05 2 I punti cladi e la velocità delle placche copia · La Terra è! l’unico pianeta con!...
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I punti caldi
Le eruzioni vulcaniche solitamente avvengono in corrispondenza dei margini delle placche litosferiche, ma esiste un tipo di vulcanesimo indipendente dai movimenti tettonici, generato dai cosi detti “hot spot".
Wikipedia
Si tratta di zone calde che partono dalle profondità del mantello e rimangono immobili, mentre le placche litosferiche vi scorrono sopra, motivo per cui spesso si parla di fenomeni di magmatismo intraplacca.
Wikipedia
Il caso più noto è rappresentato dall’arcipelago delle Hawaii: la catena sottomarina Hawaii-‐Emperor si sviluppa per circa 5800 Km nell’Oceano Pacifico e comprende almeno 80 vulcani, di cui solo l’ultimo attivo.
http://hawaiiislandvolcanoes.blogspot.it/
Arcipelago delle Hawaii, a sinistra si nota come i vulcani estinti proseguano lungo una linea sottomarina (Wikipedia)
Oppure quello del parco di Yellowstone, che si trova sopra ad un immenso hot spot.
http://grandcanyon.free.fr/images/parc2/thumb.html
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L’hot spot di Yellowstone nel corso del tempo ha prodotto enormi fenomeni eruttivi che potrebbero ripetersi anche in futuro con l’interessamento di un vastissimo territorio degli Stati Uniti d’America.
Non è ancora del tutto chiara la profondità dalla quale proviene il magma all’interno dei punti caldi: alcuni ricercatori sostengono una provenienza dal nucleo esterno (circa 2900 km di profondità), mentre altri pensano abbia un'origine più superficiale.
USGS
E’ interessante notare anche come i fenomeni eruttivi legati agli hot spot sembrino avere un ruolo fondamentale nella storia della vita sulla Terra. Circa 66 milioni di anni fa, infatti, dell’area indiana del Deccan ci fu un eruzione parossistica che liberò in atmosfera una quantità tale di polveri che oscurò l’atmosfera provocando un abbassamento della temperatura globale.
In viola sono indicati i basalti emessi nelle eruzioni dei Trappi del Deccan, Wikipedia
Questi fenomeni, in abbinamento all’impatto del meteorite nel golfo del Messico sono probabilmente la causa dell’estinzione di massa avvenuta 65 milioni di anni fa.
Il ciclo di Wilson
Come si può intuire da quanto fino ad ora descritto sia le fosse che le dorsali oceaniche non sono strutture stabili, ma sono soggette ad una trasformazione nel corso del tempo. Infatti, le fosse possono scomparire, mentre si possono formare nuove dorsali, oppure queste ultime possono smettere di produrre nuova crosta oceanica. Questo fenomeno è noto come ciclo di Wilson e prevede che il ripetersi delle dinamiche della litosfera conduca alla ciclica formazione di un "supercontinente" che poi si separa per riformarsi ancora, con un ritmo di circa 500 milioni di anni.
Varie fasi del ciclo di Wilsion, Wikipedia-‐ autore Hannes Grobe
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Nella storia della Terra si sono riconosciuti due supercontinenti: la Pangea di circa 250 milioni di anni fa e la Rodinia, di circa 750 milioni di anni fa.
http://en.wikipedia.org/wiki/File:Wilson-‐cycle_hg.svg
La tettonica delle placche è dunque un processo ancora attivo le cui conseguenze trasformeranno profondamente l’aspetto futuro del nostro pianeta. I movimenti tettonici dovrebbero portare ad una progressiva riduzione di volume dell’Oceano Pacifico, che in circa 50 milioni di anni dovrebbe trasformarsi raggiungendo le dimensioni di un grande lago. Contemporaneamente la rift valley africana genererà un nuovo mare che separerà la parte nord orientale del continente dal resto dell’Africa. La placca Africana restringerà poi il bacino del Mediterraneo e sposterà l’Italia parallelamente all’Equatore. La Grecia sarà compressa verso la Turchia e il mare Egeo diventerà un lago. L’Australia si separerà dall’Antartide dirigendosi verso l’Asia e le isole indonesiane diverranno catene montuose. Inoltre si formerà un unico continente comprendente Africa, Europa, Asia e Australia: il progenitore di una nuova Pangea. Infine la California si staccherà dal Nord America, spostandosi verso l’Alaska, dove verrà inglobata in una nuova catena montuosa.
Dr. Christopher Scotese.
La velocità delle placche
Dal momento che noi osservatori ci troviamo sulla superficie terrestre e poiché abbiamo appena visto come questa sia tutta in movimento, non esiste un sistema di riferimento terrestre che ci permetta di stimare la velocità assoluta con la quale si spostano le placche. È possibile invece stimare la velocità media relativa di una placca rispetto ad un’altra ad esempio con il metodo di Vine e Matthews, osservando cioè le anomalie magnetiche ed effettuando calcoli a partire dall'ampiezza della banda magnetica presente sul fondale marino e dal tempo di durata dell'episodio magnetico che si considera. L’ordine di grandezza della velocità con la quale si muovono le placche può essere anche calcolata conoscendo l’età delle rocce e il precorso che queste hanno compiuto dalla loro origine: ad esempio a partire dalla dorsale medioatlantica. In questo modo, sapendo che le rocce più antiche dell’oceano Atlantico hanno un’età media di circa 150 milioni di anni e che distano dalla dorsale medioatlantica circa 3000 Km, si può calcolare che si sono allontanate da quest’ultima con un ritmo approssimativo di 2 cm/anno.
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Anche gli studi sui punti caldi hanno permesso di calcolare la velocità con la quale si muovono le placche.
Ad esempio la datazione delle rocce magmatiche dell’isola Kuai (nelle Hawaii) ha mostrato come questa si sia formata 5,1 milioni di anni fa (momento in cui si trovava sopra al punto caldo). Poiché ora è collocata circa 600Km a nord-‐ovest rispetto al punto di partenza, significa che nel corso del tempo si è spostata nell’oceano Pacifico con una velocità media di quasi 12 cm/anno.
Le placche non si muovono tutte alla stessa velocità: ad esempio quella Pacifica e la placca di Nazca si allontanano con una velocità di circa 17 cm/anno, mentre quella Euroasiatica e quella Nordamericana si avvicinano di circa 2 cm/anno.
Attualmente il movimento delle placche può essere tracciato con misure geodetiche che si basano sulle osservazioni effettuate dai satelliti. A partire dagli anni ‘70 la geodesia spaziale ha fatto notevoli progressi sviluppando tre differenti tecniche (VLBI -‐very long baseline interferometry, SLR -‐satellite laser ranging e GPS -‐ Global Positioning System). Di queste il GPS è sicuramente quello più efficace nell’analisi delle velocità delle placche: dalla ripetizione di misure della distanza tra punti specifici i geologi possono così determinare se esiste un movimento tra le placche e quantificare la sua entità.
http://www.geoscienze.unipd.it/sites/default/files/SFP_La%20tettonica%20delle%20placche.pdf
http://www.edufy.org/content/show/48
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Se la tettonica si fermasse?
La tettonica a placche gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento della vita sulla Terra. Se ad esempio il calore interno della Terra diminuisse e si arrestassero i moti convettivi le conseguenze sarebbero tragiche. Si verificherebbe:
• una grande diminuzione della quantità di CO2 atmosferica che regola la temperatura del pianeta
• la scomparsa del campo magnetico terrestre e la conseguente esposizione della Terra alle radiazioni cosmiche e al vento solare
• un incremento dell’erosione con assenza di orogenesi e il relativo rischio di un innalzamento del mare
• una diminuzione degli habitat attualmente presenti con una conseguente diminuzione della biodiversità
La tettonica extraterrestre
NASA. Mappa topografica della Valles Marineris su Marte.
I colori tendenti al blu indicano altitudini basse, verso il rosso indicano altitudini alte. La Terra è l’unico pianeta con attività tettonica? Gli scienziati in realtà non hanno abbastanza dati per essere certi della risposta. Alcuni esperti della NASA hanno, infatti, dichiarato di aver trovato alcune prove di una possibile attività tettonica su Marte o su Venere, ma molti sono scettici a riguardo. Una delle questioni più dibattute è il fatto che per l’esistenza di attività tettonica sembra servire un’enorme quantità di acqua, cosa che è attualmente assente nei pianeti del Sistema Solare. In base a questa teoria potrebbe invece essere che Venere e Marte avessero in passato avuto attività tettonica. Una qualsiasi attività tettonica richiede l’esistenza di calore interno, quindi il nostro pianeta è di sicuro quello più geologicamente attivo, mentre gli altri sembrano aver e cessato ogni attività. Se il vulcanesimo ha giocato un ruolo importante agli inizi della vita di Marte, i pianeti più piccoli come ad esempio Mercurio hanno invece disperso il calore interno troppo rapidamente.
ESA. I monti Phlegra sono un esempio di una probabile attività tettonica anticamente presente sul pianeta Marte.
Esiste comunque il dibattito aperto su Venere, perché nel 1979 furono ritrovare notevoli quantità di zolfo (che poi calarono rapidamente) nell’alta atmosfera del pianeta, quasi a testimoniare l’esistenza di un’eventuale eruzione vulcanica. Inoltre negli anni ’90 la sonda spaziale Magellano rilevò sulla superficie diVenere strutture vulcaniche simili a quelle osservate sulla Terra.
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Arco vulcanico delle isole Aleutine (dove i colori indicano la variazione della quota, crescente da blu a rosso)
La topografia della Corona di Artemide rinvenuta sulla superficie di Venere. (Imagery couresy of David T. Sandwell, Scripps Institution of Oceanography.)
La sonda Voyager ha poi scoperto diversi pennacchi che risalgono per centinaia di chilometri sopra alla superficie di Io, uno dei satellite di Giove, così come la superficie di Ganimede, un altro satellite di Giove, è fratturata in varie parti simili alle placche. Se queste superfici possono rappresentare prove fossili di attività vulcanica, oppure di un’attività sporadica che però è ancora da dimostrare.
Un pennacchio di SO2 che si innalza 150 km sopra alla superficie di Io. (Imagery courtesy of NASA.)