41 ANNI DI VITA IN AGIP DI ADRIANO PIROCCHI · gradiente normale si dovevano attraversare argille...

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40 ANNI DI VITA IN AGIP DI ADRIANO PIROCCHI LE PREMESSE Nell’autunno del 1955 mio padre mi fece leggere un articolo sulla pagina abruzzese di Momento Sera, quotidiano romano, ora scomparso. Nell’articolo si leggeva che, a seguito del ritrovamento del petrolio ad Alanno, l’Istituto Tecnico Industriale dell’Aquila, d’accordo con l’Agip, organizzava un corso post-diploma, riservato a periti industriali, di Tecnica della Perforazione Petrolifera. Il corso era aperto a 20 periti industriali di cui almeno 5 diplomati all’Aquila. Mi ero diplomato Perito Chimico Industriale presso l’Istituto Tecnico Industriale Eugenio di Savoia di Chieti nel 1954 ed ero in attesa di partire per il servizio militare; feci domanda per partecipare e fui tra i pochi non diplomati all’Aquila che avevano fatto domanda per cui fui accettato senza problemi. Il corso consisteva in sei mesi di teoria e due di pratica in cantiere con esame di idoneità finale. Insegnanti, oltre ad un paio di docenti interni, erano l’ing. Pepe per la Perforazione, il dott. Sogaro per la Geologia, l’ing.Guidi per la Geofisica ed il dott.Capuani per Fanghi e Cementi. Alla fine del corso i 15 periti idonei vennero tutti assunti ed io entrai,il 29 novembre 1956, nella Sezione Fanghi e Cementi del Servizio II° Perforazione, diretta dal dr.Gnisci. IL PRATICANTATO L’assunzione dei diplomati destinati a divenire tecnici veniva effettuata con l’istituto del praticantato che prevedeva tre mesi da operaio comune, tre mesi da operaio qualificato e tre mesi da operaio specializzato. Se, alla fine di questo percorso si riteneva che il praticante avesse le qualità per essere un buon tecnico veniva assunto come impiegato di 3°A o 2°B, altrimenti veniva rimandato a casa. Il mio praticantato si svolse, per i primi sei mesi, in addestramento presso il laboratorio Fanghi e Cementi di S.Donato Milanese con alcune brevi missioni presso cantieri in Nord Italia. Erano con me in addestramento i periti chimici Garavini, De Luca, Giusepponi, Fratus e Bonora ed il dottor Sala; alla fine dell’addestramento fummo tutti dispersi nei vari Settori Italiani ad eccezione del dott. Sala e di Bonora che, nel frattempo, si era dimesso. Nei primi giorni del giugno 1957 approdai quindi a Gela per restarvi un po’ meno di quattro anni. I MIEI QUATTRO ANNI A GELA A Gela era stato, da poco, scoperto un giacimento di olio pesante ed era ancora in corso di perforazione il pozzo n.2; la Società che aveva operato, prevalentemente in pianura padana, con pozzi senza particolari problemi ed a media profondità, si trovava ad operare su un giacimento ad olio di media grandezza ad una profondità di oltre tremila metri e con difficoltà di perforazione abbastanza notevoli per quegli anni. Prima di raggiungere gli strati produttivi in dolomia e con gradiente normale si dovevano attraversare argille rigonfianti, strati di gesso ed argilloscisti che potevano essere perforati solo con fango appesantito per evitare franamenti e conseguenti prese di batteria; si entrava pertanto nelle dolomie produttive con fango pesante e conseguenti perdite di circolazione con danneggiamento del reservoir e probabile presa di batteria. Era pertanto indispensabile proteggere il foro con una colonna appena prima di entrare nelle dolomie. Con tutte queste difficoltà e con personale giovane, inesperto ma curioso e pronto ad imparare e sperimentare, la sfida era galvanizzante e non ci siamo assolutamente risparmiati passando in sonda giorni e notti.

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40 ANNI DI VITA IN AGIP DI ADRIANO PIROCCHI

LE PREMESSE Nell’autunno del 1955 mio padre mi fece leggere un articolo sulla pagina abruzzese di Momento Sera, quotidiano romano, ora scomparso. Nell’articolo si leggeva che, a seguito del ritrovamento del petrolio ad Alanno, l’Istituto Tecnico Industriale dell’Aquila, d’accordo con l’Agip, organizzava un corso post-diploma, riservato a periti industriali, di Tecnica della Perforazione Petrolifera. Il corso era aperto a 20 periti industriali di cui almeno 5 diplomati all’Aquila. Mi ero diplomato Perito Chimico Industriale presso l’Istituto Tecnico Industriale Eugenio di Savoia di Chieti nel 1954 ed ero in attesa di partire per il servizio militare; feci domanda per partecipare e fui tra i pochi non diplomati all’Aquila che avevano fatto domanda per cui fui accettato senza problemi. Il corso consisteva in sei mesi di teoria e due di pratica in cantiere con esame di idoneità finale. Insegnanti, oltre ad un paio di docenti interni, erano l’ing. Pepe per la Perforazione, il dott. Sogaro per la Geologia, l’ing.Guidi per la Geofisica ed il dott.Capuani per Fanghi e Cementi. Alla fine del corso i 15 periti idonei vennero tutti assunti ed io entrai,il 29 novembre 1956, nella Sezione Fanghi e Cementi del Servizio II° Perforazione, diretta dal dr.Gnisci.

IL PRATICANTATO L’assunzione dei diplomati destinati a divenire tecnici veniva effettuata con l’istituto del praticantato che prevedeva tre mesi da operaio comune, tre mesi da operaio qualificato e tre mesi da operaio specializzato. Se, alla fine di questo percorso si riteneva che il praticante avesse le qualità per essere un buon tecnico veniva assunto come impiegato di 3°A o 2°B, altrimenti veniva rimandato a casa. Il mio praticantato si svolse, per i primi sei mesi, in addestramento presso il laboratorio Fanghi e Cementi di S.Donato Milanese con alcune brevi missioni presso cantieri in Nord Italia. Erano con me in addestramento i periti chimici Garavini, De Luca, Giusepponi, Fratus e Bonora ed il dottor Sala; alla fine dell’addestramento fummo tutti dispersi nei vari Settori Italiani ad eccezione del dott. Sala e di Bonora che, nel frattempo, si era dimesso. Nei primi giorni del giugno 1957 approdai quindi a Gela per restarvi un po’ meno di quattro anni.

I MIEI QUATTRO ANNI A GELA A Gela era stato, da poco, scoperto un giacimento di olio pesante ed era ancora in corso di perforazione il pozzo n.2; la Società che aveva operato, prevalentemente in pianura padana, con pozzi senza particolari problemi ed a media profondità, si trovava ad operare su un giacimento ad olio di media grandezza ad una profondità di oltre tremila metri e con difficoltà di perforazione abbastanza notevoli per quegli anni. Prima di raggiungere gli strati produttivi in dolomia e con gradiente normale si dovevano attraversare argille rigonfianti, strati di gesso ed argilloscisti che potevano essere perforati solo con fango appesantito per evitare franamenti e conseguenti prese di batteria; si entrava pertanto nelle dolomie produttive con fango pesante e conseguenti perdite di circolazione con danneggiamento del reservoir e probabile presa di batteria. Era pertanto indispensabile proteggere il foro con una colonna appena prima di entrare nelle dolomie. Con tutte queste difficoltà e con personale giovane, inesperto ma curioso e pronto ad imparare e sperimentare, la sfida era galvanizzante e non ci siamo assolutamente risparmiati passando in sonda giorni e notti.

La Società aveva trasferito sul campo di Gela i suoi impianti più potenti come il Massarenti R15 con caposonda Piacentini, il Cardwell 03 con caposonda Nanni, l’Ideco 1350 PR con caposonda Mezzi, l’Ideco Super 7/11 con caposonda Grandi; Supervisore di Perforazione era il sig. Perugia che faceva anche da “balia”per tutti quei giovani capisonda. La gara per chi perforava più velocemente o trasportava l’impianto in meno giorni era anche favorita da un premio di perforazione o trasporto per quegli equipaggi che battevano il record precedente; il fanghista ne faceva le spese perché il perforatore pretendeva il fango sempre bello fluido e con caratteristiche tali da far avanzare meglio lo scalpello. Debbo dire che di notti complete a letto ne ho passate ben poche! Debbo però anche ammettere che un addestramento così veloce e completo sarebbe stato difficile da fare in così breve tempo e con le difficoltà di perforazione che si incontravano. In quegli anni, sul Campo di Gela sono stati sperimentati gli scalpelli diamantati della Christensen e della Diamant Boart, le turbine francesi della Neyrfor e quelle russe, gli scalpelli a rulli con tutti gli inserti possibili, i fanghi calcici ed al gesso, gli equipaggiamenti delle colonne, le cementazioni con le colonne in movimento, i Cement Bond Log ecc.un “training on the job” di così alto livello forse non c’è più stato! Nella primavera del 1961 con ormai oltre 40 pozzi perforati e con l’esperienza acquisita si poteva ben stare un po’ più tranquilli e riposare sugli allori ma si presentò la scadenza che non potevo più rimandare come avevo fatto fino ad allora; dovevo partire per il servizio militare che avevo rimandato con una iscrizione all’Università per quattro anni senza aver mai dato un esame e senza mai aver varcato la soglia della facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Roma. La legge permetteva di rimandare la partenza per la “naia” fino al compimento del ventiseiesimo anno di età se si era iscritti all’Università ed io avevo utilizzato questa possibilità ma ormai la scadenza era vicina e non mi restò altro da fare che avvertire il dr. Sarchi, allora responsabile della Sezione Fanghi e Cementi, della scadenza. Fui immediatamente posto in partenza per l’estero, altro modo di evitare il servizio militare purchè si fosse rimasti in contratto estero fino ad almeno il compimento del trentesimo anno di età; le possibilità erano Iran, Libia o Marocco per altrettanti fanghisti in partenza ( Felegara, Sciamanna e Pirocchi)

I MIEI PRIMI TRE ANNI IN LIBIA La scelta cadde sulla Libia ed il 17 maggio 1961 un Caravelle dell’Alitalia (mio primo volo in assoluto) mi depositò a Bengasi; un paio di giorni dopo venni inviato in deserto dove, il 25 maggio iniziò la perforazione del pozzo A1/82 con un impianto Super 7/11 con capo sonda Di Zenzo, assistente Terrazzino e fanghista il sottoscritto, al quale Di Zenzo aveva anche assegnato il compito di capo campo, il che voleva dire dare le razioni settimanali ai locali, ordinare a Bengasi il necessario vettovagliamento, curarsi della gestione del campo base. Le operazioni di perforazione erano iniziate con l’impianto non ancora completamente montato ed il campo base mancante delle baracche dormitorio e vi garantisco che con le temperature di quel maggio riposare senza aria condizionata e sotto una piccola tenda non rendeva la vita facile; bisognava però assolutamente iniziare perché si era in scadenza contrattuale! Il primo pozzo, comunque, risultò sterile e l’impianto fu spostato sulla seconda struttura identificata ed il relativo pozzo B1/82 incontrò la formazione mineralizzata con un pay sottile ma che, provato, dette un bel petrolio verdastro e paraffinico per cui si pensò, evidentemente, di essere agli inizi di scoperte importanti ed altri impianti arrivarono dall’Italia per delineare il giacimento ed, eventualmente, scoprirne altri. Con tre impianti in perforazione, un gruppo sismico in attività e geologi in rilevamento il Settore Libia assumeva una certa importanza ed io mi spostavo da un cantiere all’altro con frequenti visite a Bengasi; nel frattempo era arrivato a dar man forte un collega (De Luca) ed il lavoro non ci mancava certo con i problemi di perdite di circolazione, sovrappressioni e cementazione. Quelli che mancavano erano, invece, i risultati minerari perché i successivi quattro pozzi sulla struttura B erano risultati sterili ed anche gli altri pozzi sulle altre strutture non davano risultati positivi.

Fu deciso pertanto di inviare uno dei tre impianti in Tunisia dove, al primo pozzo, fu scoperto il giacimento di El Borma, cosa che fece un po’ arrabbiare il nostro Capo Settore (ing. Pepe) a cui non faceva molto piacere vedere che in Tunisia si trovava al primo pozzo mentre in Libia i risultati erano mortificanti. Comunque alla fine dei primi due anni di contratto, nel giugno del 1963, mi sposavo ed ottenevo un rinnovo contrattuale con base Bengasi e la possibilità, quindi, di portare la moglie cosa che feci nel successivo settembre. Nel frattempo la Società aveva deciso di inviare un Chimico di Settore (dr. Crippa) e col calare dell’attività si decise il mio rientro in Italia che avvenne nel marzo del 1964. Si chiudeva così la mia prima avventura in Libia che mi aveva arricchito professionalmente, mi aveva fatto viaggiare molto (oltre ai miei rientri trimestrali in Italia, numerosi voli sui vecchi DC3 per gli spostamenti fra le sonde e Bengasi), mi aveva fatto apprezzare la bellezza delle notti e dei tramonti nel deserto e soprattutto mi aveva permesso di apprezzare i rapporti con tutti i colleghi delle attività collegate alla mia (mitiche le visite al campo sismico C3 soprattutto quando rientrava Torelli dall’Italia ed apriva le sue valigie con le ultime novità in fatto di gadget!). Ero quindi pronto per altri cimenti ma quello che mi attendeva andava oltre le mie aspettative ed avrebbe contribuito in maniera determinante al mio sviluppo professionale. La mia ricollocazione in Italia trovava difficoltà e mi fu chiesto di accettare un’offerta della Saipem che stava perforando in India alcuni pozzi per conto del governo ed avevano bisogno di un chimico fanghista per affrontare la perforazione di alcuni pozzi profondi.

1963 Libia – un nido su un albero ………. 1963 Libia – un ospite alla postazione del di Natale pozzo Struttura B

I MIEI DUE ANNI IN INDIA IN COMANDO A SAIPEM Nel giugno del 1964 con volo Milano-Roma-Bombay-New Delhi arrivai in India con contratto città ma senza la moglie che, in attesa del primo figlio, sarebbe rimasta in Italia per cui mi apprestavo a trascorrere due anni in India senza famiglia e con la possibilità di rientri semestrali di pochi giorni. Ad attendermi, all’aeroporto l’ing. Carretta, Responsabile della Commessa di perforazione India che, informandomi di problemi di cementazione nel pozzo Raxaul 1 in perforazione nello Stato del Bihar ai confini col Nepal, mi accompagnò in stazione dove prendemmo un treno per Patna, attraversammo il Gange su un pirotecnico battello e con un altro treno arrivammo nei pressi del cantiere di perforazione dove ci fermammo qualche giorno per risolvere i problemi di cementazione. Rientrammo quindi a Dehra Dun, nello stato dell’Uttar Pradesh, sede della Commessa di Perforazione ed anche della ONGC (Oil and Natural Gas Commission) la Holding indiana degli Idrocarburi, dove avrei trascorso la maggior parte dei due anni di contratto. Come inizio non c’era proprio male! Avevo, in pochi giorni, percorso migliaia di chilometri in aereo, treno e macchina; era solo un piccolo anticipo di tutto quello che mi sarebbe capitato nel prosieguo dell’attività che mi si prospettava.

La Saipem operava con un Ideco 1350 S sul pozzo di Raxaul e stava per ricevere un Ideco 2500 equipaggiato, per la prima volta, con motori FIAT. Aveva l’impegno di perforare pozzi profondi nel bacino del Gange e ci si aspettava un impegno ancor più importante perché si stava discutendo di iniziare la perforazione in mare con un Jack Up nel golfo di Bombay e la possibilità di sviluppare, chiavi in mano, un campo ad olio a media profondità a Nawagam nello stato del Gujarat. Con queste premesse la Saipem si proponeva come l’unico operatore occidentale impegnato dalla ONGC nello sviluppo delle risorse petrolifere dello Stato Indiano perché l’industria estrattiva, fino ad allora, era monopolio sovietico; erano infatti russi gli impianti di perforazione con le relative attrezzature, russi i responsabili della perforazione e del drilling engineering e la cosa non era molto gradita dagli esploratori della ONGC che avevano avuto modo di informarsi sulle differenze esistenti fra la tecnologia russa e quella occidentale e la Saipem era stata, in un certo modo, scelta come cavallo di Troia per rompere questo monopolio. I nostri impianti e le attrezzature (avevamo anche una cementatrice Halliburton con i relativi silos) erano di gran lunga superiori e questa differenza dava molto fastidio ad alcuni tecnici russi fra cui il responsabile del drilling engineering, mr. Kulighin, un tecnico di vecchio stampo e di età contro il quale mr. Desphande (responsabile indiano della esplorazione) mi usava per confutare i loro metodi; rimangono indelebili nella mia mente i numerosi meetings fra i tecnici russi da una parte, mr. Desphande in mezzo ed io dall’altra parte! Per dimostrare che era, per noi, possibile perforare il campo di Nawagam più velocemente e meglio di come stavano facendo un paio di impianti russi, fu chiesto alla ONGC di affidarci un impianto rumeno (che era un po’ meglio di quelli russi) ed in quattro (Di Trani, Pirocchi, l’ex Halliburton Boccalini ed il sorvegliante Agosti) ci trasferimmo ad Ahmedabad ed in un paio di mesi ottenemmo la dimostrazione promessa. Peccato che, mentre sembrava che le cose stessero andando nella direzione voluta, il jack up Paguro che doveva venire per perforare al largo di Bombay naufragava nell’Adriatico e si bloccava tutto il programma che si stava discutendo con le autorità indiane. Rimanevano quindi da perforare solo i pozzi profondi nella valle del Gange ed anche questi ci diedero delle belle soddisfazioni perché fummo in grado di scendere oltre i 4000 metri con il pozzo di Mohand nell’Uttar Pradesh ed oltre i 5000 metri nel pozzo Balh nel Punjab. In quest’ultimo pozzo, a causa delle elevate pressioni di fondo fu usato, per la prima volta in India il fango calcico e successivamente al gesso, cosa, a quei tempi ed in quelle condizioni, di notevole difficoltà tecnica. Debbo dire che, anche se soffrivo per la lontananza della famiglia, sono stati due anni intensi di successi tecnici, di esperienze di vita, di viaggi continui all’interno del Continente India (mitico quello compiuto, insieme a Capra, alla ricerca di un fondale utile per il varo della template per il Paguro in auto e treno dalle coste confinanti col Pakistan fino a Goa). Nel giugno del 1966 rientravo in Italia con un notevole bagaglio di esperienze, con la padronanza della lingua inglese parlata e scritta, con la convinzione di cavarmela bene negli incontri tecnici dopo averli sostenuti con i russi e con la cosapevolezza di aver vissuto per due anni in una splendida Nazione senza aver mai avuto la sensazione di insicurezza o di pericolo nel percorrerla in largo ed in lungo.

1965 India – Pirocchi al campo base del pozzo Mohand

RITORNO A GELA E POI RAVENNA Nel settembre del 1966 ripresi servizio nel Settore Sicilia in qualità di Chimico di Settore; la situazione era molto diversa da quella che avevo lasciato cinque anni prima. Il campo di Gela era stato completamente sviluppato e l’unica attività di mia pertinenza riguardava i workover mentre un paio di impianti continuavano a perforare sul campo di Gagliano e su postazioni vicine senza peraltro molta fortuna; l’attività era dunque in calo, cosa che indispettiva non poco il nostro Capo Settore ing. Bignami che cercava di trattenere il personale legato alla perforazione senza molta fortuna. Nella primavera del 1968 fui pertanto trasferito a Ravenna dove l’esplorazione in mare ed a terra era in pieno sviluppo con notevoli ritrovamenti, soprattutto in mare. Trovai uno squadrone di tecnici con Angelucci (responsabile della perforazione), Bazzana (capo commessa Saipem), Pastore (responsabile trasporti) con i quali abbiamo portato a termine decine di pozzi esplorativi e di coltivazione da impianti a terra (Porto Corsini terra), e da impianti Jackup o montati su piattaforme (Ravenna mare, Porto Corsini Ovest, Cervia mare, Amelia, Barbara ed altri che non ricordo); abbiamo perforato pozzi di coltivazione direzionati sui 3000 metri , cementati e pronti per essere messi in produzione in 22-23 giorni, una performance veramente notevole in quegli anni. Nel frattempo qualcosa cambiava nell’organizzazione della Società; la Sezione Fanghi e Cementi veniva assorbita dal Servizio Perforazione ed io diventavo Assistente Tecnico alle dirette dipendenze del Supervisore di Perforazione. Questo stava a significare che all’interno della Perforazione cominciava a delinearsi la figura del Drilling Engineer destinato alla programmazione dei pozzi ed al susseguente controllo dei parametri di perforazione, dell’idraulica, dei fanghi e delle cementazioni. Il Drilling Engineering sarebbe stato il mio principale interesse fino al 1974 e poi dal 1985 al 1990. Contemporaneamente alla mia crescita professionale comiciavo ad intravvedere un certo interesse aziendale alla mia assunzione di maggiori responsabilità; il primo segnale fu la sostituzione del Supervisore di Perforazione in Tunisia per il periodo delle sue ferie nell’estate del 1969. Il secondo segnale fu la missione negli U.S.A. nel successivo novembre insieme a Moscato, Merluzzi, Sgubini e Capuani. Questa missione era stata concordata dal Capo Servizio Perforazione Baldassarri con il suo corrispondente della Società americana Tenneco per osservare e studiare cosa si stesse facendo negli States nel campo della perforazione profonda visto che stavamo per iniziare una serie di pozzi profondi in Val Padana,il primo dei quali (Nonantola 1) era già in perforazione all’atto della nostra partenza. Arrivammo a Houston e fummo alloggiati nell’hotel Sheraton Lincoln; il mattino successivo il Capo della Perforazione della Tenneco, mr.Bullard, ci prelevò e ci condusse nell’aula magna della Società dove, dopo la foto di rito, ci spiegò che aveva delegato i suoi Supervisori, ognuno per la sua parte, ad istruirci sulla perforazione profonda! Subito dopo il primo di essi cominciò il suo intervento spiegandoci la funzione dello scalpello, delle aste pesanti, delle aste di perforazione e via andare! Cominciammo a scambiarci, noi cinque, degli sguardi smarriti e toccò a me, in qualità di drilling engineer ed anche perché me la cavavo meglio con la lingua di interrompere l’interlocutore e far presente quello che stavamo facendo noi in Italia e spiegai loro tutto il programma del pozzo di Nonantola disegnando, alla lavagna, il diagramma dell’avanzamento, il controllo delle pressioni, del gradiente di fratturazione, della programmazione delle colonne, ecc. Debbo dire che l’imbarazzo di mr. Bullard e dei suoi Supervisori fu molto grande; si profusero in grandi scuse, ci condussero in albergo con l’impegno di rivederci, il giorno dopo, con il nuovo programma che avrebbero ripreparato. Da quel momento in poi le cose andarono veramente bene; visitammo tutte le Compagnie di Servizio, gli impianti nell’offshore del Golfo del Messico sempre accompagnati dai tecnici della Tenneco che, alla fine del periodo di permanenza, ci confessarono candidamente che, seguendoci, avevano fatto un bel “ training on the job”migliorando la loro professionalità e ringraziandoci per questo. Avevamo scoperto cosa gli americani pensavano di noi tecnici italiani ma abbiamo dovuto apprezzare come si siano ricreduti in fretta e mostrato tutto il loro imbarazzo!

La mia permanenza a Ravenna ebbe fine all’inizio dell’estate del 1970; agli inizi di luglio arrivavo in Nigeria (a Port Harcourt) come Drilling Manager della NAOC e con delega da District Manager in attesa del titolare, Ferrari.

LA RIPRESA DELLE OPERAZIONI IN NIGERIA DOPO KWALE Dopo la tragedia di Kwale, dove avevamo perso 11 tecnici uccisi dai ribelli Ibo a fine 1969, a cui erano seguite discussioni sul perché non si fossero sospese le operazioni mentre la guerriglia infuriava nell’area, avevamo ripreso le operazioni di perforazione, nella primavera del 1970, essendo la pace tornata dopo la sconfitta della secessione Biafrana; rimaneva però un’area con sacche di ribelli, infrastrutture semidistrutte, continui posti di blocco ed un diffuso senso di insicurezza che si palpava nel territorio. I nostri tecnici sugli impianti (uno Saipem ed uno Forex) avevano fatto presente questo stato di cose ma, al momento, non si era data eccessiva importanza a questo malessere per cui cominciarono ad arrivare i tecnici che avrebbero dovuto occupare le posizioni di responsabilità nel Distretto; i primi ad arrivare furono il sottoscritto, Prandi, Pacchiarotti e Terenzi. Trovammo una situazione disastrosa con i serbatoi del Centro Olio di Ebocha sforacchiati dai proiettili, le flow lines rubacchiate dai locali, le Compagnie di Servizio non completamente operative, un consulente(mr. Morrow) assunto come supervisore dell’area di Ebocha, cui l’unico pensiero era di far controllare l’area da parte dei militari, cosa che faceva pensare ai tecnici sugli impianti che ci fossero obiettivi motivi di pericolo per cui le preoccupazioni per la propria incolumità aumentavano a scapito della necessità di operare in pace e tranquillità. Comunque ci demmo da fare in condizioni veramente difficili e, verso la fine di settembre, quasi tutto era stato riparato ed eravamo in condizioni di iniziare a produrre mentre i due impianti di perforazione operavano sui campi di Mbede ed Ebocha; fu allora che accadde quello che non ci aspettavamo, visto che non ne avevamo avuto nessuna avvisaglia. Intorno al 20 settembre ebbi una comunicazione radio con il Direttore Tecnico, Ferrara, che pregandomi di non fare commenti mi comunicò le date di rientro in Italia di noi quattro entro la fine di settembre e la sostituzione dello Operatore Agip con la Phillips, nostro partner nelle operazioni nigeriane. Lasciammo Port Harcourt proprio in concomitanza con il primo olio che entrava nei serbatoi del Centro Olio di Ebocha e l’arrivo dell’elicottero che avrebbe dovuto sottrarci ai massacranti viaggi in 124 Fiat che avevamo fatto fino ad allora; credo sia possibile immaginare la rabbia e lo sconcerto con il quale passai le consegne al tecnico Phllips che mi sosituiva! Era successo che, in ambito Eni, le preoccupazioni che si potesse ripetere quello che era accaduto mesi prima a Kwale aveva fatto (lentamente!) maturare l’opportunità di cambiare l’Operatore; ce ne siamo andati quando gli altri Operatori tornavano a Port Harcourt toccando un record imbattibile: siamo rimasti quando gli altri se ne erano andati e ce ne siamo andati quando gli altri tornavano!

A S.DONATO FINO ALLA META’ DEL 1971 Rientrato dalla Nigeria venni assegnato al Servizio Perforazione dove mi interessavo del drilling engineering insieme a Bellotti e D’Adda, senza un incarico preciso ma con l’intento di portare avanti un programma di formazione dei drilling engineers; preparai da solo o con loro dei manualetti, scritti a mano, cercando di rendere il più possibile semplice tutto quello che stava maturando nel campo delle sovrapressioni, degli studi sulle argille, sui fanghi speciali, sull’idraulica di pozzo.

Furono tenuti anche dei corsi per fanghisti ed assistenti contrari per introdurli a queste nuove tecnologie;nel frattempo mi venivano proposte nuove possibilità di contratto estero, sempre come drilling manager in Arabia Saudita od in Indonesia, da me rifiutate perché più adatte a chi non aveva o non intendeva portare la famiglia al seguito; la terza proposta veniva da me accettata, sia perché molto interessante dal punto di vista tecnico, sia perché già conoscevo il Paese, per cui sottoscrissi il contratto per la Libia dove avrei sostituito Giuliani, come drilling manager.

A TRIPOLI PER TRE ANNI A SVILUPPARE BU ATTIFEL Arrivo a Tripoli nel maggio del 1971; abbiamo tre impianti in perforazione su Bu Attifel e siamo al diciassettesimo pozzo. Lascerò la Libia nel giugno del 1974 dopo che sono stati perforati 42 pozzi sul campo di Bu Attifel e vari altri tra i quali A1LP4F con abbondanti tracce di petrolio. Sono stati anche perforati diversi pozzi d’acqua per preparare la Water Injection del campo in vista del recupero secondario. Ho dei validi collaboratori in Tripoli(D’Adda e Sciamanna come drilling engineers) ed anche dei validi assistenti sugli impianti. Si può, pertanto, fare un buon lavoro per rendere più sicura e più veloce la perforazione dei pozzi. I problemi principali erano costituiti dalle perdite di circolazione nelle dolomie soprastanti la copertura del giacimento e li abbiamo risolti utilizzando la tecnica dei DOB (diesel oil bentonite) o dei DOBC (diesel oil bentonite cement) e posso assicurare che ognuno di questi interventi (e ne abbiamo fatti tanti!) ci faceva tremare i polsi perché la possibilità di cementare le aste in pozzo non era assolutamente da escludere! Nel frattempo si costruiva il Centro Olio con il relativo Campo Base e ci si preparava ad iniziare la messa in produzione del Campo. Anche in questo caso venivo coinvolto, in attesa dell’arrivo di tutti i tecnici della produzione previsti per la gestione, per cui avevamo seguito i completamenti e ci si preparava ad aprire il primo pozzo. I completamenti prevedevano la produzione da due livelli per ogni pozzo con erogazione da tubing e da casing; mentre il tubing veniva controllato dalle valvole di testa pozzo, il controllo del flusso dal casing era demandato ad una valvola, ancorata al casing di produzione a circa 30 metri dalla testa pozzo, denominata CAV (casing annulus valve). Il giorno della messa in produzione del primo pozzo eravamo tutti presenti, a partire dall’Operation Manager, Ricco; si procedeva ad aprire il flusso dal tubing e tutto sembrava andare regolarmente, l’olio fluiva nella condotta di supeficie e la temperatua a testa pozzo aumentava quando senza nessuna avvisaglia si udiva una gran botta sulla testa pozzo tale da farci spaventare. Si provvedeva immediatamente ad interrompere il flusso e ci si riunì per tentare di capire cosa fosse successo; ci rendemmo conto di aver commesso un errore da principianti! Avevamo aperto il pozzo con la CAV chiusa per cui l’olio che fluiva nel tubing aveva riscaldato il fluido nella intercapedine aumentandone il volume e, di coseguenza, la pressione che era salita al punto tale da disancorare la CAV e spingere il tubing con forza contro la testa pozzo provocando la botta che ci aveva spaventato! Per fortuna nulla successe alla testa pozzo e noi facemmo tesoro dell’accaduto e provvedemmo ad informare chi di dovere sul come gestire la CAV; successivamene fu tenuta addirittura una riunione dedicata solo alla CAV e presieduta da Faverzani! Nel giugno del 1974 rientravo in Italia; se si escludevano alcuni problemi legati alla politica locale quali quelli collegati all’espulsione degli italiani da tempo residenti (erano stati espulsi nel 1970), la pretesa di avere il passaporto in lingua araba (che in un fine anno aveva provocato la sospensione del ritorno a Tripoli di familiari e personale per diversi giorni) ed alcune ripicche dei burocrati locali avevo trascorso tre anni di lavoro appagante e di crescita professionale, soprattutto nel campo gestionale delle operazioni; mi sarebbe stato molto utile nei succesivi incarichi!

10 MESI A S.DONATO E POI L’IRAN Rientrato in Italia fui inserito nel Servizio Perforazione Estero occupandomi delle operazioni in West Africa ma sempre tenuto nel limbo costituito dai tecnici in attesa di essere ricollocati in qualche sede estera. Nella primavera del 1975 stavano per iniziare le operazioni di perforazione in un permesso Iraniano situato in una zona semidesertica del Laristan; la Società si era impegnata ad eseguire perforazioni esplorative alla ricerca di gas per un impegno di spesa di circa 20 milioni di dollari. Fu costituita una Società mista Italo-Iraniana denominata AIPCO (Agip Iran Petroleum Company) il cui manager era italiano (Giuliani) ed il vice iraniano, mentre l’Operation Manager era iraniano ed il vice italiano; a me fu offerta quest’ultima posizione che accettai molto volentieri per due motivi: il primo era costituito dall’evidente salto di carriera (si entrava nella gestione quindi non più in un singolo campo ma si cominciava a spaziare su tutta l’attività operativa) ed il secondo dal fascino che l’Iran aveva esercitato un po’ su tutti i tecnici che vi avevano operato. Nel giugno iniziai la mia avventura iraniana facendo la conoscenza di tutto lo staff della piccola Società e soprattutto del mio diretto superiore (Nabaie) che, dopo poche settimane, mi dava in pratica assoluta libertà dimostrandomi la sua discrezione e pregandomi di tenerlo sempre informato sui collegamenti esterni ed accompagnandomi sempre in tutte le riunioni con i tecnici di altre compagnie, della NIOC in primis! Furono perforati tre pozzi praticamente sterili avendo dato solo tracce di gas l’ultimo di essi ma ci si erano presentati notevoli problemi sia nei lavori civili per raggiungere le postazioni prescelte sia nella perforazione per risolvere i problemi di perdite di circolazione perforando le zone fratturate ed a bassa profondità con stiff foam. Per la perforazione del secondo pozzo (Burk) fu costruita una strada lunga diversi chilometri salendo dai 600 metri della piana di Anveh ai quasi 2000 metri della cima della montagna sulla quale fu ubicato il pozzo perforato poi per centinaia di metri con stiff foam; un bel risultato dal punto di vista tecnico anche se nullo dal punto di vista minerario. Contemporaneamente avevo potuto apprezzare il Paese sia dal punto di vista turistico (Shiraz, Persepolis, Isfahan, il Mar Caspio) sia dalla vivacità della capitale Tehran che dalla splendida gente con la quale avevamo contatti (sia dal punto di vista della preparazione tecnica.che dalla civiltà, dalla cultura ma soprattutto dalla libertà di comportamento, dalle frequentazioni e dai modi di vita molto occidentali e laici); mai ho avuto il sospetto di quello che sarebbe successo di lì ad un paio di anni! Comunque, ultimata la perforazione dei tre pozzi ed assolti, quindi, gli obblighi di spesa e respinte le tentazioni di SIRIP ed IMINOCO che cercavano di trattenermi presso di loro ma senza prospettarmi inserimenti specifici, rientravo in Italia nel febbraio del 1977 tornando nel Servizio Perforazione Estero che avevo lasciato 20 mesi prima.

1977 Iran – management AIPCO, si riconoscono: Giuliani, Duronio, Pirocchi, Felicetti

IN SAN DONATO PER CIRCA TRE ANNI Nel marzo 1977 ritornavo alla scrivania che avevo lasciato per la breve parentesi iraniana tenendo i contatti con le operazioni di perforazione in West Africa; in questo periodo ebbi modo di fare molte missioni all’estero (in Egitto, in Congo, in Costa D’Avorio ed in Francia con frequenti contatti con la ELF) e si cominciò a formare un gruppo di drilling engineers con l’intento di costituire un Servizio di Tecnologie di Perforazione sganciato dai Servizi Perforazione Italia ed Estero ed inglobante la Sezione Fanghi e Cementi; anima di questo gruppo era Bellotti che, purtroppo, ci lasciò quando ormai si era in dirittura di arrivo. Nasceva il Servizio Tecniche e Tecnologie di Perforazione ma io, che ne ero stato uno dei fondatori ed avrei dovuto essere il vice di Bellotti, tornai ad essere stuzzicato per tornare all’estero. Nella primavera del 1980 fui chiamato dal Direttore Generale Gastaldi che mi fece una proposta che non potevo assolutamente rifiutare per la svolta che avrebbe dato alla mia carriera. Mi si proponeva di tornare in Nigeria in posizione di Operation Manager per un anno per poi sostituire il District Manager Belotti per almeno un altro paio di anni; questo significava,a meno di eventi non prevedibili, la promozione a dirigente e quindi un salto di qualità assolutamente impensabile precedentemente. Accettai, dopo aver vinto le comprensibili riluttanze familiari. Dimenticavo di dire che nell’autunno del 1978 mi fu proposto,da parte del Direttore Generale della Società Idro-Tecneco che si occupava di ricerche idriche all’estero,di assumere la posizione di responsabile delle operazioni di perforazione e produzione; mi si prospettava una posizione dirigenziale ma dovevo trasferirmi a S.Lorenzo in Campo, sede della Società. Feci una visita della Sede accompagnato dal Direttore Generale della Società ed una escursione nelle cittadine vicine per cercare possibilità abitative; chiesi al DG di formalizzare la sua richiesta all’Agip e rimasi in attesa di notizie; dopo alcune settimane, lo stesso Direttore Generale mi comunicò che l’Agip non accettava la proposta perché aveva, per me, altri programmi. Debbo però dire che, da parte Agip, nessuno aveva chiesto il mio parere o mi aveva informato della richiesta della Idro-Tecneco!

IN NIGERIA DAL MAGGIO 1980 ALLA FINE DEL 1984 Nel maggio del 1980 arrivai a Port Harcourt, in missione precontrattuale, e subito ebbi l’assaggio delle difficoltà connesse alle operazioni nelle aree di nostro interesse; vicino al villaggio di Oyakama, a seguito di un sabotaggio del nostro oleodotto, erano fuoriusciti centinaia di metri cubi di olio che avevano invaso un’area di decine di ettari di foresta. Le operazioni di recupero dell’olio e della pulizia dell’area inquinata durarono molti mesi con una spesa di alcuni milioni di dollari e per la felicità dei locali che furono lautamente compensati per i danni subiti! Quello di Oyakama fu il primo di altri sabotaggi che seguirono e di cui parlerò più avanti. In settembre arrivai in contratto con la famiglia sostituendo Pellei come Operation Manager del Distretto NAOC di Port Harcourt.

Le Operazioni Operavamo con alcuni impianti di perforazione a terra ed uno nell’area swamp; avevamo campi ad olio in area swamp (Tebidaba ed Obama) ed a terra (Idu,Oshi, Ebocha, Mbede, Kwale, Okpai). Tutto l’olio estratto veniva convogliato nei centri olio di Tebidaba, Obama, Ebocha e Kwale e poi al terminale di Brass dal quale, dopo le necessarie misurazioni fiscali nei serbatoi, veniva pompato, attraverso un sea- line alla piattaforma di attracco delle petroliere.

La Logistica La Base di Port Harcourt era situata ad alcuni chilometri di distanza dal centro città e consisteva in un grande edificio a due ali e tre piani adibito ad uffici, un grande piazzale con parco tubi e stoccaggio materiali, due grandi capannoni adibiti a magazzino ed officina,un hangar per il rimessaggio dei tre elicotteri, un jetty per l’attracco dei sea-track e dei battelli usati per rifornire l’area swamp. A fianco e separata da una recinzione c’era la guest house composta da una ventina di camere con bagno, sala da pranzo, salone ricreazione e cucina; adiacente una piccola costruzione adibita a studio medico e laboratorio analisi. La Base di Ebocha alloggiava tutto il personale adibito alle operazioni a terra mentre quella di Brass ospitava tutto il personale adibito alla manutenzione dell’area di stoccaggio dell’olio ed alle operazioni di pompaggio. I tecnici italiani di stanza a Port Harcourt risiedevano in tre compound e due abitazioni singole per ospitare, in totale, 22 famiglie. Il personale operante nel Distretto, fra espatriati e locali, ammontava a circa 1250 persone.

La Sicurezza La Base di Port Harcourt e l’adiacente guest house erano sorvegliate, notte e giorno, da un servizio di sicurezza affidato ad una società esterna (la Manilla) mentre di notte erano presenti anche due poliziotti locali. I tre compound e le due abitazioni singole di Port Harcourt erano circondati da muri di cinta e gli ingressi sorvegliati da guardiani locali della stessa società Manilla. Le basi di Ebocha e di Brass erano anch’esse sorvegliate da guardiani appartenenti a società esterne. Tutti gli espatriati erano vivamente pregati di servirsi di automezzi guidati da autisti locali per gli spostamenti mentre questo era assolutamente obbligatorio per gli spostamenti dei familiari ai quali la Società forniva automezzi aziendali guidati da autisti locali dipendenti. Tutte queste precauzioni davano la misura di quanto la sicurezza fosse importante e di come fosse sentita e percepita la difficoltà di vivere in tranquillità in Port Harcourt; nel corso dei quasi cinque anni ivi trascorsi ho avuto modo di rendermi conto di quanto questo fosse vero!

I rapporti con la popolazione locale I rapporti con la popolazione locale, intendendo per popolazione locale quella dei villaggi e delle cittadine nelle aree di nostro interesse, erano abbastanza conflittuali a causa delle differenze di status sociale; noi avevamo i mezzi, le abitazioni, i servizi che loro semplicemente non avevano per cui il nostro arrivo era visto come il mezzo per cercare di diminuire le differenze. Non appena i nostri mezzi iniziavano a percorrere il loro territorio per la costruzione di strade, di postazioni o di qualsiasi infrastruttura necessaria alle nostre operazioni venivamo subito bloccati e non si poteva riprendere il lavoro se non si arrivava all’accordo di costruire qualche strada di loro interesse, perforare qualche pozzo d’acqua potabile, fornire qualche piccolo generatore o soddisfare qualche altra piccola necessità. A questo scopo il Distretto si era dotato di un reparto di “Community Relations Officers” pronto a trattare con le comunità locali per permetterci di operare in tranquillità dopo aver accettato di fare qualcosa per loro. Un altro sistema per ottenere compensi in denaro od in natura era quello di procurarsi un po’ di inquinamento sabotando i nostri oleodotti o servendosi di prelevamenti dai nostri vasconi dei rifiuti! Debbo però convenire che le trattative erano sempre civili e mai si è arrivati a rotture insanabili.

I servizi accessori Per servizi accessori intendo evidenziare tutti quei servizi, essenziali nel contesto nigeriano, ma non proprio attinenti alle operazioni petrolifere. Parlo della scuola che, sponsorizzata principalmente dall’ENI (che forniva anche insegnanti espatriati non reperibili in loco), partiva dalla materna per proseguire con le elementarie, le medie per finire con il liceo scientifico; tutte scuole con “presa d’atto” e quindi riconosciute dal Ministero della Pubblica Istruzione con la sola differenza che le promozioni dovevano essere avvalorate a Lagos dove esisteva la scuola italiana ufficiale. Parlo della piccola clinica con tre medici, uno dei quali italiano mentre gli altri due erano nigeriani ma laureati in Italia, medici che, all’occorrenza, assistevano anche italiani appartenenti ad altre compagnie operanti in Port Harcourt. Parlo della possibilità offerta alle famiglie di trascorrere qualche giorno in spiaggia a Brass durante le festività natalizie o pasquali per offrire loro un piccolo diversivo in un ambiente che non ne offriva alcuno. Parlo dell’organizzazione di tornei di calcio o di tennis con il coinvolgimento della comunità italiana che era ben felice di accedere alle nostre risorse per poter passare qualche giornata in allegria. In questo contesto ho trascorso i miei quasi cinque anni a Port Harcourt, uno o poco più da Operation Manager e gli altri da District Manager e quindi anche responsabile di quei servizi accessori soprattutto quello della scuola che necessitava di molto tempo da dedicargli per il reperimento delle risorse umane ed economiche necessarie per far funzionare una scuola con pochi allievi e molti insegnanti! Abbiamo anche dovuto far fronte alle molte visite alle nostre attività; abbiamo ricevuto molti Governatori locali, il Presidente nigeriano Shagari, una delegazione della Unione Interparlamentare capeggiata dall’On.Andreotti, una delegazione dell’Eni capeggiata dal Vicepresidente Grignaschi con i Direttori Sfligiotti, Dell’Orto ed Adami, i nostri Presidenti Moscato e Muscarella,gli Ambasciatori Italiano e Svizzero ed abbiamo dato un’assistenza in mezzi ed uomini in occasione della visita di Giovanni Paolo II. Le operazioni intanto proseguivano con i soliti problemi ambientali, con la scoperta di altri giacimenti (Clough Creek,Beniboye (il primo offshore), Obiafu Obrikom), con i sabotaggi ai nostri oleodotti per lucrare compensazioni, con i soliti bloccaggi per ottenere miglioramenti delle condizioni di vita. I sabotaggi ebbero fine solo dopo che ebbi il sospirato permesso di dimostrare al Governatore del Rivers State, Okilo, che quelli che erano passati fino ad allora come perdite per corrosione e quindi necessitanti di compensazione non erano altro che fori da trapano fatti dai locali. Questa dimostrazione fu fatta prelevando (e mostrando al Governatore) un foro con la tecnica dell’hot tapping ed ebbe come risultato alcune incursioni nei villaggi coinvolti da parte della Mobil Police che aveva fama di essere molto convincente! Debbo dire che dopo queste incursioni i sabotaggi cessarono di colpo! Nei primi giorni dell’ottobre 1982 avemmo la dimostrazione di come il problema sicurezza fosse tra i più importanti da affrontare. Nella notte del 2 ottobre la nostra guest house fu assaltata da un numeroso gruppo di banditi che, dopo aver messo in fuga i guardiani (conniventi?), fracassarono diverse porte d’ingresso nelle camere, bastonarono o ferirono alcuni nostri tecnici e professori della scuola e rapinarono la maggior parte degli ospiti di parte dei loro averi; allarmato da parte di un nostro dipendente che era riuscito ad arrivare negli uffici vicini si provvide ad inviare un certo numero di poliziotti che, purtroppo, arrivarono a rapina conclusa e banditi fuggiti. Nei giorni successivi si provvide alla blindatura di tutti gli appartamenti dei nostri espatriati e dopo poche settimane avemmo la conferma che le precauzioni prese erano state sufficienti a proteggere le famiglie; fu assaltata la casa del nostro dottore e le blindature resistettero per tutto il tempo che si rese necessario per inviare un plotoncino di poliziotti che avevamo ottenuto di poter ospitare in una piccola Police Station nella nostra guest house. Il tentativo di rapina si concluse con il ferimento e cattura di un bandito; questo episodio mise praticamente fine a questi tentativi di assalti notturni che avevano interessato anche altri italiani ed un nostro manager locale.

Nel frattempo venivano messi in cantiere e realizzati molti progetti per la manutenzione del Terminale di Brass (riverniciatura di tutti i serbatoi, revisione completa delle turbine Sulzer) e la linea per la fornitura di elettricità alla comunità di Brass, opera fra le prime di aiuto alla popolazione locale a carico della Compagnia. La scoperta del campo a condensato di Obiafu Obrikom portò alla progettazione e realizzazione del primo impianto di iniezione di gas in giacimento della Nigeria facendo della NAOC la prima Società che evitava la combustione di miliardi di metri cubi di gas; l’impianto costruito dalla Nuovo Pignone fu ultimato nel 1984. Nel frattempo veniva iniziata anche la costruzione di un analogo impianto per iniettare in giacimento anche il gas del campo di Kwale-Okpai. Sono stati quattro anni e mezzo di duro lavoro, di attenzione continua alle situazioni locali, di fasi alterne di buoni risultati e problemi di vario genere, di continuo monitoraggio delle problematiche di sicurezza, di sostegno alle famiglie per le necessità contingenti, di tentativi continui per coinvolgere anche la numerosa comunità italiana nella nostra attività; allo scadere del terzo anno, anche un po’ inaspettata, mi arrivò, con telegramma del Presidente dell’Agip dottor Cimino,la promozione a Dirigente, cosa che mi fece, ovviamente, molto piacere e che mi ripagava di tutto lo stress che mi procurava quella vita sempre sul filo del rasoio! Alla metà del 1984 comunicavo alla Direzione la mia intenzione di lasciare la Nigeria entro fine anno, cosa che fu accettata ed il 21 dicembre, dopo aver dato le consegne al nuovo Capo Distretto mr. Arinze, già responsabile degli acquisti e contratti, rientravo in Italia.

1982 Nigeria – visita a Brass dei governatori 1982 Nigeria – visita al governatore del River 1982 Nigeria – visita del Papa Giovanni Borno State (Ghoni) e River (Okilo) State (Pirocchi, Iazzolino, Okilo) Paolo II ( il Santo Pdre, Pirocchi, Amaeci)

1983 Nigeria – visita del presidente federale 1984 Nigeria – visita al terminale di Brass 1984 Nigeria – incontro con re locale Eze Shagari al centro olio Ebocha (Titone, Angelucci, Cerrito, Pirocchi, Moscato) Robinson di Pirocchi e Cerrito

A SAN DONATO DAL 1985 AL 1992 A fine gennaio del 1985 assumevo la posizione di Responsabile del Servizio di Tecniche e Tecnologie di Perforazione nell’ambito della Direzione Perforazione e tornavo, quindi, ad interessarmi dell’attività che più si confaceva alla professionalità che avevo maturato nel corso degli anni passati. Il Servizio si interessava infatti di tutto quanto serviva alla Direzione Perforazione per programmarla e seguirla dal punto di vista dei parametri, del tubaggio, dei fanghi e dei cementi. Il Servizio aveva tecnici giovani e preparati che erano pronti ad interessarsi delle tecniche informatiche che iniziavano timidamente ad essere collegate alle operazioni di perforazione sotto la forma dei “sistemi esperti”. Si formava così, all’interno del Servizio, un gruppo di tecnici che, ipotizzando di poter informatizzare il controllo delle operazioni di perforazione attraverso l’uso di sistemi esperti creati ad hoc, poneva le basi di quello che sarebbe diventato il gruppo di lavoro intersocietario per la realizzazione di un “Advanced Drilling Information System” il cui acronimo ADIS sarà poi usato per definirlo. Partecipavano infatti al progetto tecnici del Servizio, della Saipem, della Geoservices e della Enidata, società del Gruppo ENI , attraverso una sua controllata che si occupava di informatica. Io ero, con poche o nulle conoscenze informatiche, il Responsabile del progetto e questo, oltre ad essere gratificante, mi portava ad incrementare le mie conoscenze attraverso missioni in tutta l’Europa e negli Stati Uniti alla ricerca di informazioni ed anche di sistemi esperti da poter inserire nell’ADIS. Trascorrevo così circa tre anni, divisi fra gli impegni di Responsabile del Servizio e del Gruppo ADIS, molto intensi e gratificanti, con anche la partecipazione alle Associazioni di categoria quali la DEA (Drilling Engineering Association) e la SPE (Society of Petroleum Engineers) della quale ultima contribuivo, nelle veste di Publicity Chairman, alla costituzione della Adriatic Section ed alla pubblicazione del relativo bollettino di cui diventavo il Direttore (regolarmente iscritto all’Albo dei Giornalisti della Regione Lombardia). All’inizio del 1988, nel corso di una riorganizzazione aziendale, il mio Servizio veniva smembrato e, mentre una parte (le Tecniche di Perforazione) rimaneva nella Direzione Perforazione, l’altra ( le Tecnologie ed i Laboratori) veniva inserita nella Direzione Servizi alla Produzione ed io rimanevo nella Direzione Perforazione diventando l’Assistente del Direttore e conservando la Responsabilità del progetto ADIS. Trascorrevo così tre anni interessandomi, oltre che dell’ADIS, di altri progetti che mi venivano assegnati di volta in volta con frequenti missioni all’estero, ed anche della partecipazione al reclutamento del personale da assegnare alle operazioni di perforazione. Debbo francamente osservare che mi sentivo un po’ sottoutilizzato e di questo ne parlavo spesso con i miei superiori; con loro si cercava anche di fare nuove ipotesi di inserimento ma senza che si concretizzasse qualcosa di interessante. Nella primavera del 1991, improvvisamente e senza che mi chiedessero cosa ne pensassi, il mio diretto Superiore mi informava che sarei stato nominato Responsabile del servizio TESI (Tecnico Sicurezza) cosa che mi lasciò, come si suol dire, di sasso! Il TESI non godeva di buona reputazione, era dedicato solo alla raccolta dei dati sugli infortuni, aveva pochi tecnici esperti nella sicurezza ed era un po’ considerato il “cimitero degli elefanti”. Protestai con il mio Capo, mi misi a rapporto con il Vice Presidente ma non ci fu nulla da fare! Mi fu solo detto di provare ma alle mie rimostranze finalmente mi spiegarono che ero stato scelto direttamente dal Presidente (al quale erano stati sottoposti diversi nominativi) per la mia conoscenza di tutte le attività operative ed anche e soprattutto perché i tempi erano maturi per far fare un salto di qualità alla Società nel campo della sicurezza, visto che il problema stava diventando molto sentito nei rapporti con le altre realtà aziendali e con le organizzazioni sindacali. Mi veniva data, in un certo senso, carta bianca per la ristrutturazione del Servizio e per modificarlo seguendo le indicazioni ricevute.

Con mia sorpresa venivano accettate tutte le proposte da me elaborate insieme a diversi tecnici con i quali mi ero consultato; nasceva così il nuovo Servizio SICI (Sicurezza Industriale) che, con l’inserimento di alcuni giovani laureati e di alcuni tecnici interni e con un nuovo Ordine di Servizio che modificava profondamente il precedente TESI, mi impegnava per un paio di anni in un nuovo tipo di lavoro fatto di relazioni con le Unità interne aziendali, con le parti Sociali ed anche con la Divisione del Ministero competente in materia di sicurezza del lavoro. Si accertò, senza ombra di dubbio, che la percentuale degli infortuni nell’AGIP era ben superiore a quella di similari aziende europee e che l’analisi di questa realtà portava a conclusioni non proprio edificanti! Oltre ad una componente di lassismo e di scarsa cura per la manutenzione delle attrezzature accompagnata anche da un uso non controllato e saltuario degli indumenti di sicurezza si poteva notare una certa facilità di certificazione da parte dei medici ed una rassegnata accettazione di questo stato di cose. Veniva pertanto fatto un accurato studio di tutto questo, le cui risultanze furono, da me, esposte nei vari Distretti operativi italiani della Società con notevole stupore e preoccupazione da parte dei diretti interessati. Fu poi preparata una proposta per coinvolgere il personale dei Distretti ad un più attento controllo del comportamento proprio e dei colleghi in modo da ridurre il numero degli infortuni e riportarlo ad una fisiologica percentuale compatibile con quella delle altre società. L’idea era quella di dividere il personale in gruppi omogenei di 30-40 tecnici e di premiare i gruppi che avevano zero infortuni in un tempo di alcuni mesi e di ulteriormente premiare quel gruppo che, allo scadere dell’anno, risultava il migliore. I premi consistevano in buoni di benzina per quelli intermedi e di oggettistica di valore come premio annuale.

1988 – comitato fondatore SPE Italia 1989 Albania – trasporti urbani 1989 Ravenna – consegna tessera APVA di (Cesaroni, Pozzi, Colamasi, Paccaloni, Pirocchi) Socio Onorario al Cardinale Tonini

ALLA SPI DI FORNOVO DAL 1993 AL 1996 Prima della fine dell’anno arriva, però, l’ennesima proposta; mi si prospetta di assumere la Direzione Tecnica della Società Petrolifera Italiana, con sede in Fornovo Taro, società che, rilevata qualche anno prima dal Gruppo Moratti, era attiva nella produzione e distribuzione del gas con giacimenti in produzione e permessi da esplorare a piccola e media profondità. Cominciavo ad avere una certa età e la componente familiare mi induceva a prendere in seria considerazione la proposta. Nel dicembre del 1992 assumevo quindi la posizione di Responsabile dell’Esplorazione, Produzione e Commercializzazione della SPI con il compito di sviluppare i nuovi giacimenti (Policoro, Monte delle Vigne, Torrente Baganza), ricondurre la Società al “core business” liberandosi di attività non in sintonia con le nostre (una tenuta agricola con relativa stalla, un paio di impianti per la distribuzione di gas per auto, la chiusura mineraria di vecchi pozzi in aree non di nostra competenza, ecc.), trovare la possibilità di utilizzare il gas a bassa pressione senza doverlo ricomprimere per immetterlo in rete. Un piccolo inciso; nella primavera del 1993, durante una delle mie frequenti visite a S.Donato vengo avvicinato da una gentile signora della Direzione del Personale che mi consegna un orologio da polso comunicandomi che era il premio annuale consegnato al gruppo vincente il concorso per la riduzione degli infortuni; me lo consegnava perché si riteneva che, visto l’abbattimento del numero degli infortuni nel 1992 del 50% circa, me lo fossi meritato! Lo porto, ancora oggi al polso con orgoglio e compiacimento.

La Società, la più vecchia società petrolifera italiana (fondata dal cav.Scotti nel 1905) passata poi, nel corso degli anni, prima sotto il controllo della Esso Standard, del Governo (durante l’ultima guerra), della Phillips, del gruppo Moratti ed infine dell’Agip che ne aveva ceduto l’attività di raffinazione all’Agip Petroli per mantenere solo quella di ricerca e produzione, aveva operazioni, oltre che in Emilia-Romagna, in Basilicata, Puglia, Abruzzo e Marche. Al momento del mio arrivo si stavano sviluppando il campo di Policoro e quello di Monte delle Vigne-Torrente Baganza, per il quale ci si apprestava a costruire una centrale di separazione gas.gasolina con ricompressione del gas per poterlo iniettare nella rete italiana. Nel corso di questi tre anni si è proceduto, quindi, oltre che allo sviluppo dei campi in questione, alla chiusura mineraria di vecchi campi ormai depletati, alla vendita delle due stazioni di servizio, alla chiusura dell’azienda agricola, alla installazione di due impianti di cogenerazione (utilizzando gas a bassa pressione) in due aziende industriali nelle Marche ed in Basilicata ed al tentativo, poi lasciato cadere per gli elevati costi, di creare un museo del petrolio sul campo di Vallezza che aveva (ed è stato lasciato almeno fin quando ne sono stato a conoscenza) un originale sistema centralizzato di estrazione per pompamento dell’olio con catene collegate ad un grosso eccentrico che permetteva ai cavalletti di estrarre il poco olio rimasto dopo una produzione protrattasi per diversi decenni. A fine 1995 una nuova ristrutturazione prevedeva l’accorpamento alla SPI di due altre aziende che svolgevano la stessa attività di ricerca e produzione di gas a bassa profondità; la posizione che ricoprivo nella SPI veniva smembrata con tre responsabili per l’Esplorazione, la Produzione e la Commercializzazione ed io mi ritrovavo nella condizione di dover, ancora una volta, aspettarmi un’altra collocazione. Mi si prospettava anche la possibilità di negoziare una uscita dalla Società, cosa che accettavo ed il 30 giugno 1996, dopo quasi quarant’anni di lavoro ed alla soglia dei 61 anni di età, lasciavo la Società per andare in pensione.

1994 Fornovo – inaugurazione centrale gas SPI campo Monte delle Vigne – Torrente Baganza (Cainer, Pirocchi)

CONCLUSIONI Quando venni assunto, a fine 1956, l’Agip operava prevalentemente in Italia; all’estero era presente solo in Iran con la sua consociata Sirip. Consequentemente mi aspettavo di svolgere il mio compito di tecnico fanghi in uno dei Settori italiani e mai e poi mai avrei potuto immaginere che la crescita della Società all’estero mi avrebbe così pesantemente coinvolto. La mia carriera si è sviluppata attraverso continui trasferimenti per cui è come se nei 40 anni trascorsi in AGIP io abbia cambiato ambiente e tipo di lavoro come facevano e fanno i dipendenti delle altre compagnie petrolifere; ricordo ancora lo stupore dei miei colleghi americani quando apprendevano che avevo lavorato solo nell’AGIP mentre loro salivano in carriera cambiando continuamente società! Se ripercorro tutti gli spostamenti dai laboratori di S.Donato, al Settore Sicilia, alla CORI in Libia, alla Filiale India della Saipem, di nuovo nel Settore Sicilia e poi nel Settore Nord per continuare di nuovo in Libia, a S.Donato, in Nigeria e poi di nuovo a S.Donato per finire alla SPI di Fornovo Taro sempre con la famiglia al seguito (fuorchè in India) mi domando come abbia fatto a resistere a tutti questi movimenti ai quali dovrei aggiungere anche le missioni di breve o media durata in Tunisia, Algeria, Costa d’Avorio, Congo, Egitto, Emirati Arabi, Stati Uniti e quasi tutta l’Europa. Evidentemente oltre alle mie soddisfazioni personali quali i riconoscimenti e la carriera ci deve essere stato anche un buon gradimento aziendale che, debbo dire con un po’ di rammarico, non mi è quasi mai stato manifestato in modo evidente! Debbo averlo solo intuito e recepito da quanto mi veniva proposto e dalle relative conseguenze. Debbo, quindi, concludere queste note manifestando la mia gratitudine per quello che mi ha dato questa Società che mi ha permesso di conoscere il mondo, di crescere professionalmente e culturalmente ed infine di permettermi di trascorrere una buona terza età ricordando tutto quello che ho cercato di riassumere in queste note. Alla domanda, che qualcuno mi ha posto, di specificare se avessi qualcosa da eliminare o modificare da questo curriculum, ho risposto che lo rifarei, lo rifarei così come l’ho fatto! Adriano Pirocchi

CURRICULUM VITAE DI ADRIANO PIROCCHI

Nato il 12 novembre 1935 a Sesto S.Giovanni.. Coniugato con Violetta Maini il 15 giugno 1963.Due figli maschi nati nel 1964 e nel 1972 Diploma di perito chimico industriale conseguito nel 1954 presso l’I.T.I. di Chieti Frequentato corso di Tecnologia di Perforazione presso l‘Istituto Indutriale dell’Aquila nel 1956 Assunto dall’AGIP il 29 novembre dell’anno 1956 11/56 - 05/57 Addestramento presso il laboratorio Fanghi e Cementi di S.Donato Milanese 06/57 - 04/61 Tecnico Fanghi e Cementi di cantiere a Gela 05/61 - 03/64 Tecnico Fanghi e Cementi in Libia 05/64 - 05/66 Chimico Fanghi e Cementi in India (in prestito a Saipem) Durante un rientro per ferie, missione in Grecia di alcuni giorni per intervento sul fango del pozzo Filiates 1. 08/66 - 04/68 Chimico di Settore a Gela 05/68 - 02/71 Chimico di Settore e poi Assistente Tecnico di Settore a Ravenna Nell’estate del 1969 missione di un paio di mesi in Tunisia, per sostituire il supervisore di perforazione in ferie. Nel novembre 1969 missione di circa un mese in U.S.A, insieme a Moscato, Merluzzi, Sgubini e Capuani per assumere informazioni sui pozzi profondi. Nel luglio del 1970 in contratto in Nigeria come drilling manager (con delega district manager in attesa arrivo del designato Ferrari). Contratto cancellato nel settembre per cessione dell’operatorship alla Phillips. 05/71 - 06/74 Drilling Manager in Libia in comando ad Agip NAME 07/74 - 05/75 Servizio Perforazione Estero in S.Donato Milanese 06/75 - 02/77 Deputy Operation Manager in comando ad Agip Petroleum Iran Company 03/77 - 04/80 Servizio Perforazione Estero in S.Donato Milanese 05/80 -12/84 Operation Manager fino al 10/81, indi District Manager in comando a Nigerian Agip Operation Company in Nigeria (Port Harcourt) 02/85 - 12/87 Responsabile del Servizio Tecniche e Tecnologie di Perforazione in S.Donato 01/88 - 04/91 Assistente del Direttore della Perforazione. Responsabile del Progetto ADIS (Advanced Drlling Information System) 05/91 - 12/92 Responsabile Servizio Sicurezza Industriale in S.Donato Milanese Nel periodo trascorso in S.Donato sono state effettuate diverse missioni di lunghezza variabile, da qualche giorno ad alcune settimane, negli U.S.A.(2), in Egitto(2), in Algeria(2), in Congo(2), in Costa d’Avorio(1), negli U.A.E.(1), in Austria(2), in Germania(2), in Danimarca(2), in Olanda(3), in Albania(2), in U.K.(diverse), in Francia(diverse), in Belgio(1), in Norvegia (diverse). 12/92 - 06/96 Responsabile Esplorazione, Produzione e Commercializzazione della Società Petrolifera Italiana in Fornovo di Taro