità personale; sia in riferimento
all'art. 3, comma 1, sotto il profilo della diversità di
disciplina fra l'ipotesi dell'adottato nato da donna che abbia
dichiarato di non voler essere nominata e quella dell'adottato
figlio di genitori che non abbiano reso alcuna dichiarazione. La
Corte argomenta che la norma in esame effettua una legittima
comparazione delle situazioni soggettive in gioco, sulla base
delle seguenti argomentazioni: “… La norma impugnata mira
evidentemente a tutelare la gestante che - in situazioni
particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico
o sociale - abbia deciso di non tenere con sé il bambino,
offrendole la possibilità di partorire in una struttura sanitaria
appropriata e di mantenere al contempo l'anonimato nella
conseguente dichiarazione di nascita: e in tal modo intende - da
un lato - assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali,
sia per la madre che per il figlio, e - dall'altro - distogliere
la donna da decisioni irreparabili, per quest'ultimo ben più
gravi. L'esigenza di perseguire efficacemente questa duplice
finalità spiega perché la norma non preveda per la tutela
dell'anonimato della madre nessun tipo di limitazione, neanche
temporale. Invero la scelta della gestante in difficoltà che la
legge vuole favorire - per proteggere tanto lei quanto il
nascituro - sarebbe resa oltremodo difficile se la decisione di
partorire in una struttura medica adeguata, rimanendo anonima,
potesse comportare per la donna, in base alla stessa norma, il
rischio di essere, in un imprecisato futuro e su richiesta di un
figlio mai conosciuto e già adulto, interpellata dall'autorità
giudiziaria per decidere se confermare o revocare quella lontana
dichiarazione di volontà…”.
Va aggiunto che l’art. 28 comma 7 è stato riformulato dal TU sulla
privacy ed in particolare dall’art. 177 d.lgs. 30 giugno 2003 n.
196, nel senso che la prevalenza del diritto all’anonimato dei
genitori biologici è subordinata alla richiesta della madre di non
voler essere nominata, inserita nell’atto di nascita ai sensi
dell’art. 30 dpr 396/00. La peculiarità di tale disciplina
rispetto ai principi generali in materia di dati sensibili,
66
consiste nel fatto che la legittimità del trattamento dei dati
personali non viene subordinata al consenso espresso, ma al
mancato dissenso64.
Un’ulteriore, recente ed interessante applicazione estensiva
dell’art. 28, è contenuta nel decreto della Corte d’Appello di
Catania 8 – 21 novembre 2006, in Famiglia e minori, n. 6/07 fl. 71
ss., con nota di Padalino, ai sensi del quale l’adottato,
raggiunta l’età dei 25 anni, può accedere, previa autorizzazione
del Tribunale per i Minorenni, alle informazioni circa l’identità
dei fratelli biologici e nonostante la formulazione letterale
della norma si riferisca ai soli genitori biologici, in
considerazione del fatto che rispetto a tale ipotesi sussiste la
medesima ratio di assicurare soddisfacimento al desiderio
manifestato dall’adottato di conoscere le proprie origini. Tale
opzione era stata fatta propria dalla giurisprudenza già prima
dell’entrata in vigore della legge n. 149/01, sempre valorizzando
l’effetto liberatorio sotto il profilo psicologico della
conoscenza delle proprie origini (cfr. Trib. Min. Perugia, 27
febbraio 2001, in Diritto di famiglia, 2001, 627 e,
successivamente e in senso diverso, App. Torino, sez. min, 22
luglio 2004, in Diritto di famiglia, 2005, 918, con nota di
Galuppi, per cui la ricerca delle origini ha senso se viene
collegata ad un complesso habitat familiare e di affetti e inoltre
non può estendersi ai germani che, riservatamente sentiti dal
giudice, non abbiano dato il loro consenso, in considerazione del
carattere non assoluto del diritto di accesso concesso
all’adottato ultraventicinquenne).
In definitiva, l’adeguamento della formulazione dell’art. 28 alle
Convenzioni internazionali, come si evidenzia nei lavori
preparatori alla legge n. 149/01, realizza un delicato
contemperamento tra il diritto del minore, in caso di
inadeguatezza della famiglia di origine, ad una famiglia
affidataria o adottiva, ed il diritto che attiene alla sfera
dell’identità personale, ai sensi dell’art. 2 Cost., garantendo
all’adottato ultra – venticinquenne e previa autorizzazione del
64 Interessante è la precisazione contenuta in App. Roma, 15 novembre 2004, in Il diritto della famiglia e delle persone, 2006, 577, per cui l’adottato la cui madre biologica abbia espresso la volontà di non essere nominata, possa tuttavia accedere al proprio atto di nascita, per una più profonda e conoscenza delle proprie origini e delle circostanze della propria nascita.
67
tribunale, il soddisfacimento della propria aspirazione alla
conoscenza delle proprie origini. I due principi, sulla base delle
acquisizioni della scienza psicologica ed antropologica, non
appaiono incompatibili, ben potendo l’inserimento dell’adottato in
un nuovo contesto familiare integrarsi con l’acquisizione da parte
del medesimo, ferma restando l’accertata sussistenza dei necessari
requisiti di maturità psico – fisica, di una piena consapevolezza
della propria storia personale.
L’ADOZIONE INTERNAZIONALE
- 1 – la disciplina contenuta nella legge n. 184/1983 e la
ratifica della Convenzione dell’Aja del 1993. Autorità centrale ed
enti autorizzati.
La L. 184/1983 ha per la prima volta disciplinato in Italia
l’adozione internazionale, prestando particolare attenzione alle
fasi di essa che si svolgevano in Italia, ignorando
sostanzialmente quella che si svolgeva all’estero. Essa era
affidata ad un sistema «fai da te», in quanto le coppie erano
libere di rivolgersi all’estero a chi volevano65. Pur se era
prevista dalla legge l’istituzione di enti autorizzati a svolgere
le pratiche per l’adozione di bambini stranieri, era facoltativo e
comunque minoritario il ricorso a tale canale istituzionale.
Dopo appena quindici anni dalla prima disciplina dell’adozione
internazionale si è sentita la necessità di una sua riforma. Ciò è
stato determinato, in parte dalle ragioni in precedenza esposte,
ma è stato soprattutto reso necessario dall’avvenuta approvazione
della Convenzione dell’Aja del 1993. La Convenzione dell'Aja è
stata sottoscritta da settantasette Stati di tutti i continenti e
non è solo una convenzione sull'adozione, come altre precedenti,
ma un accordo sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in
materia di adozioni tra Paesi diversi. Sua peculiarità è che è
stata preparata sia dai rappresentanti dei Paesi di destinazione
che da quelli di provenienza dei bambini adottati.
La Convenzione si pone tre obiettivi. Il primo è quello di
prevedere delle garanzie, perché le adozioni internazionali si
65 Così F. OCCHIOGROSSO, L’adozione internazionale, inedito.
68
facciano solo nell'interesse superiore del minore e nel rispetto
dei suoi diritti fondamentali: questo principio, già affermato
dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 20/11/1989 è
stato richiamato anche qui. Il secondo è quello di instaurare un
sistema di cooperazione tra gli Stati per assicurare il rispetto
di tali garanzie e prevenire vendita e tratta di minori. Il terzo
punto fermo stabilito dalla Convenzione riguarda il principio di
sussidiarietà di cui all’art. 4 lett. B). Esso comporta che nessun
bambino deve lasciare il proprio Stato per essere adottato
all'estero, se prima le autorità del suo Paese non hanno accertato
che egli si trova in stato di abbandono e che l'adozione da parte
di suoi connazionali non è realizzabile. La Convenzione
stabilisce, infatti, che lo Stato di origine deve pronunziare
prioritariamente quei provvedimenti, che consentono al bambino di
rimanere nella propria famiglia o quanto meno nel proprio Paese e
che l'adozione internazionale è utile per dargli un'altra
famiglia, solo quando nello Stato di origine non sia possibile
trovargli una famiglia adottiva idonea.
Spetta alle Autorità dello Stato di origine accertare e dichiarare
lo stato di adottabilità, verificando che la famiglia d'origine
sia consapevole degli effetti dell'adozione e che non siano stati
pattuiti o corrisposti pagamenti o compensi di qualsiasi genere
per l'adozione del bambino.
Per assicurare l'osservanza dei principi stabiliti dalla
Convenzione ciascuno Stato deve istituire un'apposita Autorità
centrale. Tutte le Autorità centrali dovranno direttamente
cooperare tra loro per la miglior tutela dei bambini, scambiandosi
ogni informazione necessaria sul sistema normativo, sui bambini
adottabili e sugli aspiranti genitori adottivi. Alle Autorità
centrali si dovranno obbligatoriamente rivolgere coloro che
desiderano adottare un bambino straniero.
Sul punto non è consentita alcuna riserva da parte degli Stati
firmatari della convenzione, così da un lato abolendo il criticato
sistema ‘fai da te’, ma dall’altro ed in una certa misura
recependo una diffusa tendenza verso l’amministrativizzazione
delle competenze in materia di adozione internazionale nei diversi
Stati rappresentati in sede di lavori preparatori66. 66 Cfr. P. MOROZZO DELLA ROCCA, La funzione di garanzia della giurisdizione nel procedimento di adozione internazionale, in Minori e giustizia, 1/2003, 64 ss.
69
Il sistema degli enti autorizzati all’intermediazione garantisce
la tutela di due interessi fondamentali: interessi di natura
privatistica, finalizzati ad assicurare il migliore incontro tra
il minore e gli aspiranti adottanti, a tutela dell’interesse del
minore prima e durante l’espletamento del procedimento di
adozione; ma anche interessi di ordine pubblico, miranti al
rispetto delle condizioni che legittimano lo stato di adottabilità
del minore, nel rispetto di una procedura corretta. Tale sistema
scaturisce dalla presa d’atto che la giurisdizione domestica non è
nelle condizioni di poter controllare, in concreto, il rispetto
dei principi etici in relazione alle adozioni internazionali.
L’atteggiamento di fiducia nel sistema della commissione per le
adozioni internazionali, istituita in attuazione della Convenzione
con DPR n. 492/99, si rivela nella recente approvazione del
regolamento recante il riordino della stessa, attraverso il Dpr 8
giugno 2007 n. 108, in Famiglia e minori n. 9/07, fl. 34 ss. Tale
regolamento ha modificato la composizione della commissione,
aumentandone la componente politica, e ne ha ampliato il
ventaglio di compiti. Ha inoltre arricchito il fronte delle
sanzioni, in caso di irregolarità ed inottemperanza delle
prescrizioni di legge da parte degli enti autorizzati.
Viene introdotto dunque un controllo più severo degli enti
autorizzati, con possibilità di ridurre il numero degli stessi, a
vantaggio dell’efficienza e serietà ed efficienza degli stessi,
nella consapevolezza dell’estrema delicatezza della funzione di
raccordo da essi espletata tra adottati ed adottanti.
- 2 – La riforma in materia di adozione internazionale.
Presupposti e procedimento.
La principale difficoltà applicativa della Convenzione de L’Aja
nell’ordinamento italiano era connessa alla definizione del
rapporto tra amministrazione e giurisdizione, potendo
l’attribuzione di importanti competenze all’Autorità Centrale
indurre a ritenere che il legislatore internazionale avesse voluto
L’A. osserva, contro i timori diffusi di una perdita di garanzie giurisdizionali in questo procedimento, che l’art. 22 della Convenzione, interpretato con una certa larghezza, offriva una possibilità di aderire all’impostazione convenzionale, senza dover rinunciare all’impronta giurisdizionale che caratterizza la fase domestica dei procedimenti di adozione internazionale.
70
realizzare una parziale degiurisdizionalizzazione in materia67.
Invero, l’art. 22 n. 1 della Convenzione stabilisce che le
funzioni da essa attribuite all’Autorità centrale possono essere
attribuite dalla legge dello Stato di appartenenza, anche ad
Autorità pubbliche, tra le quali evidentemente rientra anche
l’autorità giudiziaria68.
L’obiettivo perseguito dal nostro legislatore è stato quello di
aderire alla Convenzione, al fine di perseguire l’obiettivo della
cooperazione internazionale, pur con alcune deviazioni miranti a
preservare i principi a fondamento del nostro ordinamento interno
in materia.
Un’importante specificità attiene al concetto di adottabilità del
minore. L’art. 4 lett. c e d) della Convenzione pone a fondamento
dell’adottabilità del minore i consensi sull’adozione sia alla
cessazione dei rapporti tra il minore e la famiglia di origine,
sancendone le modalità di acquisizione (con atto scritto, senza
pagamento o contropartita di alcun genere; che quello della madre
sia successivo alla nascita del figlio; che quello del minore sia
un consenso informato e prestato liberamente) per giungere
all’adottabilità sulla base della volontà espressa dai soggetti
(persone, istituzioni ed autorità nel caso di decadenza della
potestà genitoriale).
Va sottolineato che la Convenzione non parla mai di stato di
abbandono per il minore da adottare, ma solo di minore
"adottabile". L'interpretazione di questo termine comporta quindi
la necessità di chiarire se nel sistema della Convenzione, al fine
di ritenere lo stato di adottabilità, possano bastare i soli
consensi suindicati, anche in assenza di una situazione oggettiva
di abbandono morale e materiale del minore. Una valutazione di
compatibilità con l’ordinamento interno sembra essere richiesta,
perché la legge italiana (la L. 184/1983 riformata) all’art. 32/2
lett. a) stabilisce che la Commissione per le adozioni
internazionali non possa rilasciare l'autorizzazione all'ingresso
o alla permanenza del minore straniero in Italia, se dalla
documentazione trasmessale "non emerge la situazione di abbandono
67 cfr. MAGNO, L'adozione internazionale dei minori, in La riforma del diritto internazionale privato italiano, Napoli, 1997, 181.68 Cfr. A. TORRACA, L’adozione internazionale tra Convenzione de L’Aja e riforma della legge n. 184 del 1983, in Dir. Famiglia, 1999, 4, 1374.
71
del minore” ed il concetto di situazione di abbandono - fondamento
dell'adottabilità – è disciplinato dall’art. 8 della stessa legge,
che lo intende come un’oggettiva ed irreversibile privazione di
assistenza morale e materiale del minore da parte dei genitori o
dei parenti tenuti agli alimenti69. Peraltro, l’art. 31 lett. F) l.
adoz. richiede la necessità dell’attestazione, da parte
dell’autorità straniera, della sussistenza delle “condizioni di
cui all’art. 4 della Convenzione”: deve dunque sussistere lo stato
di adottabilità del minore, connesso (per quanto si è detto) allo
stato di abbandono del minore e la rispondenza dell’adozione al
“superiore interesse del minore”70 – che, ai sensi dell’art. 32
lett. A) richiede l’emergenza di una situazione di abbandono, di
impossibilità di procedere all’affidamento preadottivo, o della
sussistenza di un provvedimento di adozione nello stato di origine
69 La giurisprudenza sembra non dubitare della necessità che tale requisito sussista anche nell’adozione internazionale, come risulta da Cassazione civile , sez. I, 15 marzo 2002, n. 3792, Famiglia e diritto 2002, 407, ai sensi della quale, in tema di accertamento dello stato di abbandono, il diritto del fanciullo a mantenere rapporti con i genitori di sangue, di cui agli art. 1 l. n. 184 del 1983 e 9 l. n. 176 del 1991, tutela un suo interesse superiore presunto, perché va rispettata e preservata, in base al diritto interno ed a quello internazionale, l'identità del minore e la sua esigenza nella misura del possibile a vivere con i genitori biologici e ad essere allevato.
70 Quanto al significato di questa espressione, la dottrina (cfr. P. Vercellone, “La filiazione, in Trattato di diritto civile italiano”, Torino, 1987, pag. 291 e segg.), prima della riforma, aveva ritenuto che essa fosse costituita dai due seguenti requisiti: la sussistenza dello stato di abbandono e l’accertamento dell’idoneità all’adozione internazionale della coppia affidataria o adottiva. Ma dopo la riforma, questa conclusione è stata messa in discussione. Si è detto (cfr. L. SACCHETTI, Il nuovo sistema dell’adozione internazionale, Maggioli, Rimini, 38 ss.) che, essendo stato decisamente modificato dal legislatore dell’adozione internazionale il concetto di situazione di abbandono, si doveva con ciò stesso ritenere che quello relativo alla sussistenza dello stato di abbandono non dovesse più essere considerato un principio fondamentale (e per ciò stesso immodificabile) del diritto italiano di famiglia e dei minori. Si è aggiunto poi che il riferimento all’interesse del minorenne come superiore comportasse un giudizio di prevalenza di tale interesse su ogni altro principio, appunto perché considerato “superiore”. Contra, F. OCCHIOGROSSO, L’adozione internazionale, cit. in quale osserva che l’individuazione dei principi fondamentali indicati non comporta la loro immodificabilità concettuale né che essi non possano essere altri diversi oggi rispetto a quelli di ieri alla luce della nuova normativa. Inoltre, l’art. 35 dice che il tribunale deve accertare che “l’adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore”, ma il superiore interesse del minore è indicato come criterio di valutazione al quale rapportare i principi fondamentali suddetti; esso però non viene né identificato con essi né indicato come sostitutivo di essi. Perciò è sempre necessario individuare i principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, salvo poi valutarli in rapporto all’interesse del minore.
72
- oltre che il consenso degli esercenti la potestà, che deve
essere stato espresso liberamente71.
La disciplina dell’adozione internazionale di cui alla l.n.
184/1983 è stata innovata dalla 476/1998 e dalla più recente legge
28 marzo 2001 n. 149, contenente modifiche alla legge 4 maggio
1983 n. 184 recante <Disciplina dell'adozione e dell'affidamento
dei minori > nonché al titolo VIII del libro primo del Codice
Civile.
Ma tra i due tipi di adozione si è perpetuato quel collegamento
che già in precedenza vi era e che in qualche misura ha modificato
le peculiarità già descritte dell'adozione internazionale. Il
collegamento più significativo è costituito dall’art. 29 bis del
testo riformato, che abilita a richiedere la dichiarazione di
idoneità all'adozione internazionale coloro che si trovano nelle
condizioni prescritte dall'art. 6.
Fino all'aprile 2001 ciò ha significato che potevano avanzare tale
richiesta i coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, non
separati neppure di fatto, la cui età superasse di almeno diciotto
anni e non più di quaranta anni l'età dell'adottando.
Con l'entrata in vigore della L. 149/2001 è stato riformato l'art.
6 della L. 184/1983, riforma che incide anche sull'adozione
internazionale. Il primo comma ribadisce quanto già era affermato
in passato: l'adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio
da almeno tre anni, non separati neppure di fatto negli ultimi tre
anni; il successivo quarto comma modifica tale norma, aggiungendo
che "il requisito della stabilità del rapporto di cui al primo
comma può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano
convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per
un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i
minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza,
avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto".
Quanto alla differenza di età tra adottanti e adottato, il terzo
71 V. tuttavia F. OCCHIOGROSSO, L’adozione internazionale, cit., il quale osserva: “… in sostanza, il concetto di abbandono riceve da questa recente normativa una rilettura significativa che lo modifica parzialmente, ma significativamente. Non c’è dubbio infatti che considerare abbandonato un minore sulla sola della totale rinuncia a lui dei suoi genitori, significa aprire la porta all’adozione consensuale; che se è vero che la Convenzione è attenta a richiedere che i consensi debbano essere informati e che privi di qualunque contro-prestazione è tuttavia anche vero che i genitori potrebbero rinunciare a lui, non perché lo vogliano abbandonare, ma al contrario per amore, allo scopo di assicurargli un futuro migliore in un Paese ricco dell’Occidente…”.
73
comma conferma che quella minima deve essere di diciotto anni, ma
amplia quella massima da quaranta a quarantacinque. Ma vi è poi il
comma 6, che modifica in modo poco comprensibile tale
disposizione, aggiungendo che "Non è preclusa l'adozione quando il
limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di
essi in misura non superiore a dieci anni, ovvero quando essi
siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno
sia in età minore, ovvero quando l'adozione riguardi un fratello o
una sorella del minore già dagli stessi adottato". La dottrina
ritiene che quando i coniugi abbiano adottato un fratello essi
possono ottenere l'adozione nazionale dell'altro,
indipendentemente da qualunque limite di età. Per quanto riguarda
l’adozione internazionale, essi potranno essere dichiarati idonei
a tale adozione (che ovviamente dovrà essere fatta all'estero)
senza che si ponga alcun limite di età. Lo stesso principio vale
quando i coniugi abbiano un figlio minorenne (o anche più figli di
cui almeno uno sia minorenne): anche in questo caso si deve
ritenere superata la prescrizione relativa alla differenza di età
indicata dal terzo comma.
Vi è poi il quinto comma del nuovo art. 6, che realizza una deroga
ulteriore, perché afferma che i limiti di cui al terzo comma
possono essere derogati qualora il tribunale per i minorenni
accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non
altrimenti evitabile per il minore. Per quanto riguarda l'adozione
internazionale, si è in taluni casi legittimata l’adozione di
minori di pochi anni da parte di genitori in età avanzata, come è
avvenuto per i cosiddetti “bambini di Chernobyl”, vale a dire di
quei bambini ospitati nel nostro Paese a seguito dell’incidente
avvenuto nella centrale nucleare bielorussa oltre venti anni or
sono, che giunti in Italia per meri soggiorni estivi, vi sono
talvolta rimasti a tempo indeterminato.
In conclusione, il nuovo art. 6 ha definitivamente superato il
principio affermato dalla precedente normativa che il diritto del
minore alla famiglia si realizza meglio inserendolo in un nucleo
giovane, piuttosto che anziano. Principio che continua ad essere
applicato solo nella comparazione in tema di adozione nazionale72.
72 F. OCCHIOGROSSO, l’adozione internazionale, cit., osserva che Il legislatore sembra ignorare il principio giustinianeo "adoptio naturam imitatur" per avvicinarsi alle metodiche senza regole di età in uso per la fecondazione
74
Quanto alla sequenza procedimentale relativa all’adozione
internazionale, la legge n. 476/1998 ha conservato due momenti
chiave della difesa giurisdizionale degli interessi del minore e
degli altri soggetti coinvolti nel procedimento di adozione:
1. il momento iniziale, sino alla dichiarazione di idoneità;
2. il momento finale, con l’attribuzione dell’efficacia
interna al provvedimento straniero di adozione o di
affidamento preadottivo.
La nuova legge propone un sistema decentrato ed articolato su
una pluralità di soggetti che tutti hanno un ruolo importante, che
rende indispensabile il loro coordinamento. Tali soggetti sono il
tribunale per i minorenni, i servizi socio- assistenziali, gli
Enti autorizzati, la Commissione per le adozioni internazionali,
gli Uffici Consolari.
L'articolazione complessa del meccanismo di distribuzione dei
compiti tra i vari soggetti ora preposti all’adozione
internazionale si coglie dal seguente specchietto (curato da
Lamberto Sacchetti), che li individua, indicandoli specificamente
per ciascun ente.73
I soggetti preposti sono i seguenti:
a) Tribunale per i minorenni:
- dichiara l'idoneità all'adozione;
- esegue controlli al fine di riconoscere efficacia di affidamento
preadottivo ai provvedimenti stranieri di affidamento, destinati a
perfezionarsi in adozione dopo l'ingresso del minore in Italia, o
di riconoscere efficacia di adozione o di affidamento preadottivo
ai provvedimenti di Stati estranei alla Convenzione;
- al termine degli affidamenti preadottivi come sopra riconosciuti
pronuncia l'adozione;
- può convertire in adozione provvedimenti stranieri non
legittimanti se li riconosce conformi alla Convenzione;
- ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nei
registri dello stato civile, conseguendone per l'adottato
l'acquisto della cittadinanza italiana.
artificiale.
73 L. Sacchetti, op. cit., pag. 51-52.
75
b) Servizi socioassistenziali:
- istruiscono le pratiche per l'idoneità all'adozione;
sostengono il nucleo adottivo per un anno dall'ingresso del minore
in Italia;
- segnalano al tribunale per i minorenni eventuali necessità di
interventi.
c) Enti autorizzati (e servizi per l'adozione internazionale
istituibili da regioni e province autonome):
- ricevono l'incarico dagli aspiranti all'adozione;
- curano la pratica all'estero;
- informano sull'esito la Commissione;
- collaborano con i servizi in Italia a sostegno del nucleo
adottivo.
d) Commissione per le adozioni internazionali:
- autorizza gli enti a operare, vigila su di essi, ne tiene
l'albo; autorizza l'ingresso e la permanenza del minore in Italia;
- conserva gli atti delle procedure di adozione internazionale;
- può comunicare agli adottanti notizie necessarie per la salute
dell'adottato.
e) Uffici Consolari:
- rilasciano il visto d'ingresso dopo che questo è autorizzato
dalla Commissione;
- collaborano con l'ente per il buon esito della procedura
all'estero.
Da questo schema si evidenzia come la nuova legge abbia reso più
complesso il quadro istituzionale, per cui il corretto esercizio
della giurisdizione presuppone che si tenga conto della complessa
rete di attori istituzionali.
- 3 – La procedura di trascrizione del provvedimento di adozione
rilasciato dallo Stato estero. La revoca dei provvedimenti di
adozione.
Nel momento in cui il minore ha fatto ingresso in Italia sulla
base di un provvedimento di adozione o di affidamento a scopo
adottivo, rilasciato dall’autorità straniera, ed a seguito della
fase di adozione o di affidamento, si apre la fase di approvazione
di tale provvedimento, tramite il tribunale per i minorenni, la
76
cui competenza funzionale ed esclusiva è limitata ai casi previsti
dalla legge n. 476/1998.
L’art. 35 l. adoz. distingue i seguenti casi:
- nell’ipotesi in cui l’autorità straniera abbia pronunciato
l’adozione, secondo la Convenzione non è necessaria alcuna
delibazione della sentenza straniera, poiché essa stabilisce che
l’adozione, certificata conforme ad essa dall’Autorità competente
dello Stato contraente in cui abbia avuto luogo, è riconosciuta a
pieno diritto negli altri Stati contraenti (art. 23), e che il
riconoscimento dell’adozione in uno Stato contraente può essere
dunque rifiutato solo nel caso in cui l’adozione medesima sia
manifestamente contraria al suo ordine pubblico, in considerazione
del superiore interesse del minore (art. 24). Tuttavia, a maggior
tutela del minore, ai fini del riconoscimento del provvedimento di
adozione rilasciato dallo Stato estero, non si è fatta
applicazione degli artt. 64 ss. della legge n. 218/1995
(applicabili invece all’adozione per i maggiorenni e all’adozione
nei casi particolari), che riconoscono automaticamente il
provvedimento straniero, ma è stato previsto un controllo da parte
del Tribunale per i minorenni, in ciò discostandosi da quanto
previsto dalla Convenzione de L’Aja.
Orbene, la legge n. 218 del 1995, nell'abrogare (ex art. 73), a far
data dal 31 dicembre 1996, gli art. 796 ss. del codice di rito,
dettati in tema di delibazione di sentenze straniere, aveva
sostituito ad essi, con gli art. 64 ss., un riconoscimento
"tendenzialmente" automatico di tali pronunce al loro passaggio in
giudicato nell'ordinamento di origine, e limitato l’esigenza di uno
specifico accertamento dei requisiti richiesti alle sole situazioni
di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento,
ovvero a quella in cui sia necessario procedere ad esecuzione
forzata, e delineando quindi, in via meramente eventuale, allo
scopo, un procedimento innanzi alla corte d'appello. Tale modifica
ha tuttavia fatto salve, all'art. 41, le disposizioni delle leggi
speciali in tema di adozioni di minori, così predicando il
perdurante vigore e la prevalenza, rispetto alle previsioni di
carattere generale di cui alla riforma del diritto internazionale
privato, della disciplina speciale dell'adozione internazionale di
minori di cui alla legge n. 184 del 1983, che prevede, tra l'altro,
77
la competenza in materia del tribunale per i minorenni74. Peraltro,
detta competenza non è derogata in caso di adozione non
legittimante, per effetto della esclusione, in tale ipotesi, ai
sensi dell'art. 35, comma 6, della legge citata, della possibilità
di trascrizione della sentenza straniera, poiché l'art. 32, comma
3, della legge stessa prevede che, in via di eccezione, il
tribunale per i minorenni possa convertire l'adozione straniera non
legittimante in una adozione che produca la cessazione dei rapporti
con la famiglia di origine, purché venga riconosciuta conforme alla
convenzione de L'Aja ( cfr. Cass. Civ., sez. I, 11 marzo 2006, n.
5376)75.
74 Si segnala, in giurisprudenza di merito, un precedente del Trib. Min. Bari 16 aprile 2008, che, in un caso di minore figlio di genitori italiani che sia stato adottato da una coppia di stranieri, ha stabilito, quanto alla richiesta di trascrizione della sentenza di adozione proposta dall’interessato, che la procedura prevista dagli artt. 31 ss. L.n. 184/83 relativa al riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione, rispetto alla quale è competente il Tribunale per i Minorenni, non opera nel caso di specie. Essa trova invece applicazione nella diversa ipotesi di adozione già perfezionata nello stato straniero, ovvero da perfezionarsi con l’arrivo del minore straniero in Italia, relativa a minore straniero che venga adottato da coniugi italiani e residenti in Italia. Si è pertanto ritenuto che la fattispecie non fosse di competenza dell’Autorità Giudiziaria italiana, dovendosi applicare il combinato disposto di cui agli artt. 41 – 64 e 65 l.n. 218/1985, in materia di riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri, qualora risultino ottemperate le condizioni di cui all’art. 64, atteso che l’art. 41 primo comma stabilisce che “i provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli artt. 64, 65 e 66” (nello stesso senso, cfr. Trib. Min. Palermo, 6 febbraio 1985).
75 Una problematica avvertita è quella dei provvedimenti degli stati islamici di affidamento di minori a cittadini italiani. Per i giudici di merito, il minore marocchino affidato nel suo Paese di origine a due coniugi italiani mediante provvedimento di kafalah e autorizzato all'ingresso in Italia dalla Commissione per le adozioni internazionali, non potendo essere adottato con adozione legittimante a causa della non equiparabilità della kafalah ad un provvedimento di affidamento preadottivo, si trova in una situazione di constatata impossibilità di affidamento preadottivo, e può quindi, nel suo interesse, essere adottato dagli affidatari mediante adozione in casi particolari, Trib. min. Trento 10 settembre 2002, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 149, con nota di Long, Adozione extraconvenzionale di minori provenienti da Paesi islamici, nonché sempre nello stesso senso, Trib. min. Trento 11 marzo 2002 (in Dir. fam., 2004, 135, con nota, di Galoppini, L'adozione del piccolo marocchino, ovvero gli scherzi dell'eurocentrismo; in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2002, 1056) e Trib. min. Trento 5 marzo 2002, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 149. Da ultimo, in tema di adozione di minore marocchino, la Cassazione ha stabilito che l'istituto di diritto islamico della "kafalah", sebbene attribuisca ai coniugi affidatari un potere dal contenuto educativo sostanzialmente assimilabile all'affidamento preadottivo, non attribuisce né la tutela né la rappresentanza legale del minore, con conseguente inammissibilità dell'opposizione degli affidatari alla dichiarazione di adottabilità del minore stesso (cfr. Cass. 4 novembre 2005 n. 21395).
78
- Nel caso in cui un provvedimento straniero preveda solo un
affidamento a scopo adottivo, e quindi l’adozione debba
perfezionarsi in Italia, il Tribunale per i Minorenni riconosce il
provvedimento come affidamento preadottivo, stabilendo un termine
di durata di detto affidamento in un anno, che decorre
dall’inserimento del minore nella nuova famiglia, così come
certificato dall’Ente autorizzato. Decorso tale periodo, se
ritiene che sia nell’interesse del minore la permanenza nella
nuova famiglia, pronuncia l’adozione e ne dispone la trascrizione
nei registri dello stato civile. Si discute se l’adozione
pronunciata all’estero senza che sia stata preceduta da un periodo
di affidamento preadottivo, possa essere comunque dichiarata
efficace in Italia. Sul punto è intervenuta la Corte
costituzionale, che ha dichiarato manifestamente infondata, in
riferimento all'art. 3 cost., la questione di legittimità
costituzionale degli art. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, l. 4
maggio 1983 n. 184, come modificati dalla l. 31 dicembre 1998 n.
476, nella parte in cui non prevedendo, per l'adozione
internazionale, l' affido preadottivo del minore per la durata di
un anno quale principio fondamentale del diritto di famiglia e dei
minori, creerebbero una irragionevole disparità di trattamento tra
il minore adottato all'estero e il minore adottato in Italia. La
Corte ha argomentato che, premesso che la legge n. 476 del 1998,
nel ratificare la convenzione per la tutela dei minori e la
cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja
il 29 maggio 1993, ha previsto, in linea con le disposizioni
convenzionali, che l' efficacia diretta nell' ordinamento interno
dell' adozione pronunciata all'estero sia subordinata ad una serie
di adempimenti e controlli tali, da comportare una verifica, da
parte del giudice italiano, effettiva e non limitata ad aspetti
solamente formali, in ordine ai presupposti richiesti per il
riconoscimento e alla regolarità della procedura. Pertanto deve
escludersi che sussista la denunciata disparità di trattamento,
posto che il legislatore ha ampia discrezionalità nel prevedere
diverse forme per i diversi tipi di adozione e il minore adottato
all' estero risulta comunque tutelato dalle disposizioni
censurate, pur in assenza di un periodo di affidamento preadottivo
in Italia - la cui previsione verrebbe peraltro a porsi in
79
insanabile contrasto con la convenzione e con lo stesso sistema
del diritto internazionale privato - mentre nessuna norma
costituzionale impone di riconoscere quale principio fondamentale
del diritto di famiglia e dei minori in Italia l'obbligatoria
previsione di un periodo di affidamento preadottivo per il minore
adottato all'estero (cfr. Corte cost., 31 luglio 2002, n. 415).
Per contro, la pronuncia straniera può limitarsi a statuire un
affidamento che, pur provvisorio, può essere dichiarato efficace
nel territorio italiano. In ogni caso, l’art. 35 u. c. prevede un
elenco tassativo di casi in cui il giudice italiano non può
ordinare la trascrizione del provvedimento dell’autorità
straniera.
- Quanto all’adozione o provvedimento di affidamento preadottivo
pronunciato in un paese non aderente alla Convenzione de L’Aja,
l’art. 36 detta precise condizioni per dichiarare efficaci in
Italia siffatti provvedimenti, esigendosi innanzitutto
l’accertamento dello stato di abbandono del minore e la
sussistenza da parte dei genitori di un preciso consenso ad
un’adozione avente effetto legittimante e quindi comportante la
cessazione dei rapporti tra il minore ed i suoi familiari. La
ratio di tale disposizione è quella di evitare, anche per i
bambini provenienti da Stati non aderenti alla Convenzione, il
regime del ‘fai da te’.
Il minore viene in ogni caso inserito nel nuovo nucleo familiare
per un anno, decorso il quale con esito positivo, viene
pronunciata l’adozione e ne viene ordinata la trascrizione. Se
l’affidamento ha dato esito negativo, il tribunale revoca la
pronuncia ed applica i provvedimenti di cui all’art. 21
Convenzione76. Si ritiene altresì applicabile l’art. 37 bis,
76 L’art. 21 recita: “1. Allorché l'adozione deve aver luogo successivamente al trasferimento del minore nello Stato di accoglienza, l'Autorità Centrale di tale Stato, se ritiene che la permanenza del minore nella famiglia che lo ha accolto non è più conforme al superiore interesse di lui, prende le misure necessarie alla protezione del minore, particolarmente al fine di:a - riprendere il minore dalle persone che desideravano adottarlo ed averne provvisoriamente cura;b - di concerto con l'Autorità Centrale dello Stato d'origine, assicurare senza ritardo un nuovo affidamento per l'adozione del minore o, in difetto, una presa a carico alternativa durevole;l'adozione non può aver luogo se l'Autorità Centrale dello Stato d'origine non è stata debitamente informata circa i nuovi genitori adottivi;
80
essendo il minore in stato di abbandono, con apertura di una
procedura di adottabilità. L’art. 35 4° comma prevede peraltro
che, in caso di esito negativo del periodo di affidamento
preadottivo, subentri la revoca del provvedimento.
E’ da segnalare che l’art. 34 3 co. prevede che il minore straniero
acquisti la cittadinanza italiana a seguito della trascrizione del
provvedimento di adozione, divenuto definitivo, ai sensi dell’art.
26 comma 4, nei registri dello Stato civile.
Com’è noto, si tratta di un acquisto automatico per il quale, in
linea normale, si applica il comma 8° dell’art. 16 del Regolamento
di esecuzione della Legge n. 91/1992. Sennonché il Ministero
dell’Interno con sua Circolare k.28.4 in data 13 novembre 2000, ha
chiarito che la trascrizione del provvedimento straniero nei
registri dello stato civile non ha una valenza costitutiva, con la
conseguenza che l’adozione pronunciata all’estero è tale da
produrre i suoi effetti retroattivamente e quindi non già dalla
data di trascrizione, ma dalla data dell’emanazione all’estero,
sia per quanto attinente alla decorrenza del rapporto di
filiazione, sia per quanto attinente alla decorrenza dell’acquisto
della cittadinanza italiana da parte dell’adottato.
In taluni casi può accadere che vi sia un fallimento del rapporto
adottivo prima che intervenga la trascrizione della sentenza.
In questo caso la fattispecie a formazione progressiva non si
perfeziona, ponendosi il concreto problema di adottare idonee
misure a tutela del minore. Soccorre, in ipotesi, l'articolo 21
della Convenzione, il quale prevede le possibili iniziative da
assumersi a protezione del minore, particolarmente al fine di:
a - riprendere il minore dalle persone che desideravano adottarlo
ed averne provvisoriamente cura;
b - di concerto con l'Autorità Centrale dello Stato d'origine,
assicurare senza ritardo un nuovo affidamento per l'adozione del
minore o, in difetto, una presa a carico alternativa durevole (in
questo caso l'adozione non può aver luogo se l'Autorità Centrale
dello Stato d'origine non e stata debitamente informata circa i
nuovi genitori adottivi);
c - come ultima ipotesi, provvedere al ritorno del minore, se il suo interesse lo richiede…”.
81
c - come ultima ipotesi, provvedere al ritorno del minore, se il
suo interesse lo richiede.
In tal caso il minore che abbia compiuto gli anni 14 deve sempre
esprimere il consenso circa i provvedimenti da assumere; se ha
raggiunto gli anni 12 deve essere personalmente sentito; se di età
inferiore deve essere sentito ove ciò non alteri il suo e-
quilibrio psico-emotivo, tenuto conto della valutazione dello
psicologo nominato dal tribunale.
L’ipotesi negativa della quale ci si occupa può essere determinata
dal sostanziale e successivo rifiuto da parte degli adottanti (la
c.d. “restituzione”), ovvero nel mancato inserimento del minore
medesimo nel nuovo contesto socio - familiare. In questi casi, la
legge, per l’appunto, attribuisce al tribunale per i minorenni il
potere di non trascrivere il provvedimento straniero di adozione.
A tale proposito, infine, la giurisprudenza ha affermato che
l'art. 37 della legge n. 183 del 1984 - ai sensi del quale nei
confronti del minore straniero in stato di abbandono nel
territorio dello Stato è operante la legge italiana in materia di
adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di
urgenza - comporta non soltanto, sul piano processuale, la
giurisdizione del giudice italiano, a prescindere dagli elementi
di collega-mento previsti dalla legislazione interna, ma anche,
sul piano sostanziale, l'assoggettamento del rapporto alla
normativa in-terna, in deroga alle comuni regole di diritto
internazionale privato. Pertanto, qualora il tribunale per i
minorenni dia ini-zio alla procedura per la dichiarazione di
adottabilità di un minore straniero, in relazione allo stato di
abbandono in cui lo stesso si trovi al momento dell'intervento, la
circostanza che, successivamente a tale momento, le autorità del
Paese d'origine richiedano il rimpatrio del minore, così come non
è idonea ad escludere la giurisdizione italiana, non fa venir meno
l'appli-cazione al rapporto della legge italiana, attesi gli
stretti collegamenti tra giurisdizione e legge applicabile in
materia (cfr. Cass. civ., Sez. I, n. 9576 del 4/11/1996).
82
VALERIA MONTARULI
GIUSEPPE BATTISTA
83