portfolio macrì pittatore

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Macrì Pittatore www.macripittatore.it

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francesca macrì and irene pittatore art portfolio

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Macrì Pittatorewww.macripittatore.it

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La forma è il contenuto precipitato dell’urgenza di prendersi carico della propria consistenza nel mondo e sul mondo in una costante vigilanza sulla necessità e sui limiti del proprio agire quali individui membri di una collettività.La forza del dialogo, dell’ascolto e della contraddizione sostanzia e alimenta l’informarsi del pensiero nella dura fibrillazione della sintesi. E corrobora la resistenza della lotta nello sfacelo, che se troppo a lungo per indolenza e male di vivere si infrange, è meglio rimuoversi che galleggiare.

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In un recente articolo su “Flash Art” (febbraio-marzo 2009), Pierluigi Sacco si interrogava intorno alla scarsa, quando non addirittura inesistente, dimensione politica della giovane arte italiana. “Per qualche ragione, gli artisti italiani si tengono alla larga da queste latitudini”, in controtendenza rispetto a una geografia d’indagine che altrove ha assunto nel corso degli ultimi anni un ruolo determinante nella pratica artistica e curatoriale, spiegando “almeno in parte... la significativa eclissi delle ultime generazioni di artisti italiani nel circuito internazionale”. In un paese in cui, scrive Sacco sottolineando quella che appare come un’evidenza, “non mancherebbero gli spunti di riflessione” per un’arte che possa dirsi, a nostro avviso, pienamente consapevole del proprio tempo e soprattutto capace di prendere la parola, “mancano le condizioni per far sì che un dibattito sulla dimensione politica della pratica artistica possa anche solo alimentarsi”, l’alternativa è l’invenzione, da parte degli stessi artisti di “spazi all’interno dei quali tutto ciò possa avvenire, con modalità nuove rispetto al passato”. Uno di questi spazi, un piccolo, “ostinato” spazio intellettuale di resistenza alla disattenzione è quello costruito, attraverso i loro progetti, da Francesca Macrì e Irene Pittatore.Abbiamo invitato Macrì-Pittatore al workshop tenuto da Massimo Bartolini nell’ambito della rassegna Proposte promossa dalla Regione Piemonte, da noi curata nel 2008. Del loro lavoro ci ha colpito innanzitutto il loro modo di esercitare il diritto di parola, a partire dalla sua sofisticata articolazione quale condensato di una riflessione intorno ad alcune tematiche che, partendo da una esplicita critica al sistema dell’arte attuale, si aprivano a un contesto più ampio sollevando interrogativi urgenti in merito alla responsabilità dell’artista, alla sua relazione con il pubblico, fino al senso del lavoro immerso in una cornice storica segnata da cambiamenti e conflitti sempre più evidenti e profondi. Abbiamo isolato come elemento significativo della loro ricerca, la ricorrenza di una domanda, di un “che fare?” inteso come processo di consapevolezza, mosso in questa particolare circostanza da una netta presa di posizione nei confronti di un sistema che si presenta, in forme sempre più paradossali, come un territorio protetto e autistico.In che modo gli eventi storici che viviamo divengono oggetto di riflessione nella ricerca artistica? Quale ruolo hanno la cultura e l’arte (gli intellettuali, gli artisti) in questo tempo? A lungo, nel corso del workshop e nella progettazione della mostra, ci si è confrontanti su questi interrogativi, ai quali Macrì e Pittatore hanno risposto manifestando un senso di disagio e di costrizione che le ha portate a ideare un lavoro inteso quale reazione alla condizione di impotenza (potere di agire, potere di parlare, di dire qualcosa, di “prendersi carico della propria consistenza nel mondo”) che l’inazione comporta. Ribalta è la mise en scène di una porzione di spazio teatrale che mette in crisi la posizione canonica dello spettatore: la platea diventa scena, e questa scena è composta da sedute manomesse, e dunque inutilizzabili. È quel che resta di un atto distruttivo. In sottofondo, nel passaggio tra due tende di velluto rosso all’ingresso della platea, il visitatore ascolta una traccia sonora, i rumori che documentano l’azione di boicottaggio, realizzata con cacciaviti, seghe e martelli. Nel misurarsi con certezze e posizioni consolidate, Macrì e Pittatore scardinano metaforicamente la “dimensione spettatoriale dell’esistenza” che caratterizza la condizione contemporanea, manifestano l’urgenza di mettersi in piedi, di cambiare posizione (scegliendone loro stesse una programmaticamente scomoda), nei confronti di un’arte che alla relazione con la realtà, con il tempo attuale e con gli eventi che lo stanno disegnando, sostituisce spesso, ormai troppo spesso, una forma di silenzio e rimozione.

Lisa Parola e Luisa Perlo, curatrici, a.titolo

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Questioni di urgenze

Nelle nuove generazioni di artisti si parla genericamente di un non coinvolgimento attivo dei giovani nella vita politica. Sono, infatti, molti i lavori di artisti che non riflettono in alcun modo il pre-sente a livello politico o sociale. Indubbiamente questa assenza critica costituisce una delle possibili risposte ad un momento di scarsa fiducia nella collettività, nella classe dirigente e in speranzose e inaspettate prospettive. E se, dunque, per un giovanissimo risulta più facile rifugiarsi nella propria autoreferenzialità narcisistica (poiché nell’impossibilità di un cambiamento radicale, le certezze di un artista sembrano coincidere con la propria storia individuale, vale a dire con il microuniverso che egli ben conosce), nasce, invece, per chi il presente lo intende vivere senza sfuggirlo, la necessità di relazionarsi e incontrarsi per unire pensieri e forze. Questa, senza dubbio, è l’esigenza del duo Francesca Macrì/Irene Pittatore. Due artiste, entrambe torinesi (1979), ma adottate dal 2009 dalla capitale britannica, che lavorano costantemente in coppia.Che siano, infatti, performance, azioni collettive o installazioni, la loro ricerca a due indaga criticamente la posizione dello spettatore rispetto al sistema (Ribalta e Cattività, 2008), il capovolgimento degli stereotipi e dei significati che siamo soliti attribuire a un dato oggetto o mondo (Numero delle banane, 2008) e, infine, la negoziazione del singolo con l’alterità (Geografie del cambiamento, 2008). Perché Macrì e Pittatore hanno ben presente di essere due membri di una collettività; due artiste che sentono nel loro lavoro una responsabilità sociale, prima ancora che estetica. Ma se davvero l’estetica è la madre dell’etica (J. Brodskij), allora l’estetica può aiutarci a risolvere i conflitti. “La bellezza salverà il mondo” - osservò dopotutto anche Dostoevskij-, e la responsabilità sociale diventa dunque questione etica in quanto si applica e si vede nel campo dell’agire umano. Sperimentando quindi pratiche artistiche diverse, Macrì/Pittatore rispondono così a delle urgenze e, enfatizzando le motivazioni d’intervento, incoraggiano le collaborazioni multidisciplinari arrivando anche a immaginare auto-organizzazioni fai da te. Urgentemente in due.

Caudio Cravero, , curatore PAV - Parco d’Arte Vivente, Torino

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«Cos’è successo nel mondo,dopo la guerra e il

dopoguerra?La normalità. Già la

normalità. Nello stato di normalità non ci si guarda

intorno: tutto, intorno si presenta come normale.

(...) L’uomo tende ad addormentarsi nella propria

normalità, si dimentica di riflettersi, perde l’abitudine

di giudicarsi, nonsa più chiedersi chi è”.

Sono parole scritte da Pier Paolo Pasolini nel 1962,

durante le riprese del film La Rabbia. Muovendo unacritica all’attuale stato del

sistema dell’arte e della cultura, Francesca Macrì e

Irene Pittatore hanno scelto di interrompere uno stato

simile di normalità mettendo in crisi certezze e posizioni

consolidate e operando una forma di resistenza rispetto a quella che definiscono la “dimensione spettatoriale

dell’esistenza”».

Lisa Parola, a.titolo

Foto Roberto Goffi

RIBALTAInstallazione. Tende, poltrone teatrali, audio, faretti, dimensioni ambiente, 2008

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Del confronto e delle discussioni sollevate nel corso del workshop Proposte XXIII, condotto da Massimo Bartolini e curato da a.titolo, sono qui indagati il tema della viscerale commistione di arte e mercato, l’impellenza dell’esercizio costante della responsabilità e del senso del limite etico del proprio dire/agire pubblico, lo sforzo di analisi e di intervento sul nostro tempo.L’emergenza su cui il progetto si incentra è il dilagante ottundimendo delle facoltà critiche nella disposizione spettatoriale con cui genericamente si sta nel mondo, non sentendosi parte attiva e determinante di una comunità, ma osservandone, in modo superficiale e al più con lamentosa condiscendenza, dinamiche e andamenti, nella totale conformità ai dettami più o meno sotterranei attraverso i quali il potere costituito si perpetua.

Oggetto dello ‘spettacolo’ offerto, sancito da una coltre di tendoni rossi/sipario, è una serie di sedute di una platea, scardinate a braccia e rovesciate al suolo. Le poltrone manomesse si offrono alla vista su un palcoscenico sostanzialmente equivalente ad una platea, nel tempo in cui i critici non criticano, gli artisti non hanno il coraggio dell’esposizione e della visione e il pubblico va alle mostre per la moda dell’evento d’arte.Nella considerazione anche della sede preposta all’esposizione, una Accademia di Belle Arti, si impone la necessità di denunciare la straripante spettacolarizzazione della cultura, il suo declinarsi sempre più frequente come fenomeno di intrattenimento massificato.Motore e intenzione dell’assalto alle sedute, del porgere a sé e ai visitatori poltrone inutilizzabili - nell’installazione permarrà un suono di cadute, di lacerazioni, di tonfi, come un’eco che provi a persistere - è quello di offrire ed offrirsi un appoggio impossibile, che preceda - ottimismo della volontà - la presa d’atto dell’urgenza di mettersi in piedi.

Foto Roberto Goffi

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Circo alla Fiera del Levante.Nel corso della XIII edizione della Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo, IP e FM, sfidando la loro stessa morte e (r)accogliendo rifiuti nei propri ampi abiti, si sono esibite nel Numero delle Banane di fronte a bagnanti accorsi con smania di VIP e a una sconcertata troupe di MTV.La sovraesposizione di due corpi affaticati dal proprio portarsi e compromettersi nel tempo dell’emergenza, il perpetuarsi di gesti irrisolti, accusativi e autopunitivi, la caduta sull’asfalto e la finalizzazione dell’urto: un’interpellazione muta, al traffico che non ammette intralci, agli spettatori assembrati a fiotti, a un sistema che rigetta la non conformità.

NUMERO DELLE BANANEPerformance, 2008

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GEOGRAFIA DEL CAMBIAMENTOSito web interattivo. 2008 www.geographyofchange.eu

Il progetto di interaction design, selezionato per la XIII edizione della Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo, dedicata al kairos, si propone di stimolare l’interazione di artisti e visitatori con la mappa di Bari – sede della manifestazione – mediante l’apposizione sulla stessa di messaggi relativi al cambiamento creativo più importante e prolifico nella propria vita.Un flusso di messaggi, mobile, multilingue, scorre idealmente e visivamente tra le vie della città, animandone progressivamente le piazze e i corsi, disegnando un kairos di migliaia di voci, di tensioni creative che hanno trovato esito e frutto.Il progredire dei contributi in mappa può essere a tutt’oggi monitorato on line ed è stato osservato nella sua continua evoluzione, nei locali della Fiera del Levante tra il 22 maggio e l’8 giugno, mediante una proiezione video della pagina web.

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In occasione della presentazione torinese del progetto, IP e FM hanno interagito direttamente, senza la mediazione della rete, con il territorio di San Salvario e la comunità di abitanti, lavoratori e passanti che lo popola.Scopo dell’intervento è stata la misurazione del senso del kairos presente nella collettività, attraverso la sollecitazione di messaggi di cambiamento e l’induzione dei visitatori ad uno sforzo di consapevolezza e di manifestazione attraverso la scrittura. La sede espositiva dell’Artintown si è trasformata nel punto di raccolta, contatto e irradiamento dei segni lasciati dai soggetti in transito, divenuti attori a pieno titolo nel processo di costruzione di una mappa del cambiamento possibile.

GEOGRAFIA DEL CAMBIAMENTO, SAN SALVARIOInstallazione interattiva. Inchiostro su stoffa di recupero, fili, 2008

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Tracciato è l’assemblaggio materico dei contributi raccolti nelle settimane di esposizione presso Artintown, nella forma di un tappeto/tenda costituito dalle stringhe colorate di stoffa di recupero che portano il segno delle proposte/risposte che gli abitanti di San Salvario e i visitatori della mostra hanno lasciato alla domanda Che cosa puoi fare di nuovo o di diverso per contribuire a trasformare il quartiere in cui vivi?

GEOGRAFIA DEL CAMBIAMENTO, TRACCIATOTappeto 400 x 400 cm. Inchiostro su stoffa di recupero, 2008

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CATTIVITÀInstallazione, video 60’, stampe fotografiche, 2008

Il progetto si incarica di indagare il confine fra resa spettatoriale tout court e autoimposizione di vincoli allo sviluppo di un’azione critica e finalizzata. Gli autori, nella propria personale recinzione/vetrina, agiscono, in un costante moto di auto-osservazione, la propria impossibilità di risoluzione.Nel corso dell’azione performativa la telecamera che documenta l’accadere è posta in una piccola gabbia per uccelli: è l’atto stesso della visione che si mutila, in uno sforzo strenuo di focalizzazione stratificata, di osservazione spietata del fenomeno nella propria brutale e sofferta consistenza. L’evanescenza delle figure che si muovono fuori dalla gabbia, ma dietro le sue sottili aste, disegna traiettorie di sofferenza intermittenti, quasi bidimensionali, privando gli attori e gli osservatori di qualunque confortante meccanismo immedesimativo. Spesso ai margini del quadro, se non addirittura al di fuori dell’inquadratura, le ‘figurine’ agiscono - relegate, osservate, osservandosi - una disarticolazione dolorosa di gesti.Lo sforzo, protratto, di composizione del radicamento della propria gabbia e della volontà, simmetrica e simultanea, di imporre alla stessa una detonazione, è tradotto nell’instabilità di un’immagine statica corrotta - o liberata - dal tratto assertivo del disegno, che scandaglia volute e tortuosità di un corpo contratto e abbandonato e ancora contratto, dove un fardello pesantissimo di stoffa grava sul movimento, occlude e manifesta abrasioni. Un lenzuolo/placenta arancione di anni annoda le gambe, ingolfa la bocca, costringe e addormenta. La matita, come un indice e un punteruolo, in spigoli e salti oltremodo estenua e pungola lo sforzo di visione del riguardante e il gorgo dove la figura si annida.

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POSTCARDSInstallazione e performance. Stampe montate su pannelli in legno con postazione di ascolto individuale e sonorizzazione diffusa, pesce rosso, flebo con sostegno metallico, vasca da bagno, abiti di scena, telo di nylon, farina, petali, 2005.

Postcards è un’ostinazione di vista nel buio, una fibrillazione di figure di un quotidiano sotterraneo e alterato data in assenza. Di questa amputazione portano il segno i pannelli sonori, dove l’emergenza del pensiero è coagulata in forma di frammento, chirurgico e inattuale.La finzione è auspicata nella sua opposizione al falso (oltre che all’autentico) quale segnale di tempo sottratto al quotidiano e dedicato all’inutile che è il tempo dell’arte secondo Wilde.Nel corso dell’azione performativa due corpi scont(r)ano dall’interno ostacoli all’azione, con espediente conservativo si tengono in vita. Il crinale è l’alter(n)ata credulità, un ponte fragile fra il rosso smaltato e amniotico ed un bianco estenuato in disidratate figure. Colori-forma portati addosso come una identità di eccedenze, più salda dello stesso lineamento.

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PLAY 5.0Video HD, 2’, 2008

La figurazione feroce e visionaria dell’atto estremo dello spettatore, ridotto - in una vertigine di avvilimento e perdita di senso - a impugnare contro di sé il simbolo stesso del proprio soggiogamento: un estemporaneo quanto terminale esercizio di una facoltà critica stremata dalla rassegnazione inconsapevole alla propria marginalità.La televisione come strumento di ottundimento delle facoltà di valutazione e approfondimento, braccio del potere e della sua coercizione subdola e omologativa, elemento di sottrazione del tempo all’esercizio attivo delle proprie facoltà.

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La manifestazione, che si propone come evento OFF di Artissima, ambendo a distinguersene e rimanendone una modesta derivazione intrisa delle stesse logiche commerciali, ha avuto come sede espositiva le ex Carceri Nuove di Torino, dove un nucleo cospicuo di resistenti italiani fu recluso e dove furono scritte alcune delle più celebri lettere dei condannati a morte dal nazifascismo.Asse dell’intervento critico è l’interrogazione e l’interpellazione sul senso tralasciato della Resistenza, l’opposizione all’ingombro cieco e utilitaristico di un luogo di tortura e di morte da parte di un’Aiazzone dell’Arte mal travestita di differenza.Per i tre giorni di ParatIIIssima su una soglia si è sostenuto il dissenso con corpo e parole, si è fronteggiato un flusso acritico di spettatori, rotto soltanto da brevi eccezioni.

ParatIIIssima, immagini della manifestazione

MEGLIO MORIRE CHE TRADIREContestazione a ParatIIIssima, 2007

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Meglio morire che tradireDocumento in distribuzione, 10.000 copie

ParatIIIssima, l’evento OFF di Artissima. 9/11 novembre 2007

Che la parata dei paraculi abbia inizio!Si aprano le danze, i banchetti e le sfilate alle ex-Carceri Nuove di Torino, dove Ignazio Vian col proprio sangue, prima d’essere impiccato, scrisse: meglio morire che tradire.

Previo paracquisto del proprio brandello espositivo, cani e porci, sgomberate le celle dagli arredi museali, si arrogano il fiero diritto d’esser “parartisti” e di stipare braccio maschile e femminile delle carceri col proprio estro creativo in foggia d’abiti, tele, accessori, soprammobili, e chi più ne ha più ne metta, il tutto ben condito da musica dal vivo, parasponsor, una brava beneficenza, dj set e abbondanti salatini. Numi tutelari dello spirito del luogo, i paraorganizzatori s’incaricano di vegliare affinché esso non sia leso da opere irrispettose (una qualche sconcia suppellettile, un mal apparecchiato body painter).Brindiamo al successo della parata! Ai 20.000 visitatori dell’Aiazzone dell’Arte che si crede un’anomalia! Lieti camminiamo sulle parole e il sangue di chi ha dato la propria vita certo d’una giusta eredità, saldo nella necessità del proprio sacrificio per un’Italia libera, e conscia, e solida della propria Resistenza, capace di sostanziare una Costituzione.

Al termine del primo sopralluogo di massa abbiamo fatto ritorno in carcere, camminando in silenzio, interrogando i volontari di Nessun uomo è un’isola, l’associazione che si occupa della sopravvivenza del Museo e delle visite guidate. Con l’intenzione di accompagnare lo studio, abbiamo tentato di creare un tracciato fotografico del percorso, ma la macchina non stava alla mano, e l’occhio vedeva male, basso o centrifugo dietro una liquidità muschiosa e ancora, dietro un obiettivo.Sedute sul pavimento della “buca” - il braccio dei condannati a morte - molto più freddo dell’esterno invernale debolmente assolato (quando le coperte erano finite restava solo il fiato, prosegue la guida), abbiamo iniziato a riscrivere, una ad una, su piccoli fogli, le lettere dei condannati a morte, a partire da quelle degli internati della Repubblica Sociale Italiana, come bambine all’abbecedario, con ostinazione faticosa, con pedantesca ossessione alla forma, con applicazione alla riproduzione meticolosa, con solerte fiducia in un disegno più largo, inattingibile ancora, in foggia d’alfabeto composto.Applicazione e studio, alla strenua ricerca di un’assimilazione che non può compiersi. Le parole si scrivono una sull’altra, stratificando o bucando il supporto. Accatastandosi incomprensibilmente, in concrezione materica di inchiostro e strazio.

Uscendo, viene da scrollarsi come cani zuppi d’acqua, come bestie stanche scuotersi.Ma c’è da star saldi, in questa insufficienza di generazione che ci pertiene, vaga e fioca, che ci distingue plasticamente, ontologicamente, dal tempo e dagli uomini delle scelte e della lotta.C’è da scriverne e da gridarne, e pure lieti, del calore di una stanza, della quiete di una sera. C’è da non arrendersi, e domandare riscontro, e dissotterrare la memoria violata.

Irene Pittatore e Francesca Macrì

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Meglio morire che tradireDocumenti calpestati

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Macrì Pittatorep r o g e t t i

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Uno stand/tendone dove assistere alla stracca e sfolgorante esibizione dell’arte contemporanea che si mostra nei propri monumentali meccanismi mercantili e spettacolari, nel moto perpetuo e circolare di un lecca lecca dalle abbaglianti e appetibili spire che espelle, fagocita, solleva denaro e fama nella rassicurante forma dell’intrattenimento. Una volta ottenuta la consacrazione, gli artisti/buffoni sono chiamati a prodursi nel numero delle proprie prodezze, disseminando il recinto di esposizione del prodotto artistico adeguato e dell’eco mediatica del proprio fenomeno.

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Sprechen Verboten L’incontro con Ferruccio Maruffi, ex deportato a Mauthausen, oggi Presidente dell’ANED - Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti. Un anno di conversazioni, passeggiate, silenzi. Il progetto finale di un breve video: in prossimità di un passaggio a livello - ineludibile detonatore della memoria per FM - uno sguardo fermo, nudo e dolce ci interpella e silenziosamente ci comprende senza chiederci d’essere compreso. La forza di una interlocuzione solida e limpida, che travalica il ruolo della testimonianza storica in un dialogo sul presente e con il presente denso di una assoluta resistenza.

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Relazioni? L’indagine sui meccanismi di costruzione dell’oggetto d’amore ai tempi dell’alienazione, lo scollamento fra proiezione fantasmatica e profilo dell’interlocutore, l’ostinata frequentazione dell’impossibile e della distanza, la relazione differita, sbilanciata, irrisolta e monocorde di chi si sottrae al confronto e all’ascolto, nella sospensione della vitalità e della consistenza del dialogo e dei processi di conoscenza.

«On dit tout. Tout ce qu’on peut.Et pas un mot de vrai nulle part.»Samuel Beckett, Oh les beaux jours

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Francesca Macrì (28/10/1979)si è formata presso il Politecnico di Torino

laureandosi in Disegno Industriale e specializzandosi in Design Eco-compatibile con una tesi sull’utilizzo

del teatro nel design.Per alcuni anni si è occupata della realizzazione diprogetti grafici, editoriali e pubblicitari per diverse

agenzie e ha collaborato alla redazione e al progetto grafico delle riviste Aroundinside e Altrementi.

Svolge da due anni un’intensa attività di progettazione del prodotto reale e virtuale e di

ricerca dell’innovazione collaborando con aziende, enti e studi italiani.

Alcuni suoi progetti vincitori di concorsi sono stati pubblicati su libri, riviste di settore ed esposti alla

Biennale del Design di Gwangju (Korea), al Macef, Milano e in alcuni show-room italiani.

Irene Pittatore (01/05/1979)è laureata in Storia delle teoriche del cinema con lode e dignità di stampa presso il Dams di Torino. Dal 2006 con il logo Ninika cura la realizzazione di progetti video e fotografici per numerose realtà nazionali e internazionali.Parallelamente conduce una ricerca sul linguaggioperformativo e realizza installazioni a Milano, Genova, Cuneo e Torino.Nel 2007 ha preso parte al laboratorio fotograficoSguardi femminili dietro l’obiettivo tenuto da Bruna Biamino presso la GAM di Torino. Tra il 2000 e il 2002 ha partecipato ai laboratori teatrali diretti da Krystian Lupa nell’ambito dei programmi de La Biennale di Venezia e da Massimo Munaro per il Teatro del Lemming.

Principali esposizioni e concorsi2008

- Proposte XXIII, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dicembre. Mostra di fine workshop a cura di a.titolo- Corto Dams Festival, Montà d’Alba (CN), luglio. Proiezione del video Play

- ManifestaZOOne, Giardini Fresia di Cuneo, luglio. Esposizione dei manifesti di comunicazione sociale Play e Te lo raccomando, selezionati con menzione di merito- XIII edizione della Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo, Fiera del Levante di Bari, maggio. Presentazione del progetto di interaction design Geografia

del cambiamento, selezionato per la sezione Arti Applicate della XIII edizione della manifestazione internazionale- Artintown, Torino, aprile – giugno. Geografia del cambiamento a San Salvario. Anteprima torinese del progetto vincitore della Biennale

2007- Ex Carceri Nuove di Torino, novembre. Meglio morire che tradire, atto di contestazione a ParatIIIssima 2007, evento OFF di Artissima

Workshops e corsi di formazione2009

- Parco Arte Vivente, Torino, marzo. Workshop GROUND_level sulla trasformazione della materia con Andrea Caretto e Raffaella Spagna- Parco Arte Vivente, Torino, febbraio. Workshop From Genesis To Revelation sul tema del vivente condotto da Dario Neira

2008- Proposte XXIII, Torino, settembre. Workshop Dalla metafisica al martello con Massimo Bartolini, a cura di a.titolo

- Corto Dams Festival, Montà d’Alba (CN), luglio. Workshop su video e documentario con Luca Pastore

Cataloghi e web- Cataloghi Proposte XXII, Biennale Puglia 2008, ParatIIIssima 2007, Corto Dams Festival, ManifestaZOOne

- www.artintown.it, , www.biennalepuglia2008.org, www.bjcem.org, www.cortodamsfestival.it, www.exibart.com, www.teknemedia.net, www.undo.net, www.zooart.it

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