Post on 18-Feb-2019
a Milano
DOMENICA 9 OTTOBREore 10.30 -12
PASSEGGIATA AL PARCO SEMPIONE“ per la salute dell’osso ”
Incontro alle ore 10 al “Ponte delle Sirenette” (vicino al laghetto,
lato Bar Bianco) per una camminata nel parco insieme ai medici e
ai volontari LIOS (che saranno lieti di rispondere alle vostre
domande o dubbi sull’osteoporosi).
Ricordati... a tutte le età, camminare è tutta salute
per l’osso !!!
______________________________________________________ n. 35 settembre 2011 (*)
DIVERSI TIPI DIOSTEOPOROSIDi osteoporosi si parla sempre di più, e tutti ormai sappiamo
che cos’è: una severa e progressiva perdita di minerali (sali di
calcio) dallo scheletro, che porta a un indebolimento
strutturale dell’osso e a un aumentato rischio di fratture.
Però, come sempre accade in medicina, con il tempo si è capito che la semplice definizione “osteoporosi” non è più sufficiente,
perché di osteoporosi ne esistono tipi diversi, che richiedono un atteggiamento diverso sia da parte del paziente che del medico.
Per prima cosa dobbiamo distinguere le osteoporosi primitive da quelle secondarie: cioè le forme di osteoporosi che si
manifestano “in modo indipendente”, da sole, e quelle che invece si sviluppano come conseguenza di altre malattie, o del loro
trattamento con farmaci dannosi per l’osso.
Fra le osteoporosi primitive le più comuni sono
l’osteoporosi post-menopausale (che colpisce le donne
dopo la menopausa) e l’osteoporosi senile (che colpisce
donne e uomini di età avanzata). Ma ne esistono anche
forme più rare, determinate da particolari caratteristiche
o anomalie genetiche (quindi già presenti alla nascita,
anche se spesso si manifestano apertamente qualche
tempo dopo), come ad esempio le varie forme di
osteogenesi imperfetta.
Fra le osteoporosi secondarie possiamo ricordare quelle
che derivano da malattie croniche intestinali (es.
celiachia, morbo di Crohn, colite ulcerosa), anoressia
nervosa, malattie endocrine (iperparatiroidismo primario
o secondario, ipertiroidismo, iperprolattinemia, morbo
di Cushing, ipogonadismi, ecc.), malattie autoimmuni
(artrite reumatoide), malattie ematologiche (leucemie,
talassemie), malattie renali o epatiche (insufficienza
renale cronica, sindrome nefrosica, epatiti croniche),
malattie genetiche (fibrosi cistica, distrofie muscolari),
trapianti, o condizioni di immobilizzazione protratta
(paralisi cerebrale). Queste malattie possono causare
osteoporosi attraverso diversi meccanismi: p.es. carenza
di calcio o vitamina D, mancata attivazione epatica o renale della vitamina D, scarsa attività fisica, ecc. Come abbiamo accennato
sopra, anche l’uso cronico di certi farmaci (corticosteroidi, antiepilettici, eparina, ecc.) può determinare lo sviluppo di osteoporosi.
Un punto importante è che le osteoporosi secondarie devono in primo luogo essere affrontate, quando è possibile, attraverso la
terapia della malattia primitiva (p.es. dieta priva di glutine nella celiachia). Infatti, in particolare nelle persone giovani, la cura
della malattia primitiva può portare direttamente al miglioramento o addirittura alla risoluzione dell’osteoporosi, senza necessità
di ricorrere a farmaci specifici.
20 ottobre 2011
XVI GIORNATA MONDIALE contro l’osteoporosi
NON MOLLARE L’OSSO !
(*) Tutti i numeri arretrati di “ Notizie LIOS” sono disponibili in PDF alla pagina “Pubblicazioni” sul sito http://www.lios.it
1
L’IMPORTANZA DELL’ATTIVITÀ FISICA
Dovremmo ormai saperlo tutti benissimo. Il nostro corpo
è fatto per essere attivo, per muoversi, per “lavorare”, e
non per stare in poltrona a guardare la TV o dietro una
scrivania a scrivere al computer. Il mondo attuale ci ha
portati a uno stile di vita estremamente innaturale, in cui
la maggior parte dei “lavori” è svolto da macchine.
Anche per fare 100 metri andiamo in macchina, per
salire due piani usiamo l’ascensore, per lavare la
biancheria usiamo la lavatrice. Persino molti lavori da
“operaio” o da “agricoltore” ormai sono svolti da
macchine.
Purtroppo, noi possiamo mantenere in forma il nostro
corpo (a partire dal cuore, dai polmoni e dai vasi
sanguigni, che sono la chiave per la salute di tutti gli
organi) solo con un regolare lavoro muscolare
“aerobico”, che stimola e aiuta la circolazione del
sangue (arricchendo tutti i tessuti di ossigeno), e che dà
anche all’osso continui segnali “meccanici” (la tensione
impressa sull’osso dalla contrazione muscolare) per
mantenersi in forma. Chi è stato sempre attivo, chi prova
piacere nel muoversi e quindi lo fa con naturalezza e
senza sforzo, in media vive più a lungo e in miglior salute
di chi è pigro e sedentario.
Un’attività fisica moderata ma fregolare, a partire da
qualche bella camminata di buon passo, senza fermarsi
continuamente a guardare le vetrine, è utile e può essere
fatta a tutte le età. Cominciando magari a usare un po’
di più le gambe (o la bicicletta) e un po’ meno la
macchina.
L’attività fisica è importante a tutte le età, anche se il
periodo in cui è veramente fondamentale per costruire un
futuro “sano” sono l’infanzia e l’adolescenza. I bambini
e i giovani devono fare movimento il più possibile,
giocare all’aria aperta, fare sport. Detto tra parentesi –
ma oggi è un problema sempre più grave – l’attività fisica
è anche il modo migliore per evitare l’obesità, che ormai
spessissimo colpisce anche i bambini, fra merendine,
patatine fritte, videogiochi e TV.
Dopo una certa età, ovviamente, specie se si ricomincia
a essere attivi dopo un periodo di forzata inattività,
occorrono per prima cosa moderazione e gradualità.
Non si deve partire subito in quarta.
Ma l’ideale, ovviamente, è fare dell’attività fisica un
programma quotidiano, uno stile di vita. Tutto il corpo,
e non solo l’osso, ne risentirà positivamente.
OSTEOPOROSI MASCHILENel mondo della ricerca, l’osteoporosi maschile è ormai riconosciuta come problema non meno importante di quella femminile,
ma purtroppo non riceve ancora la giusta attenzione. Per capirla, bisogna in primo luogo sapere che in maschi e femmine lo
sviluppo dello scheletro avviene in modo diverso. La crescita dei maschi durante l’adolescenza è lievemente ritardata rispetto a
quella delle femmine, cosicché la massima velocità di crescita della
“massa ossea” è intorno ai 16 anni nelle femmine e ai 18 anni nei
maschi. Inoltre, a parità di taglia corporea, i maschi sviluppano ossa
più “grosse” delle femmine, e questo potrebbe spiegare almeno in
parte perché, nell’età avanzata, i maschi hanno meno fratture. Parte
della differenza può essere dovuta all’azione degli androgeni
(testosterone), e parte alla maggior forza muscolare e alla maggiore
attività fisica dei ragazzi rispetto alle ragazze.
Con il passare degli anni, non solo nelle donne ma anche negli
uomini la struttura dell’osso si modifica e compare una lenta perdita
di osso trabecolare (in particolare nei corpi vertebrali e nel collo del
femore) che si fa più evidente dopo i 60-65 anni, anche se gli
uomini non subiscono quella fase di perdita accelerata che nelle
donne accompagna la comparsa della menopausa.
L’osteoporosi maschile è spesso determinata da più fattori che
agiscono insieme. Nella maggioranza dei casi si tratta di osteoporosi
secondarie (vedi pag. 1), legate quindi alla presenza di malattie. Tra
queste sono relativamente frequenti l’ipogonadismo (carenza di
ormoni sessuali maschili), l’abuso di alcool o tabacco, o l’uso a
lungo termine di farmaci dannosi per l’osso (come i corticosteroidi
o gli antiepilettici). In molti casi, tuttavia, non esiste nessuna causa
particolare, e quindi l’osteoporosi si può considerare primitiva
(“idiopatica giovanile”, cioè di origine non identificabile, se si tratta
di giovani; “senile” se si tratta di anziani). Purtroppo ancora oggi,
quando si tratta di uomini, i medici sono molto meno attenti alla
valutazione dei fattori di rischio per l’osteoporosi.
La prevenzione dell’osteoporosi, anche per gli uomini, ha i soliti tre
cardini: regolare attività fisica (vivace da giovani, moderata da
anziani), alimentazione contenente la giusta quantità di calcio (vedi
http://www.lios.it/scheletro/pagina.asp?cap=2&pag=1#calcio per
la tabella dei fabbisogni nelle varie età), vita all’aria aperta e sole
sulla pelle per sintetizzare vitamina D. Se necessario, su consiglio
del medico, si possono usare supplementi di calcio e/o vitamina D.
Anche negli uomini, come nelle donne, la diagnosi dell’osteoporosi
si fa con la mineralometria ossea (MOC).
Anche la terapia dell’osteoporosi è la stessa negli uomini e nelle
donna (a parte i farmaci come gli estrogeni e i SERM, che
riguardano solo le donne, e a parte le indicazioni legate
all’approvazione “ufficiale” dei vari farmaci, che per esempio
possono riservarne l’uso alle sole “donne in menopausa”).
Per quanto riguarda le fratture, a parte l’adolescenza e la
giovinezza, in cui gli uomini vanno più spesso delle donne incontro
a fratture (soprattutto delle ossa lunghe) a causa della maggiore
attività fisica e del maggior rischio di traumi, nell’età avanzata gli
uomini hanno un rischio più basso. Più precisamente, l’aumento del
rischio di fratture avviene con un ritardo di 5-10 anni negli uomini
rispetto alle donne. E questo fatto, unito alla più lunga
sopravvivenza delle donne, fa sì che – globalmente – gli uomini
abbiano un minor numero di fratture delle donne: su 100 fratture di
femore, solo 20-25 avvengono negli uomini, contro 75-80 nelle
donne. Le conseguenze delle fratture di femore, però, sono spesso
più gravi negli uomini: disabilità e perdita di autosufficienza sono
più frequenti, e anche il rischio di morte dopo la frattura è più alto.
Ricordiamo anche che nell’età avanzata, le cadute sono una delle principali cause di fratture sia negli uomini che nelle donne.
Conseguentemente, il rischio di cadere – che è legato sia all’età che allo stato generale di efficienza fisica – è un fattore importante
nel determinare il rischio di fratture in entrambi i sessi, e la prevenzione delle cadute è importantissima.
2
LE PAROLE DELLA MEDICINA
ALLERGIA Termine generico che indica una reazione
“esagerata” del sistema immunitario (il principale sistema di
difesa dell’organismo dai “nemici esterni”) al contatto con una
sostanza estranea (allergene) a cui si è diventati anormalmente
“sensibili”. Le allergie sono anche dette “reazioni da
ipersensibilità”. In parole semplici, il contatto con l’allergene
determina una reazione più o meno immediata, più o meno
violenta, più o meno generalizzata, più o meno grave, che può
evidenziarsi con diversi segni e sintomi, tra cui prurito, eruzioni
cutanee (rash), dermatite “da contatto”, orticaria, congiuntivite,
rinite allergica (“raffreddore da fieno”), polmonite allergica,
asma, angioedema (gonfiore delle labbra, della lingua, della
gola), ecc.
DIAGNOSI Il processo attraverso cui il medico - attraverso
l’analisi dei segni e dei sintomi - identifica la malattia da cui
una persona è affetta. Bisogna essere consapevoli che la
classificazione delle malattie è in continua evoluzione. P.es. la
diagnosi “epatite”, che una volta si fermava qui, oggi ha tutta
una serie di precisazioni (p.es. “epatite virale di tipo B”, “epatite
cronica autoimmune”, ecc.). La corretta diagnosi è
importantissima sia per la terapia che per la prognosi.
PROGNOSI La valutazione dell’evoluzione, della durata e
dell’esito di una malattia, fatta in base all’esperienza e ai dati
della ricerca medica. P.es. la prognosi dell’influenza è una
durata di 5-7 giorni e un’evoluzione benigna (salvo
complicazioni).
SEGNO Una manifestazione oggettivamente rilevabile di una
malattia: p.es. la febbre, la comparsa di un “rash cutaneo”,
l’alterazione di un esame strumentale (es. ECG, MOC) o di
laboratorio.
SINTOMO Una manifestazione avvertita soggettivamente dal
paziente: p.es. il dolore, il prurito, un “giramento di testa”, un
“fischio nell’orecchio”.
SINDROME Associazione caratteristica di segni e sintomi che
si presentano insieme, e che può guidare il medico verso la
diagnosi di una malattia. P.es. la comparsa improvvisa di febbre
alta, malessere generale, cefalea, dolori ossei e articolari è
definita “sindrome influenzale” perché è caratteristica
dell’influenza e altre infezioni virali simili. Alcune malattie,
caratterizzate da una particolare combinazione di segni e
sintomi, sono esse stesse definite come “sindromi” (p.es.
sinfrome nefrosica, sindrome da immunodeficienza acquisita,
sindrome di Marfan).
OSTEOPOROSI GIOVANILILe forme giovanili di osteoporosi possono anch’esse essere primitive o secondarie. Fra le prime, la forma più comune è senz’altro
l’osteogenesi imperfetta, una malattia genetica che determina anormale fragilità ossea con fratture ripetute (ne esistono diversi “tipi”
di diversa gravità). Un’altra osteoporosi primitiva, caratteristica ma piuttosto rara, è l’osteoporosi idiopatica giovanile, che si
manifesta nei bambini durante la crescita con fratture ripetute, e che in genere si risolve spontaneamente nell’adolescenza. Altre
forme primitive di osteoporosi sono caratteristiche di varie malattie genetiche (sindrome di Marfan, omocistinuria). Le osteoporosi
secondarie si osservano invece, come negli adulti, in un ampio spettro ampio di malattie, e spesso sono legate all’uso di farmaci
necessari, ma tossici per l’osso (vedi pag. 1).
Oggi assistiamo a un notevole aumento dei casi di
osteoporosi giovanile, soprattutto delle forme secondarie
legate a certe malattie croniche in cui, grazie all’efficacia
delle nuove terapie, la sopravvivenza dei malati è
enormemente aumentata. Per esempio, anche malattie
genetiche gravi come la fibrosi cistica o la distrofia muscolare
di Duchenne, in cui una volta si moriva prima dei vent’anni,
oggi permettono nella maggioranza dei casi di arrivare all’età
adulta. Il lato negativo di questo successo è che con il tempo,
anche come effetto collaterale delle cure (in particolare
dell’uso cronico di corticosteroidi), possono comparire
osteoporosi e fratture.
Un problema ancora da risolvere è che ancora oggi, in molti
casi, ci si accontenta di curare con successo la malattia
primitiva, e non si dà sufficiente peso al rischio di sviluppare
un’osteoporosi secondaria. Per questo succede ancora troppo
spesso che i giovani malati arrivino all’attenzione degli
specialisti di malattie del metabolismo osseo solo dopo che
hanno già avuto fratture. Invece, diversi studi hanno
evidenziato che anche in queste malattie un’efficace
prevenzione dell’osteoporosi è possibile, in particolare
assicurandosi che i malati assumano la giusta quantità di
calcio, ricevano adeguati supplementi di vitamina D e che,
nei limiti permessi dalla malattia, svolgano una regolare
attività fisica.
In ogni caso, anche nelle fasi avanzate, quando si sono già
verificate fratture, è possibile intervenire con prudenza con
una terapia specifica per l’osso (bisfosfonati). Per esempio, i
bisfosfonati (in genere pamidronato endovena a cicli) hanno
radicalmente cambiato il decorso di moltissimi casi di
osteogenesi imperfetta:malati che una volta avrebbero avuto
la vita rovinata da fratture continue per ogni piccolo trauma
– con tutte le conseguenze di immobilizzazione, dipendenza
e dolore – oggi grazie al pamidronato possono avere una vita
praticamente normale.
Bisogna infine ricordare che la diagnosi di “osteoporosi” nei
bambini e negli adolescenti è molto più difficile che negli
adulti, e che la terapia deve essere prescritta e seguita solo da
specialisti esperti di osteoporosi giovanili. È essenziale quindi
che i medici, di fronte a giovani pazienti in cui sospettano
un’anormale fragilità ossea (per esempio perché hanno avuto
una frattura per una banale caduta o un trauma insignificante,
o perché improvvisamente è comparso un forte e
ingiustificato “mal di schiena”) li inviino presso un centro
specialistico in cui lavorano esperti di malattie ossee
giovanili. Come sempre, un intervento precoce può evitare
danni maggiori in futuro, per esempio riducendo di molto il
rischio di ulteriori fratture.
In conclusione, nel caso di giovani pazienti affetti da malattie
che possono provocare osteoporosi secondarie, sia i medici
di famiglia che i centri ospedalieri specializzati che li hanno in cura devono essere consapevoli di questa possibile complicanza,
e devono chiedere per tempo – possibilmente prima che si manifestino fratture – il consiglio e la collaborazione di colleghi esperti
di osteoporosi giovanili.
3
LE PAROLE DELLA MEDICINA
RASH CUTANEO Eruzione cutanea, ovvero cambiamento
del colore e/o aspetto della pelle, localizzato o generalizzato,
a volte accompagnato da prurito o sensazione di calore. Si
può presentare con eritema (=arrossamento), cioè comparsa
di macchie rosse di varia dimensione, da molto piccole a molto
grandi, che si sbiancano con la pressione; oppure con
rigonfiamenti localizzati (pomfi), vescicole (piccole cavità
superficiali contenenti liquido chiaro), bolle (come le vescicole,
ma più grandi), emorragie cutanee (macchie rosse più o meno
grandi che non si sbiancano con la pressione). Manifestazioni
rare ma particolarmente gravi sono la sindrome di Stevens-
Johnson, la necrolisi epidermica tossica, e la cosiddetta
“DRESS”. I rash cutanei possono essere dovuti a fenomeni di
ipersensibilità (allergie), infezioni (es. morbillo, scarlattina),
stimoli fisici o chimici di varia natura (p.es. sostanze irritanti,
radiazioni solari, sfregamento dei vestiti).
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Preghiamo tutti quelli che apprezzano il lavoro della LIOS e che possono farlo di inviarci ogni tanto un piccolo contributo sul
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REAZIONI AVVERSE DA FARMACIÈ di questi giorni l’ennesimo allarme di TV e giornali per un possibile grave effetto collaterale (reazioni allergiche potenzialmente
mortali) di un farmaco di uso comune (in questo caso, il ranelato di stronzio), e dato che abbiamo ricevuto diverse telefonate in
proposito, ci sembra importante mettere questi allarmi nella giusta prospettiva.
I farmaci sono sostanze chimiche (naturali come morfina o penicillina, artificiali come paracetamolo o alendronato) che in qualche
modo vanno a “interferire” con il funzionamento del nostro organismo o con quello degli agenti infettivi (batteri, funghi, virus)
che possono aggredirlo. Ovviamente ci si aspetta che questa interferenza sia positiva, cioè rimetta a posto qualcosa che non
funziona o “uccida il microbo nemico”. Se i farmaci non facessero questo non potrebbero agire in nessun modo contro le malattie.
Purtroppo, come è intuitivo, la enorme complessità dell’organismo umano, e la enorme variabilità delle persone (siamo tutti simili,
ma mai “identici”) fa sì che tutti i farmaci possano avere degli effetti indesiderati o delle reazioni avverse, che si verificano solo
in alcuni soggetti, ma che a volte possono essere gravi. Ovviamente, gli studi clinici fatti prima di rendere disponibile un farmaco
devono verificare non solo che esso sia “efficace”, ma anche che il rischio di effetti collaterali e reazioni avverse sia “accettabile”.
E questo sia come frequenza che come gravità, tenendo conto della gravità della malattia da trattare (p.es. è accettabile che un
farmaco efficace contro il cancro possa avere maggiori rischi
di uno contro il mal di testa).
Purtroppo non esiste nessun farmaco totalmente esente da
rischi. Per capirlo, basta leggere il foglietto illustrativo di
qualunque farmaco (anche vendibile senza ricetta medica)
che abbiamo in casa. I farmaci sono utili, a volte
indispensabili, a volte addirittura “salvavita”, ma bisogna
usarli con intelligenza e prudenza. In ogni caso, i farmaci più
“pericolosi” e più difficili da usare possono essere
somministrati solo in ospedale. Se un farmaco è in vendita in
farmacia, vuol dire che le reazioni davvero gravi sono molto
rare. Insomma, dobbiamo essere informati, ma non
dobbiamo avere paure ingiustificate. È un po’ come il fatto di
andare in macchina: la possibilità di avere incidenti non deve
impedirci di usare la macchina, ma solo invitarci a usarla,
appunto, con intelligenza e prudenza.
In conclusione, queste sono le cose da tenere presenti:
1. Usare i farmaci solo quando sono davvero necessari, e
sempre su consiglio (o con l’accordo) del medico. Mai perché
ce li consiglia un parente o un conoscente. Mai solo perché
“ci fa sentire meglio” l’idea di prendere un farmaco.
2. La legge, giustamente, richiede che il paziente sia
consapevole dei possibili rischi, e per questo il foglietto di
accompagnamento dei farmaci deve descriverli con completezza e precisione, ed è importante leggerlo sempre. Se qualcosa ci
preoccupa o ci lascia in dubbio, chiediamo chiarimenti al medico.
3. Ci sono reazioni avverse che compaiono alla prima o alle prime assunzioni (p.es. la maggioranza dei casi di allergia) e altre
che invece possono manifestarsi tardivamente, anche dopo mesi o anni. Se, prendendo un farmaco, ci sembra che ci succeda
qualcosa di anormale, parliamone con il medico. Nella maggioranza dei casi scopriremo che quello che è successo non è dovuto
al farmaco, ma è giusto essere prudenti.
4. Fra le reazioni avverse da non trascurare ci sono in particolare le reazioni allergiche, che in genere si manifestano con “rash
cutaneo” (vedi riquadro) o anche con improvviso gonfiore (angioedema) delle labbra, della lingua, della gola, fino ad avere
difficoltà a deglutire o a respirare. In caso di reazione allergica non si devono prendere ulteriori dosi del farmaco e se la situazione
appare seria, è meglio recarsi senza perdere tempo al pronto soccorso.
5. Se un farmaco ha dato una volta una reazione avversa (in particolare se di tipo allergico), occorre prenderne nota e ricordarsi
di dirlo sempre ai medici. Come regola generale, un farmaco che ha dato una reazione allergica non dovrà più essere usato.
La Lega Italiana Osteoporosi conserva i dati anagrafici da Lei forniti solo al fine di inviarLe periodicamente materiale informativo sulle attivitàdell’Associazione. Ai sensi della legge 196/2003, Lei ha il diritto di chiedere alla LIOS la correzione o la cancellazione di tali dati.
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