Quando eravamo i ragazzi del Triangolo Verde

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Editrice Veneta 2012 Ideale Concepts 2012 & @

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"Quando eravamo i ragazzi del Triangolo Verde" Book written by Mario Pan Printed - 112 pages Italian - Illustrated ISBN 8884495563 Published by Editrice Veneta (Vicenza) & ideale concepts (Vancouver) Digital Version 125 pages - includes Analytical Index, alphabetical contents listwith virtual links. Preface / Editing Anna Maria Zampieri Transcription, structure, layout, graphics, design & cover photo by Ida Maria Pan / ideale concepts Libro di Mario Pan Versione cartacea 112 pagine Italiano - Illustrato ISBN-13978884495563 Versione Digitale 125 pagine - comprendeIndice Analitico con collegamenti virtuali. Testi di Mario Pan - Prefazione Anna Maria Zampieri - Trascrizione, struttura, impaginazione, grafica, design e foto di copertina di Ida Maria Pan / ideale concepts Altre foto provengono dall'archivio storico della famiglia Pan - ideale concepts Italy - Canada English Version on its way...

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  • Editrice Veneta 2012

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    &id @le concepts - Vancouver 2012

    Editrice Veneta - Vicenza 2012

  • Nonno Mario Pan nel giorno del suo 80 compleanno, circonda-to dai quattro nipoti e dal cagnolino Piccolo: a sinistra, tienne e Luca Pan; a destra, Samuele e Paolo Silvera.

  • Ai miei figli e nipotiIda Maria, Davide, Marta

    tienne, Samuele, Paolo, Luca&

    alla memoria dei cari amiciEnzo, Giulio, Rinaldo

  • Amici indissolubili anche dopo la Liberazione: Mario Pan (accosciato) con Enzo Dalla Via, Giulio Piccoli, Rinal-do Diod e - al centro - la guida alpina Germano Kostner.

  • Mario Pan

    Quando eravamo...I RAGAZZI DEL

    TRIANGOLOVERDE

    Editrice Veneta - Vicenza 2012 &@

    &id @le concepts - Vancouver 2012

    RAGAZZIdelitr angolo verde

  • 8COLLANA NARRATIVA 2012

    ISBN978-88-8449-556-3

    1a ediz ione - Marzo 2012. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

    Tutti i diritti riservati all'autore

    Edito da Editrice Veneta sas [email protected] - www.editriceveneta.net

    in col laborazione con

    ideale concepts

    Vancouver BC - CANADA

    [email protected] ideale on line

    ID LE&@

    WORK IN PROGRESS Questo libro in pdf interattivo e contie-ne collegamenti ad album, cartine o documenti a cui si fa riferi-mento nei testi. Cliccandoci sopra, tutte le foto possono essere visualizzate in rete, separatamente ed individualmente. Inoltre, selezionando il simbolo nei riquadretti a destra di ogni titolo di capitolo o sezione, vi porter direttamente all'indice. Provate da subito, cliccando su questo messaggio vi riporter alla copertina (anch'essa collegata).

    CLICK ME! I AM INTERACTIVE

  • 9PREFAZIONE Cinquant 'anni dopo . . .

    M ezzo secolo da quella fine estate del 1962 quando ho incontrato per la prima volta Mario Pan. Lui giovane imprenditore alle prese con la neonata fabbrica di acque minerali e bibite, io da oltre un decennio impegnata nel settore della stampa vicen-tina. Lui reduce da un lungo periodo di degenza in clinica ortopedica a seguito di incidente aereo, io abbastanza capace di esercitare il vizio-virt di fare domande, di ascoltare e memorizzare risposte. Per imparare e poter poi comunicare. ancora oggi il mio mestiere.

    Mario mi fece conoscere la sua storia, il suo mondo. Non tanto quello dell'attivit industriale, quanto piuttosto quello dei suoi sogni. Sogni di esploratore giramondo, di dedizione a cause umanitarie, di generosit verso il prossimo. questo il lato prezioso di Mario. Quello dimostrato fin dagli anni adolescenti, quando si butt anima e corpo nella Resistenza, con coraggio forse un pochino incosciente ma senza esitazio-ni e senza calcoli. Un idealismo concreto il suo. Non teoria ma pratica di vita.

    Cinquant'anni fa Mario - mio marito dalla primavera 1963 - cominci anche a parlarmi dei suoi ricordi di ragazzo, raccontandomi alcuni degli episodi ora raccolti in queste note . Ho potuto cos rivivere impressioni e vicende nar-rate in queste pagine, sebbene nella mia memoria fossero pi sfumate. Ho conosciuto personalmente alcuni dei pro-

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    tagonisti di queste storie, in particolare il brillante coman-date Nino e il caro amico Rinaldo. Mi sono appassio-nata e insieme divertita a fare l'editing di queste pagine, arricchite da foto depoca nel progetto grafico di nostra figlia Ida Maria.

    Sono sicura che figli, nipoti e amici apprezzeranno il dono che Mario ci fa condividendo le sue memorie di staffetta partigiana negli anni 1943-45. Episodi finora poco conosciu-ti, una piccola tessera da inserire nell'immenso eroico mo-saico della Resistenza italiana; ma soprattutto uno stralcio di vita da meditare ripensando alla nostra non facile vicenda famigliare di esuli accolti tre decenni or sono da una seconda grande patria, il Canada.

    E la storia continua Anna Maria Zampieri Pan

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    PREMESSA Perch queste mie note?

    A prile 2004. Mio nipote tienne, per qualche anno vissuto a Ladner con noi nonni, sta-va frequentando la locale scuola seconda-ria. Chiedemmo, io e mia moglie, di incontrare il suo counsellor, per uno scambio di idee inteso a capire le ragioni di una discutibile condotta del ragazzo e del suo apparente scarso impegno negli studi. Mister Bourgeois ci ascolt tranquillo e comprensivo, facendo tuttavia trapelare una certa simpatia per lallievo. Ad una mia osservazione, palesemente critica nei confronti di tien-ne, in tono provocatorio mi chiese: Ma lei cosa faceva mai a 13 anni?. Perplesso, quasi sentendomi in colpa e in modo poco convincente balbettai: Quando avevo 13 anni il nostro Paese, lItalia, era nel pieno della guerra. e ammutolii. Quella domanda torment a lungo i miei pensieri e i miei sonni.

    Cominciai cos - come trattarsi di un film in retro-spettiva - a revisionare il mio passato. Questo, cari ami-ci, il motivo per cui mi sono messo di buona volont a scrivere queste note. In forma semplice e non certo forbita, da illetterato come da sempre mi considero, arrugginito inoltre dal trascorrere del tempo. Ma tutti i fatti di cui vi parler sono realmente accaduti. Qualche nome sar incompleto e magari storpiato, qualche data e luogo scambiati: dovrete perdonarmi, sono passati

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    quasi settantanni!Quanto scrivo realt. Certe immagini di quel pe-

    riodo sono indimenticabili, sono talmente a fuoco da farmi pensare che mi seguiranno per lintera vita! Rac-contando, dovendo quindi volgermi indietro di decen-ni, considero buona l'occasione per far arrivare il mio messaggio ai miei figli e nipoti, e ai figli nipoti e proni-poti dei miei amici, siano essi a Vancouver o a Vicenza, a San Pietro in G o altrove. Desidero anche rivolgermi a coloro che sono stati direttamente coinvolti o testimoni degli episodi ricordati. Credo che molti fatti siano inedi-ti. In quei momenti era tanto pericoloso sapere, sentire, conoscere, bisognava soprattutto tacere e dimenticare.

    Cari giovani, queste pagine potrebbero aiutarvi a sa-pere che cosa hanno fatto i vostri nonni e i vostri padri, senza mai chiedere nulla in cambio. Quanti sono stati uccisi, quanti imprigionati, torturati, quante sofferenze, quanti sacrifici. Era il prezzo per abbattere le dittature fascista e nazista, per conquistare pace e libert, demo-crazia e giustizia. Voi oggi che.

    Mario Pan

    da Vancouver in Canada, a.d. 2012

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    Momenti della prima infanzia e dell'adolescenza: Mario in gita a Venezia con mamma Ida e cuginette, e poi la famiglia Pan al com-pleto; SOTTO con pap Giocondo e la sorella Maria.

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    Maria & Mario, da sempre affettuosi sorella & fratello.

    QUI A DESTRA, Mario pronto per le sue avventure....

    PRIMA A SINISTRA - in secondo piano, la famosa panchina di Giocondo Pan nel giardino della Birreria Sartea.

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    ANTEFATTI (1941-1943)Un ragazzino da " r ieducare"

    Nel 1941, a Vicenza mia citt natale, frequenta-vo la quinta classe presso la scuola elementa-re di Porta Padova: sezione B, con il maestro Gemmo. Alla sezione A cera il maestro Rebecchi, del quale era alunno il caro amico Enzo Dalla Via. Ritro-veremo in seguito ambedue. Il mio insegnante era un uomo buono e colto. Grande conoscitore della storia di Roma, non perdeva loccasione per esaltarne i valori. Come quasi tutti i suoi colleghi insegnanti, anchegli simpatizzava per le istituzioni fasciste.

    Negli studi non me la cavavo male, sopravvivevo alla meno peggio, emergendo soprattutto in educazione fisica. Qualche tempo prima della scadenza dellanno scolastico, caddi da una pianta del frutteto di casa e mi fratturai il braccio sinistro. Ingessato a dovere, andai ugualmente a scuola, potevo ben scrivere con la mano destra. Il maestro pens di premiare la mia dedizio-ne con una croce al merito fascista (tanto a qualcuno doveva pur darla!). Di ritorno a casa, dove i miei erano a tavola per il pranzo, orgoglioso mostrai croce e mo-tivazione. Mio padre ad alta voce lesse: A Mario Pan, alunno esemplare, questa medaglia al merito fascista perch, nonostante avesse un braccio fratturato, con spirito di abne-gazione continu a frequentare le lezioni. Pap rest pa-ralizzato! Scoppi un uragano, credevo mi volesse

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    quasi rompere laltro braccio.Finito lanno scolastico, cominci per me un intensis-

    simo periodo di rieducazione, antifascista naturalmen-te. Oltre a mio padre, alcuni suoi amici collaborarono al mio recupero. Ricordo Enea Margotti, che da Verona veniva spesso a casa nostra; e il flautista Elsi, famoso per le sue sagaci barzellette oltre che per avere accom-pagnato la grande cantante Toti Dal Monte in giro per il mondo. Cera poi il mio santolo, il nobile veneziano avvocato Giuseppe Cappello, aperto e fiero antifascista; mi ripassava la lezione di domenica nella sua villa di campagna ai Laghi di Cittadella. La rieducazione si approfond al punto tale che mi fecero ripetere la quin- ta elementare presso il

    Collegio Baggio. Am-biente non allineato, dove non era obbliga-torio partecipare alle riunioni fasciste del sabato.

    ... Fin da bimbi promettevano bene sia negli impegni che nei passatempi...

    ... le cantine di Giocondo Pan

    e ... le partitine a carte e a scacchi degli anni futuri.

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    La banda del Tr iangolo Verde

    Nellautunno 1942 - lItalia era gi in guerra dal 10 giugno 1940 alleata ai tedeschi - cominciai a frequentare la prima classe della scuola media di Piar-da Fanton. Il sabato era obbligatorio recarsi, in perfetta divisa, alla G. I. L. (Giovent Italiana del Littorio) per le adunate fasciste. Volontariamente, ma anche spinto da mio padre, alla mia divisa mancava sempre qualco-sa: una forma di resistenza passiva. Era un sabato po-meriggio quando il capo centurione, camerata Ventra, dopo avermi redarguito come sempre ad altissima voce, mi fece accompagnare in prigione per tutto il periodo delladunata. Nella piccola cella non ero solo e feci ami-cizia con un ragazzo, anche in punizione, vestito da marinaretto: era Rinaldo Diod, che in quel periodo abitava in una casetta dietro la propriet Soave al caval-cavia di Porta Padova.

    Enzo Dalla Via, amico mio da oltre sei anni e da tem-po amico pure di Rinaldo, di sabato frequenta la GIL. Ma Enzo alle adunate non ci conosce, anzi ci evita. La sua divisa sempre perfetta! Nei pomeriggi liberi dagli im-pegni scolastici abbiamo labitudine, noi ragazzi della zona di Porta Padova e della parrocchia di San Pietro, di ritrovarci insieme per parlare, giocare e vedere qualche film al ricreatorio di San Domenico. Proprio l comin-cio a frequentare un gruppetto di ragazzi pi grandi di me. Il ricreatorio , logicamente, un ambiente cattolico

  • e la maggioranza di coloro che lo frequentano non ha simpatia per il regime. Un ragazzo, considerato il lea-der allinterno del gruppo, propone a me e a Rinaldo dincontrarci a casa sua per farci una proposta. Mar-cello Ciscato, abita a Borgo Casale dove suo padre ha unofficina per il montaggio di biciclette sportive. Co-noscendoci da tempo e senza tanti preamboli Marcel-lo ci chiede se vogliamo partecipare ad un gruppo in formazione con il proposito di lottare contro il fascismo e il nazismo. Ci spiega in sintesi i suoi progetti. Non ci pensiamo un attimo a dare la nostra adesione!

    La banda si chiamava triangolo verde (ancora non saprei spiegarne il significato). Avremmo dovuto diven-tare un gruppo antifascista armato, di orientamento cat-tolico, ispirato ai principi giustizia e libert del Parti-to dAzione. Ben presto il gruppo si allarg e, di sera o nei giorni festivi, avemmo frequenti incontri clandestini presso lofficina paterna di Marcello. Primi componen-ti del gruppo: i fratelli Ciscato, Rinaldo Diod e Mario Pan, Bruno Fabris e Giulio Piccoli, oltre ai due fratel-li Toniolo provenienti da Milano ma di origine veneta. Otto in tutto. Il nostro doveva essere un gruppo arma-to, ma armato di che cosa? Marcello disponeva di due rivoltelle e Rinaldo di un revolver a tamburo calibro 12, che era di suo padre sottufficiale in servizio permanen-te. Dovevamo, quindi, procurarci gli armamenti.

    A sud est del complesso comprendente la vecchia fabbrica di birra Sartea, affacciata su borgo Casale cera una caserma della milizia fascista. Scavalcando la rete di recinzione e saltando sopra lo scomparto-gabinetti, attraverso una finestra fatta a saracinesca, avevamo in-dividuato alcune rastrelliere con fucili e munizioni. De-

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  • cidemmo una spedizione notturna: io di guardia e Ri-naldo operativo. Come uno scoiattolo egli salt la rete, sal sopra i gabinetti, scavalc la finestra, entr nelle camerate e ne usc velocemente con tre fucili modello 91 corto, e in pi molte munizioni. Tutto and liscio ma, nello scavalcare la rete di confine, il filo spinato gli pro-voc uno strappo ai pantaloni oltre che a una parte deli-cata di pelle proveniente da zone deboli ohi che male!

    R agazzi in az ione

    A ltro colpo fortunato fine estate 1943 - fu quan-do con il mio amico, in unaltra velocissima azione, riuscimmo a sottrarre, da un automezzo tede-sco in sosta, una Pistol-machine con cinque caricatori da 40. Anche lamico Enzo Dalla Via, ancora alloscu-ro della nostra formazione, ma nel frattempo conver-tito allantifascismo, contribu al nostro armamento distogliendouna pistola 7,65 Beretta al fratello ufficia-le dellesercito mentre era in visita alla famiglia.

    Nellestate 1943 il nostro arsenale ammontava a: 2 pistole anonime 1 revolver calibro 12 1 pistola Beretta 7,65 3 fucili 91 corto 1 Pistolmachine (fucile mitragliatore corto) alcuni chili di polvere nera (da sparo)Il gruppo dassalto si incontrava spesso, tanti i

    progetti, tante le parole ma pochine le vere azioni. Ci di-

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    W

  • vertivamo infatti imbrattando con scritte oscene le case dei grandi fascisti della zona, disegnando la doppia V rovescia al posto di W - abbasso al posto di evviva - sul-le scritte murali dedicate al DUCE, tagliavamo qualche gomma dauto. Ci specializzammo ad introdurre sac-chetti di un certo tipo di carta contenenti sabbia finis-sima (passata e ripassata con il setaccio a maglia fine) nei serbatoi degli automezzi della milizia fascista e dei tedeschi. Il risultato era che la sabbia, col tempo, en-trava nelle camicie dei cilindri e i motori venivano in tal modo distrutti. Rubammo una bicicletta senza ma-nubrio ad un tedesco entrato nella trattoria Da Benetto di Porta Padova. Ricordo la faccia di quello sfortunato quando, con il manubrio in mano, usc dalla trattoria e non si ritrov il velocipede. Come sempre previdenti, i tedeschi avevano inventato questa bicicletta dallo ster-zo smontabile per evitarne il furto.

    Altra azione, tragicomica, avvenne sempre a Porta Padova, protagonisti Rinaldo, Enzo e io stesso. Era sera, camminavamo sul marciapiede di destra quando un camion di tedeschi rallent per chiederci alcune infor-mazioni. Dalla Via, come sempre gentile e sorridente, sal sul predellino e prese a parlare con lautista. Io e Ri-naldo, come due razzi, saltammo dietro il camion che era aperto e cominciammo a lanciare in strada tutto quanto ci capitava in mano. Giunti al crocevia, all'an-golo Porta Padova-Legione Gallieno, data la posizione in curva Enzo ci vide recuperare vari oggetti da terra. Cap e, terrorizzato, salt gi dal predellino lasciando di stucco lautista. Lo vedemmo correrci incontro spa-ventato, e il camion bloccarsi. Fuga a tre.... e dopo pochi secondi una raffica di mitra. Eravamo allaltezza delle

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  • case Tiso, sul marciapiede di destra guardando verso il cavalcavia, quando miracolosamente la porta a fianco del panificio si apr. Ci si infilammo, bloccammo la por-ta, a velocit supersonica superammo il corridoio, e via nel giardino. inciampando su dei sassi rustici pieni di piante grasse. Saltammo la rete a sud piombando negli orti Tonello, e avanti sempre di corsa per altri duecento metri fino al confine est della nostra fabbrica. Scalata del figaro e finalmente salvi!

    Un esper imento mal r iusc i to

    P rima dell8 settembre 1943 i tedeschi, pur es-sendo nelle difensive, non osavano fare azioni di ritorsione. Il loro comportamento sarebbe ben presto cambiato. Disponendo di una certa quantit di polvere nera, di alcuni detonatori, di due vecchie bombe a mano Sipe, si decise di preparare un ordigno esplosivo da te-nere per ogni evenienza.

    Rinaldo ci ospit a casa sua. Era allora sedicenne, frequentava lIstituto Industriale, abitava solo. Era or-fano di madre, suo padre era in servizio permanente e i due fratelli richiamati alle armi. Eravamo i soliti, e se ben ricordo cera anche uno dei Toniolo, professato-si esperto in esplosivi. Disponemmo il vario materiale in cucina, su di un piccolo tavolo accanto alla stufa a legna accesa. Non ho idea n come, n perch (frutto certamente dellinesperienza e della nostra presunzio-ne giovanile) ad un certo punto la polvere nera prese fuoco. Fuga generale nel giardino attiguo e un gran bot-to! Rientrammo. Povero Rinaldo, povera cucina, tutto

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  • era ricoperto di nero, pentole inusabili, piatti a pezzi, un macello. Con evidente assenza di coraggio e di spi-rito pratico fuggimmo, lasciando solo a sbrigarsela il nostro amico. Per fortuna la casa era isolata e nessuno intervenne, non ci fu alcuna immediata ripercussione. Dopo qualche giorno tuttavia, il proprietario, informato dellaccaduto, invit il nostro Rinaldo a trovarsi un al-tro alloggio.

    Con tristezza, evitando di parlare dellepisodio ac-caduto, descrissi ai miei genitori la particolare situazio-ne familiare di Rinaldo, la sua solitudine, e li pregai di ospitarlo in un appartamento libero sopra il bar Sartea. Avevano imparato a conoscere e stimare il mio caro amico e lo accettarono di buon grado. Rinaldo si trasfer a gran velocit nella nostra casa. Lo zio pensionato, una carissima e dolce anziana persona, lo raggiunse poco dopo. Rinaldo cominci da allora a lavorare part-time nella nostra azienda.

    Zabagl ioni a l marsalacon uova compromesse

    N ellangolo sud-ovest della caserma di Borgo Ca-sale cerano le cucine della truppa. Fra il muro delle cucine e la nostra rete di confine, era stato inseri-to - seminascosto agli occhi indiscreti - un bel pollaio con una cinquantina di galline fasciste. Il tutto era di propriet del comandante della caserma, il famigerato maggiore Mantegazzi. 1 I volatili venivano alimentati con gli avanzi del rancio dei militari. Con Rinaldo e Giulio - accadeva ancor prima della nostra adesione al

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    Triangolo Verde - facevamo spesso irruzione all'inter-no dell'aia allo scopo di confiscare dozzine di uova compromesse con il regime. Nel nostro rifugio poi, una piccola serra collocata in mezzo al frutteto, preparava-mo abbondanti zabaglioni al marsala; il tutto per rende-re pi spiritosa la nostra fede antifascista. Ma un bel giorno, dopo aver cominciato a frequentare gli incontri con il gruppo dassalto, di fronte alla prospettiva di un ricostituente zabaglione, Giulio fece presente che la no-stra era una banda di ladri di polli e non di patrioti! Ci serv a riflettere e da allora cessammo quel tipo di sabotaggio.

    Rinaldo invece, da libero battitore, ma soprattutto perch nella sua cucina c'era ben poco da mangiare, fece ancora qualche incursione. Ma, da una finestra della cu-cina della caserma, fu scoperto un giorno a scavalcare la rete. Pi militari si precipitarono nel pollaio e lo bloc-carono. Chiuso nella cella del carcere, l'intruso venne in seguito condotto all'ufficio del comandante, che cerc di spaventare il ladro di uova gridando come un pazzo. Dopo qualche ora, il detenuto venne tuttavia rilasciato e fatto uscire dalla porta principale. Era meglio non far sapere in giro l'esistenza di un pollaio privato all'in-terno della caserma.

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    Tre immagini di Giocondo Pan: arruolato durante la guerra mondia-le 1915-18; ritratto nel 1964, poco prima della morte e a San Pietro in G nel 1944, in compagnia degli amici Rigon e Margotti. IN BASSO: "Il generale Rommel con la moglie, Lucie Mollin, e la figlia Gertrud Stem-mer Rommel, sposata a Joseph Pan di Kempten". (Cfr. L'appello a Rommel)

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    UN PAESE ALLO SBANDO (1943-1944)I l fasc ismo caduto!

    L a domenica 25 luglio 1943 eravamo a Recoaro, faceva molto caldo e verso mezzogiorno arriv la notizia: Il fascismo caduto!. Pap, sciocca-to, non poteva crederci. Ne segu una delle sue esplosio-ni di gioia. Rientrammo immediatamente a Vicenza. Gli amici lo stavano gi aspettando. Il bar-birreria Sartea, da sempre punto dincontro di antifascisti, era affollato da clienti in grande euforia. I festeggiamenti continuarono fino al calar del sole e molti dei presenti, per il grande caldo, si spostarono poi nel retrostante ampio giardino. Cantavano, ballavano, mangiavano e bevevano. Pap Giocondo era seduto come un re al centro di una classi-ca panchina di stile viennese (esiste ancora, all'entrata di casa di mia sorella in via Fusinieri) attorniato dai pi accesi dei convenuti. Credo che gli abitanti dei dintorni abbiano poco dormito con il chiasso di quella notte. Mi riferisco in particolare a chi abitava uno degli apparta-menti soprastanti la birreria, e cio al Berenzi 2 allora direttore del quotidiano vicentino Vedetta Fascista. Ogni tanto quegli si affacciava cautamente alla finestra, ma solo per ricevere saluti di colore particolare!

    Nel pomeriggio del giorno seguente, con Marcello e altri del gruppo, mi recai alla vicina caserma: tutti i mi-liziani erano spariti e la popolazione si era precipitata a far razzia di ogni cosa. Noi riuscimmo a recuperare dei

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    fucili, alcune pistole Beretta e parecchie munizioni. C'e-rano anche fucili 91 lunghi che nessuno aveva preso. Re-cuperammo zaini, coperte e altro materiale: portammo la refurtiva nel magazzino di Marcello, a circa cinquan-ta metri in linea daria dalla caserma. In quei giorni non ci furono disordini in citt, non scaturirono gravi azio-ni di vendetta; eravamo in piena guerra e la situazione non poteva cambiare un granch. Sparirono i fascisti, sparirono i loro distintivi (i bauti), si abbatterono le insegne costituite da fasci littori e teste marmoree del Duce, si tolsero dai luoghi pubblici le obbligatorie foto di Mussolini, si sostituirono i responsabili nei posti di comando. Tutto sommato fu una rivoluzione pacifica, anzi un tranquillo cambiamento di poteri. Poche furono le persone arrestate.

    L'8 settembre e un proclama v igl iacco

    A lle diciotto e trenta dellotto settembre 1943 il generale Badoglio, comandante in capo delle forze italiane, annunci alla radio la resa dellItalia. Nel messaggio ordinava la cessazione del fuoco e diceva di reagire solo nel caso di eventuali attacchi di qualsi-asi altra provenienza. Il paese era sotto shock, nessuno capiva niente di quel proclama, cosa fare? Difenderci da e contro chi? Non si davano ordini, direttive, informa-zioni. Era un lasciare tutto allo sbando, una specie di si salvi chi pu!. Tra il 10 e l11 settembre, i tedeschi piombarono a Vicenza e la occuparono senza trovare la minima resistenza.

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    La mattina del 12 settembre, uscendo dal portone di casa, mi trovai difronte a uninterminabile colonna di soldati italiani prigionieri, diretti verso la stazione fer-roviaria, scortati da pochi armatissimi tedeschi. Si capi-va che avevano rinunciato a qualsiasi difesa. Cammina-vano lentamente e in silenzio, apparivano disorientati; qualcuno s'infil in qualche porta aperta, ma pochi i coraggiosi, ogni tanto qualche sparo, qualche raffica di mitra. Assistere a quel desolante spettacolo e sentir-mi salire una rabbia profonda e sorda fu un tuttuno. Come si poteva accettare passivamente una situazione del genere? Il rapporto carcerieri prigionieri era spro-porzionato: perch non difendersi, non ribellarsi, non urlare la propria rabbia? Corsi dentro casa e mi nascosi nel granaio e piansi, piansi la mia solitudine e la mia amarezza, vergognandomi per loro!

    A guerra finita avremmo imparato che l'intero paese era in quelle stesse condizioni. I tedeschi, informati dai loro efficienti servizi segreti circa le trattative italiane per l'armistizio, avevano preparato l'invasione con circa quaranta giorni di anticipo. Il re d'Italia, suo figlio Um-berto, il maresciallo Badoglio e gli alti ufficiali del quar-tier generale, anzich predisporre un piano di difesa per salvare il paese, pensarono solo ad organizzare il loro piano di fuga. A poche ore dalla proclamazione della resa, quel gruppo di coraggiosi s'imbarc a Pescara su due navi e si ripar a Brindisi, nel sud Italia.

    C'era nel nostro paese circa un milione o forse pi di militari italiani, cerano tutti i cittadini italiani, cerano i prigionieri di guerra, e cera tanto desiderio di pace. Come era possibile che i responsabili del governo dIta-lia non avessero fatto nulla, dico nulla, per uscire dalla crisi? Fummo abbandonati alla nostra sorte. Si venne a

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    sapere che, durante le trattative per larmistizio, gli al-leati avevano deciso il lancio di truppe aero-trasportate nel nord, per facilitare, insieme con le truppe italiane, il completo controllo del territorio. Documenti storici insegnano che Badoglio e il suo seguito volutamente ignorarono lofferta. Quanti morti, distruzioni, massa-cri, saccheggi, sofferenze, umiliazioni, si sarebbero po-tuti evitare!

    L'arresto el ' incarcerazione di mio padre

    Non appena i tedeschi ripresero il controllo di Vi-cenza ecco, come funghi velenosi, rispuntare e moltiplicarsi i fascisti, ai quali si aggiunsero molti avan-zi di galera provenienti in gran parte dal sud. Fanatici e sfegatati, riafferrarono tutte le posizioni di comando, dando inizio a vendette, rappresaglie, arresti. Pap fu il primo ad essere arrestato dalla polizia ausiliaria co-mandata dal terribile capitano Polga. 3 Dopo una serie di meticolose perquisizioni nell'abitazione, in fabbrica, negli uffici e nei magazzini, egli venne incarcerato a San Biagio in compagnia con i delinquenti comuni. Il giorno dopo, il nostro inquilino Angelo Berenzi 2 - ritornato a dirigere la Vedetta Fascista - scrisse a caratteri cubitali: E uno, il commerciante Giocondo Pan stato ieri arresta-to, accusato di accaparramento di gomme. Niente era stato trovato di compromettente nel corso della perquisizio-ne, avevano solo individuato, nel granaio, un mucchio di copertoni vecchi, completamente fuori uso.

    Nato nel 1893, mio padre aveva allora cinquant'anni. Era stato esonerato dal servizio militare perch invali-

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    do della prima guerra mondiale, durante la quale aveva combattuto con il 6 Battaglione Alpini Bassano. Non era certo fascista, lo sapevano bene, ma era un uomo conosciuto e rispettato per onest e laboriosit. Grazie a un duro lavoro si era costruito una buona posizio-ne economica. Le sue maggiori attivit erano nel set-tore vitivinicolo. Prima della guerra disponeva di una rete di cantine: ad Alcamo in Sicilia, a Martina Franca e San Severo in Puglia, a Falconara e San Benedetto del Tronto nelle Marche, a Sesso e San Martino in Rio in Emilia, a Valpolicella e a Camposanpiero nel Veneto. La sede di questa rete di attivit era a Vicenza, dove cera un'attrezzatissima cantina sotterranea (ex fabbrica birra Sartea) di una capacit di diecimila ettolitri. A Vicenza, nella zona di Porta Padova, erano state avviate ed ope-ravano anche una fabbrica di bibite gassate e un'imbot-tigliamento di birra.

    Nei primi giorni di prigionia, pap venne portato pi volte in questura per essere interrogato. Volevano sapere i nomi di quanti avevano partecipato, nel giardi-no della birreria Sartea, ai festeggiamenti per la caduta del fascismo. Lui rispondeva evasivamente, ripetendo senza stanchezza che erano presenti i soliti clienti e che la festa era una manifestazione spontanea non pre-ventivamente organizzata.

    Mamma Ida, dopo un primo momento di comprensi-bile disorientamento, prese in mano la situazione. Mise in movimento avvocati, sacerdoti, professionisti, amici vari. Ottenne anche lintervento del pubblico ministe-ro Gerasimo Frassino, un amico dinfanzia, in carica da ben prima del 25 luglio. La motivazione dell'arresto non aveva senso, non era assolutamente giustificata.

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    Professoressa ,un giorno me la pagherai !

    Dopo due giorni di assenza, mi recai nuovamente a scuola. Frequentavo allora la medie di Piar-da Fanton. In aula sedevo nel secondo banco della fila di sinistra, vicino ad Antonio Noale di Dueville. Appe-na entrata, linsegnante di matematica, fissandomi con sguardo cattivo, disse ad alta voce: Pan, tuo padre stato arrestato. Certe persone stanno bene solo in galera. Rimasi di gelo. Antonio, da sotto il banco mi strinse i polsi in segno di solidariet. Io, a testa alta, la fissai negli occhi ma rimasi in silenzio. Dentro di me il fuoco, e mi ri-promisi me la pagherai!. 4 Da quel giorno evitai tante lezioni di matematica. Dato lo stato di guerra non era obbligatoria la frequenza continuativa a scuola, erano sufficienti alcuni colloqui periodici. Cos avvenne anche nellanno successivo, il 1944.

    Mio padre si fece benvolere anche in prigione. Fin dal primo momento lo assegnarono come scrivano allufficio matricole. Attraverso il capo carceri e sua mo-glie - che abitavano all'interno delle mura, con entrata dalla parte esterna angolo stradella dei Mugnai - riusci-vo a portare, quasi ogni giorno, del cibo. Pi volte ebbi modo anche di vedere pap dalle finestre di quell'abita-zione, durante il cosiddetto passeggio.

    Precedentemente avvertito della mia presenza, cer-cando di non farsi notare egli mi guardava e mi sorri-deva, come per darmi coraggio. Quelle concessioni non erano certo gratuite! La moglie del capo carceri prov-vedeva regolarmente all'incasso. Dopo un intervento

    !

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    del giudice Frassino, che aveva sostenuto la totale in-consistenza delle accuse, a ventidue giorni dallarresto pap venne rilasciato.

    Si intensificarono i bombardamenti nelle grandi citt italiane. Per ragioni di sicurezza, ma anche per essere meno in vista, ci trasferimmo a San Pietro in G, ospiti in una vecchia grande casa di un amico di pap, Gio-vanni Rigon, suo compagno darmi nella prima guerra mondiale. Trasferimmo una parte di mobilia, pure man-tenendo funzionante l'abitazione in fabbrica.

    Secondo arresto di pap e sequestro del l 'az ienda

    R ientrato in Italia dopo essere stato liberato e trasferito in Germania dai tedeschi, Mussolini si stabil a Gargnano, sul lago di Garda, da dove dette vita alla Repubblica Sociale Italiana. Fu quindi avviata lorganizzazione della Guardia Repubblicana, delle Bri-gate Nere, della 10ma MAS e di altri gruppi dellesercito fascista. Furono richiamati alle armi giovani e reduci. A quel punto, parecchi giovani furono posti difronte allalternativa di adeguarsi all'arruolamento o di andar-sene alla macchia, con i partigiani. Difficile imboscarsi! Anche il nostro capo del triangolo verde, Marcello Ci-scato - era del 1926 e quindi soggetto alla leva - decise con altri giovani del gruppo di rifugiarsi sui colli Berici, portando con s tutte le armi precedentemente nasco-ste. Da San Pietro in G, con mio padre e mia sorella, mi recavo spesso a Vicenza: pap andava in azienda, noi due a scuola. In bicicletta naturalmente, non avendo autorizzazione per luso di nessuna delle automobili di

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    nostra propriet. In fabbrica disponevamo unicamente di un motocarro Guzzi 500 e di un camion BLR, in uso durante la prima guerra mondiale, e che andava a car-bonella, ossia a gasogeno. Verso met ottobre 1943 - mio padre era in ufficio - ecco arrivare di nuovo la polizia ausiliaria, che per la seconda volta procedette allarre-sto di Giocondo Pan. Condotto in questura e interrogato circa le sue attivit di antifascista, venne quindi trasfe-rito al carcere di San Biagio. In cella c'erano anche il suo amico flautista Elsi e un conoscente, Romolo Dal Toso, oltre ad altri detenuti per reati comuni.

    A Vicenza, i tedeschi avevano organizzato il loro quartier generale nellex albergo Roma. La Guardia Re-pubblicana, comandata dal maggiore Mantegazzi, era a Borgo Casale, nellex caserma della Milizia Fascista confinante con la nostra fabbrica.

    La polizia ausiliaria, al comando del capitano Polga, era in questura oltre che in dislocazioni minori. Poco dopo il secondo arresto di pap, comparve in scena un certo Eugenio Zardo 5, presentandosi come cognato del Dal Toso oltre che come interprete presso il comando tedesco. Disse di poter aiutare ma. cominci chieden-do a mia madre denaro. Subito dopo arriv un ordine di requisizione dellazienda, che venne trasformata in centro di raccolta vini per distillazione allo scopo di produrre benzina. Commissario con pieni poteri venne nominato un nostro ex dipendente, il veronese ragio-nier Marchi, naturalmente di provata fede fascista. Alto, magro, dallo sguardo arcigno, portava occhiali con lenti spesse, grosse come cristalli. Contemporaneamente il mio amico Rinaldo continuava a lavorare in azienda. Il bar-birreria Sartea venne requisito e trasformato in

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    posto di blocco per i tedeschi e gli uffici della polizia ausiliaria vennero alloggiati al piano soprastante. Con Rinaldo, prima del sequestro, eravamo riusciti a recupe-rare una consistente scorta di liquori (cognac Sarti 3 Val-letti, maraschino Luxardo e qualche migliaio di bottiglie di Cartizze) nascondendoli dentro il forno di cottura del malto, murandone l'entrata per bloccarne l'accesso.

    Sciacal l i e sc iacal laggi

    La situazione di mio padre si fece molto difficile, i fascisti avevano bisogno di vendicarsi, occorreva gente da sacrificare. Si tentarono tutte le vie possibili per liberarlo, senza alcun esito. Ricordo la disperazio-ne della mamma. Una sera l'avevo lasciata in camera, inginocchiata di fronte al letto di pap, la mattina dopo lavevo ritrovata ancora sveglia nella stessa posizione. Il clima in carcere era di terrore, i fanatici fascisti non rinunciavano a prelevare i prigioneri politici per fucila-zioni di rappresaglia, e spesso qualcuno veniva spedito nei campi di sterminio in Germania.

    A Verona, vicino al lago di Garda, cera il comando tedesco di tutte le truppe italiane, sotto la guida del Feldmaresciallo Erwin Rommel: da lui dipendevano quindi anche i miliziani della Repubblica Sociale Ita-liana. Uno dei cugini del ramo bolzanino della nostra famiglia, Josef Pan di Kempten, era sposato con la fi-glia di Rommel. Contando su questa lontana parentela, cercammo contatti con il generale, ma tutto fu inutile, non riuscimmo ad avvicinarlo. Si fece avanti invece,

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    in quella critica circostanza, un medico amico di fa-miglia, che apertamente chiese - per conto e nome del famigerato capitano Polga - la bella cifra di un milione di lire in contanti, il prezzo stabilito per la liberazione di pap. Per dimostrare la validit della fonte, ci dis-se che il giorno dopo lo avremmo potuto incontrare nel suo ambulatorio, durante un trasferimento in questura. Mamma fece presente che una somma del genere non era facile da mettere insieme in quattro e quattrotto e chiese tempo. Il giorno successivo, potemmo vedere pap in stradella dei Mugnai, fra san Biagio e via Riale. Ricordo lincontro pietoso, mia madre era senza speran-za. Nel frattempo, continuavo - compiacente la moglie del capo carceriere - a portare da mangiare a mio padre e riuscivo anche a vederlo, da una finestra, durante la-ria.

    La cifra del riscatto era enorme, e dovemmo con amarezza constatare che tutto il denaro depositato nel-le varie banche era stato gi prelevato dal commissa-rio ragionier Marchi. Una rapina in piena regola. Alla mamma non rest che bussare a tutte le porte possibili, riuscendo finalmente a racimolare la somma richiestale. Il medico amico ne fu avvertito, ma insieme chiedem-mo di poter consegnare il milione di lire in contanti al capitano Polga in persona, e a casa nostra. La sera stes-sa, era buio fondo, si presentarono da noi il medico e il Polga. Consegna dei soldi eravamo in cucina - poche parole da parte nostra e promessa di immediata libera-zione da parte loro. Passarono giorni e settimane, mio padre rimaneva in galera e i due si erano resi irraggiun-gibili. Oltre quaranta giorni erano trascorsi dallarresto, e avevamo tanta, tanta paura.

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    L'appel lo a Rommele i l s u o i n t e r v e n t o

    Una nostra cugina di Bolzano, la carissima Maria Pan, venuta a Vicenza per procurarsi la docu-mentazione dimostrativa della sua origine ariana(cio non ebrea), apprese della disperata situazione di pap. Pregammo lei, cognata della figlia di Rommel, di cerca-re gli opportuni contatti al fine di intervenire a nostro favore.

    La provincia di Bolzano, in sud Tirolo, era zona te-desca amministrata dalle SS. Il 20 novembre 1943 venni a sapere, dalla moglie del capo carceri, che due uomini in divisa della Feldgendarmerie, la polizia militare tedesca, si erano presentati con un ordine di consegna relativo al signor Giocondo Pan.

    Una volta prelevato il prigioniero, erano partiti per destinazione ignota. Realizzammo in seguito che pap era stato affidato ad uno dei nostri numerosi cugini di Bolzano e subito nascosto nellaltopiano di Renon, in una vecchia baita di propriet della famiglia. A tran-quillizzarci era arrivato un messaggio telefonico che ci informava che pap era al sicuro.

    A guerra finita si seppe che il 21 novembre, giorno successivo alla liberazione di mio padre, il Feldmare-sciallo Rommel aveva lasciato Verona, dove era arrivato dalla Sicilia, per assumere in Francia il comando delle Armate occidentali.

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    D i s o n e s t i e r i c a t t a t o r i s o t t o m e n t i t e s p o g l i e

    Ed ecco a San Pietro in G riapparire il famoso Zardo che, con la scusa di un saluto a mia madre, in modo viscido chiede notizie di pap, riaffermando la pi completa disponibilit in caso di bisogno. Ebbi la netta sensazione trattarsi di uno sciacallo tuttora in cerca di preda.

    Sono a Vicenza, un pomeriggio doposcuola e de-cido di recarmi nellufficio del commissario Marchi, il ragioniere ex dipendente della ditta Pan. Senza tanti preamboli, gli chiedo spiegazione dei prelievi di dena-ro effettuati dai conti correnti della nostra famiglia. Per tutta risposta mi ride in faccia e mi impone di uscire immediatamente perch quelle: Non sono faccende per bambini. Ho tredici anni e mi sento pi che responsabi-le della situazione! Dopo appena una settimana, il caro ragioniere spar dalla circolazione prelevando anche il poco restante denaro dell'azienda commissariata. Al suo posto subentr il maggiore Miotti, direttore della Sepral, l'ente di controllo alimentazione.

    Eravamo a fine novembre e i bombardamenti delle principali citt della Germania si stavano intensifican-do. Anche in pieno giorno, vedevamo il cielo riempir-si di centinaia di fortezze volanti americane che, ad altissima quota, disegnavano lunghe code bianche di condensa, con successiva nevicata di argentei nastri dalluminio per magnetizzare latmosfera allo scopo di disorientare i sistemi di puntamento delle contraeree tedesche a terra. Ai primi di dicembre, altra visita del

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    famigerato Zardo, per informarci che una nostra vettu-ra Fiat 1100 era stata prelevata dai tedeschi e requisita, ma che naturalmente dietro pagamento di una certa cifra - lauto sarebbe stata restituita. Prendemmo tempo, in bicicletta corsi alla casa di contadini dove lauto era custodita, niente era successo, la macchina era al suo posto. Qualcosa non aveva funzionato nel programma dello Zardo, ma il suo ruolo di ricattatore ci appariva ora ben chiaro.

    N a t a l e 1 9 4 3 , b o m b e s u V i c e n z a

    A rriv Natale, mancava pap, ma lo sapevamo al sicuro. Noi tre stavamo per metterci a tavola quando, a mezzogiorno e mezzo del 25 dicembre, udim-mo una spaventosa eco di esplosioni. Ci precipitammo in giardino: Vicenza veniva bombardata per la prima volta. Tre giorni dopo, il 28 dicembre, seconda incur-sione. Una delle nostre propriet, un vecchio convento a Santa Caterina, fu in parte distrutta; per fortuna gli inquilini si erano riparati in tempo nel grande rifugio predisposto sotto il colle Berico.

    L11 gennaio 1944 compivo quattordici anni (let di mio nipote tienne quando decisi di scrivere queste note diaristiche) e a Verona Galeazzo Ciano, il marito di Edda Mussolini figlia del Duce, veniva fucilato insieme con altri cinque membri del Gran Consiglio del Fasci-smo. Nella stessa Verona venne avviato un programma di terrore nei confronti degli antifascisti e si intensific la caccia agli ebrei. Gli amici Margotti, padre, madre e

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    due figli, vennero a nascondersi a San Pietro in G. Eva era ebrea-americana e perci a rischio. Per loro aveva-mo da tempo prenotato un alloggio sopra il bar-trat-toria da Luison, nella piazza del paese. Con Beppino Aguggiaro, Gino Bortolaso e mia sorella, frequentava-mo saltuariamente la scuola a Vicenza. Era un inverno freddissimo, con punte di meno 10-13 gradi, nevicava abbondantemente, e noi partivamo da casa alle sette del mattino, subito dopo la cessazione del coprifuoco. Via in bicicletta, lungo i sedici chilometri da cui distava la scuola!

    Sempre ai primi di gennaio venne a stabilirsi in pa-ese un battaglione di carristi tedeschi. Molte case fu-rono requisite, e fra queste buona parte di villa Rigon, dove abitavamo. Ci furono lasciate a disposizione una piccola cucina e due stanze. Un ufficiale prese alloggio al primo piano - vicino alla mia camera da letto - e un camerone venne occupato da una decina di suoi soldati. Due carri armati Tigre furono sistemati sotto un grande porticato dellattigua casa colonica. Coman-dante del reparto era il maggiore Nill. Tutti i militari portavano una divisa nera con un teschio sulle spal-line.

    A febbraio era nevicato moltissimo, difficile quindi muoversi in bicicletta. Spesso restavamo in compagnia degli amici Margotti; la signora Eva mi aveva insegna-to a fare i tortellini, minuscoli come nella tradizione romagnola di suo marito. Per quanto si riferiva all'ali-mentazione eravamo fortunati, dal momento che pap aveva comprato, prima della guerra, una propriet agricola nel comune di Borgoricco, nel padovano, e da l attingevamo molti generi essenziali alla sopravvi-

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    venza. Con un carrettino trainato dalla bicicletta, io e mia sorella facevamo circa quaranta pi altrettanti chi-lometri per volta, per rifornirci di polli, uova, farina ed altro. Accadde un giorno che, abbordando troppo sportivamente una curva, il carretto si ribalt e tutti i polli finirono in un campo vicino, e noi due a rincor-rerli, e i contadini intorno a ridere nella speranza che qualche volatile potesse evadere .

    Avevamo imparato anche a ricavare il burro dal lat-te, a fare il sapone e a insaccare il maiale. Riuscivamo anche a studiare, non molto a dire il vero, ma soprat-tutto matematica.

    Il 18 marzo, altro bombardamento notturno su Vi-cenza. Vedo da lontano una massa di fuoco alzarsi nel cielo della citt, coperta in ondate successive da spez-zoni incendiari. Molti i palazzi antichi colpiti, distrutti, abbattuti o gravemente feriti. La mattina mi precipito in citt: indescrivibile il terrificante spettacolo. Sulla nostra fabbrica sono caduti parecchi spezzoni. Nella notte, Rinaldo riuscito a spegnere alcuni focolai d'in-cendio. Setacciamo tutte le stanze, soprattutto quelle dei piani superiori, e vi troviamo parecchi spezzoni inesplosi. Ad opportuna distanza e aiutandoci con una pertica, li prendiamo al laccio; con un lungo spago li portiamo quindi allo scoperto, recuperandone oltre una decina. Andiamo poi nella piazza dei Signori. La Basilica Palladiana, completamente scoperchiata, an-cora avvolta dalle fiamme. Alcune persone piangono.

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    D a i R i n a l d o,che andiamo in montagna. . .

    La primavera del 1944 era alle porte e rivelai a Rinaldo le mie intenzioni: non appena il tempo me lavesse permesso, avrei raggiunto i partigiani in montagna. Egli non ne fu entusiasta, ma mi disse che non mi avrebbe lasciato partire solo. Avevamo messo da parte notevoli quantitativi di generi alimentari dure-voli, soprattutto scatolame, in caso di.... ma il solitario Rinaldo se n'era servito per saziare la fame. Da quel mo-mento, ad ogni mia visita in citt, portavo nuovi viveri che avrebbero dovuto servirci in viaggio e in montagna. Procurai anche due zaini con indumenti di lana e ogget-ti di prima necessit.

    Con Gino Bortolaso, anzich andare a scuola, ci re-cammo un giorno allaeroporto, lungo la strada di Ret-torgole: ci avevano informati che era caduto un grande aereo tedesco. Vedemmo infatti una vacca volante, comera chiamato quel tipo di aereo da trasporto a sei motori. Per il troppo carico era finito, in fase di decollo, dentro il fiume Retrone alla fine della pista. Laereo si era squarciato, e mostrava il suo carico di decine di migliaia di uova quintali - una frittata di misure eccezionali! La primavera stava arrivando. Recatomi da Rinaldo per stabilire la data della partenza per la montagna, eccomi la brutta sorpresa! Il mio amico aveva cambiato idea, e per prima cosa mi fece sapere di avere consumato tutte le provviste, perch aveva fame, e poi che non si sentiva di abbandonare casa e azienda, tanto raccomandate alla sua custodia da mio padre. Tutto da ricominciare.

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    Ai primi di maggio, sono in bicicletta alla volta di Vicenza, pedalando accanto ad una bella ragazza incon-trata spesso allaltezza di Bolzano Vicentino. Improvvi-samente vedo nel cielo un aereo da caccia in picchiata verso di noi, vicini ad un camion della Satsu (BLR a ga-sogeno per il trasporto di torba). Urlo alla giovane di buttarsi nel fosso laterale, ma non mi d ascolto e si ri-fugia invece dietro il camion. Terribili raffiche lacerano laria. Scioccato, dalla fossa dove mi sono tuffato vedo la ragazza morta accanto al camion incendiato. Lei sor-ride ancora, ha il viso intatto, una pallottola perforante le ha lacerato il petto e unaltra le ha scavato un immen-so buco su una gamba. Non perde sangue. Pochi attimi prima parlavamo tranquilli, lei mi sorrideva conser-va ora lo stesso dolce sorriso che l'aveva accompagnata alla morte.

    . e a l lora , v ia con Francesco!

    Impressionata dallaccaduto, mamma decise di non mandarmi pi a scuola, stava diventando troppo pericoloso. Per essere almeno un poco tranquilla mi fece spostare nella vecchia casa paterna dei Laghi, a Campa-gnari di Tezze sul Brenta. Col vivevano tre sorelle di mio padre e con loro cera un nipote, il bassanese Fran-cesco Pan, nato nel 1927 e quindi di tre anni maggiore di me. Parlai al cugino del mio progetto di raggiunge-re i partigiani dellaltopiano di Asiago, e subito egli si dimostr entusiasta dellidea. Aveva, fra laltro, abitato per molti anni a Gallio, ne conosceva luoghi e persone. Di nascosto preparammo viveri, indumenti, due zaini,

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    un p di soldi, scrivemmo un enfatico messaggio per spiegare alle zie che andavamo a salvare la patria.

    A mezzanotte in punto, gi dalla finestra della no-stra stanza e via! Eravamo da due ore in viaggio, in direzione Cartigliano, dove una barca faceva servizio di traghetto sul Brenta, quando una pioggia torrenzia-le, accompagnata da lampi e tuoni, prese a intralciare il nostro cammino. Nel buio notammo una luce accesa in una vicina casa colonica. Entrammo nel cortile per chiedere rifugio e notammo una donna con ombrello (con tutta probabilit stava andando al gabinetto alla-perto). Come ci vide, quella si mise a gridare a tutto fia-to e noi allora via di corsa in ritirata strategica. Arrivati al fiume, aspettammo la fine del coprifuoco per essere traghettati. Dopodich ci dirigemmo verso Bassano, sempre attraverso i campi per evitare la citt. Giunti in localit Acque ci accorgemmo di essere seguiti da al-cune persone. Faceva gi giorno. Accelerammo il pas-so, ma quelli dietro non mollavano. Notata una grossa roggia, non esitammo a buttarcisi dentro, tanto erava-mo bagnati fradici. Gi in acqua ci mimetizzammo sot-to alcune frasche. Mamma mia che freddo! Lacqua era gelida. Tremanti - anche di paura - vedemmo passare alcuni militi delle Brigate Nere. Fummo fortunati, se i nostri inseguitori ci avessero catturati, ci avrebbero prima ammazzati e poi interrogati!

    Affrontammo quindi, lontani dalla strada, la salita per Rubbio, uno strapiombo sulla pianura, mille metri di dislivello. Quattro ore di dura marcia: arrivammo stanchi morti ma soddisfatti. Unico inconveniente era che, camminando con le scarpe bagnate, la pianta del piede sinistro cominci a dolermi, lattrito aveva in-

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    teressato la parte callosa. Conseguenza questa di una lunga permanenza a bagnomaria.

    Evitammo il paese di Rubbio, sostammo brevemen-te per mangiare qualcosa (i viveri in scatola per for-tuna non si erano bagnati) e per riposare un pochino. Camminammo poi per altre quattro-cinque ore, in di-rezione di Gallio. A Campo Mezzavia notammo, disco-sta dalla strada, una vecchia stalla e vi entrammo con l'idea di passare la notte nel fienile. Prima di noi, forse da tempo, vi aveva preso alloggio un vecchio dotato di una folta barba bianca. Ci chiese dove fossimo di-retti, rispondemmo di essere aiuti malgari; si disse contento di poterci aiutare, mangiammo ancora qual-cosa che dividemmo con lui. La pianta del mio piede era ricoperta di piaghe; con me avevo della tintura di iodio, mi serv a disinfettare ma non a lenire il dolore. Stendemmo gli indumenti bagnati ad asciugare e an-dammo a dormire sotto il fieno. Non cera bisogno di sonniferi, eravamo stremati, dopo diciotto ore di per-corso e con gli ostacoli incontrati.

    Risveglio allalba, ma ci accorgiamo di non essere soli: una montagna di pidocchi ha preso possesso dei nostri capelli e dei nostri corpi. Il vecchio, poverino, si era abituato, forse gli facevano anche compagnia, ma noi siamo a unesperienza tutta nuova. Ripartiamo e al primo ruscello ci spogliamo nudi procedendo ad una prima pulizia scimmiesca. Dobbiamo gettare due ma-glioni strapieni di bestioline. Ma avanti sempre, non saranno i pidocchi a fermarci!

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    I n A l t o p i a n o

    t r a i v e c c h i p a r t i g i a n i

    Unaltra intera giornata di cammino verso Gallio. Ci nascondevamo quando sentivamo rumore di automezzi, o incontravamo persone. Il piede ulcerato mi dava fastidio, specialmente durante le brevi soste. Al tramonto, sfiniti, giungemmo in vista del paese. Mi fermai, presi in consegna i due zaini, mi allontanai dal-la strada. Francesco si rec in centro, dove conosceva gente e aveva parenti. Ritorn dopo circa unora con un cugino che ci accompagn nella sua casa. Ci ospitarono con calore, ma la prima operazione fu quella di trattare i nostri indesiderati ospiti con buone dosi di nafta, re-pellente non tanto profumato ma molto efficace. I vestiti vennero immersi in acqua bollente. Sostammo un paio di giorni per rimetterci in ordine. Lo stato di salute del mio piede pot migliorare. Il cugino di Francesco era in contatto con i partigiani della zona e ci diede informa-zioni precise per raggiungerne un gruppo che agiva a poche ore di percorso.

    Non fu facile trovarli, furono invece loro ad avvi-starci e bloccarci. Erano alloggiati in una ex malga sopra un pianoro facilmente controllabile. Non fu un incontro simpatico, ci trattarono come intrusi rompiscatole.

    Era gente anziana e, a nostro parere, estremamen-te burbera. Ci dissero che avevano saputo del nostro arrivo e che ci avrebbero rispediti a casa! Erano stati informati dal comando generale di Padova: su ordine dellavvocato Sabbadin e del comandante Prandina 8 avevano ricevuto disposizioni precise circa il nostro rin-

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    vio al domicilio di partenza. Seppi in seguito che erano stati mia mamma e il mio santolo avvocato Cappello ad avvertire i capi della Resistenza.

    Ci fermammo alla malga un paio di giorni, non riu-scivo a camminare ancora, la compagnia non era n pia-cevole n allegra. Per la prima volta - e fu anche l'ultima - fumai delle sigarette, erano Camel e l'effetto fu deva-stante. Me ne avevano regalato un pacchetto da venti racchiuso in un contenitore di plastica gialla imperme-abile. Le sigarette facevano parte del vario materiale paracadutato ai partigiani tramite lanci. Mangiammo polenta e latte e latte e polenta mattina e sera: almeno erano caldi. Ripartimmo allalba del terzo giorno, non del tutto dispiaciuti. Avevamo fatto esperienze nuove e imparato qualcosa circa la presenza dei ribelli in monta-gna. Ci fu suggerito un percorso di ritorno pi sicuro, in direzione localit Busi. Dormimmo allaperto, anche se con un freddo cane. Non volevamo ripetere lespe-rienza precedente: avevamo ancora i corpi segnati da tutti quei pidocchi.

    Correndo in mezzo a boschi e prati in direzione sud-est, arrivammo in vista della Valsugana, e gi come ca-prioli per la Val Frenzena: un canale selvaggio, strettissi-mo, che in due ore, senza incontrare anima viva, ci port di fronte alla centrale elettrica di Valstagna. Sostammo in riva al Brenta per ripulirci, cambiarci, eliminare qual-siasi cosa sospetta nel caso ci fermassero. Avevamo ora un solo zaino. Raggiungemmo la strada nazionale, nel centro del paese, e difronte a un bar avvistammo un au-tomezzo parcheggiato in direzione di Bassano del Grap-pa. Il camion, completamente vuoto, era un 626 Fiat co-lor grigioverde centinato. Entrai nel bar e vi incontrai

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    un sorridente militare della Guardia Repubblicana. Gli spiegai che eravamo di ritorno da un turno di lavoro in malga e che cercavamo un passaggio per Cittadella. Ri-spose che stava andando a Padova e ci avrebbe dato vo-lentieri un passaggio. Fu cos che avemmo un servizio a domicilio con taxi della Guardia Repubblicana. Scen-demmo a circa un chilometro dalla villa Dolfin, sede della Gestapo (la polizia segreta tedesca). Era quello un centro di morte, di tortura e di spedizione per i campi di sterminio, tutte attenzioni rivolte a patrioti ed ebrei.

    Ringraziamo il nostro ospite e ci incamminiamo per una strada secondaria in direzione di Friola. Attraver-so i campi arriviamo, in meno di unora, da Battista nei campi delle zie. Sono circa le quattro pomeridiane e, come ci fossimo dati appuntamento, vediamo zia Maria, la maestra, tra un gruppo di operai che mietono il fru-mento. Alla nostra vista zia rimane di gelo, ci saluta cer-cando di nascondere la sua reazione per paura di essere notata da qualcuno degli uomini. E via a casa ragazzi!... lei in bicicletta, noi dietro a piedi. Ci andr meglio con zia Rita e zia Adele.... che commosse ci baciano e abbrac-ciano. Avvertito, arriva pi tardi il mio santolo Cappel-lo, che esplode in un: Sono fiero di voi!. Quindi, tutto sommato, stato un crescendo.

    R icorda M ar io dove s iamo pi ut i l i . . .

    I l giorno dopo, raggiunta in bicicletta San Pietro in G, con grande sorpresa trovai a casa pap, rien-trato da Bolzano. Ricordo ancora labbraccio senza fine

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    e la gioia di mamma. Tutti insieme, una felicit incre-dibile. Pap ci parl a lungo della sua ultima storia: il viaggio, il soggiorno in montagna, la liberazione, il ri-entro. Purtroppo, ci inform anche della distruzione di una propriet in Bolzano: un grande immobile ubicato a nord della stazione ferroviaria della citt, sulla curva della strada nazionale per il Brennero. Era un edificio di otto piani, quattro sopra e quattro sotto terra: tre di appartamenti, uno di negozi e, interrata al quarto livel-lo, la Cantina Sociale di Santa Maddalena. Un grappo-lo di bombe ad alto potenziale, sprofondatosi fino al fondo delle cantine, era esploso disintegrando lintero fabbricato. I tedeschi fecero poi il resto, allargando la strada del Brennero e costruendo un grande piazzale.

    Informati del nostro ritorno a casa, Giacomo Pran-dina e Nino Bressan 9 vennero a farci visita. Erano loro i responsabili di gran parte delle brigate partigiane del Veneto; collegati con le varie missioni (agenti alleati paracadutati o inviati via mare, tramite pescherecci o sommergibili, a Chioggia e Venezia), da loro dipende-vano inoltre i rifornimenti di armi, munizioni e mate-riali da lanciare di notte su zone prestabilite. Via radio avvenivano i collegamenti con le forze alleate. In par-ticolare, il comandante Nino era sempre in movimen-to per addestrare i nuovi gruppi di guastatori all'uso degli esplosivi. Queste erano solo parte delle attivit dei miei capi. E i miei capi quel giorno mi dissero: Ricordati Mario che siamo molto pi utili alla nostra causa qui in pianura che non imboscati in montagna.

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    Tessera CLN rilasciata il 25 aprile 1945 alla staffetta Mario Pan da Nei Bordignon, comandante della Brigata Damiano Chiesa, parte della Divisione Vicenza guidata dal capitano Nino Bressan.

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    ESPERIENZE DI UN ADOLESCENTE (1944)Una nottata turbolenta

    I l giugno 1944 - dopo dieci mesi terribili signi-fic per pap un periodo di pace. Trascorreva il giorno in compagnia di Giovanni Rigon ed Enea Margotti. Giocavano a carte, scherzando e ridendo; la sera scivolavano al bar Luison, confinante con la villa che ci ospitava, per giocare a bridge. Erano forti e ac-caniti giocatori. Si ritrovavano insieme nel bel giardino della villa e tutto era tranquillo, anche i rapporti con i tedeschi erano cordiali. Purtroppo non dur a lungo. A seguito degli attacchi di sabotaggio alle linee ferrovia-rie, fatte saltare da guastatori della nostra brigata, i te-deschi con la collaborazione del commissario prefettizio Meloni (fascista arrivato da non si sa dove) crearono un servizio notturno di guardia alla ferrovia. Anziani capi-famiglia vennero obbligati a fare turni di notte, cammi-nando disarmati lungo i binari. Avanti indietro, avanti indietro, per tre o quattro notti la settimana, dall'inizio alla fine del coprifuoco, cio dalle dieci della sera alle sei della mattina. Pap, Enea Margotti e Giovanni Rigon partivano scherzando anche quando si trattava di svol-gere quel ridicolo incarico.

    Una sera, pap, che indossava una mantellina nera, prese una pompetta per il Flit legata con una cordicel-la e la mise a tracolla come fosse un fucile. La mossa non pass inosservata: era un palese atteggiamento di

    CAPITOLO

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  • 50

    disfattismo e sfida. Un'altra sera che non erano di tur-no, dopo cena andarono a giocare a carte. Si trovarono al tavolo da bridge in quattro: pap, Margotti, il com-missario Meloni e lufficiale tedesco che dormiva nella nostra casa. Tutto and bene fintantoch il tedesco volle passare al poker. Mio padre ne era contrario, bisognava evitare motivi di discordia. Ma lufficiale e il commis-sario insistettero. Enea e pap erano diabolici giocatori e spennarono i due polli. Solitamente all'ora del copri-fuoco il locale chiudeva e i clienti rientravano alle loro abitazioni.

    Era mezzanotte e pap era ancora fuori. Dormivo quando mamma mi svegli e mi chiese di accertare per-ch pap non fosse a casa. Saltai dal letto e corsi al bar, che confinava con la nostra casa, entrai dalla porta del cortile e in sala trovai i quattro giocatori con Marcello Luison, il proprietario. Notai unatmosfera surriscalda-ta. L'ufficiale tedesco era ubriaco. Feci presente a pap che era ora di rientrare. Sia pap che Enea mi facevano dei cenni, per farmi capire che i due non li mollavano (veramente erano stati ripuliti di tutte le fish). Insistevo nel dire a pap che mamma era preoccupata. A quel pun-to, il tedesco scatt in piedi e si mise a gridare: Mutter mutter mutter e poi mia mutter kaput, mio padre kaput, mia famiglia kaput. Deutschland uber alles!. Di fronte alle urla di quel matto, pap e lamico si alzarono, lasciando tutte le fish sul tappeto e con lenta e diplomatica ritirata ritornarono alle proprie dimore.

    Lasciato il bar che era circa luna, per altre due ore (ce lo raccont pi tardi Luison) il tedesco e Meloni continuarono a bere, criticando ad alta voce mio padre per il gesto irriverente della vicenda della pompetta

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    del flit. Intorno alle tre della stessa notte, avvertii delle urla. Sia la mia camera che quella sottostante avevano finestre con balconi di legno rivolte verso la strada. Im-provvisamente, tre colpi d'arma in successione. Mi pre-cipitai per le scale, entrai dalla porta laterale nella ca-mera dei miei genitori. Mio padre stava fissando i vetri di una finestra con tre fori: le pallottole avevano attra-versato il soffitto e il pavimento in legno della mia ca-mera, andando a conficcarsi sulla tavola, per fortuna di buon spessore, che sosteneva il materasso del mio letto. Dopo pochi secondi udimmo aprire la porta d'entrata, e successivamente battere alla porta a vetri della camera dei genitori, chiusa a chiave. Pap apr ed ecco appari-re il tedesco ubriaco marcio, che non esit a puntare la sua Walter 7,65 in direzione della testa di mio padre. Fu questione di attimi; pap, in camicia da notte e con una prontezza e agilit che non mi sarei mai aspettato, con la sinistra fendente fece volare la pistola e con la destra, gli sferz un potente gancio sulla pancia. L'inaspetta-to ospite piomb a terra come un sacco di patate.

    Silenzio, momento di massima tensione, con il ter-rore che si risveglino i soldati tedeschi che stanno dor-mendo nel camerone. Disarmare e picchiare un ufficiale pu essere la fine per tutti noi. Ma forse i militari non hanno sentito o non vogliono sentire, anche perch que-sto loro superiore solito a comportamenti del genere. Cosa fare? Tramortito e incosciente, il tedesco tuttavia respira. Decidiamo di portarlo a letto nella sua camera al piano di sopra. Lo prendiamo io per le braccia, pap per le gambe, mia sorella - scesa nel frattempo ci apre silenziosamente le porte a vetri. Vestito a tutta norma, gli levo solo le scarpe, rimetto la sua pistola dentro la

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    fondina nera, lasciando le pallottole rimaste nel carica-tore. A gran velocit e sempre cercando di non far ru-more, pap si rivest e si spost nella vicina casa dei contadini, pi precisamente nella loro stalla, dove alle cinque cominciavano a mungere le vacche. Poco prima dalle sei, fine del coprifuoco, egli era gi per strada in bicicletta, diretto ai Campagnari, alla vecchia casa di fa-miglia.

    Alle stesse sei del mattino i tedeschi del camerone erano soliti alzarsi. Tranquillamente, come sempre. Il tenente dormiva, e dorm fino alle undici. Lo vedemmo poi, pallidissimo, attraversare il giardino e avviarsi ver-so il comando nel centro del paese. Che si fosse dimen-ticato o che avesse voluto dimenticare? Tutto prosegu come nulla fosse successo. Pap trov alloggio in una casetta interna alla strada tra Campagnari a Belvedere di Tezze. Distava appena trecento metri da casa delle zie, sue sorelle. E l rimase quasi fino alla liberazione; cio dai primi di luglio del '44 fino alla settimana pre-cedente il 25 aprile del 45. Enea Margotti e famiglia erano nel frattempo partiti per pi sicura destinazione.

    Eccomi responsabi le "staf fetta"

    A fine giugno 1944 cominciai a fare qualche ser-vizio come staffetta. Imparai a conoscere Gia-como Prandina, Nino Bressan, Nei Bordignon, Alberto Bordignon, Nani Berto, gli Angelini e tanti altri. Gli amici capirono abbastanza presto che non ero proprio stupido e cominciarono ad affidarmi missioni abbastan-

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    za impegnative. Con la mia bicicletta Liegi - regalo della mamma - tutta argentea, manubrio sportivo e cambio Singer, portavo messaggi ai partigiani della zona: spes-so a Vicenza, ma anche a Sandrigo, Pozzoleone, Gran-torto, Tavernelle, Montecchio e altre localit. Tra le mis-sioni pi rischiose ci fu quella di portare da San Pietro in G a Vicenza, e poi con Rinaldo a Pianezze sul Lago, una radio trasmittente da riparare (era di color marrone e aveva la forma di una scatola da scarpe allungata). Mi era stato chiesto di portare anche delle batterie d'au-to e cos, sempre con Rinaldo, caricammo su un triciclo dellazienda due batterie da 6 watt e la radio, oltre a dei sacchi per mimetizzare il tutto. E poi su per la strada, in terribile salita, che porta a Pianezze, sopra il lago di Fimon, arrivando a destinazione con la lingua fuori. Era proprio il caso di dirlo, faceva un caldo da matti. Depositammo il tutto presso la chiesa, anzi presso il campanile della chiesa, dove trovammo una signora - la chiamavano maestra - piena di paura, che ci mand via immediatamente. Non avevamo avuto il coraggio di chiederle un bicchiere d'acqua.

    Altra operazione - finanziaria in quel caso - fu quan-do mi dettero due grandi borsoni di stuoia, pieni di de-naro, da consegnare al maggiore Malfatti, in via IV No-vembre a Vicenza. Il denaro era confezionato in pacchi e coperto di verdura fresca. Di solito, quando andavo in citt, per evitare il posto di blocco di Borgo Berga, all'altezza della trattoria Bocaletto deviavo a destra per una stradella che girava verso il cimitero. Quella mattina avevano spostato il posto di blocco all'altezza dell'imboccatura della mia stradina, e caddi in pieno nelle braccia della Polizia Ausiliaria. Buon viso a cat-

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    tivo gioco e. decido di sorridere. Passa! mi dice la guardia senza fermarmi ed io passo. Dopo un attimo di fermezza, mi sento morire dalla paura. Mi tremano le gambe, mi viene la pelle d'oca e - come un razzo volo sul chilometro di strada che mi separa dalla vecchia casa di Porta Padova. Cerco Rinaldo e s, nel nostro granaio, apriamo le borse: contengono pacchi di moneta cartacea da cinque e diecimila lire per un totale approssimativo di quattro o cinque milioni. Soldi stampati dai tedeschi, caduti in mano americane e paracadutati ai partigiani. Mi reco in via IV Novembre, al magazzino di mobili Malfatti, mi assicuro di trovare la persona giusta, con-segno i soldi pi le verdure, comprese nel prezzo, e mi tengo i due borsoni.

    Un'altra r ischiosa missione

    Va a Tavernelle dietro l'albergo Roma e chiedi di Mar-co (era il professor Carlo Segato) e consegna que-sto messaggio. Sapevo che era l'avviso di un lanciodi armi e munizioni da paracadutare in posto segreto. Na-scosi il biglietto infilandolo in una scarpa e via! Arrivai a Tavernelle al posto stabilito, ma Marco non c'era. Ero preoccupato, l'istinto mi dava qualche segnale di pericolo. Devi andare ad Altavilla mi dissero due che non avevo mai visto. Ad Altavilla, in centro, dove c' il Forno del Pane, troverai tre scalini che portano al nego-zio continuarono.

    Altavilla, forno del pane, in curva al centro del pa-ese, tre scalini ed entro nella bottega del forno. Chiedo di Marco. Dalla stanza attigua, esce il professor Carlo

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    Segato. Mentre sto consegnandogli il messaggio, sento lurlo di una donna avvertire: Sono le Brigate Nere!. Marco (nome di battaglia) cio Carlo vola via, saltando da una finestra dietro casa. Come un cretino, io ho un momento di smarrimento, ma mi sveglio e subito pren-do dei pezzi di pane da dietro il banco. Mani in alto sghignazzano come belve irrompendo nella casa i militi vestiti di nero con morte, catene, chiodi e mitra. Uno di loro, puntandomi il mitra, mi fa: Che cosa ci fai tu qui?. Con aria da deficiente rispondo: A so vignu a tore el pan, signor! e, senza aspettare, riparto con il pane in mano. Gi per i tre scalini, hop sulla bicicletta e via - a tutta velocit lungo i trenta chilometri che distano da casa. Senza mai girarmi a guardare indietro.

    Il lancio venne effettuato ma, ahim, anzich esserci i partigiani ad attenderlo, c'erano i militi della Guar-dia Repubblicana di Mantegazzi. Tutti i bidoni vennero trasportati nel cortile della caserma di Borgo Casale. Si potevano vedere, il giorno successivo, dalla nostra fabbrica, bene allineati; i militi si stavano divertendo a scoprirne il contenuto.

    Tra casa, scuola e scherzi di amici

    O ltre a svolgere le attivit descritte, riuscivo a studiare (non molto a dire il vero) e anche quell'anno ero stato promosso. Rimasto ignorante ma... promosso! Dopo la partenza di pap, mia sorella tor-n a dormire con mia madre, al pianterreno. La nostra giornata era cos organizzata: sveglia alle sette anti-

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    meridiane. Chi pensava a farci aprire gli occhi, anzi le orecchie, era una caustica, metallica canzone militare, puntualmente intonata da un centinaio di sottufficiali tedeschi sotto le finestre del loro comandante. Era come sentire, in mezzo ad un grande silenzio, la stridula fre-nata forzata di un treno in corsa. Alle sette e dieci - e questo si ripet per qualche mese - uno squadrone di ae-rei Lightning, bombardieri bimotori a due code, inizia-va la picchiata, in fila indiana sopra le nostre teste, per scaricare le razioni quotidiane di bombe sui due ponti vicini: la strada e la ferrovia di Fontaniva. Alle sette e trenta colazione. Mamma era gi alzata e aveva prepa-rato il necessario. Via poi, in bicicletta, per fare qualche commissione o incontrare amici. Era buona politica far-si vedere con ragazzi non impegnati nella lotta clande-stina, per confondere le idee. Fino alle otto mi recavo in casa Prandina o dagli Angelini, dove c'era il comando, ma dove potevo anche mangiare di gusto una fettina di polenta arrostita con salame (sempre disponibile sulla griglia del caminetto).

    Con i ragazzi avevamo organizzato una squadra di calcio e, la domenica pomeriggio, partecipavamo ad un torneo estivo paesano. Ci spostavamo in bicicletta, in gruppo, giocatori e tifosi. Ricordo i miei amici Gino e Fulvio, Alfeo, Beppino, Eligio, Mario, Mirko e tanti altri. Eravamo tanto affiatati. Di sera facevamo anche qualche incursione nei frutteti di alcune case del vicinato: Mene-ghetti, Rigon, Pesavento, Casarotto e anche dal parroco, monsignor Castegnaro. Proprio nell'orto dietro la cano-nica fui vittima di uno scherzo indimenticabile. Uno di loro mi sfida: Ma tu hai il coraggio di prendere le prugne nel brolo del parroco? Io, stupido, ci casco. Salto la mura, salgo sulla pianta in mezzo al frutteto. Dopo pochi mi-

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    nuti si avvicina una persona, la riconosco, Antonio Prandina, fratello di Giacomo. Vorrei cadere come un frutto maturo e sparire. E lui: Proprio tu, Mario! e rien-tra in canonica. I miei amici avevano suonato il campa-nello dell'abitazione del parroco e allAntonio - che era l per caso - avevano detto che qualcuno stava rubando la frutta. Che amici!!!

    Altre volte, la mattina di buonora, mi recavo in una-zienda agricola trasformata in allevamento di cavalli. Eravamo amici col figlio del direttore, Mario Coeli, e lui mi lasciava cavalcare degli animali bellissimi, era-no della famosa Razza del Soldo, una delle pi pre-giate in Italia. Lintero allevamento con la scuderia era stato spostato, da Milano nella nostra zona, per ragioni di sicurezza e per sfuggire i frequenti bombardamen-ti. I cavalli dovevano essere condotti a passeggio tutti i giorni, uno per uno, ed essere cavalcati. Come dire per me unire lutile al dilettevole: cavalcare era una delle mie passioni, e cavalcare le bestie pi belle e famose era come realizzare un sogno meraviglioso.

    Andavamo anche a pescare, ma di notte, e con la cor-rente elettrica. Si agganciavano al volo i fili di qualche linea elettrica vicina ai fossi e poi si buttava in acqua il cavo che terminava con un pesante pezzo di ferro; il pesce veniva a galla paralizzato. E paralizzato rimasi anch'io quella notte che un'enorme anguilla venne a galla e dall'entusiasmo saltai dentro il fosso per recupe-rarla. Mamma mia che scossone! mi sembrava di frigge-re. Per fortuna furono svelti a ritirare il cavo elettrico.

    In bicicletta e in gruppo ci recavamo spesso a nuo-tare nel bacino del Brenta, distante una decina di chi-lometri. Era una grande cava di ghiaia, lunga circa tre

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    chilometri e larga uno. Veniva anche mia sorella con le amiche Chetta e Antonietta De Notti. Si partiva al mat-tino presto per rientrare al tramonto. Sebbene l'acqua forse freddissima (sempre acqua del Brenta era) nuo-tavamo molto, divertendoci a gareggiare attraverso le-norme vasca acquatica. Ma c' sempre un ma. Un bel giorno, mentre in gruppo stavamo nuotando proprio al centro del bacino, dalla riva opposta, in direzione Fon-taniva, una mitragliatrice cominci a spararci in mezzo. Sentivamo le pallottole colpire l'acqua tutto intorno. Era una Breda, lo capii dal rumore e dalla cadenza dei colpi. Sempre sotto la raffica continua, riuscimmo a raggiun-gere riva, afferrare le biciclette e fuggire, in mutande, dalla parte opposta. Miracolosamente nessuno di noi fu ferito. Erano stati quelli delle Brigate Nere di Grantor-to, gruppo comandato da un brigatista conosciuto come il gobbo maledetto. Per loro quel tipo di sparatoria costituiva una forma di distrazione e di esercitazione. Dovemmo purtroppo abbandonare il nostro bel baci-no e riadattarci ai fossi nostrani. La nostra scelta cadde sul Bojo delle Boasse, una pozza dacqua dove si ab-beveravano le vacche al pascolo. Circondata tutto intor-no da piante verdi, era sufficientemente profonda per tuffarvisi.

    Quanta paura! e sempre quel gobbo maledetto

    Una brutta avventura, tuttavia a lieto fine, ci capit un pomeriggio nel corso di una partita di calcio d'allenamento in un campo a nord del paese.

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    Per fortuna eravamo nei pressi di un fosso. Giocavo in porta, l'azione era dall'altra parte del campo. Improv-visamente vidi, in cielo sulla mia sinistra, il riflesso argenteo di due masse metalliche. Capii che erano due aerei da caccia che stavano per picchiare nella nostra direzione. Urlai come un matto agli altri giocatori e mi buttai dietro una grande pianta. I ragazzi si lanciarono tutti nel fosso laterale. Terrificante rumore delle raffiche multiple di mitragliatrice e dei cannoni dei due caccia Thunderbolt, sulla scia delle pallottole traccianti che ferivano il prato. I due aerei risalirono e non ritornaro-no. Dalle finestre delle case la gente aveva assistito alla scena e alla nostra salvezza. Nessun ferito, solo tanta, tanta paura!

    Mamma era spaventata per tutto quello che combi-navo ma, poverina, aveva cominciato ad accettare ras-segnata. Insisteva nel ripetermi che studiare era indi-spensabile, anche perch le frequenze alla scuola non potevano essere regolari, data la situazione di perico-lo continuo provocata dalla guerra in corso. Un amico laureato in matematica, il professor Ezio Zanini, im-boscato per essere renitente alla leva, chiese di fermar-si qualche notte da noi. La casa era tranquilla proprio perch piena di tedeschi. Lufficiale ubriacone era par-tito, sostituito da un collega pi equilibrato. Nei ritagli di tempo avrei cos avuto la possibilit di ripassare per bene e studiare matematica, materia in cui volevo a tutti i costi emergere sui miei compagni di scuola. Mamma e Maria dormivano di sopra, io con Zanini nella camera sottostante. Verso luna della terza notte, sentimmo bat-tere con violenza alla porta d'entrata. Immediatamente svegli, l'amico, afferrati a gran velocit i vestiti, scapp

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    su per le scale fino al granaio del vecchi edificio per poi, attraverso un passaggio segreto, infilarsi nel sottotetto della vicina casa colonica. E ancora avanti fino al fienile soprastante le stalle (aveva prudentemente provato il percorso in precedenza).

    Fu la moglie di Giovanni Rigon ad aprire la por-ta. Erano i soliti delle Brigate Nere di Grantorto con il gobbo maledetto. Mani in alto e invasione di tutta la casa. Iniziarono dalla camera dei miei genitori, but-tando tutto all'aria. Ogni tanto qualcuno si imposses-sava di qualcosa, ma niente di compromettente venne trovato. Uno dei brigatisti mi chiese chi dormisse nella mia camera, risposi che ero solo. Senza fiatare quello mise le mani sotto le coperte e sentendo caldo dai due lati: Bugiardo! Qui ha dormito un altro.

    Non persi tempo e risposi che era mia abitudine dor-mire di traverso. Fui fortunato, dal momento che altri della brigata erano contemporaneamente saliti al primo piano facendo irruzione, sempre con le armi puntate, nella stanza del comandante tedesco. Apriti cielo! Quel-lo usc dal letto in mutande e si mise ad urlare come un ossesso. Tutti si precipitarono al pianoterra, dove arrivarono a salvare la situazione gli otto tedeschi del camerone, chi in mutande, chi vestito, ma tutti armati. Il comandante, sempre fuori di s, intim ai brigatisti di uscire dalla casa, altrimenti avrebbe immediatamen-te ordinato ai suoi uomini di sparare. E, sia pure in un pessimo italiano, disse loro: Raus da San Pietro in G!, cio sparite subito dal paese. Pi tardi, da alcuni indi-zi, capimmo che quei maledetti speravano di trovare mio padre.

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    Mia madre, donna for te e coraggiosa

    In piena estate, un grande lancio di armi ed esplosivi venne effettuato a sud-est del paese. Tut-to era stato scrupolosamente prestabilito e una parte del materiale venne nascosto proprio nell'ampia stalla della nostra casa (ad una decina di metri dallalloggiamento dei tedeschi). C'erano alcuni spazi vuoti sotto lo strato di cemento dovera legata una cinquantina di mucche, il tutto ricoperto da letame e paglia. Il carico d'armi era stato fatto entrare nella stalla su di un carro pieno di fieno. C'erano fucili mitragliatori Bren e Sten, bombe a mano, esplosivi plastici, scatole di matite esplosive da innesco e moltissime munizioni: un piccolo arsenale. Con i tedeschi che facevano da inconsapevoli guardiani, non c'era posto pi sicuro di quello!

    met agosto e spaventatissima arriva zia Ada, so-rella di mia mamma, per avvertire che lo zio Mario era stato arrestato con altre persone e portato nel campo di smistamento di Verona. Era quello un punto di rac-colta dei prigionieri da inviare in Germania. Riferisce a mamma che un tale delle Brigate Nere di Cittadella le ha fatto capire che, andando subito a Verona con del denaro, si pu riscattare lo zio Mario. Mamma non se lo fa ripetere due volte: prende dei soldi, va in bicicletta fino a Vicenza e da l, seduta sul seggiolino di destra di un motocarro Guzzi 500 della ditta guidato dal nostro fidato autista Piero Bertoldo, si reca a Verona al campo di smistamento. Non ho lidea di come si sia mossa, ma

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    debbo dire che di fronte al pericolo mia madre era una donna veramente forte e coraggiosa. Non conosceva nes-suno, non sapeva dove andare, non parlava una parola di tedesco, ma torn con suo fratello Mario vivo e libero.

    La f ine del capitano Polga

    S empre nella seconda settimana di agosto arriv la notizia dellesecuzione del capitano Polga. Dopo una lunga serie di appostamenti in gruppo, cinque par-tigiani avevano messo a segno su di lui un centinaio di colpi dei loro caricatori da quaranta. Egli era stato uno dei primi fanatici comandanti fascisti ad emergere subi-to dopo larmistizio dellotto settembre, distinguendosi per gli orrori, le violenze, le rapine, i furti e i ricatti. Era stato proprio il capitano Polga a incassare da mia madre un milione di lire come contropartita alla liberazione di mio padre, peraltro mai allora avvenuta.

    Polga comandava la polizia ausiliaria, ma era anche un uomo molto intraprendente. noto che aveva priva-tamente organizzato, fuori orario, una banda di oltre una decina di agenti che, in borghese e qualificandosi quali partigiani, terrorizzava i contadini abitanti in case isolate dei Colli Berici e del Basso Vicentino con furti, omicidi, e soprattutto violenze alle donne. Era stato il Comitato di Liberazione Nazionale a decidere lelimi-nazione del Polga, alla cui scomparsa non ci fu reazio-ne immediata, anche se poi seguirono rappresaglie nei confronti dei partigiani. Si lesse molto pi tardi nel quo-tidiano vicentino che anche una decina di agenti della

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    polizia ausiliaria erano stati processati dal tribunale mi-litare, e alcuni di loro fucilati (forse, anche per i fascisti, quelli avevano un p esagerato!)

    Intruppato dai tedeschi per lavor i d i scavo

    Quella domenica dagosto ero in chiesa, era circa mezzogiorno e la messa stava per concludersi, quando tutte le porte vennero spalancate e, armatissimi, entrarono alcuni tedeschi (ma non quelli residenti nel nostro paese) insieme con dei militi delle Brigate Nere.

    Senza tanti complimenti, uno dei brigatisti sale ar-mato sull'altare e ordina a tutti gli uomini di uscire dalla porta posteriore centrale, con le mani alzate. In fila in-diana, mani in alto, fuori in mezzo alla piazza, provve-dono ad una selezione: a casa le donne, i pi i vecchi, i pi giovani e i malandati. Tutti gli altri su nei camion: tre autocarri con sponde aperte ricoperti di telone. Ven-go anch'io accatastato, con una trentina di altre persone, su di un automezzo. E poi un tedesco e un repubbli-chino salgono, puntando verso di noi i mitra, chiudono le sponde e via.... partenza per le vacanze. Ma quali? Dov' il bagaglio?

    Indossavo solo una maglietta e un paio di calzoncini corti, a tasche vuote, sopra un paio di mutandine. In sandali e senza calzetti. Ero il pi giovane del gruppo. Fisicamente dimostravo forse pi della mia et, ma nel-la selezione andavano ad occhio e non per et.... C'erano anche tre o quattro giovani, tutti gli altri erano perso-ne anziane, agricoltori e qualche professionista. Dopo meno di tre ore di viaggio, impolverati, raggiungemmo

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    il centro di Albettone, al confine con Padova. Gi tutti! In fila indiana, davanti ad un tavolino dove una guar-dia delle Brigate Nere chiamandoci uno dopo laltro trascriveva su un registro nomi, cognomi, indirizzi, et eccetera; dopodich ci veniva consegnato un cartellino (senza foto) con l'ordine di non perderlo. Un segno di riconoscimento dell'organizzazione TODT.

    Il nostro gruppo era di circa trenta persone. Non sa-pevamo dove fossero andati a finire gli altri due auto-carri carichi di prigionieri. Concluse le formalit ana-grafiche ci informarono che saremmo stati impiegati in lavori di scavo per la costruzione di una grande fossa anticarro. L'orario di lavoro sarebbe stato continuativo, dalle sei antimeridiane alle cinque del pomeriggio e per un periodo di tempo da loro stabilito. Il cibo sarebbe sta-to gratis. Quanto al riposo notturno, ognuno si arrangi! E. non tentare di scappare o creare altri problemi, per-ch i nostri nomi e quelli dei nostri familiari sono in loro possesso! Ricaricati sul camion, ci portarono in pianura, ad una decina di chilometri in direzione di Agugliaro. Qui dormirete! ci dissero additando il porticato di una casa colonica, dove un centinaio di altri prigionieri si era gi accampato. E per mangiare, seguirete gli altri alle cucine da campo. Imparerete subito!. Ci guardammo in faccia e rimanemmo senza parole, disorientati e confusi.

    Per nostra fortuna emerse, a prendere il controllo della situazione, Aldo Boschetti, un uomo essenziale, pratico e svelto. Per me era zio Aldo. Andiamo al ri-storante disse in tono scherzoso visto che l'ora giusta. Il suo atteggiamento deciso e spiritoso ci infuse un p di coraggio: ci mettemmo in coda agli altri e via verso le cucine da campo. Si trattava di cucine mobili, rimor-chiabili, fatte in serie per le truppe tedesche; assomiglia-

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    vano a scatole nere con due ruote e camino altrettanto nero fumante. Minestra, minestra calda udimmo ripe-tere. Venne il nostro turno. Pronto di fronte a noi l'inser-viente con il mestolo alzato ma... dove la mettiamo?.... Tornate domani sera con un recipiente e. avanti! Pren-demmo la nostra razione di pane, mai visto un pane cos fetente e scuro, anzi oscuro. Rientrammo all'accampa-mento senza parole.

    Subito il nostro amico Aldo ci riun per cercare di fare il punto. Eccone in sintesi quanto ricavato: per poter mangiare occorrono dei recipienti dove raccoglie-re il cibo, quindi qualcuno di noi deve mettersi alla ri-cerca; bisogna immediatamente mettersi in contatto con le rispettive famiglie dal momento che ci si trova isolati: che ci mandino dei soldi e ci aiutino in questa critica situazione; dobbiamo organizzarci per poter dormire. Almeno avevamo un programma. Non era facile trova-re non dico un piatto, ma una qualsiasi cosa che potesse contenere la minestra. Problema condiviso forse da circa altri diecimila prigionieri distribuiti nell'area di una decina di chilometri. Io, fortunato, trovo una zucca. La taglio a met, la pulisco e preparo il mio servizio da sei (la zucca era abbastanza grande). Altri trovano vec-chi barattoli di latta e contenitori di varia specie. Buttia-mo tutto in ridere.

    Comunicare con casa un problema, non c' un te-lefono, non una persona che possa fare da tramite o che possa andare ad avvertire la famiglia. Quanto al dormi-re, abbiamo della paglia che sembra non sia stata ado-perata (avevo il sacro terrore dei pidocchi e delle pulci, preferivo la fame ai pidocchi). Mettiamo a posto la no-stra paglia nella parte terminale del portico e. a nan-na, meglio dormirci sopra.

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    Alle cinque, sveglia! Non avevamo uno specchio, non un pezzo di sapone n un pettine, ma soprattutto mancava l'acqua per lavarsi e non esistevano gabinet-ti (c'erano quelli dei contadini, ma l'accesso era seve-ramente proibito). Tutti in fila per la colazione, questa volta con i nostri contenitori di fortuna. Il caff ci venne servito, anche abbondante ma cos cattivo, cos amaro da sembrare cicuta, se non altro era bollente. Due fette di pane e un cucchiaio di margarina. Non mangiavamo da due giorni ma... piuttosto di niente! E poi al lavoro. Un capo operaio (era gente pagata) ci guid alla zona a noi designata. Trovammo un soldato tedesco anziano seduto in mezzo al campo; sul tavolino di fronte a lui c'era un grande foglio sul quale ognuno di noi avrebbe dovuto scarabocchiare il proprio nome. Mi accorsi di al-cune firme a forma di croce e questo mi consol.

    E poi gi nel vallo, uno scavo profondo sei-sette me-tri, largo una quindicina e lungo chilometri e chilome-tri. Ci danno delle pale, dei picconi e delle carriole. Ogni zona ha un capo operai che distribuisce gli incarichi. Ci insegnano che cosa fare, ma notiamo subito che la gente lavora solo quando si sente l'ondata della parola: Piove, piove, piove, piove, piove.... il segnale che il tedesco di guardia sta per arrivare e allora... sotto!

    Spedito in cerca di aiuti comunitar i

    In terminabili le dieci ore di lavoro. Arrivarono fi-nalmente le cinque del pomeriggio, nuova firma sul foglio e via a cena. La mia zucca sapeva di caff ma bisognava sorvolare. Minestra: tante patate e carote in

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    tantissima acqua. Almeno era gratis e cerano in pi due fette di pane nerofumo. Rientrammo sotto il portico quando Aldo, fissando ora luno ora laltro di noi, dis-se: Che cosa fare? Qui bisogna trovare qualche soluzione! Qualcuno deve raggiungere il nostro paese perch ci siano inviati soccorsi, soldi, viveri e rinforzi.

    Nessuno fece un passo in avanti, e cos io mi offrii di partire per San Pietro in G allo scopo di organizza-re gli aiuti. Feci notare che era impossibile accorgersi dellassenza di qualcuno di noi per due ragioni: i soldati di guardia cambiavano spesso, era quindi impossibile conoscere personalmente tutti i lavoratori; e poi tutte quelle croci come avrebbero fatto, in quel casino di fogli firmati anche con molte croci, a identificare le per-sone che avevano firmato? Chi erano i crociati?

    Chiesi che qualcuno segnasse a mio nome il foglio di presenza e che mi fosse procurata una bicicletta: sa-rei andato in cerca di soccorsi. Accettarono la mia can-didatura, ero il pi giovane del gruppo e potevo con pi facilit passare i controlli dei posti di blocco lun-go il percorso. La bicicletta ci fu prestata su cauzione (raggranellando i soldi rimasti a qualcuno in tasca) e intorno alle sei del mattino dopo, alzato il coprifuoco, partii. La bicicletta era duretta da pedalare, ma la voglia di casa era tanta. Avevo con me anche del denaro che gli amici mi avevano consegnato per il viaggio.

    Dovetti necessariamente attraversare Albettone, evi-tando tuttavia la caserma delle Brigate Nere, e mi infilai quindi su strade di campagna. Arrivai a Lovolo, ero af-famato. Entrai in una casa di contadini e chiesi se, pa-gando, potevano darmi qualcosa da mangiare. Furono generosissimi: polenta calda, latte, formaggio, salame e

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    perfino un bicchiere di clinton. Si divertivano a vedermi mangiare. E niente soldi, tutto gratis. Grazie ancora! Ri-focillato per bene, risalii felice sul mio velocipide e via! Montegaldella, attraversamento della nazionale Vicen-za-Padova a Grisignano di Zocco, aggirando Camisano, e poi Villalta, Lanz e San Pietro in G. Avevo percorso una settantina di chilometri, e a mezzogiorno ero gi a casa. Mamma mi strinse fra le sue braccia e non sapevo che cosa dirle, ubriaco di gioia. Le spiegai le ragioni di quella mia presenza e le dissi che avrei dovuto rient