4/2002 Infermiere - ipasvipavia.it · menti perdono importanza e l’arte del morire è sostituita...

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Infermiere 4/2002 PAVIA a Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989. Sped. in abb. postale - Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia - IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TASSA - REINVIARE ALL’UFFICIO PAVIA-FERROVIA Appressamento alla morte

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Infermiere4/2002

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Appressamento alla morte

Chi non si è mai posto la domanda: "Edopo ... cosa c'è?"

Le varie Religioni, vi invito a rilegge-re l'inserto recentemente pubblicato inallegato alla Rivista, danno le loro rispo-ste, molto diverse, ma per un particolaretutte uguali: la Vita non termina con lamorte fisica.

C'è chi presenta scenari apocalittici,scenari di dannazione o di beatitudineeterna, chi propone un ritorno alla vitafisica ripetuto nel tempo, chi altri scenari:comunque sono tutti concordi che la vitafisica è un mezzo per "andare oltre".

Le psicosi collettive sono sempre inagguato e quindi sempre possibili nelnostro mondo, ma una forte come questa,perpetuata nei millenni, in forme diverse,ma con uno stesso scenario finale, in tuttele varie culture, estrazioni sociali, forsetale non è.

Da segnalare, nella rubrica “L’ottavogiorno”, la pubblicazione delle fotografiedei “nostri bambini” adottati tramite ilfondo di solidarietà.

In “Vita di Collegio” vengono ripropo-sti il bilancio consuntivo 2001 e il bilan-cio preventivo 2002 approvati il 17 mag-gio nell’assemblea degli iscritti.

Torniamo a ricordare che, nel corsodell'anno, scadrà il mandato dell'attualeConsiglio Direttivo, nonché del Collegiodei Revisori dei conti. Questo, ovviamen-te, è un invito a cominciare a pensare all'e-ventuale propria candidatura al fine di rin-novare, integrare, supportare le personeche verranno elette. Le elezioni si terran-no nel mese di dicembre ... ma non è maitroppo presto per ricordarlo. Questo è unpunto che accompagnerà, come avrete giànotato, tutti gli editoriali che verrannopubblicati durante tutto l'anno sulla nostraRivista.

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Parlare della morte non è certo cosafacile, ma è una cosa certa che, quasi quo-tidianamente, ognuno di noi vede questa“compagna” così vicina da poterla quasi“toccare”.

In questo numero abbiamo voluto daredelle ottiche trasversali per affrontare conmaggior serenità e consapevolezza questache è “l’unica certezza della vita”.

Dove finisce la vita? dove inizia lamorte?

Due domande strane, perché unapotrebbe tranquillamente essere la rispo-sta all'altra e viceversa.

Ma la morte esiste?Sicuramente quella fisica, sulla morte

dell'Anima, dell'Essenza vitale, dell'Io,del Soffio di vita, chiamiamolo come cipare, su questa "altra morte" non tuttisono d'accordo.

Giuseppe Braga*

L’autore* Caporedattore

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Infermiere a PaviaRRiivviissttaa ttrriimmeessttrraallee ddeell CCoolllleeggiioo IIPP..AASS..VVII.. ddii PPaavviiaa

Anno XII n. 4/2002 aprile/giugno 2002

EEddiittoorree Collegio Infermiere professionali,Assiatenti Sanitarie, Vigilatrici d’Infanziadella Provincia di Pavia

DDiirreettttoorree RReessppoonnssaabbiillee Enrico Frisone

CCaappoo RReeddaattttoorree Giuseppe Braga

SSeeggrreetteerriiaa ddii RReeddaazziioonnee M. Bergognoni, L. Littarru, A.M. Tanzi

CCoommiittaattoo ddii RReeddaazziioonnee M. Bergognoni, G. Braga, M. Cattanei, S. Conca, S. Giudici, R. Rizzini, A.M. Tanzi

HHaannnnoo ccoollllaabboorraattoo A.M. Bergonzi, P. Ghia, G. Reboliniaa qquueessttoo nnuummeerroo:: G. Rovati, R. Verri,

IImmppiiaannttii ee ssttaammppaa Gemini Grafica snc - Melegnano (MI)

DDiirreezziioonnee,, RReeddaazziioonnee,, Via Lombroso, 3/B - 27100 PaviaAAmmmmiinniissttrraazziioonnee Tel. 0382/525609, Fax 0382/528589

CCP n. 10816270

I punti di vista e le opinioni espressi negli articoli sono degliautori e non rispettano necessariamente quelli dell’Editore.

Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati,non saranno restituiti.

Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989.Spedizione in abb. postale Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia.La rivista è inviata gratuitamente agli iscritti al Collegio IP.AS.VI. di

Pavia. Finito di stampare nel giugno 2002 pressoGemini Grafica snc di S. & A. Girompini, Melegnano (MI)

In copertinaLa scelta di un soggetto religioso per la

copertina di questo numero della rivista èlegato alla sacralità dell’argomento dellamonografia. L’arte pittorica ha spessoesplorato i misteri della morte, riuscendo arendere in una sola immagine la sua com-plessità. Questo quadro del XV secolo diHans Multscher, custodito al museo diVipiteno, intitolato “La morte della Vergi-ne” riassume i molteplici atteggiamentiche le persone avevano al capezzale di unmorente e che si sono persi nell’ultimosecolo, gesti e valori che univano eaccompagnavano. Attorno alla figura dellaVergine si possono vedere persone chepiangono, ma anche amici che pregano,che benedicono, che si prendono curadella Madre di Gesù. È un quadro ricco dipietà umana e religiosa.

Il titolo alla monografia “Appressamentoalla morte” è in realtà il titolo di una canti-ca di Giacomo Leopardi, anche in questocaso la scelta è dovuta ai tanti significatiche nella parola “appressamento” si pos-sono ravvisare. I versi finali della canticarecitano:

“… E si rivolse indietro. E in quelmomento

Si spense il lampo, e tornò buio l’etra,ed acchetossi il tuono, e stette il vento.Taceva il tutto; ed ella era di pietra.”

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L’obiettivodel lavoro monografico che presentia-

mo è quello di creare uno spazio di rifles-sione su un evento inevitabile della vita, lamorte, privata ormai della sua dignità edella necessaria attenzione dall’interasocietà contemporanea ripiegata sullanegazione della morte e del morire.

Uno spazio di riflessione importante pernoi infermieri (ma anche per tutti gli ope-ratori della salute), che oggi più che nelpassato ci confrontiamo con la morte, nonsoltanto quella biologica ma anche quellasociale, psichica e spirituale, e con il temadel sostegno e dell’accompagnamentoad essa.

Oggi più di ieri … perché oggi si muoresempre di più nella solitudine e nella lon-tananza, nel deserto degli ospedali o del-le case di riposo. La morte è diventata unoggetto di studio scientifico che bisognacombattere al finedi prolungare lavita e all’ospedaleè riservata la fun-zione sociale direndere imperso-nale la morte, cer-cando di contrar-re il processo delmorire ad unistante, il più bre-ve e indolore pos-sibile, affinchénon vada a turba-re la vita benstrutturata dellasocietà.

Sembra nonesserci più postoo diritto a “ …ricevere anche unsolo gesto, ilgesto di stareaccanto e il gestodi accarezzaredolcemente il vol-to, e la mano, di

chi si allontana (nella speranza o nelladisperazione) dalla vita, solo un gesto rie-sce ad essere di aiuto e a essere terapeu-tico: nel silenzio della parola e nella lucedel gesto”, come dicono queste straordi-narie parole di Norbert Elias nel suo libro,“La solitudine del morente”.

Un processo di assistenza infermieristi-ca che pone l’attenzione alla persona edalla sua interezza biologica, psichica,sociale e spirituale, non può essere com-pleto se non comprende la morte e il mori-re, se non riflette la necessità di umaniz-zare l’assistenza al morente e ai suoi fami-liari, se non insegna al coinvolgimentocon il prossimo ed alla condivisione delleemozioni, se non permette di riscoprire ilvalore della solidarietà.

Ciò significa considerare non solo lacomponente organica e fisiologica, ma

Annamaria Tanzi*

I n d i c e

S p a z i o concentratoLa morte e il morire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3

La morte e il morire nell’esperienza psicopatologica . . . . . . .9

Nascendo diventiamo debitori alla natura di una morte . . .12

Un mantello per riparare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15

Un sottile confine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18

Culto della morte e riti funebri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21

L’ultima iniziazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25

A l t r i PERCORSIPer favore, vuole spiegarmi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .29

Bambini per un domani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .30

AggiornamentoAggiornamento in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .32

Aggiornamento a Pavia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .32

Il grado di soddisfazione degli utenti . . . . . . . . . . . . . . . . . .35

Alimentazione e lesioni cutanee croniche . . . . . . . . . . . . . . .37

S p a z i o ccoonncceennttrraattoo

La morte e il morireLa morte e il morire

(…) “Allora Almitra parlòdicendo:Ora vorremmo chiederti della Mor-te:E lui disse:Voi vorreste conoscere ilsegreto della morte.

Ma come potrete scoprirlo senon cercandolo nel cuore dellaVita? (…)Se davvero vorrete conoscere lospirito della morte, spalancate ilvostro cuore al corpo della vita.Poiché la vita e la morte sonouna cosa sola, come una sola cosasono il fiume e il mare.”

Khalil Gibran“Il profeta”

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anche emotiva, psicologica, affettiva,intellettuale, sociale, spirituale ossia tuttociò che fa di un uomo un essere unico eirripetibile.

Forse l’attenzione dovrebbe finalmentespostarsi sulla qualità della vita, una medi-cina che si prende cura della qualità dellavita e comprende il diritto di morte delmalato con lo scopo di lenire la sofferen-za e portare giovamento fisico al morente,ma contemporaneamente portargli unbeneficio psicologico, spirituale, in terminidi conforto e relazione umana.

Questi sono i valori su cui si muove lamedicina palliativa, un modo di esercitarel’arte terapeutica tra la cura, to cure(aspetti oggettivi del caso) e l’aver cura, tocare – assistere, prendersi cura (riguarda isignificati soggettivi dell’esperienza malat-tia – trattamento).

La monografia affronta il tema dellamorte e del morire, un tema complessoconsiderato sotto diversi aspetti perapprofondire insieme la realtà storica, psi-cologica, antropologica, sociologica dellamorte e del morire perché la morte esisteed è una parte ineliminabile della vita, unevento naturale seppur disumanizzatonon soltanto nella concezione personalee collettiva, ma anche nelle forme assolu-tamente inaccettabili come l’eutanasia(termine utilizzato impropriamente), l’assi-stenza al suicidio e la pena di morte, feno-meni peraltro molto “spettacolarizzati”nelle civiltà dell’Occidente.

L’auspicio è che la lettura di questolavoro che non ha pretese di esaustivitàdell’argomento, rappresenti un inizio,un’apertura, una riflessione, uno stimoloper una presa di coscienza personale eprofessionale sulla morte e sul morire, sul-l’accompagnamento e sul sostegno almorente, per rafforzare il nostro ruolo diinfermieri all’interno di una problematicaglobale e profonda e per arricchire lanostra umanità e professionalità.

Parlare …della morte è sempre una sfida al reale,

un tentativo di oggettivare il Nulla e chenello stesso tempo lo fa esistere e lonega. I molteplici modi di rappresentarequesta esperienza ultima sono segni chegenerano e strutturano miti contro il reale,quel reale che si adatta a ciò che gli uomi-ni immaginano e desiderano.

Pur vivendo nella consapevolezza dellanostra finitudine e sebbene sostenuti dal-l’idea, dalla speranza e dalla certezza chealcune parti di noi resteranno per sempre,oltre la morte, l’uomo ha una naturaleinclinazione all’infinito.

Nello Zibaldone Leopardi scrive di que-sta “… naturale e necessaria tendenzaall’indefinito, a un piacere senza limiti …”,affermando che: “indipendentemente dal

riscopre, con rammarico, mortale.Con il Rinascimento e fino al Seicento

nei confronti della morte si prende unacerta distanza ed anche i vecchi atteggia-menti perdono importanza e l’arte delmorire è sostituita dall’arte del vivere . Sicerca di insegnare ai vivi di meditare sullamorte perché una morte bella ed edifican-te è l’epilogo della vita giusta e santa dicolui che ha vissuto rettamente.

Il Romanticismo accomuna la morte el’amore in un interesse morboso; temierotico –macabri pervadono l’arte e la let-teratura, insieme ad un estremo compiaci-mento allo spettacolo della morte, dellasofferenza, del supplizio e dell’agonia.

Nel XVIII secolo, l’individuo dà alla mor-te un senso nuovo: la esalta, la dramma-tizza, la desidera bella e romantica. Lamorte in questo periodo è prima di tutto lamorte dell’altro.Un elemento nuovo siintroduce nel cordoglio e nel lutto: si pian-ge, si langue, si digiuna, ci si dispera; laseparazione è vissuta come strappo lace-rante.

Solo all’inizio del Novecento in tuttol’Occidente di cultura latina, la morte diuna persona modificava solennemente lospazio e il tempo di un gruppo sociale, lamorte era un avvenimento pubblico.

L’apice dell’evoluzione della morte si hanel XX secolo: la morte si ritrova cancella-ta dalla coscienza individuale e scomparediventando “oggetto di vergogna e didivieto”.

Comunque la morte e i morti nella men-talità collettiva, sono una serie di immagi-ni e di atteggiamenti che altro scopo nonhanno che collocare in distanza la realtàbiologica e sociale del morire.

In Occidente dunque “muore la morte”,la morte come finzione non esiste più per-ché privata delle metafore, spogliata delleparole e delle immagini atte a raccontarlae a rappresentarla anzi, è diventata inno-minabile. Non si parla neanche più delParadiso e sono stati abbandonati atteg-giamenti e riti della tradizione antica.

“La società moderna ha privato l’uomodella sua morte e gliela restituisce solo seegli non se ne serve per turbare i vivi” dauna citazione di Philippe Ariès (storico).

Il morire in Occidente è diventato un fat-to osceno, asettico, stilizzato e truccatodai mass-media e dalle istituzioni.Ormaiignoriamo tutto del morire puro e sempli-ce, questa rinunzia storica di chi sopravvi-ve nei confronti di chi muore, al quale nonpresta più assistenza, è diventata normalee naturale.

L’atteggiamento comune è la fuga e lanegazione della morte persino da partedel morente che in tempi diversi sapevache stava per morire e accettava con luci-dità il morire attorniato e assistito da tuttala famiglia, alla quale impartiva le sue ulti-

desiderio del piacere, esiste nell’uomouna facoltà immaginativa, la quale puòconcepire le cose che non sono, e in unmodo in cui le cose reali non sono …”.

La visione mitica della morte rassicura,permette di avere speranza e fiducia, diallontanare la paura con immagini e sup-plementi simbolici di continuità e diimmortalità.

E così consciamente o inconsciamenteallontaniamo i pensieri di morte, anche sequesto non significa che neghiamo il fattodi essere mortali o che evitiamo tutto ciòche parla della morte e del morire ma difatto, continuiamo a vivere tenendo emo-zionalmente lontana la coscienza dellanostra finitezza.

Judith Viorst, in un libro meraviglioso edi grande sensibilità e portata sulla condi-zione umana, “Distacchi” sostiene che è “… difficile per la maggior parte di noi pen-sare alla nostra morte senza esserne spa-ventati. Questo perché “… abbiamo pau-ra dell’annientamento e del non-essere,… l’ingresso nell’ignoto, … il terrore del-l’abbandono”.

La nostra vita pertanto si costruiscesopra la morte. La morte e il soggetto chedeve sperimentarla non si incontrano mai.Pertanto l’unica possibilità di conoscenzadi essa è quella della morte degli altri. Sol-tanto così prendiamo coscienza che ilnostro corpo che era vita e parola, è ormaiinerte e muto.

Nella Grecia antica,la morte era un cavaliere nero di nome

Caronte e nella Grecia moderna l’espres-sione comune per dire di uno che è inagonia è Charopalevi, che letteralmentesignifica “egli lotta contro Caronte” eCaronte è un personaggio inquietante macon la sua umana compiutezza cela il Nul-la.

E’ interessante affrontare l’evoluzione (oinvoluzione) del concetto e della conce-zione di morte nel corso della storia percomprendere la negazione contempora-nea della morte e del morire.

Nel Medioevo la morte era considerataun evento collettivo e fortemente socializ-zato, accettata come parte dell’ordinenaturale della vita quotidiana, consideratacome continuità dell’esistenza.

Questo ultimo punto si modifica già allafine del primo medioevo, appare il con-cetto dualistico e di separazione fra vita emorte e l’uomo è rimandato ad interessar-si solo degli aspetti materiali dell’esisten-za. Tuttavia, si fanno strada le usanze del-l’epigrafe funeraria che rende onore almorto e a quello che è stato in vita, delledeposizioni testamentarie, delle fondazio-ni pie, delle messe in suffragio, del corteofunebre e del servizio da parte della chie-sa. L’Uomo del secondo Medioevo si

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me raccomandazioni e volontà.Oggi, il morente quasi sempre solo, o

non sa che sta per morire (stadio dellamenzogna) o fa come se non lo sapesse(stadio della dissimulazione).

Per tornare sull’assistenza al morente,un tempo i vivi assistevano i moribondi, ilmorire era lì, fatale e naturale. Tra i vicini cisi aiutava a sopportare l’esperienza delmorire che era pur sempre dolorosa.Insieme si vegliava e si pregava il moren-te, lo si ascoltava e gli si parlava. Insiemesi piangeva , e il dispiacere, il dolore con-diviso era meno gravoso da sopportare.La stessa comunità si faceva carico delmorire, sostenendo spontaneamente ilmorente e visitando di frequente la fami-glia.

Sicuramente, qua e là, nelle comunitàpiccole e rurali questo appoggio collettivoesiste ancora ma nelle città e nella mag-gioranza dei casi non è più il tempo dellasolidarietà.

Il morente agonizza quasi clandestina-mente, sempre più spesso fuori di casa, inospedale o nelle case di riposo, abbando-nato anche dai parenti.

La medicalizzazione della morte ha pri-vato il morire della sua specificità, ilmorente della sua libertà di individuoresponsabile e la malattia stessa nonpreoccupa più ma rassicura. Il morire èstato preso in carico dalla struttura ospe-daliera e dagli operatori della salute(soprattutto dai medici) e non appartienepiù a chi sta agonizzando o ai suoi paren-ti. Al morente, trascinato nel labirintoospedaliero, più rassicurante per i parentiche per lui, gli viene tutto nascosto conuna sorta di complicità tra i parenti ed ilmedico che spesso attraverso l’accani-mento terapeutico, alimenta artificialmen-te la speranza alla guarigione, deprivandocosì una persona del diritto alla morte.

Il medico sembra più occupato o preoc-cupato di salvaguardare il proprio equili-brio morale (e quello dell’ambiente ospe-daliero) per cui deve a sua volta negare ilmorire, e il non riuscire a piegare il corsodell’agonia è uno scacco che rimette incausa la fondatezza della scienza medicae il suo potere.

Il rifiuto della morte e del morire siproietta sul moribondo con un triplice iso-lamento: spaziale (lo si colloca in disparteo lo si nasconde dietro un paravento),temporale (si risponde con minor premu-ra alle sue chiamate) e relazionale.

Il dolore, soprattutto quello legato al lut-to come perdita di una persona cara, èuna manifestazione vergognosa, degra-dante, non più benefica come un tempo.

La scomparsa del dolore e del lutto nonè priva di conseguenze, tanto che in Occi-dente essa comporta una vera patologiadel lutto che talora può essere di difficile

soluzione.E poiché nelle nostre società è stato

distrutto il senso della comunità, persedare questi stati patologici ci sono iterapeuti per cui nessuno si sente respon-sabile della morte altrui.

La morte diventa una distruzione irre-versibile di fronte alla quale l’uomo è sem-pre più smarrito e angosciato. Questouomo nuovo, emerso dalla società mer-cantile e industriale, sembra un “fruttosenza nocciolo”, attaccato al proprio cor-po e al perpetuarsi di questo nel mondo.

Bisogna andare ahimè! in quei luoghiche definiamo Terzo Mondo, Mondo Sot-tosviluppato, Mondo del Paesi Poveri, sel-vaggi, non democratici e non “civilizzati”,per ritrovare in parte una collettività soli-dale e responsabile che si prende in cari-co il morire, dove l’assistenza al morenteed alla sua famiglia è una regola fonda-mentale, facente parte del costume e del-le credenze di un popolo.

Caratteristica nel morire contempora-neo è l’uccisione della comunicazione frail morente e i sopravvissuti anche perchéa monte, l’inibizione a comunicare sullamorte è dominante nella società attuale.Esiste oggi una crisi di valori che ha coin-volto anche i significati simbolici, la morteè rimossa, negata, non pensata, né rac-contata.

Le origini di tale disfacimento può esse-re ricercata sempre attraverso la storiadell’umanità: l’emergere dell’individuali-smo (secolo XII°); l’individuo diventa apoco a poco persona e tende ad essereautonomo; lo sfaldamento del dominiofeudale (secolo XIII°); la divisione in classidella società e la conseguente lotta indivi-duale per le posizioni di potere che dimi-nuisce le distanze dai padroni. E per que-sta febbrile affermazione di sé che il mori-re diventerà sempre più un fatto insoppor-tabile. Nel secolo XVII° l’angoscia dellamorte si trasforma in ossessione e dispe-razione. Altro fenomeno non meno impor-tante quello della scristianizzazione chedilaga nel XVIII° secolo. Voltaire nell’etàdei lumi riabiliterà la “morte improvvisa”fino ad allora considerata la brutta morte econfermerà che in Occidente gli uominifuggono sempre più davanti alla morte.

Nei secoli seguenti e sin ad oggi ancordi più la “bella morte” è il morire istanta-neo, il morire di sorpresa, il morire incon-sapevole, il morire senza accorgersene.

Con la morte della morte in Occidente ècrollato anche l’edificio dell’immaginazio-ne e del simbolico che un tempo le face-va da cornice … e il morire non si affacciapiù su un aldilà o un altrove, ma sul vuotoe sul nulla.

Un contributo all’allontanamento delmorire lo si deve anche all’evoluzione del-l’ambiente sociale: abbattimento di molte

malattie, scomparsa di carestie e penurie,diminuzione della mortalità infantile e lasperanza di vita che continua a crescere.

Il progresso tecnologico, l’informazio-ne, il benessere economico, la medicinain Occidente hanno avuto la meglio sullacattiva salute ma è fuor di dubbio che sia-mo mortali anche se questo ci spaventa.

Ed è così che ci appare il morire, unospaventoso errore che non appartiene piùa colui che muore ma a coloro che occu-pano posizioni di potere, a coloro chedecidono e controllano la vita e la mortealtrui.

Il potere ha mille volti e così anche lamorte ha molte facce: la morte fisica, lamorte economica, la morte politica, lamorte civile, la morte sociale, culturale,psicologica, spirituale … e ancora, glistermini, i genocidi, la carcerazione, lacondanna a morte, la guerra, l’alienazionedell’uomo, lo stigma sociale fenomenisempre di moda, prodotti e utilizzati dalpotere.

Non si può fare a meno di pensare adun tipo di “morte lenta” rappresentata inOccidente dalla vecchiaia considerata unproblema sociale sia per la società sia perl’individuo.

Per i vecchi qui da noi non c’è posto, èmeglio un ospedale o un ricovero e quin-di la solitudine, una porta aperta per l’A-NOMIA, nel senso dato a questa parola daEmile Durkheim (famoso sociologo): con-dizione di individui o gruppi nella quale viè assenza di solidarietà sociale o di lega-mi sociali cioè, la morte sociale e quindianche psicologica, culturale, spiritualesino alla morte biologica.

Tuttavia di fronte a queste forme di mor-te esiste la ribellione che utilizza gli stessistrumenti contro chi gestisce variamente ilPotere (medici, militari, padroni, rappre-sentanti dello Stato e così via): scioperidella fame e/o della sete, strategie diminaccia di varia natura, tentativi di suici-dio, rifiuto delle cure, tutti usi simbolici delmorire perché unico linguaggio rimasto acoloro che non sono più capiti.

La conclusione di questo percorso sto-rico forse avrà un lieto fine, infatti alla lucedel terzo millennio sembra si stia facendostrada la riscoperta della morte naturale eautenticamente vissuta seppur in contrad-dizione con un tipo di morte non proprionaturale che mette in discussione ladimensione morale, etica e deontologicadella vita.

Le scienze umane e socialihanno affrontato il tema della morte e

del morire.La filosofia con Heidegger, (1889-1976)

contemporaneo e autorevole figura dell’e-sistenzialismo, valorizzò la pura esistenza.Egli affermò che il senso ultimo dell’esse-

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re è l’esserci (il Da-sein in lingua tede-sca). L’essenza dell’uomo per questo filo-sofo è la sua esistenza e niente altro. Diconseguenza, la filosofia ha la funzione dianalizzare l’individuo concreto e la suacondizione di essere stato gettato nelmondo, in un’epoca, in una cultura, in unalingua e in una località che egli non hascelto, ma con le quali deve entrare in unrapporto attivo, angosciosamente consa-pevole delle infinite possibilità che gli sioffrono e … dell’unico destino che loattende: la morte.

La morte per Heidegger è il momentonon solo conclusivo, ma costitutivo dellavita. Tutta l’esistenza dell’uomo, è unesser per la morte e pertanto una vitaautentica è quella che accetta la dimen-sione dell’angoscia, che non cerca didimenticare la propria finitezza nella curadel mondo.

Nel pensiero di Heidegger dunque l’esi-stenza autentica è precorrere la morte,rappresentarsela. Soltanto attraverso l’ac-cettazione della morte, l’esserci pervienealla sua compiuta totalità. La morte ci sipresenta come un evento estraneo postoal di fuori di noi, essa ci è tanto estraneache matura inconsapevolmente il convin-cimento interiore, contrario ad ogni rico-noscimento razionale, del suo non verifi-carsi per noi. La morte viene concepitacome qualcosa di indeterminato che ungiorno o l’altro finirà pur di accadere pernoi.

Il “si muore”, con l’anonimo “si”, ci tran-quillizza nei riguardi della morte e invecenell’esperienza del sentirsi morire, il sen-so della morte diviene immanente alla vitaindividuale, e il grande salto esistenzialeconsiste nel passaggio dal “si muore”all’”io muoio”, ossia dal riferimento ad unaindeterminatezza del dramma, al persona-le e drammatico vissuto.

La psicologia si è interessata al temadella morte e del morire soprattutto attra-verso l’analisi del profondo affermandoche la paura dell’uomo di fronte alla mor-te è la paura del mistero della morte chein realtà è la paura dell’annientamentodell’Io, dell’essere e della propria identità.E’ l’impossibilità di riconoscere la proprianon-esistenza, di immaginarsela, di prefi-gurarsela.

Freud sosteneva: “in fondo nessunocrede alla sua morte, o, il che è lo stesso,ognuno di noi è inconsciamente convintodella propria immortalità. Non è possibilerappresentarsi la propria morte”:

Jung ha proposto una visione della vitae della morte da un punto di vista finalisti-co: il morire come un fine e non come unafine. Secondo Jung se la nascita dell’Uo-mo è densa di significato perché nondovrebbe essere altrettanto per la suamorte?

Per questo è importante per l’Uomoricominciare a riflettere su se stesso, sulsenso della sua vita, mettersi in relazionecon la propria morte e prendere coscien-za che nella società occidentale l’approc-cio proposto all’individuo come rappre-sentazione della vita e della morte è diver-sificato rispetto agli stadi evolutivi:- Infanzia (fino a circa 6 anni), si passa

da una totale incomprensione del feno-meno “morte”, alla comparsa di imma-gini concrete relative ai cimiteri e aicadaveri.

- Adolescenza, il processo cognitivorelativo alla morte contempla la capa-cità di apprendere ed elaborare le com-ponenti emozionali. E’ il rifiuto degliadulti a parlare della morte che non faci-lita una sufficiente elaborazione ideale everbale del concetto di morte; nella tar-da adolescenza possono compariremeccanismi razionali di rassicurazioneforniti dalla tabuizzazione sociale dellamorte.

- Età Adulta, i significati della morte ven-gono connessi alla situazione ambien-tale e sociale di vita.La paura della morte si identifica quasi

sempre con la paura del morire che com-porta paure di malattie e mutilazioni, deldolore, dell’isolamento e dell’abbandono,nonché della perdita del controllo.

Dal punto di vista sociologico, nellasocietà moderna, legata al mito della pro-duttività, i problemi sociali relativi alla mor-te sono spesso quelli della vecchiaia.Sicuramente una analisi sociologicaespone alla paura della morte proprio lasocietà occidentale, una società chemanipolando, rimuovendo, mercanteg-giando e subordinando la morte alla leg-ge del profitto, ha smarrito il senso dellavita sprofondando nell’angoscia.

L’antropologia culturale insegna chel’accettazione della morte come unicovero evento ineluttabile dell’esistenza nonè mai stata, in nessuna cultura e in nessu-na epoca storica, un fatto naturale.

Dalla mitologia della reincarnazione altransito in una beatitudine eterna o in unmondo infernale che alimenta paura edisperazione, sono molti i sistemi creatidall’uomo per sottrarsi in qualche modo aldramma della morte biologica e questisistemi sono al centro di comportamenti esentimenti propri tanto del singolo quantodella collettività.

Le norme e consuetudini del lutto, ladinamica e le tecniche del cordoglio, isistemi rituali, le strutture del lamento, leforme di tabuizzazione, il banchetto fune-bre, i comportamenti intorno al cadaveresono atteggiamenti simbolici attraversocui le culture hanno creato gli espedientipiù singolari per sottrarre l’uomo all’ango-scia della fine.

La monografia presenta nelle pagineseguenti un approfondimento sulla con-cezione della morte e del morire nellediverse culture e uno schema sul signifi-cato delle usanze relative alla morte nellediverse confessioni.

La morte,è sicuramente un evento che riguarda

tutti, un evento a cui è necessario dare ilsuo giusto posto e la sua dignità. Parlaredi questo evento è fondamentale non per“moda”, ma perché sia un momento diverità in cui approfondire la propria con-cezione, arricchire il proprio sapere ed ini-ziare un percorso di crescita personaleprima e successivamente professionaleper assistere con dovizia il momento dellamorte di una persona.

E’ fuor di luogo che oggi si muore mol-to in ospedale, si va spesso a morire inospedale e spesso la morte in ospedale èsinonimo di abbandono.

Si pone quindi un problema per noi pro-fessionisti della salute.

E allora, noi operatori della salute siamoveramente preparati a stare accanto allapersona morente, per aiutarlo umana-mente a morire e cioè comprendere ciòche avviene dentro di lui, ascoltarlo ecomprenderlo quando vuole comunicarecon parole, gesti, silenzi … ?

Ancora Norbert Elias, nel suo saggiointitolato “La solitudine del morente” scri-ve: “mai come oggi i morenti sono statiposti con tanto zelo igienista dietro lequinte della vita sociale, per sottrarli allavista dei vivi”.

L’esigenza funzionale delle questioni diigiene in realtà nascondono la negazionedella morte.

L’accompagnamento al morente nelpensiero di molti studiosi deve partire daun presupposto, che è quello di conside-rare il morente come persona umana,capace in quanto tale di relazione. In que-sta relazione è necessario lasciare espri-mere il morente, offrire ad esso la possibi-lità di manifestare i suoi sentimenti anchenegativi e mettersi in atteggiamento diascolto per imparare direttamente da lui lasituazione che vive.

Un’opera di rilievo nello studio del mori-re e dell’accompagnamento al morente èquella della Kubler Ross che ha consoli-dato una notevole esperienza con i malatiterminali, ha individuato cinque livelli disentimenti esternati dai morenti che nonhanno necessariamente una successionesistematica ma possono emergere anchecon tempi diversi.

Questi sentimenti sono: § il rifiuto e la negazione della morte che

possono creare illusioni o false convin-zioni se non la rimozione totale del pro-blema;

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§ la collera, l’invidia e il risentimento chepossono generare una rabbia nelmorente che viene proiettata verso glialtri e cioè medici, infermieri, familiari. E’una rabbia che sottende un bisogno, ilbisogno di non essere lasciato da solo;

§ il patteggiamento è la fase in cui si cer-ca un compromesso. Ad un atteggia-mento di insicurezza subentra una fasein cui il malato comincia a fare delle pro-messe a se stesso per cui diventadisponibile alla cura, a qualsiasi cura.Da un punto di vista psicologico le pro-messe si possono collegare a qualchevissuto di colpa;

§ la depressione, quando il malato diven-ta consapevole della sua malattia e del-

l’inutilità delle cure che riceve, il corpocomincia a rinunciare e a diventare piùdebole. Il malato ora si trova di frontealla più radicale delle separazioni, quel-la dalla sua vita. Si rende conto che nonserve più aggredire o patteggiare, pren-de coscienza della serie di perdite chesta subendo e potranno scattare diversitipi di paure: la paura dell’ignoto, pauradella solitudine, paura della perdita del-la sua immagine, paura di perdere ilcontrollo di sé, paura del dolore e dellasofferenza, paura della perdita di iden-tità, paura della regressione … Una vol-ta intuita la causa della depressione, èpossibile fare un tentativo per mitigarequesto senso irrealistico di colpa o di

vergogna, attraverso una relazioneimprontata su sincerità, dolcezza e rea-lismo.Ci può essere anche una depressione

di tipo “reattivo” generata dalla paura del-la morte ma che non dipende dalla mortein sé ma da altri motivi: la dipendenzadagli altri, la consapevolezza soprattuttose si è giovani e se si ha una famiglia diessere utile e di aiuto, la paura della soli-tudine, i sensi di colpa del passato, lapaura per le sofferenze indicibili, questio-ni della propria vita irrisolti o incompiuti ecosì via. Piuttosto che immaginare dicomprendere l’ansia e la depressionepotrebbe essere più incisivo farsi spiega-re dal morente le motivazioni del suo sta-to;§ l’accettazione, è l’ultima tappa, in un

vuoto di sentimenti il malato abbandonala lotta per il riposo finale prima del lun-go viaggio. Può accadere in questa faseche il malato non abbia più voglia diparlare ma è importante che lui senta lavicinanza di qualcuno. Ci sono comun-que persone che lottano sino alla fineconservando un attaccamento alla vitatale da non raggiungere la fase dell’ac-cettazione. In questa fase il personalecurante deve aiutare la famiglia per farcomprendere i bisogni ultimi del lorocaro.

Il nocciolo della teoria della Kubler Rosspuò essere così formulato: se si deve evi-tare che i malati muoiano da soli, perstrapparli alla solitudine c’è un solo mez-zo, la possibilità offerta di condividere tut-ti i loro sentimenti.

Questo aiuto può garantirlo solo chi hastabilito in qualche modo un rapportosereno con la propria morte, diversamen-te si presenteranno grosse difficoltà arimanere efficacemente presenti accantoal letto del morente.

E allora diventa necessario per un ope-ratore sanitario cercare di chiarificare ipropri sentimenti verso la morte ed il mori-re nel tentativo di sviluppare il propriosistema di sostegno, acquisire consape-volezza dei propri meccanismi di difesa edell’effetto che essi possono avere neirapporti con il morente e assumere l’im-pegno a condividere con l’équipe curantele proprie paure e le proprie difese perelaborarle e superarle.

L’accompagnamento dell’uomo chemuore è sicuramente un compito difficilee angosciante, la prossimità alla propriamorte comporta angoscia dell’ignoto, per-dite e separazioni. Subentra un sentimen-to di inutilità della vita, il malato sperimen-ta la dissoluzione di se stesso e della pro-pria dignità, la vita gli diventa un peso.

Assistenza e accompagnamentorispondono ad una profonda necessità

8PAGINA Infermiere a Pavia

dell’essere umano che è primariamentequella di essere riconosciuto nella suasofferenza ed essere apprezzato, maanche quella di essere trattato come per-sona viva fino alla morte, nel rispetto dellapropria dignità.

Assistenza e accompagnamento devo-no riguardare la dimensione fisica, psichi-ca, sociale e spirituale della personamorente e devono essere estese alla suafamiglia tenendo conto che la perdita diuna persona cara è uno dei più terribilieventi che capitano ad un essere umano.E’ fondamentale supportare i familiari nelmomento delle cure, anche in vista dellaperdita futura e delle reazioni successivealla nuova realtà.

L’esperienza del lutto è stata presa inconsiderazione da autorevoli studiosiappartenenti a scuole di pensiero psicolo-giche diverse. Esistono più fasi di elabo-razione del lutto, dalla fase di torpore estordimento a quella di struggimento, poidi disperazione sino all’accettazione e allariorganizzazione della propria esistenza(dai risultati di ricerche condotte daBowlby e Parkes). Il lutto quale processofisiologico e naturale ha i suoi ritmi di svi-luppo e di guarigione.

Le reazioni al lutto possono riguardare illivello fisico, emotivo, mentale, spirituale esociale, le reazioni possono essere nor-mali o diventare patologiche sino all’auto-distruzione. Il processo interpersonale dellutto può anche rimanere bloccato.

Il lutto (latino lugere cioè piangere) è ilcordoglio (latino cordolium composto dacor (cuore) e dolere (provar dolore) per lamorte di una persona cara ossia la rispo-sta emotiva alla perdita di qualcuno oqualcosa.

Il cordoglio è una dinamica umana cheè inevitabile, comporta sofferenza, è por-tatore di crescita.

Per concluderea proposito della morte … la psichiatra

Kubler Ross ha detto:“ciascuno di noi vorrebbe evitare que-

sto passo, eppure presto o tardi ciascunodi noi deve affrontarlo”.

Bibliografia

Giulia Baraldi, “La qualità promessa” –Viaggio di un’assistente sociale nellecure palliative.

Eugenio Borgna, “L’arcipelago delle emo-zioni”, Edizioni Feltrinelli.

Alfonso M. Di Nola, “La nera signora”,Newton & Compton Editori.

Corrado Viafora, “Fondamenti di Bioeti-ca”, Casa Editrice Ambrosiana – Mila-no.

Enciclopedia Einaudi, “Morte” Volume

Il nostro Collega Peppino Rosselli, dopo quasi quarant’anni di attività avverte ildesiderio di tracciare un solco di riflessioni, scrivendo un libro per ripercorrere il suocammino professionale fatto di scelte, di convinzioni, di disponibilità,

Ho avuto l'opportunità di conoscerlo personalmente a Pavia e nella nostra con-versazione, durata circa quindici minuti, con la sua persona semplice, con il suo lin-guaggio essenziale e ricco di emotività, è riuscito a trasmettermi fiducia e profondoorgoglio per tutto quello che ha saputo realizzare. La promozione per l'acquisto diquesto libro, risulta dovuta, infatti sottolineo che l'intero ricavato delle vendite saràdestinato ad opera di beneficenza.

Segue una breve presentazione dell'autore e dei suoi progetti presenti e futuri; ilnostro augurio, più sincero, è quello di poterli realizzare pienamente: Peppinovogliamo congratularci con te per il tuo impegno di infermiere e di uomo al serviziodella vita.

Laura Lavezzi – Vicepresidente

Peppino Rosselli, “L'infermiere, un uomo a servizio della vita” - riflessioni suuna scelta - Editur Calabria, Editrice

Un'iniziativa editoriale al servizio della vitaPeppino Rosselli, infermiere professionale, caposala dirigente da quarant’anni, ha

voluto raccontare in questo libro la sua esperienza umana e professionale.Per proseguire, al di là della professione, il suo impegno di uomo al servizio del-

la vita, ha voluto devolvere in beneficenza, il ricavato delle vendite del libro.Così dal mese d'agosto 2001, cioè da quando è stato stampato il libro, Peppino

Rosselli ha incominciato a girare in lungo ed in largo la Calabria per presentare illibro e venderlo "porta a porta”.

In meno di sei mesi, due ristampe e migliaia di libri venduti, con un ricavato dioltre 40 milioni, tutti devoluti in beneficenza.

Le tappe dell’iniziativa16 ottobre 2001: Rosselli consegna L. 20.500.000 a Padre Fedele Bisceglia,

segretario delle Missioni estere dei Frati Minori Cappuccini di Cosenza. La sommaservirà per la realizzazione di un orfanotrofio per i bambini abbandonati dell'Africa,Pointe Noire, Congo Brazzaville.

Novembre 2001: Un assegno di L. 10.000.000 viene consegnato a Luigi De Luca,Presidente dell'Associazione “Progetto Oasi" di Belvedere Marittimo.

Gennaio 2002: Rosselli consegna a Don Ermanno Raimondo la somma di L.3.000.000 per una famiglia di calabresi bisognosi, residenti in Argentina.

Gennaio 2002: La somma di L. 10.000.000 viene consegnata alla sig.ra StellaMarconi, Presidente dell'Associazione "Crescere insieme" di Fuscaldo Marina.

L’impegno futuroÈ in tipografia la terza ristampa del libro con una tiratura di 3.000 copie e subito

dopo ce ne saranno altre. Peppino Rosselli intende arrivare ad un ricavato di alme-no 100 milioni, tutti da devolvere in beneficenza.

Dopo le associazioni per disabili, l'attenzione di Rosselli è adesso rivolta ai bam-bini orfani di Kabul che saranno l'oggetto delle prossime beneficenze.

A tal fine Rosselli ha già chiesto ad Emilio Fede la collaborazione dei TG4.Recapito: Peppino Rosselli c\o Casa di cura Tricarico - 87020 Marina di Belvede-

re Marittimo (CS) - tel. 0985.849091.

L’autore* Infermiera

SPDC - A.O. Pavia

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Alcune considerazioni generali.Non c’è solo la morte biologica, la più

radicale conclusione della vita, ma ci sonoanche la morte psicologica e quella bio-grafica.

La morte psicologica si ha quando unapersona non intende più vivere, non hapiù gioia della vita; la morte biografica siha invece quando non vi sono più motiviperché valga la pena di vivere.

In tutti i disturbi psichici, dalle nevrosialle psicosi, è determinante la presenza ela paura della morte.

Se nelle nevrosi la morte è contenuta econcentrata, nelle psicosi si ha prevalen-za della morte a livello mentale e nelladepressione … “ non si muore, la vita nonsi spegne e nondimeno in essa si è giàalla fine: si è nel deserto di un vuoto indi-cibile che si realizza nel vissuto di un esse-re morti interiormente”.

Nello psicotico la carica della morte nonè isolabile e concentrabile, né vi è la pos-sibilità di distanziarla nel tempo e nellospazio interni e la sopravvivenza è legataa meccanismi di difesa dalla morte che aloro volta sono patologici: la dissociazio-ne, la fuga, la non percezione che vengo-no continuamente esternalizzati. Altromeccanismo protettivo è la passività.

Si tratta di tentativi di disintossicazioneche consistono talvolta nel somministrareagli altri la morte dalla quale ci si senteinvasi.

Nella psicosi vi è alterazione dei concet-ti e delle percezioni di spazio e tempo, ciòè dovuto all’impossibilità di distanziare lamorte e di creare ritmi reattivi nei suoi con-fronti.

Il delirio è in parte effetto di proiezionedella morte interna, ma è in parte effettivapercezione della fragilità dello psicotico edel fatto che egli suscita nell’ambiente latendenza a distruggerlo.

Diverse sono le modalità psicotiche diri-vivere la morte: la morte come liberazio-ne, la morte accettata con rassegnazione,la morte temuta, la morte dimenticata, lamorte nutrita di angoscia, la morte frantu-mata.

La depressione è la percezione doloro-sa della morte a livello mentale, la morte èpercepibile a vario livello. Nei livelli biolo-

gici può divenire dolore fisico, nei livellicoscienti può divenire idea di morte, lamente ha sempre in sé la rappresentazio-ne della morte. Questa carica mortiferapuò provenire oltre che dall’interno anchedall’esterno. Il depresso, anche grave,conservando una certa capacità di soffriree quindi di reagire, è oppresso dalla mor-te ma non mescolato con essa. Può venirucciso dall’interno ma conserva un certogrado di coscienza di questo.

La depressione viene percepita dram-maticamente nella mezza età, nella qualeil tempo da vivere diviene progressiva-mente minore di quello già vissuto, e ciòsignifica che la morte ha preso effettivaprevalenza su di noi.

"L'estromissione dalla vita sociale efamiliare, è vissuta dall'anziano come unasorta di condanna a morte e la dispera-zione, il marasma, la morte cui fannoseguito realizzano il trauma personale ..."

In un’altra esperienza psicopatologica,la malinconia, non c’è una sola esperien-za della morte: alla morte possibile (lamorte volontaria che è la più frequente) siaccompagna talora, la morte impossibilecioè la morte che si dissolve e si fa inaf-ferrabile. Alla metamorfosi della morte sipossono associare due esperienze atroci:la nientificazione del corpo e la sopraffa-zione del demoniaco.

Non poter più vivere la morte comerealtà possibile non spegne l’angosciadella morte: la differisce nel tempo dila-tandola senza fine.

Il suicidio.Un fenomeno complesso, di notevole

rilevanza sociale, angosciante e misterio-so, possibile in molti e differenti disturbipsichiatrici, è rappresentato dalla mortevolontaria, il suicidio.

Il fenomeno del suicidio è ubiquitario, siritrova in ogni cultura e società. L’inciden-za del suicidio varia però nei diversi Paesinel senso che è più elevata nei Paesi nor-deuropei, in Canada, Australia e USArispetto ai Paesi latino-americani e ai Pae-si arabi.

Il suicidio si impone all'attenzione gene-rale e reca problemi di ordine individuale,sociale, psicologico ed etico.

La morte e il morireLa morte e il morire

nell’esperienza psicopatologicaAnnamaria Tanzi*

" ... Mi sento morire. Morivoieri mattina. Mi sento morire.Mi sento in un clima di trage-dia. Non solo, sogno di dormiresempre, e sogno infine di mori-re, ma quest'ultimo sogno è tur-bato dal fatto di sapere che lamia morte farebbe del male aimiei familiari. Così non pensomai seriamente al suicidio. Nonè facile morire. Cerco disperata-mente di non lasciarmi som-mergere ... Non ho voglia divivere perchè vivere significamorire".

(Il grido di dolore di Maria Teresa, una paziente.

Tratto da "Malinconia"di Eugenio Borgna,Edizioni Ferltrinelli)

10PAGINA Infermiere a Pavia

Il problema del suicidio si propone inparticolare all'attenzione degli operatorisanitari, sia perchè talvolta chiamati a pre-stare cura e assistenza a persone ospe-dalizzate in seguito a tentativo di suicidio,sia perchè propositi di suicidio e/o con-dotte autolesive sono manifestati alle vol-te da pazienti che si trovano in condizionidi profonda sofferenza psichica.

"Nelle psicosi l'attacco aggressivo delmalato verso se stesso rimane sovente ungesto unico, espressione di una determi-nazione autosoppressiva radicale o di unimpulso di estrema intensità ... Si posso-no osservare comportamenti di feroceaccanimento sul proprio corpo, che vienemutilato o deturpato ora nel corso di unraptus confusionale ora sotto la spinta diun impulso irresistibile, dal quale lo stessomalato si sente minacciato e chiede diessere protetto".

Nei confronti delle persone ricoverate inseguito a tentativo di suicidio, le cure el'assistenza riguardano il ripristino dell'in-tegrità fisica ma anche, predisporre unaserie di iniziative per un recupero psicolo-gico ed umano.

Questo perchè il tentativo di suicidio,anche quando non lascia nel corpomenomazioni o conseguenze ineliminabi-li, finisce sempre per accrescere i proble-mi di ordine umano, psicologico e socialedella persona .

Nel passato, le origini del suicidio omalamorte risalgono all'antica Grecia, neiconfronti della persona suicida, vi era unatotale condanna, persecuzioni, severogiudizio e privazione di diritti; oggi, seb-bene si considera il problema con unapproccio più completo e moderno checomprende una migliore conoscenza deicondizionamenti e delle motivazioniinconsce dell'animo e dell'agire umano, ilsuicidio comporta la paura dello stigmasociale per chi non ha portato a compi-mento il gesto autolesivo e per familiari(per questi ultimi anche quando l'atto ècompiuto senza ritirno).

La società "civile" di cui siamo parteintegrante è sempre più incline a giudica-re che a comprendere il disagio umano,psichico e sociale di una persona e dopo-tutto, la comprensione deve necessaria-mente passare attraverso l'assunzionedelle responsabilità che si hanno nei con-fronti della comunità che ci accoglie.

Verso l'assistito, possono aiutare senti-menti di umanità e comprensione affinchèesso possa recuperare la necessaria sti-

ma di se stesso e la fiducia verso il futuro. Un maggiore rischio di suicidio si ha tra

i soggetti affetti da disturbi psichiatrici, trale persone di età avanzata, tra i divorziatio i vedovi. Altri fattori di rischio possonoessere: perdita dei genitori in età infantile,un lutto recente, un’anamnesi familiarepositiva per suicidio, l’instabilità familiare,comportamenti ad alta emotività o forteinibizione, la disoccupazione, la scarsaintegrazione sociale, la deprivazione eco-nomica, la migrazione, la detenzione incarcere, il ricovero ospedaliero, le malattiefisiche specie se croniche.

Questi fattori di rischio elencati sonoespressione di una casualità multidimen-sionale, non riconducibile in alcun modoad un semplice meccanismo causa-effet-to.

I rapporti tra suicidio e psicopatologiasono stati estesamente indagati in lettera-tura e c’è accordo fra i vari autori nel rite-nere il disturbo mentale un indice diaumentato rischio autolesivo.

Un’ipotesi etiopatogenetica del suicidiointeressante è quella che fa riferimentoalla teoria psicosociale sugli atti autosop-pressivi, che ebbe origine con la pubbli-cazione, nel 1897, del saggio “Il suicidio”del sociologo francese Emile Durkheim.Punto centrale dell’ipotesi di Durkheim èche l’incidenza di suicidio in una determi-nata popolazione risulta inversamenteproporzionale al grado di coesione dellasocietà e al grado di integrazione dell’in-dividuo nella stessa.

Quando la società si disgrega e perdela sua azione di sostegno e di regola nel-la vita dei singoli, mancano le ragioni pervivere.

Nella parte introduttiva della monografiaè stato già citato Durkheim e la condizio-ne di anomia, questa condizione didisgregazione sociale si può verificare neimomenti di crisi ma anche nei momenti difloridezza economica, che rappresentanorotture di equilibri, mutamenti dell’ordinecollettivo durante i quali la società non è ingrado di esercitare un’azione di controllosulle aspirazioni dei singoli individui.

Durkheim riconobbe che l’anomia è unfattore regolare, specifico e costante delmondo moderno.

Questa ipotesi fu ripresa successiva-mente da altre correnti di pensiero socio-logiche, Merton (funzionalista) sostennenel 1949 che l'anomia è una caratteristicastabile e costante del sistema socialeamericano, responsabile della genesi di

comportamenti devianti, tra cui il suicidio.L'integrazione sociale è considerata l'e-

lemento principale nell'analisi delle condi-zioni sociali e culturali che possonoinfluenzare l'incidenza del suicidio.

Un'area importante da considerare èfuor di dubbio quella della prevenzione(secondaria), attuabile in un ottica multidi-mensionale considerando le possibilivariabili sul piano bio-psico-sociale ed ifattori di rischio relativi.

I risultati dell'intervento preventivo pos-sono diventare concreti se si pensa il sui-cidio come: sintomo aspecifico di unamalattia umana aspecifica.

Un approccio è quello basato sullavalutazione clinica per cui possonoessere prese in considerazione le espe-rienze di vita del soggetto, la struttura delcarattere, il meccanismo di adattamentoagli eventi e allo stress.

Secondo alcuni autori, i pazienti conidee autolesive attualizzerebbero sempre iloro fantasmi di morte agli interlocutori,attivando meccanismi di difesa quali: lanegazione, banalizzazione, razionalizza-zione e fatalismo.

Il colloquio dovrebbe essere di tipo sup-portivo e centrato sull'ascolto per valutare:le idee di suicidio, il loro carattere osses-sivo, impulsivo e organizzato, la loroambivalenza.

Importante è anche la valutazione del-l'intensità e grado di elaborazione deldesiderio di morte e le ripercussioni sullavita relazionale e professionale del sog-getto.

Nella valutazione della crisi che puòindurre il suicidio è necessario considera-re:- motivi addotti dal soggetto- sue reazioni affettive (colpa, rimorso,

distacco, iperemotività, impulsività, riso-luzione apparentemente lucida)

- modalità di rapportarsi all'interlocutore(frequente l'assenza di contatto peresempio sguardi, tensione muscolareansiosa)

- condotte considerate come equivalentidel suicidio (alcolismo, tossicomanie,automutilazioni)

- capacità di proiettarsi nel futuro- qualità dell'autostima, degli investimenti

affettivi, dell'integrazione relazionale- capacità di elaborazione della situazio-

ne attuale.Una profonda conoscenza del paziente

potrebbe recare ad una corretta valutazionedel rischio di suicidio per la prevenzione.

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Non è un facile compito per chi operasoprattutto nell'ambito della salute menta-le/psichiatria.

Non è facile affrontare il tema della mor-te nelle istituzioni psichiatriche forse per-chè continuamente a contatto con il fanta-sma della morte psichica.

Il suicidio come atto portato a compi-mento lascia sempre un "vuoto" negli ope-ratori della salute mentale; lascia attoniti,muti e scoperti emotivamente e il vuotoviene riempito da sentimenti di fallimento(anche sensi di colpa), dubbi, incertezze enuovi interrogativi sulla persona sofferen-te indagabile sempre fino ad un certopunto, su se stessi e sulla propria operati-vità con un grande rischio di demotivazio-ne e di burn-out.

La morte naturale in psichiatria.Per ritornare al tema della morte e al

morire nella psicopatologia, un altradomanda può essere: di malattia mentalesi può morire?

"L'idea che elementi di ordine affettivo(come il dolore morale) o squisitamentepsicologici (come le rappresentazioniindividuali o collettive e le credenze) pos-sono essere vere e proprie cause di mor-te naturale in psichiatria non ha trovatoposto in nessuna nosografia. Sono altresìquesti stessi fattori considerati ovviamen-te importanti nella genesi della morte vio-lenta.

La catatonia acuta, l'anoressia mentale,il delirium tremens, la sindrome neuroletti-ca maligna sono alcuni esempi di comepossa sopraggiungere la morte naturaleper cause esclusivamente psichiatriche.Questi decessi a differenza di una mortenaturale in senso stretto, creano sconcer-to nell'èquipe curante, uno scacco tera-peutico, incidenti di percorso possibili maper i quali si mette in discussione il pro-prio operare anche se in questi casi, nonsi rende accessibile una spiegazione etio-patogenetica sufficientemente valida.Solo ipotesi vaghe e contraddittorie, ten-tano di definire le modalità con cui unapatologia inizialmente solo psichica, pos-sa evolvere in una "catastrofe corporea"capace di condurre a morte un pazientemalgrado i cospicui interventi rianimatori.

La maggior parte di questi casi di mortenaturale, si collocano sulla linea di conti-nuità fra la patologia psichiatrica e quellasomatica.

Nella pratica clinica emergono difficoltàper formulare una diagnosi differenziale

fra malattia psichica primitiva e alterazioneorganica delle funzioni nervose quandoesse si manifestano, entrambe, con unadestrutturazione della personalità o delcampo di coscienza.

E' proprio in questa area di ambiguitàdel sintomo che trovano spazio il pregiu-dizio e la stigmatizzazione sociale delmalato di mente.

In altri casi può verificarsi che unpaziente assuma una modalità psicopato-logica (dolore morale, delirio ipocondria-co, vissuti di depersonalizzazione) chepuò nascondere malattie organichepotenzialmente letali.

A prescindere dal tema del suicidio,anche in psichiatria è possibile morire dimorte naturale anche se il numero di talidecessi è veramente esiguo.

Nelle situazioni sopra citate: catatoniaacuta, anoressia mentale, sindrome neu-rolettica maligna, delirium tremens, l'infer-miere si deve completamente sostituire alpaziente per tutti i bisogni di assistenzainfermieristica nella fase acuta e se non viè un exitus, gradualmente si può condur-re il paziente verso l'autonomia possibile.Tutto il lavoro infermieristico impone unasorveglianza continua nelle ventiquatttroore e controllo dei parametri vitali accom-pagnati dal sostegno psicologico e dallaprossimità e vicinanza al paziente alloscopo di non alimentare vissuti di paura,solitudine e profonda angoscia.

E' sempre auspicabile un lavoro d'équi-pe perchè il carico emotivo è veramentestraordinario.

Bibliografia

§ Eugenio Borgna, "Malinconia", EdizioniFeltrinelli

§ Petrella, "Sulla morte psicogena", Edi-zioni Raffaello Cortina - Milano - 1993

§ Eugenio Borgna, "L'arcipelago delleEmozioni", Edizioni Feltrinelli

§ De Martis - Petrella, "Sul significato del-l'iterazione di condotte autolesive", RassStudi Psichiatrici 1968

§ Ignazio Majore, "Morte Vita e Malattia",Casa Editrice Astrolabio

§ Romolo Rossi, Giuseppe Cartelli, Mauri-zio Bucca, "Igiene Mentale" - Psichiatriae prevenzione, Edizioni La Nuova Italia

§ Mosè Furlan, "Etica Professionale perInfermieri", Edizioni Piccin

§ Alfonso M. Di Nola, "La Nera Signora",Newton & Compton Editori

§ Per l'argomento sulla MORTE NATURA-LE IN PSICHIATRIA, è stato utilizzato unlavoro mato all'interno di un'ampia ricer-ca che si proponeva di verificare l'esi-stenza in vita e di riflettere sulle cause dimorte per i pazienti che in passato era-no stati ricoverati presso il Servizio Psi-chiatrico di Diagnosi e Cura di Pavia. Il lavoro dal titolo "Qualche parola sullamorte ..." - Considerazioni sul decessodi alcuni pazienti psichiatrici è statocondotto dal Dott. P. Politi (Medico Psi-chiatra nel SPDC di Pavia) e dallaDott.ssa A. Giroletti (Specializzata inPsichiatria presso l'Università degli Stu-di di Pavia).

L’autore* Infermiera

SPDC - A.O. Pavia

12PAGINA Infermiere a Pavia

Uno studioso francese sostiene che l'ar-te in generale, ma anche la poesia, il gio-co infantile e il cinema nascono dal "com-plesso della mummia", cioè dal terrore nelguardare la "morte in faccia". Tutte questeespressioni culturali nascerebbero, quin-di, secondo questa interpretazione, dal-l'angoscia della morte e ne rappresente-rebbero lo "strumento" per il suo supera-mento.

Per me non è facile parlare della mortenel bambino, dal momento che, troppevolte, l'esperienza professionale mi hapurtroppo messo di fronte a questa crudarealtà; così, per poter affrontare questoargomento difficile, misterioso e impene-trabile, mi sono affidata alla poesia di ungiovane adolescente scritta nel camminodella sofferenza della sua malattia oncolo-gica.

Alessandro nella prospettiva della mor-te scrive:

La metaAvrei voluto arrivarema arrivare dove non so?,avrei voluto arrivare là!dove la mia mente è giàlà! così lontano, così vicino da poterci andare.

Il concetto di "morte" è correlato all'etàdel bambino ed è diverso a secondo del-le capacità intellettive e dello sviluppo;esso si organizza attorno a due puntiessenziali: la percezione dell'assenza el'integrazione della permanenza dì questaassenza.

Quattro fasi permettono di ritrovare letappe principali:

- fase di non comprensione totale (da 0a 2 anni);

- fase astratta di percezione mitica dellamorte (dal 2 al 4-6 anni);

- fase concreta di realismo e di personi-ficazione (fino ai 9 anni);

- fase astratta di accesso all'angosciaesistenziale (a partire dai 10-11 anni).

Solitamente si ritiene che durante i primidue anni di vita non vi sia nel bambino unconcetto di morte vero e proprio, ma siacostantemente presente il timore di sepa-rarsi dalla protezione e dall'affetto dellepersone.

Verso i tre anni rimane ancora intensa-mente presente il "timore della separazio-ne" e la morte non costituisce ancora unmomento della vita che il bambino si pro-spetta.

Tra i tre e i cinque anni molti bambinicominciano a percepire il momento dellamorte ma come qualcosa che accade aglialtri; il concetto di morte è ancora vago. Èassociato al sonno, all'assenza di luce e dimovimento. La morte non è ancora con-siderata come un evento irrevocabile, macome un evento accidentale che nonpotrà mai coinvolgerli direttamente.

Gli atteggiamenti ed i pensieri dei bam-bini non cambiano improvvisamente colprogredire dell'età, ma evolvono gradual-mente e in maniera diversa da soggetto asoggetto. Questo aspetto va consideratoquando si parla del concetto di tempo, dispazio o di morte. Dall'età di circa seianni, il bambino si mostra a poco a pococonvinto che la morte sia un evento termi-nale, inevitabile, universale, che lo puòriguardare direttamente.

Molti bambini di 6-7 anni iniziano asospettare che i loro genitori un giornomoriranno e che essi stessi pure possonomorire ma solo in un futuro molto lontano.

All'età di 10-11 anni diventano com-prensibili l'universalità e l'irreversibilità del-la morte.

Nel momento in cui i bambini raggiun-gono l'adolescenza vengono a possederele capacità intellettive necessarie a capireil concetto di tempo, spazio, vita e mortein modo logico.

Quello appena descritto è il normale svi-luppo delle capacità dei bambini di acqui-sire il concetto di morte. Un più rapidoprocesso si verifica quando il bambino ègravemente malato. Le conseguenze del-la sua grave malattia che egli vive ognigiorno, i cambiamenti spesso radicali del-la sfera emotiva, potrebbero fargli avverti-re la minaccia alla sua vita prima dei suoicoetanei sani, pur non arrivando a com-prenderla completamente.

Recenti studi su bambini tra 6-10 anniaffetti da una grave malattia, dimostranoche, malgrado gli sforzi dei genitori e delpersonale di assistenza di impedire che ilbambino si renda conto della prognosi,

Rosalba Verri*

“Nascendo diventiamo debitorialla natura di una morte”

(Sigmund Freud)

13PAGINANumero 4/2002

egli in qualche modo riesce ad intuire chela sua non è una malattia banale.

Il bambino si forma un'idea sempre piùchiara della sua morte man mano che glisi avvicina.

L'esistenza di una malattia ad evoluzio-ne fatale, inoltre, mette anche la famigliadi fronte all'evento morte: la maggior par-te delle persone si preoccupa non tanto dicosa sia la morte, quanto di come affron-tarla.

Per chi è a contatto con i genitori di unbambino affetto da una malattia che neminaccia la vita, è difficile avere la pazien-za, la capacità e la preparazione, di aiuta-re i genitori a divenire consapevoli del loroatteggiamento e delle loro reazioni di fron-te alla morte. Bisognerebbe innanzituttoavere delle conoscenze e delle informa-zioni precise su questa famiglia, su comein passato abbia già eventualmenteaffrontato questo problema. Ci si dovreb-be quindi porre le seguenti domande:- la famiglia ha avuto una precedente

esperienza con la morte?- cosa ha significato la morte di un non-

no, di una zia, di un caro amico o di unvicino?

- qual'è stata la reazione dei genitori?- hanno sofferto in modo diverso?- hanno condiviso il dolore tra loro e con

gli altri componenti della famiglia o han-no sofferto in silenzio, chiusi in se stessi?

- hanno coinvolto i figli?- a che età ?

La conoscenza dell'approccio emotivocon il concetto di morte che la famiglia hamanifestato nel tempo costituisce unrequisito importante per capire comeapprocciarsi al bambino e per parlare a luidella sua malattia grave.

È fondamentale, quando si affronta unproblema così umanamente importante,comprendere quale sia la richiesta deigenitori e quale sia il ruolo critico svoltodalla famiglia come ambiente primario,emotivo e razionale del bambino.

La concezione del mondo, le convinzio-ni religiose, la filosofia della vita e dellamorte della famiglia, costituiscono la sor-gente da cui il bambino trarrà il suo signi-ficato di vita e la sua forza.

È indispensabile che l'operatore sanita-

rio comprenda il pensiero del bambino edei genitori: egli deve aiutare la famiglia atrovare in se stessa le forze necessarie afronteggiare la situazione, soprattutto perla vita che attende i genitori e gli eventua-li fratelli dopo la morte del bambino. I fra-telli possono reagire sia con manifestazio-ni sintomatiche (ansia, depressione, fobiascolare), sia con una apparente ipermatu-rità e una saggezza che esigono un prez-zo da pagare, spesso durante l’adole-scenza (sentimento di essere statoabbandonato, difficoltà a separarsi dalgenitori, ect.).

Senza avere coscienza della sua prossi-ma morte (… e quale adulto ne ha piena-mente coscienza?) il bambino può perce-pire acutamente l’improvviso malesseredegli adulti che gli stanno attorno.

Nei miei vissuti personali (Maurizio,Lucilla, Roberto, Chiara. Emanuele, Silvia,Giuseppe, Antonio, Paolo, Danilo, Danie-le, Laura, Alice, Mattia, Andrea, Nilde,Gaetano, Valentina, Fabio . . .), la morte èun evento triste, brutale, imprevedibile,che lascia secondo la circostanza in cui

avviene: sconcertati, delusi, amareggiati,arrabbiati, incapaci a reagire, feriti neisentimenti più profondi, perdenti e porta-tori dì pesanti sensi di colpa che ci porte-remo sulle spalle e nel nostro cuore per ilresto della vita.

Nella fisiologia umana, la morte è l'e-vento finale che chiude il ciclo della vita diogni essere vivente, per vecchiaia, perincidenti vari o per malattia.

Per l’infermiere che lavora in OncologiaPediatrica la morte è l'evento più cattivo,frustrante, terribile, demenziale, inaccetta-bile e indegno che possa capitare.

LA MORTE DEL BAMBINO NON SIACCETTA MAI!

Qualunque sia la strada tortuosa e insi-diosa della malattia oncologica, la soffe-renza fisica e psicologica che il bambinodeve sopportare, c'è da parte di tutti colo-ro che ruotano attorno al bambino, lavolontà ferrea, di allontanarla il più possi-bile, quando arriva è una tragedia incom-menensurabile!

LA MORTE DEL NEONATO è triste etenera contemporaneamente: sfiorando

14PAGINA Infermiere a Pavia

con delicatezza quel batuffolo inerte, sispera che non diventi mai freddo e blua-stro; si vorrebbe solo affrettare i tempi eimmaginarlo già un angioletto salito in cie-lo.

LA MORTE DEL BAMBINO IN ETÀPRESCOLARE è molto triste e prematura:non gli viene offerta nessuna possibilità divivere e di conoscere tutte quelle coseche la sua curiosità gli avrebbe permessodi fare se solo avrebbe avuto un po' più ditempo.

LA MORTE DEL BAMBINO IN ETÀSCOLARE è anch'essa molto triste e pre-coce. Vedi in un attimo scorrere le imma-gini di quel ragazzino mancato che lasciatutto quello che aveva appena imparato aconoscere e che forse incominciava acomprendere e ad assaporare.

LA MORTE DELL'ADOLESCENTE è tri-stissima, ingiusta, ti lascia interdetto, nonpuoi e non vuoi fartene una ragione, è ungiovane che ha lottato per uscire indennedall'età più difficile, più complessa e quan-do forse c'era riuscito perde tutto in quel-l'attimo fuggente!

In quel momento cerchi di immaginarecome in un film, quale sarebbe stato il suofuturo, quali sogni avrebbe potuto e volutorealizzare: invece sei costretto a tornarealla cruda realtà e a vedere quel giovanecorpo ormai senza vita che ci ha lasciatoper sempre senza mai diventare uomo odonna!

Comunque, al di là delle considerazionilegate all'età del bambino e alla malattiaoncologia, la morte di per sé è un eventocrudele che porta con sé dubbi e con-traddizioni forti, di carattere religioso,sociale, etico e morale a cui nessuno riu-scirà mai a dare riposte accettabili.

Solo il tempo forse riuscirà forzatamen-te ad allontanare l'evento, ad attutire ildolore che purtroppo non ci abbandoneràmai!

Per concludere, assistere con il massi-mo impegno umano e professionale alle

reazioni dei genitori di fronte al verificarsidi un evento così grave e senza ritorno èimpossibile! La disperazione raggiungelivelli disumani, il pianto spesso si trasfor-ma in urla strazianti, il cuore dei genitori èferito mortalmente e quella ferita cosìprofonda non è destinata a rimarginarsifacilmente. Lo sconforto, la tristezza e lasolitudine interiore, la stanchezza fisica epsicologica di chi ha lottato duramente esi ritrova perdente, lasciano col passaredel tempo lo spazio alla rabbia, ai rimorsi,ai sensi di colpa per una sconfitta tremen-da che ti colpisce alle spalle, ti logora ilcervello come un tamburo battente che tiimpone con violenza di cercare risposteimmediate a quella tragedia che staivivendo, risposte che forse non si trove-ranno mai...

Altre volte, invece, il pianto lascia spazioad un "silenzio terrificante, a sguardiimpietriti che parlano da sé ed esprimonoil massimo livello del dolore umano. Inquesto dolore si legge tutta l'amarezza ela delusione del genitore sconfitto, insicu-ro e convinto forse di non aver fatto abba-stanza, di aver forse perso tempo prezio-so, di aver sottovalutato i problemi, di nonaver colto in anticipo il cambiamento nelproprio figlio e allora si è pronti ad auto-processarsi.

La conclusione di questo triste argo-mento voglio lasciarla ancora ad Alessan-dro che attraverso un profonda riflessionenel testo: "Se non dovessi vivere" ci lanciaun forte messaggio di speranza e di CRE-DO nel futuro e nell'Aldilà.

Se non dovessi viverequando vengono i pettirossi,date a uno di essiuna briciola in memoria.Se non potessi ringraziarviessendomi appena addormentatopensate che tenterò di farlocon le mie labbra di granito.

Io sono convinta che le riflessioni diquesto giovane, adolescente possanodiventare per noi Infermieri, uno stimolo apromuovere nuove ricerche su questotema che purtroppo, fa parte quotidiana-mente della nostra vita personale e pro-fessionale. Ci deve aiutare a capire unacosa fondamentale, vale a dire che "lapeggior esperienza di morte è quella vis-suta nella fredda solitudine dell'abbando-no".

Infine, un messaggio ai giovani Infer-mieri che si troveranno ad affrontare que-sta triste realtà: presenza, silenzio, rispet-to sono le tre parole chiave per svolgere almeglio il nostro ruolo in queste tristi circo-stanze.

Il viale del tramonto che segna la finedella nostra esistenza su questa terra èmolto triste per tutti, ma se questo tra-monto non è accompagnato da un con-tatto umano diventa più crudele della mor-te stessa!

Bibliografia

“PSICOPATOLOGIA DEL BAMBINO” diDaniel Marcelli. Ed. Masson

“QUEL CHE RESTA DEL VIAGGIO” diAlessandro Manini, raccolta di poesiecon presentazione di Federico Bonetti.

“BOOKS” Comunicare con i bambini affet-ti da una grave malattia cronica di Johne Patricia Spinetta, Psicologi americani,università statale San Diego, California.

L’autore* Infermiera

Il Gruppo per i rapporti tra la collettivitàInfermieristica è lieto di invitarTi al

— una serata informale, tra colleghi ed esperti —L’appuntamento è fissato per venerdì 28 giugno 2002 alle ore 20.30 presso la sede delCollegio, via Lombroso, 3/B a Pavia.Il tema di questa serata sarà “L’OSS: figura di supporto all’attività infermieristica”Vista la capienza ridotta della sala è fondamentale la prenotazione telefonica presso la segreteriadel Collegio al n° 0382525609. Ti aspettiamo!!

“Caffè Infermieristico”

15PAGINANumero 4/2002

Riesce sempre più difficile accettare l’i-neluttabilità della morte, questo atteggia-mento e la nostra cultura c’impedisconodi avere un rapporto chiaro, basato sullarealtà, con la persona morente, di solito almalato sono nascoste le sue condizioni, èperciò molto difficile effettuare un accom-pagnamento alla morte dignitoso e corret-to nei confronti della persona.

Così non è nei paesi anglosassoni dovesi va creando una rete di servizi volti asostenere il malato terminale. In Inghilter-ra, in Canada, negli Stati Uniti d’America,in Australia il concetto di cure palliative hadato vita a studi, ricerche e strutture voltead aiutare il paziente e la sua famiglia amantenere la qualità del percorso di vitache rimane a livelli accettabili e dignitosi,inoltre, in seguito allo stimolo intuitivo diuna persona, Cecily Saunders, da circavent’anni si stanno diffondendo quelleparticolari strutture, pensate per l’acco-glienza del malato in fase terminale, deno-minate Hospice.

In Italia sempre più sono le struttureospedaliere che si stanno dotando di unservizio di cure palliative, nel 1997 glihospice erano solo tre e tutti situati nelle

regioni del nord del Paese.Le difficoltà che incontra que-sto settore sono prevalente-

mente culturali, chi tra noiinfermieri e men che

meno tra i medici èdisposto ad accettarela propria fallibilità,chi è in grado diorientare il propriointervento non piùverso il debellarela malattia, maverso il migliora-mento delle con-dizioni di vita, chi

accetta di smetteredi curare per comin-

ciare a “prendersicura”?Eppure il grande

incremento delle malattiedegenerative, prime fra tutti il

cancro e l’AIDS e i continui taglinella spesa sanitaria, che obbligano

gli ospedali a dimettere in breve tempo ilmalato, non più in fase acuta, ma comun-que in cattive condizioni, ci stannocostringendo ad un cambiamento di rottache deve essere supportato da una men-talità diversa e, conseguentemente, daun’adeguata formazione.

Il movimento delle cure palliative in Ita-lia, perché tale deve essere chiamato, ènato in forma di volontariato. Le Cure pal-liative non esistono come disciplina istitu-zionale, le unita operanti sono costituiteda medici, soprattutto terapisti del doloreed oncologi, infermieri e volontari, riuniti inassociazioni o fondazioni per sopperirealla necessità di garantire un’assistenza,erogata prevalentemente a domicilio, almalato terminale che, dimesso, non trovasul territorio un adeguato seguito alle cureospedaliere.

La filosofia che anima le unità di CurePalliative e gli Hospice non è facile daattuare: aiutare il malato in fase terminalea mantenere una buona qualità di vita nonsignifica solo praticare una buona terapiaantalgica che sia in grado di lenire i sinto-mi più invalidanti, significa anche facilitareil paziente nell’elaborazione dei propribisogni in relazione alla malattia, sianoessi fisici o psicologici, significa aiutaretutta la famiglia a gestire le dinamiche chesi vengono a creare, significa formareoperatori consapevoli. Ed è proprio lacomplessità dell’obiettivo a renderne diffi-cile l’attuazione. Per ottenere risultatiaccettabili gli operatori che lavorano inqueste Unità sono costretti a mettersicostantemente in gioco. Medici, infermie-ri, O.T.A., volontari devono trovare tra lorouna grande coesione, devono imparare alavorare insieme ponendo, più che mai, ilmalato e la sua famiglia al centro del lorooperato. L’approccio umanistico necessa-rio ad una visione corretta dell’assistenzacostringe ad un capillare lavoro d’equipedove il confronto e lo scambio tra opera-tori sia continuo. Dalle esperienze italianee anglosassoni si deduce l’assolutanecessità di una supervisione esterna chepossa supportare e sostenere in questodifficile compito le persone che operanonella realtà delle Unità di Cure Palliative, inItalia sono rare le realtà che possono

Un mantello per riparareCure palliative, hospice, assistenza domiciliare aimalati terminali: la situazione italiana e pavese

Maura Cattanei *Giovanna Rebolini **

16PAGINA Infermiere a Pavia

disporre di strutture logistiche e di figureprofessionali atte a sostenere il lavoro ditutti rendendolo sereno e veramente effi-cace.

Il compito principale che svolgono glioperatori delle unità di Cure Palliative è ilcontrollo del dolore e dei sintomi connes-si alla malattia, ma per raggiungere que-sto scopo l’esperienza ha insegnato che ilfattore umano è più importante dei farma-ci. Il riuscire a creare un ambiente coesoin cui tutte le figure lavorano insieme, iltenere conto dei bisogni, anche “banali”,della persona malata, il rendersi contoche non è possibile fermarsi al corpo mache bisogna andare oltre, rende necessa-ria la presenza delle figure di psicologi,counselor, religiosi e, più importanti, deifamiliari.

Questo stravolge la normale gestionedel malato ospedalizzato, non è più pos-sibile mantenere i normali ritmi di reparto,né la sua struttura ambientale. Se si ritie-ne opportuno consentire ai famigliari direstare vicino al malato è necessariodisporre di spazio per un letto in più, se siconsente al malato di portare in ospedaleoggetti che gli rendano più famigliarel’ambiente occorre avere camere singole,se si è convinti dell’importanza della rela-zione con le persone assistite è necessa-rio che tutti abbiano il tempo di soffermar-si a parlare con il paziente e la sua fami-glia.

Queste, ed altre di natura economica,sono le ragioni per cui è così difficile orga-nizzare un reparto di Cure Palliative o unHospice all’interno degli ospedali ed è perquesto che le Unità presenti nel panora-ma italiano si sono orientate verso unagestione domiciliare del paziente spessogestite e/o supportate da organizzazionino-profit di volontariato.

La prima realtà a nascere è quella dellaDomus Salutis di Brescia, sorta quindicianni fa vive il privilegio e l’onere della pri-mogenitura, primogenitura che diventascomodità e imbarazzo di essere quasisola. L’organizzazione della Domus Salu-tis si articola organicamente in servizioambulatoriale, assistenza domiciliare edin degenza con l’obiettivo di “fornire al

malato una reale libertà di scelta riguardoal setting, adattandolo ai suoi bisognieffettivi”.

La Casa di Via Natale 2 di Pordenone èattiva dal 1996, i riferimenti reperiti (risa-lenti al 1997) la descrivono organizzata in12 mini appartamenti autonomi dotati dicucina, camere con un letto attrezzato eun letto per l’ospite, bagno, una zonacomune, ambulatorio, servizi. La strutturaè sorta grazie all’associazione no-profit“Via di Natale”, essa sostiene parte deicosti supportata da una convenzione conla Regione Friuli Venezia Giulia.

La “Casa di Cura Capitanio”, a Milano,gestita dalle Suore di Carità delle SanteBartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa,meglio note come Suore di Maria Bambi-na, ha creato un’Unità di Cure Palliativenel 1990, purtroppo per vari motivi, ancheburocratici, nel 1996 si è determinato uncambiamento che ha riportato gli spaziper i malati terminali in un piano di degen-za che assiste malati di varie patologie.Questo cambiamento però non ha impe-dito il proseguimento della formazione ela produzione di nuove tesi da parte deglioperatori (ne potrete trovare alcune nellabiblioteca del Collegio I.PA.S.V.I. di Pavia).

Un discorso a parte merita il progetto diHospice approntato nel territorio dellaASL MI2 di Melegnano.

Lo studio del progetto, iniziato diversianni fa, ha visto la partecipazione di un’e-quipe che comprendeva tutte le figuresanitarie, alcuni familiari e architetti che,toccati dal problema, hanno pensato spa-zi e strutture in modo da garantire unabuona assistenza ai malati terminali,coniugandola in spazi rasserenanti. Comesappiamo nel corso di questi ultimi anni lasanità in Lombardia ha visto vari cambia-menti in corso d’opera, tanto che il territo-rio di Melegnano ha visto il succedersi ditre diverse amministrazioni. A causa diquesti cambiamenti, purtroppo, la struttu-ra è rimasta completamente inutilizzata edè un vero peccato perché il lavoro com-piuto è stato capillare, basato su intervisteformulate per conoscere le esigenze dellefamiglie e dei malati, tenendo conto dell’i-dea che i possibili fruitori del servizio e glioperatori avevano dell’hospice, il proget-

to, che è stato tradotto in un libro che tro-verete segnalato nella bibliografia, è statoampiamente condiviso e accettato da tut-ti.

A Pavia la situazione si sta evolvendoproprio in questi giorni. Già da qualcheanno è attiva l’”Associazione pavese LinoSartori per la cura del dolore”, i membri diquesta associazione, infermieri, medici evolontari, operano nel territorio della cittàe della provincia di Pavia rivolgendosidomiciliarmene ai pazienti terminali quan-do questi non possono recarsi presso lestrutture sanitarie predisposte. Come sup-porto ospedaliero, ambulatoriale e di rico-vero, è attivo presso la Fondazione Mau-geri Clinica del Lavoro un servizio di“Terapia del dolore e Cure Palliative” esempre presso la Clinica si stanno oraapprontando quattro posti letto in Hospi-ce.

Da una relazione congressuale relativaal lavoro dell’associazione è possibiledesumere alcuni dei problemi che glioperatori e i volontari incontrano nellosvolgimento della loro opera, il rischio diborn-out è molto alto e i volontari incon-trano molte difficoltà a farsi accettare dal-le famiglie.

Nella stessa relazione sono presi inconsiderazione alcuni degli aspetti piùproblematici della relazione d’aiuto con ilmalato e la famiglia, i bisogni dell’opera-tore e l’influenza che possono avere all’in-terno dell’equipe.

Ho chiesto ad un medico anestesi-sta, partecipante al progetto se midava spiegazioni in merito ai ritardinell’apertura dell’Hospice. Purtroppo,soprattutto per chi potrebbe usufruiredella struttura che è pronta, non havoluto scrivere nulla, la sua risposta èstata: “È una ferita troppo fresca chenon amo riaprire, è incomprensibileche una struttura così bella non siaancora funzionante dopo tutti gli sforzieffettuati e gli investimenti messi incampo per costruirla. Grazie, comun-que, per avermelo chiesto.”

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Il problema del silenzioIl dilemma è: “parlare o tacere”. L’ope-

ratore si trova di fronte alla parola o alsilenzio come scelta di evitare o instaura-re e in che modo la relazione: se tace esceglie di essere vicino al malato dovràcontenere l’ansia data dal silenzio; se par-la dovrà scegliere cosa dire e a chi dirlo.Nella pratica si troverà in una posizione diterzo tra malato e famiglia, tra malato efantasmi di morte, senza poter agire libe-ramente.

La posizione genitorialeUn’altra situazione problematica si ha

quando l’operatore si pone in una posi-zione genitoriale, esso adotta il malato,ma rischia di trovarsi a fronteggiare richie-ste che oltrepassano la propria disponibi-lità. Le motivazioni dell’operatore posso-no essere esplicite o implicite. Quelleesplicite sono generalmente legate al ruo-lo professionale e sostenute dal concettodi competenza. Quelle implicite sono fre-quentemente non chiare, ma sonocomunque in gioco e determinano un vin-colo che lega l’operatore al malato. Incor-rere in questo atteggiamento porta perso-ne preparate, a rischiare una svalutazionedi sé, a rabbia verso il malato e la suafamiglia e a generare ansia o confusione.Di fronte alle difficoltà della situazione ealle sofferenze che essa porta con sè, l’o-peratore tende ad assumere una posizio-ne da genitore onnipotente (penserò a tut-to io), in questo modo non vede le risorsepresenti nella famiglia e nel malato erischia di non lasciarle sviluppare, il mala-to accetta questo messaggio nascosto eaumenta le sue richieste instaurando unaspecie di sfida (hai detto che potevi e allo-ra fammi vedere: se non riesci significache i genitori e tutti gli adulti sono inaffi-dabili e incompetenti). Ma le risorse del-l’operatore non sono infinite, questo puòdeterminare delusione e senso d’impo-tenza che vanno ad inficiare una relazionesana e costruttiva, i soggetti coinvolti sivengono a trovare in una relazione sim-biotica che svaluta le risorse e i bisogni ditutti.

Relazione simbiotica tra operatore emalato e tra equipe e operatore

Quando l’operatore entra in relazionesimbiotica con il malato rinuncia a soddi-sfare i propri bisogni emotivi e li proiettasul malato (questo bambino non ce la fa,devo farcela io per lui, se io non ce la fac-cio sono una cattiva mamma). Non poten-do scambiare queste emozioni negativecon il malato, l’operatore si propone,all’interno dell’equipe, come bisognoso,attribuisce al team un ruolo genitoriale piùcompetente, ma allo stesso tempo, losqualifica se non riceve abbastanza aiutoe protezione.

Ideale è passare dal “fare per” al “farecon”

Per compiere questo passaggio ènecessario che l’operatore possa disporredi una supervisione e di una formazionecontinua, in questo modo può sperimen-tare la possibilità di vivere la sua richiestadi aiuto rispetto al gruppo con la totalitàdella sua persona, ha la possibilità di rico-noscere le sue emozioni, valutarle comerisorse da attivare nella relazione e di valu-tare positivamente quello che prova. Que-sto si rispecchierà nella relazione con ilmalato, l’operatore potrà riconoscerglirisorse emotive, fisiche e mentali che glirestituiranno la possibilità di vivere a suomodo la propria esperienza all’interno diuna relazione d’aiuto corretta.

È indubbio che il lavoro svolto all’inter-no delle unità di Cure Palliative e deglihospice è estremamente coinvolgente,esso chiede all’operatore di mettere ingioco se stesso nella propria totalità, illavoro, per chi sceglie di svolgere l’assi-stenza al malato terminale, diventa unodei momenti più alti nella formazione siacome operatori sia come persone.

In questo momento storico, dove pareemergere una sorta di volontaria solitudi-ne di fronte alla morte, dove i riti legati aquesto evento vanno progressivamentescomparendo e la fede è una convinzionesempre più intima e personale, le personeche si occupano di assistenza ai malatiterminali hanno bisogno di essere sup-portate da una formazione che compren-

da l’aspetto relazionale, psicologico, eticoe morale della vita e se questo comportal’onere di prendere coscienza di Sé in pri-ma persona, significa anche avere l’onoredi diventare persone migliori.

Bibliografia

G. Mola (a cura di): “Cure Palliative,approccio multidisciplinare alle malat-tie inguaribili”, ed Masson 1988

S. Nicosia: “Il movimento Hospice in Italia,un decennio a fianco del malato e delmorente”, ed C.E.L.I 1997

A.Calducci, P. Ielasi, E. Ranci Ortigosa:“Ci sarà una casa, la progettazione diun hospice nella Ussl di Melegnano”,ed Franco Angeli 1995

Per conoscere in dettaglio le realtà ope-ranti sul territorio italiano regione perregione:

http://www.osservatoriocurepalliative.org/lib/frameset.asp

L’autore* Infermiera – Poliambulatorio – A.O. Pavia** Infermiera – Coordinatrice volontari Associa-

zione “Lino Sartori”

Chi volesse prestare la propria operacome volontario presso l’associazio-ne “Lino Sartori” può contattare laSig.ra Giovanna Rebolini al n°3356139928.

18PAGINA Infermiere a Pavia

Come, in Olanda, si è arrivati alla leggeGià dal XIX secolo la morte ha perso

gran parte della sua valenza culturale esociale, le sempre più raffinate terapierischiano di prolungare l’agonia e il doloreche malattia porta con sé, la perdita diquesta connotazione induce a parlare dieutanasia in relazione alla possibilità daparte dei medici di porre fine in modo atti-vo alla vita di un paziente.

La storia delle proposte di legge a favo-re dell’eutanasia si apre nel 1969 con una

proposta di legge presentata allaCamera dei Lord in Gran Bre-

tagna che viene bocciatacon 61 voti contro 40. Nel

1991 viene presentatala relazione Schwarz-

tenberg (La relazio-ne Schwarzten-berg: I punti con-troversi)

La relazioneSchwarztenbergsull'assistenzaai pazienti termi-nali contiene deipunti interessan-

ti e condivisibili:l'esigenza di com-

battere il dolore, lanecessità delle cure

palliative, la respon-sabilità e l'importanza

della famiglia, degli amicie della società nell'assisten-

za globale del malato. Nella relazione si sottolinea ade-

guatamente l'esigenza di formare gli ope-ratori sanitari ad una presenza premurosae attenta presso i pazienti all'avvicinarsidel momento della scomparsa. I punti checaratterizzano la relazione e che portanoalla legittimazione dell'eutanasia sonoperò ben diversi; li riportiamo integral-mente per maggiore chiarezza:

“B) considerando che la morte di unindividuo e' definita in funzione dell'arrestodelle funzioni cerebrali, anche nel caso incui continuino le funzioni biologiche,

C) considerando che le funzioni cere-brali determinano il livello di coscienza eche il livello di coscienza definisce unessere umano,

G) considerando che il dolore e' inutile enefasto e che può rappresentare un atten-tato contro la dignità umana,

L) considerando che l'aspirazione ad unsonno definitivo non costituisce una nega-zione della vita, ma rappresenta unarichiesta d'interruzione di un'esistenza acui la malattia ha tolto ogni dignità,

La relazione ritiene che, mancandoqualsiasi terapia curativa e dopo il falli-mento delle cure palliative correttamenteimpartite sul piano tanto psicologico quan-to medico e ogni qualvolta un malato pie-namente cosciente chieda, in modo insi-stente e continuo che sia fatta cessareun'esistenza priva per lui di qualsiasidignità e un collegio di medici, costituitoall''uopo, constati l'impossibilita' di dispen-sare nuove cure specifiche, detta richiestadeve essere soddisfatta senza che, in talmodo, sia pregiudicato il rispetto della vitaumana.”

EUTANASIA: dal greco buona morte, 1) nel pensiero filosofico antico, la morte bella e tran-quilla e naturale, accettata con spirito sereno e intesa come il perfetto compimento della vita,2) con altro senso a) la morte non dolorosa, procurata o affrettata mediante l’uso di farmaciatti a sollevare le sofferenze di un malato in agonia (attiva) b) la sospensione del trattamentoterapeutico ad un malato agonizzante e senza speranza di guarigione, attuata dal medico die-tro richiesta del malato stesso o di una persona legalmente investita (passiva). L’antico dibat-tito etico, religioso, medico e giuridico (alla quale si sono sempre drasticamente opposte tut-te le chiese cristiane e altre confessioni religiose) si è particolarmente vivacizzata alla fine del1991 quando una proposta di legge per legalizzare l’e stessa è stata approvata di stretta misu-ra alle camere dello stato di Washington (ora ridiscussa) e una analoga è approdata al par-lamento olandese (ora approvata), il codice penale italiano non prevede espressamente l’o-micidio per eutanasia. Di conseguenza il caso rientra a seconda del suo atteggiarsi in con-certo nella figura dell’omicidio volontario (art. 575) o in quello dell’omicidio consenziente(art. 579) spesso aggravate dalla premeditazione (art.577). il rigore di questo trattamento, siapure attenuato dalla circostanza di avere agito per motivi di particolare valore morale o socia-le (art. 62,n° 1) ha suscitato proposte di legge dirette a prevedere un reato autonomo con penaminore e a scriminare l’eutanasia passiva. (da: Enciclopedia Treccani).

Un sottile confineEutanasia, suicidio assistito, accanimento terapeutico

Maura Cattanei*

19PAGINANumero 4/2002

Su questa relazione si innesta la discus-sione sull'assistenza ai pazienti terminalialla Commissione per la protezione del-l'ambiente, sanità pubblica e tutela deiconsumatori del Parlamento Europeo edapprovata definitivamente il 30 aprile1991.

Il Comitato Italiano di Bioetica haespresso un parere molto critico intorno aquesta relazione con un documento del 6settembre 1991.

Nel 1993 viene modificata una leggeolandese sul trattamento dei cadaveri:seguendo un protocollo il medico nonpuò essere legalmente perseguito se pro-cura la morte di un soggetto colpito da unmale incurabile, con dolori insopportabilie che richieda esplicitamente e ripetuta-mente di morire.

Di fatto, se non de jure, si depenalizzal'eutanasia attiva. Dal 1 giugno 1994 l'O-landa e' l'unico paese al mondo nel qualeesiste il fondamento giuridico ad effettua-re l'eutanasia.

Nel dicembre 94 Nel J.Med Ethics com-pare un articolo dove viene criticata lanuova legge non ritenuta in grado di pro-teggere effettivamente la vita dei pazienti.

Nel novembre 94 un altro articolo pub-blicato negli Annali di medicina Interna(USA) sottolinea come i problemi etici del-l'eutanasia risalgono al mondo greco eromano e che l'interesse pubblico nell'eu-tanasia non e' tanto legato al progressobiomedico, quanto ai momenti di reces-sione economica nei quali l'individualismoe il darwinsmo sociale sono invocati pergiustificare le scelte di politica pubblica,altro importante fattore e' il cambiamentodel rapporto medico paziente.

Nel Codice deontologico dei medici ita-liani del giugno 95 compare espressa-mente l'articolo 35 denominato Eutanasiadivieto nel quale:

"Il medico anche se richiesto dal pazien-te, non deve effettuare trattamenti diretti amenomare la integrità psichica e fisica ead abbreviare la vita o a provocarne lamorte."

Nei primi mesi del 2002 il Parlamentoolandese sancisce definitivamente ladepenalizzazione dell’eutanasia, una leg-ge simile esisteva nel Northern Territorydell’Australia, ma una legge federale l’haannullata, nella Svizzera tedesca e in Ger-mania è consentito il suicidio assistito,mentre nel 1997 la Corte Suprema degliStati Uniti emette una decisione a favoredelle leggi che proibiscono il suicidio assi-stito negli Stati di Washington e New York.

Il suicidio assistito è un altro dei temi

discussi in merito alla terminalità, qual è lavalenza etica del fornire al paziente i mez-zi e gli insegnamenti che gli permettano sisuicidarsi? Dal 27 marzo 1999 è entrato invigore in Oregon il “Death with DignityAct” che consente il suicidio assistitomentre negli Stati della Carolina del Sud,in Utah e nel Wyoming la legge non vietaesplicitamente questa pratica, il Canadainvece, l’ha assolutamente vietata.

Un’altra sentenza che fa discutere èquella emanata nel mese di aprile del2002 dal Parlamento inglese in merito allarichiesta di una paziente di interromperele terapie che la mantenevano in vita.Decretare il permesso di interrompere taliterapie ha rinfocolato la discussione sul-l’accanimento terapeutico. Anche il comi-tato di Bioetica Italiano, attraverso un suocomponente, ha affermato che sotto que-sto punto di vista l’Italia è allineata all’In-ghilterra e riconosce le linee guida chelimitino l’accanimento terapeutico che tra-valica e snatura i benefici delle cure.Anche il nuovo Codice Deontologico dellaprofessione infermieristica prende in con-siderazione questo aspetto, l’articolo 4.15recita: “L’infermiere assiste la persona,qualunque sia la sua condizione clinica efino al termine della vita, riconoscendol’importanza del conforto fisico, ambienta-le, psicologico, relazionale, spirituale.L’infermiere tutela il diritto a porre dei limi-ti ad eccessi diagnostici e terapeutici noncoerenti con la concezione di qualità del-la vita dell’assistito”.

I fattori che determinano una buonaqualità della vita sono molteplici, sonostate redatte molte tabelle e linee guidache possono aiutare gli operatori, sanitarie non, a modellare gli interventi atti amigliorare le condizioni delle persone affi-date alle loro cure, le discriminati maggio-ri si possono riassumere in due aspetti: latotale mancanza di autonomia e la pre-senza del dolore. E quest’ultimo è sicura-mente il fattore che più di ogni altro desta-bilizza e mette in crisi l’equipe curante e ifamigliari del malato.

Vedere un altro modoLa prima parte della definizione data dal

dizionario è quella che Patch Adams defi-nisce “una morte divertente”, ovvero ilmorire nell’ambiente che ci è più famiglia-re attorniati dalle persone che amiamo, inpace con sé stessi e il mondo, consape-voli della vita che ci è stato dato di vivere.

Questa visione della morte, e della vita,trova concorde Marie de Hennezel e chiscrive. La de Hennezel ha dedicato il suo

ultimo libro, “La dolce morte”, al problemadell’eutanasia, ne fa una tagliente e con-divisibile analisi che evidenzia una situa-zione molto simile alla nostra.

Sull’onda delle decisioni prese dal Par-lamento inglese e da quello olandese, ildibattito sull’eutanasia, sull’accanimentoterapeutico e sul suicidio assistito si vaampliando, coinvolge più figure: filosofi,teologi, scienziati, psicologi, sociologi,mass-media; questa pletora di discussionie teorie, anziché approfondire l’argomen-to, rischia di banalizzarlo, le troppe parolenon lasciano più spazio alla elaborazioneintima delle coscienze.

Uscire dai confini che impongono idibattiti televisivi è indispensabile per riu-scire a restituire al processo del morire ladignità e la sacralità che la cultura delsecolo, attraverso la negazione del doloree della morte stessa, sta cercando dinascondere e soffocare.

Occorre fare chiarezza sui termini usatiper definire il problema: aiutare a morirenon significa praticare l’eutanasia o con-sentire il suicidio assistito, significaaccompagnare la persona morente inmodo efficace. Eutanasia significa morirebene, non si può continuare a designarecon questa parola l’azione che mette fine,deliberatamente, alla vita di una persona,questo atto è assimilabile all’omicidio ecrea fraintendimento, allo stesso modo sialterano i termini del problema quando sivuole associare l’eutanasia con l’astensio-ne dal prolungare la vita attraverso l’acca-nimento terapeutico.

La filosofia che anima i fautori delleCure Palliative è rivolta invece a dare unsostegno, sia tecnico che umano alpaziente; l’esperienza di chi lavora inmodo attento in questo settore mette inevidenza che la richiesta di “farla finita” daparte del paziente nasconde sempre laperdita dell’autostima, la paura di essereabbandonato a se stesso, la paura diessere un peso per i propri familiari, lapaura del dolore fisico.

Difendere il paziente da queste pauresignifica anche difendere gli operatori dal-la pressione morale che subiscono quan-do viene loro chiesto di commettere unomicidio per compassione.

Le eutanasie clandestine o inconsape-voli sono più numerose di quanto si pen-si, una legge volta a depenalizzare questaazione è pericolosa, il rischio non è lascia-re o negare la libertà della decisione ulti-ma al paziente, ma negare una tutela allepersone più deboli e/o più influenzabili.

Quali sono i meccanismi che stanno

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spingendo le società occidentali versoquesta estrema snaturalizzazzione dell’at-to del morire? Le ragioni sono tante,sociali e personali.

La formazione di medici e infermieri èsempre più una corsa verso un tecnici-smo che sta diventando francamenteeccessivo, l’educazione che tutti noi ope-ratori riceviamo è volta al “guarire” e nonal “prendersi cura”, la morte è un falli-mento, una palese incapacità, è molto piùfacile affrontarla usando la tecnica piutto-sto che la relazione.

Noi infermiere siamo le persone più vici-ne al malato, quelle più esposte allamarea dei sentimenti e delle domandeche si pone la persona malata e ognunodi noi ha potuto verificare che in questifrangenti siamo le più sole. Sono poche leinfermiere che ammettono la loro difficoltànella relazione con il paziente, difficoltàche nasce non solo da una impreparazio-ne personale, ma anche dai ritmi dell’am-biente ospedaliero. Ci sono alcunedomande che dovremmo farci in modoconsapevole se vogliamo evitare il rischio,sempre più consistente, del born-out.Sono domande semplici, umane, ma chepossono creare l’impressione di minare lanostra professionalità mettendo a nudo ilnostro modo di essere come persone. Edè proprio per salvaguardare noi stessicome persone che è necessario chiederciperché non possiamo smettere di negarele sofferenza che accompagna il nostrolavoro, perché non siamo capaci di usciredalle risposte preconfezionate, dall’illusio-ne del controllo, dal senso di onnipoten-za, perché non siamo capaci di vivere l’af-fettività?

La quotidianità degli infermieri è lontanadall’affettività, è fatta di umiliazioni, dicompiti ingrati essenzialmente tecnici, lanostra parola non viene ascoltata, abbia-mo smesso di fare da tramite tra i bisognidel malato e l’apparato sanitario.

La paura del transfert e la sofferenzadiminuirebbero se fosse possibile parlar-ne in un gruppo, avere la possibilità dilasciar cadere le barriere, condividere coni colleghi e gli altri operatori quello che cispaventa; ma anche le nostre riunioni direparto sono solo tecniche, vengono fattesolo per essere più efficienti, non più sere-ni. Spesso è la pausa per il caffè l’unicomomento in cui si possono scambiaresentimenti e impressioni, ma questomomento non può sopperire ai compitiche spetterebbero ad una condivisione oad una supervisione esterna, questimomenti aiuterebbero a far fronte ai dub-

bi e al dolore e ci proteggerebbero dalletentazioni dell’eutanasia.

In una società asettica, ipertecnologica,che rifiuta lo spettacolo del degrado fisico,della malattia, della vecchiaia, dell’handi-cap si perdono sempre di più i valori del-l’abnegazione, della pietà, della carità;questi valori, specie per noi, educati inuna società fortemente cattolica, per ripul-sa sono stati snaturati e rifiutati, ma essipossono essere sostituiti da valori più lai-ci come la tenerezza, la presenza attiva,l’ascolto, la consapevolezza, l’essere, essiporterebbero gli infermieri ad una crescitapersonale profonda; il prendersi cura del-l’altro, che è l’essenza del nostro lavoro,non può essere solo una “tecnica” fatta digesti rigorosi e di sapere, bensì un’occa-sione di imparare a prendersi cura di noistessi, prendendosi cura dell’altro.

Se la preparazione degli operatori sani-tari, di tutti gli operatori, tornasse ad ave-re connotazioni più umanistiche l’attenzio-ne si sposterebbe dall’eutanasia all’am-pliamento delle cure palliative.

La Francia sta cercando di andare inquesta direzione. Il Parlamento franceseha decretato “il diritto di accesso per tuttialle Cure Palliative” ed ha istituito il “con-gedo d’accompagnamento” che consen-te ai familiari di assentarsi dal lavoro perstare accanto al proprio caro.

Ma per compiere un’inversione di rottaoccorre essere in grado di uscire dai luo-ghi comuni e affrontare la gestione delpaziente terminale in tutt’altro modo met-tendo in atto una visione del lavoro, daparte di medici, infermieri, operatori che ciporterebbe a mettere in gioco il ruoloassegnatoci: dovremmo smettere di esse-re solo tecnici, per diventare persone.

Sono soprattutto i medici ad esserespaventati da questa eventualità, pochiaccettano che le cure palliative non sianofatte solo di terapie farmacologiche maanche di relazioni, sempre più essi si affi-dano alle indagini strumentali e deleganoa noi infermieri il rapporto con il malato.

Ma quanti di noi hanno la possibilità direlazionarsi con il malato? E quanti sonopreparati a farlo? I ritmi dell’ospedalesono spersonalizzanti, l’efficienza prevalesull’ascolto, la logica dei D.R.G., della pro-duttività, della competitività, della com-mercializzazione dei servizi sta uccidendolo spirito del nostro lavoro.

Il confine Il confine tra eutanasia e accanimento

terapeutico non può essere determinatoda una legge, esso è segnato dall’intento

e dall’etica. Il problema non sussisterebbese venisse ampliata la pratica delle CurePalliative e la società cambiasse i suoiparametri. La società degli anestesisti erianimatori si è data un codice deontologi-co e delle linee guida che descrivono iparametri per evitare l’accanimento tera-peutico, ma sono pochi i medici che lemettono veramente in atto. Le sicurezze,in questo campo non esistono, ognunodeve misurarsi con la sua competenza ela sua coscienza; perché avvenga uncambiamento di rotta, anche nei Paesiche hanno già effettuato scelte precise,occorre cambiare l’uomo, non la legge.

Accettare la morte non significa arren-dersi, significa accettare l’impermanenzadi tutte le cose, i nostri limiti, la nostraumanità. Significa accettare il momento incui il nostro corpo non ha più risorse,comprendere il momento in cui la tristez-za, la depressione data dalla consapevo-lezza di essere vicini alla morte vienesostituita dalla serena certezza di aver fat-to il nostro tempo e che della candelarimane solo il moccolo e quando noi oqualcuno dei nostri cari arriverà a questopunto sarà necessario avere il coraggio dicompiere l’ultimo passo: dare a noi stessie ai nostri cari il permesso di morire.

Bibliografia

P. Adams: “Salute!” Ed. Urrà, Milano,1999

M. de Hennezel: “La dolce morte”, Ed.Sonzogno, Milano, 2002

G. Dworkin, R. G. Frey, S Bok: “Eutana-sia e suicidio assistito, pro e contro” Edi-zioni Comunità, Torino, 2001

C. Tromba: “Suicidio per i più decisi, ilprimo studio sulla dolce morte in Oregonfornisce un ritratto del candidato tipico esmentisce luoghi comuni”, Tempo Medicon° 624 del 10/3/

http://utenti.fastnet.it/utenti/marinelli/bioetica/eut.html

L’autore* Infermiera - Poliambulatorio - A.O. Pavia

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La cultura dominante nella societàattuale tende a mascherare la realtà dellamorte, e ciò complica maggiormente ilproblema, perché oggi si è meno prepa-rati che in passato ad affrontare un even-to di tale portata e comunque ineluttabile.Si sono perduti molti dei valori umani, siamorali che spirituali, per cui si ha mag-giormente paura della morte o comunquesi tende a perdere il senso reale della vita.In una cultura del successo, si vale inquanto si è in grado di fare, di possedere,di godere, di stare bene. Di conseguenza,quando si avvicina il momento della mor-te, l’uomo si sente emarginato ed ango-sciato.

“La morte è diventata tabù, una cosainnominabile. Una volta si raccontava aibambini che nascevano sotto un cavolo,ma al contempo essi, come da veri adulti,assistevano alla grande scena degli addii,nella camera e al capezzale del morente.Oggi i bambini vengono iniziati, fin dallatenera età, alla fisiologia dell’amore e del-la nascita, ma, quando non vedono più ilnonno e chiedono perché, si cercanorisposte fantastiche. In Francia ad esem-pio si risponde che è partito per un paesemolto lontano, e in Inghilterra che riposain un bel giardino dove crescono i caprifo-gli. Non sono più i bambini a nascere sot-to un cavolo, ma i morti a scomparire tra ifiori”.

Questo testo di Philippe Ariès fotografabene un fenomeno diffuso, rappresentatodalla rimozione sistematica e generalizza-ta della morte nella cultura e nel costumecontemporaneo. Il decesso viene sentitocome una forma di sconfitta tale da esse-re occultato a livello sociale ed espulsodai processi educativi. Del corpo umanodebbono essere nascosti tutti quei feno-meni di tipo difettivo che appartengonostrutturalmente alla sua dinamica evoluti-va: la sofferenza, la malattia, la menoma-

zione…; lo testimoniano la cura quasiossessiva per la forma fisica e il giovanili-smo patetico e dilagante. L’uomo sembragettarsi sulla vita con una sfrenata vora-cità edonistica, considerandola come unarisorsa da saccheggiare e poi da buttarevia ai primi segni di cedimento.

I riti funebri tendono a ridursi a deimomenti di consolazione dei dolenti stret-tamente coinvolti dal lutto. Solo in alcunicasi, quando ad esempio muoiono capi diStato, torna a farsi pubblica, o almeno acoinvolgere le amministrazioni pubblichedelle varie città, l’istanza della celebrazio-ne. Normalmente, però, in città tutto sisvolge come se nessuno più morisse ed ilvecchio carro funebre nero ed argentato èdiventato una station-wagon che si perdenel flusso della circolazione. Uno stile delmorire che comporta: discrezione, dissi-mulazione, non deve provocare imbaraz-zo, non deve turbare i vivi; allo stessomodo i vivi non devono manifestare i lorosentimenti davanti alla morte: nessun rim-pianto, nessuna commozione e nemmenoil lutto che, da sempre, è sentito comenecessità psicologica e sociale.

Il processo di rimozione della morte, oprocesso di tabuizzazione, è anche inlinea con le esigenze tecnico-industriali. Ilpensare e sentire la morte non corrispon-dono alle leggi del progresso e della pro-duzione in generale (al contrario dellesocietà contadine in cui la morte è unarealtà al pari delle altre). Ma se da unaparte s’intenta tutto un processo di occul-tamento della morte, dall’altra se ne pro-muove a più livelli la sua spettacolarizza-zione. In altri termini, se il contatto con-creto con la morte rappresenta uno diquei fatti disgustosi che va tenuto lontanodall’esperienza quotidiana, non altrettantoavviene per la morte in diretta propugnatadal cinema, dalla televisione e da tuttauna serie di racconti dell’orrore. La morte

Silvia Giudici*

Culto della morte e riti funebri nella societàoccidentale contemporanea: l’incapacità dielaborare il lutto si contrappone alle realtàritoculturali dei Paesi lontani.

Al Sig. Mario Bisotti,alla Sig.ra Margherita Zacchi in Bassani,al Sig. Claudio Cornaggia

Signore, accogli l'anima buona di questi defunti nel Tuo regno, fra i Tuoi eletti. Fa che abbiano a vedere la luce del Tuo volto.

pubblicizzata non è proprio un fenomenoesclusivo della nostra epoca; esso haradici lontane e ogni cultura ha offerto ilsuo spettacolo, dal combattimento nellearene, alle esecuzioni pubbliche, ma èindubbio che oggi, in un clima di sviluppofrenetico delle tecniche di comunicazione,il fenomeno assuma dimensioni più ecla-tanti e raggiunga milioni di spettatori.Quale significato può avere la spettacola-rizzazione della morte? A prima vista puòsembrare un’infrazione del tabù, ma non èproprio così. La morte mass-medialecomporta sì un senso di paura e di pietà,ma si tratta sempre della morte dell’altro,di una morte che non ci tocca da vicino eche si dimentica non appena l’immaginescompare dalla nostra vista.

Nel passato la società accoglieva lamorte come un evento naturale: il trapas-so ad altra vita. Si aveva un sentimento difamigliarità con la morte, senza paura nédisperazione, a metà strada tra la rasse-gnazione passiva e la fiducia mistica.L’uomo subiva con la morte una dellegrandi leggi della specie e non pensavané a sottrarsi né ad esaltarla. L’accettavacon quel tanto di solennità che bastava acontrassegnare l’importanza delle granditappe della sua esistenza. Nel caso ilmorente non si fosse accorto dell’arrivodella sua morte, toccava ad altri ad avver-tirlo. Questo servizio veniva reso dal “nun-cius mortis”, l’amico spirituale che s’in-contrava nelle “artes moriendi” (genereletterario molto diffuso verso la fine delMedioevo).

Il momento della morte veniva prepara-to con grande cura. Si chiamava tempe-stivamente il sacerdote, affinché offrisse iconforti estremi al moribondo e ne ascol-tasse le ultime volontà, che venivano rac-colte dallo stesso sacerdote nel testamen-to detto “ad pias causas”. La parte piùlunga del testo era quella riservata alla

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professione di fede, la confessione deipeccati e la riparazione dei torti, l’elezionedella sepoltura ed infine le disposizioni afavore dell’anima: messe e preghiere. Lachiesa era il ricettacolo dei defunti e di cia-scun corpo si teneva conto della sua con-dizione sociale: i preti erano sepolti ai pie-di dell’altare maggiore, nobili e borghesidavanti agli altari di giuspatronato, idefunti della confraternita davanti alle rela-tive cappelle, poi c’erano le fosse deibambini, dei morti per cause violente, infi-ne quelle comuni per tutti gli altri. Diversaera la condizione di coloro che morivanoda peccatore, senza cioè aver ricevuto isacramenti. Essi non avevano alcun dirit-to di essere sepolti in un luogo sacro, percui i loro corpi venivano inumati fuori dal-l’abitato o addirittura buttati giù da unarupe (questo trattamento era riservatosolo a coloro che, già famosi come recidi-vi peccatori, non si erano pentiti).

L’osservanza del lutto in Italia, fino anon molto tempo fa, era di rigore e richie-deva regole molto rigide. Tutti si vestivanoa lutto. Le donne dovevano indossare l’a-bito nero; gli uomini invece dovevano por-tare una fascia nera al braccio ed intornoal cappello, la cravatta nera ed il pettinonero sopra la camicia, che doveva essererigorosamente abbottonata per tutta lasua lunghezza, compresi i polsini dellemaniche. In pubblico, sia d’inverno ched’estate, la testa doveva essere mantenu-ta coperta con il cappello o con la “cop-pola” se uomini, oppure con il “panno” olo scialle se donne (Italia meridionale). Seil morto era un parente molto stretto, il lut-to si protraeva per almeno tre anni; seinvece si trattava di un parente menostretto, durava un anno. Le madri e lemoglie anziane solevano portare il luttoper il resto della loro vita. Nel caso dellamorte di bambini il lutto non si portava. Ledonne, specie la moglie o le figlie, non sipettinavano per diversi giorni, legavano icapelli dietro la nuca con un nastro nero eaddirittura fasciavano di nero gli orecchi-ni. Gli uomini invece non si facevano labarba per almeno una settimana o tregiorni a seconda del grado di parentela enon fumavano fino al funerale. Chi era inlutto non festeggiava ricorrenze come ilNatale o la Pasqua. Non si usavano fareneppure i dolci tipici caserecci in caso diricorrenze; anzi molte volte si andava incampagna come se fosse un giorno qual-siasi. Chi possedeva il televisore, non loaccendeva per diversi giorni. I parenti o gliamici, a turno, preparavano per la famigliadel defunto i pasti principali della giornata,per una settimana intera. In tempi antichi,uno striscione nero rimaneva appesodavanti alla casa del defunto fin quando il

vento non lo portava via (usanza dei ricchie dei nobili).

In Grecia, in una realtà rurale situata neipressi del Monte Olimpo, quando unuomo era molto malato, e pensava diessere vicino alla morte, riceveva l’estre-ma unzione. Venivano recitate delle pre-ghiere per la guarigione del corpo e per lapurificazione dell’anima attraverso il per-dono dei peccati. Una volta privo di vita, ilcorpo veniva lavato, vestito con nuoviindumenti e deposto in casa di vicini o diparenti non molto stretti per dare ai fami-gliari la libertà di sfogare il proprio dolore.Le campane scandivano rintocchi lenti,mentre venivano recitate le preghierefunebri. Poi il corpo veniva spostato all’e-sterno e deposto in una bara. Entro 24 orela salma veniva portata in processionesino alla chiesa e lì i parenti baciavano perl’ultima volta il corpo del defunto. Le mani,i piedi, e le mandibole, precedentementelegate, venivano sciolte. La salma venivacosparsa di vino benedetto. Si passavacosì all’inumazione: il corpo veniva calatoin una tomba, dove era consuetudine get-tare una manciata di terra. Molti mangia-vano al cimitero. Una volta rientrati a casa,prima di varcare la soglia, ci si lavava lemani e si toccava una bacinella riempita dicarbone acceso per eliminare l’elementodi contaminazione della morte. Gli abitivecchi del defunto venivano gettati. Latomba veniva visitata quasi ogni giornoper circa cinque anni, fino al momentodell’esumazione. Erano i fratelli del defun-to quelli deputati a scavare il terreno sottoil quale si trovava la tomba del loro caro.Al momento del ritrovamento, la vedovapiù anziana aveva il compito di scoprire loscheletro, di ripulirlo, di deporlo in un pan-no bianco e di consegnarlo alla madre inlutto che a sua volta lo baciava e lo coc-colava. I parenti stretti piangevano e gri-davano la loro angoscia, mentre gli altripartecipanti cantavano le “lamentazionifunebri”. Per l’ultima volta, e per tre volteconsecutive, il sacerdote versava il vinosulle ossa, le quali venivano infine ripostein una scatola di metallo.

Realtà più palpabili testimoniano quan-to il lutto venga osservato. In Israele, adesempio, si seppellisce il giorno stesso incui è avvenuta la morte. Il corpo vienelavato per immersione, vestito di bianco esepolto direttamente nella terra senza labara in quanto si ritiene che la terra abbiafunzione purificatrice. Le usanze ebraichevariano notevolmente non solo se si con-sidera la distinzione tra ebrei più tradizio-nalisti ed i più moderni, ma anche tra reli-giosi e laici.

Quando un uomo muore, il figlio mag-giore recita il Kadish (preghiera di lode a

Dio) e mette della terra sugli occhi deldefunto. In alcune tradizioni, secondo unacredenza mistica della cabala, i discen-denti maschi del morto non possono pre-senziare alla sepoltura in quanto la loropresenza alla cerimonia incoraggerebbe,quanto pare, strane mezze anime demo-niache originate da un seme improduttivodel padre deceduto. Dopo il funerale iniziala Shiva, ovvero sette giorni di lutto. Iparenti siedono su sedili bassi ed indos-sano indumenti rovinati. Gli uomini non siradono. Vengono tenute accese dellecandele commemorative, si recitano dellepreghiere. I vicini di casa vengono aconfortare i parenti coinvolti nella disgra-zia. Segue un periodo di lutto meno stret-to, durante il quale il figlio recita delle pre-ghiere quotidiane per un periodo di undi-ci mesi. Gli ebrei laici, oltre a recitare ilKadish, al contrario dei più tradizionalisti,sono sovente partecipanti attivi al lutto edusano esprimere parole di lode in onore aldefunto (infatti il principale fulcro della reli-gione ebraica è la vita e non la morte o ledottrine sulla stessa).

Per gli islamici la credenza della resur-rezione del corpo è profondamente radi-cata. Al contrario, la cremazione è forte-mente osteggiata. Il musulmano morenteè accompagnato dall’espressione di fedechiamata Shahada “non c’è altro Dio al difuori di Dio, e Maometto è il suo profeta”.Dopo la morte, il corpo viene lavato dapersone dello stesso sesso, viene vestitodi bianco e trasportato per la preghieraalla moschea prima di essere sepolto. Lapratica varia a seconda del luogo. A Gia-va, ad esempio, i parenti tengono in grem-bo il defunto mentre quest’ultimo vienelavato. Tutti si bagnano. E’ come se ildefunto ritornasse neonato e ricevesseamorevoli attenzioni. Al momento dellasepoltura, il capo islamico, secondo la tra-dizione, scende nella tomba per insegna-re al morto come dovrà comportarsi con idue Angeli che gli faranno visita dopo lasepoltura e lo interrogheranno sulla suafede. La risposta islamica giavanese allamorte non è basata sull’isterismo, sui sin-ghiozzi ed espressioni di dolore: è un cal-mo sfogo senza struggimento, una volon-taria rinuncia all’affetto.

Per i mormoni i riti funebri hanno unduplice significato in quanto vengonocelebrati sia in onore dei morti che in ono-re della famiglia e degli antenati. Per imormoni la famiglia e la parentela, pre-sente e passata, sono d’importanza fon-damentale e la genealogia è consideratauno specifico dovere religioso. Ecco per-ché gli appartenenti a questa congrega-zione trascorrono molto tempo a tracciareil loro albero genealogico con lo scopo di

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conoscere i propri antenati. Non appenarintracciati i propri avi, i mormoni amanosvolgere una lunga serie di rituali in loroonore. Contrariamente a molte altre reli-gioni, i mormoni parlano della morte sen-za timore e prendono posizione di frontead essa. Il loro messaggio esercita unanotevole attrattiva in un mondo in cui ivalori della famiglia sono andati in frantu-mi e l’ignoranza sulla morte è profonda.Quando una persona muore, il corpo vie-ne lavato e vestito dagli impresari dellepompe funebri, rigorosamente della stes-sa religione. La chiesa mormone non proi-bisce la cremazione (Gran Bretagna), mapropende notevolmente per l’inumazione(Stati Uniti), in quanto crede nella futuraresurrezione.

Una delle forme più spettacolari di rap-porto con la morte e di superamento del-la stessa, stà nella mummificazione chemira a risparmiare al corpo la decomposi-zione finale. Ne è un esempio la conser-vazione naturale ad opera dei Chinchorro(Cile 5000 a.C.) e la mummificazione chi-mica degli antichi egizi (Egitto 2500 a.C.).

Anche i merina del Madagascar usanobendare i cadaveri. Dopo la morte, il cor-po viene inumato in una tomba provviso-ria. Si tratta di una struttura ancestraleabbastanza elaborata, eretta parte sotto eparte sopra il livello della terra. Per diversianni il corpo rimane nel livello alto dellatomba. Poi i corpi vengono recuperati,bendati nuovamente e fatti partecipare adelle danze rituali. Gli scheletri vengonogettati in aria e lasciati cadere sul pavi-mento. Questa pratica consente la frantu-mazione delle ossa che diventano restiimpersonali sempre più piccoli e di con-seguenza la seconda sepoltura nelle par-te più bassa della tomba ancestrale, dovei resti diventeranno polvere.

In forte contrasto con il modo di viverenomade dei gitani, lo zingaro morto giun-ge a fissa dimora nella tomba. Il gitanodiventa un non gitano per via di una spe-cie di rovesciamento simbolico che siriflette anche nel modo di vestire i cadave-ri e cioè con indumenti indossati alla rove-scia. Per gli zingari la morte ed i riti funebrisono realtà impure. Essi preferisconomorire negli ospedali in quanto credonoche l’impurità della morte possa esseretrasferita sui gorgios (gli ospedali per l’ap-punto). Poi la salma viene trasferita in unachiesa dove i famigliari si abbandonanoad espressioni pubbliche spettacolari didolore, a seconda del grado di parentelacol morto. I vivi non desiderano avere con-tatti con i morti e cercano di fare della tom-ba un luogo dove i corpi si arrestino. Nederiva l’usanza di bruciare e di distrugge-re le cose appartenente al morto.

La forte convinzione che esista una vitadopo la morte è espressa nella tradizioneindiana mediante i riti funebri della crema-zione. A Benares, i morenti vengono postiper terra. Altri intorno a loro devono can-tare preghiere e concentrarsi sul nome diDio. Dopo la morte il corpo viene lavato,vestito e portato alla cremazione, dove loscheletro viene spezzato dal figlio mag-giore (questo gesto sottolinea l’importan-za di dare alla luce figli maschi). I restivengono poi gettati nel fiume. Altri ritisono svolti per garantire allo spirito deldefunto la giusta strada da seguire dopola morte. Seguono offerte di balle di fieno,di cibo e di doni ai sacerdoti preposti aifunerali. Si crede che questi assistino ildefunto nella trasformazione dallo statusdi spirito a quello di antenato. Alla base diquesti gesti si trova una grande quantitàdi messaggi simbolici. La morte, simboli-camente, è simile alla nascita poiché, pro-prio come il calore materno contribuisce aprodurre il feto, il calore della cremazionedistrugge la carne, ma non le ossa chevengono gettate nel Gange in quanto ele-mento fertilizzante alla pari del principiodell’esistenza femminile (la donna è fertilee grazie a questa sua caratteristica puòprocreare). Così le acque del fiume pos-sono donare una seconda vita.

Anche i riti funebri tibetani prevedono lacremazione, lo smaltimento nelle acque, ola sepoltura. Un tempo i cadaveri veniva-no a volte smembrati per essere gettati inpasto agli animali selvaggi. In passato,l’acquisto della legna per la cremazioneera costoso per i poveri, e la sepolturaveniva allora avversata per il timore chel’anima desiderasse rimanere unita al cor-po, producendo una specie di vampiro.Ecco perché, oggi, a volte viene impe-gnata la sepoltura a cielo aperto o ancoral’esposizione del corpo in balia dei rapacio degli animali feroci.. Solo i corpi dei capireligiosi venivano mummificati e conser-vati nei templi. Oggi il prete o il monacoche è chiamato presso il morente impiegail suo potere spirituale per descrivere edesprimere l’esperienza che stà attraver-sando quella persona. Lo scopo è aiutarela coscienza a separarsi dal corpo e capi-re la sua condizione transitoria. Il morenteviene così preparato ad affrontare la rein-carnazione. Dopo lo “smaltimento” delcadavere, e per 49 giorni dopo la morte(così chiamata condizione Barda), i ritualiproseguono: il sacerdote, utilizzando unaeffige del morto, racconta, immaginando,i sentimenti e le emozioni che l’anima spe-rimenterà nell’incontrare le varie divinità: èforte qui l’uso dell’immaginazione nellapratica meditativa come metodo per con-quistare un approccio equilibrato nei con-

fronti della morte e per superare il timore.I riti funebri cinesi prevedono l’inuma-

zione. Poco dopo la morte (24-48 ore) ildefunto è rapidamente seppellito in unluogo provvisorio non contrassegnato, incollina. A questo posto viene dedicatascarsa attenzione. Dopo un periodo cheva dai 7 ai 10 anni, il cadavere viene esu-mato, le ossa vengono ripulite e depostein un’urna di terraglia che viene a sua vol-ta seppellita parzialmente nella terra. Pergli uomini importanti, invece,le ossa sonosovente seppellite in una tomba di matto-ni. Quest’ultimo rito può aver luogo solose i discendenti ritengono che ne vale lapena. I nomi dei defunti sono aggiunti alleliste degli antenati collocate nelle case, segente comune, oppure incluse sulle lapididelle sale ancestrali, se uomini politica-mente importanti. Il ricordo o la sopravvi-venza dei nomi dipende dall’interessemostrato dai vivi. Infatti, i nomi sulle listedegli antenati a volte possono anche noncomparire, oppure scomparire con l’an-dare del tempo, cancellati dai discenden-ti. In questo modo essi spariscono defini-tivamente dal mondo sociale e dal regnodegli antenati. L’ubicazione delle tombeancestrali è di grande importanza per idiscendenti cinesi. Secondo l’ideologiadel “feng shui (vento e acqua)”, divinazio-ne che stabilisce la direzione e la colloca-zione dei luoghi propizi, la scelta ragiona-ta di un determinato sito è fondamentaleper il buon andamento degli avvenimenti.Questa credenza viene usata non solo neifunerali, ma anche per scopi commerciali,ad esempio per decidere dove sia megliosistemare un’azienda, aprire un ufficio oun negozio. Esistono esperti in rituali diquesto tipo, in grado di decidere per l’ap-punto quale sia la sistemazione ottimaleper i luoghi di sepoltura.

I riti funebri africani offrono migliaia diesempi locali. Ne prenderemo in esamesolo due. I nuer del Sudan non possiedo-no un culto dei morti; le loro tombe nonportano lapidi e vengono dimenticate inun tempo relativamente breve. Il ricordo diun uomo non si colloca nei monumenti,ma nei suoi figli. Infatti le vedove non sirisposano, ma continuano a concepire ead allevare bambini in nome del lorodefunto marito, servendosi dei fratelli del-lo sposo come padri biologici. Se unuomo muore senza lasciare una moglie esenza figli, è dovere dei suoi parenti vivisposarsi in sua vece e crescere un bam-bino nel nome del parente deceduto, cosìche il nome del defunto possa proseguirenella discendenza. Si può capire come iriti funebri non si focalizzano sulla fine del-l’identità di un individuo, ma esprimono lasua continuazione nella stirpe. I nuer, un

24PAGINA Infermiere a Pavia

tempo, consideravano i gemelli come un“individuo unico” in quanto si pensavapossedessero una sola identità, benchéfossero due persone separate. I gemellierano pensati come “uccelli”, una defini-zione simbolica, collegata all’idea cheessi fossero una manifestazione del pote-re sovrannaturale. Nessun rito funebre eracelebrato per i gemelli. Quando morivanodei gemelli bambini, i loro corpi venivanoposti in un canestro di canne, alla biforca-zione dei rami di un albero per esprimerela loro identità di uccelli. Quando invecemoriva un gemello adulto si scavava unatomba, ed il corpo, coperto da una pelledi animale, veniva posto al suo interno.

Una tribù vicina ai nuer è quella deidinka. Questo popolo pare osservi un’al-tra forma simbolica di conquista dellamorte, una forma che evoca l’idea delsacrificio di sé ed il trascendimento dellamorte, cioè la capacità di controllo dellapropria morte. Lo stregone poteva deci-dere quando morire. Egli sceglieva lamorte invece di permettere che la vita glifosse strappata. Quando comprendevache l’ora si avvicinava, chiedeva di esseresepolto. Veniva allestita una tomba dentrola quale egli veniva collocato, sopra unaspecie di letto. La tomba veniva coperta diterra dopo che lo stregone aveva pronun-ciato le parole di benedizione e di inco-raggiamento per la propria famiglia. Da unlato si trattava del seppellimento di unvivo; dall’altro di un sacrificio volontario.

Per gli ilongoti delle Filippine la “salvez-za” consiste nel raggiungimento di unequilibrio psicologico e di una certa calmainteriore dopo il lutto. Nel passato, uno deimodi per raggiungere questo stato com-portava l’uccisione di un’altra persona. Gliilongoti erano infatti cacciatori di teste.Ammazzando e prendendo la testa di unnemico, gli uomini erano in grado di dimi-nuire il peso del dolore e della sofferenza.Al giorno d’oggi fortunatamente questiomicidi sono proibiti e la tribù si è conver-tita al cristianesimo.

Per le popolazioni che vivono su isolerelativamente piccole e lontane, per lequali il mare è fonte integrante della vita,l’usanza della sepoltura in mare è moltocomune come ad esempio in numeroseisole della Melanesia. La procedura variaa seconda dello status. I corpi delle per-sone di ceto relativamente basso vengo-no subito gettati in mare, mentre a coloroche hanno uno status superiore vieneconcesso un periodo di lutto più lungoprima di essere posti in acqua. Solo lepersone importanti sono esentati dallasepoltura in mare e tenuti in casa, in cas-se di legno o in altri contenitori.

Secondo i winnebago, popolazione

indigena del Nord America, esistono dueanime, una strettamente legata al movi-mento fisico, l’altra legata ai sogni. Que-st’ultima, detta anima libera, viene accoltanel mondo dei morti e guida l’anima cor-porea ad abbandonare il corpo causandola morte fisica. Secondo i navayo sareb-bero i “venti sacri” a donare e a togliere lavita ad un corpo.

La tradizione cheyenne ritiene che lamorte sia causata dall’anima che lascia ilcorpo per proseguire il suo viaggio versola beatitudine o verso il terrore. A morteavvenuta il cheyenne preparava veloce-mente il rito funebre. Il corpo venivafasciato e collocato su un albero o su unapiattaforma rialzata da terra. Il cavallo deldefunto veniva ucciso e lasciato accantoal suo padrone. Se a morire è una donnacheyenne, erano i suoi utensili da cucinaad essere adagiati accanto alla salma.

Per i kwatiutl della Columbia britannica iriti funebri sono un misto di cerimonie tra-dizionali e cristiane e comportano loscambio di doni, offerte e danze. I riti diqueste feste prevedono la distruzione dibeni preziosi ed al contempo il conferi-mento di altrettanti costosi doni.

Come si può notare, la capacità di ela-borare il lutto varia da Paese a Paese, dacultura a cultura. Tra i fatti paradossali cheinteressano il problema della morte nellanostra epoca e società, non può sfuggirequello che alcuni sociologi hanno definitocome il “ritorno della morte”, caratterizza-to da un’abbondante pubblicistica sultema in questione. A partire dagli anniSessanta, infatti, nonostante la prassisociale della rimozione, si assiste a unaforte ripresa della tematica della mortenella letteratura di diverso genere. Ne par-lano antropologi, psicologi, sociologi, sto-rici, medici, infermieri, ecc. Ma il parlarnemolto, lungi dall’essere segno di una rin-novata presa di coscienza, costituirebbeun ennesimo modo di esorcizzarla?Oppure potrebbe essere una vera e pro-pria ondata di reazione al processo ditabuizzazione della morte?

Di fatto, il rinnovato interesse per il temadella morte è testimoniato dalla nascita dinumerose riviste che raccolgono contri-buti sul morire, morte, lutto, suicidio, ecc.Ad esempio in Italia è nata la “Rivista ditanatologia” e la Società Italiana di Tana-tologia. Ma per quanto giusta ed autenti-ca, tale reazione non sembra rendere pie-namente ragione del fenomeno. Malgradoqueste tendenze, come abbiamo già det-to all’inizio, oggi il rito funebre tende aridursi a un momento di consolazione deidolenti strettamente coinvolti dal lutto.Tale rito, all’insegna dell’oblio del corpo,del defunto, dell’anima, e in ultima analisi

della persona, non sarebbe in grado dicelebrare e lodare la vita trascorsa. Soloin alcuni sporadici casi, torna a farsi pub-blica, o almeno a coinvolgere le ammini-strazioni della nostra città europee. ABologna varie associazioni di donne sisono impegnate, finora con pochi risultati,per ottenere dalle autorità locali luoghiattrezzati per poter approntare un ritofunebre laico per sottrarre i non credentiall’afasia e alla tristezza dell’assenza di unrito. A Marsiglia, l’amministrazione cittadi-na ha commissionato all’artista Michelan-gelo Pistoletto l’allestimento di uno spazionon confessionale/confessionale, dovetutti i membri di una società possono cele-brare i loro riti, funebri e non.

Bibliografia

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N. Elias, La solitudine del morente. Il Muli-no 1985.

A.M. di Nola ,La nera signora. Antropolo-gia della morte. Newton Compton1995.

R. Scortegagna, I tempi della morte: unapproccio sociologico. Gregoriana1996.

L. Alici -F. D’Agostino –F.Santeusanio, Ladignità degli ultimi giorni. Ed San Pao-lo 1998.

G. Ancona, La morte. Teologia e tesi. Ed.Paoline 1993.

D.J.Davis, Morte, riti, credenze. La retoricadei riti funebri. Paravia Bruno Mondato-ri editore 2000.

Fonti Internet riti funebri.

L’autore* Infermiera

Fondazione Salvatore Maugeri - Centro Medi-co di Pavia – Medicina Generale

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Non se ne parla mai, oppure per nomi-narla si usano eufemismi, viene bistratta-ta, la televisione la riduce a spettacolo, ènegata, combattuta; la scienza, la tecno-logia ci promettono la sua sconfitta, le die-te, la cura estrema del nostro corpo crea-no l’illusione che essa possa essere elu-sa. Nel suo poema “Il culto dei morti in Ita-lia” Giulio Mozzi ci mostra tutte le perver-sioni messe in atto per esorcizzare l’argo-mento, la spettacolarizzazione che ognimorte fa sembrare finta.

Fino a che non ci tocca da vicino.Nel nostro lavoro il contatto è quasi

quotidiano e come è difficile, ogni volta!La nostra professionalità impone di

essere pronti ad affrontare la morte, ma inrealtà nessuno ci ha mai preparati a que-sto.

In questo articolo ho il compito di sug-gerire delle letture che, secondo me, pos-sono aiutarci ad essere presenti davantialla morte nel modo giusto, ma la sacralitàdell’argomento mi impone di aggiungereche non basta leggere, occorre vivere. Ilibri proposti ci possono aiutare a capiremeglio le persone che affrontano unamalattia terminale, sono libri tratti dall’e-sperienza quotidiana di persone che han-no dedicato la loro vita a sostenere imorenti, sono testi profondi, terribili esplendidi, ricchi di umanità e di amore.

Nella nostra società la morte avviene, inmoltissimi casi, in ospedale ed è in questocontesto che si sono svolte le prime ricer-che su questo fondamentale momento.

La prima ad occuparsi e preoccuparsidella persona morente è stata la dottores-sa Elisabeth Kubler-Ross, nel suo libro “Lamorte e il Morire” riporta i casi più signifi-cativi che ha avuto modo di seguire, ellariesce a dare un ordine, a stabilire dei per-corsi che riguardano la persona morente.

L’intuizione che l’ha portata a capire ibisogni della persona che si trova allo sta-dio terminale della malattia è geniale, permezzo di interviste e colloqui, dove eranopresenti, non solo medici, ma anche altrioperato sanitari e religiosi, ha chiesto aipazienti stessi di cosa sentissero il biso-gno.

Le risposte furono sorprendenti, rivela-

Maura Cattanei*

L’ultima iniziazione

vano quanto il malato terminale avessebisogno di ascolto, di sincerità, di silenzio.

Nel libro, reperibile presso la bibliotecadel Collegio, la dott.sa Kubler-Ross ci gui-da alla comprensione delle fasi che attra-versa la persona nel suo percorso attra-verso la malattia; lo studio si è sviluppatonella realtà degli Stati Uniti perciò, secon-do le consuetudini di questa Nazione,molti dei pazienti erano informati dellagravità del loro stato, nonostante questorisulta evidente che i passaggi evidenziatinel comportamento dei malati si possonopresentare anche nelle persone che igno-rano la loro condizione. Conoscere questicomportamenti può aiutare noi operatori ela famiglia nella comprensione dei bisognidella persona malata e della paura chetutti proviamo rispetto a quello chepotrebbe succedere. Occorre sempretener presente che la malattia e la mortedi una persona tocca, modifica, sconvol-ge tutta la struttura famigliare del malatoed è questa struttura che in primo luogodeve essere incoraggiata, sostenuta edaiutata, sia durante la malattia che dopo lascomparsa della persona cara, la malattiapuò distorcere le relazioni, creare frainten-dimenti, sensi di colpa, offuscare unperiodo in cui il paziente ha bisogno disincerità e chiarezza, non tanto o nonsempre, sincerità sul suo stato, ma neirapporti con le persone che lo circonda-no, persone che a loro volta avranno biso-gno di aiuto per superare l’evento.

Le fasi principali che la dott.sa Kubler-Ross descrive ci possono aiutare a capirelo stato d’animo e il comportamento deipazienti che dobbiamo assistere.

Nel primo momento c’è sempre il rifiuto“non è vero, non sono io ad essere mala-to”. È una fase che si ripresenta ciclica-mente nel corso della malattia ma è pecu-liare nella fase iniziale; è il momento in cuidiventa difficile capire quanto è grande ilbisogno del malato di essere informato ese è in grado di elaborare l’informazione.Nella nostra cultura si tende a nasconde-re al paziente la gravità della malattia e inquesto caso la famiglia si assume l’onerepsicologico della gestione della stessa;ma il paziente spesso intuisce, si isola ecomunicare diventa difficile per lui, per

noi e per i suoi famigliari.La seconda fase è la collera, dal “non è

vero” si passa al “perché proprio a me”;nel tentativo di scaricare su altri la suarabbia il paziente si scaglia contro tutto econtro tutti, niente gli va bene, tutti stannosbagliando e non lo sanno curare.

La terza fase è quella del compromes-so: “se sarò buono forse verrò esaudito”;dopo la ribellione e la collera contro Dio egli uomini, si scende a compromessi:accetto di fare questo, ma tu mi farai sta-re meglio.

La quarta fase è caratterizzata dall’in-sorgere della depressione, è il rendersiconto di non poter portare a termine i pro-getti che ci si era prefissati, è il momentoin cui la propria identità rischia di perder-si, la malattia ci ha invalidato, ci ha tra-sformato anche fisicamente, stentiamo ariconoscerci. È il momento in cui la perso-na dovrebbe cominciare a tirare le fila del-la sua vita. La dott.sa Kubler-Ross distin-gue due tipi di depressione: il primo cheriguarda le difficoltà e i cambiamenti cheinsorgono con la malattia, questa moda-lità è ancora una reazione al male; laseconda è quella che insorge appena pri-ma dell’accettazione del stato di malattiaterminale ed è dovuta alla consapevolez-za della perdita imminente di tutti glioggetti del nostro amore. Questi due tipidi depressione, che compaiono inmomenti diversi, devono essere trattati,secondo la Kubler-Ross in modi diversi.

La quinta ed ultima fase è caratterizzatadall’accettazione. Se il malato avrà avuto iltempo necessario e sarà stato aiutato asuperare le fasi precedenti, subentreràuno stato di accettazione, sarà troppodebole per poter reagire, sentirà il biso-gno di riposo, a poco a poco si staccheràdal mondo e dai suoi famigliari e, più omeno consapevolmente, si preparerà amorire.

In questo libro la dott.sa Kubler-Ross ciracconta sua esperienza attraverso ladescrizione di molti casi clinici, riporta,quasi per intero, i colloqui tra gli operatorie i malati, ci suggerisce le domande che èopportuno fare e le risposte che è oppor-tuno non dare, ci mostra come l’instaurar-si di una buona relazione, o meglio di un“rapporto” più attento con il malato possadi fatto aiutare operatori, famigliari, malati,nell’affrontare il percorso verso la morte.

La strada aperta della dott.sa Kubler-Ross è stata percorsa da molti autori. Unodei libri più belli su questo argomento è

senz’altro “La morte amica” scritto dallapsicologa francese, Marie de Hennezel.La dott.sa de Hennezel opera in una unitàdi cure Palliative a Parigi e basa i suoiinterventi presso i malati terminali sull’a-scolto e l’aptonomia. Quest’ultimo termi-ne, che può sembrare tecnico e sperso-nalizzato, in realtà significa che l’approc-cio della dott.sa è basato sul tatto e sul-l’affetto. La dicitura “Cure palliative” derivadal verbo palliare, ricoprire, e conseguen-temente da pallio, mantello, ed è questoche attua Marie de Hennezel: essa si pro-pone come un mantello che riscalda eprotegge. La sua grande umanità, ha sti-molato la dedizione in tutti coloro che col-laborano con lei, l’enorme amore chemanifesta attraverso il toccare i suoipazienti, la sua presenza nei momenti didolore, siano essi fisici o psicologici, atte-nua il disagio dei pazienti, essi sanno chepossono letteralmente abbandonarsi trale sue braccia sia durante una medicazio-ne dolorosa sia durante una crisi di pian-to, sanno che qualsiasi cosa succeda nonverranno abbandonati, possono contaresulla sua presenza nei momenti più diffici-li della malattia. Grazie al suo saper ascol-tare le persone attraverso una forte empa-tia, Marie de Hennezel favorisce lo scio-gliersi di tutte le tensioni che accompa-gnano la malattia terminale: il dover siste-mare le cose per chi resta, il poter manife-stare, senza più pudori, il proprio affettoalle persone care o, semplicemente, ilpoter gridare tutta la propria rabbia versouna malattia crudele e dolorosa. Lei è lì,spesso in silenzio, presenza solida controla caducità del mondo.

Sia la Kubler-Ross che la de Hennezelhanno posto l’accento sulla domanda“come” si muore. Si può morire arrabbia-ti, depressi, abbandonati, oppure si puòmorire in pace, sereni, accompagnati dal-la propria famiglia. Nel numero 1 del 2001della nostra rivista “Infermieri a Pavia”Gisella Tridella, una nostra collega, ci rac-conta la sua personale esperienza e rias-sume con grande efficacia le difficoltà checome operatori e famigliari ci troviamo adover affrontare nel momento della mortedi una persona cara. Negli ultimi mesi ogiorni della malattia, quando tutte le spe-ranze vengono meno a cosa ci si può rife-rire? Tutte le cure sono ormai inutili e datoche mai siamo pronti a questo, l’ultimotentativo deve essere sempre fatto? Qual-che risposta ce la può dare la “Carta dei

26PAGINA Infermiere a Pavia

SULLA MORTE,SENZA ESAGERARE

Non si intende di scherzi,stelle, ponti,tessitura, miniere, lavoro nei campi,costruzione di navi e cottura di dolci.

Quando conversiamo del domaniintromette la sua ultima parolaa sproposito.

Non sa fare neppure ciòche attiene al suo mestiere.né scavare una fossa.né mettere insieme una bara,né rassettare il disordine che lascia.

Occupata ad uccidere, lo fa in modo maldestro,senza metodo né abilità.Come se con ognuno di noi stesse imparando.

Vada per i trionfi,ma quante disfatte,colpi a vuotoe tentativi ripetuti da capo!

A volte le manca la forzadi far cadere una mosca in volo.più d'un brucola batte in velocità.

Tutti quei bulbi, baccelli,antenne, pinne, trachee,piumaggi nuziali e pelame invernaletestimoniano i ritardidel suo svogliato lavoro.

La cattiva volontà non bastaE perfino il nostro aiuto con guerre e rivolu-zioniè, almeno per ora, insufficiente.

I cuori battono nelle uova.Crescono gli scheletri dei neonati.Dai semi spuntano le prime due foglioline,e spesso anche grandi alberi all'orizzonte.

Chi ne afferma l'onnipotenzaè lui stesso la prova viventeche essa onnipotente non è

Non c'è vitache almeno per un attimonon sia immortale.

La morte è sempre in ritardo di quell'attimo.

Invano scuote la manigliad'una porta invisibile.A nessuno può sottrarreil tempo raggiunto.

W. Szymborska: Vista con granello di sabbia,ed. Adelphi, 1998

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diritti del morente” e all’interno dello stes-so articolo potete trovarne una versione.

Ma la domanda “come si muore” non èla sola che ci dobbiamo porre, dobbiamochiederci anche “chi muore”. A questadomanda risponde Stephen Levine con ilsuo libro “Chi muore? quando si muore “.Levine, nella sua collaborazione con ladott.sa Kubler-Ross ha ripreso ed amplia-to la domanda che era rimasta sott’intesa:chi è la persona che sta morendo, qualierano i suoi sogni, le sue aspettative,come vive i momenti di dolore, cosa suc-cede nei famigliari quando muore unapersona cara, quando muore un bambi-no?

Insegnante di tecniche della meditazio-ne, Levine mette a punto una serie dimeditazioni che aiutano il paziente a pren-dere coscienza del suo dolore sia fisicoche psichico; con la presa di coscienzanasce il desiderio di chiarezza nei rappor-ti e paradossalmente, nel percorso delmorire, si fa strada la consapevolezza delvivere, dei valori fino ad allora perseguiti,dell’importanza da dare alle cose e allepersone: “ciò che spinge la maggior partedelle persone ad aprirsi alla propria vitanon è la gioia, bensì il dolore. Il doloredefinisce il territorio del sé immaginario, ilporto sicuro dell’immagine di sé oltre ilquale sorge il disagio di essere in baliadell’incontrollabile”. Se nel libro dellaKubler-Ross prevale l’ascolto e in quellodella de Hennezel l’amore, in quello diLevine è il bisogno di conquistare la con-sapevolezza di sé ad emergere.

A questo punto il discorso si fa piùprofondo, entra in gioco l’Essere e ilmodo di essere. Il viaggio verso la consa-pevolezza di sé tocca non solo il malatoterminale ma tutti gli uomini e le donne delpianeta. È la domanda fondamentale: chisono io? Questa domanda porta alle suc-cessive: dove sono, dove sto andando eda dove sono venuto. Rispondere a que-ste domande può richiedere tutta la vita,ma per chi sta morendo il tempo che restadiventa prezioso, il bisogno di una ricapi-tolazione si fa pressante, ma come met-terla in atto? E come trasmetterla se nonc’è nessuno disposto ad ascoltare?

Le persone più vicine al malato, in ospe-dale, sono le infermiere, ma quante, tranoi, sono pronte ad ascoltare nel modogiusto? Un aiuto possiamo trovarlo nonlontano da qui. Nel piacentino, in un pae-sino chiamato Bettola opera da molti anni

un’associazione per la ricerca sulla termi-nalità. L’associazione A.R.T. fondata daldott. Paulo Parra e da sua moglie, ladott.sa Amanda Castello, organizza gior-nate di studio, incontri, seminari, corsi diformazione per operatori sanitari, sulla ter-minalità; inoltre fornisce assistenza aimalati, alle famiglie e alle persone in lutto.La dott.sa Castello ha spesso collaboratocon la rivista “Nursing oggi” e con la suasupervisione è stato realizzata una bellatesi sulla terminalità scritta da un’educatri-ce.

Ascoltare è un arte e presuppone, daparte dell’ascoltatore, un percorso interio-re vissuto ed elaborato, occorre tener pre-sente che ascoltare non significa darerisposte adeguate, ma saper porre ledomande giuste, significa dare la possibi-lità all’altro di far emergere dal propriointeriore le proprie personali risposte.

Tutti gli autori citati affermano con forzache gran parte del dolore è dovuto all’im-possibilità da parte di chi muore di espri-mere il proprio sentire, le persone che tistanno attorno non vogliono sentir parlaredi morte, anche loro soffrono perché tustai soffrendo e non ti lasciano la possibi-lità di condividere le tue paure, la loro vici-nanza non è accompagnamento, ma ungioco a rimpiattino dove nessuno vuolerinunciare alla sua maschera per paura diferire l’altro. In questo modo il dolore vie-ne riflesso ed amplificato dal dolore deglialtri e questo si tramuta in un disagio sem-pre più grande che rischia di rovinare irri-mediabilmente gli ultimi momenti trascor-si insieme.

Quando la morte si fa prossima tuttoquel che siamo esplode in mille pezzi ecome uno specchio rotto non abbiamopiù, di noi stessi, un’immagine unitaria,non siamo più una madre o un padre, nonposiamo più identificarci con un mestiere,perdiamo il nostro status sociale e siamoin balia di sconosciuti e di fronte all’igno-to. Questo è il momento in cui è possibilericostruire una nuova identità alla luce diuna nuova integrità e verità.

Non è necessario essere malati e arriva-re alla morte fisica per vivere situazionicome questa, ogni cambiamento che siinnesca nel nostro profondo o nella nostravita determina il senso del morire, è ilmomento in cui siamo soli con noi stessie dobbiamo trovare il coraggio di rinasce-re a nuova vita.

Don Juan dice a Carlos Castaneda: “Lamorte è la nostra eterna compagna…èsempre alla nostra sinistra, a un passo didistanza....ti osserva da sempre. E sem-pre lo farà, fino al giorno in cui ti toc-cherà…la cosa da fare, quando sei impa-ziente, è…voltarti a sinistra e chiedereconsiglio alla tua morte. Gran parte dellameschinità sparirà se la tua morte ti faràun segno o se riuscirai semplicemente aintravederla, o se solo avrai l’impressioneche la tua compagna è lì che ti sorveglia.”

Il sentirsi morire “crea una dimensioneunica nell’esistenza dell’uomo. Essa real-mente rappresenta l’unico momento in cuil’uomo è presente a se stesso. È di frontea se stesso così come realmente è. L’uo-mo che muore non è l’uomo storico emelanconico fondato sul passato, non èneanche l’uomo progressista e desideran-te basato sul futuro”

Chi si è lasciato morire, ed è rinato anuova vita prima di perdere il corpo fisico,è in grado di ascoltare in modo attento,empatico e partecipe quello che la perso-na morente ha da raccontare, egli è ingrado di contenere dentro di sé le paure,i dolori, le difficoltà dell’altro e lasciare chela manifestazione di questi sentimenti tro-vi soluzione spontaneamente.

Il percorso del morire vissuto dalpaziente e dagli operatori genera sempreuna visione diversa della vita, spinge anuove domande, domande che non han-no altra risposta se non il sentire interioree ad un certo punto ci si rende conto chequesto sentire, diverso da ogni altro spe-rimentato prima, ci introduce in un nuovomondo, in un luogo dove la spiritualitàdomina sulla ragione; non parlo di “reli-gione”, parlo di spiritualità, questa è unadimensione che va oltre la nostra mente èla percezione di un Principio, incommen-surabile e indicibile che sorge da dentro eci obbliga a vedere “oltre”, non è dettatoda credenze o dalla fede, nasce sponta-neamente e ci invita all’esplorazione di noistessi.

Gavin Harrison stava già percorrendoun cammino di spiritualità ma solo quan-do gli fu detto che aveva contratto il virusdell’AIDS si rese conto di quanta pocastrada avesse compiuto. Nel suo libro“Nel grembo di Buddha” racconta la suaesperienza di malato, di come emerseroricordi dell’infanzia tragici e perciò rimossie di come è possibile trasformare un gran-de dolore in forza.

Sembra veramente impossibile evitarela dimensione dello Spirito, la dott.sa deHennezel la percorre nel libro “Il passag-gio luminoso”. Scritto in collaborazionecon padre Jean-Yves Leloup il libro esplo-ra il piano spirituale inserendo questatematica nel discorso della “buona mor-te”, in questo modo gli autori cercano didare delle indicazioni da seguire per aiu-tare malati, famigliari, medici, infermieri eoperatori a trovare risposte alle domandeche inevitabilmente sorgono.

Lo fa, con maggiore forza, anche ladott.sa Kubler-Ross che scrive: “Per tantisecoli si è cercato di convincere la gentea credere alle cose ultraterrene. Per menon è più questione di credere, ma disapere; la morte è soltanto il passaggioad una casa più bella!”

L’arte del bel morire e l’attuazione di unaccompagnamento alla morte efficacepuò aiutare ad affrontare argomenti, mol-to spinosi, che i comitati di Bioetica stan-no dibattendo in questo momento storicoin cui la scienza, pare voglia sostituirsi aDio, per portarci ad un mondo senza piùsofferenze e malattie e verso l’immortalità.Sto parlando del problema dell’accani-mento terapeutico e dell’eutanasia. Soloda poco tempo ci si chiede quando ildesiderio di tenere in vita una personadiventa “accanimento terapeutico”, vedia-mo ogni giorno, anche all’interno dellenostre famiglie, quanto sia difficile direbasta; la valutazione della qualità dellavita da parte di chi assiste viene condizio-nata dall’affetto, dalle aspettative nei con-fronti della medicina occidentale e da mil-le altre cause. Tutto questo verrebbe acadere se fossimo in grado di imparare avivere pienamente il nostro presente, sen-za proiettarci continuamente nel futuro,imparando così a morire ogni giorno a noistessi per rinasce nuovi ad ogni alba.

Accedere alla consapevolezza che puòesistere, al di là di ogni tesi religiosa e lai-ca, un’alternativa al dolore della morte,può modificare il punto di vista dei legisla-tori spostandolo dall’eutanasia e dal suici-dio assistito verso un maggior impegnonei confronti delle iniziative di Cure Pallia-tive. L’Olanda ha percorso la strada della“morte dolce” e con lei l’Australia e treStati degli U.S.A., ma l’amore suggeriscestrade diverse.

Chi si occupa della morte e dell’accom-pagnare le persone attraverso questo

momento non può, prima o poi, esimersidal passare sul piano più profondo e piùuniversale della spiritualità. L’esigenza diandare non solo oltre la morte, ma ancheoltre la visione ristretta della vita che ciimpone il materialismo occidentale, è con-naturata all’uomo, le persone, scienziati,medici, ricercatori, si sono dovuti arrende-re all’evidenza che non è la paura dell’i-gnoto a spingerci verso la parte più sottiledi noi stessi.

È nei momenti più dolorosi della nostravita che qualcosa, dentro di noi, insorge eci dice che quello che vediamo non è “tut-ta” la realtà. Qualcosa, dalla profonditàdel nostro Essere si muove, preme peruscire, la Vita fa sentire la propria voce,grida che l’Uomo non è solo carne, men-te, emozioni e che l’insieme è sempresuperiore alla somma delle parti.

Nel momento stesso in cui perdiamotutto quello che abbiamo questo “nuovosapere” afferma con forza che non siamosoli e che, oltrepassata l’ultima porta,compiuta l’ultima iniziazione, saremo acasa.

28PAGINA Infermiere a Pavia

Bibliografia

E. Kubler-Ross: “La morte e il morire”, LaCittadella editrice (reperibile presso labiblioteca del Collegio I.P.A.S.V.I. diPavia)

M. de Hennezel: “La morte amica”, Super-bur saggi

G. Trivella: “Cure palliative, una luce cheillumina l’ultimo cammino dell’uomo”,rivista “Infermieri a Pavia” , n° 1-2001

M. Bergognoni: “Responsabilità di nur-sing nell’assistenza al morente. Rifles-sioni sull’accompagnare alla morte,una delle arti del nursing”, rivista“Infermiere a Pavia”, n° 2/1999

S. Levine: “Chi muore? quando si muore”,ed. Sensibile alle foglie

G. Harrison: “Nel grembo di Buddha”, ed.Sensibili alle foglie

M. de Hennezel, Jean-Yves Leluop: “Ilpassaggio luminoso”, ed. Rizzoli

P. De Micheli: “L’amore ultima parola dellamorte” edito da Casa di Cura Privata“Capitanio”, unità di terapia del doloree cure palliative (non in commercio,reperibile presso la biblioteca del Col-legio I.P.A.S.V.I. di Pavia)

A. Castello: “Il ruolo del personale curan-te non finisce con la morte del pazien-te”, da “Nursing oggi” n° 1 gennaio-marzo 1999

E. Kubler-Ross: “La morte e la vita dopo lamorte”, ed. Mediterranee.

E. Kubler-Ross: “Impara a vivere, impara amorire”, ed. Armenia.

C. Castaneda: “Viaggio a Ixtlan”, ed.Astrolabio.

C. Lazzari- G. Gandolfi Colleoni- F. Trallo:“Guida al counseling della persona incrisi e del malato grave”, ed. PitagoraBologna.

G. Mozzi: “Il culto dei morti in Italia”, edEinaudi.

Associazione per la ricerca sulla termina-lità: e-mail [email protected] [email protected]

L’autore* Infermiera - Poliambulatorio - A.O. Pavia

29PAGINANumero 4/2002

Tiziano Terzani – Lettere contro laGuerraPer favore, vuole spiegarmi qualcunoesperto in definizioni che differenza c’è fral’innocenza di un bambino morto nelWorld Trade Center e quella di uno mortosotto le bombe a KABUL?Colonna sonora: Paolo Capodacqua -bianchi rossi gialli neri

Luigi Ciotti -Latinoamerica e tutti i suddel mondo, 3/4.2001Per favore, vuole spiegarmi qualcunoesperto in definizioni perché nei paesi invia di sviluppo ci sono circa 32 milioni dipersone sieropositive che potrebberoveder decisamente migliorata la qualitàdella loro vita se solo avessero a disposi-zione i farmaci adeguati? Ed è la stessabanca mondiale a comunicarci i dati e adinformarci che, anche quest’anno, undicimilioni di cittadini dei paesi poveri mori-ranno per mancanza di medicinali o permalattie infettive curabili? E circa la metàdi queste persone sono bambini conmeno di cinque anni ? Colonna sonora: Astor Piazzola – Liber-tango

Tiziano Terzani – Lettere contro laGuerraPer favore, vuole spiegarmi qualcunoesperto in definizioni che differenza c’è fral’uomo d’affari che arriva in un paesepovero del Terzo mondo con nella borset-ta non una bomba ma i piani per la costru-zione di una fabbrica chimica che, a cau-sa di rischi di esplosione e inquinamento,non potrebbe mai essere costruita in unpaese ricco del Primo mondo. E la centra-le nucleare che fa ammalare di cancro lagente che vive vicino? E la diga che dislo-ca decine di migliaia di famiglie? O sem-plicemente la costruzione di tante piccoleindustrie che cementificano risaie secola-ri, trasformando migliaia di contadini inoperai per produrre scarpe da ginnasticao radioline, fino al giorno in cui è più con-veniente portare quelle lavorazioni altrovee le fabbriche chiudono, gli operai restanosenza lavoro e non essendoci più i campi

per far crescere il riso la gente muore difame?Colonna sonora: 99 POSSE - Amerika

Alex Zanotelli - Latinoamerica e tutti isud del mondo, 3/4.2001Per favore, vuole spiegarmi qualcunoesperto in definizioni perché di fronte anoi c’è la discarica di Nairobi: ogni giornoarrivano camion e lasciano tonnellate dirifiuti. Ma sulla discarica alcune migliaia dipersone riescono a vivere raccogliendorifiuti e riciclandone altri. Il posto è uninferno, sembra un girone dantesco; solochi lo vede capisce cosa significhi vivere aKorogocho e cosa significhi essere unragazzo di strada. In questa bidonvillealmeno 30.000 ragazzi, bambini o adole-scenti vivono per le strade, presi a calci datutte le parti, uccisi dalla polizia come stasuccedendo in Brasile. Se poi sei unaragazzina, hai poche speranze di trovareun lavoro per vivere, se non la prostituzio-ne. Non è una scelta, nessuna ragazzavorrebbe prostituirsi, ma non c’è altra via.A volte mi siedo accanto a queste ragaz-zine e dico:” Guarda che prenderail’AIDS”. Mi rispondono:”Alex, lo so benis-simo; ma cosa posso fare io? Se in unpezzo di carta scrivi “morta per AIDS” e suun altro “morta per fame” e poi tiri a sorte,non è sempre la stessa cosa?Colonna sonora: Pierangelo Bertoli - Nonfinirà

Anche questa è morte?Anche questa è morte?

Colonna sonora: Tracy Chapman – Revo-lution

L’autore* Infermiere, Policlinico San Matteo

Patologia Chirurgica – Pavia

Ruggero Rizzini*

A l t r i

PPEERRCCOORRSSIIPer favore, vuole spiegarmi

cc postale del VISPE n° 19975200, indi-cando come causale “Adozione simbolica– Burundi”.Per ogni altro aiuto, proposta o informa-zione telefona a:Segreteria VISPE tel. 02.57606806 – fax02.57605026 e-mail: [email protected] scrivi a:VISPE - C.P. 84 - Opera - MilanoVisita il sito:www.vispe.it

In base alla L. 49 del 26/02/1987 è possi-bile detrarre le somme erogate nella misu-ra massima del 2% del reddito imponibile.Garantiamo la massima riservatezza deidati e la possibilità di richiedere la rettificao la cancellazione dagli stessi scrivendo alnostro indirizzo.

Chi aderisce all'iniziativa

BAMBINI PER UN DOMANIriceverà una foto di un bambino compre-so tra quelli che beneficeranno degli aiuti.Non si vuole stabilire un contatto direttotra adottante ed adottato per diversi moti-vi:Perchésia un sincero gesto d'amore, senza ritor-ni gratificanti.

Perchéi bambini adottati non si sentano privile-giati e protetti rispetto agli altri.

Perchédata la tragica attuale situazione, il flussodei bambini varia in continuazione.

30PAGINA Infermiere a Pavia

V.I.S.P.E.Volontari ItalianiSolidarietà Paesi

Emergenti

"Amare l'uomo, renderlo sano,istruirlo, renderlo cosciente,

educato, sviluppare in luisentimenti di solidarietà,

renderlo degno, libero, capacedi rispondere al suo destinoinfinito: questa è la Carità”.

M. Kayoyaprete e poeta del Burundi.

Adozione simbolica per creare un pontedi solidarietà concreta, fattiva, con ilBurundi, a fianco di operatori missionari evolontari laici

Mutoyi e Bugenyuziin Burundi

Materiali acquistati ed inviati annualmenteper la tutela e la promozione dei bambininelle missioni:Medicinali• antipiretici• antibiotici• antielminticiAlimenti• latte in polvere• riso• tonno• zuccheroSussidi scolasticiAltri generivengono acquistati in loco o sono frutto diraccolte e donazioni:soja, farine energetiche, fagioli, vestiti,scarpe, tessuti, ecc.

Volontari Italiani per la Solidarietà ai PaesiEmergenti è l'ONG (Organismo nongovernativo) promotore dell'Iniziativa.Esso opera dagli anni '70 a fianco dei fra-telli africani, in Burundi, e continua adImpegnarsi per garantire il buon uso deituo contributo. Il nostro sforzo è quello digarantire a decine di migliaia di bambini ilrispetto dei loro più elementari diritti:

alla vitaalla salute

al ciboall’istruzione

all'amoreOgni bambino nel mondo ha bisogno disentirsi amato, perché solo così potrà cre-dere in un suo futuro e potrà affrontare lavita con entusiasmo. Forse anch'io possofare qualcosa per uno di loro! Anch'ioposso essere un volontario nei paesipoveri e portare la mia testimonianza,assistendo gli orfani, i poveri tra i poveri, ipiù abbandonati.Per l'adozione simbolica di uno o piùbambini, puoi effettuare il versamento sul

Bambiniper un domani

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Violette Barahinyutu Petero Hakizimana

Manuelina NtakirutimanaAntoine Ragerigere

32PAGINA Infermiere a Pavia

Aggiornamento

Silvia Giudici *

ANDATAINITALIA

APAVIA

RITORNO

L’EDUCAZIONE ALL’INVECCHIAMEN-TO, L’ANIMAZIONE E LA TERAPIAOCCUPAZIONALE

Roma, 17/18/19 giugno 2002Obiettivo del corso è quello di fornire

una conoscenza sugli aspetti educativi edi animazione del paziente anziano. Ver-ranno trattati argomenti quali: l’educazio-ne all’invecchiamento e gli aspetti geron-tologici; l’animazione ed i suoi contenuti;la diversificazione delle figure animative;la comunicazione verbale e non verbale;la dinamica di gruppo; la creatività nellapersona anziana.

Per info: Ce.P.S.A.G. Università Cattoli-ca del Sacro Cuore tel. 0630154916; fax063052469; e-mail: [email protected];http://www.Cepsag.org

CORSO DI FORMAZIONE PER “FOR-MATORI” ALLA PREVENZIONE DEIDANNI DA MOVIMENTAZIONE.

Sondrio, 27/28 settembre 2002Le patologie muscoloscheletriche occu-

pazionali hanno ormai raggiunto il primoposto per diffusione tra le malattie da lavo-ro. La loro prevenzione è diventata, pertan-to, non solo interesse scientifico, ma unproblema sociale di grande rilevanza. E’quindi opportuno che all’interno dei vari entisia presente un consistente nucleo di ope-ratori in grado di gestire la formazione spe-cifica del personale alla corretta movimen-tazione degli utenti e dei pesi in generale.

Per info: Ufficio formazione ASL di Son-drio tel 0342514525; fax 0342514996; e-mail: [email protected]

L’INFERMIERE NELLA SALUTE MEN-TALE VERSO LA FORMAZIONE COM-PLEMENTARE

Pavia, 18/19/20 ottobre 2002Il corso si propone di analizzare le pecu-

liarità del rapporto con l’utente affetto dadisagio psichico, di acquisire gli strumentiper l’operatività quotidiana in una dimen-sione multi-professionale e di approfondi-re gli aspetti giuridico-legislativi.

Per info: ANIN tel. 0382423200; e-mail:[email protected] - Congress Team Projecttel 038222650; fax 038233822; e-mail:[email protected]

MATTI DA LEGARE?La legge 180 è da abolire o da applicare?

“ … un viaggiatore che si era perduto inun paese dove nessuno parla la sua linguae non sa dove andare si sente smarrito,solo e senza aiuto. Ma ecco che improvvi-samente incontra un tale che sa parlare lasua lingua …

Torna un po’ di vita, un po’ di voglia dicontinuare a combattere …

Essere pazzi è come uno di quegli incu-bi cui si cerca di chiamare aiuto ma nonviene fuori la voce. Oppure la voce escema non c’è nessuno che senta o capisca.E non ci si può svegliare da questo incubose non c’è qualcuno che sente ed aiuta asvegliarsi.” Joan

Sabato, 26 Gennaio dell’anno in cor-so, si è svolta a Pavia, presso la Sala del-l’Annunciata, la Tavola Rotonda apertaalla cittadinanza sul tema “La Legge 180 èda abolire o da applicare?”, organizzatadal Comitato di Redazione dell’organoufficiale di stampa del Collegio IPASVI di

Annamaria Tanzi *

Pavia “Infermiere a Pavia” con un unani-me consenso dei componenti del Consi-glio Direttivo del Collegio Professionale e,con il patrocinio del Comune di Pavia.

La partecipazione è stata numerosa,operatori sanitari dell’area della salutementale e di altri ambiti della medicina,studenti della riabilitazione psichiatrica epsicosociale, familiari di utenti della psi-chiatria ma soprattutto, la comunità citta-dina che rappresenta la linfa vitale per illavoro che abbiamo scelto e gli obiettiviche ci siamo posti all’indomani dell’appro-

vazione della Legge 180.Obiettivi della Tavola Rotonda sono sta-

ti: parlare della Legge 13 Maggio 1978, n°180 di Riforma della Psichiatria; chiarire lostato dell’arte sull’applicazione di taleimpianto normativo; illustrare le Propostedi Legge in merito alla modifica di questalegge (ricordiamo che i Progetti di Leggesono tre: PdL 152 presentato dal deputa-to Cè della Lega Nord, PdL 174 presenta-to dalla deputata Burani Procaccini di For-za Italia e PdL 844 presentato dal deputa-to Cento del Gruppo Misto); ascoltare le

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opinioni di esperti del settore e le loro per-sonali esperienze come protagonisti attividelle lotte all’istituzione manicomiale evalutare in merito alle cosiddette “innova-zioni” che hanno ispirato questi progetti dilegge, eventuali ricadute sulle personecon problemi psichici e nondimeno sugli“addetti ai lavori”.

Professionisti autorevoli della psichiatriapavese e non, hanno portato il loro perso-nale contributo ed il loro pensiero sullaLegge 180, legge quadro di riforma dellapsichiatria del 1978, che a ventitré anni dal-la sua emanazione, è ritornata all’attenzio-ne dell’opinione pubblica in seguito allapresentazione in Parlamento di alcune pro-poste di legge finalizzate a un suo supera-mento ed i cui contenuti evidenziano inmodo chiaro la volontà di un “ritorno alpassato” basato sulla constatazione,superficiale e discutibile, del fallimento del-la Legge 180 sull’intero territorio nazionale.

Oggetto di questo articolo è il resocontodella Tavola Rotonda ed io non ho inten-zione di disattendere le aspettative e leesigenze della redazione di “Infermiere aPavia” e del Collegio che ha il dovere diinformare la comunità infermieristica suquanto realizza e sui risultati ottenuti ma,riscrivendo il titolo mi è venuto subito inmente che: se non si slega un “matto”,non si può curarlo… e allora mi sembraimportante fare una premessa di caratteregenerale e storico sulla psichiatria, ambi-to irto di difficoltà, misconosciuto e spes-so ingrato, perché a tutt’oggi incontraresistenze in una buona parte della popo-lazione infermieristica, resistenze legateindubitabilmente al pregiudizio perpetua-to nella nostra educazione sulla malattiamentale e su chi ne è sofferente, pregiudi-zio che può essere superato se la forma-zione infermieristica tutta (a tutti i livelli enon solo confinata in un master in psi-chiatria) saprà farsi carico della compo-nente della salute mentale, una compo-nente essenziale per tutta l’assistenzainfermieristica e in tutti gli ambiti ospeda-lieri e territoriali della sanità.

La salute mentale, lo stato dell’arte del-la Legge 180 del 1978, la incredibile ten-tazione di pensare ad un ritorno al passa-to, “i matti”, non possono riguardare solola questione psichiatrica, gli operatori ed ifamiliari coinvolti, perché perdere o man-tenere la salute mentale è un problema digrande rilevanza sociale e riguarda tutti.

Nella nostra cultura “occidentale”intorno alla malattia mentale, un ruoloprevalente lo hanno avuto i pregiudizi(una barriera mentale, ahimè, non sconfit-ta del tutto!!!): pericolosità e incomprensi-bilità,organicità, incurabilità,superioritàdelle cure private su quelle pubbliche,pregiudizi spesso aggravati dal silenzio edalla vergogna perché la sofferenza men-

tale è sempre stata una realtà scomoda,su cui si cerca di tacere sia con gli altri siacon se stessi.

L’idea di follia nella storia è stata varia-bile e comunque collegata alle credenzedella società del tempo e l’Ottocento havisto la nascita del manicomio, concepitocome luogo di cura dei malati ( vissuti neidue secoli precedenti come una minacciaalla quiete pubblica o all’ordine costituitoe per questo reclusi e sottoposti a puni-zioni e contenzione, nondimeno a condi-zioni igieniche precarie), forte dell’affer-mazione nell’età dei lumi, dei diritti del-l’uomo e del cittadino propagati dallaRivoluzione Francese.

Tuttavia, il manicomio, ha rappresentatola continuità con i luoghi di segregazioneprecedenti, dal momento che la cura hacoinciso con l’obiettivo del controllo deimalati.

Con l’inizio del Novecento prende avviola più ampia rivoluzione storica nel campodelle conoscenze psicologiche: Freud, lanascita della psicoanalisi, i risultati del-l’antropologia e della riflessione fenome-nologia inducono a rivedere il concetto diidentità della persona, del rapporto traindividuo e contesto sociale, dei confinitra salute e malattia mentale.

Dalla metà degli anni ’50, a prescinderedall’introduzione degli psicofarmaci, siassiste ad un intenso fermento di iniziativeche si pongono in alternativa all’ordinepsichiatrico istituzionale, questo accaddein Inghilterra, in Francia, nella GermaniaFederale.

Viene recuperata l’idea di curabilità eguarigione del disturbo mentale, superatoil pregiudizio di interpretare la malattia

mentale in base al modello medico-orga-nicista, si apre la strada al trattamento psi-coterapeutico.

Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settan-ta aumenta la consapevolezza dei limitidella psichiatria di impianto ottocentescoe delle rigidità create dall’istituzione mani-comiale.

L’Italia, dopo aver partecipato in queglianni alla spinta di rinnovamento culturalee scientifico, è stato il primo Paese adotarsi di una legge organica, la Legge180 nel 1978, ponendosi all’avanguardiain Europa ma anche rispetto al resto delmondo.

La Legge 180 del 1978 ha completa-mente rivoluzionato teoria e pratica dellapsichiatria italiana, una scelta coraggiosae una conquista culturale e civile oltre chedi rigore scientifico che hanno portato allaluce quel mondo sommerso e nascostodella sofferenza mentale affrontato sinoad allora con tre strumenti: i già citati pre-giudizi, l’ignoranza, la repressione e mai… la cura.

I principi cui la Legge si ispira, compre-so quello dell’abolizione del manicomio,sono peraltro considerati dall’Organizza-zione Mondiale della Sanità obiettivi, dacui il nuovo assetto dell’assistenza psi-chiatrica non può prescindere.

Il lavoro dal 1978 è stato faticoso, da unlato la farraginosa organizzazione sanita-ria nazionale che ha impiegato anni pergiungere alla chiusura definitiva degliOspedali Psichiatrici e alla creazione eapprontamento di strutture, mezzi e risor-se umane e materiali per affrontare questocambiamento epocale, dall’altro, le fisiolo-giche resistenze al nuovo per non parlaredel costante tentativo da parte delle lob-bies pro-manicomio di tornare indietro.

Tuttavia, nel 1994 e nel 1999, due pro-getti-obiettivo emanati con decreto delPresidente della Repubblica hanno defini-to in maniera chiara ed articolata come latutela della salute mentale debba svolger-si, il tipo di strutture di cui si devono arti-colare i Dipartimenti di Salute Mentale,quante debbano essere queste strutture equanti utenti devono accogliere.

A distanza di venti anni e più, possiamodire che il processo di deospedalizzazio-ne è stato concluso, le disposizioni deiprogetti-obiettivo sul territorio nazionalesono state realizzate in parte, comunquela situazione globale nel nostro Paese èstata definita “a macchia di leopardo”,non si può sottovalutare il fatto vi sonoinfatti aree forti che si presentano conun’articolata rete di servizi e una praticapsichiatrica sempre all’’avanguardia e tan-tomeno si può negare l’esistenza di areedeboli in cui le leggi sono ancora applica-te in modo parziale se non gravementedisattese.

Il processo di cambiamento avviato dal-la legge 180 è stato lento e difficile, duran-

te la sua realizzazione ha suscitato molte-plici interrogativi come la riscoperta delruolo delle famiglie e delle difficoltà chequesta hanno dovuto assumere; il con-fronto con una cultura sociale arretrata eintollerante verso il disagio mentale; la dif-ficoltà a costruire e far funzionare équipedi lavoro pluridisciplinari, a pensare pro-getti di intervento integrati, a sollecitarerisorse e reti territoriali formali ed informa-li. E nel frattempo sono emersi altri pro-blemi che chiamano la psichiatria ad agi-re in prima linea per il crescente disagiogiovanile ed adulto e disagio psichicolegato ai problemi sociali emergenti, per ilconcreto ed utile sostegno alle famiglie,per un effettivo cambiamento di mentalitàe di atteggiamento sociale verso il distur-bo psichico.

La reale constatazione delle carenzeistituzionali per rispondere a tutti i bisognidi salute mentale non può sminuire il valo-re della Legge 180 e far riemergere la ten-tazione di trovare soluzioni seguendo leantiche tracce del controllo, della custo-dia, … dell’esclusione.

Eppure alcuni parlamentari della mag-gioranza politica attuale e non, sostenutida alcune associazioni di familiari e dapsichiatri, ritenendo che la soluzionemigliore per i bisogni di salute mentale siarappresentata dalla modifica della Legge180, hanno presentato tre progetti di leg-ge con la chiara intenzione di riappro-priarsi di modelli culturali esclusivamentecaratterizzati da una logica della custodiae della costrizione del malato mentale,appoggiando un totale riduzionismo bio-logico, che ormai nessuno, nel mondooccidentale, adotta come unico schemadi approccio e comprensione del disagiopsichico.

La Tavola Rotonda … ha visto alternar-si operatori dell’ambito della Salute Men-tale e allo stesso tempo rappresentanti dinote associazioni nazionali e lombarde.Per la prima volta insieme, esponenti del-la Società Italiana di Psichiatria, Società diPsichiatria Democratica, AssociazioneOperatori Lombardi per la Salute Mentale,Unione Nazionale dei familiari per la Salu-te Mentale, Cooperativa Sociale Arti eMestieri, Associazione Nazionale Famigliedi Disabili Intellettivi e Relazionali, ognunocon il proprio patrimonio di esperienze ecultura che hanno trasmesso ai convenutisenza retorica o facili trionfalismi.

Pur appartenendo a scuole di pensierodiverse ma tutti impegnati negli anni caldidella contestazione all’istituzione manico-miale, non hanno taciuto la consapevo-lezza che a tutt’oggi vi sono questioniaperte in merito all’applicazione completadella Legge 180 e dei Progetti-Obiettivicosì come vi sono limiti e talora ambiguitàe contraddittorietà in alcune formulazionidelle leggi e disposizioni vigenti ma, han-

no espresso unanimi la convinzione che,contrariamente a quanto molti pensano,la Legge 180 non è di per sé inapplicabile(come dimostrano le esperienze in cui èstata applicata), e i risultati talvolta delu-denti sono dovuti alla mancata o insuffi-ciente applicazione da parte delle Ammi-nistrazioni Regionali e delle Aziende Sani-tarie Locali.

E’ emerso chiaramente che la Legge180 del 1978 ha rappresentato un fonda-mentale passo avanti verso il riconosci-mento dell’integrazione nella comunitàdei soggetti affetti da disturbo mentale,nel senso del riconoscere il loro diritto dicittadinanza, come pure, nel senso con-creto delle relazioni sociali e di una assi-stenza umana ed efficace, sicuramentecomplessa e non di facile attuazione mapossibile e dovuta.

E’ stato ricordato che nell’epoca mani-comiale, prevaleva la tendenza a conside-rare il malato di mente come pericoloso ea ritenere l’internamento in manicomiocome soluzione elettiva.

Il superamento degli ospedali psichiatri-ci e dei suoi “impressionanti” metodi dicura è stata considerata da tutti una realtàirreversibile.

Ed è stato ribadito che il mondo scienti-fico ha già espresso il totale dissenso ver-so quei progetti di legge orientati sullafacile e comoda ghettizzazione del malatomentale e non … sul lavoro certamentefaticoso per applicare concretamente lesoluzioni esistenti nel Paese; che il MondoScientifico, ma anche operatori e familiaricontinueranno a lavorare per l’emancipa-zione e la tutela di quanti esprimono sof-ferenza, disagio ed emarginazione.

L’unanime convinzione che i progetti dilegge sono totalmente inadeguati ai biso-gni ed ai diritti dei cittadini e decretereb-bero un arretramento nella cultura e nellaprassi dei servizi oggi esistenti oltre a nuo-ve segregazioni di chiara matrice manico-miale, è stata rafforzata da un ospite d’ec-cezione, il Consigliere Regionale Dr. CarloSaffioti (Medico Psichiatra) di Forza Italiache ha onorato la Tavola Rotonda con lasua presenza, con le sue parole e conl’assunzione di un impegno con i conve-nuti.

Credo che i contenuti del suo interven-to, conciso ma pregnante, possano esse-re sintetizzati nelle parole con cui si è con-gedato e che riporto testualmente: “LaLegge 180 è da applicare, questi Progettidi Legge sono da buttare”.

Ogni commento sarebbe ridondante.Il Dr. Saffioti si era anche impegnato a

presentare un ordine del giorno in Consi-glio Regionale a sostegno della correttaapplicazione della Legge 180 e dei Pro-getti-Obiettivo; la parola data è stata man-tenuta e dovrebbe essere ormai noto atutta la comunità infermieristica pavese, ildocumento politico pubblicato su “Vita di

Collegio” N° 3/2002 che rappresenta unobiettivo raggiunto.

L’ultimo intervento della Tavola Rotondaè stato il mio, come portavoce di un buonnumero di infermieri, colleghi con cui con-divido ogni giorno il difficile, talora fru-strante ma sempre affascinante lavorocon la “follia”, ho preparato un documen-to con il quale ho doverosamente sottoli-neato che la stagione della lotta all’istitu-zione manicomiale ha visto tra i protago-nisti gli infermieri.

Gli infermieri hanno contribuito all’affer-mazione di quelle lotte, rifiutando la dele-ga di carcerieri e dimostrando ciò che ver-gognosamente erano la psichiatria e ilmanicomio.

Per questo credo si debba guardare conrispetto e riconoscenza all’opera di tanticolleghi, che ci hanno preceduto nel setto-re, che hanno saputo prima dentro il mani-comio e poi allo scoperto, sul territorio, acasa della gente, agire nel mondo dellavita e diventare artefici del cambiamento.

Sul territorio nazionale vi sono numero-se esperienze di pratica terapeutica avan-zate che vedono gli infermieri tra i princi-pali protagonisti nelle aree della riabilita-zione, della prevenzione e della educazio-ne alla salute oltre naturalmente a quelledell’assistenza e della cura, tutti ambitiche voglio ricordare riguardano lo specifi-co infermieristico come previsto dalle nor-me vigenti.

Ho ribadito in conclusione che noi infer-mieri della salute mentale non torneremoindietro, ma continueremo a credere inuna cultura della responsabilità del rispet-to, dell’attenzione, dell’ascolto e dellacomprensione per il malato di mente e perla sua sofferenza, … per l’Altro diverso dame solo perché unico e irripetibile, mamio simile.

Il dibattito purtroppo è stato molto con-tenuto per motivi di tempo, tuttavia alcuniinterventi sono stati significativi e coinvol-genti sul piano emozionale ma, cosa piùimportante, hanno avvalorato una volontàunanime: la Legge 180 non si tocca, per-ché è stata una operazione culturale ecivile di grande portata, riconosciuta econdivisa dalla maggior parte degli ope-ratori della salute mentale e da personecomuni nel nostro Paese da nord a sud.

Concludo con un invito ai colleghi infer-mieri, un invito a leggere questo contribu-to considerandolo uno spunto per espri-mere su questo importante argomento,attraverso la rivista, le vostre opinioni inmodo libero e dialettico.

34PAGINA Infermiere a Pavia

L’autore* Infermiera - S.P.D.C. - A.O. Pavia

35PAGINANumero 4/2002

IL GRADO DI SODDISFAZIONE DEGLIUTENTI IN UN SERVIZIO PSICHIATRI-CO DI DIAGNOSI E CURA:IL PARERE DELL’UTENZA IN UNAINDAGINE CONOSCITIVA MEDIANTEQUESTIONARIO.

Pavia, 5 dicembre 2001“È il punto di vista del malato che è, infondo, quello vero”

G. Canguilhem

PREMESSAIn questi ultimi anni il Sistema Sanitario

Nazionale (S.S.N.) ha avuto cambiamentistrutturali profondi che hanno imposto, daun lato, per tutti gli operatori una ridefini-zione globale rispetto ai compiti istituzio-nali da svolgere, dall’altro, la valutazionedella qualità del servizio o del prodottocome traguardo essenziale di una gestio-ne ottimale di beni e di prestazioni di ser-vizi.

Qualche anno fa, da parte di un gruppodi infermieri del Servizio Psichiatrico diDiagnosi e Cura (S.P.D.C.) di Pavia, è sta-ta avvertita la necessità di una riflessioneriguardo la qualità dell’assistenza infer-mieristica erogata, allo scopo di verificar-ne l’efficacia e l’efficienza e per provare adessere al passo con i cambiamenti delS.S.N. e del mondo dell’assistenza infer-mieristica.

L’interesse ad approfondire il tema“qualità dell’assistenza infermieristica”dall’accoglienza nel servizio e per tutto iltempo della durata del ricovero, è sortodopo la partecipazione ad un convegnotenutosi a Padova nel marzo del 1997 incui era prevista la partecipazione di Hilde-gard Peplau, grande teorica del nursingpsicodinamico che ha svolto la sua attivitàper tanto tempo in ambito psichiatrico.

Alcune documentazioni acquisite inquel contesto contenevano dei questiona-ri somministrabili all’utente e rivolti al gra-do di soddisfazione dell’assistenza infer-mieristica.

E’ iniziato così il lavoro che presentia-mo, una necessità ma anche una sfidache abbiamo voluto lanciare mettendociin gioco e in discussione come professio-nisti della salute nella delicata ma “nonimpossibile” relazione con il malato psi-chiatrico.

COSTRUZIONE E FASI DI SPERI-MENTAZIONE DEL QUESTIONARIO

Con il presente lavoro, previsto nell’am-bito dei progetti di budget per l’anno 2000dell’Azienda Sanitaria Locale di Pavia, cisiamo posti l’obiettivo di individuare illivello di gradimento e soddisfazione delpaziente in regime di ricovero, in relazioneall’assistenza infermieristica erogata edalla percezione della nostra figura profes-sionale e del nostro ruolo.

Il questionario è stato progettato privile-giando gli aspetti relazionali propri del-l’approccio al nursing psicodinamico diHildegard Peplau.

Lo strumento utilizzato per l’indagine èstato appunto un questionario compostoda due parti: la prima riguardante alcunidati generali del paziente; la secondacostituita da nove domande a rispostachiusa.

La costruzione del questionario ha avu-to inizio nel 1999, risultato del lavoro svol-to da una rappresentanza dell’équipeinfermieristica insieme al coordinatorecapo sala.

Dopo una prima stesura e sperimenta-zione pilota sul campo per verificare lachiarezza e la validità, rispetto al proble-ma indagato, delle domande, il questiona-rio ed alcuni dei criteri adottati sono statimodificati sino alla stesura definitiva e lasperimentazione completa nell’anno2000.

IMPOSTAZIONE DEL LAVOROIl questionario è stato elaborato in

modo da:§ Mantenere l’anonimato del paziente per

rendere più libere le sue risposte§ Formulare domande essenziali, sempli-

ci e concise al fine di facilitarne la com-pilazione. La terminologia utilizzata èstata riesaminata e variata in alcuni pun-ti dopo la prima sperimentazione.

Altri criteri:§ Il questionario è stato rivolto individual-

mente a tutti i pazienti collaboranti. § Il questionario è stato presentato in

prossimità delle dimissioni.§ La somministrazione del questionario è

avvenuta in una prima fase anche conl’aiuto dell’infermiere (laddove il pazien-te non fosse in grado di compilarloautonomamente), successivamente èstata resa piena autonomia per la com-pilazione e consentito l’aiuto dei parentie/o visitatori, talora l’aiuto di altri degen-ti. Tutto questo allo scopo di non pilota-re le scelte del paziente magari nelladirezione desiderata.

§ Il questionario è stato accompagnatoda una busta per la restituzione.

§ Il questionario è stato riproposto aglistessi pazienti nell’eventuale ricoverosuccessivo se avveniva a distanza di

due mesi nella prima sperimentazione,di tre mesi nella seconda e definitivaesperienza.

§ Predisposizione e compilazione di unascheda mensile riservata al personaleinfermieristico contenente: NOME eCOGNOME dei pazienti degenti dalmese precedente e dei pazienti via viaricoverai durante il mese in corso; leDATE relative alla consegna ed al ritirodel questionario; le FIRME degli infer-mieri relative alla consegna ed al ritirodel questionario; le NOTE (motivandoper esempio i rifiuti alla compilazione eproblemi di varia natura).

§ Predisposizione di un prospetto mensi-le relativo ai pazienti (indicati con nomee cognome) ricoverati negli ultimi tremesi e che avevano già compilato ilquestionario. Questo prospettoanch’esso riservato al personale infer-mieristico è stato necessario per facilita-re la riproposizione del questionario eper il computo e la verifica immediatadei questionari consegnati e ritirati.

E’ stato preso in considerazione l’aspet-to etico rispetto ai diritti del malato. Ilpaziente, infatti, attraverso la relazioneinterpersonale diretta e mediante una let-tera-testo stampata di accompagnamentofirmata dai responsabili medico ed infer-mieristico del servizio, è stato informato,gli è stata chiesta la collaborazione percompilare il questionario, rassicurato cir-ca l’anonimato e messo al corrente che idati sarebbero stati utilizzati solo permigliorare la qualità dell’assistenza infer-mieristica.

ELABORAZIONE ED ANALISI DEIDATI

I dati sono riferiti ai questionari sommi-nistrati nell’anno 2000 nel Servizio Psi-chiatrico di diagnosi e cura.

I questionari somministrati sono stati216 di cui 63 a pazienti senza precedentiricoveri psichiatrici.

Ha restituito il questionario il 100% delcampione.

I grafici 1 e 2 qui riportati, riguardano l’a-nalisi di alcuni dati sociodemografici deipazienti: il titolo di studio e le condizioni dilavoro – professione.

Gli altri grafici (vedi dal grafico 3 al gra-fico 11) e le relative analisi rappresentanole informazioni ricevute dai pazienti nellenove domande a risposta chiusa (conte-nute nei grafici stessi):

Grafico 1Da questo grafico si evidenzia che la

popolazione testata ha per il 90% circaun’istruzione; in particolare il 35% ha avu-to un’istruzione superiore alle scuole del-l’obbligo

Anna Maria Bergonzi *Pietro Ghia **Gabriella Rovati ***Annamaria Tanzi **

Grafico 2E’ interessante rilevare che le percen-

tuali di occupazione/disoccupazione sonoequamente suddivise

Grafico 3E’ l’unica domanda con la possibilità di

due opzioni come risposta.Per il 32% la preoccupazione maggiore

al momento del ricovero è stata quella ditrovare gentilezza e conforto e per il 31%quella di avere una terapia.

Se confrontiamo i questionari deipazienti con precedenti ricoveri con quellial 1°, si nota che nel 2° caso è molto sen-tita la necessità di capire quello che stavasuccedendo e sentirsi trattato come unessere umano. Dei pazienti senza prece-denti ricoveri in psichiatria, nessuno harisposto che cercava una terapia.

Grafico 4Il 63% dei pazienti ha risposto che gli

infermieri erano attenti alle necessità e ailoro problemi.

Grafico 5Per il 41% dei nostri pazienti l’ingresso

di una nuova persona in reparto ha signi-ficato per gli infermieri la possibilità di ren-dersi utili.

Grafico 6Il 37% dei pazienti ha risposto “l’infer-

miere”. Fa riflettere l’ 8 % che ha rispo-sto”nessuno”.

Grafico 7Per quanto riguarda la figura dell’infer-

miere, la risposta è stata positiva. (Il 36% gli infermieri sono stati attenti

alle necessità e per il 25% hanno capito leproblematiche del paziente)

Grafico 8Più del 70% delle risposte sono state

positive circa il comportamento dell’infer-miere a capire ed ad essere di sostegnoalla sofferenza del paziente.

Grafico 9Per il 57% gli infermieri sono sempre

stati pronti e di aiuto; per il 25% in partedisponibili, solo l’1% li ha definiti maledu-cati e scortesi.

36PAGINA Infermiere a Pavia

Grafico 1 - Titolo di studio

Grafico 2 - Occupazione

Grafico 3 - Quando è entrato in repar-to la sua preoccupazione principale èstata . . .

Grafico 4 - Quando è entrato in repar-to come si è sentito trattato dagli infer-mieri?

Grafico 5 - Secondo lei cosa significaper gli infermieri l'ingresso di un nuo-vo paziente in reparto?

Grafico 6 - Nel momento di maggioresofferenza quale è stata la figura piùvicina?

Grafico 7 - Durante il ricovero come siè sentito trattato dagli infermieri?

Grafico 8 - Come definirebbe il rapportoche ha instaurato con gli infermieri

Grafico 9 - Gli infermieri sono stati

37PAGINANumero 4/2002

Grafico 10Purtroppo ancora il 38% dei pazienti

considerano l’infermiere un aiutante delmedico e solamente il 33% un professio-nista.

Grafico 11L’85% ritiene la professione dell’infer-

miere utile o indispensabile.

RIFLESSIONI CONCLUSIVEIl lavoro svolto ha rappresentato un

importante momento di crescita profes-sionale e di stimolo verso la ricerca infer-mieristica, una necessità attuale, che con-sente la realizzazione e la valutazione del-la pratica, favorendo il miglioramento del-la qualità dell’assistenza infermieristicache a sua volta configura un diritto del cit-tadino ed un dovere dell’infermiere.

L’analisi dei dati ha messo in evidenza ilbisogno del paziente durante la degenzaospedaliera di instaurare un rapporto“umano” di comprensione e sostegno alleproprie necessità, di trovare disponibilitànell’ascolto, di comunicare con l’operato-re che si occupa di lui.

In particolar modo emergono, da unlato la figura infermieristica, una figurapreparata e riconosciuta professional-mente, disponibile, attenta ai bisogni delpaziente e pronta a comunicare con esso;dall’atro, la professione dell’infermiere èritenuta utile ed indispensabile.

Una riflessione tuttavia merita quell’8%di pazienti che hanno risposto “nessuno”alla domanda in cui si chiedeva: quale èstata la figura più vicina nel momento dimaggiore sofferenza, è un dato cheandrebbe a nostro parere approfondito in

termini sia oggettivi sia soggettivi.Non si può sottovalutare quel 38% dei

pazienti che considerano l’infermiere unaiutante del medico; sicuramente questodato riflette la visione sociale dell’infermie-re (quasi un luogo comune) per certi ver-si ancorata a retaggi culturali, legati anchealla lenta evoluzione dell’assistenza infer-mieristica nel nostro Paese.

Spiccando un salto indietro nel questio-nario proposto ai nostri pazienti, ci sem-bra utile, sebbene non per i fini della ricer-ca, evidenziare che tra i dati sociodemo-grafici raccolti, quelli relativi al titolo di stu-dio posseduto e all’indice di occupazionelavorativa indicano rispettivamente un’ele-vata percentuale (90%) di persone conistruzione e le percentuali di occupazio-ne/disoccupazione equamente suddivise.

Un invito a riflettere insieme e guardarein faccia pregiudizi, ignoranza e luoghicomuni nei confronti della malattia menta-le e delle persone con sofferenza psichia-trica; un invito a conoscere la sofferenzapsichiatrica perché essa non trascina inse la compromissione delle aree raziona-li-cognitive ma quella delle regioni emo-zionali ed esistenziali.

L’indagine quantitativa condotta sullasoddisfazione dei pazienti rispetto all’assi-stenza infermieristica purtroppo ci dà undato numerico del giudizio soggettivo delpaziente. Meglio si presterebbe un’indagi-ne di tipo qualitativo per valutare gli ele-menti più soggettivi, che più di altri carat-terizzano il processo assistenziale ed ilrapporto con il paziente.

Riteniamo che i risultati ottenuti sonoindicativi dei comportamenti infermieristicie dei bisogni dei pazienti ricoverati nelnostro servizio, e possono diventare unostimolo a migliorare la nostra preparazio-ne professionale, soprattutto nell’ambitodella relazione interpersonale per assiste-re con maggior cura e sensibilità.

ALIMENTAZIONE E LESIONI CUTANEECRONICHE.

Questa proposta formativa, voluta dallanota AISLeC, l’Associazione Infermieristi-ca per lo Studio delle Lesioni Cutanee, siè tenuta a Pavia il 16-17 novembre 2001.Due giornate full immertion completamen-te dedicate all’alimentazione e alle lesionicutanee. Tra i docenti: l’IP Oreste Sidoli(Az. ASL di Parma – Sez. Nutrizione Artifi-ciale Domiciliare), il Nutrizionista Dott.Alberto Ferrari (Docente Università diModena) e la Dietista Sig.ra Renata Carra-ro (Osp. S. Orsola Fatebenefratelli Bre-scia).

Di particolare interesse la farmaconutri-zione, ovvero l’utilizzazione di formulazio-ni speciali che, oltre agli usuali nutrienti(carboidrati, lipidi, proteine, vitamine, saliminerali, acqua), contengono uno o piùsubstrati con azione specifica a livello didifferenti processi vitali quali immunità,risposta infiammatoria, ossidoriduzione,secrezione ormonale, deposizione di tes-suto cicatriziale. Oreste Sidoli ha ricordatoche un ridotto apporto di ossigeno ai tes-suti comporta acidosi e formazione diradicali liberi; alcuni nutrienti hanno azio-ne antiossidante tra i quali i carotenoidi(alfa, beta e gamma carotene), la vitaminaE, i flavonoidi ed il Selenio.

Vitamine e minerali che assicurano l’in-tegrità anatomo-fisiologica degli epiteli edel collagene, ha proseguito Sidoli, sonoprime le vitamine A, B1, B2, B6, C, mentretra i minerali si evidenziano il Manganese(Mn), lo Zinco (Zn), il Ferro (Fe), il Magne-sio (Mg) ed il Rame (Cu).

Particolarmente importante per l’anzia-no è lo Zinco, ha aggiunto la Dott.ssa Car-raro, la cui mancanza comporta ridottacicatrizzazione delle ferite, incapacità asentire i sapori ed inappetenza.

Substrati considerati farmaconutrienti,ma anche immunonutrienti, sono la Gluta-mina (il più abbondante aminoacido del-l’organismo), l’Arginina, gli acidi grassiinsaturi, la Glicina e la Taurina.

L’Arginina è un aminoacido essenzialee migliora la cicatrizzazione delle ferite,essendo in grado di stimolare la sintesidel collagene, aumentare il deposito dicollagene nell’area della ferita, migliorarela circolazione sanguigna, aumentare l’at-tività immunitaria cellulare (linfociti T) eridurre le perdite di Azoto ed il cataboli-smo proteico.

Numerosi sono stati gli studi sulla mal-nutrizione e l’importanza dell’interventonutrizionale per mantenere lo stato disalute.

La malnutrizione è una realtà tutt’altroche trascurabile, afferma il Dr. Alberto Fer-

Grafico 10 - Come definirebbe l'infer-miere dopo questa esperienza?

Grafico 11 - Come ha considerato laprofessione dell'infermiere?

L’autore* Anna Maria Bergonzi, I.P. A.F.D. - S.P.D.C. -

A.O. Pavia** Infermieri - S.P.D.C. - A.O. Pavia*** Infermiera Psichiatrica - S.P.D.C. - A.O.

Pavia

Silvia Giudici*

rari. Il 30-50% degli anziani che vengonoospedalizzati arrivano in reparto già denu-trito. Questa situazione è riconducibile alfatto che, nei Paesi evoluti, circa il 70%delle persone anziane cambia le proprieabitudini alimentari per problemi di salute,sociali, finanziari. Il senso del gusto e del-l’olfatto con l’età si riducono e così pure,di conseguenza, l’appetito, mentre pro-blemi di masticazione riducono la capa-cità a digerire certi cibi. La fisiologica dimi-nuzione della vista e dell’udito, i problemiosteoarticolari possono ridurre progressi-vamente la mobilità, interferendo sullacapacità di fare la spesa e cucinare. Per-tanto l’equipe assistenziale dovrebbesempre controllare con attenzione lo statonutrizionale di questi soggetti al fine diindividuare tempestivamente, fin dalle sueprime fasi, una situazione di malnutrizio-ne.

Uno strumento di rapida lettura chepotrebbe essere utilizzato in reparto dagliInfermieri, ma anche dal personaleASA/OTA, potrebbe essere rappresentatodal modulo qui sotto riportato. La compi-lazione accurata può evidenziare chiara-mente l’inadeguata assunzione dietetica(sotto il 75% dei fabbisogni giornalieri) egiustificare l’intervento personalizzato diun dietista.

Modulo per valutare l’assunzione diete-tica giornaliera degli anziani istituzionaliz-zati

Oltre alla diagnosi oggettiva, lo statonutrizionale può essere misurato avvalen-dosi di strumenti di valutazione affidabili,semplici, poco costosi e validati. Questistrumenti sono detti antropometrici e ser-vono a misurare le dimensioni, il peso eproporzioni corporee. L’antropometria èuna tecnica non invasiva e consente diottenere moltissime informazioni, nonsolo sulla composizione corporea, maanche per verificare l’efficacia nel tempodell’intervento nutrizionale. Le tecnicheantropometriche sono applicabili ad unriguardevole numero di soggetti non ingrado di stare in piedi. I parametri da sti-

mare sono l’altezza ed il peso corporeo, laquantità totale di grasso corporeo (Indicedi Massa Corporea – IMC), l’area musco-lare a metà braccio.

Negli anziani immobilizzati o con unatale curvatura della colonna vertebrale danon poter ottenere una misurazione cor-retta, la statura sarà stimata mediante lamisurazione dell’altezza al ginocchio edinserita in una formula differente a secon-da che il soggetto sia maschio o femmina.

Per stimare il peso corporeo, quando èimpossibile la misurazione diretta tramite

bilancia, si utilizzano misure antropometri-che in posizione sdraiata quali la circonfe-renza a metà braccio (CMB), la circonfe-renza del polpaccio (CP), l’altezza alginocchio (AG) e lo spessore della plicasottoscapolare (SPSc).

Una volta determinati, i dati antropome-trici vengono accuratamente registrati informa tabulare per essere poi trasferiti sugrafici. L’analisi dei valori ottenuti serve arilevare rapidamente una situazione pato-logica o a rischio di diventarlo, permetten-do così un intervento specifico precoce. Idati vicini a valori estremi dovrebbero

essere rivalutati più frequentemente pervalutare gli effetti dell’intervento terapeuti-co nutrizionale.

La tecnica antropometrica abbisogna diuna minima attrezzatura: un calibro scor-revole a paletta ampia per la misurazionedell’altezza al ginocchio, un nastro dimisurazione anelastico per la misurazionedelle circonferenze, un plicometro per lamisura dello spessore delle pliche, non-ché,ovviamente, della corretta conoscen-za della procedura.

Attualmente l’impedenziometria, proce-dimento che sfrutta l’impedenza bioelettri-ca del corpo umano per rilevare l’acqua

corporea, la massa magra e grassa, si èrilevata interessante, perché rapida nell’e-secuzione, semplice nell’uso ed a bassocosto.

Misure di laboratorio quali la determina-zione dell’albumina e della transferrinahanno dimostrato essere dei buoni mar-catori di deficit calorico-proteici. Pertantosituazioni di ipoalbuminemia/ipotransferri-nemia non devono essere sottovalutateperché quasi sempre campanelli d’allar-me di malnutrizione subclinica nell’anzia-no.

La stima dell’assunzione dietetica (sto-ria dietetica) è una delle più importanti for-me indirette di valutazione dello statonutrizionale. La quantificazione dell’as-sunzione dietetica dei nutrienti è però dif-ficoltosa in quanto non è facile reperireuna storia dietetica retrospettiva. Tuttavial’uso di moduli e questionari (indicatorinutrizionali) e gli interventi educazionaliinterattivi hanno permesso in questi ultimianni di conoscere con maggior precisionelo stato nutrizionale delle persone ospe-dalizzate, di capire le abitudini alimentari elo stile di vita dell’anziano e di intervenirein maniera ancor più mirata nella correzio-ne della malnutrizione.

Per rendere gli utenti anziani consape-voli del rischio di malnutrizione si potreb-bero utilizzare dei questionari-screeningcome quello qui sotto riportato.

Checklist“Determina la tua salute nutrizionale”

I segni della malnutrizione sono spessoinvisibili. Usa questo questionario per tro-vare se tu, o qualcuno che conosci, è arischio nutrizionale.

Leggi le domande sotto indicate. Cer-chia il numero della colonna SI, le risposteche ti riguardano (o sai che riguardano lapersona cui stai compilando questachecklist). Per ogni risposta SI, conteggiail numero nella casella. In fondo conteggiail tuo totale.

SISoffro di una malattia o condizioneche mi costringe a modificarela quantità dei cibi 2Mangio meno di 2 pasti al giorno 3Mangio poca frutta, o verdura, o latticini 2Bevo 4 o più bicchieri di birra o vino,o 2 o più bicchierini di liquore ogni giorno 2Ho problemi di masticazione o alla bocca che richiedono cibi tenerissimi,

38PAGINA Infermiere a Pavia

Come si compila:

Alla fine di ogni pasto metti le croci sul quadro corrispondente:+ se l’introduzione è stata 1/4 del pasto++ se l’introduzione è stata 1/2 del pasto+++ se l’introduzione è stata 3/4 del pasto++++ se l’introduzione è stata 4/4 del pasto

Per il fuori pasto:++ se l’introduzione è costituita da bevande calde (latte, cioccolato, etc.)++++ se l’introduzione è costituita da una bevanda più un panino, un toast, o un pacchetto di cracker

DATA COLAZIONE PRANZO MERENDA CENA SNACK TOTALE

Department of Medicine and Gerontology Toulouse University Hospital (Valeas, 1995)

MALNUTRIZIONE

Esami di Laboratorio Valori di riferimento Lieve Moderata Severa

Albumina >3.5 3.0-3.5 2.5-3.0 >2.5

Transferrina >200 180-200 160-180 >160

39PAGINANumero 4/2002

ben cotti 2Non sempre ho abbastanza soldi per comperare il cibo di cui ho bisogno 4Mangio in solitudine la maggior parte delle volte 1Prendo tre o più differenti farmaci al giorno, prescritti dal medico o da banco 1Senza volere ho perso o guadagnato 5 Kg negli ultimi 6 mesi 2Non sono sempre fisicamente abile ad uscire per la spesa, cucinare, e/o mangiare da solo 2TOTALEDeterminato il totale se corrisponde a:0-2 punti: Bene! Ricontrolla il tuo pun-

teggio tra 6 mesi.3-5 punti: Sei a rischio nutrizionale

“moderato”. Migliorate leabitudini alimentari e lo stiledi vita. Ricontrolla il tuopunteggio tra 3 mesi.

6 o più punti Sei “ad alto rischio nutrizio-nale”. Porta questo questio-nario al Medico, Dietista, oaltro qualificato Operatoredel Servizio Sanitario perchiedere aiuto al fine dimigliorare la tua salutenutrizionale.

NOTA BENE: Ricorda che i segni ammoni-tori suggeriscono rischio ma non rappre-sentano diagnosi di nessuna condizione.Da: The Nutritional Iniziative, a project of: AmericanAcademy of Family Physicians, The American DieteticAssociation, National Council on thr Aging, Inc.

Compilato dal pz., viene poi valutato dalpersonale sanitario addetto. Lo scopo diquesto strumento è la prevenzione dellamalnutrizione ed è inteso come rilevatoredi rischio cui segue un protocollo d’assi-stenza ben definito.

La Mini Valutazione Nutrizionale (MNA),qui sotto riportata, ha lo scopo di determi-nare precocemente il rischio di malnutri-zione.

VALUTAZIONE DELLO STATONUTRIZIONALE

(MINI NUTRIZIONAL ASSESSMENT MNA)

Cognome…………………………………Nome………………………...………………Sesso………………. Data……………….Età………………….. Peso Kg……………Statura cm……………….

1° INDICI ANTROPOMETRICI1) Indice di massa corporea

(IMC=peso/statura)0 = IMC inferiore 191 = 19 inf.= IMC inf. 212 = 21 magg.= IMC inf. 233 = IMC magg.= 23

2) Circonferenza del braccio (CB in cm)0.0 = CB inf. 210.5 = 21 inf.= CB inf.= 22

1.0 = CB > 223) Circonferenza del polpaccio (CP in

cm)0 = CP inf. 311 = CP magg.= 31

4) Perdita di peso recente (< 3 mesi)0 = Perdita di peso > 31 = non lo sa2 = perdite di peso tra 1 e 3 Kg3 = nessuna perdita di peso

2° VALUTAZIONE GLOBALE5) Il paziente vive in casa, in modo indi-

pendente?0 = NO 1 = SI

6) Prende più di 3 farmaci?0 = NO 1 = SI

7) Malattie acute o stress psicolog. Negliultimi 3 mesi?0 = NO 1 = SI

8) Motricità0 = dal letto alla poltrona1 = autonomo in casa2 = esce da casa

9 Problemi neuropsichici0 = demenza o depressione severa1 = demenza o depressione moderata2 = nessun problema psicologico

10) Presenza di decubito o ulcere cutanee0 = NO 1 = SI

3° INDICI DIETETICI11)Quanti pasti completi assume il

paziente al giorno?0 = 1 pasto1 = 2 pasti2 = 3 pasti

12) Quante volte assume latte o latticini?Almeno una volta al giorno? SI NOQuante volte assume l’uovo?1 o 2 volte la settimana? SI NOOgni giorno assume carne o pesce o pollo? SI NO0.0 = 0 SI o 1 SI0.5 = 2 SI1.0 = 3 SI

13) Il paziente assume frutta o verduraalmeno 2 volte/die0 = meno di 2 volte al giorno1 = almeno 2 volte al giorno

14) Il paziente presenta perdita dell’appe-tito? Ha mangiato di meno negli ultimi3 mesi per anoressia, problemi dige-stivi, difficoltà di masticazione o dideglutizione?0 = anoressia nervosa1 = anoressia moderata2 = nessuna anoressia

15)Quanti bicchieri beve al giorno?(acqua, succhi, vino, birra, latte, tè,caffè, etc.)0.0 = meno di 3 bicchieri0.5 = da 3 a 5 bicchieri1.0 = più di 5 bicchieri

16) In che modo si alimenta?0 = ha bisogno di assistenza1 = si alimenta da solo con difficoltà2 = si alimenta da solo senza difficoltà

4° VALUTAZIONE SOGGETTIVA17) Il paziente si considera ben alimenta-

to?0 = malnutrizione severa1 = malnutrizione moderata2 = nessun problema di malnutrizione

18) Il paziente si ritiene in condizioni disalute migliore o peggiore rispetto allamaggior parte delle persone della suaetà?0.0 = meno buona0.5 = non sa1.0 = nella media2.0 = migliore

TOTALE (Massimo 30 punti)

RISULTATOStato nutrizionale soddisfacente:

magg.= 24 puntiRischio di malnutrizione

da 17 a 23,5 puntiInsufficiente stato nutrizionale

< 17 puntiDa: Guigoz Y. Vellas B. ad al. Facts and Research inGerontology (supplement n°2: the mini nutritionalassessment – 1994)

Questa tabella, composta da semplicimisure e veloci domande, è suddivisa inquattro sezioni. Prevede misure antropo-metriche e un’anamnesi alimentare; unavalutazione complessiva mediantedomande sullo stile di vita, interventimedici e mobilità; valutazioni soggettive;esami di laboratorio. Secondo gli autori ilMNA possiede importanti proprietà: affi-dabilità, soglie definite,facile gestione dalpersonale assistenziale, minime interfe-renze da parte del rilevatore, alta accetta-bilità per il paziente, costo molto basso.L’unico inconveniente potrebbe essererappresentato dalla verosimile incapacitàdi alcuni paziente a rispondere alledomande sulla parte dell’autovalutazione.

L’intervento nutrizionale nel pazienteanziano ha dimostrato notevoli risultatinella gestione clinica ed assistenzialegeriatria ed ha favorito la prevenzione del-la morbilità e della mortalità apportandonotevoli risparmi economici per il SistemaSanitario Nazionale. E’ quindi importantefare rientrare nei programmi di valutazionedell’anziano la compensazione alimentaree che gli operatori sanitari acquisiscano lenecessarie conoscenze per un’efficace,adeguato e tempestivo intervento valutati-vo delle eventuali carenze nutrizionali.

Ringraziamo l’AISLeC per aver organiz-zato queste due giornate all’insegna del-l’aggiornamento infermieristico e di con-fronto tra colleghi. Un grazie particolare airelatori per la loro disponibilità e profes-sionalità.

L’autore* Infermiera

Fondazione Salvatore MaugeriCentro Medico di PaviaMedicina Generale