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PROFILI SOSTANZIALI E PROCESSUALI RELATIVI ALL’ADOZIONE AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto bisogno, per un corretto sviluppo della sua personalità individuale e sociale, di un ambiente e di una situazione familiare idonei, come dimostrano i numerosi studi sugli effetti dell’isolamento nello sviluppo globale della personalità. Sulla base di tali ricerche, si è giunti alla conclusione che i grandi istituti assistenziali – pur se privi di connotazioni negative gravi, legate a carenze materiali o episodi di maltrattamento – non consentivano uno sviluppo armonico della personalità, che necessita di relazioni affettive e punti di riferimento stabili 1 . Pur sancendo a chiare lettere la centralità dell’istituto familiare nel panorama sociale del nostro Paese, è la stessa Carta Costituzionale a prevedere la necessità di predisporre strumenti adeguati, nell’ipotesi in cui sia constatata l’incapacità dei genitori a svolgere adeguatamente i loro compiti (art. 30 Cost.). Il minore ha diritto a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia (art. 1 comma 1 l. adoz.), ma quando essa non è in grado di provvedervi, soccorrono vari istituti giuridici (comma 4°). Di essi si darà contezza nelle pagine che seguono. 1 – L’affidamento familiare. L’istituto dell’affidamento familiare, come alternativa rispetto al ricovero in un istituto di assistenza, soddisfa l’esigenza di allontanare un minore dall’ambiente di origine, quando questo non 1 Cfr. AC MORO, Manuale di diritto minorile, Bologna, 2002. 1

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PROFILI SOSTANZIALI E PROCESSUALI RELATIVI ALL’ADOZIONE

AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’

Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere.

Il soggetto in età evolutiva ha assoluto bisogno, per un corretto

sviluppo della sua personalità individuale e sociale, di un

ambiente e di una situazione familiare idonei, come dimostrano i

numerosi studi sugli effetti dell’isolamento nello sviluppo

globale della personalità. Sulla base di tali ricerche, si è

giunti alla conclusione che i grandi istituti assistenziali – pur

se privi di connotazioni negative gravi, legate a carenze

materiali o episodi di maltrattamento – non consentivano uno

sviluppo armonico della personalità, che necessita di relazioni

affettive e punti di riferimento stabili1.

Pur sancendo a chiare lettere la centralità dell’istituto

familiare nel panorama sociale del nostro Paese, è la stessa Carta

Costituzionale a prevedere la necessità di predisporre strumenti

adeguati, nell’ipotesi in cui sia constatata l’incapacità dei

genitori a svolgere adeguatamente i loro compiti (art. 30 Cost.).

Il minore ha diritto a crescere ed essere educato nell’ambito

della propria famiglia (art. 1 comma 1 l. adoz.), ma quando essa

non è in grado di provvedervi, soccorrono vari istituti giuridici

(comma 4°). Di essi si darà contezza nelle pagine che seguono.

1 – L’affidamento familiare.

L’istituto dell’affidamento familiare, come alternativa rispetto

al ricovero in un istituto di assistenza, soddisfa l’esigenza di

allontanare un minore dall’ambiente di origine, quando questo non

sia idoneo alla sua educazione (art. 2 legge 184/1983, come

modificata dalla legge n. 149/2001). Esso può soddisfare ovviare sia a momentanee difficoltà del nucleo familiare, sia a carenze più profonde e durature, che potrebbero condurre ad un sostanziale

abbandono del minore. A seconda della natura di tali difficoltà,

si configurano diversi tipi di affidamento.

1 Cfr. AC MORO, Manuale di diritto minorile, Bologna, 2002.

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Nella logica dell’affidamento istituto, il bambino si trova perciò ad avere due famiglie o comunque due nuclei affettivi di

riferimento: quello in cui è nato e quello in cui è cresciuto per

un certo periodo della sua vita. L’affido raggiunge il suo scopo

quando gli affidatari consentano al minore di avere rapporti con

la sua famiglia di origine, in funzione di supporto rispetto alla

stessa, essendo essi destinatari dei doveri, ma non già dei poteri

del genitore. E’ peraltro previsto in capo all’affidatario

l’obbligo di agevolare i rapporti tra i genitori ed il minore e di

favorire il reinserimento di quest’ultimo nella famiglia di

origine.

Presupposto necessario per l’istituto dell’affido è che la

difficoltà in cui viene a trovarsi la famiglia di origine, seppure

non sia a carattere momentaneo, non debba comunque sconfinare

nello stato di abbandono materiale e morale, che potrà dar vita

alla procedura di adottabilità (art. 8).

La situazione che giustifica l'affidamento etero-familiare, a

norma degli art. 2 ss. l. 4 maggio 1983 n. 184, come sostituiti

dai corrispondenti articoli della l. 28 marzo 2001 n. 149, e

quella che conduce alla pronuncia di adottabilità si

differenziano, dunque, in quanto la mancanza di "un ambiente

familiare idoneo" è considerata nel primo caso temporanea e

superabile con il detto affidamento, mentre nel secondo caso si

ritiene che essa sia insuperabile e che non vi si possa ovviare se

non per il tramite della dichiarazione di adottabilità, attraverso

la definitiva rescissione del legame con il nucleo familiare

originario, che si realizza con la dichiarazione dello stato di

adottabilità.

La determinazione della linea di demarcazione tra le due

situazioni potrà diventare assai problematica nei casi di

affidamento giudiziale, di competenza del TM, laddove la durata dell’affido può anche protrarsi per anni. La condizione del minore che si trovi in una situazione di

affidamento sine die, che non sfoci in un’adozione e neppure in un

rientro in famiglia, crea una situazione di incertezza nella

definizione della sua identità personale, sicché questa tipologia

di minore viene definita come “bambino nel limbo”, sospeso tra

instabili appartenenze, lasciate nella confusione e ambiguità.

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Invece, nei casi di competenza del giudice tutelare, presupposto

fondamentale ed imprescindibile è costituito dalla provvisorietà

dell’affido.

Nel provvedimento va indicato il tempo dell’affido che non può

superare i 24 mesi, prorogabili dal TM. Non è determinato il tempo

massimo. Tuttavia prevalsa un’interpretazione giurisprudenziale

per cui esso può al massimo durare per tre anni, sulla base del

vecchio istituto dell’affiliazione (abrogato dall’art. 77 della

legge dell’84), che serviva a stabilizzare gli affidi di oltre 3

anni (art. 404 c.c.) e che deduceva dall’abrogazione dell’istituto

dell’affiliazione lo sfavore del legislatore per gli affidi

ultratriennali2.

- 2 – La disciplina dell’affidamento del minore.

La disciplina dell’affidamento del minore è posta in apertura

della legge n. 184, con la quale il legislatore ha armonizzato una

regolamentazione dispersa tra leggi speciali.

L’affidamento, inteso come temporaneo inserimento del minore in

una famiglia diversa da quella di origine, rientra dunque nel

complesso di azioni di sostegno alla stessa.

Si distingue tra affidamenti privati, giurisdizionali ed

amministrativi.

- Quanto ai primi, essi venivano ipotizzati sulla base dell’art.

318 c.c., come esistenza di un potere del genitore di affidare il

figlio a terzi, pur se la legge n. 184 prevede che non possa

configurarsi per più di sei mesi, termine oltre il quale il

genitore è tenuto a dare notizia all’autorità giudiziaria;

- Quanto agli affidamenti amministrativi, l’abrogato art. 404 c.c.

attribuiva all’istituto di pubblica assistenza il potere di

affidare il minore ad una persona di fiducia. E’ sopravvissuto

l’art. 403 c.c., che prevede il collocamento di urgenza del minore

materialmente o moralmente abbandonato, allevato in locali

insalubri o pericolosi, o da persone incapaci di provvedere alla

sua cura, da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, in un

luogo sicuro. Dopo il collocamento provvisorio in luogo sicuro,

2 Cfr. RUGGIANO, L’affidamento consensuale e l’inserimento del minore negli istituti, in Il processo civile minorile, Quaderni del CSM, 611 ss.

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dovrà essere dato tempestivo avviso al TM, che deve disporre

l’affidamento ex legge n. 184

L’art. 2 l. n. 184/83 prevede che l’affidamento del minore che sia

temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo ad un’altra

famiglia possa essere disposto dal servizio sociale, previo

consenso dei genitori o del tutore, e in tal caso il provvedimento

è reso esecutivo dal giudice tutelare; ove manchi l’assenso di

tali soggetti, provvede il tribunale per i minorenni.

L’affidamento amministrativo può dunque essere disposto dal solo

servizio sociale, e non più dagli istituti.

- Quanto all’affidamento giurisdizionale, ai sensi dell’art. 330

c.c. il tribunale per i minorenni, dichiarando la decadenza dalla

potestà, ovvero ai sensi dell’art. 333 c.c. adottando i

provvedimenti più opportuni in caso di comportamenti

pregiudizievoli dei genitori, può prescrivere l’allontanamento del

figlio dalla residenza familiare e disporre l’affidamento del

minore a terzi, e può in casi di urgenza anche provvedere in via

provvisoria, prima della conclusione del procedimento. Peraltro,

nel corso degli accertamenti disposti nel procedimento di

abbandono, il tribunale per i minori può emettere ogni

provvedimento nei confronti del minore, compresa la sospensione

dalla potestà e la nomina di un tutore (art. 10 l. 184). E’ prassi

frequente del Tm disporre l’affidamento provvisorio del minore ad

una coppia idonea per l’adozione, sì che l’affidamento possa

trasformarsi in affidamento preadottivo.

Altre tipologie di affidamento giudiziario attengono a quello

disposto dal giudice tutelare, quando delibera sul luogo dove il

minore debba essere allevato e scelga anche le persone dalle quali

deve essere allevato; il giudice della separazione o del divorzio

può altresì affidare la prole a terzi (art. 2 l. 184,

analogicamente applicabile anche alla separazione).

Nell’ambito della sua competenza amministrativa, l’art. 25 Rdl n.

1404/1934 modificato dalla l. 888/56 prevedeva che il TM affidasse

il minore irregolare per condotta al preesistente servizio sociale

minorile, disponendone l’allontanamento dalla casa familiare. In

tal caso indicherà il luogo dove intende vivere e la persona o

l’ente che si prenderà cura di lui. Ancor più pregnante, a

fondamento dell’affidamento del minore al Servizio sociale, è il

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disposto dell’art. 26 comma 3°, a norma del quale “la misura

dell’art. 25 n. 1 può altresì essere disposta quando il minore si

trovi nella condizione prevista dall’art. 333 c.c.”.

- 3 – I soggetti ed il contenuto dell’affidamento. I poteri del

giudice tutelare e del tribunale per i minorenni.

- L’affidamento familiare, inteso come affidamento a famiglie,

persone singole o comunità di tipo familiare, è disposto dal

servizio locale, dal genitore esercente la potestà o dal tutore.

L’espressione ‘servizio locale’ è generica ed è per la prima

volta contenuta in un testo normativo. Il d.p.r. n. 616/1977

stabilisce che il Comune è l’ente erogatore delle prestazioni

assistenziali, pur se alcune funzioni sono state mantenute dalle

province o delegate alle asl. Il provvedimento di affidamento deve

promanare dall’organo che ha la rappresentanza esterna dell’ente.

- Il soggetto affidatario può essere una famiglia (anche di

fatto), una persona singola o una comunità di tipo familiare;

perché il servizio provveda è necessario il “consenso” dei

genitori (successivamente la norma parla di assenso, ma la

differenza appare priva di significato). Deve essere

obbligatoriamente sentito il minore che abbia compiuto gli anni

12, ma può essere sentito, ove sia opportuno, anche un minore di

età inferiore.

- Quanto al contenuto dell’affidamento, l’art. 5 co. 3 fornisce

indicazioni rispetto a quello consensuale dell’affidamento

disposto dal servizio sociale, perché, quanto all’affidamento

disposto dal TM, si richiamano gli artt. 330 ss. C.c. Il

provvedimento deve essere motivato ed è necessaria un’indicazione

formale delle ragioni di inidoneità della famiglia. Devono essere

indicati i tempi e le modalità dell’esercizio dei poteri

attribuiti all’affidatario.

- E’ previsto che il giudice tutelare renda esecutivo il

provvedimento del servizio sociale. Ciò dovrebbe significare che

il controllo del giudice tutelare sia condizione di efficacia del

provvedimento, pur se nella prassi esso viene eseguito prima che

intervenga tale provvedimento. Esso ha comunque una funzione di

controllo sulla sussistenza dei presupposti di legge, oltre che di

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verifica che non sussista una situazione di abbandono ovvero una

difficoltà non transitoria.

- Ove non vi sia il consenso dei genitori all’affidamento,

provvede il Trib. Min., essendo in tal caso indispensabile la

garanzia di un provvedimento giudiziario, che tenga luogo del

consenso mancante. La norma dice genericamente che il tribunale

provvede ai sensi degli artt. 330 ss. C.c. Non si modificano

comunque i presupposti dell’affidamento, che deve sopperire ad una

temporanea privazione di un ambiente familiare idoneo. Qualora il

tm si convinca che vi sia un’inidoneità dei genitori non

temporanea, che tuttavia non sia ancora tale da giustificare

l’apertura di una procedura di abbandono, il trib. Min. può

adottare i provvedimenti convenienti ex art. 333 c.c.

(allontanamento dalla casa familiare e affidamento a terzi).

- 4 - Profili sostanziali - la nozione di abbandono

a) ricostruzione storica dell’abbandono.

Il concetto di abbandono del minore, presupposto della

dichiarazione di adottabilità, è un’acquisizione tutt’altro che

recente nell’elaborazione giuridica e nelle formulazioni

legislative del nostro paese; di minori abbandonati, infatti,

parla già la legge 17 luglio 1890, n. 6972 sull'assistenza ai

poveri, oltre che varie altre leggi più particolarmente volte

all'assistenza minorile3: ai minori moralmente o materialmente

abbandonati, inoltre, si richiama l'art. 403 c.c., prevedendo il

loro collocamento in luogo sicuro, a cura della pubblica autorità.

Tuttavia, l’interesse delle istituzioni ai minori in condizioni di

abbandono non era – inizialmente – finalizzato alla

(ri)costruzione di un valido legame familiare alternativo a

quello, inesistente o gravemente carente, del nucleo di origine,

3 Per un approfondimento storico, si vedano la legge 18 luglio 1904, n. 390 nella sua interezza, e gli artt. 55 e 56 r.d. 1 gennaio 1905, n. 12, che distinguono per la prima volta minori materialmente e moralmente abbandonati; l'espressione viene riportata nella legge 10 dicembre 1925, n. 2277 sulla protezione e assistenza della materialità e infanzia, nonché, nel testo unico in materia, r.d. 24 dicembre 1934, n. 2316; infine, r.d.l. 8 maggio 1927, n. 798, che disciplina le funzioni della provincia nell'assistenza ai minori, si riferisce ai «fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all'abbandono».

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ma all’attuazione di tutta una congerie di interventi, aventi

natura esclusivamente o prevalentemente amministrativa.

Si trattava, dunque, di un concetto disgiunto da quello di

adozione, essendo quest’ultima originariamente finalizzata a

fornire una discendenza alle coppie (abbienti) che ne fossero

prive e non ad offrire una famiglia a bambini abbandonati.

E’ stato giustamente affermato4 che non più tardi di qualche

decennio fa allontanare un bambino equivaleva a disporne

l’istituzionalizzazione, sicché la popolazione delle strutture di

accoglienza era tanto numerosa quanto composita nella tipologia

dei problemi presentati.

Circa il merito delle ragioni che portavano alla scelta della

soluzione istituzionale, va ricordato che esistevano fatti di

costume che sembravano renderla obbligata e che, in quella fase

storica, essa era avallata da convinzioni diffuse ed accreditate

presso molta parte di operatori sociali e sanitari. Ad esempio,

erano numerosi i figli di madri nubili, abbandonati od esposti,

che (in alternativa al cosiddetto “baliatico”, che svolse una

funzione socialmente preziosa) venivano accolti presso strutture

in grado di ospitarli fino al sesto anno di età. Raggiunto tale

limite, se non era ancora possibile che le madri se ne facessero

carico, i minori, ormai portatori di sindromi carenziali di vario

genere, venivano trasferiti negli istituti medico – psico –

pedagogici (IMPP), la situazione interna dei quali non differiva

sostanzialmente da quella delle “istituzioni totali per adulti”,

delle quali rappresentava spesso l'anticamera: infatti, allo

scadere del diciottesimo anno di età, per molti di questi ragazzi

- per lo più psichicamente deteriorati e divenuti socialmente

inabili anche a causa della vita da internati condotta negli anni

cruciali del loro sviluppo - la “carriera” istituzionale doveva

obbligatoriamente proseguire e concludersi all'interno

dell'ospedale psichiatrico.

E’ con la legge 5.6.1967 n. 431, istitutiva dell’adozione allora

definita “speciale” – ma che ora a tutti gli effetti è da

considerarsi ordinaria – che lo stato di abbandono diventa il

presupposto per un intervento che potremmo definire ricostruttivo

del legame familiare, sulla base dell’affermazione, resa esplicita 4 Cfr. S. CIRILLO e M.V. CIPOLLONI: “L'assistente sociale ruba i bambini?" (1994).

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dalla legge n. 184/1983, del diritto del minore di vivere

all’interno della famiglia, possibilmente la propria, ma – quale

extrema ratio – anche in un’altra.

Ecco, dunque, che la definizione sostanziale dell’abbandono assume

un’importanza di primissimo piano nell’ambito dell’intera materia

civilistica minorile, atteso che la rescissione del legame con la

famiglia naturale d’origine, che ne costituisce la conseguenza, è

il più drastico (e doloroso) degli interventi che il giudice possa

operare, unitamente al successivo atto di costruzione

“artificiale” di un nuovo legame.

Sebbene i lavori parlamentari della legge del 1967 avessero

suggerito l’indicazione di un “catalogo” di fatti e circostanze

costituenti abbandono, la scelta del legislatore fu di segno

esattamente opposto, sostanziandosi nella “mera” enunciazione di

un concetto – contenitore, da doversi “riempire” a cura

dell’interprete di contenuti concreti.

Lo stato di abbandono nella legislazione vigente.

Non vi è dubbio che il problema non si pone solo in caso di totale

mancanza della famiglia d’origine, come accade allorché il minore

non sia stato riconosciuto da alcuno dei genitori, ovvero sia

stato materialmente abbandonato, cioè privato dell’essenziale per

vivere; ma anche quando egli sia stato fatto oggetto di condotte

commissive costituenti reato contro la vita, la libertà o la

dignità della persona (si pensi a minori oggetto di abusi o

sfruttamento sessuali, sevizie, maltrattamenti reiterati, etc.).

Peraltro, il concetto di abbandono materiale può desumersi

dall’art. 403 c.c., che faculta l’autorità pubblica (autorità

amministrativa) ad allontanare il minore dal suo contesto di

appartenenza, in particolari casi di degrado, che la norma

specificamente integra. Ove tali condizioni permangano inalterate

nel tempo, sarà evidente la sussistenza di una condizione di

abbandono.

In questi casi, la condizione di abbandono e – dunque – di

adottabilità sarà riconoscibile in re ipsa.

Si tratta, tuttavia, di situazioni – limite, numericamente

piuttosto scarse, che – per usare un’espressione resa celebre da

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una nota quanto risalente sentenza – fanno dei figli veri e propri

orfani di genitori viventi5. Oggi nessuno ritiene che i presupposti

dell’abbandono siano legati in maniera rigida a così gravi

circostanze, essendosi in via generale affermato un ampliamento

del diritti del minore (si pensi al più volte indicato diritto

all’affettività) che, di conseguenza, dilata i confini

dell’abbandono, comprendendo in esso una serie di condotte

omissive, direttamente incidenti sull’equilibrato e sereno

sviluppo psico-fisico del fanciullo.

Il bambino è dunque in stato di abbandono quando vi sia una

obiettiva e non transitoria carenza di quel minimo di cure

materiali, calore affettivo ed aiuto psicologico necessario a

consentirgli un normale sviluppo psico – fisico. L’assistenza

morale e materiale è infatti un insieme di prestazioni che siano

dovute dai genitori e che si sostanziano in quelle cure ed

attenzioni affettive, in quell’aiuto allo sviluppo della

personalità ed al regolare processo di socializzazione, in quelle

relazioni interpersonali profonde e ricche di spiritualità, di cui

il minore ha bisogno per un’ottimale maturazione sul piano fisico

e psichico.

L’ordinamento esige, perché sia dichiarata l’adottabilità, che

l’abbandono non sia conseguenza di una situazione di forza

maggiore a carattere transitorio (art. 8 co. 3). Le difficoltà

transitorie dei genitori devono infatti comportare, non già un

intervento ablativo, ma piuttosto un’attività di sostegno del

nucleo familiare, salvo che i soggetti tenuti all’educazione ed

all’assistenza dei minori non rifiutino il sostegno.

Il concetto di forza maggiore in materia di adozione non può

essere assimilato a quello ipotizzato dall’art. 1218 c.c, ovvero

alla situazione del creditore che ha diritto di ottenere

l’adempimento dell’obbligazione, e neppure al concetto penalistico

di evento derivante dalla natura e dal fatto dell’uomo che non

possa essere preveduto, o che comunque non possa essere evitato.

Esso è piuttosto afferente a quelle situazioni temporanee ed

inevitabili che impediscano alla volontà del genitore di adempiere

al proprio compito di assistenza materiale e morale del minore.

5 Così Trib. Min. Venezia 5 luglio 1971.

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L’elaborazione dottrinale, concorde (come del resto la

giurisprudenza) nell’affermare l’irrilevanza di qualsivoglia

profilo di “colpevolezza” in capo ai genitori rispetto allo stato

di abbandono del figlio (e, di conseguenza, la natura non

sanzionatoria del provvedimento dichiarativo dello stato di

adottabilità) ha tentato di attribuire più nitide fattezze al

concetto di abbandono prendendo le mosse, a contrariis,

dall’individuazione dei doveri parentali codificati (allevare,

mantenere ed educare la prole), successivamente affermando il

diritto ad un livello minimo di “prestazioni genitoriali”, al di

sotto del quale non vi sarebbe una mera inadeguatezza al ruolo

parentale, ma un autentico abbandono.

Si tratta, comunque, di un criterio non appagante, poiché sembra

richiamare una nozione di diritti del minore di tipo

“quantitativo”, di difficile, se non impossibile stima.

Le ultime elaborazioni, che hanno trovato ampio riscontro in

giurisprudenza, valorizzano quella che potremmo definire una

valutazione degli effetti, ritenendo sussistente la condizione di

abbandono allorché il contegno dei genitori, lungi dal risolversi

in una mera insufficienza dell'apporto indispensabile per lo

sviluppo e la formazione della personalità del minore, comprometta

o determini grave pericolo di compromissione per la salute e le

possibilità di armonico sviluppo fisico e psichico del minore

stesso. Di fronte ad un siffatto nocumento o al rischio di esso,

successivi atteggiamenti o progetti genitoriali per un

miglioramento della situazione in tanto rilevano in quanto, oltre

che seri, siano oggettivamente idonei al recupero della situazione

medesima6.

Nell’ottica di una valutazione del pregiudizio subito dal minore,

la Cassazione stabilisce che lo stato di abbandono che giustifica

la dichiarazione di adottabilità di un minore presuppone

l’individuazione, all'esito di un rigoroso accertamento, di

carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare di

per sé una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche

conto dell'esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di

origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice

6 Cass. civ., sez. I, n. 21100 del 28 ottobre 2005.

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inadeguatezza dell'assistenza o degli atteggiamenti psicologici

e/o educativi dei genitori.

A volte si è ritenuta sufficiente ai fini della dichiarazione di

abbandono del minore anche la sola carenza di assistenza

materiale, laddove non vengano soddisfatte le più elementari

necessità di vita del minore, tenuto conto del disposto dell’art.

1 cpv l. adoz. per cui le condizioni di indigenza dei genitori o

del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere

d’ostacolo all’esercizio del diritto dl minore alla propria

famiglia. In tal caso, la giurisprudenza di legittimità, ai fini

della dichiarazione dello stato di abbandono, richiede una

valutazione alquanto rigorosa, da cui risulti che dall’inidoneità

dei genitori possano derivare danni gravi ed irreversibili

all’equilibrata crescita dell’interessato7.

Casistica.

Sulla base di tale principio, è possibile individuare alcuni casi particolari, portati all’attenzione della Suprema Corte, che

riflettono ipotesi piuttosto diffuse nella prassi.

Iniziamo la nostra disamina dalla malattia mentale del genitore.Il “diritto alla genitorialità” anche per i pazienti psichiatrici

è stato un tema assai dibattuto a partire quanto meno dagli anni

settanta, allorché esso si impose quale elemento essenziale delle

nuove concezioni non custodialistiche dell’intervento sulla

patologia mentale, oltre che come comprensibile reazione ad una

tendenza, precedentemente piuttosto diffusa, per la quale

alterazioni anche minime rispetto ad una spesso ipotetica

“normalità” portavano ad allontanare dai genitori (ed in

particolare dalle madri nubili) minori in tenera età. Ne è nato

un opposto atteggiamento che potremmo definire della "famiglia a

ogni costo", evidenziatosi in taluni casi di figli di pazienti

7 Cfr. Cass. Sez. I, 28 giugno 2006 n. 15011, in cui la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato lo stato di abbandono in un caso nel quale era stato accertato, all'esito di una rigorosa analisi istruttoria, che i genitori, dai quali erano già stati allontanati i primi quattro figli, vivevano in una situazione di assoluto degrado e si erano dimostrati assolutamente carenti sul piano psicologico e pedagogico, e quindi incapaci, pur con il sostegno dei servizi, di offrire quel minimo di cure e di attenzioni indispensabile per non compromettere in modo grave e permanente lo sviluppo psicofisico del minore.

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psichiatrici, nei cui confronti i servizi di salute mentale hanno

ormai abbandonato la speranza di una guarigione, orientandosi

verso un affiancamento a lungo termine che ne contenga le fasi di

recrudescenza. Per gli operatori di tali servizi, almeno fino a

poco tempo fa, il problema dell'adeguatezza o meno del loro

paziente ai compiti parentali non si poneva in maniera perentoria,

ed anzi si faceva strada quello che è stato acutamente definito il

concetto di “figlio terapeutico”, vale a dire il legame affettivo

idoneo a contenere le pulsioni maggiormente ingovernabili

dell’assistito. Assai raramente si riteneva necessario segnalare

ai servizi per i minori la presenza di comportamenti dannosi per i

bambini, i quali rischiavano viceversa di essere utilizzati dagli

operatori della salute mentale come elementi di stabilizzazione

dello stato di compenso, più o meno precario, raggiunto dai loro

pazienti. Così avveniva frequentemente, e talora avviene ancora,

che alcuni bambini venivano mantenuti in famiglie con uno o

entrambi i genitori affetti da seria patologia psichica senza

chiedersi fino a che punto questo potesse nuocere8.

Da ultimo, è stata esclusa dal giudice di legittimità la

dichiarazione dello stato di abbandono per la sola presenza di

offerte di migliori tenori di vita da parte di terze famiglie

disposte all’adozione, sottolineando come l’istituto dell’adozione

non costituisca rimedio per procurare condizioni di vita migliori

di quelle che la famiglia di origine offre9.

La giurisprudenza ha a tale proposito affermato che, ai fini

della dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino

insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere

permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in

ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad

assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e

delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di

cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico

indispensabili per un'equilibrata e sana crescita psico-fisica.

8 Cfr. S. CIRILLO e M.V. CIPOLLONI, op. cit.

9 Cfr. Cass. 2 aprile 1998 n. 3405 per cui il fine dell’adozione non è quello di fornire al minore condizioni migliori, ma di porre rimedio ad una situazione di abbandono, con conseguente impossibilità di operare un raffronto tra il progetto di vita offerto dalla famiglia di origine e quello offerto dalla famiglia affidataria.

12

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In particolare, perché si realizzi lo stato di abbandono che

giustifica la dichiarazione di adottabilità di un minore, devono

risultare, all'esito di un rigoroso accertamento, carenze

materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare, di per sé,

una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche conto

dell'esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di

origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice

inadeguatezza dell'assistenza o degli atteggiamenti psicologici

e/o educativi dei genitori, con la conseguenza che, ai fini della

dichiarazione di adottabilità, non basta che risultino

insufficienze o malattie mentali dei genitori, anche a carattere

permanente, essendo in ogni caso necessario accertare se, in

ragione di tali patologie, il genitore sia realmente inidoneo ad

assumere e conservare piena consapevolezza dei propri compiti e

delle proprie responsabilità e ad offrire al minore quel minimo di

cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico

indispensabili per un'equilibrata e sana crescita psico-fisica 10.

Il tema del genitore tossicodipendente presenta varie analogie con quello del genitore paziente psichiatrico, poiché anche in questo

caso ci si trova in presenza di gravi problematiche personali del

padre o della madre, rispetto alle quali occorre sia verificare

con accortezza l’incidenza delle stesse sull’equilibrato sviluppo

psico – fisico del minore, sia elaborare una fondata prognosi

circa eventuali propositi di recupero che dovessero essere

esternati dagli interessati. Il tutto con un ancor più accentuato

rischio di strumentalizzazioni, ben sussistendo la possibilità

che soggetti coinvolti anche in vicende penali – come spesso

10 Cass. civ., sez. I, n. 8527 del 12 aprile 2006; nell'enunciare tale principio, la Corte ha confermato la decisione del giudice di merito, il quale, nel dichiarare lo stato di abbandono, aveva accertato, per un verso, che il disagio ambientale subito dal minore gli aveva procurato danni verosimilmente irreversibili, tanto che egli, presentando tutte le caratteristiche del bambino istituzionalizzato, si dimostrava incapace di instaurare rapporti significativi con l'adulto, non avendo mai avuto un rapporto con la madre; per l'altro verso, che anche la prognosi per il futuro era negativa, perché entrambi i genitori presentavano patologie che richiedevano terapie di lunga durata e di esito incerto. Tale sentenza si pone sulla scia di quanto già statuito da Cass. 9 gennaio 1998 n. 120, a mente della quale, al fine di dichiarare lo stato di adottabilità, non sono sufficienti carenze mentali anche permanenti del genitore, ma occorre dimostrare accertare se, in ragione di tali patologie, il genitore sia idoneo a conservare la consapevolezza del proprio compito ed offrire al minore le necessarie cure materiali e sostegno affettivo e psicologico.

13

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accade per i consumatori abituali di sostanze stupefacenti –

tentino di sfruttare l’asserita necessità di occuparsi (o,

magari, di cominciare ad occuparsi) di un figlio per lucrare

benefici penitenziari.

E’ evidente che, uno stato di tossicodipendenza grave, rispetto

alla quale non vi sia alcun proposito di recupero, costituisca

motivo sufficiente a giustificare la declaratoria di adottabilità

del minore, ove nell’ambito familiare non vengano reperite

risorse personali ed affettive alternative. E’ altrettanto chiaro,

tenendo anche presenti i criteri “prudenziali” evincibili dalla

legislazione in materia di stupefacenti, che qualsiasi progetto di

recupero (atto a scongiurare la “perdita” del figlio

dell’interessato) debba essere adeguatamente documentato e già

avviato a concreta realizzazione.

A tali condizioni, possono essere valorizzate, quali elementi

sintomatici di una oramai raggiunta capacità parentale del

genitore, la forte spinta motivazionale data dal suo desiderio di

poter riavere il figlio con sé, nonché la stessa ansia da lui

dimostrata per la situazione di precarietà dello stesso,

unitamente ad elementi concreti (quali lo svolgimento di attività

di volontariato, la volontà manifestata di costruire un valido

rapporto con il figlio ed il raggiungimento di un’indipendenza

economica), attestanti il recupero di un’affettività e di una

progettualità concrete.

La giurisprudenza in materia ribadisce che, in tema di adozione di

minore è esplicitamente prevista e tutelata, ex l. n. 149 del

2001, che l'esigenza del minore di crescere in seno alla propria

famiglia di origine può essere sacrificata solo in presenza di

obbiettive, concrete situazioni di gravità tali da pregiudicarne

seriamente e definitivamente l'armonico sviluppo psicofisico;

pertanto la situazione di abbandono — quale presupposto dello

stato di adottabilità — deve essere valutata con particolare

rigore, in base a riscontri certi, concreti ed obbiettivi e non

meramente presuntivi e prognostici, potendosi essa individuare

solo in caso di carenza di cure materiali, morali ed affettive

tale da pregiudicare in modo grave e definitivo un equilibrato

sviluppo psicofisico del minore. Al fine di escludere i

presupposti dello stato di abbandono, si ritiene di valorizzare la

14

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sussistenza di elementi sintomatici di un’ormai raggiunta capacità

genitoriale, quali la risoluzione del genitore che si sottoponga

ad un programma di recupero per tossicodipendenti, in ragione

della forte spinta motivazionale a riavere la figlia. 11.

Ulteriore situazione che può integrare i presupposti dello stato

di abbandono è costituita dallo stato di detenzione del genitore.E’ noto che lo stato di detenzione del genitore non può

considerarsi causa di forza maggiore di natura transitoria, per

quanto sia fisiologicamente destinato a terminare, in quanto non

costituisce una situazione fortuita, non imputabile al soggetto12.

11 Cass. civ., sez. I, n. 8877 del 14 aprile 2006 S.C. ha confermato la sentenza d'appello che aveva ritenuto non ricorresse lo stato di abbandono in presenza di una figura paterna per la quale al degrado legato alla tossicodipendenza era seguito un adeguato, fecondo percorso riabilitativo, con il conseguente recupero della dignità umana e sociale e della responsabilità genitoriale; nella specie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito di collocare temporaneamente la figlia minore del soggetto, già affidata ad una coppia di coniugi, alla comunità di recupero presso la quale era ospitato il padre, in quanto accompagnata dalla previsione della elaborazione, da parte degli operatori della comunità, di un progetto inteso alla sviluppo della sua relazione con il padre, e, quindi, propedeutico al suo definitivo affidamento al genitore. Tale sentenza segue il percorso già tracciato da Cass. 14 maggio 2005 n. 10126, che ribadisce la necessità di particolare rigore da parte del giudice di merito nella valutazione della situazione di abbandono del minore quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adattabilità, atteso il diritto del minore di crescere e di essere educato nella propria famiglia di origine, che deve essere reso effettivo attraverso la predisposizione di interventi di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine. In precedenza, Cass. Civ. sez. I 7 novembre 1998 n. 11241 stabilisce peraltro che integra gli estremi della situazione di abbandono del minore non soltanto la precisa ed esplicita manifestazione di volontà di abbandonare il figlio da parte dei genitori, ma anche la persistente adozione, da parte dei medesimi, di atteggiamenti improntati a condotte di vita disordinate e connotate da gravi anomalie caratteriali e/o comportamentali, tali da poter conseguentemente compromettere in modo grave ed irreversibile la crescita psicofisica del minore. (Principio affermato dalla S.C. in relazione ad una vicenda in cui entrambi i genitori, tossicodipendenti, avevano chiesto il ricovero in comunità onde poter conservare l'affidamento della figlia minore, da esercitarsi nell'ambito della medesima comunità). In giurisprudenza di merito si segnala Trib. Min. Perugia 22.7.1997, che ha stabilito quale presupposto per l’adozione speciale da parte della zia della minore ex art. 44 l. c il caso di stato di tossicodipendenza cronica di entrambi genitori.

12 In tema di adozione, lo stato di detenzione del genitore non integra gli estremi della "forza maggiore di carattere transitorio" (ipotizzata dall'ultima parte del comma 1 dell'art. 8 della l. n. 184 del 1983), la cui sussistenza, trascendendo la condotta e la volontà del soggetto obbligato, giustifica la mancata assistenza del minore, in quanto tale stato deve ritenersi imputabile alla condotta criminosa dal genitore stesso, volutamente posta in essere nella consapevolezza della possibile condanna e carcerazione. (cfr. Cassazione civile, sez. I, 10 giugno

15

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Si segnala tuttavia in giurisprudenza un orientamento che valuta

in modo rigoroso la sussistenza del presupposto dello stato di

abbandono e ritiene che lo stato di detenzione del genitore non è

di per sé sufficiente a ritenere integrata tale condizione,

qualora il genitore manifesti attenzione alle esigenze del figlio.

In particolare, Cass. 14 maggio 2005 n. 10126 stabilisce che, ove

la madre del bambino sia impedita, a causa del suo stato di

detenzione, destinato a protrarsi per un periodo di lunga durata,

a prendersi cura del proprio figlio (non riconosciuto dal padre),

ma si mostri sensibile alle esigenze affettive di questo, tanto da

determinarsi a chiederne l'affidamento alla propria madre, già

affidataria di altro figlio della donna, onde evitare di recidere

definitivamente ogni legame con lui - la dichiarazione dello stato

di abbandono del minore non può discendere dal mero apprezzamento

negativo della personalità della nonna materna, in ipotesi anche

di età avanzata, con la quale il bambino abbia convissuto

instaurando significativi rapporti, ove non risultino elementi

concreti realmente in grado di incidere negativamente sul processo

di evoluzione, fisica ed intellettuale, del bambino, impedendone

una crescita serena ed un accudimento adeguato13.

In giurisprudenza di merito si annovera un importante precedente

del Trib. Min Bari 10 gennaio 2006, che ha ritenuto integrasse un

presupposto dello stato di abbandono della minore la condotta

della madre il fatto che la stessa, già tratta in arresto per un

reato di spaccio di stupefacenti, pochi mesi dopo la nascita della

bimba venga nuovamente arrestata, chiedendo di vedere la figlia

solo dopo che il Tribunale glielo aveva formalmente impedito.

Altro problema posto dalla prassi applicativa è quello della c.d. “genitorialità delegata”, vale a dire della totale “cessione” a terze persone delle facoltà (e dei doveri) connessi alla potestà.

Benché in talune pronunzie dei giudici di merito (per lo più

1998, n. 5755).

13 La sentenza contiene la chiara affermazione della rilevanza del legame del minore con gli stretti congiunti, in particolare dei nonni, ai fini della valutazione della insussistenza dello stato di abbandono pur in caso di impedimento dei genitori a prendersi cura dello stesso. In passato, la giurisprudenza di legittimità aveva ripetutamente affrontato il tema ponendo in evidenza la necessità al fine di evitare la dichiarazione di adottabilità, della prova della esistenza di rapporti significativi del minore con i congiunti entro il quarto grado.

16

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relative a minori stranieri in età adolescenziale, dimoranti in

Italia presso fiduciari dei genitori) si affermi che ciò possa

costituire legittimo esercizio delle facoltà parentali, è da

ritenersi che una siffatta situazione configuri una condizione di

abbandono del minore.

In ossequio a tale principio è stato chiarito che del tutto

legittimamente il giudice del merito, accertata l'insufficienza

dell'assistenza morale e materiale dei genitori, non dipendente da

causa di forza maggiore di carattere transitorio, dichiara il

minore in stato di adottabilità, ove pure, per il passato, in

analoga situazione, si sia provveduto con l'affidamento etero-

familiare - che si sia rivelato inidoneo a risolvere la condizione

del minore -, il quale, di per sé, non è di impedimento alla

dichiarazione anzidetta, in forza dell'espressa previsione

dell'art. 8, secondo comma, della citata legge n. 184 del 1983

(non sostanzialmente modificato dall'art. 8 della legge n. 149 del

2001), atteso che anche la bontà dell'inserimento del minore

presso gli affidatari, se, per un verso, è influente ai fini della

successiva trasformazione dell'affidamento provvisorio in

affidamento definitivo, non lo è affatto, per altro verso, ai fini

del riscontro della sussistenza dello stato di abbandono14.

Infine, va’ esaminato il ruolo dei parenti prossimi del minore, la cui disponibilità a prendersene cura spesso emerge nei

procedimenti di adottabilità, non di rado per la prima volta e

sulla base di spinte motivazionali connesse più alla tutela del

“buon nome” della famiglia allargata, che al benessere del

bambino.

In un contesto di valorizzazione e di recupero, finché possibile,

del legame di sangue, ed anche dei vincoli (in particolare, di

quelli con gli ascendenti in linea retta) che affondano le loro

radici nella tradizione familiare, la quale – a sua volta – trova

14 Cass. civ., sez. I, n. 12168 del 9 giugno 2005; presupposto dell’affermazione giurisprudenziale è che la situazione che giustifica l'affidamento etero-familiare, a norma degli artt. 2 e segg. della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituiti dai corrispondenti articoli della legge 28 marzo 2001, n. 149, e quella che conduce alla pronuncia di adottabilità si differenziano, in quanto la mancanza di "un ambiente familiare idoneo" è considerata, nel primo caso, temporanea e superabile con il detto affidamento, mentre, nel secondo caso, si ritiene che essa sia insuperabile e che non vi si possa ovviare se non per il tramite della dichiarazione di adottabilità.

17

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il suo riconoscimento nella costituzione (art. 29), viene

valorizzata la disponibilità a prendersi cura del minore da parte

dei parenti, da intendersi – in ossequio al complesso delle

disposizioni in materia – quelli entro il quarto grado, che

abbiano avuto rapporti significativi con il minore15. Dunque,

secondo la prevalente interpretazione, è proprio il legame

affettivo con il parente che giustifica l’esclusione dello stato

di abbandono16.

Tale principio è stato da ultimo ribadito dalla Cassazione 2006, a

mente della quale in tema di dichiarazione di adottabilità, e di

inidoneità non transitoria dei genitori a prestare le cure

necessarie al minore, qualora si manifesti, da parte di figure

parentali sostitutive, la disponibilità a prestare assistenza e

cure al minore, essenziale presupposto giuridico per escludere lo

stato di abbandono è la presenza di siffatti rapporti dello stesso

con dette persone, giacché la l. n. 184 del 1983 - specie dopo le

modifiche introdotte dalla l. n. 149 del 2001 - attribuisce

rilievo alla parentela, ai fini della esclusione dello stato di

abbandono, solo se accompagnata dalle relazioni psicologiche e

affettive che normalmente la caratterizzano (nella specie, in

applicazione del riferito principio, la Suprema Corte ha

confermato la pronuncia del giudice del merito che aveva ritenuto

irrilevante, al fine di escludere lo stato di abbandono, la

circostanza che i nonni materni avessero dato la propria

disponibilità ad accogliere il minore, facendo difetto un

15 Cass. civ., sez. I, n. 11019 del 12 maggio 2006.

16 Cfr. in primis Cass. 9 maggio 2002 n. 6629 in tema di dichiarazione di adottabilità, qualora si manifesti da parte di figure parentali sostitutive (quali, nella specie, la nonna materna, mai conosciuta dal minore) la disponibilità a prestare assistenza e cure al minore, essenziale presupposto giuridico per escludere lo stato di abbandono è la presenza di significativi rapporti dello stesso con tali persone, giacché alla parentela la legge n. 184 del 1983 attribuisce rilievo, ai fini della sopraindicata esclusione, solo se accompagnata dalle relazioni psicologiche e affettive che normalmente la caratterizzano, a più forte ragione a seguito delle modifiche introdotte alla predetta legge dalla l. 28 marzo 2001 n. 184, il cui art. 11, nel condizionare espressamente, in caso di decesso dei genitori, alla inesistenza di siffatti rapporti tra il minore ed i parenti entro il quarto grado la declaratoria di adottabilità, rende irragionevole una diversa disciplina con riferimento alla ipotesi della inidoneità dei genitori.

18

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pregresso rapporto significativo da costoro instaurato con il

nipote)17.

Ciò si desume dalle disposizioni di cui all’art. 12 della legge

n. 184/83, che contiene previsioni di carattere sostanziale volte

a garantire, sia pure in via provvisoria, l’assistenza ed il

mantenimento, l’istruzione e l’educazione del minore, facendo

riferimento ai parenti entro il quarto grado che abbiano avuto

tali rapporti significativi con il minore. Peraltro, le indagini

relative ai parenti entro il quarto grado sono limitate a coloro

che abbiano avuto rapporti significativi con il minore. Inoltre,

anche l’audizione dei parenti entro il quarto grado è limitata a

coloro che abbiano avuto rapporti significativi con il minore.

Ciò va a più forte ragione affermato a seguito delle modifiche

introdotte alla disciplina dell’adozione con la legge 28 marzo

2001, n. 184, il cui art. 11 condiziona espressamente, in caso di

decesso dei genitori, alla inesistenza di siffatti rapporti tra il

minore ed i parenti entro il quarto grado la declaratoria di

adottabilità. L’ipotesi di decesso di entrambi i genitori viene

difatti equiparata a quella di inidoneità di entrambi. La

Cassazione ha in tal caso confermato la sentenza della Corte

d’Appello che aveva ritenuto irrilevante – ai fini dell’esclusione

dello stato di abbandono – la disponibilità espressa dai nonni

materni ad accogliere il minore, in considerazione del concreto

interesse dello stesso, che, essendo inserito stabilmente in

un’altra famiglia, avrebbe vissuto con disagio un ritorno nella

famiglia di origine che neppure conosce.

Qualora dunque il minore, abbandonato dai genitori, goda

dell’apporto sostitutivo dei nonni, ma questi non siano in grado –

ancorché per ragioni da loro indipendenti (età, consolidate

abitudini di vita) di offrire cure materiali e morali atte ad

assicurare l’interesse del minore, la dichiarazione di

adottabilità non trova ostacolo nel diritto del minore ad essere

educato nella propria famiglia, atteso che la normativa esprime

una scelta preferenziale in caso di inidoneità della famiglia ad

offrire supporto ed assistenza al minore.

17 Cassazione civile , sez. I, 10 agosto 2006, n. 18113

19

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Il carattere significativo dei rapporti tra minore e parenti entro

il quarto grado va individuato nell’ottica dell’interesse del

minore, e va dunque escluso ove emerga un atteggiamento dei

parenti privo di ogni utile apporto ai bisogni materiali e morali

del minore, seguito da dichiarazioni di disponibilità che

risultino prive di concretezza e di serietà18.

Altro orientamento ritiene invece sufficiente ai fini

dell’esclusione dello stato di abbandono la mera disponibilità dei

parenti a prendersi cura del minore, anche quando non abbiano

stretti legami con lui19.

E’ comunque evidente – come si è già rilevato - che la dichiarata

disponibilità di uno di tali parenti ad occuparsi dello stesso non

è sufficiente, di per sé, ad escludere la situazione di abbandono,

dovendo la stessa essere suffragata da elementi oggettivi che la

rendano credibile20.

La giurisprudenza assolutamente prevalente è dell’idea che i

significativi rapporti affettivi debbano essere preesistenti alla valutazione del tribunale in ordine alla sussistenza dello stato

di abbandono21, ma non mancano pronunzie in senso contrario; in

particolare è stato affermato22 (sempre con riferimento all’ormai

nota concezione dell’adozione quale "extrema ratio") che la

18 Cfr. Cass. Civ. 7 gennaio 1987 n. 2, per cui il carattere " significativo " dei rapporti fra il minore e parenti entro il quarto grado, quale situazione ostativa alla dichiarazione dello stato di adottabilità, ai sensi dell’art. 12 della l. 4 maggio 1983 n. 184 deve essere individuato dal punto di vista degli interessi del minore, e, quindi, va escluso ove emerga un atteggiamento di detti parenti (nella specie, nonni) privo di ogni utile apporto alle esigenze morali e materiali del minore medesimo, seguito da dichiarazioni di disponibilità che risultino prive di concretezza e serietà.

19 cfr. Cass. Civ. , sez. I, 29 novembre 1996, n. 10656, a mente della quale anche alla luce di una corretta configurazione dell'istituto adottivo come "extrema ratio", essendo preferibile per il minore di crescere nella sua famiglia di origine (di cui fanno parte anche i parenti entro il quarto grado), non può dichiararsi la situazione di abbandono (anche) quando sia dimostrata la seria disponibilità a prestare assistenza materiale e morale al minore da parte di parenti entro il IV grado che con lo stesso non abbiano avuto per il passato significative relazioni materiali ed affettive).

20 Cass. civ. sez. I, n. 4407 del 28/2/2006.

21 Cass. civ., sez. I, n. 11993 dell’8/8/2002.

22 Cass. pen. sez. I, n. 1095 del 1°/2/2000.

20

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mancanza di assistenza morale e materiale del minore e

l’indisponibilità ad ovviarvi, quali condizioni per la

dichiarazione dello stato di adottabilità, vanno valutate anche

con riguardo ai parenti entro il quarto grado che non abbiano

avuto rapporti significativi con il minore, a nulla rilevando che

l'art. 12, u.c., della citata legge n. 184 del 1983 limita la

partecipazione al procedimento di cui si tratta a coloro, tra

detti parenti, che abbiano mantenuto tali rapporti. La tesi viene

sostenuta avendo riguardo al carattere meramente processuale della

menzionata disposizione, dalla quale non potrebbe trarsi un

principio di diritto sostanziale che imponga di dichiarare lo

stato di adottabilità pur quando sia dimostrata la seria

disponibilità a prestare assistenza materiale e morale al minore

da parte di parenti entro il quarto grado che con il medesimo non

abbiano avuto per il passato significative relazioni materiali ed

affettive. Ne consegue che tale disponibilità andrebbe presa in

considerazione anche in sede di opposizione al decreto, o di

appello, ed anche con riferimento a fatti sopravvenuti

all'originario provvedimento.

- 5 – L’adozione ex art. 44 l. n. 184/83 e l’impossibilità di

affidamento preadottivo.

L’art. 44 della legge sull’adozione prevede delle ipotesi

tassative di adozione in casi particolari, nelle quali si consente

di derogare ai requisiti dell’adozione legittimante, in condizioni

particolari, per offrire tutela al minore.

Il primo caso, di cui all’art. 44 lett. a), riguarda il minore

orfano di entrambi i genitori, adottato da parenti entro il 6°

grado o da persone con cui abbia instaurato un rapporto stabile e

duraturo, prima della morte dei genitori. L’evidente finalità è

quella di evitare che il minore venga sradicato dal contesto

familiare, consentendo all’autorità giudiziaria di scegliere nel

novero più ampio possibile di nuclei familiari parentali.

La seconda ipotesi è costituita dall’adozione da parte di un

coniuge, del figlio (legittimato, legittimo, naturale o adottivo)

dell’altro coniuge. Qui, mancando lo stato di abbandono del

minore, non sarebbe possibile pronunciare l’adozione legittimante

21

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e tuttavia, la ratio sottesa dalla normativa è quella di dare una

famiglia completa al minore, facendolo adottare dal nuovo coniuge

del genitore23.

L’ipotesi più significativa e discussa di adozione speciale è

quella di cui all’art. 44 lett. D), ovvero connessa

all’impossibilità di affidamento preadottivo. Quest’ultima ipotesi

era prevista alla lett. C, che poi è divenuta lett. D) a seguito dell’inserimento, da parte della legge n. 149/01, dell’ipotesi del

minore, handicappato e orfano di entrambi i genitori, che può

essere adottato anche da persone non legate a lui da vincoli

parentali ed affettivi. Si tratta, peraltro, di modifica

sostanzialmente ultronea, atteso che l’adozione di un bambino

affetto da problemi di salute, indipendentemente dalla sua

condizione di orfano, già rientrava nella precedente lett. C).

In dottrina, si discute se detta impossibilità vada intesa in

senso fattuale o giuridico.

La "constatata impossibilità di affidamento preadottivo", secondo

parte della dottrina, indica una situazione in cui sussistono

tutti i presupposti giuridici per procedere all'adozione

legittimante, ma in cui si riscontra un'impossibilità di fatto a

causa della situazione difficile del minore, che nessuna coppia di

coniugi è disposta ad accogliere. È quindi necessario che il

minore versi in stato di abbandono ai sensi dell'art. 8, l. n.

184/1983 e che tale condizione sia stata giudizialmente accertata

tramite la dichiarazione di adottabilità24. In questo ambito assai

restrittivo, qualche Autore ha cominciato a ritenere che una

ragionata previsione dell'impossibilità in fatto dell'affidamento

preadottivo consentirebbe di prescindere dalla dichiarazione dello

stato di adottabilità, costituendo quest'ultima soltanto una

23 Cfr. L. ORSINGHER, L’adozione, a cura di G. Cassano, Halley , Avellino, 2007, fl. 138.24 G. Cattaneo, Adozione, in Digesto, disc. priv., sez. civ., I, Torino 1987, 117; M. Dogliotti, Affidamento e adozione, in Trattato di diritto civile commerciale già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano 1990, 316; C. Ebene Cobelli, adozione in casi speciali, in Enc. giur. Treccani, I, Roma 1991, 2; A. Finocchiaro, in A. e M. Finocchiaro, Disciplina dell'adozione e dell’affidamento dei minori, Milano 1983, 448; Manera, L’adozione legittimante, Roma, 1990, 56 ss..; P. Ubaldi, Osservazioni in tema di affidamento familiare e di adozione in casi particolari, in Giur. it. 1985, I, 2, 693; A. Zini, Commento alla l. n. 184/1983, in Commentario breve al c.c., leggi complementari, a cura di G. Alpa e P. Zatti, Padova 1995, 85

22

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complicazione o un rallentamento della procedura25. La

"constatazione" che la legge esige non può infatti ridursi ad una

mera previsione, sia pure fondata e ragionevole, ma deve tradursi

in una effettiva sperimentazione sfociata nell'insuccesso.

Tale interpretazione restrittiva è stata giustificata anche in

base a considerazioni storico-sistematiche. Nella relazione De

Carolis, concernente il disegno di legge da cui deriva la

normativa vigente, si osservava infatti l'opportunità di

conservare l'adozione non legittimante, per quanto ritenuta

storicamente superata, come si desume dall’abrogazione delle norme

del codice civile relative all’istituto dell’affiliazione, nei

seguenti termini:

“quando si sia constatata l'impossibilità di un affidamento

preadottivo del minore dichiarato adottabile e vi sia anche una

singola persona disposta ad occuparsene convenientemente e

continuativamente (vi sono situazioni di minori grandicelli o

handicappati che non si riesce a dare in affidamento preadottivo

per cui appare opportuno anche ripiegare sull'adozione non

legittimante da parte di persone non aventi i requisiti per

l'adozione legittimante)".

Sembra quindi chiaro che l'attuale lett. d) sia stata concepita

come una via d'uscita per le situazioni più problematiche, al fine

di evitare un'istituzionalizzazione sine die del minore.

Si è sottolineata, inoltre, la residualità dell'adozione

particolare rispetto al modello generale dell'adozione

legittimante, che è comunque considerato l’istituto maggiormente

idoneo a garantire la migliore famiglia al minore che si trovi in

stato di abbandono, nonché uno status giuridico equiparabile alla

filiazione.

La giurisprudenza di merito si è orientata invece per

un'interpretazione estensiva della formula di cui alla lett. d)

dell'art. 44, l. n. 84/1983, ritenendo che essa non possa

riduttivamente identificarsi con l'impossibilità di fatto

derivante dalle condizioni “anomale” del minore, ma che essa

ricorra anche nell’ipotesi di impossibilità giuridica di praticare

l’affidamento preadottivo, dovuta alla mancanza o impossibilità di

una dichiarazione di adottabilità, per l’insussistenza di una 25 Cfr. L. SACCHETTI, Il commentario dell’adozione e dell’affidamento, Rimini, 1986, 113 ss.

23

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situazione di abbandono in senso giuridico26. Tra le altre, dunque,

l’impossibilità viene individuata nell’ipotesi in cui, essendo il

minore legato a figure genitoriali precise, voglia darsi veste

giuridica a situazioni di fatto. Particolarmente, ciò accade

quando il minore sia affidato a parenti, senza essere orfano dei

genitori, o quando gli adottanti siano privi dei requisiti di cui

all’art. 627.

Se è concordemente ammessa la riconducibilità all’art. 44 lett. D)

dell’adozione in casi particolari in favore di parenti entro il

quarto grado, in quanto non altera i rapporti tra adozione

legittimante e non, vi sono alcune interpretazioni avanzate della

dottrina e di parte della giurisprudenza di merito, che forniscono

un’interpretazione ancora più estensiva della formula

“impossibilità di affidamento preadottivo”: tale presupposto

ricorre anche qualora il distacco del minore dagli affidatari, sia

pure abusivi o privi dei requisiti necessari per l’adozione

legittimante (differenza di età, rapporto di coniugio, scelta

comparativa), possa con presumibile certezza procurargli gravi

26 Favorevole all’interpretazione relativa all’impossibilità giuridica dell’affidamento preadottivo nell’adozione speciale ex art. 44 lett. D), è la sentenza del Trib. Min. Milano 28 marzo 2007 in Guida al diritto – Famiglia e minori, n. 10/07, fl 83, che in un caso di adozione speciale di una minore, orfana di padre, che viveva dalla nascita con l’adottante, compagno della madre,ha affermato il principio per cui l’impossibilità di affidamento preadottivo si può avere anche quando manchi lo stato di abbandono, così valorizzando i legami affettivi creatisi e consentendo l’adozione da parte di persone singole o anziane. Con sentenza Trib. Min Milano, 7 febbraio 2007, in Famiglia e minori, Guida al diritto, n. 8/07, fl. 84, si è consentita l’adozione speciale anche nell’ipotesi in cui tra gli adottanti fosse intervenuta separazione legale, in considerazione del superiore interesse della minore alla contiità degli affetti. Un ulteriore caso in cui è stato disposta l’adozione ex art. 44 lett. D) a idonea coppia genitoriale, nella prospettiva che fosse garantita alla minore una frequentazione con la famiglia di origine, cfr. Trib. Min. Salerno, decreto 23 marzo 2007. 27 Cfr. in particolare App. Bologna 15 aprile 1989, Giur. merito 1991, 93, con nota di Manera, Trib. Min. Perugia, 22 luglio 1997, in Dir. Famiglia 1998, 1479, Trib. min. Bologna 29 maggio 1988, Dir. famiglia 1989, 139; App. Bologna 4 gennaio 1984 e 27 febbraio 1985, ivi 1985, 545, che consentono ai parenti entro il IV grado l'adozione del minore, che non sia orfano di madre e di padre, ai sensi della lett. c) dell'art. 44, l. n. 184/1983. Per un'interpretazione elastica del medesimo art. 44, lett. c), secondo cui l'impossibilità di affidamento preadottivo sussiste non soltanto nell'ipotesi in cui il minore, del quale è stato dichiarato lo stato di adottabilità, sia rifiutato dalle coppie aspiranti all'adozione a causa di una sua condizione personale anomala, ma anche qualora il distacco dagli affidatari (privi dei requisiti per l'adozione legittimante e eventualmente abusivi) possa provocare al minore seri e gravi traumi, cfr. Trib. min. Trieste 9 luglio 1984. Cfr. quanto all’applicabilità dell’art. 44 anche in materia di adozione internazionale, Trib. Min. Trento 11 marzo 2002, Dir. Famiglia 2004, nota GALOPPINI.

24

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traumi in ragione dell’irreversibile legame affettivo

instauratosi.

In virtù della prevalenza del principio della continuità degli

affetti sul principio della legalità, pur non esistendo ostacoli –

né in fatto e né in diritto – all’adozione legittimante

(ovviamente rispetto a soggetti diversi da quelli attualmente

affidatari), non potrebbe ricorrersi a tale procedimento e, pur

quando fosse intervenuta la dichiarazione di adottabilità,

dovrebbe essere interrotto. Secondo tale orientamento, accanto

all’ “impossibilità oggettiva” di affidamento preadottivo,

derivante dall’assenza di coppie aspiranti, si è individuata

un’impossibilità “soggettiva”, giustificata esclusivamente in base

al preminente interesse del minore. Tale orientamento non viene

tuttavia accolto da una parte della dottrina, preoccupata del

fatto che in questo modo possa aprirsi la strada a situazioni

abusive, o che l’adozione speciale divenga uno strumento

alternativo e concorrente rispetto all’adozione legittimante28.

- 5 bis – l’elaborazione dottrinaria sul semi – abbandono

permanente e la sperimentazione dell’adozione mite.

28 La questione si è posta con particolare drammaticità in relazione alla nota vicenda di Serena Cruz. Si trattava di una bambina cilena portata illegalmente in Italia e trattenuta con sé da due coniugi. La situazione illegale si protrasse per oltre un anno, con espedienti posti in essere dai coniugi. Con sentenza del 18 aprile 1989 della Corte di Appello di Torino venne confermato il provvedimento di allontanamento della bambina dai coniugi, con successivo affidamento della stessa ad un’altra coppia. Nella contrapposizione, che spaccò l’opinione pubblica, tra il rispetto del principio di legalità e quello della prevalenza degli affetti, i giudici minorili si schierarono nel primo senso. Così argomentano i giudici di Torino: “…Il conflitto non è soltanto tra la persona di Serena e l'applicazione della legge. Nella situazione attuale di diffuso traffico di bambini, il conflitto si pone anche tra le persone di innumerevoli bambini (esposte ad essere oggetto di mercato) e la disapplicazione della legge. Infatti la legge difende le persone di tutti i bambini. Rifiutando di tradire la legge e di «legalizzare» la frode ad essa, i giudici operano a servizio dell'interesse di tutti i bambini. Se tale rifiuto produce una sofferenza per Serena, quella sofferenza non è conseguenza della applicazione della legge, bensì conseguenza della prolungata frode dei Giubergia…”. Il caso viene esaminato da G. ZAGREBELSKY, Il diretto mite, EINAUDI,1992, 292, Il quale evidenzia che il principio di legalità avrebbe dovuto trovare tutela in sede penale e mai sacrificando le esigenze affettive e di tranquillità psicologica della minore, facendole subire il trauma dell’allontanamento familiare e considera che il principio di solidarietà non può essere applicato astrattamente alla categoria dei minori, con sacrificio del concreto interesse della bambina in questione.

25

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Cominciata nel giugno 2003 come semplice prassi giudiziaria

autorizzata dal CSM nel Tribunale per i Minorenni di Bari e

fondata sul parziale insuccesso della legislazione in tema di

affidamento familiare e sull’esigenza di dare maggiore impulso al

processo di deistituzionalizzazione dei minori (in vista della

scadenza del dicembre 2006 per la chiusura degli istituti), la

sperimentazione dell’adozione mite sta negli ultimi tempi

assumendo la dignità di un progetto culturale qualificante, del

tassello significativo di un più ampio discorso destinato a

modificare sensibilmente le linee normative attualmente vigenti in

tema di adozione e affidamento familiare29. 29 Le informazioni fornite sono contenute in due scritti del dr. Franco Occhiogrosso, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bari:

- “L’adozione mite due anni dopo”, relazione presentata al Convegno Ai.Bi, <I bambini nel limbo>, svoltosi a Bellaria il 28-31 agosto 2005, pubblicata su Minorigiustizia, n. 3, 2005, pag. 149 e ss.;

- “L’adozione mite e le nuove prospettive emergenti”, articolo pubblicato sulla rivista Minorigiustizia, n. 2, 2006, nella sezione Documenti.

L’iter di tale procedura si articola in due fasi, entrambe dirette ad approfondire la situazione personale e familiare del minore ed a formulare per lui un progetto di vita futura. La prima fase si propone il fine di verificare se vi sono le condizioni per il rientro del minore nella sua famiglia e di realizzarlo; la seconda è diretta –una volta accertata l’impraticabilità del rientro in famiglia- a procedere all’adozione in favore del minore, che sarà quella legittimante, se si riscontra una situazione di abbandono morale e materiale; sarà, altrimenti, l’adozione non legittimante di cui all’art. 44 lett d) della L. 184/1983, se il minore non è in abbandono, ma è permanentemente privo di ambiente familiare idoneo.La prima fase suindicata si attua con la ripetuta discussione della vicenda in camera di consiglio e con l’espletamento di un’istruttoria collegiale funzionale anzitutto a realizzare insieme con i servizi territoriali l’immediato rientro del minore nella propria famiglia; a programmare, inoltre, nell’eventualità che ciò non sia possibile, un piano d’intervento socio-giudiziario con prescrizioni dirette –anche prevedendo i sostegni e gli aiuti previsti dall’art. 1 L. 184/1983- ad agevolare il rientro del minore nella famiglia in tempi congrui; a procedere, in una terza ipotesi ad un affidamento familiare giudiziario (nell’ambito del procedimento civile pendente per il minore e previa comparazione tra tutte le famiglie disponibili ad accoglierlo), quando il minore sia ospite di una comunità e non risulti realizzabile, in tempi congrui, nemmeno con adeguati sostegni, il rientro del medesimo nella famiglia biologica. L’affidamento familiare, che viene disposto in tal caso, ha natura giudiziaria, essendo pronunziato ai sensi del combinato disposto degli artt. 4, 2° comma, L. 184/1983 e 330 e seguenti del codice civile, per effetto del disagio familiare riscontrato, in linea con un orientamento dottrinale da tempo affermato. Si creano così le condizioni per una verifica in tempi più lunghi (rispetto alle ipotesi prospettate in precedenza) delle possibilità di recupero della famiglia di origine e di successivo rientro del minore. Infine, nel caso in cui l’affidamento familiare superi la scadenza prevista ed anzi si protragga per vari anni oltre tale termine, gli affidatari del minore vengono invitati a presentare –sempre nel caso in cui il rientro nella famiglia di origine non risulti praticabile- una domanda di adozione mite come dimostrazione della loro disponibilità a modificare la qualità del rapporto già da tempo esistente con il minore, trasformandolo da

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Il punto di partenza del discorso è costituito dalla constatazione

che il numero dei bambini dichiarati adottabili e poi adottati è

andato notevolmente diminuendo negli ultimi anni, a conferma che

le situazioni di pieno abbandono morale e materiale tendono a

ridursi, mentre resta sempre alto quello delle domande di

adozione. A ciò si aggiunge che l’adozione internazionale, verso

cui molte coppie si orientano, ha costi alti, che spesso

scoraggiano gli aspiranti adottanti.

Da un’indagine effettuata dal Centro nazionale di documentazione

ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza, risulta che, dei 10.200

bambini dati in affidamento familiare in Italia alla data del 30

giugno 1999, solo il 42 % è rientrato in famiglia, mentre ben il

58 % non vi è tornato. Una larga parte di bambini, quindi, resta

presso la famiglia affidataria e per lo più l’affidamento

familiare temporaneo si trasforma in un affidamento senza termine

(cd. affidamenti sine die) grazie a provvedimenti giudiziari di

proroga. Ma questi bambini rischiano di avere un futuro molto

incerto quando raggiungeranno il diciottesimo anno, perché la loro

famiglia di origine nella massima parte dei casi continuerà a non

essere in grado di accoglierli (pur mantenendo con loro rapporti

personali, sia pure per lo più sporadici), mentre gli affidatari

non si sentiranno impegnati in alcun modo ad accoglierli nella

loro famiglia come figli.

Infatti è di tutta evidenza che l’impostazione normativa attuale

ha trascurato del tutto il caso frequente della famiglia inidonea

parzialmente, ma in modo continuativo, a rispondere ai bisogni

educativi del figlio; che è cioè incapace di rispondere alle sue

esigenze educative, ma che non lo ha abbandonato e, anzi, ha con

lui un rapporto affettivo significativo, anche se inadeguato. In tal caso, da un lato, non è opportuno nell’interesse del minore

che tale rapporto venga del tutto cancellato, ma, dall’altro, non

affidamento familiare in adozione particolare ai sensi dell’art. 44 lettera d) legge 184/1983, oppure in quella legittimante dello stesso minore, se si ravvisano le condizioni per procedere alla sua dichiarazione di adottabilità. Viene in tal modo posto termine a quella condizione familiare precaria, consistente nell’affidamento “sine die”, che crea quella situazione nota con l’espressione “bambini nel limbo”, relativa a minori che rischiano vere e proprie crisi di identità, perché perennemente scissi tra la dimensione affettiva, che li fa sentire ben integrati nella famiglia affidataria, e quella giuridica, che li fa appartenere totalmente alla famiglia d’origine.

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esiste una ragionevole previsione di pieno recupero di esso. Si

tratta del cd. semiabbandono permanente, che è privo di qualunque riconoscimento normativo, in quanto riceve quale risposta solo

l’affidamento familiare: viene, cioè, gestito come se si trattasse

di un’inidoneità familiare di carattere temporaneo, mentre si

tratta di cosa ben diversa30.

Una riflessione in termini giuridici sulla nozione dottrinaria di

semi – abbandono permanente si fonda sulla dicitura contenuta

nell’art. 44 “quando non ricorrono le condizioni dell’art. 7”, che

ha indotto la prevalente giurisprudenza a ritenere che l’adozione

in casi particolari prescinda dalla dichiarazione di adottabilità

dello stesso, se sussistono i presupposti sostanziali dello stato

di abbandono. Un’interpretazione evolutiva muove dalla lettura

coordinata tra l’art. 44 con riferimento all’esclusione dell’art.

7 e la lett. D), che fa riferimento all’impossibilità di affido

preadottivo, per ritenere che possa pervenirsi all’adozione

speciale, anche quando non ricorrano situazioni di abbandono del

minore tali da giustificare una pronuncia di adottabilità31.

Un ulteriore elemento interpretativo è costituito dal

coordinamento tra l’art. 44 lett. D e gli artt. 45 e 46, laddove,

ai fini dell’adozione speciale, non si esige il presupposto

dell’abbandono materiale e morale, quanto il consenso dei genitori

o del tutore e del minore che abbia compiuto gli anni 14, ovvero,

in caso di mancato assenso e quando esso sia ingiustificato, il

mancato esercizio della potestà a seguito di un provvedimento di

30 In ordine ad un’analisi sociologica del fenomeno del semi – abbandono, nel quale l’interruzione dei rapporti del bambino con le figure parentali potrebbe rivelarsi pregiudizievole, cfr. V. POCAR e P. RONFANI, Famiglia e diritto, Laterza, Bari, 101 ss. Si evidenzia il presupposto culturale della l.n. 184/83, della prevalenza della famiglia degli affetti su quella biologica. Commentano gli autori: “… all’attuale modello ‘forte’ di adozione potrebbe dunque affiancarsene uno ‘mite’, non rivolto a creare per legge una nuova ed esclusiva genitorialità…”. 31 Cfr. Trib. Min Bari, 7 maggio 2008, adottata ex art. 44 lett. D) , in un caso in cui la minore era da tempo collocata in affidamento familiare, ed incontrava regolarmente la madre. Si era dunque determinata una situazione definita “palesemente irreversibile”, ostativa ad un rientro della minore in famiglia, e d’altra parte la piccola aveva radicato con gli affidatari un saldo legame affettivo, atteso che viveva presso di essi dall’età di due anni, pur non avendo mai interrotto i rapporti con la madre. Questa peraltro aveva prestato l’assenso all’adozione della figlia ed aveva un ottimo rapporto con gli affidatari. Si segnala anche un decreto Trib. Min. Napoli, 24 ottobre 2007, nel quale, in un caso di persistente inadeguatezza della famiglia di origine, veniva comunque da questa espresso un consenso all’adozione mite dei minori.

28

Page 29: AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’€¦  · Web viewAFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto

sospensione o decadenza dalla potestà32. Tale previsione, oltre ad

escludere la necessità di una declaratoria dello stato di

adottabilità – che di per sé sospende la potestà genitoriale –

sembra escludere la necessaria ricorrenza del presupposto dello

stato di abbandono. Infatti, in caso di ingiustificato dissenso da

parte dei genitori, è sufficiente che ricorrano i presupposti per

assumere un provvedimento ablativo della potestà, ovvero occorrono

carenze nella capacità genitoriale certamente gravi, ma non di

tale entità da configurare una situazione di abbandono materiale e

morale tale, da determinare una declaratoria di adottabilità. Ad

ulteriore conferma, l’art. 10 della l.n. 184/1983 prevede la

possibilità di adottare i provvedimenti di cui agli artt. 330 –

333 c.c. in pendenza di un procedimento di adattabilità e dunque

prima ed indipendentemente da siffatta pronuncia33.

Il concetto di “semiabbandono permanente” è stata ripresa e

sintetizzata nella relazione alla Proposta di Legge n. 5724,

decaduta per fine legislatura, che era stata presentata il

16/3/2005 dai deputati Bolognesi, Finocchiaro, Turco ed altri alla

Camera. Nella relazione suddetta si legge:

“Il nostro sistema legislativo prevede tre diversi percorsi per

un bambino in difficoltà familiare:

a) in caso di difficoltà modeste, soprattutto se la famiglia

collabora, o comunque non si oppone, è previsto un sostegno dei

servizi sociali, i quali aiutando in vario modo sia la famiglia,

sia il bambino, fanno sì che il minore possa continuare a vivere

nel proprio nucleo familiare;

32 E’ pacifico che la mancanza di assenso da parte di un genitore esercente la potestà si ponga come ostativo all’adozione speciale, precludendo al giudice la valutazione del carattere giustificato dei motivi a suo fondamento (cfr. Cass. 26 luglio 2000, n. 9795, in Mass. Giust. Civ., 2000, 2047).33 Assai efficace, riguardo al rapporto tra adozione legittimante e non legittimante, è la seguente considerazione contenuta nella citata sentenza Trib. Min. Bari, 7 maggio 2008: “…Pertanto l’area di applicazione della prima adozione (quella non legittimante), è diversa da quella della seconda (quella legittimante) e ne deriva che il rapporto tra le due adozioni 44 d) e legittimante) non va inteso solo come riguardante in entrambi i casi i soli minori adottabili; ma deve essere interpretato in senso più ampio e cioè come simile a quello esistente tra due cerchi concentrici, dei quali il più piccolo riguarda i casi in cui il minore venga dichiarato adottabile e quindi sia destinato all’adozione legittimante, mentre il più grande riguarda quelle zone grigie dell’abbandono, quelle situazioni cioè che, pur non dando luogo ad un abbandono pieno, possono tuttavia ritenersi rientranti nel concetto di “semiabbandono permanente”…”.

29

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b) in caso di difficoltà rilevanti, ma temporanee e quindi

considerate superabili in tempi sufficientemente brevi, il bambino

può essere dato in affidamento familiare, o temporaneamente

collocato presso una casa famiglia per un periodo della durata

massima di due anni;

c) in caso di difficoltà gravi, in cui la famiglia pone in essere

maltrattamenti rilevanti o abbandona materialmente e moralmente il

minore, e nel caso in cui la situazione risulta essere

irreversibile, il bambino viene dichiarato adottabile e dato in

adozione.

Questa impostazione del nostro sistema trascura completamente un

caso che invece, purtroppo, è assai frequente: quello designato

nella terminologia della giustizia minorile come “semiabbandono

permanente”. Si fa riferimento alle situazioni nelle quali la

famiglia del minore è più o meno insufficiente rispetto ai suoi

bisogni, ma ha un ruolo attivo e positivo, che non è opportuno

venga cancellato totalmente. Nello stesso tempo, non vi è alcuna

ragionevole possibilità di prevedere un miglioramento delle

capacità della famiglia, tale da renderla idonea a svolgere il suo

compito educativo in modo sufficiente, magari con un aiuto esterno

curato dai servizi sociali. Queste situazioni di carenza della

famiglia solo parziale,ma permanente, non sono contemplate dalla

legge. La recente riforma dell’adozione nazionale, entrata in

vigore nel 2001 (legge n. 149 del 2001) non ha preso in

considerazione questo problema…”.

Rispetto alle situazioni che rientrano nel semi – abbandono

permanente, che ancora non ha una consacrazione normativa, viene

valorizzata la suesposta interpretazione evolutiva di quella forma

di adozione in casi particolari prevista dall’art. 44 d) della L.

4.5.1983 n. 184, che consente l’adozione di bambini “quando vi sia

la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. Come si è

detto, questa espressione della legge viene intesa dalla

giurisprudenza come riferibile sia ai casi di bambini portatori di

difficoltà personali, sia a quelli in cui un bambino abbandonato

si trovi già presso un'altra famiglia, a cui è legato da un

30

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rapporto affettivo solido, tanto che un allontanamento

determinerebbe per lui un serio pregiudizio34.

In sostanza questa forma di adozione si rivolge alle zone grigie

dell’abbandono dei minorenni, a quelle situazioni cioè che

inizialmente risultate di semiabbandono o di difficoltà

temporanea tale da condurre all’affidamento familiare (perché per

lo più manca una capacità educativa dei genitori di origine, ma

esiste un legame affettivo che non consente l’interruzione totale

dei rapporti), si siano poi evolute in senso negativo per effetto

del mancato rientro del bambino nella famiglia di origine, anche

se gli incontri e le visite con tale famiglia continuano.

Questa adozione, com’è noto, può essere effettuata da una coppia

o da persona singola e non prevede alcun limite massimo di

differenza di età tra adottanti e adottando. Si realizza con il

consenso del minore, se ultraquattordicenne, o dei genitori

naturali, se esercitano la potestà su di lui, oppure del tutore,

se i genitori, come non di rado accade, sono stati dichiarati

decaduti dalla potestà. Essa non interrompe il rapporto di

filiazione (al contrario dell’adozione legittimante) tra minore e

genitori di origine, ma ne aggiunge un secondo conseguente

all’adozione. La potestà spetta all’adottante. Di fatto i rapporti

interpersonali con la famiglia di origine sono rari e per lo più

34 In situazioni particolari, dichiarando lo stato di abbandono e quindi l’adottabilità, alcune pronunce hanno affermato che l’adozione non sempre deve necessariamente comportare l’interruzione di ogni rapporto affettivo e di fatto del minore con la sua famiglia d’origine, dovendosi invece tener conto dell’interesse del minore stesso a non disperdere la sua storia personale e a mantenere relazioni con alcuni parenti significativi per lui, ma non disposti a farsi carico della sua crescita (cfr. TM di Bologna 9/9/2000 in Famiglia e Diritto, n.1/2001 e TM di Roma, 1999 e 1990 ivi richiamate; TM di Bologna 28/11/2002 in Minori e Giustizia, n.1/2003). Sono state decisioni dettate dalla necessità di mantenere il minore nella famiglia a cui era stato affidato ed in cui era cresciuto nonostante si fosse instaurato un rapporto di conoscenza tra gli affidatari e membri della famiglia di origine (in entrambi i casi i nonni) che costituivano figure care ai minori e non disturbanti. Si è parlato in tali fattispecie, di ‘adozione aperta’ che, secondo questa interpretazione, consentirebbe di applicare in modo evolutivo l’istituto dell’adozione legittimante, che comunque è considerato come la principale forma di adozione, evitando così un’applicazione estensiva dell’adozione non legittimante, con il rischio che essa divenga sostitutiva della prima. Anche con riferimento all’adozione aperta, si è espresso il timore che un ricorso a tale forma di adozione “che non fosse necessariamente rigoroso e limitato” comprometterebbe la ratio e la funzione dell’adozione legittimante e potrebbe trasformare l’affidamento familiare nell’anticamera dell’adozione (cfr A.Figone in Famiglia e Diritto cit.).

31

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disciplinati dal tribunale nel provvedimento di adozione, se ciò

viene fatto oggetto di specifica richiesta.

Proprio per le sue caratteristiche ed i suoi effetti questa

adozione viene indicata come “mite” in contrapposizione

all’adozione nazionale legittimante o “forte”, disciplinata dagli

articoli da 6 a 25 della L. 4.5.1983 n. 184, la quale interrompe

definitivamente il rapporto giuridico genitori-figli e non ne

prevede la perpetuazione neanche in via di fatto35.

La sperimentazione è consistita nel proporre alle coppie o ai

singoli disponibili un discorso di portata generale, che abbracci

tutte le prospettive e quindi nell’esporre loro, in occasione

della presentazione della domanda di adozione nazionale, i

contenuti dell’adozione mite ed il suo percorso complessivo;

contestualmente vi è stata una sensibilizzazione dei servizi

sociali e consultoriali sia rispetto ad un adeguato monitoraggio

delle situazioni dei minori in istituto o in affidamento

35 In senso critico rispetto all’adozione mite, si è espressa parte della dottrina minorile. Cfr. E. CECCARELLI, L’affidamento familiare nella legge e nelle sue applicazioni, in Affido forte e adozione mite: culture in trasformazione, ed. Angeli, Milano, 200, fl. 119 ss. che argomenta: “.. Costruire per legge “nuove” forme di adozione, proponendole per un’applicazione generalizzata e non doverosamente (quando lo richiede l’intesse del minore) residuale può indurre il giudice ad essere meno rigoroso, a preferire di essere (o sembrare) più “mite”. D’altra parte strutturare l’affidamento familiare come anticamera dell’adozione rischia di svuotarlo del suo senso e di scardinare la fiducia tra la famiglia del minore e la famiglia affidataria, che costituisce il presupposto necessario di ogni affido ben riuscito.L’adozione in casi particolari ha una sua storia di oltre un ventennio ed è servita a dare soluzioni dignitose ed utili per i minori in molti spesso non affrontati per tempo in modo risolutivo. Non sembra dunque opportuno riformularla come una innovativa soluzione che non sembra in realtà presentare vantaggi, ma invece potrebbe entrare in concorrenza (non sempre leale) con procedure di adottabilità che richiedono accertamenti più impegnativi e difficili…”.Tuttavia, cfr. F. OCCHIOGROSSO, L’adozione mite e le nuove prospettive emergenti, in Affido forte e adozione mite, cit. 91 ss. , in cui si confutano le argomentazioni relative a pericoli di confusione tra le varie forme di adozione: “…l’adozione mite offre un percorso diverso per la realizzazione dell’adozione aperta nell’ambito della quale si pone. Presenta peraltro alcuni vantaggi rispetto all’altra: è estremamente graduale e determina lentamente situazioni di fatto relative all’integrazione affettiva e sociale del minore nella famiglia affidataria tali da agevolare notevolmente l’adozione; L’adozione mite consente la definizione del percorso d’identità del minore, superando la sua condizione di “minore nel limbo”; _ evita la pronunzia del decreto di semiabbandono permanente, che costituisce sempre per i genitori una forma di stigmatizzazione, un’umiliazione psicologica che esaspera il loro disagio invece di favorire l’accettazione della situazione; … L. Solo nel caso in cui ogni impegno per realizzare un tale programma dovesse fallire, potrà intervenire la previsione normativa che consente al tribunale di procedere, in caso di mancato assenso del genitore non esercente la potestà, all’adozione particolare se ritiene che l’adozione realizzi il superiore interesse del minore…”.

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familiare, sia delle disponibilità e dell’idoneità delle famiglie

dichiaratesi disponibili all’accoglienza di minori.

A conclusione di questa prima fase, si possono riferire i dati

relativi al percorso dell’adozione mite nel periodo giugno 2003–

luglio 2006. Sono stati de-istituzionalizzati 156 minori, di cui

43 sono rientrati definitivamente in famiglia; 113 sono stati

affidati in affidamento familiare; mentre 141 sono stati adottati:

di essi, 74 con adozione non legittimante e 67 con adozione

legittimante.

Il rilievo culturale di questa nuova prospettiva è attestato da

due proposte di legge – presentate nella passata legislatura – che

si occupano dell’argomento: l’una è quella n. 5701/2005, avente ad

oggetto “Modifiche alla legge 4/5/1983 n.184 in materia di

adozione aperta” ed è stata presentata l’8/3/2005 dall’on. Burani

Procaccini, presidente della Commissione Bicamerale per

l’infanzia, e da altri; la seconda è quella n. 5724/2005 in

materia di adozione aperta e adozione mite ed è stata presentata

dall’on. Bolognesi, autorevole componente della stessa Commissione

parlamentare e da altri36.

Le relazioni di entrambe le proposte, dopo aver fatto riferimento

ad un’indagine conoscitiva in tema di adozione e affidamento,

approvata dalla Commissione parlamentare per l’infanzia nella

36 Il Consiglio Direttivo dell’Associazione dei Magistrati per i Minori e per laFamiglia, in occasione della riunione del 24 giugno 2006, ha approvato il seguente documento:“… Da qualche anno è in corso un dibattito sull’adozione e sull’affidamento familiare che ha comportato da un lato la ricerca di nuove prassi, come a Bari con l’esperienza sull’adozione mite, e dall’altro la formulazione di numerose proposte di legge. Siamo convinti che a monte di questo dibattito ci sono dei problemi reali che devono essere pensati ed affrontati.E’ merito di questo dibattito l’avere messo in risalto che il diritto minorilefamiliare è di per sé un diritto mite, nel senso che si deve basare sulla comunicazione da parte dei Servizi e dei Giudici con le persone, adulti e minori, che ha come caratteristica fondamentale l’ascolto e che in via di principio – soprattutto quando è necessario disporre l’allontanamento – mira ad ottenere il consenso e la collaborazione delle persone coinvolte, minore compreso, pur nella consapevolezza che il Giudice deve in ogni caso decidere secondo il preminente interesse del minore.Il dibattito in corso è anche motivato dalla maggiore complessità dei modellifamiliari e dei modelli sociali di cui occorre prendere atto. Come nel campo della tutela degli incapaci ci si è accorti che il mondo non è diviso tra malati e sani, ma ci sono molte situazioni intermedie di disagio che hanno ricevuto una risposta nell’amministrazione di sostegno, così è altrettanto evidente anche nel settore della protezione dei minori che c’è tutto un campo di situazioni grigie (abbandono che matura progressivamente nel tempo, semi-abbandono) in cui va affermato con fermezza il diritto del minore alla famiglia, anche con l’apertura a nuove forme di accoglienza … “.

33

Page 34: AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’€¦  · Web viewAFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto

seduta del 2 novembre 2004, danno atto che “nel corso

dell’indagine si è avuto modo di approfondire le problematiche

legate al fenomeno del semiabbandono di bambini che, a causa

dell’inadeguatezza della normativa italiana a disciplinare

situazioni di famiglie che non riescono o non vogliono mettersi in

condizioni di provvedere alla corretta crescita e all’educazione

del minore, dopo un eventuale periodo di affidamento si trovano

nell’incertezza se dover tornare alla famiglia naturale o rimanere

presso quella affidataria (…)”

Un’ulteriore conferma della valenza dell’adozione mite quale

forma “non eccezionale” di adozione si è avuta con l’ordinanza

347/2005 della Corte Costituzionale (15/29 luglio 2005 della Corte

Costituzionale), decisione interpretativa, nella quale si afferma

che l’adozione in casi particolari, che ha effetti più limitati

dell’adozione legittimante, non presenta aspetti di eccezionalità

o almeno peculiarità tali da impedirne l’estensione agli

stranieri, sicché non vi è alcun divieto di rilascio del

certificato di idoneità all’adozione di minori stranieri in casi

particolari con la conseguenza che tale rilascio deve ritenersi

consentito ogni qualvolta sussistano le condizioni ex art. 4437.

Il punto centrale della questione sottoposta alla Corte

costituzionale è proprio questo: se, cioè, anche le persone

singole possono presentare domanda di idoneità all'adozione

internazionale limitatamente a quei casi in cui alle medesime

persone singole è consentito in Italia adottare un minore, cioè

nei casi previsti dell'articolo 44 legge 184/83 (cosiddetta

"adozione in casi particolari"). La Corte, riprendendo una

indicazione fornita dallo stesso tribunale remittente, sottolinea

innanzitutto come l'articolo 31, secondo comma, della legge 184/83

prevede che "nelle situazioni considerate dall'articolo 44, primo

37 Cfr. F. OCCHIOGROSSO, L’adozione mite due anni dopo, cit., “Anzitutto il rilievo della Corte che l’adozione particolare ha effetti più limitati di quella legittimante, ma non presenta aspetti di eccezionalità o peculiarità tali da impedirne l’estensione agli stranieri, comporta l’implicito riconoscimento che lo spazio autonomo di tale adozione già riconosciuto per l’adozione particolare di minori italiani non deve essere effettuato nell’ottica che si tratta di intervento “residuale”, come ha finora costantemente affermato la cultura dominante in materia. La Corte propone la più ampia prospettiva che, quando vi siano i requisiti indicati dall’art. 44. è questa normativa a dover essere applicata senza alcun atteggiamento di subalternità rispetto all’altra adozione: vi è in sostanza una pari dignità delle due adozioni, pur nella loro evidente diversità”.

34

Page 35: AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’€¦  · Web viewAFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto

comma, lett. a), il tribunale per i minorenni può autorizzare gli

aspiranti adottanti, valutate le loro personalità, ad effettuare

direttamente le attività" di intermediazione (al posto dell'ente

autorizzato). L'esistenza di una norma siffatta - che prevede una

procedura semplificata per alcuni tipi di adozione - sta a

significare che, se non altro per le ipotesi di cui all'articolo

44, primo comma, lett. a), l'adozione di un minore straniero può

realizzarsi nelle forme dell'adozione semipiena. Mentre, però, il

tribunale per i minorenni di Cagliari ritiene che l'estensione

anche alle altre tre ipotesi di cui all'articolo 44 (per esempio

l'adozione di un minore che - come nella fattispecie all'esame dei

giudici sardi - non potrebbe essere dichiarato adottabile per

difetto dei presupposti relativi allo stato di abbandono: lettera

d dell'articolo 44) non possa essere effettuata se non attraverso

una dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 29bis (nella

parte in cui, in contrasto con i principi fondamentali in materia

di tutela dei minori, non consentirebbe, appunto, l'adozione

internazionale di minori nelle altre ipotesi di cui all'articolo

44), la Corte costituzionale rigetta la questione dando

all'articolo 29 bis una interpretazione necessariamente estensiva

e cioè sostenendo la applicabilità in materia di adozione

internazionale di tutte le ipotesi di cui all'articolo 44.

La conclusione è che "nella normativa vigente non è evincibile il

divieto del rilascio del certificato di idoneità all'adozione di

stranieri in casi particolari, con la conseguenza che tale

rilascio deve ritenersi consentito ogni qualvolta sussistano le

condizioni di cui all'articolo 44". Questa interpretazione -

conclude la Corte - "è costituzionalmente corretta e riconduce ad

unità il sistema, consentendo di ritenere ammissibile l'adozione

internazionale negli stessi casi in cui è ammessa l'adozione

legittimante o in casi particolari".

Detto principio è stato ripreso dalla Corte di Cassazione con

sentenza 18 marzo 2006 n. 6078, in cui la prima sezione, nel

pronunciarsi su di un caso di adozione promosso da una cittadina

di origini rumene, all’epoca single, che aveva ottenuto in Romania

una sentenza di adozione e ne chiedeva il riconoscimento In

Italia, ha affermato l’impossibilità di riconoscere una

generalizzata adozione internazionale da parte del soggetto non

35

Page 36: AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’€¦  · Web viewAFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto

coniugato, per contrasto con i principi del nostro ordinamento

giuridico. Infatti, l’art. 6 della legge n. 184/1983 prevede

unicamente l’adozione legittimante in favore di coppie coniugate

da almeno tre anni, estesa successivamente dalla legge n.

149/2001, alle coppie che abbiano una convivenza prematrimoniale

di tale durata. In deroga a tale principio, l’art. 44 ammette

l’adozione in casi particolari in favore dei single, sicché solo

in questo caso il legislatore nazionale si è avvalso della facoltà

concessa dall’art. 6 della Convenzione europea in materia di

adozione firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata in

Italia con legge 22 maggio 1974 n. 357, di prevedere l’adozione da

parte di persone singole. Argomenta la Corte che, in via

interpretativa ed analogica, l’adozione internazionale di persone

singole deve ritenersi ammissibile negli stessi casi in cui è

ammessa l’adozione nazionale e che, dunque, non è ammissibile una

generalizzata applicazione dell’adozione internazionale ai single.

Il ragionamento della Corte si conclude con la seguente notazione:

“… Resta, ovviamente, fermo che, tanto più in presenza della

disposizione convenzionale sopra menzionata (art. 6 della

Convenzione di Strasburgo del 1967), che a ciò lo facoltizza, il

legislatore nazionale ben potrebbe provvedere - nel concorso di

particolari circostanze, tipizzate dalla legge o rimesse di volta

in volta al prudente apprezzamento del Giudice - ad un ampliamento

dell'ambito di ammissibilità dell'adozione di minore da parte di

una singola persona, anche qualificandola con gli effetti

dell'adozione legittimante, ove tale soluzione sia giudicata più

conveniente all'interesse del minore, salva la previsione di un

criterio di preferenza per l'adozione da parte della coppia di

coniugi, determinata dalla esigenza di assicurare al minore stesso

la presenza di entrambe le figure genitoriali, e di inserirlo in

una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilità...”.

Assai interessante è anche la notazione della Corte, che ha

fondato il rigetto del ricorso anche sull’assenza di prova del

preesistente “rapporto affettivo e genitoriale di fatto, ormai

consolidato”, che viene individuata come presupposto dell’adozione

in casi particolari ex art. 44. Tale obiter dictum appare assai

rilevante ai fini che ci occupano, in quanto la Suprema Corte,

nell’esprimere un’indicazione rivolta all’organo legiferante, in

36

Page 37: AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’€¦  · Web viewAFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto

favore del superamento dei limiti imposti all’adozione dal diritto

vigente, valorizza proprio il principio della continuità degli

affetti che è alla base della giurisprudenza evolutiva in esame38.

L’adozione “mite” nei numerosi casi di semi – abbandono permanente

realizza in definitiva un percorso nuovo ed incoraggiante per

coloro che da tempo sono alla ricerca di strade altre, nella

convinzione che vadano sempre più emergendo realtà complesse e

problemi reali, che è necessario analizzare e affrontare.

- 5 ter – L’assunzione del cognome nell’adozione non legittimante.

Un ultimo profilo di fondo da analizzare è quello relativo al

cognome, che deve assumere il minore adottando per effetto

dell’adozione non legittimante.

Vi è un orientamento giurisprudenziale che punta a trasformare

la cultura tradizionale dell’assunzione del cognome da parte

dell’adottando, quale pedissequa applicazione delle regole formali

e standardizzate (quelle indicate dalla lettura dell’art. 299 Cod.

Civ., richiamato dalla normativa relativa all’adozione

particolare) in altra, personalizzata, che prospetta

l’assunzione del cognome da parte dell’adottando come segno

distintivo della sua identità personale (Cass. sez. I, 26 maggio

2006 n. 12641; Corte Cost. 6 febbraio 2006 n. 61).

La normativa dell’art. 299 cod. civ., che disciplina questa

materia, è stata interpretata alla luce dei principi affermati in

materia di legittimazione e di filiazione naturale. Quanto alla

prima, la Corte Costituzionale nella sentenza 23 luglio 1996 n.

297 ha trovato riconoscimento legislativo nell’art. 33 D.P.R.

3/11/2000 n. 396. In base a tale disposizione il figlio

maggiorenne legittimato ha il cognome del padre, ma può scegliere

entro un anno dal giorno in cui ne viene a conoscenza di mantenere

il cognome portato in precedenza, se diverso, ovvero di aggiungere

o anteporre ad esso, a sua scelta, quello del genitore che lo ha

38 Un’importante apertura verso il principio della famiglia degli affetti, anteposto al vincolo di sangue, viene affermato in una pronuncia in tema di adozione speciale del Trib. Min. Cagliari, 20 novembre 2006, in Famiglia e minori, n. 3/2007, 83 afferma la rilevanza della volontà dell’adottato di assumere il cognome dell’adottante in sostituzione del proprio. Argomenta il Tribunale che l’assunzione del cognome dell’adottante “appare meglio rispondere all’interesse della minore di essere assimilata pienamente alla sua unica famiglia”.

37

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legittimato. Tale principio trova conferma per i figli naturali

riconosciuti all’art. 262 cod. civ., che afferma, in sostanza, la

regola per cui il cambiamento del cognome, attuato a seguito di

interventi giudiziari, non deve essere inteso solo come astratta

ed automatica identificazione familiare del soggetto, ma va

considerato come il frutto della concreta identificazione

personale del medesimo sulla base della sua storia, del suo

vissuto, della sua volontà. Attuazione esplicita di questo

principio è anche nell’art. 95, comma 3°, dello stesso D.P.R.

396/2000, in base al quale l’interessato può richiedere il

riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome

originariamente attribuitogli, se questo costituisce ormai

autonomo segno distintivo della sua identità personale.

Con riferimento all’adozione, mentre nell’adozione legittimante

l’adottato perde il cognome originario ed assume quello

dell’adottante, nell’adozione nei casi particolari ex art. 44

legge n. 184/1983, come pure nell’adozione di maggiorenni, il

cognome dovrà essere determinato secondo il dispositivo dell’art.

299 c.c. Questa, modificata dall’art. 61 della legge n. 184/1983,

disciplina l’acquisto del cognome da parte dei maggiori di età,

stabilendo, come criterio generale, che nell’adozione dei

maggiorenni l’adottato anteponga il cognome dell’adottante a

quello originario (che conserva comunque) e, come criterio

speciale, che se l’adottato è figlio naturale non riconosciuto dai

propri genitori, il nuovo cognome, acquistato con l’adozione,

comporta automaticamente la perdita di quello originario39.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 120 dell'11 maggio

2001, ha dichiarato illegittimo l'art. 299, secondo comma, c.c.,

nella parte in cui non prevede che l'adottato maggiorenne può

aggiungere al cognome dell'adottante anche quello originariamente

attribuitogli dall'Ufficiale di Stato Civile, così accogliendo

l'orientamento dottrinario che riteneva la norma incostituzionale,

39 La ratio della disciplina appena esposta, è quella di far scomparire il cognome imposto dall'Ufficiale di Stato Civile ai figli naturali non riconosciuti, ai sensi dell'art. 71, 4° comma, R. D. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento di Stato Civile), soluzione che sembra ispirata all'antica idea di tutelare il figlio illegittimo occultando la sua origine (così BIANCA, Diritto Civile, v. II, Milano, 1985, 349).

38

Page 39: AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’€¦  · Web viewAFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto

in quanto eccessivamente discriminante nei confronti del figlio

naturale non riconosciuto, poi adottato.

Tale scelta è stata ritenuta in contrasto con l'invocato art.2

della Costituzione, dovendosi ormai ritenere principio consolidato

nella giurisprudenza della Corte quello per cui il diritto al nome

- inteso come primo e più immediato segno distintivo che

caratterizza l'identità personale - costituisce uno dei diritti

inviolabili protetti dalla menz ionata norma costituzionale

(sentenze n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994). La Corte ha

argomentato che, nel caso in esame, non solo l'interessato ha

utilizzato da sempre quel cognome, trasmettendolo anche ai propri

figli, ma tale segno distintivo si e' radicato nel contesto

sociale in cui egli si trova a vivere, sicché precludere

all'adottato la possibilità di mantenerlo si risolve in

un'ingiusta privazione di un elemento della sua personalità,

tradizionalmente definito come il diritto "ad essere se stessi".

Osserva in particolare la Consulta:

“… Ed è innegabile, d'altra parte, che l'antico sfavore verso i

figli nati fuori del matrimonio è superato dalla nostra

Costituzione oltre che dalla coscienza sociale. Per queste ragioni

il fatto che l'adottato acquisisca uno status del quale era privo

non e' motivo sufficiente per negare la violazione dell'art.2

della Costituzione. Non può essere dimenticato, d'altronde, che la

norma in esame e' anche del tutto irrazionale alla luce della

riforma dell'adozione di cui alla menzionata legge n. 184 del

1983. Con questa legge, infatti, si e' compiuta una netta

distinzione fra l'adozione di minori, sia essa legittimante o

meno, e quella di maggiorenni, regolata dal codice civile. Se la

ratio della prima e, almeno in linea di massima, quella di fornire

al minore una famiglia che sia idonea a consentire nel modo

migliore il suo sviluppo - il che spiega l'assunzione, da parte

dell'adottato, del solo cognome dell'adottante e la cessazione di

ogni rapporto con la famiglia d'origine (art.27 della legge n.184

del 1983)…”.

La Corte costituzionale fa comunque salva la c.d. adozione in casi

particolari, il cui obiettivo evidentemente non è il medesimo,

poiché tale adozione (art. 300 cod. civ.) non crea alcun vincolo

di parentela tra l'adottato e la famiglia dell'adottante, tanto

39

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che il primo conserva tutti i propri precedenti rapporti, specie

quelli con la famiglia di origine (v. sentenze n. 500 del 2000 e

n. 240 del 1998 ed ordinanza n. 82 del 2001). In tale fattispecie,

dunque, viene fatto salvo il diritto del minore di salvaguardare

la propria storia personale e di mantenere il rapporto con la

famiglia di origine, anche attraverso la conservazione di un

importante segno distintivo dell’identità personale qual è il

cognome dei propri genitori biologici.

Tutto ciò confermerebbe – secondo il menzionato orientamento di

giurisprudenza creativa - la necessità di passare da

un’interpretazione formale e rigida ad una più elastica della

normativa in tema di cambiamento di cognome e ribadirebbe il

principio che è essenziale, ai fini della indicazione del cognome

che il soggetto deve assumere quando si verifichi una delle

situazioni descritte, l’accertamento se esso costituisca segno

distintivo dell’identità personale del soggetto medesimo. Tale

principio, sulla base dell’interpretazione evolutiva della Corte

costituzionale ed in ossequio al principio costituzionale

dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, senza

distinzione di condizioni personali (art. 3 Cost.), non può essere

interpretato come limitato ai soli soggetti maggiorenni, ma deve

essere ritenuto applicabile anche ai minorenni. In relazione a

questi ultimi, tenuto conto della particolare complessità della

valutazione (trattasi di un diritto personalissimo), che ha

indotto il legislatore nell’art. 33 citato a limitare ai soli

maggiorenni la riserva di consenso diretto del soggetto

interessato, viene applicato in via analogica il principio

affermato dall’art. 262, 2° comma, cod, civ., per l’attribuzione

del cognome paterno al figlio minore in caso di riconoscimento del

figlio minore da parte del genitore successivamente alla madre.

Tale disposizione prevede che in tal caso debba essere lo stesso

Tribunale – chiamato giudizialmente ad intervenire- a decidere

circa l’assunzione del cognome nell’esclusivo interesse del

minore40.

40 Cfr. Trib. Min. Bari, 8 maggio 2008, cit.

40

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Sul punto si è tuttavia pronunciata la Corte costituzionale, che ha

affermato l’infondatatezza della q.l.c. dell'art. 55 l. n. 184 del

1983, nella parte in cui, rinviando all'art. 299 c.c. per

l'attribuzione del cognome al minore adottato in casi particolari,

non consente che il minore, o suoi legali rappresentanti, o gli

adottanti possano ottenere, sempre nell'interesse del minore, che

questi mantenga il suo precedente cognome, anteponendolo o

aggiungendolo a quello dell'adottante, o sostituisca il cognome di

quest'ultimo al suo, in riferimento agli art. 2, 3, comma 2, 30,

comma 3, e 31, comma 2, cost. (Corte costituzionale, 24 giugno

2002, n. 268).

In questi casi la Corte ha quindi ritenuto illegittime, per

violazione dell'art. 2 Cost., norme che, prevedendo dei criteri

rigidi ed automatici per l'attribuzione alla persona di un cognome

diverso da quello col quale essa era conosciuta nell'ambiente

sociale nel quale aveva sino a quel momento svolto la propria

personalità, finivano per far prevalere la corrispondenza del

cognome allo status familiare, sacrificando nel contempo il

diritto all'identità personale del soggetto; in entrambi i casi la

soluzione adottata è stata quella di lasciare la scelta se

mantenere il cognome originario - solo o in aggiunta a quello

adottivo - quale tratto consolidato della personalità.

La rimozione del carattere distintivo della vita precedente del

soggetto non si verifica nella disciplina per l'adozione in casi

particolari, per la quale è stato previsto che l'adottato assuma

il cognome dell'adottante anteponendolo al proprio, che in questo

modo non viene cancellato ma continua a costituire, in uno col

nuovo cognome attribuito al minore, un tratto essenziale della sua

identità personale.

Come questa Corte ha già più volte affermato (v., tra le molte, le

sentenze n. 27 del 1991 e n. 383 del 1999), l'adozione in casi

particolari, prevista dagli artt. 44 e seguenti della legge n. 184

del 1983, è un istituto diverso sia dall'adozione legittimante sia

da quella tra persone maggiori di età, pur avendo in comune con la

41

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prima la finalità di perseguire l'esclusivo interesse del minore e

con la seconda l'effetto non legittimante del provvedimento, col

quale non vengono rescissi i rapporti dell'adottato con la sua

famiglia di origine.

Il legislatore, nello stabilire la disciplina dell'adozione in

casi particolari, ha quindi compiuto una "non facile composizione"

di esigenze diverse, tra le quali quella di "evitare che

l'instaurazione del nuovo rapporto comporti la rottura di quello

esistente con l'altro genitore biologico e/o con i di lui parenti,

pur quando con costoro il minore abbia instaurato e mantenga

legami significativi" (sentenza n. 27 del 1991, cit.), operando

una scelta del tutto conforme alle finalità dell'istituto.

A ciò va aggiunto che le ipotesi previste nell'art. 44 della legge

n. 184 del 1983 per questa particolare forma di adozione

considerano situazioni diverse fra loro e cioè: l'essere il minore

orfano di entrambi i genitori (art. 44, lettera a), ovvero figlio,

anche adottivo, dell'altro coniuge (lettera b), o il caso in cui

vi sia la constatata impossibilità di procedere ad un affidamento

preadottivo (lettera d); ed ora, dopo le modifiche introdotte con

la legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio

1983, n. 184, recante "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento

dei minori", nonché al titolo VIII del libro primo del codice

civile), anche l'ulteriore ipotesi in cui il minore, orfano di

padre e di madre, si trovi nelle condizioni indicate dall'art. 3,

comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per

l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone

handicappate), in assenza del vincolo di cui alla lettera a).

Nel disciplinare l'attribuzione del cognome all'adottato, la

scelta fatta dal legislatore, nella sua discrezionalità, è stata

quella di non eliminare il legame del minore col proprio passato

e, perciò, con la sua identità personale come essa è stata ed è

conosciuta nell'ambiente sociale di cui egli è, e deve continuare

ad essere, parte; per tale ragione, pur essendo astrattamente

possibili soluzioni differenziate per i diversi casi (cfr. la

sentenza n. 27 del 1991), il legislatore ha previsto una

disciplina unitaria, rispettosa della personalità del soggetto

come tutelata dall'art. 2 Cost., proprio in quanto mantiene il

cognome originario, cui aggiunge, anteponendolo, quello

42

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dell'adottante, con ciò dando atto dei precedenti e non interrotti

legami familiari dell'adottato.

4. - Non può neppure dirsi che la disciplina prevista dalla legge

per l'attribuzione del cognome ai minori adottati in casi

particolari violi le altre norme costituzionali indicate dal

giudice a quo; l'attribuzione del cognome dell'adottante,

anteposto a quello originario del minore facente già parte della

sua individualità, non può invero essere un ostacolo di ordine

sociale allo sviluppo della personalità umana ai sensi dell'art.

3, secondo comma, Cost., o costituire un trattamento deteriore dei

figli nati fuori dal matrimonio ai sensi dell'art. 30, terzo comma

Cost., o risolversi in una disciplina che non attua la protezione

del minore richiesta dall'art. 31, secondo comma, Cost..

Si tratta, al contrario, di una disposizione rispettosa della

personalità del minore e non discriminatoria; l'attribuzione del

doppio cognome, infatti, sta proprio a significare l'avvenuto

inserimento del minore nel nuovo nucleo familiare, senza che nel

contempo venga imposta la perdita del cognome col quale egli era

ed è conosciuto nei diversi ambienti che frequenta e dei legami

con la famiglia di origine, secondo la ratio complessiva della

adozione in casi particolari.

Il legislatore, avendo operato, nella sua discrezionalità, una

scelta non irragionevole, ha voluto quindi evitare, attraverso il

mantenimento del cognome originario cui si antepone quello

dell'adottante, proprio quell'effetto di perdita di legami

sociali, con conseguente difficoltà allo sviluppo della

personalità, che viene paventato dal giudice rimettente.

La norma impugnata non può neppure causare l'effetto di una minor

tutela per i figli nati fuori dal matrimonio, come sostiene il

rimettente, qualora l'adozione riguardi figli naturali

riconosciuti; anche in questo caso, infatti, si tratta di un

minore che già ha assunto il cognome del genitore che ha

effettuato il riconoscimento e che tramite esso è conosciuto

nell'ambiente sociale; la successiva adozione (in casi

particolari) da parte del coniuge del genitore che ha effettuato

il riconoscimento, anche mediante l'attribuzione del secondo

cognome, certamente non comprime la personalità del minore

43

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- 6 – Profili processuali.

L’accertamento dello stato di abbandono e l’apertura del procedimento.

Non essendo stata emanata alcuna ulteriore disposizione di

proroga, allo stato attuale, anche in assenza della prevista

normativa di attuazione, devono ritenersi operative le modifiche

introdotte dalla legge 28 marzo 2001 n. 149, quanto alle

disposizioni di carattere processuale – di notevolissima

importanza, avuto riguardo all’istituzione ex novo della difesa

d’ufficio in ambito civile –, essendo prevista l’entrata in vigore

delle stesse “comunque” non oltre il 30 giugno 2007 per effetto,

da ultimo, dell'art. 1, secondo comma, della legge 12 luglio 2006,

n. 228, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 12

maggio 2006, n. 17341.

Quanto alle modalità di accertamento dello stato di abbandono, lo

svolgimento di indagini e l'assunzione di informazioni tramite i servizi sociali non comporta né un’alterazione della regola del contraddittorio, stante la possibilità per le parti di

controdedurre ed offrire ogni prova contraria, né un’anomala

delega a terzi di poteri decisori, poiché le risultanze di dette

indagini ed informazioni sono rimesse alla valutazione del giudice

procedente, nel quadro delle complessive emergenze istruttorie,

fra cui quelle acquisite anche su istanza delle parti42. Inoltre,

l’art. 10 cpv. prevede che i genitori, o in mancanza i parenti

entro il quarto grado che abbiano avuto rapporti significativi con

il minore, assistiti dal difensore, possano partecipare a tutti

gli accertamenti disposti dal tribunale, possano presentare

41 Varie sono state le proroghe, a partire dalla disposizione transitoria contenuta nell'art. 1, d.l. 24 aprile 2001, n. 150, conv. con modif., nella legge n. 240 del 2001 (proroga inizialmente “non oltre il 30 giugno 2002), termine poi prorogato al 30 giugno 2003, in forza del d.l. n. 126 del 2002, conv., con modif., nella legge 2 agosto 2002, n.175; quindi al 30 giugno 2004, per effetto del d.l. n.147 del 2003, conv., con modif., nella legge n. 200 del 2003, al 30 giugno 2005, in forza del d.l. n. 158 del 2004, conv., con modif., nella legge n. 188 del 2004, e al 30 giugno 2006, per effetto del d.l. n. 115 del 2005, conv., con modif., nella legge n. 168 del 2005.42

? Cass. civ. sez. I, n. 14675 del 29/12/1999.

44

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istanze istruttorie , prendere visione ed estrarre copia degli

atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice.

La possibilità di secretare atti, indirettamente desumibile dal

novellato art. 10 (che, al 3° comma, prevede la facoltà, per i

soggetti legittimati, di prendere visione ed estrarre copia degli

atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice, il

quale – evidentemente – potrebbe non rilasciarla), non si ritiene

non possa riguardare dati rilevanti ai fini della decisione nel

merito, ma soltanto circostanze sprovviste di valenza probatoria,

sebbene potenzialmente idonee ad incidere in maniera negativa

sulla condizione del minore (come accade, ad es., per ogni

informazione atta a consentire l’individuazione del luogo protetto

ove lo stesso sia stato trasferito, ovvero della famiglia alla

quale sia stato provvisoriamente affidato).

Altro argomento di prioritaria importanza è quello dell’esigenza di ascoltare il minore, previsto – per effetto della legge n.

176/1991, che ha ratificato e reso esecutiva in Italia la

convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre

1989 – nella duplice forma, obbligatoria per gli ultradodicenni e

facoltativa per gli infradodicenni – che costituisce una costante

della materia che ci occupa (vedi artt. 7 e 25 per la

dichiarazione di adozione, 10 e 15 in tema di adottabilità, 22 e

23 in tema di affidamento preadottivo). La previsione è intesa ad

attribuire rilievo alla personalità e alla volontà del minore, in

relazione a provvedimenti che nel suo interesse trovano la loro

ragion d'essere, pertanto, la necessità o l'opportunità di

procedere a un nuovo ascolto del minore che sia già stato escusso

(ad es., nella fase cautelare ex artt. 330 – 333 c.c.), rientra

nella discrezionalità del giudice di merito, il cui mancato

utilizzo non è censurabile in Cassazione sotto l'aspetto della

violazione di legge43.

Un’importante innovazione introdotta dalla l. n. 149/01 è

costituita dall’abolizione dell’accertamento di ufficio della

situazione di abbandono, sicché le segnalazioni delle situazioni

di abbandono dovranno essere indirizzate al Procuratore della

Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni. Questi, assunte le

43 Cass. civ., sez. I, n. 4124 del 21/3/2003.

45

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necessarie informazioni, è legittimato a chiedere al Tm, con

ricorso, di dichiarare l’adottabilità di quelli tra i minori

segnalati o collocati presso gli istituti di assistenza pubblici o

privati, che risultino in stato di abbandono.

Il Presidente del TM, o un giudice da lui delegato, ricevuto il

ricorso provvede all’immediata apertura del procedimento,

disponendo, tramite i servizi sociali o l’autorità di PS, più

approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto

del minore, nonché sull’ambiente in cui ha vissuto o vive, al fine

di verificare la sussistenza dello stato di abbandono.

Gli adempimenti di garanzia.

In questa prima fase del procedimento di tipo sostanzialmente

cautelare – e comunque in tutta la fase dell’affidamento

preadottivo – possono essere disposti dal tribunale provvedimenti

temporanei, nell’interesse del minore, compresi quelli di

allontanamento dalla famiglia, collocamento temporaneo in altra

famiglia o in comunità, sospensione o decadenza dalla potestà,

nomina del tutore provvisorio. In casi di urgenza, detti

provvedimenti possono essere adottati da un giudice singolo, ma in

questo caso, ai sensi dell’art. 10 comma 5, devono essere

confermati, revocati o modificati dal Tribunale, nel termine di 30

giorni.

All’atto di apertura del procedimento sono avvertiti i genitori,

ovvero, se questi manchino, i parenti entro il quarto grado che

abbiano rapporti significativi con il minore. Si ritiene più

conforme ad esigenze di garanzia che alle parti sia comunicato, a

cura della cancelleria, l’intero ricorso del PM.

La l. 149/01 ha previsto che, insieme all’anzidetto avvertimento,

il Presidente del Tribunale invita i genitori o i parenti a

nominare un difensore e li informa della nomina di un difensore di

ufficio nel caso in cui non vi provvedano. Contestualmente, il tm

dovrà provvedere alla nomina di un difensore di ufficio. Si

richiamano, nell’ambito del procedimento di adattabilità, sia

l’art. 8, 4° comma, sia l’art. 10, 2° comma, l. maggio 1983, n.

184, così come modificati dagli artt. 8 e 10 della l. 28 marzo

2001, n. 149.

46

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Da tali disposizioni si desume che per questi procedimenti la

difesa tecnica è sin dall’inizio obbligatoria.

Perciò, i genitori intanto «possono partecipare a tutti gli

accertamenti disposti dal tribunale, possono presentare istanze

anche istruttorie e prendere visione ed estrarre copia degli atti

contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice», in

quanto «assistiti dal difensore».

Si è molto discusso sul significato dell’espressione “assistenza

del difensore”, ovvero se sia da intendersi in senso ampio, ovvero

come difesa tecnica, ai sensi dell’art. 82 cpc.

E’ vero che la norma in esame discorre di «assistenza di un

difensore» e non di «ministero di un procuratore legalmente

esercente». Ma non sembra che ciò possa portare ad interpretare la

disposizione come facoltatività dell’assistenza del difensore. La

lettera sembra chiara nel disporre l’obbligo dell’assistenza del

difensore: «i genitori e il minore sono assistiti da un

difensore». D’altra parte, nessuno in passato ha negato che i

genitori potessero farsi assistere da un difensore, sicché la

disposizione per avere un senso non può che significare obbligo

dell’assistenza. Il diritto alla difesa di cui all’art. 24 cost.

si presenta, in primo luogo, come il diritto alla difesa tecnica,

con la precisazione che si tratta di una garanzia che non riguarda

il solo processo penale, ma ogni tipo di processo (anche civile,

anche camerale), come si può desumere anche dal 1° comma dell’art.

24 cost., intimamente connesso con il 2° comma.

Tale diritto alla difesa deve essere riconosciuto anche nei

processi relativi ai minori, che pure si svolgono in camera di

consiglio, dal momento che esso rappresenta un diritto

fondamentale che non può essere compresso in nome dell’esigenza di

assicurare una rapida definizione del processo (anche se

nell’interesse del minore). D’altra parte non è detto che

assicurare la difesa tecnica alle parti comporti un allungamento

dei tempi processuali.

Tale impostazione appare inoltre conforme a quanto stabilito, in

relazione al contraddittorio nel procedimento camerale ed alla

difesa nei procedimenti (assimilabili a quelli di competenza del

TM) in materia di amministrazione di sostegno, dalla Corte

costituzionale e dalla Cassazione.

47

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La norma in esame va dunque interpretata nel senso che i genitori

e il minore stanno in giudizio assistiti - e non sostituiti - dal

difensore, ovvero che partecipano al giudizio sempre con la

assistenza-presenza del difensore.

E’ prevista la nomina di difensore di ufficio anche ai parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il

minore, nel caso in cui non vi siano i genitori.

Dal combinato disposto degli artt. 8, 4° comma, e 10, 2° comma,

deriva quindi che sono parti sia il minore sia i genitori e in

mancanza, i parenti entro il quarto grado, che abbiano rapporti

significativi con il minore.

La particolarità è che, con riferimento ai genitori, «il

presidente del tribunale per i minorenni li invita a nominare un

difensore e li informa della nomina di un difensore di ufficio per

il caso che essi non vi provvedano». Agli interessati verrà dunque

inviato l’invito a nominare un difensore di fiducia, prevedendo

già nella comunicazione iniziale la nomina di un difensore di

ufficio qualora essi non vi provvedano.

Poiché non vi sono elenchi di difensori di ufficio, si è ravvisata

l’opportunità, in accordo con i rappresentanti dell’ordine, che i

consigli degli ordini formino degli elenchi di avvocati esperti di

diritto minorile (civile). Si è manifestato un orientamento

contrario ad utilizzare i difensori di cui all’apposito albo

istituito per il processo penale, in considerazione della mancanza

di formazione dei predetti in materia civile. Preferibile è

apparsa la proposta di attingere dall’elenco degli avvocati

istituito in materia di patrocinio a spese dello Stato.

Per quel che concerne il minore si è unanimemente ritenuto che in

questo procedimento sia sempre presente un conflitto di interessi

tra genitori e minore, ai sensi dell’art. 78 cpc, sicché il p.m.

chiederà la nomina di un curatore speciale, che nominerà

l’avvocato per il minore.

Si è invero ritenuto maggiormente corrispondente all’interesse del

minore che il difensore venga nominato dal curatore speciale,

piuttosto che di ufficio dal giudice (come per le altre parti), in

considerazione del dato testuale per cui l’art. 10 1° co. Sulla

nomina del difensore d’ufficio non fa riferimento al minore, e

anche in considerazione del fatto che spesso in tali procedimenti

48

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risulta già nominato il tutore provvisorio, che potrà provvedere

alla nomina del difensore del minore e che renderà inutile la

nomina del curatore speciale.

La nomina del curatore spetta ex artt. 78, 2° comma, 79, 1° comma,

e 80, 1° comma, c.p.c. in via iniziale al Presidente del Tribunale

per i minorenni, e comunque, nel prosieguo, al TM in composizione

collegiale. Si ritiene che non operi l’art. 320 c.c., che prevede

la nomina da parte del giudice tutelare, dal momento che la norma

fa riferimento ad una particolare fattispecie (amministrazione

degli interessi patrimoniali del minore), mentre le norme

richiamate hanno una portata generale e riguardano in concreto il

caso di un giudizio pendente.

In tali procedimenti, attivati su ricorso del PM contenente la

richiesta di nomina del curatore speciale per il minore,

contestualmente alla delega presidenziale viene emesso decreto di

fissazione della comparizione delle parti davanti ai giudici

delegati (togato e onorario insieme), con la nomina del difensore

di ufficio per i genitori e del curatore speciale – salva

successiva nomina del difensore di fiducia44.

Suscita perplessità, dal punto i vista operativo, l’introduzione

di un meccanismo tipicamente penalistico, qual è la nomina del

difensore d’ufficio ad una parte anche disinteressata al

procedimento, in un procedimento civile in cui la parte sta in

giudizio mediante formale costituzione tramite il conferimento di

mandato. Vi sono in proposito due opinioni, una delle quali

ritiene che, in caso di disinteresse della parte, il difensore

d’ufficio non potrebbe concretamente esplicare il suo mandato

difensivo. Secondo altra opinione, l’obbligatorietà della difesa

d’ufficio implica che il difensore possa esplicare un’attività

difensiva, sia pur minima, costituita dal deposito di memorie e di

deduzioni, o dalla richiesta di mezzi istruttori. Non si comprende

tuttavia quale rilievo sostanziale possa avere un’attività

difensiva in un procedimento di adottabilità, in cui la parte sia

palesemente disinteressata rispetto alle sorti del minore.

44 La norma prevede che la richiesta di nomina del curatore speciale debba promanare dal PM, anche se vi è giurisprudenza che ammette che l’anzidetta nomina possa avvenire anche di ufficio.

49

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Le diverse procedure per la dichiarazione di adottabilità previste: artt. 11 e 12.

- Un procedimento più celere è previsto dall’art. 11 nel caso in

cui sia stato omesso il riconoscimento da parte dei genitori. In

tal caso, il tribunale se non disponga la sospensione del

procedimento per consentire ai genitori o ad uno di essi il

riconoscimento, dichiara l’adottabilità del minore. In

particolare, la sospensione può essere disposta dal tribunale per

un periodo massimo di due mesi, sempre che nel frattempo il minore

sia assistito dal genitore naturale o dai parenti entro il quarto

grado o in altro modo conveniente, permanendo comunque il rapporto

con il genitore naturale.

Ad ulteriore cautela, è previsto che il tribunale, in ogni caso,

anche a mezzo dei servizi sociali, informa entrambi i presunti

genitori, o comunque quello reperibile, che si possono avvalere

della facoltà di chiedere la sospensione del procedimento di

adottabilità per la durata di due mesi al fine di eventuale

riconoscimento.

L’art. 11 non richiede che il tribunale accerti formalmente e

senza ombra di dubbio (con dichiarazione scritta o raccolta a

verbale) che la madre del neonato non intenda riconoscere il

figlio. Non c’è in altri termini la previsione di alcuna

dichiarazione di non voler riconoscere, ma solo la presa d’atto

del mancato riconoscimento, a fronte della quale la legge equipara

il genitore che non ha riconosciuto il figlio al genitore

inesistente (art. 11 comma 2°)45. Non c’è dunque alcun obbligo di

accertamento circa la formazione della volontà al mancato

riconoscimento, ma è solo previsto che, ove possibile, debba

informarsi il genitore della possibilità di chiedere (non i

ottenere) la sospensione della procedura di adottabilità, al fine

di procedere al riconoscimento. Ulteriore presupposto da valutare,

al fine di consentire il riconoscimento tardivo, è che il genitore

biologico abbia mantenuto un rapporto con il figlio.

Si ritiene infatti prevalente il diritto del minore ad avere una

famiglia rispetto a quello della madre a ripensarci e di

richiedere, a distanza di tempo, il figlio non riconosciuto.

45 Cfr. Trib. Min. Bari 26 aprile 2007, caso Pralea.

50

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Ed invero, nella disciplina della legge n. 184, al genitore

biologico, inteso come presunto o asserito genitore, non spettano

notifiche o poteri processuali: l'unica forma di tutela prevista è

quella offerta dall'art. 11, che nella prospettiva del recupero

della responsabilità genitoriale e del mantenimento del minore

nella famiglia di origine impone la ricerca dei presunti genitori

al fine di avvertirli della facoltà di chiedere la sospensione

della procedura per poter provvedere al riconoscimento prevedendo

altresì la possibilità, di sospendere la procedura stessa a fronte

di una in tal senso da parte di chi affermi di essere uno dei

genitori naturali, "sempre che nel frattempo il minore sia

assistito dal genitore naturale o dai parenti fino al quarto grado

o in altro modo conveniente, permanendo comunque un rapporto con

il genitore naturale".

In mancanza di genitori naturali che abbiano riconosciuto il

minore o la cui paternità, o maternità sia stata dichiarata

giudizialmente o che abbiano richiesto la sospensione della

procedura il tribunale per i minorenni, "senza eseguire ulteriori

accertamenti", deve dichiarare "immediatamente lo stato di

adottabilità (art. 11 comma 2), così come una volta decorso il

periodo di sospensione senza che sia stato effettuato il

riconoscimento deve provvedere senza altra formalità di procedura

alla pronuncia dello stato di adottabilità" (art. 11 comma 5).

Come appare evidente, tale disciplina sottende il principio che il

bambino non riconosciuto e, per definizione un bambino

abbandonato, in quanto deprivato non solo di ogni assistenza, ma

del bene primario della propria identità personale; in tali

ipotesi, in cui la mancanza di riconoscimento costituisce già

segno preciso di un rifiuto totale del minore, il legislatore ha

inteso privilegiare l'esigenza fondamentale del bambino a

conseguire un proprio "status" ed a crescere in un ambiente

familiare idoneo rispetto all'interesse al recupero della famiglia

biologica sancito dall'art. 1 (cfr. Cass. 6 agosto 1998 n. 7698)46.

46 Se è vero, secondo quanto affermato in alcune pronunce di questa Suprema Corte (Cass. 1982 n. 1725; 1990 n. 10515 ma v. in senso dubitativo Cass. 1996 n. 5351, in motivazione) che il genitore che non ha ancora provveduto al riconoscimento è legittimato all'opposizione, sempre che il riconoscimento stesso intervenga prima della decisione sull'opposizione - integrando lo "status" giuridico di genitore naturale una condizione della azione, e non un presupposto processuale - è tuttavia altrettanto vero che tale legittimazione per fatto sopravvenuto

51

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Viene peraltro ribadito che, al fine della dichiarazione dello

stato di adottabilità del minore non riconosciuto dai genitori

naturali, il dovere di informare questi ultimi che possono

avvalersi della facoltà di chiedere una sospensione del

procedimento per provvedere al riconoscimento (art. 11, comma 6,

l. 4 maggio 1983 n. 184) non sussiste ove non sia accertata

l'esistenza di un rapporto in atto con il figlio. Peraltro, una

volta che tale dichiarazione di adottabilità sia intervenuta, la

legittimazione all'opposizione spetta solo a chi ha acquistato,

con il riconoscimento, la qualità di genitore (cfr. Cass. Civ. ,

sez. I, 10 giugno 1996, n. 5351). Tanto vuol dire che la

sospensione, seppur richiesta, non potrà mai essere disposta ove

tale rapporto non esista, ovvero sia cessato.

Peraltro, il genitore biologico potrà legittimamente opporsi alla

dichiarazione di adottabilità nei limiti in cui l’esercizio del

potere sia ancora possibile, e dunque se effettui il

riconoscimento oltre il periodo di sospensione concesso o senza

aver richiesto tale sospensione, dovrà confrontarsi con la

definitività del provvedimento. Infatti, l’art. 11 u.c. prevede

che intervenuta la dichiarazione di adottabilità e l’affidamento

preadottivo, il riconoscimento tardivo è privo di effetti e

l’eventuale gravame è inammissibile.

- Molto più complessa è la procedura prevista dall’art. 12, quando

risulti la presenza dei genitori o di parenti entro il quarto

grado che abbiano rapporti significativi con il minore. E’ infatti

prevista una convocazione di tali soggetti, con decreto motivato,

nelle forme degli artt. 140 – 143 cpc.

All’esito di tale audizione, il TM può impartire prescrizioni

idonee a garantire l’assistenza morale, l’istruzione o educazione

del minore, se siano concretamente utili a restaurare

significative relazioni, stabilendo periodici accertamenti; può

deve essere coordinata con la rigida disciplina dei termini per proporre opposizione fissata dalla legge, e, quindi con il principio di intangibilità, dei provvedimenti divenuti inoppugnabili e con la forza del giudicato. Ciò vale a dire che il genitore biologico potrà legittimamente opporsi alla dichiarazione di adottabilità nei limiti in cui l'esercizio di tale potere sarà (ancora) possibile, sulla base dei principi processuali dettati dall'art. 17. Resta, ovviamente, salva la possibilità per il genitore che abbia riconosciuto il minore nelle more del giudizio di opposizione promosso da uno dei soggetti legittimati di intervenire in causa per adesione.

52

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chiedere al PM la promozione dell’azione per la corresponsione

degli alimenti; può sospendere il procedimento per un periodo non

superiore ad un anno.

La dottrina (AC Moro) non manca di rilevare come la

giurisdizionalizzazione ed il formalismo del procedimento,

finalizzate alla tutela degli interessi delle parti del

procedimento, hanno come effetto un allungamento dei tempi, a

detrimento dell’interesse del minore a ricevere in tempi brevi una

collocazione in una famiglia idonea ed una certezza del suo

status.

L’esito del procedimento di adottabilità.

Il tm può concludere la procedura o dichiarando che non vi è luogo

a provvedere (art. 16) o dichiarando lo stato di adattabilità

(art. 15).

In proposito è intervenuta un’ulteriore modifica sostanziale

introdotta dalla l. n. 149/01, nel senso che la dichiarazione di

adottabilità va fatta con sentenza e tale declaratoria va fatta

con riguardo ai presupposti da accertarsi al momento della

pronuncia, tenuto conto delle modifiche intervenute.

Si prevede che debbano essere sentiti il PM, il rappresentante

dell’istituto o della comunità presso cui il minore è collocato,

l’eventuale tutore ed il minore che abbia compiuto gli anni

dodici47.

Attesa la giurisdizionalizzazione del procedimento, si ritiene

che, per quanto riguarda le parti processuali del rapporto

47 Quanto alla previsione, di cui all'art. 15, secondo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, che nel procedimento sia sentito "il rappresentante" dell'istituto presso cui il minore è ricoverato, essa si riferisce non già al legale rappresentante, ma a qualsiasi esponente della comunità che ospita il minore, che, per essere a diretto contatto con quest'ultimo, sia in grado di esprimere un parere motivato sulla condizione dello stesso. È rimesso – anche in questo caso – all'accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, verificare l'idoneità del soggetto incaricato ad esprimere le valutazioni dell'istituto che ha cura del minore.

Con riferimento, invece, al tutore, egli deve essere sentito ed ha la facoltà di impugnare il provvedimento che lo conclude e che deve essergli comunicato; tuttavia, non ha la veste di parte “necessaria”, in quanto l'intervento nel procedimento e l'assunzione della qualità di parte costituiscono frutto di una sua scelta discrezionale.

Non vi è, infine, alcun obbligo giuridico all’ascolto degli eventuali affidatari in via provvisoria del minore.

53

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(genitori o parenti, minore, tutore, pubblico ministero) il

giudice debba instaurare un contraddittorio finale convocandoli in

un un’unica udienza, e addirittura debba invitarli a precisare le

conclusioni. Si ritiene, infatti, che la previsione della

pronuncia di adottabilità con sentenza appellabile e la

conseguente soppressione del giudizio di opposizione

all’adottabilità davanti al TM, determini un’anticipazione delle

garanzie del contraddittorio nella fase precedente alla pronuncia

di adottabilità48.

- 7 - I gradi di giudizio successivi al primo.

La giurisprudenza citata si riferisce ovviamente alla normativa

previdente, nell’ambito della quale era previsto un giudizio di

opposizione (a seguito della pronuncia di adottabilità con

decreto), che si concludeva con sentenza, eventualmente oggetto di

gravame. Vanno ricordati tuttavia alcuni principi in tema di

rinnovazione degli accertamenti dopo la pronuncia di primo grado.

Nel giudizio di appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull'opposizione al decreto di adottabilità la rinnovazione delle

indagini sulla condizione del minore è meramente eventuale, in

quanto rimessa al prudente apprezzamento del giudice

dell'impugnazione, così come alla valutazione del medesimo giudice

è affidato il riscontro dell'opportunità di convocazione del

tutore e delle altre persone indicate nel penultimo comma

dell'art. 15 della legge 4 maggio 1983 n. 184, che non siano parti

del giudizio per non aver proposto opposizione al decreto di

adottabilità49.

Avverso le sentenze sullo stato di adottabilità pronunciate dalla

sezione per i minorenni della corte d'appello, il ricorso per cassazione continua ad essere ammesso esclusivamente per

violazione di legge, secondo la disciplina contenuta nel testo 48 L'opposizione avverso la dichiarazione dello stato di

adottabilità, anche a legislazione pre - vigente, introduceva un procedimento di natura contenziosa dinanzi al tribunale, con la conseguente applicabilità della norma di cui all'art. 82, comma 3 cod. proc. civ., relativo all'obbligo delle parti di stare in giudizio con il ministero di un procuratore legalmente esercente.

49

? Cass. civ., sez. I, n. 1738 del 11/2/1993

54

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originario dell'art. 17 della legge n. 184/1983, ma l'entrata in

vigore della nuova normativa processuale (art. 16 della legge 28

marzo 2001, n. 149, sostitutivo del richiamato art. 17) - ha

esteso l'ambito dei motivi di ricorso per cassazione avverso le

dette sentenze, comprendendovi anche il vizio di motivazione ai

sensi dell'art. 360, comma 1°, numero 5, cod. proc. civ. –.

Tuttavia, si deve ritenere compreso in tale vizio anche il caso di

totale inesistenza o di mera apparenza della motivazione, per

insanabile contraddittorietà, mentre va esclusa l'ammissibilità di

qualsiasi controllo sull'adeguatezza e sufficienza della medesima,

anche con riferimento alla valutazione delle risultanze probatorie

acquisite50.

Ove vi sia giudizio di rinvio, anche in tale sede si può accertare, attraverso indagini di ufficio, la sopravvenienza di

fatti impeditivi, modificativi od estintivi dello stato di

abbandono, atteso che l'art. 17, quarto comma, della legge n.

184/1983 ammette nel giudizio di appello l'effettuazione di ogni

altro accertamento ed indagine opportuni e che l'art. 21 della

medesima legge prevede la revocabilità dello stato di adottabilità

per il venir meno dello stato di abbandono51.

Tra i rimedi giurisdizionali esperibili, infine, non è compresa l'opposizione di terzo, che presuppone in capo all'opponente la titolarità di un diritto autonomo ed incompatibile con la

situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra

altre parti; ne consegue che il genitore biologico che abbia

omesso di effettuare un tempestivo riconoscimento del minore non è

legittimato ad impugnare il provvedimento dichiarativo dello stato

di adottabilità con l'opposizione di terzo ordinaria52.

L’AFFIDAMENTO PREADOTTIVO E L’ADOZIONE NAZIONALE

- 1 – La seconda fase del procedimento di adozione: scelta dei

coniugi ed affidamento preadottivo.La sentenza di adozione ed i

suoi effetti.

50 Cass. civ., sez. I, n. 27384 del 12/12/2005.

51 Cass. civ., sez. I, n. 4101 del 17/4/1991.

52 Cass. civ., sez. I, n. 7698 del 6/8/1998.

55

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La seconda fase dell’iter adozionale prevede la scelta, da

effettuarsi sulla base di una valutazione comparativa, dei

genitori adottivi, tra quelli in possesso dei requisiti previsti

dall’art. 6 della legge n. 184/83, con riferimento alla differenza

di età tra adottante ed adottato, nonché allo stato civile degli

adottanti.

L'affidamento preadottivo si distingue dagli altri modelli di

affidamento in ambito minorile, perché è quello che più di ogni

altro allontana giuridicamente il minorenne dalla famiglia di

origine. Presuppone infatti la definitività della dichiarazione di

adottabilità del medesimo e contribuisce ad accentuare un tale

allontanamento, perché aggiunge un altro tassello al percorso

diretto alla sua adozione legittimante con l’interruzione completa

del rapporto di filiazione originaria, in quanto - come detta

l'art. 21, 4° comma, della L. 184/1983 - rende irrevocabile lo

stato di adottabilità definitivo.

La legge sull'adozione, anche nel testo riformato con la L.

28/3/2001 n. 149, dedica a questo tema i soli tre articoli 22, 23

e 24, l'ultimo dei quali negli ultimi anni non ha mai trovato

applicazione.

L'art. 22 - proponendo l'articolazione normativa già presente

nelle disposizioni del testo precedente la riforma - introduce il

tema dell'affidamento preadottivo, non affrontando subito i temi

della comparazione delle coppie aspiranti in vista

dell'abbinamento con il minore adottabile e quello dell'ulteriore

iter, che si conclude con il provvedimento di affidamento

preadottivo (cosa che avviene solo a partire dal quinto comma

dell'art. 22), ma esponendo le modalità di proposizione della

domanda di adozione e quelle relative all'istruttoria riguardante

quest’ultima.

Per effetto di tanto, la dottrina parla di giudizio (o

procedimento) di affidamento preadottivo, facendolo iniziare dalla

fase della presentazione della domanda di adozione. Tutto ciò

potrebbe determinare l'errata percezione che l'iter istruttorio

delle domande di adozione nazionale debba svolgersi tra il momento

nel quale è divenuta definitiva la dichiarazione di adottabilità

di un minore, e quello del suo affidamento preadottivo. In realtà

56

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da sempre l'istruttoria relativa alle domande di adozione e quella

del procedimento di adottabilità seguono percorsi autonomi e

distinti per incontrarsi solo al momento della comparazione in

vista dell'abbinamento53.

La domanda di adozione va presentata, senza l'osservanza di forme,

insieme a vari documenti che riguardano la situazione anagrafica,

quella penale, le condizioni di salute oltre alla dichiarazione

del reddito. In alcuni tribunali (ad esempio, Milano) gran parte

dei documenti suindicati (tranne quelli sulla salute) sono

sostituiti da autocertificazioni, sulle quali il tribunale

effettua controlli a campione. In altri (Bari e Venezia) si tiene

conto della circostanza, segnalata dalla Commissione per le

adozioni internazionali, che nei Paesi stranieri non è accettata

l'autocertificazione e, poiché la massima parte degli adottanti

propone domanda sia per l'adozione nazionale che per quella

internazionale, si ritiene più pratico richiedere la stessa

documentazione per entrambi i tipi di adozione.

Per le domande presentate da aspiranti adottanti, che risiedono

fuori del distretto giudiziario, criterio abbastanza diffuso è

quello per cui sono preferite le coppie che abitano nel distretto

del tribunale minorile, perché ciò consente di poter più

agevolmente vigilare sul buon andamento dell'affidamento

preadottivo. La giurisprudenza ha affermato un tale principio da

gran tempo (così Corte d’Appello Sez. Min. Perugia, 13 novembre

1971, in Esp. ried., 1972, fasc. 2, 33) e continua ad applicarlo.

La gran parte dei tribunali procede all'istruttoria completa anche

di queste domande, richiedendo agli altri tribunali copia degli

atti di parte e istruttori ed ascoltando anche le coppie in

tribunale.

Peraltro, esse sono soprattutto utilizzate da parte di alcuni

tribunali (Firenze, Salerno, Lecce) per la sistemazione di

bambini, che è opportuno allontanare dal territorio distrettuale

53 Cfr. F. OCCHIOGROSSO, L’affidamento preadottivo, inedito. L’A. commenta che molto più lineare risulta l'organizzazione sistematica prevista per l'adozione internazionale, nell'ambito della quale la fase istruttoria delle domande (art. 29 bis e 30) è tenuta distinta da quella successiva (art. 31-35). Anche per l'adozione nazionale sarebbe stato opportuno seguire un'impostazione analoga. Invece, la disciplina normativa dell’affidamento preadottivo comprende anche quella relativa alle domande di adozione ed alla sua istruttoria.

57

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al fine di evitare rischi di reperimento da parte della famiglia

di origine. Alcuni tribunali (Roma, Ancona) si limitano a

richiedere la documentazione ed ad accantonare le domande degli

adottanti che risiedono "fuori distretto".

Nessun problema si pone per la decadenza triennale (biennale prima

della riforma) della domanda di adozione. Già in passato la

giurisprudenza aveva affermato che tale meccanismo è previsto per

evitare che "nella nota situazione di sproporzione tra numero di

bambini adottabili e numero di coppie aspiranti all'adozione venga

a formarsi un accumulo di domande in attesa", che può essere

lunghissima e priva di prospettive (Corte d’Appello Torino, Sez.

Min., 15 novembre 1985 in Dir. fam. pers. 1985, 139). La Corte

aveva anche aggiunto che in tali casi il tribunale non è tenuto ad

emanare un provvedimento suscettibile d'impugnazione, perché

l'applicazione della decadenza non lede alcun diritto, essendovi

la possibilità di ripresentare la domanda. Tali orientamenti

restano confermati anche dopo la riforma.

La rinnovazione della domanda è intesa dalla dottrina anche come

il modo previsto dalla legge per operare una nuova e completa

valutazione della coppia, atteso che il giudizio sull'idoneità

della coppia all'adozione può mutare sulla base di molte

variabili, tra le quali rientrano certamente il decorso del tempo

e le ulteriori esperienze vissute.

Il Tribunale, ai sensi dell’art. 22, sulla base delle domande

presentate, svolgerà degli accertamenti, avvalendosi dei servizi

socio – assistenziali, al fine di valutare la capacità della

coppia di rispondere alle esigenze di un bambino che ha subito

l’esperienza lacerante dell’abbandono, in un termine di 120

giorni, ulteriormente prorogabile. All’esito, il tribunale in

camera di consiglio, sulla base delle indagini espletate, effettua

il giudizio di comparazione tra le coppie, determinando quella

maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore.

Il provvedimento è assunto dal Tm, sentito il parere del PM, gli

ascendenti degli adottanti (ove esistano), il minore che abbia

compiuto i dodici anni, o anche più piccolo, se abbia adeguata

capacità di discernimento. Se il minore ha compiuto gli anni

quattordici, deve manifestare il suo consenso all’affidamento

della coppia prescelta. Importante è l’obbligo per il tribunale di

58

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informare i richiedenti su tutti i fatti rilevanti relativi al

minore, accertati in corso di istruttoria e di non dividere i

fratelli in stato di adottabilità, salvo che non ricorrano gravi

ragioni.

La riforma ha introdotto alcune rilevanti modificazioni. Viene

anzitutto precisato che le “adeguate indagini” sulle coppie devono

essere effettuate ricorrendo ai servizi socio-assistenziali degli

enti locali singoli o associati. Si tratta di una indicazione

superflua, perché – pur mancando nella precedente normativa – essa

era già stata attuata dai tribunali. Più utile è invece

l’ulteriore precisazione normativa che consente di avvalersi delle

professionalità delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere,

perché essa permette di superare le difficoltà che sempre più

spesso venivano opposte dalle ASL, le quali ponevano problemi di

competenza sul piano amministrativo.

E’ poi stata data priorità nell’istruttoria alle domande dirette

all’adozione di minori di età superiore a cinque anni o con

handicap. La dottrina (Occhiogrosso) osserva che, mentre è

giustificata la prelazione data a coppie che siano disponibili ad

adottare minori portatori di handicap, non si comprende perché

essa – come prevede la legge - debba essere limitata solo a coloro

il cui handicap sia stato accertato ai sensi dell’art. 4 della L.

5.2.1992 n. 104 (cioè dalla ASL mediante specifiche commissioni

mediche) e non estesa a tutti i casi di handicap compresi quelli

nei quali, tale modalità di accertamento non sia stata effettuata.

Non si spiega neppure l’indicazione dell’età superiore a soli

cinque anni richiesta per privilegiare nell’iter istruttorio

coppie che si dichiarino favorevoli all’adozione di tali minori.

L’esperienza insegna che non è difficile realizzare l’adozione di

bambini di sei – sette anni ed anche più grandicelli e che i

problemi seri di accettazione cominciano con la preadolescenza.

Viene dunque emesso decreto di affidamento preadottivo,

immediatamente annotato a margine della sentenza di adottabilità,

della durata di un anno, prolungabile di un altro anno e

determinandone le modalità.

Si va affermando nei tribunali per i minorenni la prassi di

computare nella durata dell’affidamento preadottivo il pregresso

periodo di affidamento provvisorio ex art. 10 comma 3° l.n.

59

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184/83, per quanto le finalità dei due istituti siano

ontologicamente diverse, essendo questo tendenzialmente destinato

a soddisfare la temporanea mancanza di un ambiente familiare

idoneo54. Tale impostazione ha inizialmente suscitato delle

diffidenze, sul presupposto di una pretesa onnipotenza del

Tribunale per i Minorenni, che non terrebbe conto della

eventualità che le sue pronunce siano travolte dai successivi

gravami. E’ tuttavia prevalsa la considerazione dell’interesse del

minore ad essere quanto prima inserito in un contesto familiare

per lui positivo e conforme alle sue esigenze di crescita55.

Con l’affidamento preadottivo cessa lo stato di abbandono del

minore, in quanto il medesimo viene inserito in un ambiente

familiare idoneo, con acquisto da parte degli adottanti della

potestà genitoriale nei suoi confronti, pur permanendo la nomina

del tutore di cui alla sentenza di adottabilità. Solo in caso di

serie e gravi difficoltà di inserimento del minore, l’affidamento

preadottivo può essere revocato all’esito del procedimento

camerale di cui all’art. 23 l. adoz56.

L’art. 24 della L. 184/1983 prevede che il decreto di affidamento

preadottivo possa essere impugnato con reclamo alla corte 54 Si veda la seguente massima: “L'affidamento preadottivo rappresenta una fase necessaria del procedimento di adozione, non surrogabile dall'affidamento provvisorio o di mero fatto; tuttavia, laddove l'interesse del minore lo richieda, il periodo di affidamento preadottivo può essere inferiore a dodici mesi e sommarsi al periodo di affidamento provvisorio (nella specie, discutendosi dell'adozione di un minore di diciassette anni e due mesi - con conseguente preclusione dell'adozione legittimante nell'ipotesi in cui fosse stato disposto l'affidamento preadottivo per il periodo di un anno - è stata ammessa la possibilità di sommare il periodo di affidamento preadottivo all'affidamento provvisorio alla vigilia del compimento del diciottesimo anno di età da parte dell'adottando)”: cfr. Tribunale minorenni L'Aquila, 06 marzo 2002, Gius 2002, 1185 (s.m.)

55 Cfr. M. DOGLIOTTI, A. FIGONE, Famiglia e procedimento, II edizione, Ipsoa, 302 ss..56 L'annullamento, da parte della Corte d'appello, del provvedimento, del Tribunale per i minorenni, di revoca di un affido preadottivo non comporta automaticamente il riaffido del minore a quello degli affidatari in preadozione che mostri di volersene prendere cura per procedere poi alla sua adozione, dal momento che l'adozione da parte di persona singola conserva, nel nostro ordinamento, carattere eccezionale, sicché spetta al Tribunale per i minorenni scegliere la soluzione più confacente all'interesse del minore procedendo ad una comparazione della disponibilità dell'affidatario e delle "chances" da lui offerte con la disponibilità e le "chances" di altra coppia aspirante all'adozione (cfr. Corte appello Napoli, 15 maggio 1996, Leggiero, Dir. famiglia 1996, 1402 nota CENCI).

60

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d’appello. Non si fa riferimento al ricorso per cassazione, che

però la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile (Cass. 6 febbraio

1993 n. 1502, Giur. It. 1994, I, 1, 1615).

Interessanti risultano, per la diversità di valore che

attribuiscono alla posizione giuridica degli affidatari, alcune

divergenti decisioni della Cassazione. Da un lato,è stato infatti,

affermato che “ i provvedimenti resi dal tribunale per i

minorenni, in tema di affidamento temporaneo del minore, di stato

di adottabilità nonché di affidamento preadottivo sono impugnabili

dinanzi alla corte d’appello esclusivamente dai soggetti

espressamente contemplati dagli art. 10, 17, 24 della legge

citata, non anche pertanto, da soggetti diversi, quali coloro che

siano affidatari del minore stesso in base a mero accordo

intervenuto con i genitori”, (Cass. 27/3/1985 n. 2151); dall’altro

è stato deliberato che: “il decreto camerale, reso dalla corte

d’appello, sezione per i minorenni, in sede di reclamo avverso il

provvedimento del tribunale per i minorenni sull’affidamento

preadottivo, secondo la previsione degli artt. 22-24 della legge 4

maggio 1983 n. 184, è impugnabile con ricorso per Cassazione, ai

sensi dell’art. 111 della Costituzione, in quanto non si esaurisce

in un intervento di natura amministrativa, nell’ambito di una

gestione pubblicistica degli interessi del minore (come invece il

decreto di affidamento provvisorio o fiduciario, disposto in

pendenza del procedimento per la dichiarazione di adottabilità),

ma statuisce su posizioni di diritto soggettivo, in via decisoria,

con attitudine cioè a spiegare effetti di giudicato sostanziale,

assegnando al minore uno “status” prodromico alla successiva

adozione, con il suo stabile inserimento nel nucleo familiare dei

coniugi che hanno chiesto l’adozione stessa”.

Trascorso un anno – ma nell’interesse esclusivo del minore questo

termine può essere prorogato di un altro anno – il Tribunale, se

ricorrono tutte le condizioni, pronuncia con sentenza l’adozione.

In caso di morte di uno dei coniugi durante l’affidamento

preadottivo, l’adozione può essere pronunciata nei confronti del

coniuge superstite su istanza di questo e quando ciò sia

nell’interesse del minore. L’art. 21 della legge n. 149/01 ha

modificato l’art. 2 l. adoz., nel senso che, se nel corso

dell’affidamento preadottivo interviene la separazione tra i

61

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coniugi affidatari, l’adozione può essere disposta nei confronti

di entrambi, ovvero nei confronti di uno solo nell’esclusivo

interesse del minore, qualora i coniugi o il coniuge ne facciano

richiesta57.

Con la pronuncia definitiva di adozione il minore acquista lo

stato di figlio legittimo degli adottanti come se fosse nato da

loro, ne acquisisce e trasmette il cognome, stringe rapporti di

parentela con tutti i parenti dei nuovi genitori. Perde di contro

ogni rapporto con la famiglia di origine, fatti salvi i soli

divieti matrimoniali58. Se l’adozione è disposta in favore della

moglie separata il minore acquisisce il cognome di lei.

Gli effetti si producono allorquando la sentenza diviene

definitiva. La decisione costitutiva del nuovo status di figlio

legittimo non è revocabile come nell’adozione ordinaria59.

Tuttavia, atteso che la nuova disciplina prevede che la pronuncia

di adozione sia effettuata con sentenza e non più con decreto, non

vi sono più ragioni per escludere l’applicabilità dell’istituto

della revocazione previsto dal titolo III capo IV cpc.

- 2 – L’accesso all’informazione sulla famiglia di origine tra

garanzia dell’identità dell’adottato e tutela della riservatezza

del genitore.

57 In caso di separazione personale tra i coniugi che abbiano ottenuto l'affidamento preadottivo di un minore e in caso di richiesta di adozione da parte di uno solo di essi, essendo venuti meno i presupposti dell'accertamento compiuto sull'idoneità dell'adozione, il tribunale, nell'esercizio dei suoi poteri di vigilanza, appena venutone a conoscenza, deve riconsiderare la situazione, delibando l'idoneità del richiedente e, ove non la ravvisi, deve, nell'interesse del minore, rigettare la richiesta di adozione formulata ai sensi dell'art. 25, comma 5, della l. n. 184 del 1983, ancorché non sia decorso un anno dall'affidamento, revocando l'affidamento e adottando i provvedimenti temporanei ex art. 23, comma 6, della stessa legge (cfr. Cassazione civile , sez. I, 29 aprile 1998, n. 4371, Leggiero c. Orefice, Giust. civ. Mass. 1998, 904).

58 Cfr. i menzionati recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di adozione aperta, volti ad affermare la compatibilità dell’adozione legittimante con il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine, in considerazione del fatto che la recisione dei rapporti giuridici non comporti necessariamente la cessazione dei rapporti di fatto. 59 Cfr. Corte cost. 20 luglio 1992 n. 344, che ha stabilito che l’art. 27 l. adoz. non è in contrasto con l’art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede che possa essere pronunciata per gravi motivi nell’interesse dell’adottato la revoca dell’adozione.

62

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La versione originaria dell’art. 28 della legge n. 184/1983 non

ammetteva la possibilità di conoscere le generalità dei genitori

naturali dell’adottato, sul presupposto che, con l’adozione

legittimante, il minore vedesse il proprio status di figlio

naturale sostituito con quello di figlio adottivo.

L’adozione era vista, infatti, come una nuova nascita del minore

e, conseguentemente, tutto ciò che era avvenuto in un momento

precedente perdeva di rilevanza. Nell’ottica che intendeva

scongiurare il pericolo di una doppia genitorialità, era pertanto

preclusa la visione dei documenti informazioni sui genitori

naturali, ai sensi dell’art. 24 1 comma legge n. 241/1990, che

esclude l’accesso “nei casi di segreto o di divieto di

divulgazione espressamente previsti dalla legge”. L’assolutezza

del disposto normativo veniva stemperata nel senso di consentire

all’ufficiale di stato civile di fornire notizie, informazioni,

estratti relativi all’origine dell’adottato, solo previa

autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria. I presupposti

per concedere tale autorizzazione venivano ricondotti

esclusivamente a tutela dei diritti costituzionalmente garantiti,

principalmente la salute60.

Sulla spinta del diritto convenzionale (art. 20 della Convenzione

europea di Strasburgo sull’adozione dei minori; art. 7 – 8 della

Convenzione di New york e art. 30 della Convenzione dell’Aja sulla

protezione dei minori e sulla cooperazione in tema di adozione

internazionale), la legge n. 149/2001 modificava integralmente

l’art. 28, consentendo all’adottato di accedere alle informazioni

relative all’identità dei propri genitori biologici. In

particolare, l’età ritenuta idonea dal legislatore a consentire la

conoscenza di siffatte informazioni senza riportarne un trauma

psicologico è indicata nei 25 anni. Raggiunta tale età, cessa la

segretezza sul rapporto genitoriale biologico e l’unica situazione

giuridica meritevole di tutela per l’ordinamento è il diritto

all’informazione dell’adottato.

60 In mancanza di un interesse serio e non emulativo in capo alla istante, va respinta la richiesta volta ad ottenere l'autorizzazione all'accesso ai documenti amministrativi ai fini delle identificazione della madre naturale, la quale deve essere tutelata nel suo diritto all'anonimato (cfr. Tribunale minorenni Perugia, 19 luglio 1999).

63

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Diversa è la previsione contenuta nel primo comma dell’art. 28,

per cui l’adottato è informato di tale sua condizione nei tempi e

nei modi più opportuni. Le informazioni concernenti l'identità dei

genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi,

quali esercenti la potestà dei genitori, su autorizzazione del

tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati

motivi. Il tribunale accerta che l'informazione sia preceduta e

accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le

informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una

struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i

presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave

pericolo per la salute del minore. Per gli infra – venticinquenni,

dunque, la conoscenza dell’identità dei genitori biologici non si

configura come diritto autonomo, ma come strumentale alla tutela

di distinte situazioni giuridiche. Conseguentemente, il diritto di

conoscere le proprie origini non ha carattere unitario, ma

presenta due anime61: fino ai 25 anni, il legislatore vede il

diritto all’informazione come strumentale alla tutela di altre

situazioni giuridiche, mentre oltre i 25 anni sorge un vero e

proprio “diritto a sapere”, che non deve avere fondamento in altre

situazioni soggettive.

La dottrina è divisa circa la necessità o meno che l’accesso

dell’adottato ultraventicinquenne sia subordinato al rilascio di

autorizzazione. Più rispondente alla formulazione testuale della

norma e maggiormente accreditata in giurisprudenza, sembra essere

la tesi affermativa, atteso che il comma 6, che disciplina il

procedimento finalizzato a valutare l’equilibrio psico – fisico

del richiedente richiama il comma 5, che disciplina il diritto di

accesso sia per l’infra che per l’ultra venticinquenne62. Vi è 61 Cfr. S. MAZZUCCHI, Dei rapporti tra l’identità dell’adottato e la riservatezza del genitore naturale (in margine alla sentenza n. 425 del 2005 della Corte costituzionale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it . Cfr. App. min. Torino 13 settembre 2004, in Diritto della famiglia e delle persone, n. 2/2008, con nota di GALUPPI, in cui si evidenzia l’interesse ad evitare che l’adottato maggiorenne, ma di età inferiore ai 25 anni, il cui sviluppo psico – fisico è ancora incompleto, possa ricevere un trauma psico – fisico dalla conoscenza delle proprie origini, sicché l’accesso alle medesime è subordinato alla sussistenza di esigenze sanitarie collegate al familiare. 62 Cfr. M. PETRONE, Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, Milano, 2004, 49. Con riferimento alla valorizzazione del profilo relativo alla salvaguardia dell’equilibrio psico – fisico dell’adottato, cfr. Trib. Min. Trento decreto 20 marzo 2007, in Famiglia e minori, n. 7/2007, 88, ai sensi del quale è opportuno che l’accesso alla propria origine ed all’identità dei genitori biologici avvenga tramite l’accompagnamento dei giudici onorari

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tuttavia una tesi contraria per cui, sul presupposto che, fissando

l’età dei 25 anni, il legislatore abbia fatto una valutazione in

astratto circa la maturità psico – fisica del soggetto, ritiene

ultroneo l’accertamento del giudice circa la possibilità che venga

turbato l’equilibrio psico – fisico del soggetto63.

Dette disposizioni vanno coordinate con il successivo comma 8°, a

mente del quale, facendo salvo quanto è previsto dai commi

precedenti, l’autorizzazione non è richiesta per “l’adottato di

maggiore età, quando i genitori sono deceduti o divenuti

irreperibili”. Appare preferibile l’accezione, fondata sul

principio della generale necessità dell’autorizzazione, per cui il

riferimento alla “maggiore età” si riferisca ai maggiori degli

anni diciotto, e non già al maggiorenne che non abbia ancora

compiuto i 25 anni.

L’anzidetta norma deve essere peraltro coordinata con il comma 7°,

a mente del quale “… l'accesso alle informazioni non è consentito

nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non

volere essere nominata ai sensi dell' articolo 30, comma 1, del

decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396…”.

Il combinato disposto dei commi 7 e 8 sembra ridimensionare la

portata del principio della mediazione del giudice minorile quale

presupposto indefettibile per l’esercizio del diritto

all’informazione dell’adottato, che cede il passo rispetto alla

tutela del diritto all’anonimato dei genitori naturali.

Sul punto è intervenuta Corte costituzionale, 25 novembre 2005, n.

425 in Diritto & Giustizia 2005, Riv. notariato 2006, 3 101, con

nota di TRUCCO, ai sensi della quale non è fondata la questione

di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, l. 4 maggio

1983 n. 184, come modificato dall'art. 177, comma 2, d.lg. 30

giugno 2003 n. 196, in quanto non contrastante con l'art. 2 cost.,

costituendo invece la norma espressione della ragionevole

valutazione comparativa dei diritti inviolabili dei soggetti

interessati. Non è altresì fondata la questione di legittimità

psicologi, cui è demandato il compito di rilasciare le informazioni in possesso del Tribunale per i Minorenni. In giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Min. Sassari 16 gennaio 2002, in Famiglia e diritto 2003, 69 con nota di Figone e Trib. Min. Perugia, 19 luglio 1999 e App. Palermo, 11 dicembre 1992. 63 Cfr. E. PALMERINI, Art. 28, in Adozione nazionale (l. 28 marzo 2001, n. 149), commentario, a cura di CM Bianca e L Rossi, in Le nuove leggi civili commentate, 2002, 1021.

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costituzionale della medesima norma sia in riferimento all'art. 32

cost., sotto il profilo dell'asserito pregiudizio del diritto

dell'adottato alla sua identità personale; sia in riferimento

all'art. 3, comma 1, sotto il profilo della diversità di

disciplina fra l'ipotesi dell'adottato nato da donna che abbia

dichiarato di non voler essere nominata e quella dell'adottato

figlio di genitori che non abbiano reso alcuna dichiarazione. La

Corte argomenta che la norma in esame effettua una legittima

comparazione delle situazioni soggettive in gioco, sulla base

delle seguenti argomentazioni: “… La norma impugnata mira

evidentemente a tutelare la gestante che - in situazioni

particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico

o sociale - abbia deciso di non tenere con sé il bambino,

offrendole la possibilità di partorire in una struttura sanitaria

appropriata e di mantenere al contempo l'anonimato nella

conseguente dichiarazione di nascita: e in tal modo intende - da

un lato - assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali,

sia per la madre che per il figlio, e - dall'altro - distogliere

la donna da decisioni irreparabili, per quest'ultimo ben più

gravi. L'esigenza di perseguire efficacemente questa duplice

finalità spiega perché la norma non preveda per la tutela

dell'anonimato della madre nessun tipo di limitazione, neanche

temporale. Invero la scelta della gestante in difficoltà che la

legge vuole favorire - per proteggere tanto lei quanto il

nascituro - sarebbe resa oltremodo difficile se la decisione di

partorire in una struttura medica adeguata, rimanendo anonima,

potesse comportare per la donna, in base alla stessa norma, il

rischio di essere, in un imprecisato futuro e su richiesta di un

figlio mai conosciuto e già adulto, interpellata dall'autorità

giudiziaria per decidere se confermare o revocare quella lontana

dichiarazione di volontà…”.

Va aggiunto che l’art. 28 comma 7 è stato riformulato dal TU sulla

privacy ed in particolare dall’art. 177 d.lgs. 30 giugno 2003 n.

196, nel senso che la prevalenza del diritto all’anonimato dei

genitori biologici è subordinata alla richiesta della madre di non

voler essere nominata, inserita nell’atto di nascita ai sensi

dell’art. 30 dpr 396/00. La peculiarità di tale disciplina

rispetto ai principi generali in materia di dati sensibili,

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consiste nel fatto che la legittimità del trattamento dei dati

personali non viene subordinata al consenso espresso, ma al

mancato dissenso64.

Un’ulteriore, recente ed interessante applicazione estensiva

dell’art. 28, è contenuta nel decreto della Corte d’Appello di

Catania 8 – 21 novembre 2006, in Famiglia e minori, n. 6/07 fl. 71

ss., con nota di Padalino, ai sensi del quale l’adottato,

raggiunta l’età dei 25 anni, può accedere, previa autorizzazione

del Tribunale per i Minorenni, alle informazioni circa l’identità

dei fratelli biologici e nonostante la formulazione letterale

della norma si riferisca ai soli genitori biologici, in

considerazione del fatto che rispetto a tale ipotesi sussiste la

medesima ratio di assicurare soddisfacimento al desiderio

manifestato dall’adottato di conoscere le proprie origini. Tale

opzione era stata fatta propria dalla giurisprudenza già prima

dell’entrata in vigore della legge n. 149/01, sempre valorizzando

l’effetto liberatorio sotto il profilo psicologico della

conoscenza delle proprie origini (cfr. Trib. Min. Perugia, 27

febbraio 2001, in Diritto di famiglia, 2001, 627 e,

successivamente e in senso diverso, App. Torino, sez. min, 22

luglio 2004, in Diritto di famiglia, 2005, 918, con nota di

Galuppi, per cui la ricerca delle origini ha senso se viene

collegata ad un complesso habitat familiare e di affetti e inoltre

non può estendersi ai germani che, riservatamente sentiti dal

giudice, non abbiano dato il loro consenso, in considerazione del

carattere non assoluto del diritto di accesso concesso

all’adottato ultraventicinquenne).

In definitiva, l’adeguamento della formulazione dell’art. 28 alle

Convenzioni internazionali, come si evidenzia nei lavori

preparatori alla legge n. 149/01, realizza un delicato

contemperamento tra il diritto del minore, in caso di

inadeguatezza della famiglia di origine, ad una famiglia

affidataria o adottiva, ed il diritto che attiene alla sfera

dell’identità personale, ai sensi dell’art. 2 Cost., garantendo

all’adottato ultra – venticinquenne e previa autorizzazione del

64 Interessante è la precisazione contenuta in App. Roma, 15 novembre 2004, in Il diritto della famiglia e delle persone, 2006, 577, per cui l’adottato la cui madre biologica abbia espresso la volontà di non essere nominata, possa tuttavia accedere al proprio atto di nascita, per una più profonda e conoscenza delle proprie origini e delle circostanze della propria nascita.

67

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tribunale, il soddisfacimento della propria aspirazione alla

conoscenza delle proprie origini. I due principi, sulla base delle

acquisizioni della scienza psicologica ed antropologica, non

appaiono incompatibili, ben potendo l’inserimento dell’adottato in

un nuovo contesto familiare integrarsi con l’acquisizione da parte

del medesimo, ferma restando l’accertata sussistenza dei necessari

requisiti di maturità psico – fisica, di una piena consapevolezza

della propria storia personale.

L’ADOZIONE INTERNAZIONALE

- 1 – la disciplina contenuta nella legge n. 184/1983 e la

ratifica della Convenzione dell’Aja del 1993. Autorità centrale ed

enti autorizzati.

La L. 184/1983 ha per la prima volta disciplinato in Italia

l’adozione internazionale, prestando particolare attenzione alle

fasi di essa che si svolgevano in Italia, ignorando

sostanzialmente quella che si svolgeva all’estero. Essa era

affidata ad un sistema «fai da te», in quanto le coppie erano

libere di rivolgersi all’estero a chi volevano65. Pur se era

prevista dalla legge l’istituzione di enti autorizzati a svolgere

le pratiche per l’adozione di bambini stranieri, era facoltativo e

comunque minoritario il ricorso a tale canale istituzionale.

Dopo appena quindici anni dalla prima disciplina dell’adozione

internazionale si è sentita la necessità di una sua riforma. Ciò è

stato determinato, in parte dalle ragioni in precedenza esposte,

ma è stato soprattutto reso necessario dall’avvenuta approvazione

della Convenzione dell’Aja del 1993. La Convenzione dell'Aja è

stata sottoscritta da settantasette Stati di tutti i continenti e

non è solo una convenzione sull'adozione, come altre precedenti,

ma un accordo sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in

materia di adozioni tra Paesi diversi. Sua peculiarità è che è

stata preparata sia dai rappresentanti dei Paesi di destinazione

che da quelli di provenienza dei bambini adottati.

La Convenzione si pone tre obiettivi. Il primo è quello di

prevedere delle garanzie, perché le adozioni internazionali si

65 Così F. OCCHIOGROSSO, L’adozione internazionale, inedito.

68

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facciano solo nell'interesse superiore del minore e nel rispetto

dei suoi diritti fondamentali: questo principio, già affermato

dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 20/11/1989 è

stato richiamato anche qui. Il secondo è quello di instaurare un

sistema di cooperazione tra gli Stati per assicurare il rispetto

di tali garanzie e prevenire vendita e tratta di minori. Il terzo

punto fermo stabilito dalla Convenzione riguarda il principio di

sussidiarietà di cui all’art. 4 lett. B). Esso comporta che nessun

bambino deve lasciare il proprio Stato per essere adottato

all'estero, se prima le autorità del suo Paese non hanno accertato

che egli si trova in stato di abbandono e che l'adozione da parte

di suoi connazionali non è realizzabile. La Convenzione

stabilisce, infatti, che lo Stato di origine deve pronunziare

prioritariamente quei provvedimenti, che consentono al bambino di

rimanere nella propria famiglia o quanto meno nel proprio Paese e

che l'adozione internazionale è utile per dargli un'altra

famiglia, solo quando nello Stato di origine non sia possibile

trovargli una famiglia adottiva idonea.

Spetta alle Autorità dello Stato di origine accertare e dichiarare

lo stato di adottabilità, verificando che la famiglia d'origine

sia consapevole degli effetti dell'adozione e che non siano stati

pattuiti o corrisposti pagamenti o compensi di qualsiasi genere

per l'adozione del bambino.

Per assicurare l'osservanza dei principi stabiliti dalla

Convenzione ciascuno Stato deve istituire un'apposita Autorità

centrale. Tutte le Autorità centrali dovranno direttamente

cooperare tra loro per la miglior tutela dei bambini, scambiandosi

ogni informazione necessaria sul sistema normativo, sui bambini

adottabili e sugli aspiranti genitori adottivi. Alle Autorità

centrali si dovranno obbligatoriamente rivolgere coloro che

desiderano adottare un bambino straniero.

Sul punto non è consentita alcuna riserva da parte degli Stati

firmatari della convenzione, così da un lato abolendo il criticato

sistema ‘fai da te’, ma dall’altro ed in una certa misura

recependo una diffusa tendenza verso l’amministrativizzazione

delle competenze in materia di adozione internazionale nei diversi

Stati rappresentati in sede di lavori preparatori66. 66 Cfr. P. MOROZZO DELLA ROCCA, La funzione di garanzia della giurisdizione nel procedimento di adozione internazionale, in Minori e giustizia, 1/2003, 64 ss.

69

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Il sistema degli enti autorizzati all’intermediazione garantisce

la tutela di due interessi fondamentali: interessi di natura

privatistica, finalizzati ad assicurare il migliore incontro tra

il minore e gli aspiranti adottanti, a tutela dell’interesse del

minore prima e durante l’espletamento del procedimento di

adozione; ma anche interessi di ordine pubblico, miranti al

rispetto delle condizioni che legittimano lo stato di adottabilità

del minore, nel rispetto di una procedura corretta. Tale sistema

scaturisce dalla presa d’atto che la giurisdizione domestica non è

nelle condizioni di poter controllare, in concreto, il rispetto

dei principi etici in relazione alle adozioni internazionali.

L’atteggiamento di fiducia nel sistema della commissione per le

adozioni internazionali, istituita in attuazione della Convenzione

con DPR n. 492/99, si rivela nella recente approvazione del

regolamento recante il riordino della stessa, attraverso il Dpr 8

giugno 2007 n. 108, in Famiglia e minori n. 9/07, fl. 34 ss. Tale

regolamento ha modificato la composizione della commissione,

aumentandone la componente politica, e ne ha ampliato il

ventaglio di compiti. Ha inoltre arricchito il fronte delle

sanzioni, in caso di irregolarità ed inottemperanza delle

prescrizioni di legge da parte degli enti autorizzati.

Viene introdotto dunque un controllo più severo degli enti

autorizzati, con possibilità di ridurre il numero degli stessi, a

vantaggio dell’efficienza e serietà ed efficienza degli stessi,

nella consapevolezza dell’estrema delicatezza della funzione di

raccordo da essi espletata tra adottati ed adottanti.

- 2 – La riforma in materia di adozione internazionale.

Presupposti e procedimento.

La principale difficoltà applicativa della Convenzione de L’Aja

nell’ordinamento italiano era connessa alla definizione del

rapporto tra amministrazione e giurisdizione, potendo

l’attribuzione di importanti competenze all’Autorità Centrale

indurre a ritenere che il legislatore internazionale avesse voluto

L’A. osserva, contro i timori diffusi di una perdita di garanzie giurisdizionali in questo procedimento, che l’art. 22 della Convenzione, interpretato con una certa larghezza, offriva una possibilità di aderire all’impostazione convenzionale, senza dover rinunciare all’impronta giurisdizionale che caratterizza la fase domestica dei procedimenti di adozione internazionale.

70

Page 71: AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’€¦  · Web viewAFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto

realizzare una parziale degiurisdizionalizzazione in materia67.

Invero, l’art. 22 n. 1 della Convenzione stabilisce che le

funzioni da essa attribuite all’Autorità centrale possono essere

attribuite dalla legge dello Stato di appartenenza, anche ad

Autorità pubbliche, tra le quali evidentemente rientra anche

l’autorità giudiziaria68.

L’obiettivo perseguito dal nostro legislatore è stato quello di

aderire alla Convenzione, al fine di perseguire l’obiettivo della

cooperazione internazionale, pur con alcune deviazioni miranti a

preservare i principi a fondamento del nostro ordinamento interno

in materia.

Un’importante specificità attiene al concetto di adottabilità del

minore. L’art. 4 lett. c e d) della Convenzione pone a fondamento

dell’adottabilità del minore i consensi sull’adozione sia alla

cessazione dei rapporti tra il minore e la famiglia di origine,

sancendone le modalità di acquisizione (con atto scritto, senza

pagamento o contropartita di alcun genere; che quello della madre

sia successivo alla nascita del figlio; che quello del minore sia

un consenso informato e prestato liberamente) per giungere

all’adottabilità sulla base della volontà espressa dai soggetti

(persone, istituzioni ed autorità nel caso di decadenza della

potestà genitoriale).

Va sottolineato che la Convenzione non parla mai di stato di

abbandono per il minore da adottare, ma solo di minore

"adottabile". L'interpretazione di questo termine comporta quindi

la necessità di chiarire se nel sistema della Convenzione, al fine

di ritenere lo stato di adottabilità, possano bastare i soli

consensi suindicati, anche in assenza di una situazione oggettiva

di abbandono morale e materiale del minore. Una valutazione di

compatibilità con l’ordinamento interno sembra essere richiesta,

perché la legge italiana (la L. 184/1983 riformata) all’art. 32/2

lett. a) stabilisce che la Commissione per le adozioni

internazionali non possa rilasciare l'autorizzazione all'ingresso

o alla permanenza del minore straniero in Italia, se dalla

documentazione trasmessale "non emerge la situazione di abbandono

67 cfr. MAGNO, L'adozione internazionale dei minori, in La riforma del diritto internazionale privato italiano, Napoli, 1997, 181.68 Cfr. A. TORRACA, L’adozione internazionale tra Convenzione de L’Aja e riforma della legge n. 184 del 1983, in Dir. Famiglia, 1999, 4, 1374.

71

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del minore” ed il concetto di situazione di abbandono - fondamento

dell'adottabilità – è disciplinato dall’art. 8 della stessa legge,

che lo intende come un’oggettiva ed irreversibile privazione di

assistenza morale e materiale del minore da parte dei genitori o

dei parenti tenuti agli alimenti69. Peraltro, l’art. 31 lett. F) l.

adoz. richiede la necessità dell’attestazione, da parte

dell’autorità straniera, della sussistenza delle “condizioni di

cui all’art. 4 della Convenzione”: deve dunque sussistere lo stato

di adottabilità del minore, connesso (per quanto si è detto) allo

stato di abbandono del minore e la rispondenza dell’adozione al

“superiore interesse del minore”70 – che, ai sensi dell’art. 32

lett. A) richiede l’emergenza di una situazione di abbandono, di

impossibilità di procedere all’affidamento preadottivo, o della

sussistenza di un provvedimento di adozione nello stato di origine

69 La giurisprudenza sembra non dubitare della necessità che tale requisito sussista anche nell’adozione internazionale, come risulta da Cassazione civile , sez. I, 15 marzo 2002, n. 3792, Famiglia e diritto 2002, 407, ai sensi della quale, in tema di accertamento dello stato di abbandono, il diritto del fanciullo a mantenere rapporti con i genitori di sangue, di cui agli art. 1 l. n. 184 del 1983 e 9 l. n. 176 del 1991, tutela un suo interesse superiore presunto, perché va rispettata e preservata, in base al diritto interno ed a quello internazionale, l'identità del minore e la sua esigenza nella misura del possibile a vivere con i genitori biologici e ad essere allevato.

70 Quanto al significato di questa espressione, la dottrina (cfr. P. Vercellone, “La filiazione, in Trattato di diritto civile italiano”, Torino, 1987, pag. 291 e segg.), prima della riforma, aveva ritenuto che essa fosse costituita dai due seguenti requisiti: la sussistenza dello stato di abbandono e l’accertamento dell’idoneità all’adozione internazionale della coppia affidataria o adottiva. Ma dopo la riforma, questa conclusione è stata messa in discussione. Si è detto (cfr. L. SACCHETTI, Il nuovo sistema dell’adozione internazionale, Maggioli, Rimini, 38 ss.) che, essendo stato decisamente modificato dal legislatore dell’adozione internazionale il concetto di situazione di abbandono, si doveva con ciò stesso ritenere che quello relativo alla sussistenza dello stato di abbandono non dovesse più essere considerato un principio fondamentale (e per ciò stesso immodificabile) del diritto italiano di famiglia e dei minori. Si è aggiunto poi che il riferimento all’interesse del minorenne come superiore comportasse un giudizio di prevalenza di tale interesse su ogni altro principio, appunto perché considerato “superiore”. Contra, F. OCCHIOGROSSO, L’adozione internazionale, cit. in quale osserva che l’individuazione dei principi fondamentali indicati non comporta la loro immodificabilità concettuale né che essi non possano essere altri diversi oggi rispetto a quelli di ieri alla luce della nuova normativa. Inoltre, l’art. 35 dice che il tribunale deve accertare che “l’adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore”, ma il superiore interesse del minore è indicato come criterio di valutazione al quale rapportare i principi fondamentali suddetti; esso però non viene né identificato con essi né indicato come sostitutivo di essi. Perciò è sempre necessario individuare i principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, salvo poi valutarli in rapporto all’interesse del minore.

72

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- oltre che il consenso degli esercenti la potestà, che deve

essere stato espresso liberamente71.

La disciplina dell’adozione internazionale di cui alla l.n.

184/1983 è stata innovata dalla 476/1998 e dalla più recente legge

28 marzo 2001 n. 149, contenente modifiche alla legge 4 maggio

1983 n. 184 recante <Disciplina dell'adozione e dell'affidamento

dei minori > nonché al titolo VIII del libro primo del Codice

Civile.

Ma tra i due tipi di adozione si è perpetuato quel collegamento

che già in precedenza vi era e che in qualche misura ha modificato

le peculiarità già descritte dell'adozione internazionale. Il

collegamento più significativo è costituito dall’art. 29 bis del

testo riformato, che abilita a richiedere la dichiarazione di

idoneità all'adozione internazionale coloro che si trovano nelle

condizioni prescritte dall'art. 6.

Fino all'aprile 2001 ciò ha significato che potevano avanzare tale

richiesta i coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, non

separati neppure di fatto, la cui età superasse di almeno diciotto

anni e non più di quaranta anni l'età dell'adottando.

Con l'entrata in vigore della L. 149/2001 è stato riformato l'art.

6 della L. 184/1983, riforma che incide anche sull'adozione

internazionale. Il primo comma ribadisce quanto già era affermato

in passato: l'adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio

da almeno tre anni, non separati neppure di fatto negli ultimi tre

anni; il successivo quarto comma modifica tale norma, aggiungendo

che "il requisito della stabilità del rapporto di cui al primo

comma può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano

convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per

un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i

minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza,

avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto".

Quanto alla differenza di età tra adottanti e adottato, il terzo

71 V. tuttavia F. OCCHIOGROSSO, L’adozione internazionale, cit., il quale osserva: “… in sostanza, il concetto di abbandono riceve da questa recente normativa una rilettura significativa che lo modifica parzialmente, ma significativamente. Non c’è dubbio infatti che considerare abbandonato un minore sulla sola della totale rinuncia a lui dei suoi genitori, significa aprire la porta all’adozione consensuale; che se è vero che la Convenzione è attenta a richiedere che i consensi debbano essere informati e che privi di qualunque contro-prestazione è tuttavia anche vero che i genitori potrebbero rinunciare a lui, non perché lo vogliano abbandonare, ma al contrario per amore, allo scopo di assicurargli un futuro migliore in un Paese ricco dell’Occidente…”.

73

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comma conferma che quella minima deve essere di diciotto anni, ma

amplia quella massima da quaranta a quarantacinque. Ma vi è poi il

comma 6, che modifica in modo poco comprensibile tale

disposizione, aggiungendo che "Non è preclusa l'adozione quando il

limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di

essi in misura non superiore a dieci anni, ovvero quando essi

siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno

sia in età minore, ovvero quando l'adozione riguardi un fratello o

una sorella del minore già dagli stessi adottato". La dottrina

ritiene che quando i coniugi abbiano adottato un fratello essi

possono ottenere l'adozione nazionale dell'altro,

indipendentemente da qualunque limite di età. Per quanto riguarda

l’adozione internazionale, essi potranno essere dichiarati idonei

a tale adozione (che ovviamente dovrà essere fatta all'estero)

senza che si ponga alcun limite di età. Lo stesso principio vale

quando i coniugi abbiano un figlio minorenne (o anche più figli di

cui almeno uno sia minorenne): anche in questo caso si deve

ritenere superata la prescrizione relativa alla differenza di età

indicata dal terzo comma.

Vi è poi il quinto comma del nuovo art. 6, che realizza una deroga

ulteriore, perché afferma che i limiti di cui al terzo comma

possono essere derogati qualora il tribunale per i minorenni

accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non

altrimenti evitabile per il minore. Per quanto riguarda l'adozione

internazionale, si è in taluni casi legittimata l’adozione di

minori di pochi anni da parte di genitori in età avanzata, come è

avvenuto per i cosiddetti “bambini di Chernobyl”, vale a dire di

quei bambini ospitati nel nostro Paese a seguito dell’incidente

avvenuto nella centrale nucleare bielorussa oltre venti anni or

sono, che giunti in Italia per meri soggiorni estivi, vi sono

talvolta rimasti a tempo indeterminato.

In conclusione, il nuovo art. 6 ha definitivamente superato il

principio affermato dalla precedente normativa che il diritto del

minore alla famiglia si realizza meglio inserendolo in un nucleo

giovane, piuttosto che anziano. Principio che continua ad essere

applicato solo nella comparazione in tema di adozione nazionale72.

72 F. OCCHIOGROSSO, l’adozione internazionale, cit., osserva che Il legislatore sembra ignorare il principio giustinianeo "adoptio naturam imitatur" per avvicinarsi alle metodiche senza regole di età in uso per la fecondazione

74

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Quanto alla sequenza procedimentale relativa all’adozione

internazionale, la legge n. 476/1998 ha conservato due momenti

chiave della difesa giurisdizionale degli interessi del minore e

degli altri soggetti coinvolti nel procedimento di adozione:

1. il momento iniziale, sino alla dichiarazione di idoneità;

2. il momento finale, con l’attribuzione dell’efficacia

interna al provvedimento straniero di adozione o di

affidamento preadottivo.

La nuova legge propone un sistema decentrato ed articolato su

una pluralità di soggetti che tutti hanno un ruolo importante, che

rende indispensabile il loro coordinamento. Tali soggetti sono il

tribunale per i minorenni, i servizi socio- assistenziali, gli

Enti autorizzati, la Commissione per le adozioni internazionali,

gli Uffici Consolari.

L'articolazione complessa del meccanismo di distribuzione dei

compiti tra i vari soggetti ora preposti all’adozione

internazionale si coglie dal seguente specchietto (curato da

Lamberto Sacchetti), che li individua, indicandoli specificamente

per ciascun ente.73

I soggetti preposti sono i seguenti:

a) Tribunale per i minorenni:

- dichiara l'idoneità all'adozione;

- esegue controlli al fine di riconoscere efficacia di affidamento

preadottivo ai provvedimenti stranieri di affidamento, destinati a

perfezionarsi in adozione dopo l'ingresso del minore in Italia, o

di riconoscere efficacia di adozione o di affidamento preadottivo

ai provvedimenti di Stati estranei alla Convenzione;

- al termine degli affidamenti preadottivi come sopra riconosciuti

pronuncia l'adozione;

- può convertire in adozione provvedimenti stranieri non

legittimanti se li riconosce conformi alla Convenzione;

- ordina la trascrizione del provvedimento di adozione nei

registri dello stato civile, conseguendone per l'adottato

l'acquisto della cittadinanza italiana.

artificiale.

73 L. Sacchetti, op. cit., pag. 51-52.

75

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b) Servizi socioassistenziali:

- istruiscono le pratiche per l'idoneità all'adozione;

sostengono il nucleo adottivo per un anno dall'ingresso del minore

in Italia;

- segnalano al tribunale per i minorenni eventuali necessità di

interventi.

c) Enti autorizzati (e servizi per l'adozione internazionale

istituibili da regioni e province autonome):

- ricevono l'incarico dagli aspiranti all'adozione;

- curano la pratica all'estero;

- informano sull'esito la Commissione;

- collaborano con i servizi in Italia a sostegno del nucleo

adottivo.

d) Commissione per le adozioni internazionali:

- autorizza gli enti a operare, vigila su di essi, ne tiene

l'albo; autorizza l'ingresso e la permanenza del minore in Italia;

- conserva gli atti delle procedure di adozione internazionale;

- può comunicare agli adottanti notizie necessarie per la salute

dell'adottato.

e) Uffici Consolari:

- rilasciano il visto d'ingresso dopo che questo è autorizzato

dalla Commissione;

- collaborano con l'ente per il buon esito della procedura

all'estero.

Da questo schema si evidenzia come la nuova legge abbia reso più

complesso il quadro istituzionale, per cui il corretto esercizio

della giurisdizione presuppone che si tenga conto della complessa

rete di attori istituzionali.

- 3 – La procedura di trascrizione del provvedimento di adozione

rilasciato dallo Stato estero. La revoca dei provvedimenti di

adozione.

Nel momento in cui il minore ha fatto ingresso in Italia sulla

base di un provvedimento di adozione o di affidamento a scopo

adottivo, rilasciato dall’autorità straniera, ed a seguito della

fase di adozione o di affidamento, si apre la fase di approvazione

di tale provvedimento, tramite il tribunale per i minorenni, la

76

Page 77: AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’€¦  · Web viewAFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto

cui competenza funzionale ed esclusiva è limitata ai casi previsti

dalla legge n. 476/1998.

L’art. 35 l. adoz. distingue i seguenti casi:

- nell’ipotesi in cui l’autorità straniera abbia pronunciato

l’adozione, secondo la Convenzione non è necessaria alcuna

delibazione della sentenza straniera, poiché essa stabilisce che

l’adozione, certificata conforme ad essa dall’Autorità competente

dello Stato contraente in cui abbia avuto luogo, è riconosciuta a

pieno diritto negli altri Stati contraenti (art. 23), e che il

riconoscimento dell’adozione in uno Stato contraente può essere

dunque rifiutato solo nel caso in cui l’adozione medesima sia

manifestamente contraria al suo ordine pubblico, in considerazione

del superiore interesse del minore (art. 24). Tuttavia, a maggior

tutela del minore, ai fini del riconoscimento del provvedimento di

adozione rilasciato dallo Stato estero, non si è fatta

applicazione degli artt. 64 ss. della legge n. 218/1995

(applicabili invece all’adozione per i maggiorenni e all’adozione

nei casi particolari), che riconoscono automaticamente il

provvedimento straniero, ma è stato previsto un controllo da parte

del Tribunale per i minorenni, in ciò discostandosi da quanto

previsto dalla Convenzione de L’Aja.

Orbene, la legge n. 218 del 1995, nell'abrogare (ex art. 73), a far

data dal 31 dicembre 1996, gli art. 796 ss. del codice di rito,

dettati in tema di delibazione di sentenze straniere, aveva

sostituito ad essi, con gli art. 64 ss., un riconoscimento

"tendenzialmente" automatico di tali pronunce al loro passaggio in

giudicato nell'ordinamento di origine, e limitato l’esigenza di uno

specifico accertamento dei requisiti richiesti alle sole situazioni

di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento,

ovvero a quella in cui sia necessario procedere ad esecuzione

forzata, e delineando quindi, in via meramente eventuale, allo

scopo, un procedimento innanzi alla corte d'appello. Tale modifica

ha tuttavia fatto salve, all'art. 41, le disposizioni delle leggi

speciali in tema di adozioni di minori, così predicando il

perdurante vigore e la prevalenza, rispetto alle previsioni di

carattere generale di cui alla riforma del diritto internazionale

privato, della disciplina speciale dell'adozione internazionale di

minori di cui alla legge n. 184 del 1983, che prevede, tra l'altro,

77

Page 78: AFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’€¦  · Web viewAFFIDAMENTO E ADOTTABILITA’ Premessa. La necessità di un ambiente familiare per crescere. Il soggetto in età evolutiva ha assoluto

la competenza in materia del tribunale per i minorenni74. Peraltro,

detta competenza non è derogata in caso di adozione non

legittimante, per effetto della esclusione, in tale ipotesi, ai

sensi dell'art. 35, comma 6, della legge citata, della possibilità

di trascrizione della sentenza straniera, poiché l'art. 32, comma

3, della legge stessa prevede che, in via di eccezione, il

tribunale per i minorenni possa convertire l'adozione straniera non

legittimante in una adozione che produca la cessazione dei rapporti

con la famiglia di origine, purché venga riconosciuta conforme alla

convenzione de L'Aja ( cfr. Cass. Civ., sez. I, 11 marzo 2006, n.

5376)75.

74 Si segnala, in giurisprudenza di merito, un precedente del Trib. Min. Bari 16 aprile 2008, che, in un caso di minore figlio di genitori italiani che sia stato adottato da una coppia di stranieri, ha stabilito, quanto alla richiesta di trascrizione della sentenza di adozione proposta dall’interessato, che la procedura prevista dagli artt. 31 ss. L.n. 184/83 relativa al riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione, rispetto alla quale è competente il Tribunale per i Minorenni, non opera nel caso di specie. Essa trova invece applicazione nella diversa ipotesi di adozione già perfezionata nello stato straniero, ovvero da perfezionarsi con l’arrivo del minore straniero in Italia, relativa a minore straniero che venga adottato da coniugi italiani e residenti in Italia. Si è pertanto ritenuto che la fattispecie non fosse di competenza dell’Autorità Giudiziaria italiana, dovendosi applicare il combinato disposto di cui agli artt. 41 – 64 e 65 l.n. 218/1985, in materia di riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri, qualora risultino ottemperate le condizioni di cui all’art. 64, atteso che l’art. 41 primo comma stabilisce che “i provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli artt. 64, 65 e 66” (nello stesso senso, cfr. Trib. Min. Palermo, 6 febbraio 1985).

75 Una problematica avvertita è quella dei provvedimenti degli stati islamici di affidamento di minori a cittadini italiani. Per i giudici di merito, il minore marocchino affidato nel suo Paese di origine a due coniugi italiani mediante provvedimento di kafalah e autorizzato all'ingresso in Italia dalla Commissione per le adozioni internazionali, non potendo essere adottato con adozione legittimante a causa della non equiparabilità della kafalah ad un provvedimento di affidamento preadottivo, si trova in una situazione di constatata impossibilità di affidamento preadottivo, e può quindi, nel suo interesse, essere adottato dagli affidatari mediante adozione in casi particolari, Trib. min. Trento 10 settembre 2002, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 149, con nota di Long, Adozione extraconvenzionale di minori provenienti da Paesi islamici, nonché sempre nello stesso senso, Trib. min. Trento 11 marzo 2002 (in Dir. fam., 2004, 135, con nota, di Galoppini, L'adozione del piccolo marocchino, ovvero gli scherzi dell'eurocentrismo; in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2002, 1056) e Trib. min. Trento 5 marzo 2002, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 149. Da ultimo, in tema di adozione di minore marocchino, la Cassazione ha stabilito che l'istituto di diritto islamico della "kafalah", sebbene attribuisca ai coniugi affidatari un potere dal contenuto educativo sostanzialmente assimilabile all'affidamento preadottivo, non attribuisce né la tutela né la rappresentanza legale del minore, con conseguente inammissibilità dell'opposizione degli affidatari alla dichiarazione di adottabilità del minore stesso (cfr. Cass. 4 novembre 2005 n. 21395).

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- Nel caso in cui un provvedimento straniero preveda solo un

affidamento a scopo adottivo, e quindi l’adozione debba

perfezionarsi in Italia, il Tribunale per i Minorenni riconosce il

provvedimento come affidamento preadottivo, stabilendo un termine

di durata di detto affidamento in un anno, che decorre

dall’inserimento del minore nella nuova famiglia, così come

certificato dall’Ente autorizzato. Decorso tale periodo, se

ritiene che sia nell’interesse del minore la permanenza nella

nuova famiglia, pronuncia l’adozione e ne dispone la trascrizione

nei registri dello stato civile. Si discute se l’adozione

pronunciata all’estero senza che sia stata preceduta da un periodo

di affidamento preadottivo, possa essere comunque dichiarata

efficace in Italia. Sul punto è intervenuta la Corte

costituzionale, che ha dichiarato manifestamente infondata, in

riferimento all'art. 3 cost., la questione di legittimità

costituzionale degli art. 34, comma 2, e 35, commi 3 e 6, l. 4

maggio 1983 n. 184, come modificati dalla l. 31 dicembre 1998 n.

476, nella parte in cui non prevedendo, per l'adozione

internazionale, l' affido preadottivo del minore per la durata di

un anno quale principio fondamentale del diritto di famiglia e dei

minori, creerebbero una irragionevole disparità di trattamento tra

il minore adottato all'estero e il minore adottato in Italia. La

Corte ha argomentato che, premesso che la legge n. 476 del 1998,

nel ratificare la convenzione per la tutela dei minori e la

cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja

il 29 maggio 1993, ha previsto, in linea con le disposizioni

convenzionali, che l' efficacia diretta nell' ordinamento interno

dell' adozione pronunciata all'estero sia subordinata ad una serie

di adempimenti e controlli tali, da comportare una verifica, da

parte del giudice italiano, effettiva e non limitata ad aspetti

solamente formali, in ordine ai presupposti richiesti per il

riconoscimento e alla regolarità della procedura. Pertanto deve

escludersi che sussista la denunciata disparità di trattamento,

posto che il legislatore ha ampia discrezionalità nel prevedere

diverse forme per i diversi tipi di adozione e il minore adottato

all' estero risulta comunque tutelato dalle disposizioni

censurate, pur in assenza di un periodo di affidamento preadottivo

in Italia - la cui previsione verrebbe peraltro a porsi in

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insanabile contrasto con la convenzione e con lo stesso sistema

del diritto internazionale privato - mentre nessuna norma

costituzionale impone di riconoscere quale principio fondamentale

del diritto di famiglia e dei minori in Italia l'obbligatoria

previsione di un periodo di affidamento preadottivo per il minore

adottato all'estero (cfr. Corte cost., 31 luglio 2002, n. 415).

Per contro, la pronuncia straniera può limitarsi a statuire un

affidamento che, pur provvisorio, può essere dichiarato efficace

nel territorio italiano. In ogni caso, l’art. 35 u. c. prevede un

elenco tassativo di casi in cui il giudice italiano non può

ordinare la trascrizione del provvedimento dell’autorità

straniera.

- Quanto all’adozione o provvedimento di affidamento preadottivo

pronunciato in un paese non aderente alla Convenzione de L’Aja,

l’art. 36 detta precise condizioni per dichiarare efficaci in

Italia siffatti provvedimenti, esigendosi innanzitutto

l’accertamento dello stato di abbandono del minore e la

sussistenza da parte dei genitori di un preciso consenso ad

un’adozione avente effetto legittimante e quindi comportante la

cessazione dei rapporti tra il minore ed i suoi familiari. La

ratio di tale disposizione è quella di evitare, anche per i

bambini provenienti da Stati non aderenti alla Convenzione, il

regime del ‘fai da te’.

Il minore viene in ogni caso inserito nel nuovo nucleo familiare

per un anno, decorso il quale con esito positivo, viene

pronunciata l’adozione e ne viene ordinata la trascrizione. Se

l’affidamento ha dato esito negativo, il tribunale revoca la

pronuncia ed applica i provvedimenti di cui all’art. 21

Convenzione76. Si ritiene altresì applicabile l’art. 37 bis,

76 L’art. 21 recita: “1. Allorché l'adozione deve aver luogo successivamente al trasferimento del minore nello Stato di accoglienza, l'Autorità Centrale di tale Stato, se ritiene che la permanenza del minore nella famiglia che lo ha accolto non è più conforme al superiore interesse di lui, prende le misure necessarie alla protezione del minore, particolarmente al fine di:a - riprendere il minore dalle persone che desideravano adottarlo ed averne provvisoriamente cura;b - di concerto con l'Autorità Centrale dello Stato d'origine, assicurare senza ritardo un nuovo affidamento per l'adozione del minore o, in difetto, una presa a carico alternativa durevole;l'adozione non può aver luogo se l'Autorità Centrale dello Stato d'origine non è stata debitamente informata circa i nuovi genitori adottivi;

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essendo il minore in stato di abbandono, con apertura di una

procedura di adottabilità. L’art. 35 4° comma prevede peraltro

che, in caso di esito negativo del periodo di affidamento

preadottivo, subentri la revoca del provvedimento.

E’ da segnalare che l’art. 34 3 co. prevede che il minore straniero

acquisti la cittadinanza italiana a seguito della trascrizione del

provvedimento di adozione, divenuto definitivo, ai sensi dell’art.

26 comma 4, nei registri dello Stato civile.

Com’è noto, si tratta di un acquisto automatico per il quale, in

linea normale, si applica il comma 8° dell’art. 16 del Regolamento

di esecuzione della Legge n. 91/1992. Sennonché il Ministero

dell’Interno con sua Circolare k.28.4 in data 13 novembre 2000, ha

chiarito che la trascrizione del provvedimento straniero nei

registri dello stato civile non ha una valenza costitutiva, con la

conseguenza che l’adozione pronunciata all’estero è tale da

produrre i suoi effetti retroattivamente e quindi non già dalla

data di trascrizione, ma dalla data dell’emanazione all’estero,

sia per quanto attinente alla decorrenza del rapporto di

filiazione, sia per quanto attinente alla decorrenza dell’acquisto

della cittadinanza italiana da parte dell’adottato.

In taluni casi può accadere che vi sia un fallimento del rapporto

adottivo prima che intervenga la trascrizione della sentenza.

In questo caso la fattispecie a formazione progressiva non si

perfeziona, ponendosi il concreto problema di adottare idonee

misure a tutela del minore. Soccorre, in ipotesi, l'articolo 21

della Convenzione, il quale prevede le possibili iniziative da

assumersi a protezione del minore, particolarmente al fine di:

a - riprendere il minore dalle persone che desideravano adottarlo

ed averne provvisoriamente cura;

b - di concerto con l'Autorità Centrale dello Stato d'origine,

assicurare senza ritardo un nuovo affidamento per l'adozione del

minore o, in difetto, una presa a carico alternativa durevole (in

questo caso l'adozione non può aver luogo se l'Autorità Centrale

dello Stato d'origine non e stata debitamente informata circa i

nuovi genitori adottivi);

c - come ultima ipotesi, provvedere al ritorno del minore, se il suo interesse lo richiede…”.

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c - come ultima ipotesi, provvedere al ritorno del minore, se il

suo interesse lo richiede.

In tal caso il minore che abbia compiuto gli anni 14 deve sempre

esprimere il consenso circa i provvedimenti da assumere; se ha

raggiunto gli anni 12 deve essere personalmente sentito; se di età

inferiore deve essere sentito ove ciò non alteri il suo e-

quilibrio psico-emotivo, tenuto conto della valutazione dello

psicologo nominato dal tribunale.

L’ipotesi negativa della quale ci si occupa può essere determinata

dal sostanziale e successivo rifiuto da parte degli adottanti (la

c.d. “restituzione”), ovvero nel mancato inserimento del minore

medesimo nel nuovo contesto socio - familiare. In questi casi, la

legge, per l’appunto, attribuisce al tribunale per i minorenni il

potere di non trascrivere il provvedimento straniero di adozione.

A tale proposito, infine, la giurisprudenza ha affermato che

l'art. 37 della legge n. 183 del 1984 - ai sensi del quale nei

confronti del minore straniero in stato di abbandono nel

territorio dello Stato è operante la legge italiana in materia di

adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di

urgenza - comporta non soltanto, sul piano processuale, la

giurisdizione del giudice italiano, a prescindere dagli elementi

di collega-mento previsti dalla legislazione interna, ma anche,

sul piano sostanziale, l'assoggettamento del rapporto alla

normativa in-terna, in deroga alle comuni regole di diritto

internazionale privato. Pertanto, qualora il tribunale per i

minorenni dia ini-zio alla procedura per la dichiarazione di

adottabilità di un minore straniero, in relazione allo stato di

abbandono in cui lo stesso si trovi al momento dell'intervento, la

circostanza che, successivamente a tale momento, le autorità del

Paese d'origine richiedano il rimpatrio del minore, così come non

è idonea ad escludere la giurisdizione italiana, non fa venir meno

l'appli-cazione al rapporto della legge italiana, attesi gli

stretti collegamenti tra giurisdizione e legge applicabile in

materia (cfr. Cass. civ., Sez. I, n. 9576 del 4/11/1996).

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VALERIA MONTARULI

GIUSEPPE BATTISTA

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