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C Sguardi fotografici sul territorio: progetti e protagonisti fra storia e contemporaneità in Italia Ravenna 20-22 Novembre 2014 preprint / abstract Roberta Valtorta Le radici storiche della “scuola italiana di paesaggio”. Ricerche sui luoghi, committenza pubblica, influenze sul presente Si propone una riflessione sulle molteplici ragioni che portano alla fioritura, tra i primi anni Ottanta e i primi anni Novanta del Novecento, di quella che è stata talvolta definita “scuola italiana di paesaggio”, un fronte culturale formato da un grande numero di fotografi, tra i quali i noti maestri della fotografia contemporanea Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Mimmo Jodice, Roberto Salbitani, nonché Olivo Barbieri, Roberto Bossaglia, Vincenzo Castella, Vittore Fossati, Carlo Garzia, Gianni Leone, Francesco Radino, George Tatge, Fulvio Ventura e molti altri. Essi, impiegando una fotografia diretta, non più di tipo reportagistico, bensì di “osservazione” dei luoghi, fanno coincidere la lettura fotografica del paesaggio in mutamento nel passaggio dall’economia industriale a quella postindustriale, con una riflessione sulla propria identità di artisti e con un forte lavoro di rinnovamento dei modelli della visione. Non solo “paesaggisti” ma piuttosto intellettuali che si interrogano sulla frattura tra l’uomo contemporaneo e il mondo da lui stesso costruito, questi fotografi mettono in discussione ma per un’ultima volta impiegano il concetto di “rappresentazione”, intrecciano esperienze con scrittori e architetti, lavorano collettivamente in ripetuti progetti di committenza pubblica promossi da enti pubblici di ogni parte del paese, spesso dando al loro lavoro un respiro di carattere sia artistico sia civile. La loro fotografia è percorsa da molte istanze culturali, dall’Arte Concettuale innanzitutto (importante il contributo dell’artista e teorico Franco Vaccari) alla Land Art, dalla Pop Art al graphic design, alla consonanza con alcune aree della fotografia americana moderna e contemporanea, da Walker Evans a Lee Friedlander ai New Topographics, dalla quale prende spunto per un aggiornamento dei codici, che da nazionali (si pensi agli Alinari e al Touring Club Italiano) si fanno internazionali. Alle loro spalle stanno la grande esperienza del cinema neorealista, che sottolinea il senso storico dei luoghi, visti come contenitori di storie umane, la memoria della pittura metafisica, alcuni episodi del realismo pittorico tra Ottocento e Novecento, echi del Vedutismo, ma anche la fotografia di Giuseppe Pagano, Alberto Lattuada, Paolo Monti. E’ una fotografia del quotidiano, attenta agli aspetti minori del territorio antropizzato, spaesata, che esprime il disagio del momento 1

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C Sguardi fotografici sul territorio: progetti e protagonisti fra storia e contemporaneità in ItaliaRavenna 20-22 Novembre 2014

preprint / abstract

Roberta Valtorta

Le radici storiche della “scuola italiana di paesaggio”. Ricerche sui luoghi, committenza pubblica, influenze sul presente

Si propone una riflessione sulle molteplici ragioni che portano alla fioritura, tra i primi anni Ottanta e i primi anni Novanta del Novecento, di quella che è stata talvolta definita “scuola italiana di paesaggio”, un fronte culturale formato da un grande numero di fotografi, tra i quali i noti maestri della fotografia contemporanea Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Mimmo Jodice, Roberto Salbitani, nonché Olivo Barbieri, Roberto Bossaglia, Vincenzo Castella, Vittore Fossati, Carlo Garzia, Gianni Leone, Francesco Radino, George Tatge, Fulvio Ventura e molti altri. Essi, impiegando una fotografia diretta, non più di tipo reportagistico, bensì di “osservazione” dei luoghi, fanno coincidere la lettura fotografica del paesaggio in mutamento nel passaggio dall’economia industriale a quella postindustriale, con una riflessione sulla propria identità di artisti e con un forte lavoro di rinnovamento dei modelli della visione. Non solo “paesaggisti” ma piuttosto intellettuali che si interrogano sulla frattura tra l’uomo contemporaneo e il mondo da lui stesso costruito, questi fotografi mettono in discussione ma per un’ultima volta impiegano il concetto di “rappresentazione”, intrecciano esperienze con scrittori e architetti, lavorano collettivamente in ripetuti progetti di committenza pubblica promossi da enti pubblici di ogni parte del paese, spesso dando al loro lavoro un respiro di carattere sia artistico sia civile. La loro fotografia è percorsa da molte istanze culturali, dall’Arte Concettuale innanzitutto (importante il contributo dell’artista e teorico Franco Vaccari) alla Land Art, dalla Pop Art al graphic design, alla consonanza con alcune aree della fotografia americana moderna e contemporanea, da Walker Evans a Lee Friedlander ai New Topographics, dalla quale prende spunto per un aggiornamento dei codici, che da nazionali (si pensi agli Alinari e al Touring Club Italiano) si fanno internazionali. Alle loro spalle stanno la grande esperienza del cinema neorealista, che sottolinea il senso storico dei luoghi, visti come contenitori di storie umane, la memoria della pittura metafisica, alcuni episodi del realismo pittorico tra Ottocento e Novecento, echi del Vedutismo, ma anche la fotografia di Giuseppe Pagano, Alberto Lattuada, Paolo Monti. E’ una fotografia del quotidiano, attenta agli aspetti minori del territorio antropizzato, spaesata, che esprime il disagio del momento storico in cui, dopo le tensioni utopistiche e le speranze degli anni Sessanta e Settanta, la società e la cultura italiane si avviano verso quella che è stata definita “morte delle ideologie”; una fotografia non sintonizzata sul pensiero postmoderno che ricercando, per l’ultima volta, una memoria di luoghi che intanto divengono anonimi (con gli anni Novanta insistentemente definiti non-luoghi), crede ancora nella possibilità di un rapporto affettivo con il nostro habitat ed è animata da un desiderio di appartenenza e di vicinanza al paesaggio italiano, sintesi speciale di natura e cultura, bene comune forse perduto ma, al pari della lingua, elemento fondativo dell’identità nazionale del Bel Paese.

Roberta Valtorta (Milano, 1952) è allieva della storica dell’arte Marisa Dalai Emiliani. Storico e critico della fotografia, è direttore scientifico del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo-Milano. Membro del direttivo SISF, si occupa di fotografia dal 1976.

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Ha tenuto corsi universitari a Udine, Roma, Milano e dal 1984 insegna ininterrottamente Storia e Teoria della Fotografia presso il Centro Bauer di Milano-ex Umanitaria. Studia la fotografia come espressione artistica, strumento di lettura del paesaggio contemporaneo, bene culturale. Ha curato molte mostre e pubblicato molti saggi teorici e storici. Tra le sue principali pubblicazioni: 1987-1997 Archivio dello spazio (con Achille Sacconi), Art&, Udine 1997; Pagine di fotografia italiana 1900-1998,Charta, Milano 1998; E’ contemporanea la fotografia?,Lupetti, Milano 2004; Racconti dal paesaggio. 1984-2004 A vent’anni da Viaggio in Italia, Lupetti, Milano 2004; Volti della fotografia. Scritti sulle trasformazioni di un’arte contemporanea, Skira, Milano 2005; Alterazioni. Le materie della fotografia tra analogico e digitale, Lupetti, Milano 2006; Il pensiero dei fotografi. Un percorso nella storia della fotografia dalle origini a oggi, Bruno Mondadori, Milano 2008; Fotografia e committenza pubblica. Esperienze storiche e contemporanee,Lupetti, Milano 2009; Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea, Einaudi, Torino 2013.

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William Guerrieri

Indagine territoriale e mediazione culturale nell’esperienza di Linea di Confine

La ricerca fotografica sul territorio condotta da Linea di Confine fin dai primi anni Novanta ha posto l’accento sul rapporto fra caratteri “locali”, ben radicati nella storia e nella memoria della Regione Emilia-Romagna e il forte impatto sul territorio dei processi economici. Con la sua attività ormai venticinquennale, LdC ha contribuito a esplorare, tramite una fotografia di tradizione documentaria, nuovi ambiti di ricerca, in sintonia con quanto è avvenuto a livello internazionale. Già nel 1987 Paolo Costantini aveva inivitato a considerare il fotografico “come indagine, prima ancora che come rappresentazione”. Questa prospettiva di ricerca ha favorito un aperto confronto fra le diverse generazioni di autori inivitati da Linea di Confine, fra i quali alcuni grandi protagonisti della fotografia americana ed europea, come G. Guidi, M. Schmidt, L. Baltz, S. Shore O. Barbieri, W. Niedermayr, A. Hütte, P. De Pietri, M. Signorini, A. Botto e altri.L’operato di Linea di Confine è inoltre da mettere in relazione con “le produzioni artistiche che hanno posto al centro della ricerca la riflessione sullo spazio pubblico e l’interazione con temi sociali e politici” (N. Leonardi, 2005). Far convergere la sfera pubblica dell’arte con gli interessi delle amministrazioni locali, per creare nuove esperienze per tutti coloro che a vario titolo venivano coinvolti ha significato condividere l'attitudine delle pubbliche amministrazioni emiliane, negli anni Ottanta e Novanta, ad una spiccata progettualità nel campo della cultura.Mostre curate ed organizzate da Linea di Confine come Luoghi come paesaggi (Galleria degli Uffizi, Firenze, 2000) o prodotte con opere delle sue collezioni come Trans-Emilia (Fotomuseum di Winterthur, Winterthur, 2005) e la recente TAV. Bologna-Milano (MAXXI, Roma, 2013) hanno conferito al progetto autorevolezza e notorietà. Le difficoltà che la committenza pubblica riscontra nel nostro paese a partire dalla fine degli anni Novanta, è stata determinata da vari fattori, fra i quali certamente la crisi della rappresentanza politica sul territorio e un’accelerazione dei fenomeni della globalizzazione. Tale crisi ha alimentato sul piano culturale una visione postmoderna del ruolo dell’arte e ha indebolito l’attività progettuale di Linea di Confine.Nel contesto culturale della prima metà del primo decennio del Duemila, caratterizzato dal ritorno al “reale”, si è assistito ad un fiorire di attività promosse da gruppi di autori che hanno manifestato un rinnovato interesse per le tematiche territoriali. Tuttavia questi gruppi, sorti per iniziativa spontanea, hanno operato secondo una “logica dell’emergenza”.Una nuova prospettiva di lavoro per Linea di Confine potrà essere quella di integrare l’iniziativa spontanea di questi gruppi con il tessuto di soggetti associativi, culturali e politici del territorio, con l’intento di valorizzare la specificità italiana della gestione del bene comune.

William GuerrieriVive a Modena. E’ stato ideatore con Paolo Costantini e Guido Guidi del progetto direttore di Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea (Rubiera, Reggio Emilia), di cui è direttore. Ha curato per Linea di Confine numerose mostre fra le quali Luoghi come paesaggi, Galleria degli Uffizi, Firenze (2000), Via Emilia. Fotografia, luoghi e non Luoghi 1 e 2,

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(1999-2000) e, con Tiziana Serena, l’indagine e la collana Linea veloce Bologna-Milano, (2003-2010). Come autore ha partecipato a varie esposizioni fra le quali: Venezia-Marghera. Biennale d'Arte di Venezia, (1997); Fotografia italiana per una collezione. Sandretto Re Rebaudengo, Torino (1997); Sguardi contemporanei. 50 anni di architettura italiana, (DARC/Biennale d'architettura di Venezia, (2004); Trans-Emilia, Fotomuseum Winterthur, Winterthur (CH) (2006); Il Villaggio/ The Village, Die Photographische Sammulung/Stiftung Kultur, Colonia (D), (2010-2012); TAV Bologna-Milano, Maxxi, Roma; Non basta ricordare. Collezioni Maxxi, Roma, (2013-2014). Fra i saggi pubblicati Attualità del documentario in Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea, a cura di R.Valtorta, Einaudi, Torino, 2013.

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Matteo Balduzzi

Territori artistici condivisi

Per una lunga e fortunata stagione, la fotografia di paesaggio - e la committenza pubblica che l’ha spesso sostenuta – ha rappresentato un ambito di ricerca visiva e al contempo un’occasione di dialogo culturale, di formazione di artisti e curatori, di confronto tra discipline. Se questo modello è entrato in crisi tra gli anni Novanta e gli anni Duemila, caratterizzati dall’evolversi in senso più individuale e spettacolare delle ricerche fotografiche e da una più o meno illusoria presenza nel mercato dell’arte, quali sono oggi le modalità attraverso cui la fotografia torna a indagare il territorio con rinnovato interesse?A livello di committenza, l’interesse di amministrazioni pubbliche e bandi istituzionali si è spostato su operazioni articolate, capaci di garantire un riscontro diretto sulla popolazione, di mescolare pratiche artistiche e discipline del territorio, di prefigurare un’azione concreta nei campi dell’urbanistica, dell’integrazione e della coesione sociale. Ne risultano progetti di ampio respiro che, pur con le inevitabili ambiguità, costituiscono laboratori interdisciplinari e occasioni di formazione reciproca, in una dimensione fortemente condivisa e proiettata verso l’esterno.Per quanto riguarda la progettualità degli autori, sembrano affermarsi l’auto-committenza, l’auto-produzione e una dimensione collettiva del progetto fotografico, con modalità di lavoro che si estendono all’intera filiera dell’immagine, includendo forme di attivismo assimilabili alle esperienze degli anni Settanta. Si tratta di una galassia in movimento di cui appare oggi interessante comprendere l’evoluzione, la ricerca di nuove forme di sostenibilità, la capacità di conquistare audience diverse.Entrambi i contesti, caratterizzati da una vitalità inquieta e pulsante, pongono al centro le relazioni, sempre più paritarie e trasversali, siano esse tra gli artisti stessi, con i referenti delle più diverse discipline, nella sovrapposizione di ruoli curatoriali e artistici, in una diversa e maggiore consapevolezza del ruolo del pubblico. Ne risulta una nuova attenzione verso il reale, tramite un utilizzo dialogico del mezzo fotografico che mette in secondo piano la riflessione pura sul linguaggio – come se questi fossero ormai maturi - per concentrarsi sui suoi utilizzi e sulla ridefinizione delle pratiche, in un uso più direttamente politico dell’immagine nel contesto culturale e sociale.

Matteo BalduzziArchitetto di formazione, è curatore nel campo dell’arte pubblica e della fotografia, intesa come mezzo di relazione tra le persone, l’ambiente, la memoria.Dal 2004 collabora stabilmente con il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, per cui ha curato numerosi progetti caratterizzati dal coinvolgimento dei cittadini e da un intenso dialogo con il territorio, tra cui SALVIAMO LA LUNA (2005/2007) di Jochen Gerz, THE MOBILE CITY (2008) nelle periferie di Milano e Toronto, RICORDAMI PER SEMPRE, di Marco Signorini e Giulio Mozzi (2011), ART AROUND (2011/2013) con otto giovani artisti nel Nord Milano, ZONE ARTISTICHE CONDIVISE (2014), un progetto a cavallo tra formazione giovanile e arte partecipata a Cinisello Balsamo.Ha realizzato e curato singolarmente e insieme a Stefano Laffi numerosi progetti di arte pubblica, tra cui negli ultimi anni FORESTA NASCOSTA a San Giuliano Milanese

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(2009), L'ETA' DELL'ORO, a Chiasso (2010), FORESTA BIANCA, a Rosignano Marittimo (2012/2013) e IL SABATO DEL VILLAGGIO a Cesano Maderno (2014).Ha curato mostre di fotografia in spazi pubblici, privati e indipendenti quali careof, fondazione Wurmkos, Spazio Forma e curato numerose pubblicazioni indipendenti, inserti sui media e presso editori tra i quali Electa, Quodlibet, Einaudi.

Alcuni dei temi proposti nell’intervento sono trattati nel saggio Narrazioni collettive dello spazio pubblico, pubblicato all’interno del volume “Luoghi e identità nella fotografia italiana contemporanea”, a cura di Roberta Valtorta.

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Vittoria Ciolini

Dryphoto. Leggere il territorio ed agire con i cittadini

Il rapporto con la città, la considerazione del contesto che ci circonda sono sempre stati all'attenzione del nostro operare, sia nella scelta dei fotografi che sono passati dal nostro spazio, sia attraverso la produzione di lavori di ricerca come ad esempio I luoghi del mutamento, 1988/2014 di Andrea Abati, un lavoro che inizia indagando un periodo di cambiamento della città di Prato: la distruzione di importanti opifici industriali che trasferivano la loro attività dal centro alla periferia.

A metà degli anni novanta l'interesse ai mutamenti del paesaggio contemporaneo, tipico degli autori che ruotavano intorno a Dryphoto, è diventato una modalità di lavoro non più solo dei singoli fotografi ma dello spazio stesso.

Questa modalità si è concretizzata con L’invito non è strettamente personale del 1977 a cura di Gisella Curti ed ha preso corpo e si è strutturata con Spread in Prato (2002/2006) a cura di Pier Luigi Tazzi . Per un certo periodo di tempo l'arte sotto forma di fotografia è uscita dagli spazi deputati nella ricerca di una relazione con il tessuto economico commerciale e produttivo della città ma anche con i luoghi banali vicini allo spazio e al tempo della quotidianità.Opere di artisti di fama internazionale, sono state collocate in opifici tessili, esercizi commerciali, aziende di servizi, abitazioni private, luoghi dell'intrattenimento. Un modo di leggere la città secondo percorsi trasversali che hanno offerto la possibilità di scoperte e avventure dentro il proprio stesso territorio.Diversi i presupposti dell'ultimo progetto Piazza dell'Immaginario, Prato 2014, a cura di Alba Braza.Usare le pareti degli edifici come spazio espositivo, dare un nome, un titolo, che è allo stesso tempo un toponimo e proseguire ripulendo pareti, collocando panchine, piantando dei fiori, fino ad arrivare a stabilire una comunicazione fra le persone che abitano il quartiere, superando le barriere che si sono erette nella quotidianità.

Dryphoto arte contemporanea è uno spazio no profit che opera nel settore della fotografia, fondato da Andrea Abati nel 1977. Organizza mostre, laboratori e progetti specifici avvalendosi della collaborazione di professionisti ed artisti di fama internazionale.

L’attività è caratterizzata da un forte interesse per tutte quelle modalità che nell'attuazione dei progetti implementano e valorizzano le risorse del territorio, dalla formula di affiancare a operatori e strutture di fama internazionale le risorse umane ed economiche del luogo, alla costruzione di progetti speciali legati alla realtà territoriale.

I primi anni di attività si sono caratterizzati anche per l’intensa promozione della fotografia italiana contemporanea affiancando l'attività espositiva ad una approfondita attività di formazione rivolta a specialisti e di educazione rivolta ad un pubblico più ampio.

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Pio MeledandriUn archivio nel mezzogiorno d’Italia tra università e società civile

L’esperienza nata all’interno del Dipartimento di Architettura e Urbanistica del Politecnico di Bari, sul finire degli anni ‘90, portò alla costituzione di un Fondo Fotografico intorno al quale prese corpo il Progetto di un Museo Universitario della Fotografia.Già dalla prima campagna fotografica era chiara l’intenzione di dare un indirizzo innovativo all’Archivio (che qualche storico dell’architettura identificava erroneamente come archivio della memoria) che doveva essere uno strumento utile agli studiosi per comprendere, nelle visioni degli autori, le tracce percettive di un territorio che poteva essere “altro” rispetto alle consuete testimonianze visive dei Fotografi. Infatti l’autore veniva chiamato a visitare quei luoghi oggetto di studio dei ricercatori (soprattutto urbanisti) con animo assolutamente sgombro da ogni possibile condizionamento scientifico. All’autore venivano fornite (se richieste) le informazioni storico-geografiche, ma non gli si esigeva di far parte di alcuna commissione (vedi l’esperienza di Mario Cresci per il Piano Regolatore di Matera) o gruppo di studio.Doveva essere un’interpretazione “autentica”, soggettiva e creativa per la costituzione di un archivio d’arte, non certamente memoria “del come eravamo”. La trasformazione del Territorio doveva essere la trasformazione di un linguaggio visivo.Su questi presupposti Il Museo ha visto attraversare sguardi e sensibilità affini e differenti, ricerche plasmanti che possono costituire oggi un tema per un progetto ampio e generazionale:

Tra tanti giovani che si sono aggregati nel Laboratorio di Fotografia del Museo citiamo:Giulio Spagone - uno sguardo affacciato sul reale tra lo spazio di tutti e la propria camera oscura, tavolozza di bagliori luminosi e rivelazioni di un quotidiano, di non luoghi o paesaggi intimi dell’altro umano. L'autore solleva piano la serranda per oltrepassare la scena, per guardare al di là, dove è presente il mondo.Tiziana Bellanova - sensibile al fascino delle grandi metropoli mitteleuropee è affascinata dalle contraddizioni dei resti di un impero (quello austroungarico) in cui storiche stratificazioni e tecnologie contemporanee, tendono a marginalizzare le vite. T.B. propone una sua poetica osservando, tra suoni e silenzi, confusione e vuoti le città, partendo dall’interno se non dal sottosuolo.Francesca De Santis – l’esperienza della moda la porta a guardare attraverso gli occhi di una modella ritratta di spalle che sfoggia cappelli sempre diversi. Non è una citazione fantastico/surreale, ma la misurazione del paesaggio mediante l’indossatrice alter ego. E’ l’emozione del makeup quotidiano dell’immenso beauty della città. Monica Casalino – svolge una ricerca artistica che indaga il tessuto delle relazioni attraverso il concetto di sguardo. Il suo progetto consiste nel creare un’alchimia congiunta tra gli scatti dei fotografi sopra citati e i propri, cercando nello spazio fotografato e nei margini, analogie di forma e di senso, giunzioni e confini, luoghi e prospettive condivisibili non casuale e rivelatrice di una realtà collettiva.

In continuità con l’indirizzo dato all’archivio già presente, i giovani confronteranno i loro linguaggi eleggendo affinità e divergenze, non in maniera random.

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Sarà l’immagine che diventerà garanzia dell’esistenza del reale a creare un “altro” paesaggio, altri elementi all’interno del sistema “Luoghi”, diversi da quelli riportati dalla fedele riproduzione del vero. Non è la macchina fotografica che vede per lui né la casualità determinata dall’assenza del controllo che ha caratterizzato il pensiero di alcune avanguardie del ‘900, ma le percezioni degli artisti a restituire quella che possiamo definire visione fotografica

LUIGI GHIRRI, Luigi Ghirri, Feltrinelli, Milano 1979ROBERTA VALTORTA, Volti della Fotografia, Skira, Milano 2005LUCA PANARO, Conversazioni sull’Immagine, Danilo Montanari, Ravenna 2013ROBERTA VALTORTA, Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea, Einaudi Editore 2013

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Maria Francesca Bonetti

Uno sguardo alla storia. Arte, archeologia e paesaggio nel progetto fotografico di John Henry Parker (1864-1879)

Come ormai noto, grazie ad alcuni studi apparsi già dai primi anni Ottanta del secolo scorso, e in particolare grazie al volume Un inglese a Roma 1864-1877. La raccolta Parker nell’Archivio Fotografico Comunale (Roma, 1989), la ricca serie fotografica fatta realizzare e pubblicata dall’archeologo inglese John Henry Parker tra il 1864 e il 1879, non è opera di un’unica personalità e non può essere considerata nemmeno, e soltanto, come il semplice risultato dell’attività di alcuni fotografi attivi a Roma nella seconda metà dell’Ottocento.Ideata e organizzata sistematicamente da Parker come strumento di studio, per il confronto, la visualizzazione e l’attestazione delle proprie ipotesi storiche e delle proprie ricostruzioni filologiche, questa enorme raccolta fotografica, conosciuta oggi attraverso diversi nuclei – più o meno completi – collezionati all’epoca soprattutto da istituzioni culturali, costituisce in Italia, con le sue oltre 4000 immagini, un precedente esemplare nella storia del “progetto fotografico” al servizio della ricognizione dei luoghi e della conoscenza di frammenti, manufatti, costruzioni e contesti monumentali, documentati, in questo caso, anche nella delicata fase della loro trasformazione per campagne di scavo, per interventi di conservazione o di ristrutturazione, o per interventi di carattere urbanistico. Un insieme di immagini che, al di là delle informazioni che possiamo dedurne per la ricostruzione delle vicende storico-fotografiche a Roma e in Italia nell’Ottocento, si offre come caso di studio per la specifica modalità operativa adottata nella costruzione di un repertorio fotografico peculiare. Per la sua vasta portata, la cura editoriale dei relativi cataloghi, la disponibilità all’uso di differenti interessi di studio e collezionistici, esso si presenta inoltre come un’occasione unica, nel suo genere, per una riflessione sulla formazione del concetto di “patrimonio” nel corso dell’Ottocento e sulla consapevolezza, implicita nel progetto stesso, del contributo ad esso offerto dalle potenzialità documentative della fotografia e dalla sua moderna apertura a una molteplicità di letture e descrizioni. La quantità dei soggetti raffigurati, la varietà e la ricchezza degli sguardi, la stratificazione della documentazione raccolta, l’estensione temporale del progetto stesso, oltre che la complessità e le difficoltà della gestione commerciale di questo vasto corpus fotografico (che ne hanno determinato anche la fortuna e il destino), presuppongono un’interazione tra varie personalità e diverse responsabilità: una rete di relazioni molto articolata, non sempre facilmente individuabile e univocamente riconoscibile. Rete di relazioni che costituisce, del resto, il nodo principale della problematica ricostruzione storica delle vicende legate alla serie Parker, dalla sua stessa costituzione alle sue varie e successive edizioni, dalle modalità della sua commercializzazione e divulgazione, all’identificazione dei vari autori che vi hanno contribuito, alcuni dei quali tra i maggiori protagonisti del panorama fotografico romano. La serie Parker si colloca, infatti, come al centro delle questioni che hanno caratterizzato e definito l’insieme delle relazioni produttive, commerciali ed editoriali del professionismo fotografico a Roma all’epoca del collodio, e in particolare tra la metà degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, negli anni in cui la città pontificia e il suo

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territorio andavano perdendo il fascino del loro passato irripetibile, per adeguarsi al nuovo status di capitale del Regno d’Italia.

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Clemente MarsicolaIl viaggio in Italia di Giovanni Gargiolli – le origini del gabinetto fotografico nazionale: le ragioni di una mostra

ICCD ha avviato da qualche anno un complesso lavoro di riordino, studio e valorizzazione dei propri fondi fotografici. La mostra “ Il Viaggio in Italia di Giovanni Gargiolli – le origini del Gabinetto Fotografico Nazionale 1895 – 1913” vuole indagare il fondo, costituito sia da negativi che da positivi, di produzione diretta dell’amministrazione di tutela, nel segno di una operatività che dura ininterrotta fino ad oggi. Giovanni Gargiolli è stato il fondatore e il primo direttore del GFN. La sua figura si distingue, rispetto a quella degli altri fotografi dell’epoca, per vari motivi. Il primo è che egli, laureato in matematica, pur avendo coltivato la fotografia fin da ragazzo, ha svolto a lungo tutt’altra attività, e la fotografia divenne il suo lavoro solo al compimento dei 52 anni. Il suo modo di intendere la materia è assolutamente da scienziato, da studioso di fisica ottica, da ingegnere sperimentatore, e la lettura dei suoi saggi specifici, pubblicati negli anni intorno al 1890, è illuminante in proposito.Altro motivo che fa di Gargiolli un caso particolare, è l’aver egli lavorato non come libero professionista, ma come pubblico dipendente al servizio dell’amministrazione di tutela. Le sue sono quindi fotografie di documentazione, eseguite su richiesta di archeologi e storici dell’arte, non fatte per essere vendute, ma per essere pubblicate a corredo di testi scientifici. La mostra vuole riscontrare come tali circostanze ne abbiano caratterizzato lo sguardo fotografico, al confronto con gli altri suoi contemporanei.Questa attitudine scientifica, positivista di Gargiolli trova pieno apprezzamento negli archeologi e storici dell’arte del suo tempo, che avevano la medesima attitudine allo studio analitico ed obbiettivo. Gargiolli lavora per Giacomo Boni, Adolfo Venturi, Pietro Toesca, Corrado Ricci, rispondendo pienamente alle loro esigenze. Foto rapide, esatte, contestualizzate. Foto di cantieri in corso, restauri, lavori, scavi, ritrovamenti archeologici, opere d’arte destinate alla distruzione; e poi foto d’arte minore, arredi liturgici, chiese sperdute, paesaggi segnati da binari ferroviari e linee elettriche appena posizionate. Anche la tipologia di beni culturali fatta documentare a Gargiolli è altra rispetto a quella proposta dai fotografi privati.Mutato il clima culturale, mutati di indirizzo gli studi storico-artistici, il lavoro di Gargiolli è stato definitivamente svalutato proprio quando il GFN, mutato di nome e privato della sua autonomia, è stato nel 1975 inserito nell’ICCD. Il neonato Istituto centrale non riconosceva allora al proprio patrimonio fotografico, e in particolare proprio a quello di produzione diretta, altro valore se non quello di documentazione, in supporto alla scheda di catalogo; dopo quarant’anni, per atto di giustizia e alla luce delle nuove valutazioni critiche sulla cosiddetta fotografia di documentazione, la mostra vuole rivalutarne il significato culturale, storico e autoriale, aprendosi al contributo di studiosi di varia formazione.

Clemente MarsicolaNato a Roma nel 1951 si è laureato con Giulio Carlo Argan. Dal 1977 al 1980 ha collaborato con Giuliano Briganti al catalogo della pittura italiana del seicento.Vincitore del concorso per storico dell’arte del Ministero per i Beni culturali, è stato assegnato dal 1980 al 1983 alla Soprintendenza per i beni architettonici e storico - artistici per la Puglia, dirigendone il laboratorio di restauro.

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Dal 1983 al 1994 ha lavorato all’Istituto Centrale del Restauro di Roma, insegnando Storia dell’Arte e Storia e Teoria del Restauro, e dirigendo lavori di restauro su importanti cicli pittorici.Dal 1994 lavora all’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, dove è stato nominato nel 1996 Direttore del Laboratorio per la Fotografia e il Rilievo.In questa veste ha ideato e condotto campagne fotografiche su tutto il territorio nazionale, e ha dato avvio al lavoro di catalogazione scientifica dei grandi fondi fotografici ICCD. Dal 2011 è vicedirettore ICCD.Ha pubblicato studi sullo Spadarino, sul Beccafumi, sulla pittura in Puglia nel 1400. Ha curato la mostra fotografica “ Obiettivo sul Patrimonio – centocinquanta anni di immagini dei siti Unesco Italiani” ( 2010), scritto saggi per la terza (2012) e la quarta (2014) edizione di “Memorandum – festival di fotografia storica” ( sul fondo Lattanzi e sulla storia del GFN) ed è il promotore della rete degli archivi fotografici di istituzioni culturali romane ( “ Immagini e Memoria”, atti del convegno di palazzo Barberini del dicembre 2012, con scritto sugli archivi ICCD con M.R.Palombi)E’ il curatore del catalogo della mostra “Il Viaggio in Italia di Giovanni Gargiolli – le origini del Gabinetto Fotografico Nazionale 1895-1913”, che si inaugurerà nella sede ICCD il prossimo 27 novembre.

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Lucia Miodini

Nino Migliori Crossroad Via Emilia. Topografie e sguardo bifronte

Nel 2005 la Regione Emilia-Romagna ha commissionato a Nino Migliori un'indagine sulla via Emilia, luogo d’eccezione, strada simbolo di questo territorio dal 187 a.C.. Il risultato della sua ricerca è Crossroads. Via Emilia. Passaggi & Topografie, 43 doppi scatti realizzati al centro di altrettanti incroci-chiave lungo la striscia di 252 chilometri che da Rimini porta a Piacenza. La strada è un luogo conflittuale, difficile da comprendere e, ancor più, da rappresentare. Rivolgere lo sguardo da dentro, o indirizzare la visione da fuori: la strada è per i fotografi una sfida iconografica. Sfida raccolta da Luigi Ghirri in Esplorazioni sulla via Emilia (1985) e dal gruppo di Linea di Confine, segnatamente da Guido Guidi in occasione dell’indagine Via Emilia, Fotografia Luoghi e non luoghi (1999). La visione di questa monumentale strada che orienta lo spazio che attraversa e la cui potenza generatrice è perfino superiore alle leggi della geografia ci viene restituita da Migliori attraverso una visione bifronte. L’autore rivolge alla strada uno sguardo consapevolmente storico Il suo sguardo "bifronte" indaga il problema cruciale del territorio e delle infrastrutture che lo attraversano, problema nodale per il futuro delle strategie di conservazione e di valorizzazione dei beni culturali. Crossroad Via Emilia tematizza la temporalità del paesaggio e la sua stratificata morfologia. Migliori progetta un “meccanismo” con due macchine fotografiche poste su un unico sostegno montate in verticale e puntate in direzioni opposte. Con un unico gesto l’autore realizza due scatti: uno anteriore, nella stessa direzione dello sguardo, consapevole e determinato; l’altro posteriore, inconsapevole e casuale. Il “meccanismo” è un dispositivo visivo che tematizza l’ontologica specificità della fotografia: essere un atto volontario e assieme casuale, una produzione iconica e anche una registrazione indicale. La correlazione dell’occhio con il campo visivo perde così la sua posizione centrale. Il dispositivo ideato da Migliori pone la questione irrisolta della “rappresentazione della realtà”, riflette sui modi e sui limiti della rappresentazione e sulla natura della scelta visuale dell’artista. Il “casco” che supporta le due fotocamere è un'attrezzatura concettuale che indaga la strada come luogo privilegiato dell’intreccio tra lo sguardo regolato dall’inconscio ottico e quello espresso dalla soggettività dell’autore

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Giuseppe Pavone

Sguardi sul nostro paesaggio

È un’ esperienza nata a Triggiano, un piccolo paese alle porte di Bari.L’idea di fotografare questo territorio è nata il 2006, a conclusione di “Viaggio parallelo”, un articolato progetto di ricognizione sul paesaggio costiero della nostra regione, ideato insieme a Enzo Velati.

L’indagine sul territorio va avanti da nove anni, ha per titolo “Sguardi sul nostro paesaggio” e dal 2006 al 2014 ha sviluppato una serie di tematiche che hanno indagato ed esplorato il nostro Paesaggio.Le riassumo brevemente in ordine cronologico.

“Periferie. Sguardi sul nostro paesaggio”, 2006, ha indagato sui luoghi ai margini della città e sulle problematiche relative alle zone di periferia.“Ritratto di un territorio”, 2008, ha messo in evidenza la capacità della fotografia di stabilire un rapporto intimo con i luoghi e con le persone;“Campagna e giardini”, 2009, ha posto l’attenzione su alcune aree del territorio: la campagna che circonda Triggiano, i giardini interni di alcune case del novecento e i lembi di campagna abbandonati;“Gli spazi del futuro”, 2010, ha documentato alcuni interventi urbanistici messi in atto dall’amministrazione;“Lama San Giorgio – dalla Terra al Mare”, 2011, ha posato lo sguardo sul paesaggio della “lama”, lungo il tratto che attraversa Triggiano;

“Architetture e paesaggi – omaggio a Luigi Ghirri”, 2012, ha messo in luce alcune architetture rilevanti; “Ci vediamo…….”, 2013, ha indagato sui luoghi di incontro, del tempo libero, dello sport;“Rami, foglie, radici”, 2014, ha allargato la ricerca al territorio dell’area metropolitana barese.

Tutte le edizioni hanno avuto come finalità la diffusione della cultura fotografica d’autore attraverso campagne fotografiche e laboratori didattici rivolti a giovani autori.Dal 2006 al 2014 sono stati prodotti 8 cataloghi fotografici. Autori invitati:Franco Altobelli, Nicola Amato, Alfio Cangiani, Berardo Celati, Michele Cera, Alessandro Cirillo, Angela Cioce, Stefano Di Marco, Carlo Garzia, Beppe Gernone, Cosmo Laera, Gianni Leone, Francesca Loprieno, Francesco Mezzina, Giuseppe Pavone, Michele Roberto, Roberto Salbitani, Antonio Tartaglione, Makis Vovlas, Gianni Zanni.Tutti i progetti sono stati curati da me e da Velati (organizzatore con Gianni Leone di “Viaggio in Italia” ideato da Luigi Ghirri).I cataloghi fanno parte di una collana realizzata dal “Centro Ricerche per la Fotografia Contemporanea” e sono custoditi presso la biblioteca del Comune di Triggiano e altre biblioteche italiane.

Giuseppe Pavone [Bari, 1955]

Ingegnere, si occupa di fotografia di paesaggio. Ha pubblicato diversi libri e cataloghi fotografici tra cui Ferrovieri e immagini - memorie per un futuro, Edizioni Pagina 2002; Sguardi oltre 2003; “Storia e Arte del cimitero monumentale di Bari”, Levante editori

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2003; Viaggio parallelo, Gelsorosso 2005; Lavori in corso, 2006; La luce del paesaggio, Editrice Adriatica 2011; Un racconto dei luoghi, Editrice Favia 2012.Fondatore del Centro Ricerche per la Fotografia Contemporanea, dal 2006 conduce un’organica indagine sul territorio e le sue trasformazioni, con particolare attenzione alle periferie. In questo ambito, dal 2006 al 2014, ha curato e realizzato, insieme con Enzo Velati, diverse pubblicazioni.Per l’UPI Puglia e la Cooperazione Territoriale Grecia-Italia 2007-2013, sta lavorando al progetto europeo “Bridges of history and tradition” un lavoro sulla mappaturadei ponti del sud Italia. Di tale progetto è anche coordinatore del laboratorio fotografico.

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Federico Covre

Profilo

Documentary Platorm è un archivio visivo nato nel 2010, ideato da Michele Cera e Federico Covre. Attraverso una piattaforma web vengono raccolti progetti di ricerca di fotograf che si confrontano con il territorio e la società italiana. L’intento è di costruire un atlante in cui corrispondenze visivepermettano di osservare in un quadro complessivo, come ogni contesto sia stato attraversato nel tempo dai diversi modelli insediativi, come una regione geografca è stata interpretata e riusata dalle diverse formazioni sociali, come lo sviluppo industriale abbia contribuito alle modifcazioni del territorio ecome l’industria del turismo sia il motore trainante dei futuri scenari. Parallelamente all’attività sul web, Documentary Platform è anche una casa editrice e partecipa ad esposizioni, festival e dibattiti.

La fotografa, come osservazione consapevole delle trasformazioni e come pratica difusa di appropriazione, può avere un ruolo etico e politico nell’imparare a vedere la contemporaneità.

Federico Covre (Treviso 1977)

Si laurea in architettura presso l’Università IUAV di Venezia con una tesi che prende in esame il lavoro di Bernd e Hilla Becher. Studia fotografa con Lewis Baltz, Dominique Auerbacher e Guido Guidi.La sua ricerca fotografca si occupa di paesaggio, territorio e paesaggio sociale. Il suo lavoro è stato esposto in diverse istituzioni: Linea di Confne per la Fotografa Contemporanea, Fondazione Bevilacqua La Masa, Galleria San Fedele, Maxxi Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Fondazione Studio Marangoni, Fondazione Benetton Studi Ricerche, Galleria Spazio Antonino Paraggi,Macro-Fotografa Festival Internazionale di Fotografa Roma, Casa dei Tre Oci – Fondazione Venezia, Fondazione Fabbri, SI FEST Savignano Immagini Festival.Nel 2010 con Michele Cera fonda Documentary Platform – a visual archive, un archivio visivo sull’Italia contemporanea e una casa editrice.È stato collaboratore alla didattica dal 2004 al 2011 presso la Facoltà di Design e Arti dell’Università IUAV di Venezia. contatti

www.documentaryplatform.com [email protected] Covre 3476623869

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Silvia Loddo, Cesare Fabbri

Progetto Osservatorio Fotografico

Osservatorio Fotografico è un laboratorio permanente di ricerca sulla fotografia, nato a Ravenna nel dicembre 2009, su iniziativa di Silvia Loddo, storica dell’arte, e di Cesare Fabbri, fotografo. Collabora attivamente con scuole, università e istituzioni culturali, organizzando e curando incontri, seminari e campagne fotografiche con lo scopo di costruire un archivio visivo sulla città e il territorio; per l’omonima casa editrice realizza pubblicazioni sulle ricerche fotografiche e sugli studi e le esperienze compiute. Osservatorio Fotografico non è un collettivo di artisti chiuso e definitivo, le squadre di lavoro vengono costruite di volta in volta in funzione dei progetti e coinvolgono fotografi, grafici, studiosi e professionisti della disciplina, sia ravennati che no, nel tentativo di attivare uno scambio e un confronto attivo con le altre realtà che in Italia e all’estero lavorano sulla fotografia.

Le linee di ricerca principali di Osservatorio Fotografico sono due: una pratica, che confluisce nei progetti Dove Viviamo e Saluti da Ravenna, e una teorica, che confluisce nel progetto sulla fotografia, ciclo di incontri con fotografie, professionisti e studiosi della disciplina organizzato in collaborazione con il Corso di laurea in Beni Culturali dell’Università di Bologna-Ravenna. A questi due filoni principali Osservatorio Fotografico affianca numerosi altri progetti realizzati in collaborazione con artisti e realtà culturali del territorio.

Il metodo alla base delle ricerche curate da Osservatorio Fotografico valorizza il lavoro collettivo e risponde al bisogno di arricchire l’inevitabilmente e necessariamente solitario lavoro del fotografo con un continuo confronto con altri autori, e trovare sempre nuovi stimoli nella collaborazione con artisti, scrittori, architetti e musicisti. Un elemento importante è anche la scelta di lavorare attivamente nella realtà ‘dove viviamo’, in un contesto locale periferico ma anche ricco di molti stimoli: “La provincia – diceva Luigi Ghirri – è luogo per antonomasia: mescolanza di affetto e ripulsa, luogo dove si incontrano odio e amore, il tutto e il nulla, la noia e l’eccitazione”; è nella provincia che “si fonde così in maniera inscindibile microcosmo e macrocosmo, paese ed universo”.

Silvia Loddo (Oristano, 1977)

Ha studiato alla Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna e presso il dipartimento di Storia dell’Arte dell’Università Sorbonne-Paris IV; dopo la laurea, ha frequentato la Scuola triennale di Specializzazione in Storia dell’Arte dell’Università di Siena, diplomandosi in Storia della Fotografia con Giovanna Ginex e Enrico Crispolti. Attualmente coordina il progetto di riordino della fototeca dell’ASAC, Archivio Storico delle Arti Contemporanee per la Fondazione La Biennale di Venezia. Dal 2009 collabora inoltre con scuole, musei e gallerie e in particolare con l’assessorato alla cultura del comune di Ravenna, occupandosi per l’associazione culturale Osservatorio Fotografico, dell’organizzazione e curatela di campagne fotografiche, mostre e progetti editoriali sulla fotografia.

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Dal 2010 cura e organizza, all’interno del corso di Storia della fotografia tenuto da Luigi Tomassini presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna, il ciclo di incontri sulla fotografia.Nel 2014 ha curato con Cesare Fabbri il progetto Looking On. Ha collaborato con il MAR-Museo d’Arte della Città di Ravenna per la mostra Guido Guidi, Veramente (ottobre 2014-gennaio 2015), e per lo stesso museo ha curato il catalogo e la mostra di Marcello Galvani nell’ambito del progetto Critica in Arte (novembre 2012-gennaio 2013). Ha curato inoltre le pubblicazioni A Seneghe, fotografie di Guido Guidi, versi di Mariangela Gualtieri, Seneghe, Perda Sonadora Imprentas, 2012; La figura dell’orante. Appunti per una lezione, fotografie di Guido Guidi, Edizioni del Bradipo, 2012; Pineta San Vitale, fotografie di Jonathan Frantini, Ravenna, Osservatorio Fotografico 2012; 2^D, fotografie di Cesare Fabbri, Ravenna, Longo, 2009. Ha pubblicato un contributo nel volume Inchiesta sull’Arte, a cura di Enrico Crispolti, Milano, Electa 2008; il saggio Licinio Farini. Fotografo Dilettante a Ravenna tra Ottocento e Novecento in Licinio Farini fotografo pittorialista, Ravenna, Longo, 2009; L’ombra del tempo (conversazione con Guido Guidi) e Gabriele Basilico “dancing in Emilia” nei cataloghi delle edizione 2010 e 2013 del Ravenna Festival. Da diversi anni segue attivamente le ricerche e l’attività didattica di Guido Guidi all’Isia di Urbino e all’Accademia di Belle Arti di Ravenna.

Cesare Fabbri (Ravenna, 1971)

Dopo gli studi in Urbanistica presso l’Istituto Universitario d’Architettura di Venezia, ha collaborato alla didattica di Guido Guidi prima presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna e poi alla facoltà di Design e Arti dello stesso IUAV e all’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Urbino (ISIA).Ha tenuto laboratori di fotografia in diverse scuole superiori ed attualmente insegna fotografia, con Guido Guidi, presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Nel 2004 ha vinto il premio RAM indetto dall’Associazione Mirada per il circuito GAI e la borsa di studio HERA per la fotografia; nel 2007 ha partecipato alla Biennale Internazionale di Fotografia di Stoccarda ed è stato finalista al Premio Atlante Italiano 007 Rischio Paesaggio promosso dal museo MAXXI di Roma. Nel 2009 ha partecipato alla collettiva T* sguardo sui confini dell’identità di genere, a cura di Silvia Loddo, allestita negli spazi del Teatro Rasi e della Galleria Ninapì di Ravenna. Ha pubblicato i cataloghi monografici EO, a cura di Elisa Giovannetti, Ferrara 2008 e 2^D, a cura di Silvia Loddo, Ravenna, Longo, 2009. Per Osservatorio Fotografico ha ideato e curato con Silvia Loddo il progetto Dove Viviamo, finalizzato alla costruzione di un archivio visivo sulla città di Ravenna, attraverso campagne fotografiche sul territorio affidate a giovani autori. Nel 2013 ha partecipato alla collettiva Welfare Space Emilia organizzata da Linea di Confine per la fotografia contemporanea presso la Corte Ospitale di Rubiera (RE) e al progetto LNM1O, Le Nostre Mura.10 fotografi in residenza. Laboratorio nelle Terre del Giorgione.Nel 2014 ha curato con Silvia Loddo il progetto Looking On. Collabora attivamente con le compagnie Teatro delle Albe e Orthographe.

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Antonello Frongia

Città, territorio, paesaggio: soggetti e spazi del discorso fotografico

“Paesaggio” e “territorio” sono categorie che hanno fortemente contribuito a strutturare il discorso storico-critico sulla fotografia italiana e sulla sua “identità”. Dopo avere individuato alcuni punti salienti nella genealogia di questo approccio, l’intervento propone di riconsiderare la fotografia italiana degli ultimi decenni a partire dal concetto di “città” e dalle sue numerose declinazioni (città fabbrica, post-industriale, città capitale, piccola città, città diffusa, ecc.), in una prospettiva che consenta di riattivare alcuni aspetti civili e culturali che il discorso sul “paesaggio” fotografico sembra avere progressivamente oscurato. Punto di partenza per questo recupero è un possibile “atlante” dei numerosissimi progetti fotografici che negli ultimi decenni hanno affrontato direttamente o indirettamente il fenomeno urbano in Italia: un “atlante” in grado di fornire una base documentaria per una comprensione più sistematica delle pratiche fotografiche sino ad oggi riferite ai maggiori “autori”, ma che allo stesso tempo può rivelarsi uno strumento civico utile alla conoscenza e alla memoria dei luoghi soggetti a radicali trasformazioni fisiche e sociali.

Antonello Frongia

è ricercatore in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università Roma Tre. Si occupa in particolare del ruolo delle pratiche fotografiche nei processi di modernizzazione in Europa e negli Stati Uniti tra fine Ottocento e fine Novecento. Ha curato mostre e pubblicazioni di fotografi contemporanei, tra i quali Lewis Baltz, Marina Ballo Charmet, Guido Guidi e Stephen Shore. Recentemente ha curato l’edizione italiana degli Scritti di Lewis Baltz.

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Jessica Pentangelo

Documentare il territorio della metropoli: Mimmo Jodice a Napoli tra gli anni Settanta e Ottanta

La necessità di restituire un’iconografia della città e il tentativo di comprendere complessità e peculiarità del territorio in trasformazione caratterizzano la ricerca artistica di Mimmo Jodice (Napoli, 1934). Si tratta di un lungo lavoro di osservazione e rappresentazione della metropoli napoletana che la storiografia e lo stesso fotografo hanno teso a interpretare come un’evoluzione dal reportage sociale e dalle indagini antropologiche degli anni Settanta a una ricerca più autonoma e complessa, il cui punto di svolta è solitamente identificato con la serie Vedute di Napoli del 1980. In questo progetto, abbandonati lo stile e le urgenze del reportage, l’attenzione del fotografo appare tutta rivolta all’indagine della città concreta, epurata dalla presenza umana, alla ricerca di un’immagine nuova di una Napoli silente e surreale.Analizzando gli elementi di effettiva continuità e discontinuità tra alcuni lavori realizzati da Jodice nel corso degli anni Settanta e Vedute di Napoli, il contributo propone una riflessione sul concetto di “corpus” fotografico e una verifica operativa di categorie oppositive spesso utilizzate nel discorso storico-critico, quali “documentazione/ricerca”, “città/territorio” e “società/paesaggio”.

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Giuliano Sergio

"Napoli ‘80: città sul mare con la fotografia"

Gli anni Ottanta sono stati per Napoli un decennio vitale dove la scena teatrale, artistica, musicale e cinematografica ha vissuto una stagione esuberante, nata degli stimoli del decennio precedente e ormai libera da severità concettuali e linguistiche. La ricerca fotografica ha avuto una presenza vigorosa in città, superando la stagione strumentale del reportage e della mera documentazione verso nuove modalità narrative e di ricerca artistica. All'inizio degli anni Ottanta Il ciclo di mostre curate da Cesare De Seta assieme a Mimmo Jodice invitano i fotografi più innovativi della scena internazionale a rappresentare Napoli secondo dei temi proposti: un progetto finanziato dall’Azienda autonoma di soggiorno, cura e turismo che sarà tra i modelli per la successiva committenza pubblica europea. Dal 1981 al 1985 passano a Napoli fotografi come Lee Friedlander, Luigi Ghirri, Joan Fontcuberta, Mario Cresci, Guido Guidi, Arnaud Claas, Gabriele Basilico che si misurano in un confronto serrato per offrire una rilettura dei luoghi urbani, quali sedi di memoria e di storia. Una ricerca fotografica che stringe un sodalizio con la storia dell'arte, l'architettura e l'urbanistica in linea con le ricerche statunitensi ma che la città filtra con una diversa cultura del vedere. L’intervento illustrerà questa straordinaria stagione napoletana per valutare il suo ruolo nella cultura fotografica italiana degli anni Ottanta.

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Giovanni Hänninen

cittàinattesa

testi a cura di Alberto Amoretti

Cittàinattesa è un viaggio in una città ricostruita con pezzi di Milano dimenticati. Una città dormiente, rannicchiata fra grattacieli e grandi opere. È assemblata con luoghi a volte anacronistici, che sembrano aver esaurito la loro missione. Ma anche con edifici che sarebbero ancora in grado di vivere e servire la cittadinanza. È un puzzle di spazi pubblici che ricompongono virtualmente le esigenze primarie del vivere sociale nel mondo moderno.

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Giulia Ticozzi

Progetto Exposed

Exposed è una piattaforma di ricerca visuale che si occupa di raccontare la trasformazione urbana e sociale di Milano, specialmente in seguito alla candidatura e alla selezione come città che ospiterà l’Esposizione Universale del 2015. Il progetto, indipendente e autoprodotto, nasce nel giugno 2013 dall’incontro di un gruppo di artisti, fotografi, videomaker e curatori. Gli artisti che vi partecipano fondano il loro impegno su un’auto-committenza. Exposed si propone, attraverso un approccio multimediale, di promuovere una serie di attività: dalla costruzione di un archivio di progetti, all’organizzazione di laboratori, di momenti di confronto e autoformazione, a passeggiate di gruppo nelle aree significative  della città, fino alla costruzione di una rete di professionisti o di altri gruppi interessati.Racconteremo l'esperienza della ideazione e curatela di una progettazione collettiva fondata sull'auto-committenza e sulla creazione di un network di artisti uniti dalla esigenza di osservare e raccontare Milano, verso EXPO2015.http://www.exposedproject.net/

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Giuseppe Toscano

Presentazione della mostra ‘Sant’Orsola Rivoltata’ a cura di della Fondazione Studio Marangoni

A Firenze, nel quartiere di San Lorenzo, intorno agli spazi straordinari della sua Basilica rinascimentale, possiamo incontrare una grande quantità di edifici e riferimenti storico-artistici che fanno parte del patrimonio culturale di Firenze conosciuto in tutto il mondo: la Sagrestia Vecchia, le Cappelle Medicee, la Biblioteca Medicea Laurenziana, Palazzo Medici Riccardi, il Mercato Centrale. Attraversato ogni giorno da migliaia di turisti e cittadini, centro nevralgico del sistema delle percorrenze e del commercio, San Lorenzo nasconde nella sua “pancia” l’ex convento di Sant’Orsola, un complesso in stato di abbandono che occupa un intero isolato collocato a poche centinaia di metri dal Duomo e dalla stazione di Santa Maria Novella! Qualche mese fa si è presentata l’occasione di riaprire almeno una parte degli spazi inutilizzati di Sant’Orsola, grazie ad una collaborazione della Fondazione Studio Marangoni e diverse associazioni presenti nel quartiere, che hanno dato vita a tre giorni di eventi artistici e culturali.In particolare la Fondazione Studio Marangoni ha curato un progetto di interpretazione fotografica sia dell’edificio che del quartiere, coinvolgendo un gruppo di studenti e insegnanti del corso triennale. Ognuno di loro ha pensato e poi realizzato, nel corso di quattro mesi, un progetto fotografico che riflettesse sulle problematiche del quartiere. In questo modo gli studenti hanno avuto l’occasione di mettersi alla prova su un progetto condiviso con lo scopo di indagare il territorio.Il complesso di Sant’Orsola è stato rivestito da una doppia esposizione: una riguardava mura e finestre all’esterno, l’altra ha segnato un percorso espositivo al suo interno. Fuori erano in mostra le sue ossa e dentro si incontravano le anime del quartiere.All’esterno, le grandi stampe fotografiche hanno reso l’edificio in qualche modo trasparente, mostrando una realtà sconosciuta e ad oggi ancora invisibile. Le fotografie sono state stampate come manifesti ed attaccate sulle finestre murate che facevano da cornice naturale delle opere.Dentro erano esposti i lavori realizzati in giro per il quartiere, ognuno in grado di mostrare le sue diverse realtà; si creava così un percorso di immagini che si integrava con la struttura architettonica del complesso.La sinergia tra gli studenti di fotografia della Fondazione Studio Marangoni e attori, narratori, poeti e musicisti, che compongono il tessuto sociale del quartiere, ha restituito in una visione corale fatta d’immagini parole e suoni.Per tre giorni gli abitanti e i turisti curiosi hanno abitato lo spazio in continuo divenire: hanno visitato Sant’Orsola e sperimentato quante potenzialità può avere un luogo come questo in una città che non può legare i suoi destini alla sola invadenza del commercio e del turismo di massa.In una città come Firenze, che ha deciso di investire su un’espansione a “metri cubi zero”, questo evento rappresenta, in una prospettiva più ampia, un esempio da riproporre in tutti gli spazi abbandonati che necessitano di una riappropriazione da parte della cittadinanza!

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Mariano AndreaniIl territorio della fotografia

Tra le ricerche dedicate allo studio del territorio, sembra emergere uno spazio interstiziale, un ambito di non-esclusione fra discorsi disciplinari, al quale la pratica della fotografia può avere accesso una volta che le si riconoscano condizioni di esistenza adeguate.Obiettivo comune ai lavori proposti è la ricerca di uno status per la fotografia d'autore in relazione ad altri saperi specialistici che hanno per oggetto lo studio del territorio, attraverso l'ideazione e realizzazione del progetto fotografico, inteso come verifica sul campo di presupposti teorici e metodologici in termini di costruzione della conoscenza.

Gli argomenti attinenti l'intervento saranno:- il territorio e la sua visualità: questioni teoriche e terminologiche;- l'ordine dei discorsi sul territorio e l'influenza sul pensiero della fotografia;- l'ordine dei discorsi sulla fotografia e l'influenza sul pensiero sul territorio;- la fotografia sul territorio e le politiche di gestione del territorio;- il progetto fotografico: una specificità del lavoro del fotografo e una possibilità di

studio;- il progetto fotografico fra ricerca autonoma e committenza.

1 - “Water & Asphalt.Esplorazioni sulle infrastrutture di acqua e asfalto nell'area centrale veneta” (2011)Progetto di ricerca individuale (in collaborazione con Luisa Siotto) nato in ambito accademico sotto la supervisione degli urbanisti Bernardo Secchi e Paola Viganò e di Guido Guidi.Il corpus di fotografie, realizzate lungo una sezione territoriale di circa cinquanta chilometri, a partire da tematismi geografici ambientali e infrastrutturali, è organizzato in un archivio che ne definisce alcune possibilità di lettura ed in sequenze che ne offrono alcune letture sintetiche.Già esposto e pubblicato per lo più in contesti scientifici legati agli studi territoriali, è rimasto proprietà degli autori.

2 - “Per una fenomenologia dei paesaggi ordinari delle Marche” (2009)Affidamento della progettazione e della realizzazione di una campagna fotografica complementare alla stesura del nuovo Piano Paesistico Ambientale Regionale.Gruppo di lavoro: Guido Guidi capogruppo; Mariano Andreani, Andrea Pertoldeo, Luisa Siotto collaboratori; Antonello Frongia, Paola Pellegrini, Roberto Zancan consulenti scientifici.“La finalità del progetto è quella di restituire alle popolazioni locali e ai tecnici che si occupano di paesaggio una rappresentazione significativa dei paesaggi ordinari delle Marche che aiuti a comprendere le loro caratteristiche e a definire politiche pubbliche per il loro miglioramento e qualificazione”. Conservato presso l'Osservatorio regionale del paesaggio e del territorio, P.F. Informazioni Territoriali e Beni Paesaggistici della Regione Marche.

3 - “Ritornando sull'Appennino” (2008)

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Promosso dal Servizio beni architettonici e ambientali dell’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, con la curatela di Piero Orlandi e Andrea Zanelli, “una serie di iniziative seminariali sul paesaggio e sul suo ruolo nel processo di definizione dell’identità nazionale e […] sulla responsabilità collettiva nei confronti della qualità del paesaggio costruito e sul ruolo che devono svolgere Stato, regioni ed enti locali”. Alle giornate anno partecipato fotografi e specialisti di diverse materie (architetti, urbanisti, geografi, antropologi, geologi, sociologi). Dagli esiti di questa iniziativa è nato il volume “Ritornando sull’Appennino”, che raccoglie le immagini prodotte da tredici fotografi, per descrivere il paesaggio di due comuni dell’Appennino bolognese, Camugnano e Grizzana Morandi: “tredici letture diverse di quei territori, per individuare quanto il tempo e l’uomo abbiano cambiato quei luoghi e come sia possibile salvaguardarli e valorizzarli... una sorta di sopralluogo collettivo nell’intento sia di realizzare dei foto-confronti che di documentare i nuovi scenari dei luoghi”.

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Nicola Bertasi - Levi, Roberta

MilanoCittàAperta

MilanoCittàAperta nasce con la volontà di esplorare la città e liberarne i segreti. Un progetto che parte da un'esigenza : raccontare la città per cambiarla. Il trait d'union che lega i lavori pubblicati sulla rivista non si risolve nella scelta di seguire un certo tipo di fotografia (architettura, reportage, inchiesta o altro) ma nella ricerca di una possibile narrazione visiva - deliberatamente eclettica - del territorio. Il Territorio è inteso proprio come contenitore di storie e di punti di vista. E le possibilità di delinearne confini e peculiaritàMilanoCittàAperta nasce con la volontà di esplorare la città e liberarne i segreti. Un progetto che parte da un'esigenza : raccontare la città per cambiarla. Il trait d'union che lega i lavori pubblicati sulla rivista non si risolve nella scelta di seguire un certo tipo di fotografia (architettura, reportage, inchiesta o altro) ma nella ricerca di una possibile narrazione visiva - deliberatamente eclettica - del territorio. Il Territorio è inteso proprio come contenitore di storie e di punti di vista. E le possibilità di delinearne confini e peculiarità necessita lo sforzo di considerarlo anche come spazio umano - con la sua conseguente e indispensabile componente astratta.

MilanoCittàAperta è un rivista online a cadenza trimestrale che da cinque anni racconta Milano attraverso la fotografia

Nicola Bertasi

nasce a Milano il 13 gennaio del 1983. Vive in Liguria fino ai diciassette anni. Poi ancora a Milano e adesso a Parigi. Impara a conoscere le luci e a lavorare le fotografie, in camera oscura. Fin da piccolo, affascinato dalle possibilità del racconto per immagini, sviluppa una ricerca personale che lo porta a viaggiare in Europa, Medio Oriente, Maghreb, Stati Uniti, Cuba, India. Da gennaio 2013 fa parte della Galerie BENJ, una galleria parigina dedicata alla diffusione della fotografia documentaria. Fotografo indipendente. Collabora con quotidiani e magazines internazionali. Cucina e scrive per non dimenticarsi della sua terra.

Roberta Levi

nasce a Bergamo nel 1985. Attualmente vive e lavora a Milano. Si diploma nel 2008 in Fotografia presso l'Istituto Europeo di Design e nel 2011 in Photoediting e Ricerca Fotografica presso il Centro di Formazione Professionale Riccardo Bauer. Tra il 2008 e il 2011 lavora come freelance nel campo della fotografia di still life e design. Dal 2011 continua a lavorare nel campo della fotografia occupandosi di photoediting e ricerca iconografica. Ha lavorato per Vogue Italia e attualmente collabora con Renata Ferri, photoeditor, e per il fotografo Alessandro Belgiojoso. Dall'inizio del 2013 è photoeditor per Milano Città Aperta.

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Raffaella Sacchetti

ADRIATIC COAST TO COAST - Identità e differenze del paesaggio contemporaneo

Adriatic Coast to Coast è un progetto di ricerca pluriennale a cura di Stefania Rössl, avviato dall’Università degli Studi di Bologna con l'obiettivo di indagare il litorale Adriatico nella direzione di un confronto tra realtà della costa orientale e occidentale: due sistemi lineari che manifestano, attraverso le proprie peculiarità, la pluralità di un’identità costiera più volte ricontrattata nel corso dei secoli. Il progetto, che interessa alcune aree costiere soggette a uno sviluppo turistico intensivo o interessate da trasformazioni rilevanti nel corso degli ultimi cinquant’anni, mira ad un confronto tra i paesi incrementando la circolazione di opere e artisti in una dimensione geografica transnazionale. La fotografia costituisce in tal senso uno strumento privilegiato per favorire la conoscenza e il confronto tra culture differenti.Fino ad oggi una rete di enti, istituzioni e associazioni culturali operanti nell’ambito della fotografia e dell’arte hanno manifestato un chiaro interesse per il progetto Adriatic Coast to Coast instaurando collaborazioni concrete nello specifico di precise aree di ricerca. Tra le collaborazioni in atto va citata la condivisione del bando “Creative Europe Culture” da parte di cinque partner che hanno presentato un programma biennale (2014-2016) specifico sul tema.Accanto a chi ha già aderito al progetto, sia in Italia che nell'area balcanica, la rete dei partner continua a crescere coinvolgendo nuovi partner attraverso progetti mirati e convenzioni di ricerca. La realizzazione di una piattaforma web (http://adriaticproject.net) condivisa dai differenti paesi che partecipano al progetto costituisce un riferimento indispensabile per avviare un confronto a scala vasta tra realtà geografiche lontane aprendo nuovi interrogativi sull'identità dei territori affacciati sull'Adriatico. La piattaforma web identifica non solo un archivio del contemporaneo ma anche un luogo virtuale per attivare un dialogo tra i cittadini delle diverse regioni adriatiche, uno spazio indispensabile per indirizzare le diverse campagne fotografiche.Partner allo stato attuale:Università di Bologna – Dipartimento di Architettura – Scuola di Ingegneria e Architettura (Italy), SIFEST Savignano Immagini Festival (Italy), ICS - Istituzione Cultura Savignano (Italy), Comune di Savignano sul Rubicone (Italy), Accademia Belle Arti - Ravenna (Italy), Osservatorio Fotografico - Ravenna (Italy), IUAV - University of Venice (Italy), ISIA - Urbino (Italy), Associazione Culturale LAB - Bari (Italy), Regione Emilia-Romagna (Italy), Regione Puglia (Italy), FAST - Provincia di Treviso (Italy), Circolo fotografico Cultura e Immagine (Italy), Comune di Jesolo (Italy), Landscape stories (Italy), Comune di Cervia (Italy), Comune di Ravenna (Italy), Photodays Rovinji (Croatia), Livingstone Rjieka (Croatia), Academy of Dramatic Arts - Zagreb (Croatia), Festival Fotografjie Sarajevo (Bosnia-Herzegovina), Evropski Kulturni e Tehnoloski Center Maribor (Slovenjia), Atelier Dado - National Museum of Montenegro, Cetinje (Montenegro) Polytechnic University of Tirana (Albania), Facoltà di studi turistici - Università del Litorale di Capodistria, Capodistria, Mediteranum, Ente per la rivitalizzazione della cultura mediterranea, Pirano, Galerija Photon, Ljubljana (Slovenia).

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Raffaella Sacchetti

(1973) Nata in Italia dove vive e lavora. Titolare di un assegno di ricerca dal titolo Costa Adriatica. Indagini, immagini, progetti. presso il Dipartimento di Architettura, Unibo. Laureata in Architettura presso l’Università degli Studi di Firenze. Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica, Università di Bologna. Dal 2009 al 2014 è professore a contratto presso la Scuola di Ingegneria e Architettura, Dipartimento di Architettura, Unibo. Oltre all’attività professionale e di ricerca dal 2006 collabora alle attività del LaFo Laboratorio di Fotografia del Dipartimento di Architettura, UniBo, nell’ambito di progetti fotografici volti alla ricerca sulla città e il paesaggio. Tra le altre attività ha contribuito all’organizzazione di workshop di fotografia, all’allestimento di mostre e alla cura di progetti grafici ed editing. Ha curato le mostre: Adriatic Project – Atlante.it - SI Fest #23 – 2014 e Adriatic coast to coast. Italian landscapes 01- SI Fest 22 – 2013.

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Tania Rossetto

Luoghi come paesaggi, come territori?Riflessioni geografiche sul fotografare lo spazio/nello spazio

Come ha scritto William Guerrieri nel suo efficace intervento incluso nel recente volume einaudiano Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea (2013), “negli anni Ottanta il dialogo tra la fotografia e il sistema della cultura italiana avviene soprattutto attraverso la letteratura e l’architettura”. In quel momento di svolta in cui la fotografia esce dai circoli amatoriali e professionali e comincia a guadagnare una posizione nel sistema culturale italiano, momento che coincide con la grande stagione della ‘nuova fotografia di paesaggio’, la geografia è pressoché assente, muta. Questa mancata comunicazione, che ha senza dubbio a che fare con la posizione ancillare, ampiamente marginale della geografia nel sistema culturale italiano (e che tuttavia non è solo un fatto italiano), presenta degli aspetti paradossali e stimola ad interrogarsi più in generale sul rapporto tra geografia e fotografia. La prima parte dell’intervento traccia a grandi linee il rapporto storicamente intercorso tra disciplina geografica e fotografia, punteggiando la sporadica presenza di momenti di contatto tra geografia e ricerca fotografica italiane. La recente (ri)emersione delle Geohumanities oggi alimenta una nuova fiducia nell’avvio di una relazione tra cultura fotografica e cultura geografica. Si registra, infatti, un pervasivo spatial turn nei saperi umanistici e nelle discipline e pratiche artistiche che chiama in causa la geografia non tanto quale disciplina analitico-descrittiva ma come sapere dello spazio, ragionamento teorico sulle categorie (paesaggio, luogo, territorio, ambiente) e sulle pratiche spaziali.La seconda parte dell’intervento abbozza alcuni spunti su possibili direzioni attuali del confronto geografia-fotografia, in particolare attorno alle questioni lessicali e ad un loro ‘scavalcamento’, al recente dibattito sul concetto di scala, alla recente riemersione delle correnti fenomenologiche. Si delineano inoltre alcune convergenze tra ‘dualismi’ che sembrano emergere nel panorama degli studi contemporanei sia geografici che fotografici: tra spazio dei flussi e luoghi (global sense of place), tra luogo e paesaggio (attraverso una lettura pragmatica), tra il cartografico e il figurativo (alla luce della geovisuality che caratterizza le nostre pratiche quotidiane). L’ultima parte dell’intervento accenna ad un’ulteriore convergenza: quella tra l’uso dei metodi di ricerca visuali per il lavoro sul campo, sempre più adottati dai geografi culturali (anche italiani), e le pratiche dei fotografi che ‘si fanno etnografi’.

Tania Rossetto (1973)

è professore aggregato presso il Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova dal 2006. Presso questo ateneo e presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia (dal 2006 al 2010) ha tenuto corsi di Geografia culturale. Ha pubblicato trentacinque titoli tra articoli in rivista e capitoli di libro e la monografia La Laguna di Venezia: idea e immagine. Materiali per una geografia culturale (Cafoscarina, 2009). Tra le sue recenti pubblicazioni in riviste internazionali peer-reviewed: Mapscapes on the urban surface: Notes in the Form of a Photo Essay (Istanbul, 2010), in “Cartographica”, 2013 48(4): 309-324; Theorizing Maps with

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Literature, in “Progress in Human Geography” 2014 38(4): 513-530. I suoi principali interessi di ricerca ruotano attorno al rapporto tra geografia e studi visuali e comprendendo: il ruolo della fotografia nella disciplina geografica; connessioni tra studi visuali e studi cartografici; iconografia del paesaggio (in particolare dei paesaggi veneti); uso di metodi visuali nella ricerca etnografica sul campo; aspetti geografici della cultura visuale; la dimensione visuale nell’esperienza migratoria; il visuale e il cartografico nella geografia letteraria. Ha recentemente avviato una linea di ricerca sulla rappresentazione fotografica della mappa, con un intervento dal titolo Oltre la rappresentazione, verso la pratica cartografica: mappe come oggetti nelle fotografie di Luigi Ghirri alla recente conferenza sul fotografo italiano tenutasi all’Università di Leicester, 19-21 settembre 2014.

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Enrico MenduniUniversità Roma Tre

Il fiume Po tra cinema e fotografia

Il grande fiume è stato oggetto, in particolare tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta, di un doppio sguardo: quello della fotografia e quello del cinema. Entrambi i dispositivi hanno visto nel Po un paesaggio di un’ampiezza sconosciuta all’Italia collinare, peninsulare: un paesaggio di pianure e di paludi, fra il placido Don e il Mississippi, animato dal duro lavoro dell’uomo in perpetuo movimento (barcaioli, pescatori) e in precarie condizioni di vita per la furia devastatrice che, a tratti, può manifestare il fiume. I transiti fra fotografia e cinema sono numerosi e certo lo snodo centrale è il progetto di Antonioni. Ma il ruolo dei fotografi è altrettanto incisivo, da Paul Strand a Pietro Donzelli, in una sottile dialettica che il contributo proposto vuole mettere in evidenza.

Enrico Menduni

Ha conseguito la maturità classica presso il Liceo "Marco Polo" di Venezia, sezione presso il Collegio navale "Morosini". Si è laureato in Lettere moderne all'Università di Firenze con Ernesto Ragionieri nel 1973, discutendo una tesi su "Prato dalla Rivoluzione francese all'Unità d'Italia". Ha lavorato nel mondo dell'editoria e nel dipartimento cultura della Regione Toscana. È stato iscritto al Pci dal 1968 al suo scioglimento e ha fatto parte dell’ARCI, di cui è stato presidente nazionale dal 1978 al 1983. È stato consigliere di amministrazione della RAI dal 1986 al 1993. Giornalista professionista, ha scritto articoli e saggi di cultura, comunicazione, politica e costume e ha pubblicato un romanzo, "Caro Pci", nel 1986. Ha insegnato in vari atenei, fra cui l’Università di Siena, l'Università di Roma "La Sapienza", l’Università per stranieri di Perugia e la IULM di Milano. Ha tenuto lezioni e conferenze in università europee, americane e australiane. Scrive per la radio e la televisione e collabora a documentari e film.È professore ordinario di Cinema, fotografia, televisione al DAMS dell’Università Roma Tre dove insegna Culture e Formati della Televisione e della Radio, Storia e Critica della Fotografia, Media digitali.

Pubblicazioni recenti: ”I media digitali” (2007), Roma-Bari: Laterza.”Fine delle trasmissioni? Da Pippo Baudo a YouTube” (2008), Bologna: il Mulino.”La fotografia” (2008), Bologna: il Mulino.”Televisioni” (2009), Bologna: il Mulino.“Produrre TV. Dalla ideazione alla realizzazione nell’era digitale” (2009), con Antonio Catolfi, Roma-Bari: Laterza.”Social network. Facebook, Twitter, YouTube e gli altri: relazioni sociali, estetica, emozioni” (2009), con Giacomo Nencioni e Michele Pannozzo, Milano: Mondadori Università.“Rivoluzioni digitali e nuove forme estetiche” (2011), con Vito Zagarrio, “Imago n. 3”, Roma: Bulzoni editore.”La grande accusata. La televisione nei romanzi e nel cinema” (2012), Bologna: Archetipo."Entertainment. Spettacoli, centri commerciali, talk show, parchi a tema, social network" (2013), Bologna: il Mulino.

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Simona Arilotta e Carmelo Marabello,

Il Mezzogiorno nei fototesti di “Cinema Nuovo”, fra antropologia visuale e reportage

Il dopoguerra italiano è segnato da una vasta produzione fotografica che trova nella stampa illustrata un mercato senza eguali: priva di un’adeguata circuitazione culturale, la fotografia diventa un prodotto editoriale, garantendosi, in tal senso, una fruizione altrimenti negata. Tra i principali soggetti scelti da fotografi e fotoreporter, il paesaggio meridionale diventa luogo di elezione: il sud Italia attrae l’interesse di fotografi italiani e stranieri, così come di cineasti, che osservano nel Mezzogiorno una simultanea esistenza di presente e passato, un coacervo di tempi diversi che convivono e si offrono allo sguardo e all’obiettivo fotografico, diventando una sorta di cronotopo da indagare e illustrare. La nostra proposta intende indagare questa tendenza fotografica che caratterizza il secondo dopoguerra, a partire da una modalità di restituzione che si impone all’interno della stampa illustrata: il foto-testo. In particolar modo l’analisi muoverà dai materiali pubblicati da Cinema Nuovo, dove i foto-testi si presentano come una sorta di unione tra fotografia e narrazione cinematica, tra antropologia visuale e reportage classico. Un esempio evidente di conoscenza per montaggio.

Simona Arillotta è dottoranda in culture della comunicazione, media e arti dello spettacolo, Università cattolica del Sacro Cuore, Milano Carmelo Marabello è professore associato, settore scientifico disciplinare L-art-06, cinema fotografia e televisione, presso l’Universita Iuav di Venezia, nel dipartimento di cultura del progetto. Di formazione filosofica, dottore di ricerca in antropologia, è stato autore e curatore di Fuoriorario per Rai 3 negli anni novanta, e curatore e programming director del Festival Internazionale del cinema di Taormina, dagli anni ottanta alla fine degli anni novanta. Ha insegnato cinema e antropologia presso l’università Bocconi Cleac - e Iulm di Milano, presso il Cer.Co di Bergamo, alla facoltà di architettura di Reggio Calabria. È stato ricercatore e professore aggregato al Dams di Messina dal 2009 al 2014, e, negli stessi anni, professore a contratto alla facoltà di Design e arti di Bolzano e presso l’ università di Lugano. Ha svolto attività seminariale e lezioni dottorali a Paris 3 e all’università di Yale. Tra le sue pubblicazioni più recenti “Malia. Sul paesaggio cinematografico in Sicilia, Rizzoli 2010, “Sulle tracce del vero. Cinema, antropologia, storie di foto.” Bompiani 2011. E’ autore di due film di montaggio, “Marco Melani ladro di cinema”1998, Biennale di Venezia e Festival di Rotterdam, e Dietro il paesaggio. I sopralluoghi italiani di Michelangelo Antonioni, Roberto Rossellini, Luchino visconti 2003, Rotterdam, Annecy, e di diverse installazioni -per Pitti Uomo ed Eur Moda, Natura dei teatri di parma, Triennale di milano, “Dreams”, 2004, Fortezza, Bolzano, 2009, in occasione di Labirinth :: Freiheit, Mobile Dinge, Körper zwischen den Dingen Ha firmato alcune sceneggiature di film indipendenti italiani e alcune drammaturgie e drammi radiofonici. Fa parte del comitato di redazione di Fata Morgana.

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Lorenzo Marmo

Atmosfere, progetti, esperienze: i filtri di Instagram e la fotografia di paesaggio

Nell’attuale sistema dei media si assiste, grazie alle tecnologie mobili ed in particolare ad applicazioni come Instagram, ad un’incessante proliferazione di immagini. Oltre all’evidente esplosione del selfie, la forte enfasi odierna sulla connettività investe in modo significativo anche la fotografia legata al territorio, ed il paesaggio rimane un genere fotografico di assoluta centralità (oltre 15 milioni di post sono categorizzati su Instagram come #landscape, senza contare l’utilizzo di hashtag finanche più popolari come #nature #sky #sun #beautiful #mothernature ecc.). Questo intervento si propone di indagare le peculiarità espressive di tale fotografia di paesaggio, indagandone tanto la dimensione sociale quanto le implicazioni estetiche, con particolare attenzione all’utilizzo dei filtri fotografici promosso da Instagram. Si cercherà di comprendere come il filtro fotografico possa fungere da codice formale per la comunicazione dell’esperienza, mettendo in luce la dinamica per cui l’effetto vintage del filtro da una parte diviene mezzo precipuo per l’espressione del pittoresco in versione digitale, e dall’altra garantisce una coloratura enfatica che gioca su una costruzione retorica della spontaneità. Centrale a questo proposito la riflessione sul concetto di atmosfera (si pensi al lavoro di autori come Griffero e Somaini, ma anche alla reinterpretazione di Miriam Hansen del concetto benjaminiano di aura), con cui si cercherà per l’appunto di rendere conto dell’equilibrio precario tra creatività ludica e standardizzazione che caratterizza tali album fotografici.L’intervento si propone anche di indagare quale elemento di progettualità possa esserci in questo tipo di produzione. Su Instagram sono diffusi svariati progetti collettivi, e si cercherà perciò di individuarne i caratteri salienti. Nel merito, è possibile ravvisare una tensione produttiva tra l’idea del progetto come possibilità di investigazione puntuale del territorio (si pensi a#project_smalltown o #project_decay) ed una concezione diversa, che si appella ad una struttura progettuale allo scopo di provare a organizzare e giustificare il marasma compulsivo della condivisione delle immagini. Si pensi all’ambiguità tra momento pregnante e serializzazione che anima il progetto più diffuso di Instagram, #project 365 (si richiede agli utenti di scattare e postare una fotografia ogni giorno dell’anno, e siamo ormai ben oltre i 2 milioni di post), ma che sottende parimenti anche alcuni tra gli hashtag più popolari in assoluto, quali #photooftheday, #picoftheday, #bestoftheday #instadaily. La prepotente istanza di estetizzazione della vita quotidiana che caratterizza queste iniziative sembra voler comporre tramite le immagini dei mosaici esperienziali che, pur casuali, incompleti ed effimeri, finiscono per diventare il vero paesaggio che ci circonda, il vero territorio in cui ci muoviamo

Lorenzo Marmo

ha conseguito il titolo di dottore di ricerca nel 2014 presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi Roma Tre, con una tesi sull’intreccio tra cinema, fotografia e spazio urbano nella prima metà del XX secolo. Ha pubblicato svariati saggi sul cinema noir, su Luchino Visconti ed il melodramma, sul film di guerra, sul rapporto tra cinema e spazi museali e sulla teoria dei media.

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Rinaldo Grittani

La fotografia per leggere e "intervenire" sul territorio.

Nella seconda parte del secolo scorso in Italia molti fotografi hanno realizzato progetti volti alla lettura dei luoghi, a decifrarne il senso e fornirne una interpretazione. Si tratta di progetti individuali o collettivi, derivanti da committenze pubbliche o meno. In quel periodo gli sforzi della fotografia erano rivolti ad essere riconosciuta come una disciplina autonoma e a legittimare le proprie posizioni nell'ambito del sistema dell'arte contemporanea. Una minore attenzione fu invece assegnata alla individuazione dei ruoli e delle funzioni che la fotografia poteva giocare nell'ambito delle politiche di gestione del territorio. Si ritiene che il concetto di paesaggio e le politiche per la sua tutela e valorizzazione, recentemente sostenute dalla Convenzione Europea sul Paesaggio, dischiudono ampie possibilità alla fotografia, che può essere un utile strumento non solo per la lettura e la rappresentazione del paesaggio, ma anche un mezzo per indagarlo e interpretarlo, per pensarlo e progettarlo. Uno strumento importante anche per riavvicinare gli abitanti al proprio ambiente e al proprio paesaggio quotidiano. Naturalmente ci si riferisce ad una fotografia di ricerca sociale sul paesaggio che rimanga prossima alla realtà pur conservando la sua soggettività. Che possa servirsi di approcci scientifici come, per esempio, quello della sociologia visuale senza rinunciare alla sua autorialità e creatività. Una fotografia disposta ad aprirsi e ad integrarsi con altri linguaggi, nella quale la poetica del fotografo deve considerare il contesto entro cui opera e gli obiettivi del piano / programma entro cui il "progetto fotografico" si colloca. Tali temi saranno approfonditi dal punto di vista teorico anche facendo riferimento alle esperienze di lettura dei luoghi finora realizzate dall'autore, maturate sia nell'ambito dell'arte contemporanea che della ricerca scientifica.

Rinaldo Grittani

Nasce a Bari il 20 settembre 1971, si laurea in Scienze Agrarie (Università degli Studi di Bari, luglio 1994), consegue il titolo di dottore di ricerca in “Economia agraria comparata nell’Europa orientale” (Università Cà Foscari di Venezia, febbraio 1999) e, a partire dall'aprile 2000, lavora in qualità di tecnico EP presso il Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali (DISAAT) dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, occupandosi di aspetti territoriali e socio-economici delle aree rurali, di sviluppo rurale, di rapporto città-campagna, di pianificazione del paesaggio, temi sui quali ha partecipato a progetti di ricerca e ha scritto articoli scientifici.Da qualche anno utilizza la fotografia come strumento di ricerca sul paesaggio, sia per leggere e interpretare i luoghi che per interagire con gli abitanti che li abitano. è responsabile della sezione fotografica del “Laboratorio di Ricerca Visuale sul Paesaggio”, recentemente istituito nel DISAAT. I temi oggetto di studio offrono spunti e riflessioni utili anche al percorso artistico che, avviato nel 2004 - anno della sua prima personale -, prosegue con linearità. Ha infatti all’attivo diverse mostre fotografiche, sia personali che collettive.

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Giorgio G. Negri

1. La rappresentazione del territorio rurale e del paesaggio agrario nei progetti Osserva.Te.R. e La civilta' dell'acqua di Regione Lombardia e URBIM Lombardia

A. Comprendere per intervenire: il progetto Osserva.Te.R.- Osservatorio del Territorio Rurale

Nell’ambito dell'attività di elaborazione del Piano Territoriale Regionale, Regione Lombardia in collaborazione con URBIM Lombardia -Unione Regionale Bonifiche Irrigazioni e Miglioramenti fondiari- ha dato avvio nel 1997 al progetto Osserva.Te.R. -Osservatorio del Territorio Rurale.

Osserva.Te.R. prende in esame la pianura lombarda, ormai fortemente antropizzata e altamente produttiva, ma ricca ancora di spazi agricoli, di segni e di presenze naturali e culturali di grande valore storico e identitario, che rischiano oggi di entrare definitivamente in crisi e che è necessario preservare attraverso interventi mirati. Per comprendere questo paesaggio, Osserva.Te.R. ha affidato a numerosi studiosi di varie discipline l’analisi dei suoi elementi costitutivi e ha promosso su ciascuno di essi una campagna fotografica, spesso di durata superiore all’anno.

Così Beniamino Terraneo ha rappresentato gli aspetti salienti del clima e dei suoli, Francesco Radino la rete di rogge, navigli e canali che disegna la pianura; Gabriele Basilico i manufatti, spesso di grande valenza storica e architettonica, per la difesa del suolo e dell'ambiente; Giuseppe Morandi si è soffermato sul lavoro dell’agricoltore; Mimmo Jodice ha ripreso i monumenti più antichi che segnano il territorio e danno identità ai suoi abitanti e Francesco Jodice quelli, invece, più moderni che ne stanno cambiando la fisionomia; Vincenzo Castella ha colto i colori del paesaggio; Giampiero Agostini ha svolto il suo lavoro sulle cascine e Vittore Fossati sui campi e le coltivazioni; infine Maurizio Bottini si è concentrato su un’area specifica, quella delle colline sul Garda, e Cristina Omenetto sui centri abitati.I risultati sono pubblicati in 10 volumi monografici distinti in due parti:

-la prima parte raccoglie i contributi scientifici di esperti (agronomi, geografi, socio-economisti ecc.) che affrontano la tematica trattata nel volume-la seconda presenta 100 immagini a piena pagina.Un XI volume, Lombardia: i paesaggi della pianura,( Silvana, Milano 2010), ha alla fine raccolto una scelta di testi e di immagini dai vari volumi, così da offrire una visione d'insieme del territorio esaminato.

Le immagini sono conservate negli archivi fotografici di Regione Lombardia (SIRBeC, Sistema Informativo Regionale dei Beni Culturali), di URBIM e del Museo di Fotografia Contemporanea e vengono esposte nelle mostre itineranti “I paesaggi della pianura”, (20 mostre dal 2001 al 2013) accompagnate da seminari e convegni di approfondimento sulle tematiche rappresentate.

B. Un progetto per l’UNESCO: La civiltà dell'acqua in Lombardia

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Prendendo spunto dal progetto Osserva.Te.R. nel 2013 Regione Lombardia e URBIM hanno dato avvio al Progetto "La civiltà dell'acqua in Lombardia" per inserire nel Patrimonio mondiale UNESCO quegli elementi costruiti nei secoli dall'uomo per la difesa del territorio, l'irrigazione delle campagne e la salvaguardia dell'ambiente. L'obbiettivo è quello di rappresentare e far conoscere il sistema delle acque lombarde e come l'uso e il governo delle acque siano alla base dello sviluppo socio-economico e territoriale della Lombardia. Non solo pertanto i siti proposti (manufatti di bonifica e di irrigazione, fontanili e canali) ma anche quei fattori che concorrono a costituirli (la molteplicità di fiumi e di laghi che fanno della Lombardia una "regione d'acqua", le marcite che ne derivano, le oasi naturalistiche ecc.) e quegli aspetti ed edifici culturali e storico-architettonici a cui essi stessi a loro volta hanno dato vita: musei, abbazie, industrie, ville, castelli... Il progetto, in corso, si basa, insieme ad analisi e studi tecnici e socio-economici, su una serie di rilevazioni fotografiche organizzate in 7 sezioni in relazione ai temi proposti e di una conseguente mostra di fotografia itinerante.Giorgio G. Negri – (segue, pag. 2) 1. Una regione di laghi, di fiumi e di canali Carlo Meazza2. Le opere per la difesa del territorio e per l'irrigazione Gabriele Basilico*3. Fontanili oasi e marcite Vittore Fossati4. Navigli rogge e canali Gianni Berengo Gardin5. Segni e iconemi della civiltà d'acqua Mimmo Jodice*6. Musei e case dell'acqua Francesco Radino7. I paesaggi della bonifica Claudio Sabatino* fotografie dal progetto Osserva.Te.R.

C. IL RISO: territorio-cultura-lavoroPromoriso – Associazione per la promozione e la valorizzazione del riso- con il supporto della Fondazione della Banca Popolare di Novara per il Territorio e con la partecipazione e patrocinio degli enti interessati (Regione Piemonte, Province di Vercelli e Novara, Ente Nazionale Risi, Consorzi di bonifica e irrigazione Ovest Sesia, Est Sesia, Baraggia, Valle del Ticino, Villoresi) hanno attuato negli anni 2005-2007 il progetto IL RISO: territorio-cultura-lavoro. I territori oggetto di indagine sono stati in un primo momento quelli delle province di Vercelli, Novara, Pavia e Milano. Successivamente, l’indagine fotografica è stata ampliata alle province di Mantova, Verona e Ferrara.

Il progetto si è articolato in cinque distinti momenti:a) L’ attuazione di un’ampia campagna fotografica per rappresentare i territori e i

paesaggi risicoli, le manifestazioni artistiche e i monumenti che più li caratterizzano, le modalità e i sistemi di lavoro, affidata a tre fotografi (Mario Finotti, Vittore Fossati, Francesco Radino)

b) La costituzione, con le immagini raccolte, di un archivio fotografico che consta attualmente di 330 immagini

c) La pubblicazione del volume Il riso: territorio-cultura-lavoro, (Diabasis, Reggio Emilia 2007), che raccoglie un centinaio di fotografie degli autori e di un depliant illustrativo a larga diffusione.

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d) La predisposizione del DVD “La buona terra dove cresce il riso”, a cura di Francesco Radino

e) L’attuazione di numerose mostre di fotografia in varie località

Giorgio Negri 29/01/1943Ha lavorato in Regione Lombardia e in ERSAL - Ente regionale per lo sviluppo agricolo della Lombardia, occupandosi di programmazione agro-forestale e di problematiche legate alla montagna. Dal 1999 direttore di URBIM Lombardia - Unione Regionale Bonifica Irrigazioni e Miglioramenti Fondiari, dove segue i problemi relativi alle risorse idriche e al territorio di pianura.E' stato coordinatore di numerosi progetti tra cui: - “Osserva.Te.R. – Osservatorio del Territorio Rurale”- “Acqua-Uomo-Terra” , collana di studi sulla pianura irrigua- “ViATer - Vie d'acqua e di terra”, per la costruzione di percorsi ciclo-pedonali e lo studio dei caratteri

ambientali, ecologici e paesaggistici dei canali irrigui- “IRALCI – Studio sui criteri guida ecologici e paesaggistici”- “Acqua - Agricoltura - Ambiente: un progetto per la scuola”

Ha curato la pubblicazione di alcuni libri di fotografia, tra cui, oltre ai 10 volumi del progetto OsservaTeR (cfr. scheda)1. Merisio Luca - Pepi, Vita della montagna Lombarda, Ferrari, Clusone 19952. Pellegrino Michele, Una traccia nel tempo, Blu ed., Peveragno 1999.3. Terraneo Beniamino, Paesaggi d’acqua nell’Est Ticino Villoresi, (con G. Scimè), Guerini e Associati,

Milano 1997.4. AA.VV., Le acque lombarde e le opere dell’uomo, (con G. Lucchelli ), Sometti, Mantova 2008

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Luca Andreoni, Alessandro OttengaDal genius loci ai luoghi del Genio. Evoluzione di un approccio

Luca Andreoni inizia a fotografare negli anni Ottanta, nel periodo in cui studia architettura allo IUAV di Venezia. Compie un percorso di formazione solitario, fortemente influenzato dalla fotografia di paesaggio americana, quella di Robert Adams, Lewis Baltz, Stephen Shore. All’inizio degli anni novanta entra in contatto con personalità rilevanti del mondo della fotografia italiana, tra cui Guido Guidi, Giovanni Chiaramonte e Vittore Fossati. Nel 1995 Roberta Valtorta lo coinvolge in due diverse campagne di Archivio dello Spazio, vasto progetto di indagine fotografica avviato nel 1984 dalla Provincia di Milano. La seconda campagna alla quale partecipa, nel 1997 (che è anche quella che chiude l’esperienza di Archivio dello Spazio) sancisce l’inizio della collaborazione con Antonio Fortugno, destinata a durare fino al 2006. Il percorso artistico di Luca Andreoni - dal periodo del duo Andreoni_Fortugno fino alle fasi più recenti - è sempre stato segnato da una forte progettualità, relativa sia ai singoli lavori che alla loro progressione: un percorso di costruzione coerente e sistematico che si è sviluppato anno dopo anno per evoluzioni successive. L’evoluzione del lavoro di Luca Andreoni è anche fortemente legata a un progressivo mutare delle condizioni di produzione delle ricerche, segnate in sostanza dal passaggio dalla committenza pubblica, che aveva profonde radici nella cultura architettonica, ai progressivi riconoscimenti rivolti alla fotografia dal mondo dell’arte, nelle sue molteplici accezioni (museali, commerciali, collezionistiche e così via). Si tratta di un passaggio cruciale avvenuto a cavallo del nuovo secolo, che ha prodotto fortissime trasformazioni nell’approccio degli autori – che ormai a vario titolo si autodefiniscono artisti – alla realizzazione di progetti (siano questi commissionati o, più spesso, autoprodotti) e che per le più giovani generazioni è ormai un dato di fatto consolidato.In questo senso, con l'obiettivo specifico di accompagnare i giovani studenti delle scuole di fotografia e delle accademie nel complesso passaggio alla realtà autorale/professionale, nel 2008 è nato in Valle d’Aosta Open your mountains, un progetto di committenza artistica sostenuto dall'Associazione Mountain Photo Festival con il contributo della Fondazione CRT.In termini generali, Open your mountains (www.openyourmountains.com) è un progetto che intende valorizzare l’importanza dello sguardo dei giovani nella riflessione sul “luogo” Montagna, inteso come complesso e problematico spazio fisico, sociale e culturale contemporaneo. In concreto, Open your mountains ospita ogni anno dieci giovani studenti selezionati tra alcune delle più importanti scuole di fotografia e accademie italiane, indirizzando la loro riflessione e produzione verso una nuova definizione di lettura visiva della montagna e sostenendo la produzione di lavori fortemente site specific che vengono esposti l’anno successivo in una mostra collettiva organizzata in Valle d’Aosta.Il progetto mette a disposizione dei partecipanti un periodo di residenza seguito da circa un anno di tempo per completare il proprio lavoro. A partire da una collocazione fisica di volta in volta ben precisa nel territorio valdostano – che corrisponde alle scelte riguardo ai temi che il progetto intende esplorare – viene lasciata la più ampia libertà artistica ai giovani autori di realizzare i propri progetti.Il progetto si è occupato a oggi di alcuni temi cruciali che riguardano il territorio alpino: con cadenza tematica biennale, si sono indagati i temi della desertificazione e delle abitudini urbane in montagna (Courmayeur, 2008, Cervinia, 2009), della presenza e dell’influsso della storia nel territorio (Colle del Gran San Bernardo, 2010, Colle del Piccolo San Bernardo, 2011) e del problema costituito dalla relazione che abbiamo con la natura (Parco Naturale del Mont-Avic, 2012, Parco Nazionale del Gran Paradiso, 2013).

Luca AndreoniTra gli autori più attivi della fotografia italiana contemporanea, Luca Andreoni (1961), è cresciuto all’interno della fotografia italiana di paesaggio, maturando nel tempo una fotografia caratterizzata da forti valenze simboliche, coniugate attraverso ricerche formali e poetiche di particolare intensità e rigore espressivo. Un percorso attento e severo, riconosciuto da prestigiose realtà della fotografia e dell’arte contemporanea, che lo hanno chiamato a

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partecipare a importanti mostre e pubblicazioni. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private.All’attività artistica e professionale affianca una intensa attività d’insegnamento, presso istituzioni quali l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo (dal 2013), NABA, Milano (dal 2009), l’Università Cattolica di Milano (dal 1990), e per altre istituzioni quali l’Accademia di Belle Arti di Bologna (2012) Fondazione Fotografia di Modena (2011-2014) e Fondazione Forma per la Fotografia (2009).

Alessandro OttengaAlessandro Ottenga (1974) dal 2006 è Amministratore della ago consulting s.a.s., società che assicura la fornitura di servizi integrati di consulenza nell'ambito dei fondi strutturali europei. Esperto nella gestione dei principali strumenti di programmazione europea (Europa Creativa, Horizon 2020, Life, Obiettivo Cooperazione, Leader +, Fondo Sociale Europeo, ecc.), attualmente opera come project manager nel management culturale, ovvero nella progettazione e nella gestione di progetti culturali autonomi oppure per conto di enti pubblici, privati e aziende.Dal 2008 è presidente dell'Associazione Mountain Photo Festival, all'interno della quale ha ideato e coordinato numerosi progetti culturali, tra cui il Mountain Photo Festival, la Mountain Photo School e, assieme a Luca Andreoni, la residenza d'artista Open your Mountains.Dal 2010, inoltre, insegna Fotografia e progettazione presso il Master in Fotografia e Visual design di NABA Milano e presso lo IED di Torino, dove è anche responsabile dei progetti di tesi.

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Tiziana Serena

Il fascino della catastrofe: la Società Fotografica Italiana e Il terremoto di Messina e Reggio

Il terremoto del 28 dicembre 1908 che colpì - facendole in massima parte crollare - le città di Messina e Reggio Calabria, assieme a centri minori, ebbe nella stampa nazionale un'eco enorme grazie anche all'uso di immagini e fotografie che per la prima ebbe fu sistematico e numericamente così rilevante.L'intervento si concentra su un volume fotografico edito in quattro lingue, di 437 pagine, prodotto dalla Società Fotografica Italiana (SFI) che dal 1889, aveva sede a Firenze. La SFI aveva indetto un concorso nazionale per illustrare con diapositive e fotografie le conferenze pubbliche in città, indirizzate a un ampio pubblico a scopo informativo e per raccogliere fondi, ma il concorso non ebbe l'esito sperato perché nelle immagini pervenute non si vedevano che irriconoscibili luoghi e indistinte masse di macerie. La rappresentazione della catastrofe non aveva evidentemente ancora trovato il proprio registro narrativo specifico nella fotografia, eppure si presentava come uno spettacolo della furia della natura. Delusa dai risultati ottenuti, la SFI inviò un gruppo di suoi fotografi scelti: educati ai precetti di un pittorialismo tutto italiano, per la prima volta si trovarono di fronte alla necessità di creare 'documenti' fotografici esteticamente non ingenui e scorretti come le fotografie che venivano giudicate dai colti foto-amatori realizzate dai primi fotografi-giornalisti. Così che le nuove fotografie realizzate dagli uomini SIF delle macerie e dei luoghi terremotati vennero accolte con favore dagli addetti ai lavori, per la loro bellezza e composizione, e al contempo riscossero successo anche dall'ambiente scientifico degli studi sismologici e geografici. Il loro 'stile' era nuovo, quasi retoricamente asciutto e anticipava un cambiamento sia nel modo di guardare il territorio urbano ferito sia intendere il ruolo della fotografia nella società.

Tiziana Serena

è professore associato in Storia della fotografia all'Università di Firenze e dal 2011 ha ricoperto il ruolo di vice-presidente della SISF. Fra le ultime pubblicazioni: Photo archives and the Idea of Nation, a cura di C. Caraffa/ T. Serena, Berlin / Boston, De Gruyter, 2015.

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Monica Maffioli

Drammaturgia dell’Immagine: Interno Perduto – L’immanenza del Terremoto di Giovanni Chiaramonte

Un avvenimento imprevedibile come il terremoto che ha sconvolto il 20 maggio 2012 il territorio e il paesaggio emiliano della pianura padana ha rappresentato per Giovanni Chiaramonte un evento catartico, la presa d’atto di un dramma difronte al quale tuttavia egli compie una vitale riappropriazione intellettuale e affettiva del suo lungo rapporto di amicizia e condivisione dell’atto del fotografare avuto con Luigi Ghirri.Dalla consapevolezza di una ‘perdita’ definitiva, sancita dal terremoto, della poetica presente in gran parte del lavoro di Ghirri dedicato ai luoghi, agli edifici e alle atmosfere della campagna emiliana, Chiaramonte ripercorre quegli spazi devastati mettendo in scena la drammaturgia di quell’evento nella rappresentazione degli edifici, i grandi casolari e le chiese: immagini che rimandano a un’imponderabile presenza spirituale, nel caso di Chiaramonte spiegabile attraverso le ragioni teologiche, ma altrettanto coinvolgente alla luce del sentire laico. Una presenza spirituale che egli trova nell’unità del paesaggio generato in secoli di edificazione e di custodia e di cui egli riconosce l’esistenza obbiettiva difronte a se.In Chiaramonte vi è la consapevolezza che la drammaturgia greca e la liturgia cristiana sono il luogo d’origine della visione occidentale e della fotografia e le sue immagini mostrano il costante riferimento nella rappresentazione del paesaggio della ricerca umanistica di un centro, la necessità di trovare un equilibrio anche di fronte all’apparente perdita d’identità che il paesaggio e le sue forme architettoniche hanno subito in conseguenza del terremoto. Visioni non solo di rovina ma anche di silenzi e di spazi dove non si riconosce la devastazione ma, come suggerisce il titolo del lavoro di Chiaramonte, L’ Immanenza del terremoto, il tentativo di mettere in scena “l’impensabile evento” che è il terremoto allorchè giunge a stravolgere ciò che fino ad un attimo prima era il perdurare nella quotidianità della pace dei luoghi della provincia emiliana. Questo lavoro fotografico, considerato come forse uno dei più importanti dell’attività fotografica di Chiaramonte, sarà presentato nella sua completezza e offrirà l’occasione di una proposta di lettura attraverso quei codici formali e teorici che contraddistinguono il lungo impegno fotografico dell’autore.

Monica Maffioli

Laureata nel 1984 in Lettere, indirizzo Storia dell’Arte, all’Università degli Studi di Firenze, nel 1986, presso la stessa Università ha conseguito il diploma di perfezionamento in Storia dell’Arte medioevale e Moderna e nel 1992 ha concluso il suo Dottorato di ricerca in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica della Facoltà di Architettura di Firenze, discutendo la prima tesi a livello nazionale dedicata alla storia della fotografia: “Fotografia e architettura del XIX secolo in Italia. La documentazione delle opere realizzate tra il 1800 e il 1911”.Dal gennaio 1998 al settembre 2014 è stata prima dirigente della Fratelli Alinari S.p.A. con il ruolo di curatrice del Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari e di responsabile degli Archivi, delle Collezioni, della Biblioteca e del Laboratorio di

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restauro della fotografia e dal gennaio 2006 direttore scientifico della Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografia oltre che del MNAF. Museo Nazionale Alinari della Fotografia. Si è occupata in particolare del coordinamento scientifico, editoriale ed espositivo dei progetti storico-fotografici realizzati dalla Fondazione e in alcuni casi ne è stata anche la curatrice scientifica. Si interessa in particolare di storia della fotografia del XIX secolo in Italia e dei rapporti tra la fotografia e le altre arti visive tra XIX e XX secolo, sul tema ha curato in particolare due mostre con i relativi cataloghi: I Macchiaioli e la fotografia (2008) e Ri-conoscere Michelangelo. La scultura del Buonarroti nella fotografia e nella pittura dall’Ottocento a oggi (2014).Dal 2008 è membro del Consiglio Direttivo della SISF. Società Italiana per lo Studio della Fotografia.

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Raffaella Biscioni

I progetti di rilevazione fotografica dei danni di guerra durante la prima guerra mondiale

La Grande guerra ha rappresentato un momento cruciale per lo sviluppo e la cultura della società occidentale determinando profondi mutamenti a livello di immaginario e producendo una forte spinta alla cosiddetta “modernizzazione”.Il carattere tecnologico del conflitto, caratterizzato dall’impiego di armi di inedita capacità distruttiva, ha influito non solo nello sviluppo della guerra stessa ma anche, come è ovvio, nell’impatto che essa ebbe sui territori che la ospitarono.L’intervento prende in considerazione la rappresentazione fotografica dei danni al territorio italiano durante la prima guerra mondiale, facendo riferimento ai repertori fotografici prodotti dall’esercito italiano e alla loro diffusione sui principali periodici illustrati. Come è facile immaginare, il tema del territorio - occupato, offeso, rivendicato, difeso o perduto che fosse - è stato spesso al centro dell’interesse non solo dei governi e delle gerarchie militari ma anche dell’opinione pubblica che chiedeva informazioni e seguiva le vicende belliche con apprensione.La fotografia rivestì un ruolo di primo piano in questo contesto grazie alla sua diffusione capillare su stampa illustrata, cartoline e monografie. A riprova della grande importanza del mezzo fotografico, si calcola che durante i quattro anni del conflitto, il reparto foto-cinematografico dell’esercito produsse circa 80.000 immagini, di cui una parte fu destinata alla stampa. In tale produzione il tema delle rovine e dei danni al territorio prese un certo spazio: si trattò di una documentazione necessaria non solo a documentare e serbare memoria degli effetti deleteri del conflitto ma usata anche per sostenere retoriche belliche e propagandistiche (secondo un modello ampiamente condiviso a livello internazionale). Per questa ragione, sebbene fossero organizzate secondo un registro strettamente documentario e spesso carenti su un piano qualitativo, tali immagini ebbero una forte pregnanza a livello di immaginario sociale. Le rovine del fronte isontino unite alle immagini dei bombardamenti ai tesori d’arte di Venezia, Ravenna, Ancona - cui si aggiungevano quelle del fronte occidentale, Reims e Louvain in primis - , produssero una vasta eco nella popolazione “dimostrando” la barbarie del nemico e legittimando, di contro, l’esercito italiano che si poneva come difensore non solo della propria nazione ma della civiltà.

Raffaella Biscioni

  è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Beni Culturali dell' Università di Bologna - sede di Ravenna. Si è occupata principalmente di tematiche legate allo studio della fotografia come strumento di propaganda e documentazione in particolare durante i conflitti mondiali e il periodo della ricostruzione post-bellica.

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Alessandra Chemollo, Roberto Sartor

Progetto Confotografia, 55 fotografi all'Aquila

A quattro anni dal sisma che il 6 aprile 2009 ha colpito l’Aquila e il suo territorio, CONFOTOGRAFIA ha proposto la sperimentazione di un metodo di indagine del territorio basato sullo scambio di conoscenze tra fotografi e cittadini.Dopo l'evento sismico del 6 aprile 2009, i progetti conseguenti all'emergenza hanno scomposto gli equilibri esistenti: edifici da demolire e nuove realizzazioni convivono senza un ordine, in virtù di deroghe normative che hanno consentito di edificare in luoghi dove prima non si poteva.iniziativa, nasce quindi dalla volontà di produrre un corpus di figure del territorio esterno al centro storico, per indagare le conseguenze che irradiano dall'inabilità del centro ad una più ampia scala territoriale.Il "caso L'Aquila" chiarisce il senso e l'urgenza dei principi fondativi della Convenzione Europea dl Paesaggio, che impegna a "riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità".Oltre cinquanta fotografi, tra il 20 e il 26 settembre 2013 sono stati ospiti di un laboratorio residenziale a L’Aquila. Un primo sopralluogo collettivo, un seminario con esperti di varie discipline, e poi ogni fotografo associato ad una “guida” locale: un cittadino aquilano disponibile a introdurre il fotografo alla sua conoscenza quotidiana e ravvicinata del territorio.CONFOTOGRAFIA nasce come esigenza di confronto tra fotografi che intendono attivare insieme un processo di osservazione del territorio che risulti utile alla città e che possa fornire elementi per ripensare e vedere L’Aquila con nuovi occhi.

Il coordinamento del progetto:

Alessandra Chemollo, Antonio Di Cecco, Roberto Sartor, Irene Valenti

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Gianpaolo Arena, Marina Caneve

CALAMITA/À

Il progetto CALAMITA/À nasce come progetto site specific sui territori del Vajont a 50 anni dalla tragedia, è uno strumento d’indagine territoriale che attraverso una ricerca programmata, vuole approfondire i muta- menti in corso, generare dibattito, rivelare criticità, attirare interesse e conoscenza attorno a un luogo nodale ancora in via di defnizione.Morfologia del territorio, orografa, infrastrutture, architettura, contesto sociale sono solo alcuni degli ambiti di analisi.Arte, sociologia, urbanistica e fotografa concorrono alla defnizione dell’identità del territorio con un ap- proccio multidisciplinare aperto.Attraverso una pluralità di visioni CALAMITA/À mira a far sì che il territorio preso in esame diventi un laboratorio e un luogo d’osservazione privilegiato.

Alle osservazioni site specifc sul territorio preso in esame si affancano progetti collaterali ed approfmenti legati a tematiche affni quali trasformaizone della mofologia montana, infrastrutture, energia, trasformazio- ni urbane e traumi-disastri.A cura di Gianpaolo Arena e Marina Caneve.

Gianpaolo Arena

Co-founder e curatore.Nasce il 4 marzo 1975. Vive e lavora a Treviso, in Italia. Architetto e fotografo. Affanca la professione di fotografo all’insegnamento e a progetti di ricerca personali sulle tematiche ambientali e sociali. L’interesse verso la rappresentazione architettonica ha orientato la sua attenzione verso la fotografa di architettura, il paesaggio urbano, le relazioni sulle molteplici identità che appartengono e caratterizzano luoghi e persone. Una parte importante della sua ricerca fotografca si sviluppa sul paesaggio modifcato nelle diverse realtà aziendali, nei siti industriali e nel mondo del lavoro. Editore di Landscape Stories, un magazine di fotografa contemporanea dedicato alla presentazione di storie e progetti fotografci. Curatore di Undercover su Urba- nautica. Dal 2013 curatore del progetto CALAMITA/À, una piattaforma di indagini e ricerche sui territori del Vajont.www.gianpaoloarena.com

Marina Caneve

Co-founder e curatrice.Attualmente vive in Svizzera.Fotografa proveniente da una formazione classica e dal mondo dell’architettura.Allieva di Guido Guidi, si laurea in architettura presso l’università IUAV di Venezia nel 2013 con una tesi realizzata a Parigi riguardante la conoscenza veicolata dalla fotografa dal titolo ”Un chilometro senza conf- ni. La fotografa ed il progetto in un intervento di remodelage urbano”, recentemente pubblicata in Re-cycle a cura di Sara Marini e Vincenza Santangelo.

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Ha studiato fotografa con Guido Guidi, Raimond Wouda, Valerio Spada, Cuny Janssen, Francesco Jodice e Mark Steinmetz.Collabora con Landscape Stories realizzando interviste a fotograf contemporanei. Dal 2013 curatrice del progetto CALAMITA/À, una piattaforma di indagini e ricerche sui territori del Vajont. www.marinacaneve.com

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Andrea Botto

"KA-BOOM. L'esplosione del paesaggio"

E' possibile fotografare una trasformazione del paesaggio, il più delle volte non così evidente, nel momento stesso in cui sta accadendo?Nella mia carriera mi sono confrontato più volte con demolizioni, frane, terremoti, eccidi fino ad arrivare alle esplosioni. Eventi limitati nel tempo, anche se catastrofici,che sono sempre dei punti di passaggio tra un prima e un dopo. La fotografia rappresenta per me una sezione, uno spaccato in un punto preciso della storia, che ne può mettere a nudo le stratificazioni. Qualcuno ha definito l'artista come un sismografo, ma a volte mi sento più un rabdomante, che sa dov’è l’acqua (la fotografia) attraverso le vibrazioni del cavalletto e, allo stesso tempo, un geoarcheologo, che non guarda più soltanto a ciò che sta all’altezza dei propri occhi, ma anche sotto i suoi piedi.Credo alla fotografia come strumento di analisi e riflessione sulle cose, da cui però non mi aspetto mai delle risposte. Compito del fotografo non è a mio avviso fornire certezze, ma sollevare dubbi.

Andrea Botto

 nasce a Rapallo (GE) nel 1973, dove vive e lavora. Attento alle contaminazioni con i diversi linguaggi dell’arte contemporanea, la sua ricerca si concentra sull’estetica della distruzione, attraverso i segni della natura e dell’uomo nel paesaggio. Dal 1999 espone il proprio lavoro in Italia e all'estero, ottenendo importanti riconoscimenti. Attivo animatore del dibattito teorico e culturale sull'immagine contemporanea, ha curato vari progetti espositivi ed editoriali, sia personali, sia di altri autori internazionali e tiene abitualmente seminari e workshop in musei ed istituzioni. Ha insegnato all’Istituto Europeo di Design di Torino dal 2003 al 2014, è ideatore della rassegna Rapallo Fotografia Contemporanea ed è tra i membri fondatori del collettivo artistico Fotoromanzo Italiano. Sue opere sono conservate in collezioni pubbliche e private.

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