Post on 26-Jul-2020
1
Da Wikipedia: “la geopolitica è la disciplina che studia i rapporti, le influenze e le limitazioni dei fattori geografici, fisici e umani sulla politica, cioè su comportamenti, decisioni e azioni dei vari attori geopolitici, siano essi gli Stati, le entità sovra o subnazionali, o anche le grandi imprese industriali e commerciali”. Ne deriva che la geopolitica si occupa di ciò che capita nel mondo, dell’attualità. Poiché sono convinto che nessuno può avere informazioni sicure su quel che sta capitando e ancor meno sulle ragioni di questi fatti, ritengo più utile e prudente parlarvi di cosa è accaduto in passato: sul passato le informazioni e i dati sono maggiori (oltre ai fatti capitati si conoscono anche le loro conseguenze) e, soprattutto, sono più affidabili in quanto meno inquinati dagli interessi degli attori. Ecco perché ciò di cui vi parlerò ha più a che fare con la storia economica, disciplina che, per vari aspetti, può comunque essere considerata una geopolitica rivolta al passato. La storia economica, come tutta la Storia, si occupa del passato, e il passato va dall’antichità più remota a ieri sera. Qui cercherò di darvi un’idea di come si viveva nel passato e dei motivi che, nello spazio dell’ultima decina di generazioni, hanno trasformato totalmente la vita del genere umano, rendendoci assai più gradevole la serata di ieri rispetto a quelle vissute dei nostri avi.
anno 1700 1870 (L) 1935 (L) 1955 (L) 1975 (L) 1995 (L) 2015 (€) paga netta giornata
operaio 1 1,3 12 1.000 6.000 45.000 40
costo totale giornata operaio
1 1,3 15 1.300 9.000 85.000 80
prezzo 100 kg grano (media)
25 28 110 6.000 11.000 31.000 14
prezzo 1 kg pane (media)
0,4 1,75 150 500 3.500 2,9
kg pane x giorno di paga
3,2 6,9 6,7 12,0 12,9 13,8
giorni paga x acq.100 kg grano
25,0 21,5 9,2 6,0 1,8 0,7 0,4
prezzo al minuto pane / prezzo all'ingr. grano
1,4 1,5 1,6 2,5 4,5 11 21
prezzo 100 kg ferro (media) 900 13 84 5.000 12.000 27.000 20
giorni paga x acq. 100 kg ferro
900 10 7 5 2,0 0,6 0,5
prezzo auto (Balilla, 600, 127, 500,. Panda)
11.500 600.000 1.500.000 11.000.000 9.000
giorni paga x acq. auto
958 600 250 244 225
automobili x 1.000 abitanti
6 25 260 520 615
prezzo frigo (180 litri)
139.000 150.000 425.000 239
giorni paga per acq. frigo
139 25 9 6
% famiglie con frigorifero
10% 93% 100% 100%
% famiglie con lavatrice
3% 76% 100% 100%
% famiglie con televisore
1% 94% 100% 100%
P.I.L. Italia (miliardi di € 2015)
42 153 196 709 1300 1628
abitanti Italia (milioni)
13 27 42 48,5 55,3 57,2 60,8
P.I.L. procapite Italia (€ 2015)
1.556 3.643 4.041 12.821 22.727 26.776
Debito pubblico/PIL
90% 75% 35% 55% 117% 133%
speranza di vita alla nascita
28 40 61 69 73 78 82,5
mortalità infantile (nei primi 5 anni su 1000
nati) 425 350 150 60 23 7,2 3,9
Principali fonti utilizzate: ISTAT: L'Italia in 150 anni; Paolo Malanima: Prezzi e salari; Melograni-Ricossa: Le rivoluzioni del benessere; Michael Postan: Storia economica d’Europa; Sergio Ricossa: Storia della fatica.
2
Sopravviventi su 1.000 nati Ripartizione spesa per consumi (famiglia di lavoratore dipendente non agricolo)
Fonte: Ulpiano Graunt Duvillard ISTAT ISTAT ISTAT
An
ni d
i e
tà
III
seco
lo
XV
II
seco
lo
XV
III
seco
lo
19
01
19
11
19
65
20
11
Gra
n B
reta
gna
17
94
Gra
n B
reta
gna
19
64
Italia
19
65
Italia
20
15
Fonti: Stigler e Burnett per G.B; ISTAT per IT.
1 670 770 965
5 450 640 959 997 74% 45% 33% 18% Cibo
10 430 710 957 996 5% 10% 7% 4% Abbigliamento
15 400 400 955 995 6% 11% 12% 35%
Affitto
20 370 500 690 952 994 5% 4% 6% Combustibile e luce
25 330 250 947 993 10% 30% 42% 43% Altri consumi
30 300 640 943 992 100% 100% 100% 100% Totale
35 260 160 936 989
40 220 370 600 929 986
45 180 100 913 982
50 140 540 897 974
55 100 60 860 962
60 70 210 450 822 943
65 40 30 735 912
70 10 300 654 866
75 3 10 489 793
80 0 0 35 100 357 683
85 0 0 10 188 509
90 67 288
95 102
100 18
105 1
↑
Qui sopra la fig.1 in appendice di “Storia della fatica” (Popolazione e salari medi reali dal 1250 al 1970)
Il confronto fra il tenore di vita in anni lontani fra loro, qualunque sia la mole di dati disponibili, risulta ardito e
pericoloso, ancor più se si tratta di anni ricadenti negli ultimi due secoli: l’accelerazione del mutamento impressa alla vita
quotidiana dalla rivoluzione industriale fa sì che, a distanza anche solo di pochi decenni, non abbia più molto senso
confrontare il potere d’acquisto degli stipendi o d’altri prezzi. Ciò perché, ad esempio, la Fiat Balilla del 1935 non è
paragonabile con la Fiat Panda attuale: sono, infatti, beni completamente diversi, li accomuna solo il numero di ruote e
poco altro, tant’è che oggi un’auto con la stessa funzionalità della Balilla resterebbe invenduta anche se il suo prezzo
fosse di soli 1.000 €.
Calcolare, perciò, che gli stipendi medio-bassi di oggi hanno un potere di acquisto, in termini di automobili, di quattro
volte superiore a quelli analoghi di 80 anni fa (in quanto nel 1935 occorrevano circa 32 stipendi per un’utilitaria mentre oggi ne bastano 8) è
fuorviante: con quel calcolo l’incremento “reale” del potere di acquisto è fortemente sottovalutato, e la stessa cosa può
dirsi in riferimento a quasi tutti i beni, alimentari compresi (perfino la qualità del cibo è migliorata rispetto al passato, e
non solo in termini di salubrità).
Ma anche senza tener conto di questo effetto di “sottovalutazione”, il miglioramento delle condizioni di vita sperimentato
negli ultimi due secoli che appare dai dati delle precedenti tabelle risulta comunque strepitoso, e ancor più se si considera
la sostanziale stazionarietà dei precedenti secoli (e millenni). Poche affermazioni sono incontestabili come quella
secondo cui “nessuna rivoluzione è stata così drammaticamente rivoluzionaria come la Rivoluzione Industriale” (Carlo M.
Cipolla, Storia Economica dell’Europa pre-industriale); ed è pure corretto dire che “le scatolette di conserva e il frigorifero hanno
fatto nella vita dell’uomo una rivoluzione tale che quella di Lenin è come giocare alla lippa” (Vittorio G. Rossi, Calme di luglio).
3
Per cogliere meglio la straordinarietà del periodo storico iniziato verso la fine del 1700 e che tutt’ora coinvolge in pieno il
genere umano è necessario essere consapevoli di quanto prima fossero lentissimi i cambiamenti, in modo da recepire
chiaramente che la grande sorpresa degli ultimi due secoli è la crescita economica. Prima, semplicemente, non c'era.
In tutti i secoli precedenti il XIX, in tutti i millenni precedenti, in tutti i paesi del mondo, qualunque fosse la loro
organizzazione sociale, in qualsiasi vicende politiche e belliche fossero coinvolti, la storia dei popoli è la storia della
miseria e delle sue costanti compagne, la sofferenza e la morte. Sarebbe bene che i testi scolastici di Storia questo lo
sottolineassero, prima di dilungarsi sui trattati di Verdun, di Vestfalia, di Vienna o di Versailles (per limitarmi alla V).
Ma come può la ricchezza, intesa come disponibilità di beni atti a soddisfare direttamente (i beni di consumo) o indirettamente (i beni
di produzione) i bisogni umani, aumentare nel tempo? Vediamolo in 10 punti.
1) La Natura e i suoi doni c’entrano ben poco:
nel passato i “doni” della natura erano quelli di oggi (anzi,
se diamo credito all’affermazione secondo cui l’uomo starebbe sempre più
danneggiando l’ambiente, ne segue che un tempo la Natura, ancora
incontaminata, doveva elargire doni ancor più belli e copiosi di oggi),
eppure nella preistoria, per decine di migliaia di anni,
prima del neolitico (cioè prima che l’uomo da cacciatore e nomade si
trasformasse in agricoltore e sedentario), quella che è in realtà un’avara
matrigna permetteva di vivere a non più di 5 milioni di
umani in tutto il mondo. Solo con con la “Rivoluzione
Agricola” (quando l’uomo, disboscando, seminando e scavando canali ha
cominciato timidamente a modificare l’ambiente cessando di solo subire la
natura) la popolazione mondiale ha preso ad aumentare e,
dopo qualche migliaio di anni d’agricoltura, nel 1.000
a.C. si stima che sulla Terra riuscissero a vivere da 50 o
100 milioni di persone; ci vollero poi 25 secoli per
riuscire a sopravvivere in 750 milioni, e poi, con la
Rivoluzione Industriale, siamo decuplicati, aumentando
di 7 miliardi in soli due o tre secoli.
Le risorse che permettono oggi a 7.500 milioni di
individui di vivere (e di vivere mediamente molto meglio che in
passato) non possono essere le stesse risorse che 10.000
anni fa facevano a stento sopravvivere molto meno di un
millesimo della popolazione attuale o le stesse risorse
che, 300 anni fa, permettevano una misera esistenza a
un’umanità dieci volte meno numerosa di oggi. E allora
significa che le risorse si sono moltiplicate, di centinaia
di volte nel corso dei dieci millenni “agricoli”, e poi di
altre centinaia di volte ma solo nei due o tre secoli
“industriali”.
2) Poiché i beni utili per soddisfare i bisogni non provengono dalla natura (ad eccezione della luce solare e dell’aria)
allora significa che è l’attività umana a produrli; tutto ciò che serve all’uomo l’uomo se lo deve produrre; detto in
altro modo: nulla può essere consumato se prima non lo si è prodotto (la natura non ci dona nemmeno le mele: se le mangi lo devi all’opera
dell’agricoltore, del camionista, del magazziniere, della cassiera del supermercato ecc., per non parlare dell’agronomo che ha deciso i trattamenti fitosanitari, dello
studente che, pagato a voucher, le ha raccolte ecc. ecc.; l’unica mela che ti dona la natura te la devi andare a prendere arrampicandoti su un melo selvatico, se lo trovi).
3) Tutto ciò che serve per produrre può essere ricondotto a soli due input: il “lavoro” e il “capitale”, dove
per “lavoro” deve intendersi qualsiasi attività umana finalizzata alla produzione di beni (sia essa lo sforzo del bracciante agricolo
che scava un fosso, l’impegno della centralinista che smista le telefonate, l’applicazione del ricercatore nello studio di un nuovo farmaco, la scelta dell’investimento
che impegna l’imprenditore, lo sforzo dell’artista che crea un’opera, e giù giù fino alla scrittura di questi appunti da parte mia), mentre il termine
“capitale” va letto nel significato di beni di produzione (siano essi “immobilizzazioni” a lento rilascio di utilità come il forno della pizzeria il cui
valore si trasferisce gradualmente nella produzione nel corso di qualche anno, oppure siano “scorte” a rapido utilizzo, come i sacchi di farina il cui valore passa
immediatamente nelle pizze).
10.000 a.C. ? ? da 1 a 5
1.000 a.C. ? ? circa 50
500 a.C. ? 25 circa 100
1 d. C. 7 35 o 40 da 200 a 300
250 12 65 ?
500 4 25 o 30 ?
750 3 o 4 30 ?
1000 5 40 da 300 a 400
1050 5 o 6 45 ?
1100 6 o 7 50 ?
1150 7 50 ?
1200 8 60 ?
1250 9 70 ?
1300 9 o 10 75 ?
1350 6 50 ?
1400 6 45 ?
1450 7 o 8 50 o 60 ?
1500 10 70 o 80 ?
1550 10 o 12 80 ?
1600 13 90 o 100 ?
1650 13 100 500
1700 13 115 550
1750 15 150 760
1800 18 200 980
1850 24 280 1.250
1900 33 430 1.650
1950 46 580 2.500
2000 57 725 6.000
2015 60 740 7.500
2050 (?) 700 9.000
INTORNO
ALL'ANNOITALIA EUROPA MONDO
4
4) Se oggi ogni uomo consuma, in media, molto più di un tempo, allora necessariamente produce, in media, molto di più
e di conseguenza impiega molti più input. Se oggi la produzione pro capite è tanto maggiore di un tempo sia in termini fisici ma ancor più in termini di valore (vedi quanto detto sul confronto fra Fiat Balilla e Fiat Panda) è perché:
a) il capitale pro capite è enormemente aumentato sia in termini di quantità fisica, sia come valore;
b) il lavoro pro capite, sebbene diminuito in quantità, è fortemente aumentato in termini di valore.
a) il capitale impiegato per l’attività produttiva non è costituito solo dagli attrezzi o le macchine (la zappa, il trattore, il tablet,
l’autocarro, il software ecc.) e dagli edifici utilizzati dai lavoratori: quando pensate al capitale la vostra mente deve anche vederlo
sotto forma di strade, aeroporti, navi, tralicci per l’alta tensione, oleodotti sottomarini, tubature sotterranee, antenne
telefoniche, ferrovie, depuratori fognari, satelliti orbitanti, ecc. ecc. . In una giornata di lavoro un contadino munito di un
capitale costituito da un aratro mono-vomere e una coppia di buoi arava circa 3.000 m2 di terreno (e da qui la “biolca” come unità
di misura della superficie dei campi, pari a circa 3.000 m2); nella stessa giornata, lo stesso contadino, ma con un buon trattore ben
attrezzato (cioè con più capitale a disposizione), lavora, e in modo migliore, oltre 100.000 m2 .
b) negli ultimi due secoli la quantità di lavoro ordinariamente fornita da un lavoratore si è ridotta a circa la metà (da 3 - 4.000
ore l’anno alle attuali 1.600 – 2.000), ma questo calo quantitativo è stato più che compensato dal miglioramento della sua qualità,
effetto, questo, soprattutto dalla migliore istruzione (nel 1860 circa l’80% degli italiani era analfabeta).
Si può pertanto dire che l’enorme maggior ricchezza di cui oggi noi godiamo rispetto ai nostri avi è il frutto di due accumulazioni: l’accumulazione di capitale (capitale economico, non monetario, s’intende) e
l’accumulazione di conoscenza (di know how produttivo, a sua volta strettamente dipendente dalle conoscenze scientifiche). E negli
ultimi secoli sia la velocità di incremento del capitale disponibile, sia la velocità con cui si aggiungono nuove conoscenze
sembrano in accelerazione (le derivate seconde delle quantità di capitale e di conoscenza in funzione del tempo mi sembrano entrambe positive).
5) Quando vi dico che le risorse sono infinite e che quindi l’obiettivo della decrescita (più o meno felice, “à la Serge Latouche”) è
un’idea Tafazziana (cioè masochistica), lo dico sulla base del fatto che non c’è limite né all’accumulo di capitale, né all’accumulo di conoscenza (e quindi non c’è limite al valore della produzione). E’ anche vero, però, che oggi nessun individuo
può sapere tutto ciò che l’uomo ha scoperto; forse questo era possibile ancora nel Rinascimento (il genio poliedrico di Leonardo
racchiudeva probabilmente una gran parte del sapere allora disponibile), ma oggi le persone anche più cerebralmente dotate, se aspirano a
conoscere tutto di qualcosa, devono accontentarsi di studiare solo piccolissimi settori dello scibile. Le conoscenze del
genere umano, pertanto, possono essere sviluppate e meglio sfruttate solo se gli individui si specializzano. Ed è anche
dalla tendenza alla sempre maggiore specializzazione che deriva la necessità di sempre maggiori relazioni fra gli individui
e quindi anche l’opportunità di una fluida circolazione delle idee e delle persone (almeno di quelle professionalmente preparate).
6) Che la risorsa “capitale” e la risorsa “lavoro” non abbiano limiti è facilmente comprensibile; ma anche l’oggettiva limitatezza di alcune risorse fisiche naturali (cioè il fatto, ad esempio, che le terre coltivabili, i combustibili fossili, le risorse minerarie
ecc. sono presenti in quantità certamente finita) non contraddice l’illimitatezza delle risorse: finite (nel senso di “non infinite”, non nel
significato di terminate) sono le risorse naturali che sfruttiamo oggi, ma quando queste cominceranno a scarseggiare la mente
umana ne troverà altre in grado di sostituirle (e il segnale dell’avvicinarsi del loro esaurimento è l’aumento del loro prezzo, vedi punto 10) ). E’
avvenuto così in passato (la principale fonte d’energia non animale è stata il legno degli alberi per tutta l’antichità, quando i boschi ricoprivano la gran parte
dei terreni; poi, quando i boschi cominciarono a scarseggiare a causa dell’espansione dell’agricoltura, l’uomo sostituì la legna con il carbone; poi il petrolio sostituì il
carbone, l’energia nucleare e le fonti rinnovabili stanno sostituendo il petrolio, e man mano che il suolo coltivabile si farà più scarso l’agricoltura idroponica sostituirà
sempre più quella tradizionale, così come l’itticoltura marina sostituisce gli allevamenti di animali ecc.), sta avvenendo oggi e continuerà ad avvenire
in futuro. Il mondo è in continuo cambiamento, e l’errore che più frequentemente si fa quando si immagina il futuro è applicare ai ragionamenti quello che gli economisti chiamano “il modello superfisso”, cioè (s)ragionare sulla futura evoluzione di un aspetto della realtà pensando che tutto il resto non muti. Il
mondo moderno è straordinariamente interconnesso, cosicché ogni anche più minuto cambiamento ha effetto su tutta la
realtà, e ciò rende le previsioni sempre più complicate.
7) Che non ci sia limite alla crescita non vuol dire che le risorse disponibili nell’oggi siano infinite: significa soltanto che
le risorse sono incrementabili all’infinito, ma ciò non toglie che in un qualsiasi momento le risorse sono state, sono e saranno sempre scarse, nel senso di non sufficienti per esaudire tutti i bisogni. L’uomo avrà quindi
sempre a che fare con il problema della scarsità (non la pensavano però così né Marx né Keynes, geniali (diabolici?) sognatori di mondi perfetti) e
da qui la necessità di non sprecare risorse combinando i fattori produttivi in modo che da esse si possa ottenere la
massima produzione. Detto in altro modo, occorre ricercare il processo produttivo massimamente efficiente, e l’economia, intesa come scienza, studia come l’uomo cerca di risolvere questa problema, cioè studia come
l’uomo affronta la scarsità.
5
8) La ricerca del miglior processo produttivo deve essere fatta: a) a livello “micro”, cioè aziendale; b) a livello “macro”,
ovvero d’intera collettività.
a) Ogni singola azienda deve tendere a una buona efficienza, altrimenti le risorse vanno sprecate; lo strumento che porta all’efficienza è la concorrenza (le aziende che sprecano risorse falliscono, schiacciate da quelle “migliori”, quelle che a parità di output
impiegano minori input), la molla è la ricerca del profitto. Quando, come capita nelle aziende pubbliche, mancano
concorrenza e volontà di profitto allora l’inefficienza è garantita (e capita che si impieghi un’ora per aprire una porta e che si portino 40
persone da un videoproiettore invece che un videoproiettore da 40 persone), e lo è, garantita, per quanto raffinato sia il sistema di controllo
che si adotta (anzi, a volte maggiori controlli producono maggiore inefficienza, se non altro perché i controlli costano sempre, anche quando non sono efficaci).
b) La struttura produttiva di una società (nel senso di collettività di abitanti di uno stato) è il frutto delle norme di comportamento che i
componenti di quella società si sono dati, ma capire quali regole sociali siano migliori è difficile. Così come la perdita di
quote di mercato a vantaggio della concorrenza segnala che l’azienda lavora male, i flussi migratori in uscita (sia di persone,
sia di aziende, ma anche i flussi in uscita di capitali) indicano la presenza di un complesso normativo inadatto al benessere collettivo.
Un altro indicatore dell’efficienza sociale è il P.I.L.: così come il miglior indicatore dell’efficienza aziendale è il profitto,
il miglior indicatore dell’efficienza sociale è, nonostante i suoi tanti limiti, il P.I.L. pro capite o, meglio, il suo andamento
nel tempo (e temo che resterà il migliore fin tanto che non si inventi un feliciometro di massa attendibile).
9) La distinzione più importante fra sistemi di regole della vita sociale è quella fra sistemi decentrati e sistemi accentrati: i primi lasciano ampio spazio agli individui di accordarsi fra loro per regolare i
loro rapporti; nei secondi, invece, un’autorità impone in modo capillare le stesse regole a tutti (un paio di esempi: in un sistema
decentrato il locatore e l’inquilino si accordano liberamente sulla durata del contratto di affitto, sulla base di ciò che le “parti” pensano sia il loro interesse; in un
sistema accentrato la durata è imposta in 12 anni per tutti da una legge pensata dall’autorità; oppure: in un sistema decentrato ogni scuola è libera di scegliere le
materie d’insegnamento e gli insegnanti, in un sistema accentrato tutte le scuole devono insegnare le stesse materie stabilite dal ministero e con gli insegnanti scelti
dalla stessa autorità centrale ). I sistemi più accentrati arrivano anche a imporre i prezzi a cui gli individui possono scambiarsi i
beni e servizi. Il sistema accentrato è (era) adatto alle comunità piccole ed economicamente arretrate (la tribù di pigmei, il borgo
dell’alto medioevo) in cui un unico coordinatore (pianificatore) prende tutte le decisioni, anche quelle relative alla produzione
e, di conseguenza, al consumo. Più la comunità diviene numerosa e le relazioni fra gli individui più complesse (ed entrambi
questi sviluppi sono effetti della specializzazione produttiva: la divisione del lavoro, la specializzazione dei produttori, moltiplica le aziende e i collegamenti fra aziende
così che sempre più ciascuna azienda e ciascun individuo dipende dagli altri) e sempre meno praticabile è l’accentramento decisionale: oggi, in
quasi tutti i paesi, l’autorità centrale prende solo alcune decisioni, ne demanda altre a vari enti collettivi periferici e
intermedi ma lascia la gran parte delle decisioni agli individui, sia nella loro veste di produttori (aziende) sia in quella di
consumatori. (Vedi anche “semafori vs rotonde”)
10) Il decentramento, però, non risolve da solo il problema del coordinamento: occorre che le scelte dei singoli individui
siano compatibili fra loro, cioè non devono contraddirsi. Ad esempio se un’azienda decide di produrre mille scooter d’un
certo tipo al giorno, occorre che vi siano fornitori in grado e disposti a venderle i beni di produzione occorrenti, poi che vi
siano sufficienti lavoratori disponibili a lavorare in quell’azienda e infine che vi siano tanti clienti disposti a comprare
complessivamente quei mille scooter al giorno.
Nelle economie decentrate (le “economie di mercato”) il coordinamento delle scelte individuali è reso possibile e automatico dalla libera fluttuazione dei prezzi: l’aumento del prezzo di un bene (qualunque bene sia,
di consumo come scooter e ciappi per capelli o di produzione come l’energia elettrica e il lavoro) segnala che la sua offerta (la sua produzione) è divenuta
insufficiente rispetto alla sua domanda (il suo utilizzo) e pertanto i produttori, stimolati dal prezzo divenuto più vantaggioso e
quindi mossi dal loro interesse, si daranno da fare per aumentarne la quantità e contemporaneamente gli utilizzatori
cercheranno di sostituire quel bene con dei suoi succedanei. Il contrario se il prezzo diminuisce. E’ il “mercato” (nel
senso di sistema economico in cui ognuno è libero di chiedere il prezzo che vuole per i propri beni e ognuno è libero di accettare o rifiutare quella richiesta), più del
sistema accentrato (pianificato dal centro) che fa in modo che i beni siano allocati (distribuiti) in modo razionale (cioè che siano a
disposizione di chi li apprezza di più). (Vedi anche l’avido commerciante di “pale da neve”).
Alberto Mingardi ha scritto: “Ci sono due tipi di cooperazione. Una è la cooperazione volontaria e consapevole, fra persone che reciprocamente
si conoscono, che condividono gli stessi fini, obiettivi, passioni. L'altra è la cooperazione sempre volontaria ma inconsapevole, quella che per far
prima possiamo chiamare mercato. Gli scambi economici spezzano le angustie del piccolo gruppo per avvicinare società e culture diverse. Il
mercato è indifferente al genere o al colore della pelle. Lo è tanto di più quanto più estesa è la divisione del lavoro, quanto più le maglie della
cooperazione si allargano. In un piccolo paese, possiamo rifiutarci di metter piede in salumeria perché non ci sta simpatico il salumiere. Ma al
supermercato acquistiamo merci prodotte da persone che non conosceremo mai, e di cui altro non c'interessa che il loro aver collaborato a
realizzare qualcosa per la quale, in quel momento, siamo disponibili a spendere denaro. Si dice che l'autointeresse accieca. È una cecità benefica,
quella che ci ha consentito di mettere in campo energie e persone che altrimenti sarebbero rimaste ai margini, considerate immeritevoli di
guadagnarsi liberamente il pane da uomini che ci vedevano benissimo.”