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15 Un dettaglio di Casa Batlló, forse l’opera più emblematica di Antoni Gaudí. La facciata rivestita con il tipico mosaico catalano, il trecandís, è ricca di simbolismi e rimandi al mondo naturale. Non solo Modernismo. Dopo i progetti faraonici degli anni Novanta, legati alle Olimpiadi, le parole d’ordine sono ecosostenibilità e recupero. Perché la trasformazione non si ferma mai di R OBERTA B OSCO LA NUOVA BARCELLONA COSÌ CAMBIA LA CITTÀ

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Un dettaglio di Casa Batlló, forse l’opera

più emblematica di Antoni Gaudí.

La facciata rivestita con il tipico mosaico catalano,

il trecandís, è ricca di simbolismi e rimandi

al mondo naturale.

Non solo Modernismo. Dopo i progetti faraonici degli anni Novanta, legati alle Olimpiadi,

le parole d’ordine sono ecosostenibilità e recupero. Perché la trasformazione non si ferma mai

di R o b e R t a b o s c o

LA NUOVA BARCELLONA

COSÌ CAMBIALA CITTÀ

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Lo skyline di edifici iconici, firmati dai grandi dell’architettura interna-zionale, che continua ad accogliere e a stupire il visitatore, è ancora quello scaturito dall’ultima gran-de ristrutturazione di Barcellona, negli anni Novanta. Lo delineano l’immacolato Macba, il Museu d’Art Contemporani dell’ameri-cano Richard Meier, e l’imponente Palau Nacional, ristrutturato da Gae Aulenti per accogliere le ope-re del Museu d’Art de Catalunya, dopo aver dotato i suoi 50 mila me-tri quadrati delle imprescindibili fondamenta. E poi la multicolore torre Agbar di Jean Nouvel, che molti soprannominano il siluro, e la Torre delle telecomunicazioni di Norman Foster, che sovrasta la città dalla collina di Collserola. Lo scrit-tore Manuel Vázquez Montalbán la chiamava la stampella e preferiva le linee azzardate del suo contrappun-to sulla collina di Montjuïc: la Tor-re Telefonica, disegnata da Santia-go Calatrava.

Nuovi architettiA prima vista potrebbe sembrare che la città non sia cambiata poi tanto negli ultimi dieci anni. Ma basta spingere lo sguardo oltre la superficie per cogliere i dettagli di una profonda trasformazione. Sempre più cosciente dell’emer-genza ecologica, Barcellona ha fatto di necessità virtù e, dopo lo scoppio della bolla immobiliare, non ha esitato a mettere in discus-sione un modello di sviluppo che era stato lodato e copiato da mezzo mondo. Dopo 20 anni di ambizioni sfrenate e di egemonia straniera, la città si affida al talento nazionale e punta su formati più abbordabili e reinterpretazioni innovative della tradizione autoctona. Il presente appartiene a una nuova generazione di architetti, più austeri, ma molto creativi, che non rinnega i progetti faraonici, ma si mantiene estranea

all’edonismo e all’opulenza. Sono loro a plasmare il panorama plurale ed esuberante che la Biennale di Ar-chitettura di Venezia 2016 ha pre-miato aggiudicando il Leone d’Oro al padiglione spagnolo, dove più della metà dei 55 progetti esposti sono catalani. Un esempio lampan-te è il multipremiato studio Battle i Roig. È suo il merito di un’impresa considerata praticamente impos-sibile: il recupero ambientale del fiume di Barcellona, il rio Llobregat e la trasformazione in parco natu-rale della gigantesca discarica del Garraf: quella che per decenni fu una zona inagibile è diventato un rigoglioso parco a terrazze, grazie a una serie di processi ecologici di ultima generazione.Dal punto di vista architettonico, lo sviluppo di Barcellona si può rias-sumere per macrotappe. Sulla città romana sorse il quartiere gotico, l’attuale centro storico, che culmi-nò il suo sviluppo verso la monta-gna ai primi del Novecento con la costruzione dell’Eixample, il risul-tato della complicità tra una ricca borghesia illuminata e un gruppo di architetti visionari, capitanato da Antoni Gaudí. Risalgono ad allora le splendide dimore moderniste, alcune ancora poco conosciute, come Casa Vicens, con la facciata d’ispirazione indiana, e Casa Ter-radas, recentemente aperta al pub-blico dopo un minuzioso restauro. Soprannominata Casa de les Punxes per le sei torri appuntite che le danno un’aria fiabesca, accoglie un centro dedicato al suo autore Jo-sep Puig i Cadafalch e uno spazio tecnologico interattivo che spiega la leggenda di Sant Jordi, patrono della Catalogna, e la sua lotta con il drago. Chi voglia vedere draghi po-trà comunque farlo, anche senza la realtà virtuale, al tramonto, quando le piastrelle di ceramica verde che ricoprono le punxes brillano come squame. La libertà creativa del Moderni-

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L’interno di Casa Batlló. Come all’esterno,

ogni elemento decorativo si ispira al mondo

naturale, in particolare a quello sottomarino.

Vale la sostaFra gli oltre 150 edifici

del Quadrat D'Or, ce ne sono alcuni pressoché

sconosciuti, che invece richiederebbero

attenzione. Casa Comalat (Diagonal

442), è uno di questi. Merita una sosta

la sua facciata tardomodernista,

rivestita da ceramiche policrome che il sole

trasforma in un caleidoscopio

di colori. Il progetto è opera di Salvador

Valeri i Pupurull, molto influenzato da Gaudí.

LE DRITTE diDOVE

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pesce dorato di Frank Gehry. Ora la situazione è cambiata e il disegno urbano non ha più bisogno di una figura egemonica, capace di stabili-re le linee direttrici, ma può godere di una pluralità creativa, rinfrescan-te in un mondo sempre più globa-lizzato. Due “stagioni” che rappre-sentano gli estremi di un processo senza soluzione di continuità, in cui la città non ha smesso di trasformar-si. Non solo con nuovi progetti, ma anche attraverso il restyling di edifi-ci storici, come, per esempio, quelli che ospitano i suoi due mercati più celebri: la Boqueria e il Mercato di Santa Caterina. Il rifacimento del primo porta la firma di Carmé Pinós, che ha sotterrato il parcheg-gio e aperto una piazza per il godi-mento sia dei numerosi turisti, sia degli abitanti del Raval, il quartiere più multiculturale della città. La ri-strutturazione del Mercato di San-ta Caterina vicino alla Cattedrale, è opera di Benedetta Tagliabue e il suo segno distintivo è il tetto on-dulato dalle tegole multicolori che attualizzano l’amore per le forme sinuose e il trencadís, il mosaico di ceramica colorata tanto amato dai modernisti. Il contrasto tra il passato recente e il futuro, rappresentato da una scena emergente che si colloca agli antipo-di degli sprechi degli anni Novanta, si materializza nella nuova plaça de les Glories. È lì all’inizio della Diagonal dove l’enorme DHUB, il

smo fu rimpiazzata dal rigoroso Noucentismo, che ebbe il merito di unificare in uno schema urbano l’esuberanza e l’individualismo dei suoi predecessori, ma lasciò anche interessanti esempi del suo ritorno alle linee classiche, come l’edificio della casa editrice Salvat (Mal-lorca 45-49). Due periodi esteti-camente antitetici, ma in entrambi Barcellona continuò a crescere, paradossalmente, di spalle al mare.

Fronte del portoFu solo negli anni Ottanta del se-colo scorso, in piena effervescenza postfranchista, che un lungimirante architetto, Oriol Bohigas, si rese conto che i tempi erano maturi per spostare il porto mercantile e aprire il fronte marittimo al pubblico, re-cuperando le spiagge per l’ozio e il piacere. Da quel piano urbanistico scaturì la trasformazione dell’antico quartiere dei pescatori, la Barcelo-neta, che ha conservato i ristoranti-ni tipici, ma è più ordinato, abbelli-to da sculture di Kounellis, Muñoz e Mario Merz, e ha anche riconqui-stato una spiaggia vivibile. E poi tutto il nuovo quartiere residenziale che continua oltre a quello che fu il villaggio delle Olimpiadi del 1992 e si sviluppa intorno al porto turistico e alle due torri dell’Hotel des Arts e dell’edificio Mapfre, che come fari moderni brillano nell’oscurità e incorniciano la forma perfetta del

A Barcellona, il mondo del progetto parla catalano stretto. E lo fa per mano di giovani designer che danno voce alle aspirazioni repubblicane e indipendentiste di tutta una società plasmandole in sorprendenti reinterpretazioni della tradizione locale. È il caso di Ball Pagès di Gemma Serra, un remake dei sandali di corda tipici della Costa Brava, e dell’elegante semplicità della Persiana Barcelona di Pau Sarquella e Diana Usón, che si può vedere nel ristorante

L’Actiu (lactiu.com), nel VanVan Market, il mercato gastronomade che si sposta per tutta la città. La metafora dell’unione del popolo catalano, che si plasma in tutti i suoi elementi identitari come la bandiera o le canzoni, si materializza nella sedia Biennale di Josep Ferrando, creata per il padiglione catalano della Biennale di Venezia 2016 e concepita come sedile individuale, ma anche per unirsi in diversi modi, adattandosi alle varie esigenze.

Local design

In alto: l’Info point in plaça de les Glories,

di Peris+Toral, struttura a basso impatto che ben

rappresenta le nuove tendenze dell’architettura

catalana. In basso: a sinistra, la Torre Telefonica,

progetto di Santiago Calatrava; a destra, le linee

sinuose e immacolate del Macba, Museu d’Art Contemporani, opera di

Richard Meier.

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museo del design di MBM Arqui-tectes (lo studio di Oriol Bohigas), epigone degli antichi fasti, convi-ve con la sostenibile riforma degli Encants, il gigantesco mercato di oggetti usati, firmata da Fermín Vázquez di b720 Arquitectes e l’Info Point di Peris+Toral. La co-struzione, smontabile e riutilizzabi-le, minimizza l’impatto sul territorio e ben rappresenta la nuova scuola che ha preso il sopravvento: a essa si deve la riscoperta del patrimonio industriale di Barcellona e la sua rivalutazione. Sulla scia di grandi operazioni, come la trasformazione di un’antica filanda in CaixaForum, uno dei centri d’arte più attivi della città, è iniziata la conversione di aree industriali in spazi di tenden-za. È il caso del Museo de Historia, nella fabbrica metallurgica Oliva Artés, firmata dallo studio BAAS, e della hamburgeseria Oval, ricavata da Flexo in un oscuro magazzino di fine Ottocento, che ha recuperato il fascino dei mattoni a vista combina-ti con arredi anni Cinquanta.La vecchia guardia si allea con il talento emergente nel disegno del-le nuove stazioni del metro della Linea 9, firmate da Jordi Garcés, architetto celebre per l’eleganza delle sue soluzioni, autore anche dei successivi ampliamenti del Mu-seo Picasso, e dalla professionista napoletana Daria de Seta, che ha

ricevuto il Premio FAD. Si basano sull’intelligente reinterpretazione del passato recente il nuovo acces-so del Museo Marittimo e la rifor-ma de El Molino, un cabaret stori-co della notte barcellonese, che non credeva di poter tornare agli antichi splendori grazie alla sensibilità del giovane Josep Bohigas, fondatore dello studio BOPBAA.La nueva ola barcellonese è formata da professionisti che concepiscono l’architettura come un esercizio di responsabilità. La sperimentazione tecnologica non è mai diminuita, ma ora non serve più per stupire, ma per semplificare il quotidiano. Lo dimostrano progetti che sono diventati casi di studio come l’edi-ficio Mediatic di Enric Ruiz-Geli, concepito come una dimostrazione delle potenzialità che scaturisco-no dall’unione tra natura e nuove tecnologie. Ruiz-Geli rappresenta le tendenze più innovative e speri-mentali, insieme al gruppo Metapo-lis, capitanato da Vicente Guallart, fondatore del IAAC (Institute for Advanced Architecture of Catalo-nia), i cui corsi sono frequentati al 90 per cento da stranieri. Quegli stessi giovani che arrivano da tut-to il mondo con i loro skateboard sotto il braccio per realizzare i salti più azzardati nelle installazioni dei Landscape Parks alla Mar Bella e al Guinardó, disegnati da SCOB.

Nonostante Barcellona vanti un’inesauribile capacità di reinventarsi, l’architettura di Gaudí continua a essere uno dei principali richiami per i milioni di turisti che la visitano ogni anno. La Sagrada Família, ormai consacrata e con culto regolare, è sempre e con ragione la più gettonata (imprescindibile visitare il museo dove si espongono i modellini costruiti con fili e sacchetti di sabbia che rivelano le sue sorprendenti soluzioni architettoniche, ispirate alla natura), insieme alla Pedrera, dove c’è anche un centro dedicato alla vita e alle opere

dell’architetto che morì investito da un tram. Le folle di visitatori hanno reso insostenibile la vista al Park Güell, dove le architetture del Maestro ormai sono ingabbiate in sottili reti metalliche per salvarle dal bonario vandalismo dei turisti. Molto meglio la quasi sconosciuta Colonia Güell di Santa Coloma di Gramanet, appena fuori città, costruita per alloggiare le famiglie degli operai delle filande del conte Güell, il principale mecenate di Gaudí. Da non perdere la cripta nella chiesetta, che l’architetto disegnò come se fosse un modellino della Sagrada Família.

Gaudí: mistico, ma razionale

In alto: l’edificio Mediatic di Enric Ruiz-Geli, nel

Distretto tecnologico 22 arruba, a Poblenou. In

basso: l’hamburgheria Oval, esempio di riconversione di

vecchi spazi industriali.

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