Fondamenti Di Astrofisica Stellare

294
Capitolo 1 Evidenze evolutive nell’Universo stellare 1.1. Gli osservabili stellari La prima antichissima evidenza di quella vasta e strutturata distribuzione spaziale di materia cui diamo il nome di Universo risiede nel flusso luminoso che ci proviene dalle sorgenti stellari. La consapevolezza che tali sorgenti debbano essere riguardate come corpi celesti analoghi al vicino Sole, pi` u volte adombrata nel corso della storia del pensiero scientifico e certamente gi` a fatta propria da Galileo, ` e alla base di una svolta conoscitiva nello studio dell’Universo: dalla Astronomia, intesa come semplice analisi delle posizioni e dei movimenti apparenti delle stelle sulla volta celeste, si apriva la strada all’ Astrofisica ed allo studio delle propriet` a fisiche degli oggetti stellari. Tale studio non pu` o peraltro che essere basato sull’analisi della radiazione elettromag- netica che da tali oggetti ci giunge e quindi, in termini operativi, sulla analisi dei fotoni raccolti da telescopi e focalizzati su opportuni rivelatori. In linea generale, ci attendiamo che una sorgente stellare sia caratterizzata dalla quantit` a di energia luminosa emessa nell’unit` a di tempo sotto forma di fotoni e dalla distribuzione dei fotoni stessi alle varie frequenze o lunghezze d’onda (”distribuzione spettrale” o ”spettro” della radiazione). Fortunatamente, si trova che nella grande maggioranza dei casi tale distribuzione risulta con buona approssi- mazione assimilabile a quella attesa da un corpo nero (A1.1) di opportuna temperatura. Potremo dunque parlare di una “temperatura della sorgente”, e caratterizzare tali temper- ature attraverso opportune definizioni delle “magnitudini” stellari e dei relativi “indici di colore” (A1.2). Le osservazioni mostrano che le temperature stellari risultano tipicamente contenute in un intervallo non molto esteso, orientativamente tra i 3.000 ed i 30.000 gradi Kelvin (K). La distribuzione spettrale della radiazione non dipende dalla distanza della sorgente, dis- tanza da cui dipende peraltro il flusso di energia che raggiunge la Terra. Pi` u problematico risulta quindi risalire dall’energia raccolta alla superficie della Terra all’energia emessa per unit` a di tempo (luminosit` a intrinseca) da una sorgente di cui sovente ` e difficile valutare con precisione la distanza. Metodi diretti (parallassi trigonometriche A1.3) applicati sia da terra che da veicoli spaziali consentono oggi di conoscere con buona precisione la distanza degli oggetti pi` u vicini al nostro sistema solare, che rappresentano peraltro una frazione min- imale dell’Universo osservato. Al di l` a di tale campione locale, la valutazione delle distanze riposa sulla diponibilit` a di opportune “candele standard”, cio` e sull’utilizzo di particolari 1

Transcript of Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Page 1: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 1

Evidenze evolutive nell’Universostellare

1.1. Gli osservabili stellari

La prima antichissima evidenza di quella vasta e strutturata distribuzione spaziale di materiacui diamo il nome di Universo risiede nel flusso luminoso che ci proviene dalle sorgenti stellari.La consapevolezza che tali sorgenti debbano essere riguardate come corpi celesti analoghi alvicino Sole, piu volte adombrata nel corso della storia del pensiero scientifico e certamentegia fatta propria da Galileo, e alla base di una svolta conoscitiva nello studio dell’Universo:dalla Astronomia, intesa come semplice analisi delle posizioni e dei movimenti apparentidelle stelle sulla volta celeste, si apriva la strada all’ Astrofisica ed allo studio delle proprietafisiche degli oggetti stellari.

Tale studio non puo peraltro che essere basato sull’analisi della radiazione elettromag-netica che da tali oggetti ci giunge e quindi, in termini operativi, sulla analisi dei fotoniraccolti da telescopi e focalizzati su opportuni rivelatori. In linea generale, ci attendiamo cheuna sorgente stellare sia caratterizzata dalla quantita di energia luminosa emessa nell’unitadi tempo sotto forma di fotoni e dalla distribuzione dei fotoni stessi alle varie frequenze olunghezze d’onda (”distribuzione spettrale” o ”spettro” della radiazione). Fortunatamente,si trova che nella grande maggioranza dei casi tale distribuzione risulta con buona approssi-mazione assimilabile a quella attesa da un corpo nero (→ A1.1) di opportuna temperatura.Potremo dunque parlare di una “temperatura della sorgente”, e caratterizzare tali temper-ature attraverso opportune definizioni delle “magnitudini” stellari e dei relativi “indici dicolore” (→ A1.2). Le osservazioni mostrano che le temperature stellari risultano tipicamentecontenute in un intervallo non molto esteso, orientativamente tra i 3.000 ed i 30.000 gradiKelvin (K).

La distribuzione spettrale della radiazione non dipende dalla distanza della sorgente, dis-tanza da cui dipende peraltro il flusso di energia che raggiunge la Terra. Piu problematicorisulta quindi risalire dall’energia raccolta alla superficie della Terra all’energia emessa perunita di tempo (luminosita intrinseca) da una sorgente di cui sovente e difficile valutare conprecisione la distanza. Metodi diretti (parallassi trigonometriche → A1.3) applicati sia daterra che da veicoli spaziali consentono oggi di conoscere con buona precisione la distanzadegli oggetti piu vicini al nostro sistema solare, che rappresentano peraltro una frazione min-imale dell’Universo osservato. Al di la di tale campione locale, la valutazione delle distanzeriposa sulla diponibilita di opportune “candele standard”, cioe sull’utilizzo di particolari

1

Page 2: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

Fig. 1.1. Rappresentazione schematica della struttura della nostra Galassia. Le distanze sonomisurate in parsec (1 pc ∼ 3.3 anni luce → A1.3)

sorgenti stellari di cui si ritiene di poter conoscere a priori la luminosita intrinseca dellastruttura.

A questi due osservabili “macroscopici” delle proprieta radiative di una stella si ag-giunge una ulteriore e preziosa informazione a livello microscopico. La non esatta corrispon-denza tra gli spettri stellari e la distribuzione di corpo nero e infatti da attribuirsi in largamisura alla presenza di righe e bande oscure variamente distribuite lungo lo spettro, causatedall’assorbimento selettivo di radiazione (→ A1.4) da parte degli atomi o molecole di cui ecomposta la porzione piu superficiale di una struttura stellare (atmosfera stellare). La teo-ria delle atmosfere stellari consente oggi di risalire con buona precisione dagli assorbimentiosservati all’abbondanza delle varie specie atomiche, fornendoci la preziosa (e per lungotempo insperata) opportunita di acquisire informazioni sulla composizione chimica di taliatmosfere.

1.2. Le galassie: evidenze di evoluzione dinamica

Pur limitandosi al solo osservabile “temperature”, l’esame delle sorgenti stellari suggeriscetutto un insieme di evidenze evolutive collegabili alla storia della materia nella nostraGalassia e, piu in generale, ad una storia dell’Universo stesso, delle sue strutture e dellamateria in esse contenute. E’ su tale quadro di evidenze che l’Astrofisica Stellare e chiamataad operare, al fine di raggiungere valutazioni quantitative che consentano di svilupparel’ambizioso programma di ricostruire nei dettagli la storia dell’Universo nel suo insieme,ricavando tale storia dall’analisi delle testimonianze stellari che sopravvivono disseminatenello spazio.

E’ ben noto come la fascia luminosa che attraversa il cielo notturno, detta “Via Lattea”,debba essere interpretata come evidenza che il Sole faccia parte di un sistema strutturato distelle detto Galassia, dal greco Γαλαξιασ = “Latteo”, ove e sottinteso il termine “circolo”.L’osservazione ha portato a riconoscere nella Galassia tre componenti principali che sonoqui elencate in ordine di rilevanza osservativa (fig.1.1):

1. Un disco, di raggio '15 chiloparsec (kpc) e spessore '300 pc, popolato da stelle e nubi dimateria diffusa sotto forma di polveri e gas. Caratteristica la presenza di ammassi stellariaperti (fig. 1.2), tipicamente formati da non piu di qualche migliaio di stelle, non legategravitazionalmente e senza evidenti simmetrie . Numerose evidenze indicano l’esistenzanel disco di una sottostruttura a spirale, in analogia a quanto osservato direttamente inaltre galassie (fig. 1.3).

Page 3: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

Fig. 1.2. Distribuzione sulla volta celeste degli ammassi stellari aperti della nostra Galassia chemarcano la collocazione del disco galattico. Sono utilizzate coordinate galattiche ove la latitudinegalattica (b) e misurata con riferimento al piano definito dalla Via Lattea e per la longitudine (l) siassume come origine la direzione del centro galattico.

Fig. 1.3. Mappa della posizione sul piano del disco galattico di alcuni tracciatori di spirale neidintorni del Sole. I simboli rappresentano giovani ammassi stellari aperti (cerchi pieni) e nubi diidrogeno ionizzato dalla radiazione di contigue stelle giganti blu (cerchi vuoti). Le concentrazionidegli oggetti lungo fasce evidenziano porzioni locali delle braccia a spirale della nostra Galassia.

2. Un nucleo (bulge), centro di simmetria per il disco, particolarmente ricco di stelle e dimateria diffusa.

3. Un alone sferico, di raggio comparabile a quello del disco, nel quale sono presenti essen-zialmente solo oggetti stellari, distribuiti con buona simmetria attorno al nucleo galattico.Caratteristica la presenza di oltre cento ammassi globulari (→ A1.5), formati da sino adun milione di stelle, gravitazionalmente legate in strutture a spiccata simmetria sferica.

Strutture di questo tipo sono riconosciute per ogni dove nell’Universo, a partire da quandoi primi grandi telescopi riuscirono a risolvere un antica controversia, mostrando come lenebulose spiraleggianti intraviste con i cannocchiali ottocenteschi dovessero essere riguardaticome strutture dalle dimensioni e strutture analoghe a quelle della nostra Galassia poste adenormi distanze. Per la galassia a noi piu vicina (M31 = Andromeda) stimiamo oggi, peresempio, una distanza di ∼700 kpc.

Page 4: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

Fig. 1.4. Schema evolutivo della Galassia. I punti rappresentano il gas, le crocette le stelle edammassi di alone, i cerchi aperti le prime stelle di disco. Gli asterischi rappresentano l’esplosione disupernovae ed i cerchietti pieni stelle arricchite di elementi pesanti. R rappresenta l’asse di rotazionedella Galassia. Il raggio dei cerchi e di circa 15 kpc. Nella fase b sono indicate alcune orbite dellapopolazione di alone (stelle od ammassi).

Di particolare rilevanza appare la differenza di temperatura tra stelle di disco e di alone.Nella nostra Galassia e, per quanto e possibile verificare, in tutte le galassie simili alla nostra(galassie a spirale), si ha infatti che:

1. Tra le stelle che popolano il disco, le piu luminose appaiono tipicamente stelle ad altatemperatura (stelle blu, T∼10.000 K).

2. L’alone galattico e invece dominato da stelle a temperatura nettamente inferiore (gigantirosse, T∼5.000 K).

Da queste osservazioni scaturisce, sia pur a livello di ipotesi di lavoro, un quadro inter-pretativo che collega evidenze stellari ed evoluzione galattica. Dovendosi assumere che lestelle siano il risultato della condensazione di materia diffusa sotto l’influenza del campogravitazionale, e innanzitutto evidente che nell’alone della Galassia, ove tale materia diffusae praticamente assente, il processo di formazione stellare e al presente inibito. Le stelle chepopolano l’alone devono quindi essere il ricordo di una fase precedente, in cui l’intero aloneera occupato da una nube di materia diffusa a simmetria tipicamente sferica (protogalassia).

Page 5: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Alla formazione di una prima generazione stellare nel corpo di questa protogalassia deveaver fatto seguito il collasso del gas residuo (fig. 1.4) a formare il disco, con tempi scalacaratteristici di ∼ 3 × 108 anni per un collasso in caduta libera (collasso non dissipativo).Nel disco cosı formatosi sono restati e restano attivi i processi di formazione stellare a spesedella materia diffusa ivi addensata. Se cio e vero, le popolazioni stellari di alone devono esserele piu antiche della Galassia, e la differenza di stato fisico delle strutture stellari potrebbeessere messa in relazione proprio alla differente eta. Cosı varrebbero le relazioni:

Alone → Predominio di giganti rosse → strutture stellari antiche.Disco → Predominio di stelle blu → strutture stellari giovani.

Pur senza entrare in casistiche dettagliate (→ A1.6) ricordiamo d’altronde comenell’Universo, sia pur nel quadro di una gran varieta di forme e dimensioni, si osservinodue tipi fondamentali di agglomerazioni di materia su scala galattica:

1. Galassie a spirale, quali la nostra e M31, nelle quali e presente un disco (con spiraliregolari o barrate) immerso in un alone dominato da giganti rosse.

2. Galassie ellittiche, nelle quali e presente solo una componente sferoidale di alone.

E’ interessante notare come le galassie ellittiche mostrino di essere dominate da unacomponente stellare a bassa temperatura, come chiaramente indicato dal loro colore. Questaosservazione sembra integrare il quadro evolutivo precedente, suggerendo che le prime gen-erazioni stellari siano nate, in ogni caso, da nubi protogalattiche sferoidali ed in un lontanopassato. Solo se, per motivi al momento imprecisati, tale processo di generazione stellarelascia nella struttura del gas residuo, tale gas si condensa lungo un disco ove rimangono ef-ficienti ulteriori processi di formazione stellare. Notiamo che da queste semplici osservazioniemerge che l’Universo ha una storia: c’e stata nel passato un era per la formazione dellegalassie, e cio contraddice quella teorie che vorrebbero l’Universo sempre eguale a se stesso(teorie dello stato stazionario).

Il quadro evolutivo cosı delineato e peraltro suscettibile di modifiche anche sostanzialisulle quali e ancora vivo il dibattito: il collasso del protoalone potrebbe essere stato di tipodissipativo, e quindi su tempi scala termodinamici, o - ipotesi ancor piu radicale - nellaformazione degli aloni potrebbero aver giocato un ruolo processi di cattura e di mergingdi sistemi stellari preesistenti. Le teorie di evoluzione stellare sono chiamate a precisare,definendoli quantitativamente, tali scenari evolutivi, fornendo risposte che - come abbiamovisto - coinvolgono non solo la storia della nostra Galassia ma anche la storia del piu generalestrutturasi in galassie dell’Universo nel suo insieme.

1.3. Diagramma HR e isocrone di ammasso.

Per integrare il quadro osservativo sul quale le teorie dell’evoluzione stellare sono chiamatead operare, dobbiamo ora aggiungere le informazioni riguardanti le luminosita intrinsechedegli oggetti stellari. A tale scopo appare naturale organizzare in un diagramma le duecaratteristiche che definiscono le proprieta radiative di una struttura stellare: la luminosita L(energia emessa per unita di tempo) e temperatura efficace Te (→ A1.1). Un tale diagrammaprende il nome di diagramma di Hertzsprung Russel o diagramma HR dal nome dei duericercatori che agli inizi del novecento per primi ricorsero a tale rappresentazione . Quando alposto delle grandezze fisiche L, Te si usano le correlate grandezze osservative “magnitudine”e “indice di colore” tali diagrammi prendono anche il nome di diagrammi Colore Magnitudineo diagrammi CM.

Page 6: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 1.5. Magnitudini visuali assolute MV in funzione del colore B-V per stelle con distanza dalSole minore di 20 pc, parallassate trigonometricamente dal satellite astrometrico Hipparcos. Lafreccia indica la magnitudine assoluta del Sole (MV =4.8). Luminosita e temperatura delle sorgentidecrescono all’aumentare, rispettivamente, di MV e B-V.

Organizzando in tale diagramma i dati magnitudine assoluta-colore per le stelle neidintorni del Sole, le cui distanze sono note grazie alle parallassi trigonometriche, osserviamoche la maggior parte delle stelle si dispone lungo una sequenza monoparametrica che vadalle alte luminosita e alte temperature verso valori decrescenti di ambedue questi parametriosservativi (fig. 1.5). Non sorprendentemente, a tale sequenza viene dato il nome di SequenzaPrincipale o, con terminologia inglese, Main Sequence sovente abbreviata in MS. Nello stessodiagramma si notano alcune stelle che si distaccano sensibilmente dalla sequenza, posterispettivamente a alte temperature e minori luminosita o a basse temperature e maggioriluminosita. Ricordando che la temperatura regola l’emissivita del corpo nero, e immediatodedurne che le prime devono essere sensibilmente piu piccole e le seconde piu grandi, evidenzache giustifica i nomi di Nane Bianche (White Dwarfs = WD) per le prime e di Giganti Rosse(Red Giants = RG) per le seconde. Da segnalare infine la presenza di alcune, rare, stelle chesi collocano al di sotto della MS, note come ”Subnane di campo” (Subdwarfs = SD)

Informazioni analoghe sono anche ottenibili tracciando il diagramma HR per stelle ap-partenenti ad un ammasso: e lecito infatti assumere che le mutue distanze tra le stelledell’ammasso siano molto minori della distanza dell’ammasso stesso dal Sole. In tale caso siconservano i rapporti delle diverse luminosita. Ricordando che nelle magnitudini appaionoi logaritmi delle luminosita, se ne trae che le magnitudini osservate si distribuiscono in talediagramma esattamente come le magnitudini assolute, differendo da esse per una costantedi scala additiva dipendente dalla distanza dell’ ammasso (modulo di distanza dell’ammasso→ A1.2).

Costruendo cosı diagrammi HR per ammassi contenuti nel disco o nell’alone galattico(fig. 1.6 e fig. 1.7) si osserva la costante presenza di sequenze monoparametriche, la cuitopologia varia peraltro sensibilmente al variare della collocazione galattica. Gli ammassi didisco mostrano diagrammi HR per molti versi analoghi a quello delle stelle nella vicinanzadel Sole. Gli ammassi globulari dell’alone galattico se ne discostano invece sensibilmente:sono assenti le giganti blu (come gia avevamo indicato) ed appaiono nuove sequenze indicaterispettivamente come “Ramo delle Giganti Rosse” (RGB = Red Giant Branch), “Ramo

Page 7: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 1.6. Diagramma HR dell’ammasso aperto delle Iadi, tipico di ammassi aperti del disco galat-tico. In ordinata le magnitudini assolute (MV ) come ricavate dalle magnitudini relative e dal modulodi distanza (DM =3.33) fornito dal satellite astrometrico Hipparcos (→ A1.2). In ascissa i coloriB-V. Per opportuno confronto la freccia riporta la magnitudine assoluta del Sole.

Fig. 1.7. Magnitudini visuali V in funzione del colore B-V per le stelle dell’ammasso globulareM5 di alone. La freccia riporta la magnitudine V del Sole posto alla distanza dell’ammasso (DM ∼15.07 )

Orizzontale” (HB = Horizontal Branch) e “Ramo Asintotico” (AGB = Asymptotic GiantBranch).

Recentemente il grande progresso osservativo portato da Telescopio Spaziale Hubble(HST= Hubble Space Telescope) ha consentito di estendere le osservazioni degli ammassiglobulari a stelle di debole luminosita non rivelabili da Terra, integrando notevolmente lenostre conoscenze del diagramma CM di tali oggetti. La fig. 1.8 mostra come le fasi evolutiveraggiunte da Terra siano quasi la “punta di un iceberg”, al di sotto della quale si estendeuna lunga Sequenza Principale che raggiunge stelle con luminosita anche inferiori a 1/100di quella solare.

L’evidenza di diagrammi HR con sequenze monoparametriche conduce ad una rilevantededuzione. In linea del tutto generale ci si attende infatti che le caratteristiche evolutive dellestelle debbano dipendere da molti parametri e, in particolare, dalla composizione chimica

Page 8: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Fig. 1.8. Diagramma CM delle stelle nell’Ammasso Globulare M92 ottenuto combinando le osser-vazioni da Terra con le osservazioni HST

della materia da cui si sono formate, dalla massa e dall’eta delle strutture, non escludendol’intervento di altri fattori quali, ad esempio, lo stato di rotazione delle strutture medesime.L’evidenza di sequenze monoparametriche indica che nelle stelle di un ammasso solo unodi tali parametri varia in maniera indipendente, governando la collocazione nel diagrammaHR delle varie strutture. Se le stelle di un ammasso sono nate in un comune processo diformazione, nulla osta a che le stelle abbiano avuto in origine una comune composizionechimica e una comune eta. Pare invece irrealistico che processi di fragmentazione del pro-toammasso gassoso abbiano portato a valori fissi per la massa degli oggetti stellari formati,cpsi da suggerire che la massa stellare debba essere il parametro che governa la distribuzionenel diagramma HR.

Il diagramma HR conferma in tal modo l’ipotesi che le stelle di un ammasso si sianoformate da un unica nube ed in una determinata epoca, in un intervallo di tempo piccolorispetto all’eta dell’ammasso. Il diagramma HR delle stelle di un ammasso deve quindi essereinterpretato come il luogo, nel piano luminosita - temperatura, di stelle aventi massa diversae costante eta e composizione chimica (isocrona di ammasso).

Nel quadro evolutivo che siamo andati delineando, la differenza tra i diagrammi degliammassi di alone e di disco dovrebbe essere, almeno in parte, attribuita a differenze di eta.Se ne puo trovare una conferma indiretta nello studio di sistemi binari per i quali e possibilevalutare massa e luminosita delle stelle (→ A1.7). Si trova infatti che in stelle di sequenzaprincipale la luminosita e direttamente correlata alla massa, crescendo al crescere di questa.Di particolare rilevanza e la constatazione che la luminosita cresce secondo potenze superioridella massa (orientativamente L∼M3.5 - fig. 1.9). Se ne trae infatti l’evidenza che la quantitadi energia emessa da una stella per unita di tempo e di massa cresce anch’essa rapidamentecon la massa della stella.

Cio suggerisce che le stelle a massa maggiore debbano esaurire piu rapidamente la lororiserva di energia, qualunque essa sia, e che, quindi, abbiano tempi evolutivi piu rapidi e vita

Page 9: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

Fig. 1.9. La relazione massa-luminosita per stelle di sequenza principale in sistemi binari.

totale piu breve. Non stupisce quindi l’assenza di stelle luminose blu di sequenza principalenell’alone: se le stelle di alone sono sensibilmente piu antiche di quelle di disco ci si attendeappunto che le stelle piu massicce abbiano esaurito il loro tempo di vita, scomparendo dallasequenza principale. Resta naturalmente da identificare l’origine delle osservate sequenze diGiganti Rosse e di stelle di Ramo Orizzontale.

Colore, luminosita e spettri delle stelle contribuiscono quindi a suggerire un quadro evo-lutivo di notevole interesse per la storia della nostra Galassia, quadro che una opportunateoria delle strutture e della evoluzione stellare e chiamata a confermare e precisare.

1.4. La Galassia: evoluzione nucleare. Popolazioni stellari

Il quadro che siamo andati delineando nei punti precedenti si amplia quando si aggiunganole informazioni provenienti dall’analisi spettroscopica. Dalle righe di assorbimento dei varielementi e possibile risalire con buona precisione alla abbondanza degli elementi stessi nelleatmosfere stellari. Il quadro che se ne evince si salda direttamente alle analisi precedentiampliando le ipotesi ivi avanzate. La materia dell’Universo risulta per la maggior parte(oltre il 98 % in massa) sotto forma di idrogeno ed elio. Ovunque sono peraltro presentigli elementi piu pesanti , ma con la caratteristica che negli ammassi dell’alone galattico talielementi risultano di 1-2 ordini di grandezza meno abbondanti di quanto riscontrabile nellestelle di disco e, in particolare, nel nostro Sole (fig. 1.10).

E’ invalso l’uso in astrofisica di indicare col termine “metalli” l’insieme di tutti gli ele-menti con nuclei piu pesanti di quello dell’elio, e quindi con numero atomico A > 4 (→ A1.8),e di indicare con Z l’abbondanza in massa di tali elementi, cioe la massa che in un grammodi materia e sotto forma di “metalli”. Le abbondanze in massa di idrogeno e elio vengonorispettivamente indicate come X o Y, valendo per definizione X+Y+Z =1. Utilizzando talenotazione, nella Galassia risulta indicativamente:

Alone → Zalone ∼ 10−4 − 10−3.Disco → Zdisco ∼ 10−2 (Sole → Z ∼ 2 · 10−2).

Assumendo lo schema di progressione temporale protogalassia → alone → disco, risul-terebbe cosı che gli oggetti piu antichi della nostra Galassia sono nel contempo caratterizzatida una netta sottoabbondanza di elementi pesanti. Cio suggerisce che la composizione nucle-are della materia nell’Universo non sia immutabile, e che al fluire del tempo si sia modificatanon solo la morfologia delle strutture ma anche la distribuzione delle specie nucleari nella

Page 10: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Fig. 1.10. L’abbondanza dei vari elementi nell’ atmosfera del Sole, graficata in funzione del numerodi massa A: La distribuzione e normalizzata ponendo l’abbondanza del Silicio pari a 106. Si notacome l’idrogeno risulta almeno 1000 volte piu abbondante di tutti gli altri elementi, fatta eccezioneper l’elio. Si notino le peculiari abbondanze dei nuclei di 12C e dei successivi multipli del nucleo dielio (O, Ne, S ...). Si notino infine i picchi nella distribuzione in corrispondenza del ferro e per inumeri magici di neutroni N 50, 82, 126. Nelle stelle di alone si hanno distribuzioni simili ma conminore complessiva abbondanza di elementi pesanti.

materia da cui tali strutture si sono formate, materia che nel tempo deve essersi andata ar-ricchendo di elementi pesanti. Poiche la produzione di nuovi elementi implica l’efficienza direazioni nucleari, e quindi di materia in condizioni altamente energetiche, pare naturale indi-viduare nell’interno delle stelle la sede preferenziale per l’efficienza di tali processi. Previsioneche mostreremo essere ampiamente confermata da dettagliate valutazioni teoriche.

L’informazione spettroscopica diviene tanto piu rilevante quando ci mostra come le stelleche compongono un “ammasso stellare”, pur presentando una varieta di fasi evolutive (cioedi luminosita e temperature superficiali), mostrino una sensibile uniformita di composizionechimica. Cio non solo conferma l’ipotesi che tali aggregati di stelle si siano formati da unaoriginaria comune nube di materia protoammasso, ma indica anche che l’evoluzione dellestrutture stellari non modifica sensibilmente la composizione chimica degli strati piu super-ficiali, che di conseguenza deve essere rimasta ancora quella della nube originaria. Poiche eimmediato riconoscere che alla superficie di una stella - a causa delle limitate temperature- non possono mai essere state efficienti reazioni nucleari, l’indicazione precedente va lettacome una evidenza che nel corso dell’evoluzione di una struttura stellare non si verificanoin genere rimescolamenti profondi in grado di alterare macroscopicamente la composizionedegli strati superficiali.

In questa luce, risulta quindi che una struttura stellare, all’atto della sua formazione,“congela” alla sua superficie la composizione nucleare della materia interstellare dalla qualela stella stessa si e formata. Acquisendo quindi informazioni sull’eta di strutture stellariattualmente osservabili ricaviamo nel contempo informazioni sulla storia della composizionedella materia interstellare, mappandone l’evoluzione non solo nello spazio ma anche neltempo. Le teorie di evoluzione stellare sono chiamate a confermare un tale quadro evolu-tivo, producendo nel contempo quelle informazioni quantitative che consentano una dettagli-ata ricostruzione conoscitiva del passato, ricollegando le evidenze osservative del presenteUniverso ad una catena di avvenimenti che ci conduca alla comprensione della storia dellanostra Galassia in particolare e, piu in generale, dell’Universo nel suo insieme.

Page 11: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

E’ importante notare che la bassa metallicita degli ammassi globulari dell’alone si rac-corda con una piu generale differenza nelle caratteristiche delle strutture stellari che com-pongono la Galassia, come portata alla luce dallo studio della dinamica degli oggetti stellaridi campo, non appartenenti cioe ad ammassi. Per discutere questo punto e da premettereche il Sole, in quanto stella del disco, ruota attorno al centro galattico, con una velocita dicirca 220 km/sec, compiendo dunque un’intera orbita in circa 200 milioni di anni. Le stellenei dintorni del Sole che partecipano alla rotazione del Sole attorno al centro galattico, eche hanno quindi piccole velocita relative al Sole, hanno sempre metallicita simili a quellesolari. Il disco e peraltro attraversato anche dalle orbite di stelle di alone che non partecipanoalla rotazione del disco e che nei pressi del Sole si manifestano come un gruppo di stelle adalta velocita, conseguenza del moto riflesso del Sole. Queste stelle di alone risultano sempredi piccola massa (e quindi a lunga vita media) e tipicamente sottoabbondanti in metalli,collocandosi nel diagramma CM al di sotto della MS, nel gruppo delle Subdwarf.

Sommando tali evidenze a quelle fornite dagli ammassi stellari si conclude che glioggetti stellari, indipendentemente dalla loro appartenenza ad ammassi, possono dividersiin ”famiglie” caratteristiche per la loro collocazione galattica, per l’eta, per il contenuto inmetalli e per la morfologia dei rispettivi ammassi stellari. A tali caratteristiche si associaanche una ulteriore differenza in stelle che mostrano una regolare e periodica variazionedi luminosita (stelle variabili). Nelle stelle di alone appaiono infatti variabili di tipo RRLyrae, con periodo minore di un giorno, mentre nel disco si trovano solo variabili Cefeidi,con periodo molto piu lungo, sino ad alcuni mesi.

Si giunge cosı al concetto di popolazioni stellari galattiche, secondo lo schema:

1. Popolazione I → disco galattico: stelle giovani (giganti blu), abbondanza solare, ammassiaperti, variabili Cefeidi.

2. Popolazione II→ alone galattico: stelle anziane (giganti rosse), povere di metalli, ammassiglobulari, variabili RR Lyrae.

Tale schematizzazione non deve peraltro essere riguardata come una evidenza per unanetta bimodalita nelle popolazioni stellari della Galassia. Essa rappresenta invece i duecasi estremi ed evidenti di una piu graduale distribuzione delle proprieta stellari al variaredella collocazione galattica. Gradualita che si riflette nel definire una Popolazione estrema odintermedia ed una Popolazione I di disco, vecchia o estrema, in ordine di crescente metallicita,crescente appiattimento sul disco e decrescente eta. Distribuzione che e evidentemente dacollegarsi alla storia dinamico-chimica della materia nella galassia medesima.

E’ da notare che le popolazioni stellari cosı definite descrivono le caratteristiche delsistema alone-disco nella nostra Galassia con categorie non necessariamente estendibili atutti gli altri sistemi stellari. Nello stesso nucleo galattico troviamo infatti, ad esempio,ammassi globulari antichi ma ricchi di metalli, e nelle vicine Nubi di Magellano troviamoinvece ammassi globulari giovani ma poveri di metalli, che non rientrano nelle precedenteclassificazione. Il concetto di popolazione stellare puo mantenere una sua generalita quandosi svincoli dall’eta collegandolo esclusivamente al contenuto in elementi pesanti, cioe alladistanza genetica che separa la formazione di una popolazione stellare dalla materia priva dimetalli emersa dal Big-Bang (→ 1.5). In questa accezione, nel nucleo galattico potremo alloraparlare di una popolazione I vecchia e nelle Nubi di Magellano di ammassi di popolazioneII giovani.

1.5. L’Universo: evoluzione dinamica ed evoluzione nucleare

Lo scenario evolutivo sin qui suggerito da un esame delle evidenze fornite dagli oggetti stellarisi salda con impressionante coerenza ad un parallelo scenario evolutivo fornito dall’ evidenza

Page 12: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

osservativa del fenomeno di “recessione” delle galassie ( → A1.9). L’evidenza di un Universoin espansione porta con semplici argomenti dinamici ad ipotizzare, tornando indietro neltempo, un Universo sempre piu denso e piu caldo, sino a giungere - circa 1010 anni or sono- in prossimita di uno stato in cui densita e temperatura tendono a divergere. L’osservataradiazione di fondo cosmico, a circa 3 K, supporta tale ipotesi, talche oggi e pressocheunanimemente accettato che l’Universo attuale abbia preso origine da una fase nella qualemateria e radiazione erano fortemente accoppiate, raggiungendo valori che in prossimita deltempo zero (Big-Bang) possono essere seguite sino ad almeno T∼1013 K, ρ∼1015 gr/cm3.La storia dell’Universo nel suo insieme risulta cosı la storia della progressiva espansione eraffreddamento di materia e radiazione che componevano tale iniziale “sfera di fuoco”.

Per quanto inaspettato possa apparire, ne consegue che e possibile operare previsioni sulladistribuzione delle specie nucleari emerse dalla sfera di fuoco per costituire la composizionechimica iniziale della materia nel nostro Universo. Alle condizioni estreme di temperatureindicate, l’energia media per particella risulta infatti dell’ordine del GeV (109 eV), moltomaggiore delle energie di legame dei nuclei. A tali livelli di energia non potevano quindiesistere strutture nucleari, esistendo solo un ”brodo” di quark, leptoni e fotoni in equilibriotermodinamico. Ne segue che in tali condizioni la materia non conserva memoria del propriopassato e in questo senso dobbiamo concludere che la storia del presente Universo inizia dalBig-Bang.

E’ possibile seguire il destino di questo gas primordiale per scoprire che la composizionedella materia uscita dal Big-Bang non poteva contenere elementi piu pesanti dell’elio, lim-itandosi anzi essenzialmente a idrogeno ed 4He. Per mostrare cio occorre seguire il destinodei nucleoni (protoni (p) e neutroni (n)) sino al momento in cui la temperatura scende avalori (∼109 K) ai quali l’energia media di particelle e fotoni scende al di sotto dell’energiadi legame del primo nucleo complesso possibile, il deuterio (D= 2H), cosı che i nuclei diD eventualmente formati non vengano immediatamente distrutti da processi di fotodisinte-grazione.

A 1011 K (10−2sec dalla discontinuita iniziale) vi sono a disposizione ancora circa 10 Mevper particella, cioe un’energia sensibilmente superiore all’ energia del decadimento spontaneodel neutrone.

n → p + e+ + ν (+1.2

In tali condizioni ci si attende che il numero di neutroni sia paragonabile a quello deiprotoni ( → A1.10). A 1010 K (10 sec) l’energia media delle particelle e dei fotoni diventaparagonabile all’energia del decadimento, l’equilibrio e spostato a favore dei protoni ed ineutroni cominciano a decadere in protoni. In tutto questo arco di tempo la fusione direttaprotone-neutrone in deuterio (D)

n + p → 2D + γ

e vanificata dalla immediata fotodisintegrazione del deuterio. A 109 K (∼10 sec) il Ddiviene finalmente stabile, ma l’equilibrio e ormai definitivamente spostato a favore deiprotoni. Il neutrone libero ha peraltro una vita media dell’ordine di 15 minuti, cosı che a 109

K - quando il deuterio diventa stabile - sopravvive una frazione consistente di neutroni checoncorrono con i protoni alla formazione per fusione nucleare di nuclei di deuterio. Cio dainizio ad una serie di reazioni nucleari particolarmente favorite, quale - ad esempio - quelladi D + D che ha una probabilita 1022 maggiore della protone-protone, che conducono allaformazione dell’isotopo 4 dell’ elio:

n + p → D + γ2D + 2D → 3He + n

Page 13: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

3He + n → 3H + p2D + 3H → 4He + n

Non e peraltro possibile costruire nuclei piu pesanti dell’ elio 4 poiche in natura nonesistono isotopi stabili con numero di massa 5, e la possibile reazione

42He + n → (52He)∗)→ 4

2He + n

e seguita da un decadimento con vita media 10−21 sec, che riconduce inevitabilmente all’elio 4.

Curiosamente, le proprieta dei nuclei sembrano disegnate per precludere ogni possibilitadi superare il limite dell’elio 4. Non esistono infatti nuclei stabili anche, e solo, per il numerodi massa 8. Ne consegue che per superare il “muro” dell’elio 4 non servono nemmeno lepossibili reazioni tra i nuclei gia prodotti

3He + 4He → 7Be + γ4He + 4He → 8Be + γ

perche la prima indirettamente e la seconda direttamente portano alla formazione diberillio 8 che con tempi caratteristici di 10−16 sec ridecade in due α

8Be → 4He + 4He.

Furono proprio queste curiose proprieta dei nuclei a convincere a suo tempo Gamowa desistere dal tentativo di giustificare la presenza in natura di elementi pesanti tramiteil Big-Bang. Se ne trae invece l’evidenza che la materia, cosı come uscita dalla sfera difuoco, doveva essere essenzialmente composta da H ed He, con tracce di D, 3He e pochi altrielementi leggeri.

La valutazione delle quantita di elementi prodotti da questa nucleosintesi primordialedipende criticamente dai particolari dell’evoluzione temporale della sfera di fuoco. La quan-tita di elementi leggeri cosı prodotti sono quindi correlate al modello di Big-Bang e, at-traverso questo, alle caratteristiche del passato e presente Universo (fig. 1.11). Calcoli det-tagliati basati sul “modello standard” del Big-Bang conducono in particolare a correlarel’abbondanza dell’ elio (elio cosmologico) alla densita nell’ Universo attuale di materia bar-ionica, secondo la relazione

YC∼ 0.23 + 0.094 (ρ/ρcrit)

dove YC rappresenta l’abbondanza in massa dell’elio cosmologico, ρ la densita attualedell’Universo e ρcrit ( ∼ 10−29 gr/cm3) e la densita critica, cioe la densit media dell’Universoattuale (→ A1.11) al di sotto della quale l’energia cinetica del moto di espansione superal’energia gravitazionale e l’Universo sarebbe costretto ad espandersi indefinitamente.

Poiche la nucleosintesi di origine stellare, che aggiungera i suoi prodotti agli elementi cos-mologici, puo solo aumentare l’abbondanza di elio, l’elio presente nella materia dell’attualeUniverso rappresenta un limite superiore per l’abbondanza di elio cosmologico. La cosmolo-gia del Big-Bang prevede dunque che nell’Universo intero l’idrogeno appaia sempre mescolatocon una non trascurabile quantita di elio, la cui minima abbondanza e fornita dalla relazioneprecedente.

Le osservazioni confermano l’esistenza per ogni dove di tale elio cosmologico, fornendoun valore che si aggira attorno a Y ∼ 0.23. Se ne deve concludere che la densita di barioninell’Universo attuale e circa un fattore 100 al di sotto del valore critico ρcrit ( ∼ 10−29

gr/cm3), valore confortato anche dalle abbondanze cosmologiche degli altri elementi leggeri ein buon accordo con le stime di densita ricavabili dalla distribuzione delle galassie. Dovremmo

Page 14: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

Fig. 1.11. La produzione di elementi nel big bang come funzione della densita di barioninell’Universo attuale.

quindi concludere per un Universo e aperto, a meno che non vi sia il contributo di massasotto forma non barionica (materia oscura). Eventuale massa posseduta dai neutrini odaltre particelle, quali le ipotizzate WIMPS (Weak Interacting Massive Particles) potrebbeperaltro concorrere a chiudere l’Universo.

I recenti risultati del satellite WMAP, lanciato nel 2001 dalla NASA per studiare la ra-diazione di fondo cosmico, hanno confortato un tale scenario, portando peraltro nuove edimportantissime informazioni. L’Universo, con un’eta di 13.7 miliardi di anni, appare pi-atto, e la densita critica viene raggiunta grazie al contributi di un 4% di materia barionica,23% di materia oscura non barionica e un ulteriore 73% di “energia oscura”, un compo-nente tuttora misteriosa cui talvolta si da anche il nome di “Quintessenza”. Un esempiodi come ormai astrofisica, cosmologia e fisica fondamentale debbano essere riguardate comemomenti conoscitivi strettamente correlati nel comune obiettivo di svelare la storia ed ilcomportamento dell’Universo.

1.6. Gli obiettivi dell’astrofisica stellare

Il quadro di ipotesi evolutive che siamo andati tratteggiando fornisce nel contempo le indi-cazioni dei principali obiettivi che si pone la ricerca astrofisica stellare. Un primo obiettivo edi rendere conto dell’attuale presenza di elementi pesanti che devono essersi formati in fasisuccessive al Big-Bang per processi di fusione nucleare a partire dall’idrogeno ed elio cosmo-logici. Si e gia indicato come sia difficile sfuggire alla conclusione che l’interno delle stelle siala sede preferenziale per i processi in questione. Previsione che sara ampiamente confortatadai risultati teorici, talche oggi abbiamo raggiunto la ragionata convinzione che ogni nucleopiu pesante dell’elio esiste nell’Universo solo ed in quanto e stato a suo tempo sintetizzatoall’interno di una struttura stellare. La presenza di tali nuclei nella materia interstellare,come nel nostro stesso pianeta Terra, e evidenza di un fenomeno di riciclaggio della mate-ria elaborata nelle strutture stellari ed espulsa dalle medesime secondo meccanismi di cuil’esplosione di una “supernova” puo essere solo un esempio.

Ma abbiamo nel contempo anche gia indicato come si possa riguardare alle strutturestellari che oggi popolano gli spazi come testimoni dell’evoluzione nello spazio e nel tempodella materia dell’Universo. Ne segue che, nel suo aspetto piu generale, l’astrofisica stellare

Page 15: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

si pone due obiettivi sinergici, leggere nelle stelle attuali la storia evolutiva delle galassiee ricostruire il contributo delle ormai scomparse generazioni stellari all’evoluzione nuclearedella materia. Con il fine ultimo di ricavare una storia ragionata dell’Universo nel suo insieme,che ci consenta di comprendere come e perche l’Universo di nubi di materia, di stelle e digalassie si presenti oggi ai nostri occhi cosı come e.

Page 16: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Approfondimenti

A1.1. Termalizzazione. Radiazione di corpo nero. Emissivita stellare.

Come mostrato da Plank, la radiazione elettromagnetica deve essere considerata come composta daunita elementari (quanti di energia, o fotoni) ad ognuno dei quali risulta associata una energia E =hν, dove:

h= costante di Plank= 6.62 ·10−27 ergν= frequenza della radiazione (cicli/sec)

Un campo di radiazione elettromagnetica (quale e la luce) puo quindi essere visto come un gas difotoni tra loro non interagenti. In presenza di materia a temperatura T, i fotoni interagiscono perocon le particelle attraverso tutta una serie di processi che conducono i fotoni verso una situazioneenergetica di equilibrio, retta dalla legge di distribuzione di Plank:

u(ν) =8πhν3

c3

1

[exp(hν/kT )− 1](1)

ove u(ν)dν e la densita di energia della radiazione con frequenza tra ν e ν+dν, k la costante diBoltzmann.

Nel suo aspetto piu generale la distribuzione di Plank e una conseguenza delle necessita chediscendono dalla meccanica statistica. Un gas di particelle, se le particelle possono scambiarsi energiatramite mutue interazioni, deve evolvere verso una situazione di equilibrio nella quale la velocitadelle particelle e retta dalla nota formula di Maxwell-Boltzmann (fig. 1.12): in queste condizioni sipuo parlare di equilibrio termico e definire una temperatura T del gas cosı termalizzato.

Analogamente, una radiazione elettromagnetica che possa interagire con un sistema di particelletermalizzato evolve verso la situazione di equilibrio descritta dalla legge di Plank. In tutti e due i casi,il raggiungimento della termalizzazione della materia e della radiazione sara tanto piu rapido quantopiu efficienti sono i meccanismi di interazione e scambio energetico materia-materia e materia-radiazione.

Si puo mostrare che l’energia S irradiata in un secondo nell’ angolo solido 2π dalla unita disuperficie di un corpo in equilibrio termodinamico (corpo nero) risulta

S =c

4u (2)

e quindi, indicando con Sνdν l’energia irraggiata nell’intervallo di frequenza ν e ν + dν

Sν =2πhν3

c2

1

[exp(hν/kT )− 1]= πBν (3)

dove Bν e nota come funzione di Plank.Poiche per la lunghezza d’onda λ e λ=c/ν si ha dλ =- (c/ν2) dν e dν=-(ν2/c)dλ= -(c/λ2)dλ, il

flusso energetico per unita di superficie e di lunghezza d’onda (emittanza) risulta (fig. 1.13)

Sλ =2hc2

λ5

1

[exp(hν/kT )− 1]= πBλ (4)

Per l’energia irraggiata per unita di superficie e di tempo da un corpo nero si ha

Page 17: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

Fig. 1.12. La distribuzione Maxwelliana delle velocita U delle particelle di un gas segue la leggedNN

= 4π(

m2πkT

)3/2exp

(−mU2

2kT

)U2dU , dove dN e il numero di particelle nell’intervallo di velocita

dU, m la massa delle particelle e T la temperatura del gas.

Fig. 1.13. L’emissivita di un corpo nero per varie temperature in funzione della lunghezza d’ondaλ (in 103 Angstrom). La curva a tratti riporta schematicamente l’andamento dello spettro solare.

W = π∫∞0

Bλdλ = σT 4 (legge di Stefan-Boltzman)

con σ = 5.6710−5 erg/cm2sec.

Annullando nella (4) la derivata dBλ/dλ si ottiene per la lunghezza d’onda cui corrisponde ilmassimo di emissione

λmaxT= cost = 0.2898 cm K (legge di Wien).

L’emissione delle superfici stellari approssima in generale distribuzioni (spettri) di corpo nero. Intal senso si puo parlare di temperatura della radiazione e delle superfici stellari. La fig. 1.14 pone adesempio a confronto lo spettro della radiazione solare con la distribuzione di corpo nero, mostrandocome alla superficie del Sole debba essere attribuita una temperatura che si aggira attorno a T∼6000 K.

Di particolare importanza per le stelle e la temperatura efficace Te, definita dalla legge di Stefan-Boltzmann

L = 4πR2σT 4e

dove L e R indicano rispettivamente Luminosita e Raggio della stella. La temperatura efficace edunque la temperatura che avrebbe la superficie della stella se emettesse esattamente come un corponero.

Page 18: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Fig. 1.14. Spettro del Sole al di fuori dell’atmosfera (punti) confrontato con il corpo nero a 6000K (tratto e punto) e con lo spettro della radiazione raccolta alla superficie della Terra. Si notinoin questo ultimo spettro, al di la di 8000 A, le bande degli assorbimenti causati da H2O, O2, H2 eCO2.

Fig. 1.15. Curve di trasmittanza dei filtri U, B e V del sistema di Johnson

A1.2. Magnitudini e indici di colore. Arrossamento

La luminosita delle sorgenti stellari, cosi come esse appaiono ad un osservatore terrestre, viene inastrofisica misurata secondo una scala logaritmica delle magnitudini ”m”, definita dalla relazione

m = −2.5 log W + cost (5)

ove W e l’energia raccolta e misurata dai rivelatori. L’energia W dipendera peraltro non solodal flusso della radiazione ma da molti altri fattori quali le dimensioni del telescopio, il tempo diesposizione, la sensibilita del rivelatore. Ci si libera da tutti questi fattori aggiuntivi attraverso lacostante che fissa il punto zero della scala delle magnitudini ed e definita prefissando la magnitudinedi una o piu stelle ”standard”. Nella pratica delle osservazioni si misurano sempre differenze dimagnitudine tra gli oggetti in studio e opportune standard, talche

m = ms − 2.5logW/Ws (6)

e la misura di una magnitudine si riduce alla misura di un rapporto di flussi.L’energia misurata dipende peraltro dalla risposta (sensibilita) del rivelatore alle varie lunghezze

d’onda convoluta con lo spettro (temperatura) della sorgente. In passato furono cosi definite, adesempio, le “magnitudini fotografiche” che facevano riferimento alla sensibilita delle emulsioni fo-tografiche. Per liberarsi per quanto possibile da tale dipendenza oggi e d’uso misurare l’energiacorrispondente solo a prefissate porzioni (bande) dello spettro. Molto usate le bande U, B, V(Ultravioletto, Blu, Visuale) di Johnson definite attraverso curve standard di trasmissione dei rel-ativi filtri (fig. 1.15). Accanto a tale sistema sono in uso anche altre bande, quali le R, I, J, H,

Page 19: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Fig. 1.16. Andamento alle varia lunghezze d’onda del coefficiente di assorbimento A(λ) che misurala variazione di magnitudine causata da un arrossamento E(B-V) unitario.

K, L che coprono porzioni dello spettro a lunghezze d’onda ancora maggiori. Per ogni banda sidefiniscono le relative magnitudini

mi = −2.5logWi + cost (7)

dove Wi e l’energia raccolta nella banda ”i” e la costante e’ ancora determinata fissando lamagnitudine ”i” di stelle standard. In corrispondenza delle tre bande indicate ogni stella e cosi’caratterizzata dalle tre magnitudini mU , mB e mV , sovente indicate semplicemente con U, B e V.Scala e punto zero delle magnitudini visuali sono state fissate in maniera da risultare in ragionevolecorrispondenza alla antica classificazione delle stelle visibili ad occhio nudo in sei classi di grandezzeapparenti. Si ponga attenzione al fatto che al diminuire della luminosita apparente aumenta lamagnitudine.

Per familiarizzarsi con tale scala, notiamo che un aumento di 5 magnitudini corrisponde ad unariduzione del flusso di un fattore 100. La stella piu brillante del cielo, Sirio, ha una magnitudinevisuale V=-1.6, la luna piena -12.6, il Sole -26.7. L’osservazione del cielo ad occhio nudo si limita amagnitudini inferiori a 6, ma telescopi anche modesti possono raggiungere almeno V=15. I granditelescopi accoppiati con i sensibili moderni rivelatori CCD giungono a V∼ 24 e il telescopio spazialeHubble si spinge oltre V∼28. Si puo realizzare la debolezza di tali sorgenti ricordando, ad esempio,che ad una sorgente di magnitudine 21 corrisponde alla superficie della Terra un flusso di circa 510−3 fotoni per cm2 e per secondo. Occorre cioe attendere piu di tre minuti perche su un centimetroquadro giunga un singolo fotone. Questi numeri bastano per far chiaro come i telescopi non servano,come talora ingenuamente si ritiene, a ”ingrandire” le immagini celesti, ma a raccogliere da unasorgente quanti piu fotoni possibile, il numero di fotoni crescendo col quadrato della superficie dellospecchio. E’ cosi facile ricavare che i fotoni raccolti da uno specchio di 5 metri di diametro, qualequello del famoso telescopio del Monte Palomar, sono piu numerosi di circa un fattore 107 di quelliraccolti bello stesso tempo dalla pupilla di un occhio umano.

E’ di grande importanza osservare come confrontando l’energia raccolta in bande diverse sipossa investigare la distribuzione energetica del flusso, e quindi la temperatura del corpo nero. Ladifferenza tra due di queste magnitudini prende il nome di indice di colore e misura il rapporto tra iflussi nelle due prescelte bande. Dalle caratteristiche del corpo nero e subito visto che al crescere dellatemperatura ci si attende che crescano ambo i rapporti WU/WB e WB/WV , e diminuiscano quindigli indici di colore U-B e B-V. La esatta relazione tra indici di colore e temperatura dipendera siadalla composizione chimica che dalla gravita alla superficie della stella, poiche ambedue tali fattorimodulano le righe di assorbimento negli spettri stellari e,quindi, il flusso emesso nelle varie bande.Tali relazioni colore-temperatura possono essere ricavate sia per via empirica (sperimentale) cheattraverso modelli teorici di atmosfere stellari.

Si definisce inoltre magnitudine bolometrica mbol la magnitudine riferita all’ intero flusso dienergia emessa, compresa quindi anche tutta la radiazione che non giunge alla superficie dellaTerra a causa di assorbimenti atmosferici e, talora, interstellari. Nota la magnitudine bolometrica

Page 20: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

e la distanza di una stella si risale alla luminosita intrinseca della sorgente L. La magnitudinebolometrica e sovente posta in relazione con quella visuale attraverso la relazione

mbol = mV + BC (8)

ove BC (correzione bolometrica) sara una funzione di temperatura gravita e composizione chim-ica. La scala delle magnitudini bolometriche non ha peraltro, sinora, standard definiti. e quindi deveessere utilizzata con grande precauzione.

Si definiscono infine magnitudini assolute, sia bolometriche (Mbol) che nelle varie bande (MB ,MV etc), le magnitudini che avrebbero le stelle se poste ad una comune prefissata distanza di 10 pcdalla Terra. Nota la magnitudine relativa e la distanza di una stella e facile ricavarne la rispettivamagnitudine assoluta. Infatti, l’energia che attraversa nell’unita di tempo una superficie sferica aduna qualunque distanza r dalla sorgente deve essere costante e pari alla luminosita’ della sorgente,definita come energia emessa per secondo. Si ha dunque a due generiche distanze r1 e r2

φr21 = φ2r

22 (9)

ricordando che m=-2.5logφ + cost, ponendo r1 pari alla distanza della stella e assumendo r2 =10 pc, si ottiene

m = M − 5 + 5 log r (10)

dove r e misurata in parsec. La differenza m-M viene sovente indicata come DM, modulo didistanza.

Per le magnitudini assolute bolometriche, poiche il rapporto tra i flussi di due stelle poste allastessa distanza e pari al rapporto delle luminosita intrinseche degli oggetti, potremo infine scrivereper una generica stella con luminosita L

Mbol = −2.5logL/L + cost (11)

ove con L si indica la luminosita del Sole ( 3.9 1033 erg/sec) e la costante e la magnitudinebolometrica assegnata al Sole.

I modelli teorici di atmosfere stellari consentono di correlare le grandezze osservative sin quidefinite con la luminosita L e la temperatura efficace Te delle strutture, fornendo per ogni assuntovalore di Te e di gravita lo spettro emergente dalla superficie e, da questo, i flussi nelle varie bande,gli indici di colore e la correzione bolometrica.

Notiamo infine che in linea di principio gli indici di colore, in quanto rapporto tra due flussi, nondipendono dalla distanza della sorgente. In quanto sinora esposto si e peraltro sottaciuto il caso,frequente quando si osservi lungo la direzione del disco galattico, che nel suo tragitto verso la Terrala radiazione sia soggetta a fenomeni di assorbimento dovuti alla presenza di materia (gas e polveri)interstellare. L’effetto di un tale assorbimento risulta in genere tanto maggiore quanto minore e lalunghezza d’onda, e viene misurato in termini dell’ arrossamento E(B-V), definito come la variazionedell’indice di colore intrinseco (B-V)0 causato dal maggior assorbimento della radiazione nella bandaB.

Per ogni dato arrossamento si ha dunque

(B − V )oss = (B − V )0 + E(B − V ) (12)

mi,oss = mi,0 + Ai (13)

dove, Ai e l’aumento di magnitudine nella banda i estinzione, proporzionale all’arrossamento.Ad esempio, per la banda V risulta AV∼3.1 E(B-V) da cui V = V0 + 3.1 E(B-V).

La fig. 1.16 mostra l’andamento alle varie lunghezze d’onda della variazione di magnitudineprodotta da un arrossamento unitario, mentre la Tabella 1 riporta le estinzioni Ai in varie banderiferiti all’assorbimento nella banda V. La precisa valutazione degli arrossamenti e uno dei capitolipiu delicati della pratica osservativa astronomica. L’entita dell’arrossamento puo essere valutatadalla posizione della sorgente nel diagramma a due colori (U-B), (B-V). Qui notiamo che ovesi disponga di uno spettro che si estenda nella regione dell’ultravioletto assorbita dall’atmosfera,come ottenibile dunque solo da strumentazione nello spazio, l’entita dell’arrossamento e facilmentericavabile dalla caratteristico “bump” nell’assorbimento a 2200 Angstrom.

Page 21: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

Tab. 1. Assorbimenti relativi nelle varie bande fotometriche riferiti all’assorbimento nella banda V

Filtro < λ > A(λ)

U 3600 A 1.569B 4400 A 1.337V 5500 A 1.000R 7000 A 0.751I 9000 A 0.479J 1.25µ 0.282H 1.60µ 0.190K 2.20µ 0.114L 3.40µ 0.056

Fig. 1.17. Traguardando una stella a sei mesi di distanza ci si attende che la sua posizione sulla volta celestevari di un angolo 2 π, ove π e la parallasse dell’ oggetto, definita come l’angolo sotto il quale l’oggetto vede ilsemiasse ”a” dell’orbita terrestre.

A1.3. La parallassi stellari. Seing.

Sulla superficie della Terra, per valutare la distanza di un qualunque oggetto non altrimenti rag-giungibile e d’uso ricorrere a semplici metodi trigonometrici, traguardando l’oggetto da due diverseopportune posizioni. Procedure simili sono possibili anche per valutare la distanza delle stelle, uti-lizzando come base della misurazione la posizione della Terra sulla sua orbita a distanza di sei mesi(fig. 1.17).

Per stelle che giacciono sul piano perpendicolare alla base di traguardo cosi’ definita si ha

r= a/tgπ ∼ a/π

dove ”a” e il semiasse dell’ orbita terrestre (unita astronomica) e l’angolo π e misurato in radianti.Essendo 1 rad = 57o 17’ 44” pari a 206.265 secondi d’arco

r= a (206 265/π)

se π e misurato in secondi d’arco. Poiche a=1.49598 1013 cm

r = 3.1 1018/π cm

Assumendo come unita di misura delle distanze stellari quella cui corrisponde una parallasseannua di 1” (1 parsec (pc)= 3.1 1018 cm) si ha direttamente

r (pc)= 1/π.

Poiche la velocita della luce e c∼3 1010 cm/sec, un parsec corrisponde a 3.26 anni luce, cioe allospazio percorso dalla luce in 3.26 anni (1 anno∼3.1 107 secondi).

Page 22: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

22

La misura delle parallassi e argomento delicato, perche e innanzitutto da notare che ogni tele-scopio non puo restituire immagini puntiformi, creandosi in ogni caso una figura di diffrazione, tantopiu estesa quanto minore e il diametro del telescopio. L’ottica ondulatoria ci assicura che il discocentrale della figura, sino alla prima frangia oscura, ha un raggio angolare

α = 1.22 λ/D

dove α e espresso in radianti. Nel visibile (λ ∼5500 A) ed esprimendo D in centimetri si ottiene

α = 14”/D in secondi d’arco.

Le maggiori limitazioni nella misura delle parallassi provengono peraltro dalla turbolenza at-mosferica (seing) che produce variazioni temporali dell’indice di rifrazione atmosferico e, quindi, delcammino ottico dei raggi luminosi, disperdendo l’immagine di una stella su un area che in condizioninormali e dell’ ordine di almeno alcuni secondi d’arco. E’ per questa ragione che risulta di grandeimportanza collocare gli osservatori astronomici ad alta quota, in regioni contraddistinte da limitataturbolenza atmosferica, dove il seing puo scendere anche sotto il secondo d’arco. Quando si consid-eri che la stella piu vicina al Sole, αCen (αCentauri), ha una parallasse di soli 0”.76 si comprendeperaltro la difficolta di precise misure di parallasse. Il metodo trigonometrico ha consentito cosi’ diavere indicazioni abbastanza precise sulla distanza solo qualche centinaio di stelle nei dintorni delSole.

Un notevole miglioramento si e ottenuto grazie all’ utilizzazione di telescopi nello spazio e, inparticolare, dal satellite astrometrico Hipparcos, lanciato nel 1989 dall’Agenzia Spaziale Europea,che ha misurato la parallasse di molte migliaia di stelle con precisioni dell’ordine del millesimo disecondo d’arco. Un telescopio spaziale risulta infatti limitato dal solo fenomeno della diffrazione(diffraction limited), sempreche la piattaforma spaziale sia adeguatamente stabilizzata.

Si noti che l’immagine di seing oltre che limitare la misura delle parallassi introduce pesantilimitazioni anche sul limite inferiore dei segnali luminosi rivelabili. Il cielo ha infatti una luminositadiffusa (fondo) valutabile nella banda V a circa 22 mag per secondo d’arco quadrato. Se l’immaginedi una stella viene dispersa dal seing su una superficie analoga, ne segue che per oggetti con mag-nitudine superiore a V=22 il rapporto segnale-rumore scende sotto l’unita, rendendo sempre piudifficoltose le misure. All’aumentare della figura di seing diminuisce quindi la magnitudine limiteraggiungibile da un telescopio, ed e’ questo uno tra i principali motivi per cui e vitale scegliereper gli osservatori astronomici siti contraddistinti dal minimo possibile seing. Ed e questo ancorail motivo per cui la tecnologia dei moderni telescopi ha sviluppato tutta una serie di procedureinformatiche (ottiche adattive e ottiche attive) volte a minimizzare le dimensioni delle immaginistellari.

A1.4. Spettri stellari e tipi spettrali

Abbiamo indicato come lo spettro di una sorgente stellare corrisponda in genere ad una distribuzioneenergetica di corpo nero solcata da righe o bande di assorbimento. La distribuzione di corpo neroci assicura che la radiazione proviene da strati stellari in cui le interazioni tra particelle e fotonisono sufficienti ad assicurare l’equilibrio termodinamico tra materia e radiazione. Risulta peraltroovvio che prima di lasciare la stella tale radiazione debba fatalmente attraversare strati di bassae bassissima densita ove le interazioni radiazione particelle finiscono col diventare sporadiche el’equilibrio termico non puo piu essere realizzato. A conferma di cio si consideri che negli ultimi stratisuperficiali si e in presenza di un flusso di radiazione uscente, mentre l’equilibrio termodinamicorichiederebbe una radiazione isotropa.

Una radiazione elettromagnetica che attraversi un gas subisce peraltro fenomeni di assorbimento,secondo la regola che vuole che ogni gas sia in grado di assorbire la radiazione che sarebbe in gradodi emettere spontaneamente. A livello microscopico sappiamo che tale regola e collegata ai livellienergetici degli elettroni legati ai nuclei: portando un elettrone su un livello eccitato esso ritorna sulsuo stato naturale emettendo un quanto di luce di frequenza che obbedisce alla relazione hν = ∆Edove ∆E e la differenza di energia tra i due livelli. Analogamente, un elettrone e in grado diassorbire lo stesso quanto di energia per portarsi dal suo livello naturale al livello eccitato. Si noti

Page 23: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

23

Fig. 1.18. Schema delle transizioni elettroniche indotte dall’assorbimento di fotoni in atomi diidrogeno. Atomi nello stato fondamentale hanno elettroni nell’orbita piu interna (orbita K) ed ipossibili assorbimenti producono una serie di righe note come ”serie di Lyman”. Al crescere dellatemperatura gli elettroni si spostano a popolare livelli superiori e conseguentemente si hanno laserie di Balmer (da elettroni sull’orbita L) nel visibile e la serie di Paschen (da elettroni nell’orbitaM) nell’infrarosso.

che si e in presenza di un assorbimento transitorio, perche l’elettrone eccitato ritornera sul suo statonaturale emettendo nuovamente radiazione. Tale emissione e peraltro isotropa e alla superficie diuna stella tale meccanismo implica che vengono estratti fotoni dal flusso uscente, producendo lerighe di assorbimento presenti nello spettro.

Le righe presenti in uno spettro stellare dipenderanno quindi non solo dalle specie atomichepresenti nell’atmosfera stellare ma anche, e soprattutto, dalle temperature degli strati atmosferici.Al crescere della temperatura cresce infatti l’energia delle particelle e negli atomi aumenta il nu-mero di elettroni che si allontana dallo stato fondamentale per collocarsi spontaneamente su livellieccitati o per passare in stati slegati ionizzazione. Ad ogni temperatura corrisponde quindi unaparticolare distribuzione degli elettroni legati ai vari nuclei, distribuzione che si riflette sulle righedi assorbimento presenti nello spettro stellare.

Cosı alle piu basse temperature gli elettroni legati all’idrogeno (fig. 1.18) saranno nello statofondamentale (nell’orbita inferiore), e passando da questo stato a stati eccitati superiori produrrannorighe di assorbimento solo nell’estremo ultravioletto (Serie di Lyman). Al crescere della temperaturauna consistente frazione degli elettroni si sposta sul primo stato eccitato (la seconda orbita) e nellospettro appaiono le righe della serie di Balmer, nel visibile, e a temperature ancora maggiori apparirala serie di Paschen, nell’infrarosso.

Analogamente, anche gli atomi degli altri elementi presenti nell’atmosfera produrranno ad ognitemperatura uno spettro di assorbimento caratteristico della temperatura stessa. Poiche nella ma-teria stellare, formata essenzialmente da idrogeno ed elio, sono in ogni caso sempre presenti tuttigli altri elementi, sia pur con diverse abbondanze, la presenza di determinate righe o bande in unospettro e essenzialmente governata dalla temperatura, mentre la consistenza di tali assorbimentisara collegata all’abbondanza delle relative specie atomiche o molecolari.

Al variare della temperatura si presentano cosı nello spettro righe di assorbimento caratteristiche(fig. 1.19): sulla base delle quali vengono definiti, in ordine di temperatura decrescente, i tipi spettrali

O, B, A, F, G, K, M

ognuno suddiviso in 10 sottoclassi (B0, B1, B2...B9, A0, A1...). A basse temperature sono pre-senti nel visibile gli assorbimenti di molecole e elementi pesanti (metalli) neutri, quali, ad esempio,le righe del FeI = ferro non ionizzato. Le righe dell’idrogeno sono assenti perche tale elemento e

Page 24: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

24

Fig. 1.19. Intensita delle righe di assorbimento nel visibile di diversi elemento al variare del tipospettrale.

Tab. 2. Corrispondenza tra tipo spettrale, indice di colore, temperatura efficace e magnitudine Vassoluta per stelle di disco di Sequenza Principale.

Spettro B-V Te MV

O5 -0.35 35500 -5.7B0 -0.30 25000 -4.1B5 -0.16 17200 -1.1A0 0.00 12300 +0.7A5 +0.15 9900 +2.0F0 +0.30 8350 +2.6F5 +0.45 7100 +3.4G0 +0.57 6240 +4.4G5 +0.70 5620 +5.1K0 +0.89 4930 +5.9K5 +1.18 4100 +7.3M0 +1.45 3560 +9.0M5 +1.75 3110 +11.8

nel suo stato fondamentale e le righe della serie di Lyman cadono nell’ultravioletto. Aumentandola temperatura si dissociano le molecole mentre appaiono le righe di metalli ionizzati, ad esempioFeII= ferro ionizzato una volta. Appaiono anche le righe della serie di Balmer perche gli elettronidell’idrogeno si sono portati a popolare il secondo livello. Aumentando ancora la temperatura scom-paiono nuovamente le righe dell’idrogeno, perche ionizzato, e appaiono le righe dell’elio prima neutro(HeI) e poi ionizzato (HeII), presenti solo ad alta temperatura perche gli assorbimenti dell’elio nellostato fondamentale cadono anch’essi nell’estremo ultravioletto.

Nella Tabella 4 riportiamo a titolo indicativo le relazioni tra tipo spettrale, indice di colore B-Ve temperatura efficace per stelle di sequenza principale del disco galattico (Popolazione I) , dandoper tali stelle anche la tipica magnitudine assoluta nella banda V.

Stelle con identico tipo spettrale possono mostrare ulteriori differenze nella forma delle righe,differenze che sono risultate in relazione alla luminosita intrinseca della stella. Si comprendono talidifferenze notando come a parita di temperatura stelle intrinsecamente meno luminose debbanoavere raggi minori (L = 4πR2σT 4

e ) cui corrispondono densita atmosferiche maggiori, atomi piuperturbati e righe conseguentemente allargate. Corrispondentemente, per ogni tipo spettrale sidefiniscono cinque classi di luminosita, che vanno dalla classe I per le stelle piu luminose a righepiu sottili alla classe V, che corrisponde a stelle della sequenza principale. In questa classificazionedi Morgan, Keenan e Kellman classificazione MKK il Sole e una tipica stella G2V.

Page 25: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

25

Ad evitare equivoci, e bene precisare che una classe di luminosita NON corrisponde ad unaluminosita fissa e determinata. La classe V, ad esempio, e formata per ogni temperatura dallestelle meno luminose, che corrispondono a stelle di sequenza principale e la cui luminosita dipendefortemente dalla temperatura.

A1.5. Gli Ammassi stellari.

Nella nostra come nelle altre galassie sono presenti Ammassi Stellari che trovano la loro evidenteorigine in episodi collettivi di formazione stellare. Nella nostra Galassia alcuni ammassi di disco,nelle vicinanze del Sole, sono ben visibili ad occhio nudo ed hanno ricevuto nomi propri sin dallapiu remota antichita. Tali sono, ad esempio, le Iadi, le Pleiadi o il Presepe. Molti altri, osservatiattraverso piccoli telescopi appaiono solo come nebulosita e come tali appaiono nel catalogo pub-blicato nel 1771 dall’astronomo francese Messier per agevolare il lavoro dei cercatori di comete. Gliammassi presenti in tale catalogo vengono indicati dalla lettera M seguita dal numero del catalogo.Una piu moderna e pressoche completa classificazione degli ammassi della Galassie e quella fornitanel 1888 dal New General Catalogue di galassie, ammassi e nebulose, dove sono anche riportatinumerosi ammassi appartenenti alle due vicine galassie irregolari note come Piccola e Grande Nubedi Magellano. Per fare riferimento agli oggetti di questo catalogo si usa la sigla NGC seguita dalnumero di catalogo. A seguito di tale molteplicita di identificazioni molti oggetti celesti, e in parti-colare molti ammassi stellari, hanno una corrispondente moltiplicita di nomi ancora variamente ealternativamente usati nella letteratura scientifica. Cosi, ad esempio, Presepe = M44 = NGC 2632.In particolare, ove esistente, per gli ammassi globulari e ancora molto usata la classificazione diMessier, talch per i globulari pio luminosi nel cielo notturno si ha, ad esempio, M3 = NGC5272,M5 = NGC5904 o M92 = NGC6341.

Abbiamo ricordato come gli ammassi stellari della Galassia mostrino caratteristiche evolutivee strutturali che si differenziano nettamente a seconda della collocazione. Gli ammassi del disco,detti anche ammassi aperti o ammassi galattici, sono composti da qualche centinaio ad alcunemigliaia di stelle, tra le quali predominano giganti blu ad alta temperatura superficiale. Si ha taloraevidenza per l’esistenza nell’ ammasso di gas e polveri. Tali ammassi si dicono ”aperti” proprioperche risultano gravitazionalmente slegati e destinati col tempo a disperdersi; da cio si possonoricavare limiti superiori all’eta degli ammassi, talora anche inferiori al centinaio di milioni di anni. E’da assumere che tali ammassi nascano nelle spirali della Galassia. In fig. 1.3 abbiamo infatti mostratoche gli ammassi piu giovani, selezionati in base all’estensione ad alte temperature della sequenzaprincipale, si distribuiscono nelle vicinanze del Sole lungo direttrici che marcano la struttura aspirale della Galassia. Fenomeni di recente formazione stellare sono anche segnalati dalle regioniHII, nubi di idrogeno ionizzato dalla radiazione di contigue stelle giovani e massicce, e dunquedi alta temperatura superficiale. Gli ammassi di vecchio disco, quali ad es. M67 o NGC188, sonoinfine una sottocategoria degli ammassi aperti che per alcuni versi approssima le caratteristichedei globulari. Pur se collocati in prossimita del disco galattico, con metallicita che possono esseredell’ordine di quella solare, mostrano una peculiare abbondanza di stelle, una struttura sferoidalee un’eta avanzata, testimoniata dalla assenza di stelle ad alta temperatura e dalla contemporaneapresenza di sia pur esili rami di giganti rosse.

Nell’alone della Galassia osserviamo invece piu di 150 Ammassi Globulari, composti anche daoltre un milione di stelle, distribuite con netta simmetria sferica attorno al centro dell’ammasso,dove si raggiungono densita stellari anche superiori a 104 stelle per parsec cubo. La buona simmetriasferica e la regolare distribuzione radiale della densita stellare mostrano che tali ammassi risultanonon solo gravitazionalmente legati ma anche dinamicamente rilassati. Con quest’ultimo terminesi intende indicare che le mutue interazioni gravitazionali hanno portato verso una equipartizionedell’energia, talche la distribuzione di densita approssima quella di un gas di stelle autogravitanteisotermo (sfera isoterma) mentre la distribuzione di velocita delle stelle approssima la distribuzionedi Maxwell-Boltzmann. I tempi caratteristici per tale processo (tempi di rilassamento) dipendonodal numero e dalla densita delle stelle, risultando in ogni caso non minori del miliardo di anni, ilche da solo testimonia dell’antichita di tali oggetti, in accordo con le citate ipotesi di evoluzionegalattica.

Page 26: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

26

Fig. 1.20. L’andamento della luminosita superficiale nell’ammasso globulare M3 (punti) con-frontato con le previsioni teoriche da un perfezionamento del modello semplice isotermo.

Pur senza entrare nei dettagli dell’affascinante e complesso argomento dell’evoluzione dinamicadi tali sistemi, conviene qui accennarne alcuni punti fondamentali. Notiamo innanzitutto che latendenza ad una distribuzione Maxwelliana implica che una frazione delle stelle viene spinta avelocita maggiori della velocita di fuga dall’ammasso. Da un altro punto di vista, cio corrispondeal fatto che teoricamente una sfera isoterma non ha contorno, estendendosi sino all’infinito. Unmodello realistico (fig. 1.20) deve quindi, ad esempio, prevedere che l’ammasso perda tutte quellestelle che si spingono oltre il suo raggio mareale, definito come la distanza dal centro dell’ammassoa cui inizia a prevalere il campo gravitazionale della Galassia.

Il sistema ”Ammasso Globulare” quindi non puo essere dinamicamente stabile ed e destinatoa perdere, sia pur lentamente, non solo stelle ma anche energia. Cio conduce infine ad una catas-trofe gravotermica, ancora oggetto di intensi studi, nella quale il nucleo del cluster subirebbe unaserie di improvvisi collassi oscillazioni gravotermiche che porterebbero la densita centrale sino avalori dell’ordine di 108 M/pc3. Notiamo anche che l’equipartizione dell’ energia implica che lestelle con massa minore abbiano maggiori velocita, quindi con distribuzione spaziale piu espansa epreferenzialmente candidate a fenomeni di evaporazione dall’ammasso.

A fianco di tali meccanismi occorre anche tener conto di ulteriori meccanismi che collaboranoalla distruzione degli ammassi, quali gli incontri stretti con altri ammassi e gli effetti di disk shockinge bulge shocking che si manifestano ogni qualvolta un ammasso nella sua orbita di alone attraversail disco galattico o si avvicina al bulge. Se ne deve concludere che gli ammassi globulari che oggipopolano l’alone della Galassia non sono necessariamente quelli che vi si sono a suo tempo formati,ma solo quelli che per le loro caratteristiche strutturali sono riusciti a sopravvivere fino ad ogginell’alone galattico.

E’ da notare che gli ammassi globulari, oltre a caratterizzare l’alone di molte galassie a spirale,quali la nostra e Andromeda, paiono peculiarmente abbondanti nelle galassie ellittiche, mostrandodi essere un costituente generale dell’Universo collegato alle prime fasi di formazione delle galassie.In questo contesto spicca l’eccezione della galassia irregolare del gruppo locale ”Grande Nube diMagellano”. Accanto ad ammassi globulari antichi (rossi) esistono ammassi morfologicamente glob-ulari che mostrano stelle in fase evolutiva anche estremamente giovanile, alle quali si possono as-segnare eta anche inferiori ai cento milioni di anni.

Per spiegare tale peculiarita e, con essa, l’assenza di ammassi globulari nel disco della Galassia sipuo avanzare il suggerimento che la distribuzione del gas in un disco con rotazione differenziale (kep-leriana) abbia nella Galassia inibito l’ulteriore formazione dei grandi ammassi globulari, formazioneche e invece rimasta efficiente nelle regioni di gas non strutturato o solo parzialmente strutturato,come era il primitivo alone, e come sono ancor oggi le Nubi di Magellano.

Page 27: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

27

Fig. 1.21. Schema della classificazione morfologica delle galassie.

A1.6. Galassie. Ammassi di Galassie. Quasar

L’osservazione mostra che le stelle del nostro Universo sono raggruppate in enormi sistemi stellaricui diamo il nome di galassie. Per tali sistemi viene adottata una classificazione morfologica chedistingue:

1. Galassie ellittiche: mostrano una distribuzione di luminosita quale ci si attende da ellissoidi dirotazione. Vengono classificate con la lettera E seguita dal numero intero che piu approssimal’osservata ellitticita’, definita come 10 (1-b/a), dove b/a rappresenta il rapporto tra semiassimaggiore e minore della figura osservata. Si noti che tale valore non e necessariamente una carat-teristica intrinseca degli oggetti, dipendendo il valore osservato dall’orientazione delle galassierispetto all’osservatore. Analisi approfondite hanno al riguardo dimostrato l’esistenza anche didistribuzioni secondo ellissoidi triassiali.

2. Galassie a spirale: mostrano un disco nel quale si avvolgono braccia di spirale. Vengono clas-sificate con la lettera S, seguita dalle sottoclassi a, b, c che segnalano la crescente apertura deibracci di spirale. In alcuni casi le spirali si raccordano al nucleo tramite una barra rettilinea (spi-rali barrate): in analogia al caso generale vengono indicate come SB. Vengono infine classificatecome S0 galassie a disco, ma prive di una evidente struttura a spirale (galassie lenticolari).

3. Galassie irregolari: classe che contiene tutti gli oggetti che sfuggono alle precedenti classificazioni.

Orientativamente, si puo indicare che circa il 50% delle galassie osservate appartiene alla classeS, il 40% alla classe E, ed il restante 10% alle irregolari. Le masse di questi oggetti, cosi comericavabili dalle proprieta fotometriche o dinamiche delle strutture, possono variare di molti ordinidi grandezza. L’intervallo piu esteso e coperto dalle ellittiche, che dalle ellittiche giganti cui sonoattribuibili masse dell’ordine di 1013 masse solari (M) passa a circa 1010 M nelle ellittiche nane,quale il compagno di Andromeda M32, per scendere sino a 108 M nel caso delle nane sferoidali(Dwarf Spheroidals) che circondano la nostra Galassia. Tali masse vanno confrontate con le circa1011 M tipiche di galassie a spirale quale la nostra. Le irregolari sono in genere oggetti pocomassicci; nel Gruppo Locale di galassie, per la Grande Nube di Magellano (che mostra peraltroevidenze di una barra) si puo stimare una massa M∼5 109 M.

Accanto a questa classificazione generale, esistono parallele classificazioni dettate da particolarievidenze osservative. Ricordiamo ad esempio la classe delle galassie di Seyfert caratterizzate danuclei particolarmente compatti e brillanti. Oggi si ritiene anche che i Quasar, oggetti di apparenzastellare (di cui cioe non si giunge a rivelare l’estensione) in alcuni casi radioemittenti e caratterizzatisempre da un forte effetto Doppler in allontanamento (redshift) siano anch’essi nuclei attivi digalassie estremamente lontane nello spazio e - tenuto conto del tempo di percorrenza della luce -nel tempo. Oggi si ritiene che tali AGN (Active Galactic Nuclei) trovino la loro origine in fenomenidi accrescimento di materia su Buchi Neri massicci, con masse che possono raggiungere e superarele 108 M, posti al centro delle rispettive galassie.

Page 28: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

28

Ricordiamo infine come talora le galassie siano a loro volta raggruppate in sistemi di ordine supe-riore che prendono il nome di ammassi di galassie. Tipico il vicino ammasso nella costellazione dellaVergine, a circa 4 Mpc da noi, che entro dimensioni paragonabile a quelle che separano la Galassiadalla piu vicina compagna di dimensioni paragonabili, Andromeda, annovera invece migliaia digalassie. La dinamica della materia nelle galassie e negli ammassi di galassie e un importante capi-tolo dell’astrofisica, collegato al piu generale problema dell’origine e dell’evoluzione dell’Universo,che purtroppo esula dai limiti della presente trattazione.

A1.7. I sistemi binari e le masse stellari.

L’osservazione mostra come gran parte delle stelle del disco galattico faccia parte di sistemi binario multipli, in stati gravitazionalmente legati. I sistemi binari, in particolare, offrono la preziosapossibilita di una stima delle masse delle due stelle componenti. Ricordiamo che la meccanica classicaci insegna problema dei due corpi che le due stelle compiranno orbite ellittiche attorno al baricentrodel sistema, con semiassi maggiori inversamente proporzionali alla massa delle singole stelle. In unsistema con l’origine in una delle due componenti, si trova che l’altra componente descrive ancoraun ellisse il cui semiasse maggiore ”a” e dato dalla somma dei due semiassi maggiori delle singoleellissi reali.

Notiamo subito che, in linea di principio, non stupisce che i sistemi binari offrano la possibilitadi una determinazione delle masse. L’effetto delle masse e la creazione di un campo gravitazionale,ed ogni volta che un fenomeno risulta condizionato dall’ l’intervento del campo gravitazionale, essodeve contenere informazioni sulle masse sorgenti di quel campo. Cio e banalmente vero nel casodelle orbite di componenti di sistemi binari, ma restera vero anche in fenomeni piu complessi, qualeil caso delle masse stellari determinate dal rapporto dei periodi nei doppi pulsatori RR Lyrae di cuitratteremo nel seguito.

Per discutere il problema delle orbite delle binarie conviene preliminarmente individuare il tipodi informazioni che su questi oggetti possiamo raccogliere, tipi di informazioni cui corrispondonodiverse classi di binarie. Scartato il caso delle false binarie, cioe di immagini stellari contigue dovutesolo ad effetti prospettici, le caratteristiche osservative portano a definire tre classi di binarie

1. Binarie visuali: la distanza angolare tra le due componenti e tale da consentirne la separazionenell’osservazione telescopica.

2. Binarie spettroscopiche: il moto orbitale viene rivelato dallo spettro del sistema, grazie al peri-odico spostamento Doppler delle righe di assorbimento di una o di tutte e due le componenti.

3. Binarie fotometriche: la natura binaria viene rivelata da periodiche variazioni di luminositacausate dalle mutue eclissi delle due componenti.

Qui di seguito riassumiamo brevemente le informazioni sulle masse ottenibili nei tre diversi casi,rimandando ad un qualunque testo di astronomia classica per il trattamento dei diversi argomenti.

1. Binarie visuali. Le osservazioni forniscono l’orbita apparente di una stella attorno alla sua pri-maria, definita come la stella piu luminosa della coppia. Con procedure geometriche e possibileda cio risalire all’orbita reale, determinando in particolare il valore del periodo e del semiassemaggiore α (in secondi d’arco). Dalla 3a legge di Keplero abbiamo

m1 + m2 = a3/P2

dove ”a” rappresenta il semiasse maggiore in unita astronomiche (distanza Terra-Sole), P ilperiodo orbitale in anni e le masse m1 e M2 sono misurate in masse solari. Se del sistema eanche nota la distanza ”d” (in parsec), ad esempio attraverso misure di parallasse,

a = αd

e la 3a legge di Keplero fornisce la somma delle masse delle due componenti. Se oltre al motorelativo si riesce ad identificare il baricentro del sistema, si ha che in ogni istante il rapportodelle masse e pari all’inverso del rapporto delle distanze dal baricentro e si ricavano le singolemasse.

Page 29: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

29

2. Binarie spettroscopiche. Le osservazioni forniscono istante per istante la velocita radiale (inkm/sec) di una o ambo le componenti (curve di velocita radiale). Da cio si ricava il periodo,la velocita del baricentro e il prodotto ak sin i, dove ak e il semiasse maggiore dell’orbita realedella componente k (k=1,2) e ”i” e l’angolo tra la direzione della visuale e la normale al pianodell’orbita. Se sono osservati tutti e due gli spettri si conoscono a1sin i, a2sin i e quindi anche asin i dove a = a1 + a2 e ora il semiasse dell’orbita relativa. Si ricava cosı

a1sin i/a2sin i = a1/a2 = m2/m1

e dalla 3a legge di Keplero

(m1 + m2)sin3i = a3sin3i/P2.

3. Binarie fotometriche: La luminosita in funzione del tempo curva di luce fornisce rilevanti in-formazioni sulla luminosita e sulla geometria degli oggetti che si eclissano. Per quel che quiinteressa notiamo che, al di la di possibili valutazioni piu dettagliate, l’occorrenza delle eclissici indica che i∼90, sin i∼1. Nel caso di binarie ad eclisse di cui si conoscano anche gli spettri(binarie spettrofotometriche) le relazioni discusse nel punto precedente conducono facilmente aduna stima delle masse delle due componenti.

A1.8. I nuclei atomici. Decadimenti radioattivi.

I nuclei degli atomi che compongono i vari elementi chimici che formano la materia sono costituitida un ”assiemaggio” di protoni e neutroni. Detto, per ogni nucleo, Z il numero di protoni ”p” eN il numero di neutroni ”n”, Z determina la carica elettrica totale del nucleo (= +Ze), mentreN+Z=A numero atomico rappresenta il numero totale di nucleoni (”p” o ”n”) presenti nel nucleo,determinandone la massa.

E’ noto che dalla carica elettrica del nucleo dipendono le proprieta degli elettroni orbitantiattorno al nucleo stesso e, in definitiva, le proprieta chimiche dei vari elementi. Ad ogni Z corrispondedunque un ben determinato ”elemento” classificato secondo la usuale nomenclatura chimico-fisica(idrogeno, elio, etc.), cui possono corrispondere nuclei con diverso A (isotopi). In fig. 1.22 e riportatauna tabulazione dei nuclei stabili con numero atomico A≤70.

Attraverso reazioni di impatto tra nucleoni e/o nuclei e possibile produrre nuovi nuclei con unrapporto protoni/neutroni che rende i nuclei instabili. Tali nuclei tendono in generale a decadereper riportarsi al rapporto che caratterizza il nucleo stabile. Nel caso di un eccesso di neutroni questivengono trasformai in protoni grazie al decadimento β−

n→p+e−+ν

nel quale vengono emessi un elettrone col suo antineutrino. In caso di eccesso di protoni si ha ilcorrispondente decadimento β+

p→n+e++ν

con emissione di un positrone e di un neutrino. Simili reazioni sono caratterizzate da una prob-abilita di decadimento che dipende solo dal processo considerato, e non dalle condizioni chimiche ofisiche della materia.

Poiche la probabilita e pari alla frequenza degli eventi, dati N nuclei suscettibili di un particolaredecadimento radioattivo, in un tempo dt ne decadranno

dN/N = p dt

essendo dN/N la frequenza degli eventi e ”p” la probabilita di decadimento per unita di tempo.Ponendo p=1/τ si ha

dN/N =dt/τ

e, integrando su un tempo finito

Page 30: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

30

Fig. 1.22. Mappatura nel piano Z (numero di protoni) N (numero di neutroni) dei primi trentaelementi chimici del sistema periodico. Per ogni elemento (per ogni Z) e riportato il simbolo chimicoe, nelle corrispondenti caselle, il numero di massa A (=Z+N) dei vari isotopi. In alto a sinistra sonoriportate le traiettorie corrispondenti ai piu comuni processi di decadimento o cattura. L’assenza diisobari contigui testimoni l’efficienza dei processi β nel portare i nuclei nelle configurazioni nuclearia maggior energia di legame. Sono anche indicati i numeri magici di neutroni o protoni in corrispon-denza dei quali i nuclei mostrano una peculiare stabilita. Le spezzate a tratti e punti mostrano letraiettorie corrispondenti ad una serie successiva di catture di protoni o neutroni. Nel riquadro unamappatura nel piano A,Z evidenzia l’assenza di nuclei con A=5 e 8.

N(t)= N0exp(−t/τ)

dove N e il numero di nuclei sopravvissuti al tempo ”t”, N0 il numero di quelli presenti all’istanteiniziale, τ e l’inverso della probabilita di decadimento per unita di tempo e prende il nome divita media del nuclide radioattivo in esame. Analoghe relazioni valgono in generale anche per idecadimenti attraverso altri canali che caratterizzano l’instabilita di taluni nuclei e, in particolare,per il decadimento con emissione di particelle α che caratterizza l’instabilita degli elementi a piualto numero atomico (famiglie radioattive dell’Uranio-Torio).

A1.9. La legge di Hubble ed il Big-Bang

Nel 1929 Edwin Hubble analizzando lo spettro della radiazione luminosa proveniente dalle galassietrovo che le righe di assorbimento presenti in tali spettri risultavano tanto piu spostate verso ilrosso quanto piu deboli apparivano le galassie medesime. Interpretando tale spostamento come(effetto Doppler) lo spostamento delle righe si correla con la velocita ”V” di allontanamento dalSole, risultando

∆λ/λ = V/c

dove ∆λ/λ viene in genere indicato con ”z” e prende il nome di redshift dell’oggetto osservato.Assumendo inoltre che la luminosita apparente delle galassie sia governata dalla distanza dellestesse si conclude che il redshift appare correlato alla distanza, crescendo con essa (recessione delle

Page 31: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

31

Fig. 1.23. La relazione tra redshift e magnitudine ricavata da A. Sandage per un campione digalassie ellittiche giganti.

galassie). Hubble preciso questa osservazione in una legge di diretta proporzionalita tra la velocitadi allontanamento (V) e la distanza (d) secondo la relazione

V = H0d (14)

dove H0 prende il nome di costante di Hubble.Per galassie non troppo distanti, per le quali si possa assumere una metrica dello spazio euclidea

e velocita non relativistiche, dalla relazione che lega le magnitudini apparenti a quelle assolute (→A1.2), introducendo la legge di Hubble e la relazione tra velocita e redshift si ricava:

m = M-5+5logd = M-5+5logV-5logH0 = M-5+5log(∆λ/λ)-5logc-5logH0.

cioe per ogni assunta magnitudine assoluta M di una classe di galassie

logz= log(∆λ/λ)= 0.2 m + cost.

Noto M, una misura sperimentale della costante darebbe il valore di H0. In figura 1.23 e riportatala relazione tra magnitudine e redshift ricavata da A. Sandage per un campione di galassie ellittichegiganti. Si noti come la relazione lineare risulti estremamente ben verificata, confortando la legge diHubble, mentre l’incertezza sull’esatto valore delle magnitudini assolute non consente di utilizzaretale evidenza per una precisa valutazione del valore di H0.

La determinazione di tale valore e stato sino a tempi recenti uno dei piu importanti problemidell’astrofisica. Una precisa valutazione del valore della costante di Hubble richiede valutazioni al-trettanto precise della effettiva distanza delle galassie. Essendo impraticabili i metodi trigonometrici,e necessario ricorrere all’utilizzo di opportune candele campione, cioe di oggetti di cui si ritenga diconoscere a priori la luminosita intrinseca e le cui luminosita apparenti variano quindi solo con ilquadrato delle distanze. Per le galassie piu vicine si utilizzano a tale scopo vari oggetti, quali lestelle variabili Cefeidi, le Novae, le regioni HII e gli ammassi globulari. Per le galassie piu distantisi possono infine utilizzare eventuali Supernovae. In tali direzioni si e una lunga serie di indaginiche hanno progressivamente e drasticamente abbassato la stima originale di Hubble che valutavaattorno a H0 ∼ 500 km/sec Mpc. Questi risultati sono recentemente stati confermati e perfezionaticon approccio alternativo dal satellite WMAP della NASA che investigando la radiazione cosmicadi fondo ha ricavato H0 ∼ 70 km/sec Mpc.

Page 32: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

32

Fig. 1.24. I valori sperimentali della distribuzione energetica della radiazione di fondo (punti)confrontati con le previsioni teoriche per un corpo nero per T=2.7 K.

Si noti che l’inverso di H0 ha le dimensioni di un tempo, e rappresenta il tempo trascorsodall’inizio dell’ espansione se le velocita fossero rimaste costanti. La presenza del campo gravi-tazionale ha peraltro l’effetto di far diminuire nel tempo le velocita, e 1/H0 rappresenta dunque unlimite superiore per l’eta dell’Universo.

George Gamow per primo osservo come da questo quadro discenda che nelle sue fasi inizialila materia doveva essere estremamente densa ed estremamente energetica (Big-Bang caldo) e chequindi dovesse esistere una radiazione elettromagnetica in equilibrio con la materia ad altissimetemperature. Al diminuire della densita della materia diminuiscono le interazioni fotone-particellee la radiazione finisce col disaccoppiarsi dalla materia. Da questo momento materia e radiazioneevolveranno con diverse modalita: se R e un parametro caratterizzante lo stato di espansione, ladensita di materia decresce come 1/R3 mentre l’energia della radiazione decresce come 1/R4, comerichiesto dall’espansione adiabatica del gas di fotoni. Si noti come tale ultima dipendenza risultidalla combinazione della conservazione del numero di fotoni (1/R3) col degrado dell’energia dovutoal redshift (1/R). Se ne trae la conseguenza che la cosmologia del Big-Bang prevede che l’Universosia ancor oggi omogeneamente riempito da una radiazione isotropa di corpo nero, degradata ormaia pochi gradi Kelvin. La scoperta della radiazione di fondo (fig. 1.24), verificando puntualmente taleprevisione, e tra le piu importanti conferme dello scenario del Big-Bang. Si noti come l’esistenzadi tale radiazione di fondo (CBR = Cosmic Background Radiation) stabilisca tra tutti i sistemiinerziali l’esistenza di un unico sistema in quiete rispetto all’Universo, il moto di ogni altro sistemaessendo rivelato da una anisotropia di dipolo nella radiazione.

Il valore di H0, la temperatura della radiazione di fondo e la densita nel presente Universoforniscono le condizioni al contorno che consentono di definire un modello di Universo e di seguirnel’evoluzione nel tempo, valutando - in particolare - gli effetti delle reazioni nucleari nelle primissimefasi di tale evoluzione.

Per completezza notiamo che la forma della legge di Hubble sin qui discussa vale solo sino aquando non si raggiungono velocita relativistiche. Nel caso generale dovremo porre

z =∆λ

λ=√ (1 + β)

(1− β)− 1 (15)

da applicarsi ogniqualvolta z≥0.2. La tabella 3 riporta la relazione tra il redshift z e β = v/c.Nella stessa tabella e riportato il fattore relativistico di dilatazione dei tempi atteso per i vari valoridi z, dalla relazione

t = αt =t0√

(1− β)2(16)

Page 33: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

33

dilatazione dei tempi puntualmente osservata nella curva di luce di Supernovae a distanza cos-mologica. Si puo notare come z = 4 corrisponda ormai ad una velocita pari al 92 % della velocitadella luce.

Tab. 3. Velocita di espansione e fattore di dilatazione dei tempi per selezionati valori di redshift z

z β α

1 3/5 1.252 5/8 1.283 15/17 2.124 24/26 3.60

A1.10. Particelle elementari. La storia delle particelle nel Big-Bang

E’ noto come la ricerca fisica abbia riconosciuto che nel divenire della materia siano all’operaquattro interazioni fondamentali: gravitazionale, elettromagnetica, forte e debole. Le prime due traqueste interazioni sono ben note gia nella fisica classica, le ultime due si evidenziano rispettivamentenelle forze di aggregazione nucleare e nei processi di decadimento β. Interazione gravitazionale edelettromagnetica sono forze che vanno come 1/R2, con un raggio di azione che si estende dunquesino all’infinito. Al contrario, interazione forte ed interazione debole risultano forze a corto range,con raggi di azione di 10−13 e 10−16 cm, rispettivamente.

La descrizione moderna di tali interazioni riposa sull’intervento quali ”vettori” dell’ interazionedi ”quanti” associati alle interazioni stesse, che vengono creati e si propagano all’interno dellerestrizioni imposte dal principio di indeterminazione di Heisenberg

∆E ·∆t ∼ h/2π

In tale scenario, l’interazione elettromagnetica si spinge sino all’infinito perche il suo vettore, ilfotone, ha massa nulla e puo quindi avere energia piccola a piacere. Analoghe considerazioni valgonoper la postulata esistenza dei quanti del campo gravitazionale, i gravitoni. La forza debole ha invecevettori massivi, i bosoni intermedi W e Z0, la cui produzione impegna un’energia non minore di∆E=mc2, ponendo una severa limitazione al tempo di esistenza delle particelle virtuali ed al tragittoc∆t raggiungibile da tali particelle. Il caso dell’interazione forte e peraltro estremamente piu com-plesso, riposando sul comportamento di quark e gluoni descritto dalla cromodinamica quantistica.Qui ci limiteremo a riaffermare che anche l’interazione forte si manifesta solo a corto range.

E’ d’uso classificare le particelle elementari, siano esse stabili o instabili, a seconda del tipo diinterazioni cui sono soggette. Le particelle si distinguono cosı in due grandi classi

1. Leptoni: soggetti, oltre che alla interazione elettromagnetica se carichi, anche all’interazionedebole. Tali sono l’elettrone (e) e i tre tipi di neutrino (νeνµντ ) con le loro antiparticelle. Tra leparticelle instabili ricordiamo ad esempio il muone (µ).

2. Adroni: soggetti, oltre che alle citate interazioni, anche alle interazioni forti. Tali sono il protoneed il neutrone, anch’essi con le loro antiparticelle, ed una gran quantita di particelle instabili.Particelle instabili con massa minore del protone sono dette mesoni, tutte le altre barioni. Tuttigli adroni sono in realta formati da particelle piu propriamente elementari dette quark, cheperaltro non sono osservabili isolate (confinamento dei quark).

Particelle, stabili e instabili, possono essere liberamente prodotte quando sia disponibile l’energiacorrispondente alle masse prodotte, ferme restando le varie leggi di conservazione per le quali, adesempio, la produzione di un protone richiede la produzione contemporanea di un antiprotone per laconservazione del numero barionico. Si noti che per la conservazione della quantita di moto un fotone

Page 34: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

34

Fig. 1.25. L’andamento di temperatura e densita nell’Universo del Big-Bang

puo produrre solo (almeno) coppie di particelle e, di converso, l’annichilazione di due particelle deveprodurre (almeno) due fotoni.

E’ ben noto come nel presente Universo sopravvivano solo le particelle stabili: fotoni, neutrini,protoni e un numero di elettroni tale da compensare la carica dei protoni. Sopravvivono anche ineutroni quando inglobati nella struttura di un nucleo. Ma in un Universo in cui l’energia media perparticella (∼kT) risultava superiore quella necessaria per produrre particelle instabili, ci si attendeche tali particelle siano in continuazione prodotte, e che risultino presenti in equilibrio statisticocon le altre particelle.

Nelle primissime fasi del Big-Bang, l’energia dei fotoni era sufficiente per creare coppie di ognitipo di particella e l’Universo dovette essere popolato da un ”brodo” di adroni e leptoni con le loroantiparticelle, in equilibrio termodinamico tra loro e con il gas di fotoni (Era degli adroni). A 1012

K si e ormai scesi sotto la soglia di produzione degli adroni e quelli in precedenza esistenti si sonovicendevolmente annichilati con le loro antiparticelle

n+n → γ + γp+p → γ + γ

Al termine delle annichilazioni restano i barioni oggi presenti nell’Universo, che in precedenzarappresentavano solo una piccola differenza percentuale (dell’ordine di 10−7%) nel bilancio dellapopolazione di particelle ed antiparticelle in equilibrio con la radiazione.

Tab. 4. Le principali tappe nella storia dell’Universo.

Fase Tempo Densita Temperatura Energia per particella

Termine era degli adroni 10−4sec 1012K 1GevTermine era dei leptoni 1 sec 104 g cm−3 1010 K 1 MeVTermine Era della radiazione 106anni 10−21 g cm−3 3·103 K 0.3 eV

Al successivo decrescere della temperatura e sinche kT≥mec2 ( T ∼ 1010 K ) gli elettroni

sono continuamente formati da creazione di coppie e++e− (Era dei leptoni) mentre i neutrini sonoinizialmente accoppiati agli elettroni da interazioni

Page 35: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

35

e+ + e− ↔ νe + νe

e con i nucleoni da interazioni

p + νe ↔ n + e+ -1.80 MeVp + e− ↔ n + νe -0.78 MeVn ↔ p + e− + νe +0.78 MeV

dove l’energetica delle reazioni e’ immediatamente ricavabile dalle masse delle particelle coin-volte: Mn = 939.5656 MeV, Mp = 938.2723 MeV, Me = 0.5109999 MeV. A causa della lungavita del neutrone ( ∼ 14.76 minuti) le prime due reazioni (endotermiche) restano dominanti sino ache l’energia media e superiore alle rispettive soglie. Durante l’Era dei leptoni i neutrini finisconopero col disaccoppiarsi, mentre l’abbondanza di protoni e neutroni, in equilibrio termico tra loro,obbedisce alla relazione di Maxwell

np

nn= exp [

(mn −mp)c2

kT] (17)

A 1011 K np/nn∼ 1.2, salendo a circa 4 a A 1010 K, quando termina l’era dei leptoni e inizial’era della radiazione . Al di sotto di questa temperatura le coppie elettrone positrone si annichilanoproducendo fotoni

e+ + e− → γ + γ

e l’Universo, dopo la nucleosintesi cosmologica (che termina a circa 4 minuti), restera infinepopolato solo da idrogeno, elio ed elettroni, con tracce di elementi leggeri. A circa 106 anni glielettroni si ricombinano con i protoni e la radiazione di fondo si disaccoppia dalla materia, ladensita della radiazioni scende sotto quella della materia e inizia l’attuale Era della Materia.

La Tabella 4) riassume la sequenza di eventi che caratterizza l’evoluzione del Big-Bang mentrela fig. 1.25 riporta l’evoluzione di temperatura e densita.

A1.11. Il problema della massa oscura.

Si e indicato come la stima della densita attuale dell’Universo sia un parametro cruciale per model-lare l’evoluzione cosmologica dell’Universo medesimo e, in particolare, per stabilire se esso e apertoo chiuso. e infatti di per se evidente che, fissato il campo di velocita della legge di Hubble, al cresceredella densita cresce il campo gravitazionale che contrasta l’espansione, e dalla stima di tale densitadiscende quindi il valutare se l’Universo superi o meno la velocita di fuga.

Piu in generale, ricordiamo che dall’assunzione che l’Universo sia su grande scala omogeneo eisotropo si ricava per l’espansione l’equazione di Friedmann

H2 = (R

R)2 =

8πGρM

3− kc2

R2+

Λc2

3(18)

dove R= R(t)e il fattore di scala, H =R / R misura la velocita di espansione (H0, costante diHubble, rappresenta l’espansione al tempo presente), ρM densita di massa, k parametro di curvaturae Λ la costante cosmologica di Einstein, che rappresenta una densita di energia del vuoto.

Esprimendo le densita di materia ed energia attraverso i parametri al tempo presente

ΩM =8GρM

3H20

; ΩΛ =Λc2

3H20

(19)

l’equazione di Friedmann fornisce

kc2

R20

= H20 (ΩM + ΩΛ − 1) (20)

Page 36: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

36

Fig. 1.26. Curva di rotazione della galassia NGC3198. In funzione della distanza R dal centro dellagalassia e riportata la velocita di rotazione osservata per stelle e nubi di gas. Il tratto orizzontaleindica, orientativamente, le dimensioni dell’immagine ottica della galassia.

e per avere un Universo piatto e con metrica euclidea, come rivelato ad esempio dal satelliteWMAP, si richiede k=0 e quindi

ΩM + ΩΛ = 1Una stima della densita di materia normale (barioni) si ottiene dalla stima della densita di

galassie unita a valutazioni della massa delle medesime. Con tale procedura si giunge ad una den-sita dell’attuale Universo dell’ordine di 10−31 gr/cm3, cioe inferiore di circa un fattore 100 delladensita critica necessaria per chiudere l’Universo. Se ne dovrebbe concludere che l’Universo e aperto,destinato ad una indefinita espansione. E’ stato peraltro fatto notare che la procedura teste descrittaconduce ad una stima della massa contenuta in oggetti emettenti luce, e che non si puo escludere lapresenza di massa oscura, dalla quale non proviene radiazione elettromagnetica. Massa che potrebbeessere contenuta in oggetti oscuri (stelle di bassissima luminosita od oggetti planetari) ma anche inparticelle elementari massive e scarsamente interagenti diffuse nell’Universo.

Esistono infatti molteplici evidenze per l’esistenza di un tale ulteriore contributo. La stabilita deldisco della nostra Galassie richiede ad esempio molta piu massa di quella visibile. Un’altra evidenzasperimentale per l’esistenza di massa oscura e fornita dalla curva di rotazione delle galassie spirali.Se la massa delle galassie e collegata sostanzialmente all’osservato corpo luminoso, ci si attendeche allontanandosi da questo gli oggetti che vi ruotano attorno (stelle e/o gas) mostrino velocitadecrescenti, come atteso da moti kepleriani. L’osservazione mostra che cio non e vero, e la velocitadi rotazione si mantiene pressoche costante sino a grandi distanze dal corpo centrale della galassiaed all’esterno della stesa immagine ottica della galassia (fig. 1.25). Se si vuole conservare la legge digravita di Newton, cio implica che nella Galassia e attorno ad essa esista una distribuzione di massanon accessibile all’osservazione diretta. Altre evidenze per la presenza di massa oscura si ottengonodalla dinamica degli ammassi di galassie.

Si e cosi stimato che in alcuni casi la massa oscura sia almeno quattro volte quella osservata,un valore rilevante ma ancora troppo piccolo per rendere piatto l’Universo. In tale contesto molteindagini sono state dedicate al tentativo di determinare se e quanta di tale massa oscura potesseessere sotto forma di barioni. Tali ad esempio gli esperimenti MACHO ed EROS volti a rivelare glieffetti di lente gravitazionale prodotti da corpi oscuri di piccola massa transitanti davanti a stellenormali. Il progresso delle indagini sulla radiazione di fondo cosmico, e in particolare i risultati delgia citato satellite WMAP, sembrano ormai aver risolto tale problema, mostrando che la materiaoscura e essenzialmente non barionica, ma che l’Universo e piatto solo grazie al sostanziale contributodi una per molti versi ancora misteriosa energia del vuoto.

Page 37: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

37

Origine delle Figure

Fig.1.1 Rose W.K. 1973, ”Astrophysics”, Holt, Rinehart & WinstonFig.1.2 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.1.3 Mavridis L.N. 1971, in ”Structure and evolution of the Galaxy”, ReidelFig.1.4 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.1.6 Castellani V., Degl’Innocenti S., Prada Moroni P.G, 2001, MNRAS 320,66Fig.1.7 Cassisi S., Castellani V., Degl’Innocenti S., Salaris M., Weiss A. 1999, A&A 134,103Fig.1.8 Rosenberg A., Piotto G., Saviane I., Apparicio A. 2000, A&AS 144,5Fig.1.10 Cameron A.G.W. 1982, in ”Essays in Nuclear Astrophysics”, Cambridge Univ. PressFig.1.16 Nandy, K., Morgan, D. H., Willis, A. J., Wilson, R., Gondhalekar, P. M. 1981, MNRAS 196, 955Fig.1.19 Clayton D.D. 1983, ”Principles of sStella Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-HillFig.1.20 Da Costa G.S., Freeman K.C. 1976, ApJ 206, 132Fig.1.22 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.1.25 Karttunen H., Kroeger P., Oja H. et al 1996, ”Fundamental Astronomy”, SpringerFig.1.26 van Albada T. S., Bahcall J. N., Begeman K., Sancisi R. 1985, ApJ 295 30

Page 38: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 2

Natura e struttura delle stelle

2.1. L’equilibrio delle strutture stellari

La diffusa evidenza del fenomeno ”stella” testimonia che la formazione di stelle costituisceuna processo spontaneo e naturale nell’evoluzione della materia nell’Universo. Ed in effetti ilSole, come tutte le altre stelle, indubbiamente altro non e che il prodotto di una aggregazionespontanea di materia diffusa sotto l’influenza della gravitazione. La storia dell’evoluzione diuna stella sara dunque la storia della contrazione di una massa di gas sotto l’influenza delproprio campo gravitazionale (struttura autogravitante). Per affrontare un tale argomentoconviene esaminare con qualche dettaglio la struttura di tali oggetti, al fine di compren-derne e di prevederne le principali caratteristiche. Cio puo essere fatto investigando in formaquantitativa le problematiche che vengono suggerite da pur semplici evidenze osservative.

La prima di queste evidenze e che il Sole mantiene ed ha mantenuto per un lunghissimotempo le sue dimensioni. La materia che costituisce il Sole, pur soggetta ad una intensa forzagravitazionale, non mostra di muoversi verso il centro di gravita con tempi scala meccanici,cioe con i tempi tipici dei moti che si sviluppano sotto l’azione della forza gravitazionale. Perfissare le idee, possiamo valutare che alla superficie del nostro Sole, essendo massa e raggiodel Sole M = 1.989 1033 gr R = 6.960 1010 cm, si ha una accelerazione di gravita

g = GM/R2 ∼ 6.67 10−8 1.99 1033/ 4.84 1021 ∼ 2.74 104 cm/sec2

circa 30 volte superiore che alla superficie della Terra. Poiche in un moto uniformementeaccelerato S=gt2/2, un corpo alla superficie del Sole sul quale agisse liberamente la gravitapercorrerebbe uno spazio pari al raggio del Sole in un tempo

t = (2R/g)1/2 ∼ 2 103 sec ∼ 30 minuti.

Si ricava cosi un ordine di grandezza dei tempi caratteristici sui quali opererebbe lagravita su scala solare. I 2 103 secondi ricavati assicurano che se sul Sole la forza di gravitafosse libera di operare, il Sole dovrebbe rapidamente modificarsi sotto i nostri occhi. Poichecio non avviene, dobbiamo concludere che la forza di gravita e contrastata ed annullatadalle forze di pressione generate nel gas, producendo una struttura che definiremo quasistazionaria, perche - come constateremo - pur se le forze di pressione annullano le forze digravita la struttura e costretta sia pur lentamente ad evolvere.

E’ facile tradurre le precedenti considerazioni in una relazione quantitativa. Assumendola simmetria sferica della struttura solare - come suggerito dall’evidenza osservativa - il

1

Page 39: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

Fig. 2.1. Il bilancio della forza di gravita Fg e delle forze di pressione Fp per un generico elementodi materia di volume dV = dS dr.

bilancio tra le forze di pressione e quelle gravitazionali (fig. 2.1) per un generico elemento dimassa dm = ρdV = ρdSdr fornisce la relazione dell’equilibrio idrostatico

dP (r)dr

= −GMr(r)ρ(r)

r2dr (1)

dove P rappresenta la pressione totale operante nell’ambiente (quindi non la sola pres-sione del gas → A2.1 ), ρ la densita locale ed Mr la massa contenuta all’interno del genericoraggio r.

Questa equazione fornisce una prima relazione tra le tre grandezze incognite P, ρ ed Mr,assicurando che la pressione deve crescere con continuita muovendosi verso l’interno dellastella. In realta una delle incognite e solo formale, perche dalla definizione di Mr si ricavasubito l’equazione di continuita

dMr = 4πr2ρdr (2)

Aggiunta alla precedente, l’equazione di continuita forma un sistema di due equazionidifferenziali nelle tre indicate incognite. Dalla sola condizione di equilibrio non e dunquepossibile definire l’andamento delle variabili fisiche lungo la struttura, e cio non sorprendeperche la struttura medesima dipendera da come ρ e P sono tra loro collegate, cioe dall’equazione di stato che per ogni assegnata composizione della materia consistera in unarelazione del tipo

P = P (ρ, T ) (3)

E’ subito visto che l’introduzione dell’equazione di stato, se aumenta il numero delleequazioni aumenta anche il numero delle incognite, introducendo la nuova incognita ”tem-peratura” ( T(r) ). Come peraltro prevedibile, la distribuzione delle temperature e quindiun ingrediente essenziale nel determinare lo stato della struttura. Sara di conseguenza nec-essario, in linea del tutto generale, ricorrere ad opportune valutazioni delle leggi fisiche cheregolano la distribuzione delle temperature nella materia stellare, determinando l’andamentodel gradiente di temperatura dT/dr.

Notiamo che la presenza di un gradiente di temperatura implica la conseguente presenzadi un flusso di energia che tende a riequilibrare lo stato energetico dei diversi strati dimateria. Le interazioni particella-particella e fotone-particella tendono inevitabilmente aridistribuire l’energia, producendo un trasporto di calore verso le zone a minor temperatura.E’ peraltro noto come i possibili meccanismi per tale trasporto siano conduzione, convezione

Page 40: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

ed irraggiamento. Escludendo per il momento il caso della convezione, negli altri due casi siha - come regola generale - che il flusso di calore e proporzionale al gradiente

dT

dr= cost · φ (4)

relazione che puo essere letta come una delle tanti leggi di proporzionalita tra causa(dT/dr) ed effetto (il flusso φ), una sorta di legge di Ohm dove la costante rappresentala ”resistenza” al trasporto. La materia all’interno di una stella si trova in generale nellostato gassoso, cui corrisponde (ma con importanti eccezioni) una trascurabile efficienza deimeccanismo conduttivi. In tal caso si puo dimostrare (→ A2.2) che tra il flusso trasportatoper radiazione (dai fotoni) ed il gradiente di temperatura intercorre la relazione

dT

dr= − 3

4ac

κρ

T 3φ (5)

dove a= costante del corpo nero = 7.6 10−15 cm, c= velocita della luce e κ opacita pergrammo di materia e definita dalla relazione

κρ =1/λ,

con λ cammino libero medio dei fotoni: minore il cammino libero medio maggiorel’opacita.

Da tale del trasporto radiativo si ricava non solo che un gradiente di temperatura gen-era un flusso, ma anche che la presenza di un flusso implica un gradiente di temperatura.L’emergere di un flusso luminoso dalle strutture stellari e quindi indicazione che la temper-atura cresce dalla superficie verso l’interno, e che tale aumento deve continuare sinche lastruttura e percorsa da un flusso di energia uscente. Se ne trae anche la conseguenza che senelle zone centrali di una struttura stellare non vi sono sorgenti (positive o negative) di ener-gia, allora tali zone devono tendere ad una situazione isoterma. Un gradiente di temperaturaprodurrebbe infatti un flusso volto a riequilibrare le differenze di temperatura.

Nell’equazione del trasporto il flusso φ locale puo utilmente essere espresso, per ogni r,in termini della flusso energetico totale attraverso la superficie sferica di raggio r (Lr(r)=luminosita)

Lr = 4πr2φ

talche l’equazione del trasporto diventa, nel caso di trasporto radiativo

dT

dr= − 3

4ac

κρ

T 3

Lr

4πr2(6)

Abbiamo cosi una quarta relazione, che introduce l’ulteriore incognita Lr, cosi che intotale si hanno quattro equazioni che contengono le sei variabili r, Lr, P, T, Mr, ρ. Lacondizione su Lr e peraltro subito fornita dalla conservazione dell’energia

dLr

dr= 4πr2ρε (7)

dove ε rappresenta la produzione di energia per grammo di materia e per secondo. Larelazione precedente rappresenta il bilancio energetico, stabilendo che se l’energia totaleche fluisce attraverso la struttura subisce una variazione tra r e r+dr cio e’ dovuto allaproduzione o assorbimento di energia nella corrispondente massa dm = 4πr2ρdr. E’ proprioquesta diretta collegabilita al bilancio energetico che fa preferire l’uso della variabile Lr

nell’equazione del trasporto.Con questa ultima relazione si raggiunge un sistema di cinque equazioni (di cui quattro

differenziali) che legano i sei parametri r, Lr. P, T, Mr, ρ

Page 41: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

1. dP/dr → equilibrio idrostatico2. dMr/dr → equazione di continuita3. dT/dr → equazione del trasporto4. dLr/dr → conservazione dell’energia5. P = P(ρ, T) → equazione di stato

sistema che, con le opportune condizioni al contorno, puo essere risolto, ricavandol’andamento di cinque delle precedenti variabili in funzione dell’andamento della sesta vari-abile assunta come variabile indipendente.

Ripercorrendo le assunzioni operate concludiamo che il sistema di equazioni governaogni sistema a simmetria sferica, autogravitante, in equilibrio idrostatico e sinche si restinel campo di applicabilita della meccanica non relativistica (→ A2.3). Al variare della com-posizione chimica della materia stellare, le soluzioni si differenzieranno non per l’algoritmodelle equazioni fisico matematiche sin qui descritte, ma per il diverso comportamento fisicodella materia “depositato” in tali equazioni dalle tre relazioni

1. P (ρ, T ) → equazione di stato2. κ(ρ, T ) → opacita della materia stellare3. ε(ρ, T ) → produzione di energia

ove si e esplicitamente indicato come ci si attenda che non solo la pressione ma anchel’opacita e la produzione di energia dipendano dalle condizioni termodinamiche della materiaoltre che dalla non esplicitata composizione chimica della materia medesima.

2.2. La convezione ed il criterio di Schwarzschild. Overshooting.

Le equazioni dell’equilibrio di una struttura stellare discusse nel punto precedente sono statericavate sotto la condizione di assenza di trasporto convettivo. L’evidenza osservativa mostraperaltro che moti convettivi sono presenti alla superficie di molte stelle e, in particolare, allasuperficie del Sole. La trattazione dovra quindi essere estesa per tener conto anche di unatale evenienza. Conviene trattare tale problema in due passi successivi: questa sezione saradedicata alla identificazione delle regioni di una struttura stellare che risultano instabili permoti convettivi. Nella prossima sezione discuteremo il problema del trasporto convettivo alfine di ricavare le condizioni sul gradiente di temperatura richieste dalle le equazioni diequilibrio.

L’identificazioni delle regioni convettive riposa sul Criterio di Schwarzschild, che insostanza risulta una applicazione dell’antico principio di Archimede per il quale un corpoimmerso in un fluido riceve una spinta verso l’alto pari al peso del fluido spostato. Pergiungere alla formulazione di tale principio ricordiamo innanzitutto che in assenza di moticonvettivi il gradiente di temperatura resta determinato dal gia discusso gradiente radia-tivo (dT/dr)rad. Alla formulazione di tale gradiente sin qui adottata preferiremo nel seguitola parallela definizione (dT/dP)rad, subito ricavabile coniugando la prima con l’equazionedell’equilibrio idrostatico (dT/dP= dT/dr dr/dP). La ragione di tale preferenza e duplice.Innanzitutto dT/dP e una relazione tra grandezze termodinamiche, utilmente confrontabilecon le grandezze termodinamiche proprie del gas stellare. L’assunzione di dT/dP libera in-oltre la discussione dalla fastidiosa occorrenza di un dT/dR per definizione negativo (latemperatura cresce verso l’interno) che complicherebbe formalmente la discussione.

Partendo dunque dall’evidenza che in assenza di convenzione il gradiente di temperaturalocale deve essere pari a quello radiativo, possiamo domandarci se in tali condizioni la zonarisulta o meno stabile rispetto alla convezione. A tale scopo dobbiamo domandarci se piccolefluttuazioni “δR” nella posizione di un elemento di materia inneschino o meno un motoconvettivo. A seguito dello spostamento l’elemento variera la propria pressione adeguandola

Page 42: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Fig. 2.2. In un ambiente a gradiente radiativo, se tale gradiente risulta maggiore di quello adia-batico (1) un elemento di materia che si sposti adiabaticamente dalla posizione iniziale si trova piucaldo dell’ambiente a minori pressioni (spostamento verso l’alto) o piu freddo a pressioni maggiori(spostamento verso l’interno). In tutti e due i casi l’elemento e’ stimolato a proseguire il moto in-nescando una instabilita convettiva. Nel caso in cui il gradiente radiativo risulti minore di quelloadiabatico (2) si manifesta invece una forza di richiamo che rende l’ambiente stabile.

a quella dell’ambiente con tempi scala meccanici. Gli scambi di calore avvengono invecesui piu lunghi tempi scala termodinamici, talche potremo assumere che l’espansione (seassumiamo uno spostamento verso l’alto, a pressione minore) o la compressione risultinoadiabatiche.

Dalla figura 2.2 si ricava immediatamente che se il gradiente locale (assunto come radia-tivo) e minore del gradiente adiabatico dT/dP, per uno spostamento verso l’alto l’elementorisulta piu freddo dell’ambiente, quindi piu denso e soggetto ad una forza di richiamo versola posizione originale. Analoghe considerazioni valgono per uno spostamento verso il basso.Se ne conclude che in tali condizioni la zona e stabile. Ripetendo il ragionamento nel caso diun gradiente radiativo maggiore di quello adiabatico si giunge invece alla conclusione che intal caso la zona e instabile, talche si giunge alla formulazione del Criterio di Schwarzschildche stabilisce che in una struttura stellare sono instabili per convezione tutti quegli stratiper i quali risulta

(dT

dP)rad > (

dT

dP)ad (8)

A tale formulazione viene talora preferita la forma logaritmica

∇rad > ∇ad (9)

dove ∇ = P/T dT/dP = dlogT/dlogP e ∇ad = 0.4 per un gas perfetto monoatomico(→ A2.4).

Si deve peraltro notare che, a rigor di termini, il criterio di Schwarzschild identificale zone in cui l’instabilta convettiva e stimolata ed all’interno delle quali sono attivi moticonvettivi con velocita che saranno determinate da complessi meccanismi legati anche agliscambi termici ed alla viscosita del mezzo. E’ cosi evidente che il frenamento di tali motideve avvenire nella zona formalmente stabile per convezione, laddove si manifesta una forzadi richiamo. Ne segue che oltre i limiti definiti dal criterio di Schwarzschild deve esistere unazona di penetrazione degli elementi convettivi, indicata come zona di overshooting (fig. 2.3).

Page 43: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 2.3. Nella regione in cui e violato il criterio di stabilita di Schwarzschild un elemento diconvezione e soggetto a forze che ne favoriscono il moto. Il frenamento di tali elementi dovra quindiavvenire nelle zone di stabilita al bordo della zona precedente, producendo un rimescolamento dimateria che si estende al di la dei limiti formali di stabilita (overshooting).

Le dimensioni di tale zona sono un problema astrofisico ancora aperto. L’approccio”canonico” assume come trascurabili tali dimensioni, ma sull’argomento esiste un ampiodibattito e alcune valutazioni evolutive assumono tali dimensioni come un parametro liberoda determinare attraverso il confronto con le osservazioni.

Notiamo infine che la formulazione del gradiente radiativo, unita al criterio diSchwarzschild, consente di operare alcune previsioni generali sullo sviluppo della con-vezione nelle strutture stellari. Il valore del gradiente radiativo risulta infatti proporzionaleall’opacita ed al flusso di energia e se ne puo dedurre che alti valori di uno di questi dueparametri possano condurre il gradiente radiativo a superare quello adiabatico. L’opacitasale a valori estremamente elevati negli strati in cui l’idrogeno e in stato di ionizzazioneparziale, per il semplice motivo che i fotoni vengono facilmente catturati, ad esempio, pereffetto fotoelettrico da elettroni che sono gia in gran parte su stati eccitati (→ 3.3). Nesegue l’interessante previsione secondo la quale tutte le stelle con temperatura superficialesufficientemente minore della temperatura di ionizzazione dell’idrogeno debbano necessaria-mente sviluppare regioni convettive nelle zone piu esterne (inviluppi convettivi), che devonocontemporaneamente essere assenti nelle stella a piu alta temperatura superficiale. La tran-sizione si pone attorno a temperature effettive Te ∼ 10 000 K.

A fianco di tale ”convezione da opacita” si potra avere una ”convezione da flusso” chedipendera da quanto i meccanismi di produzione di energia dipendono dalla temperatura.E’ infatti subito visto che al crescere di tale dipendenza la produzione di energia si concen-tra sempre piu verso il centro della struttura, facendo crescere i flussi. Nel caso quindi dicombustioni nucleari con forte dipendenza dalla temperatura ci attendiamo la presenza dinuclei convettivi. Anticipiamo qui che ad esclusione della catena pp (∝ T 4) tutte le altrecombustioni nucleari hanno dipendenze estremamente elevate (CNO ∝ T 14; 3α ∝ T 22 conconseguente presenza di nuclei convettivi.

2.3. Trasporto radiativo e trasporto convettivo

Stabilito sotto quali condizioni ci si attende la presenza di moti convettivi, resta da stabilirnel’efficienza e, in particolare, il gradiente di temperatura che si realizza nelle regioni sedi ditali moti. E’ innanzitutto da rilevare come la convezione trasporti energia tramite il motociclico di materia che assorbe energia nelle zone inferiori, piu calde, per ricederla nelle zonesuperiori. Per ricavare un utile quadro di riferimento, possiamo semplificare il fenomenoassumendo che un elemento di convezione inizialmente in equilibrio con l’ambiente alla base

Page 44: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 2.4. Un elemento di convezione che si innalzi adiabaticamente nell’ambiente per un tragitto lal termine del tragitto si portera ad una temperatura T1 = T0 + (dT/dP )ad∆P , circondato da unambiente a temperatura T2 = T0 + (dT/dP )amb∆P .

della zona convettiva si innalzi adiabaticamente per un tragitto “l” cedendo qui il calore ineccesso. Come ordine di grandezza di “l” possiamo assumere l’altezza di scala di pressione

HP =1P

dP

dr(10)

definita come il tragitto che vede diminuire la pressione di un fattore 1/e, assunto comeil tipico tragitto lungo il quale un elemento di convezione (in necessaria espansione) possamantenere una propria individualita.

E’ subito visto che, pur nell’ipotesi adiabatica che e la piu favorevole al trasporto, laconvezione puo trasportare calore solo se il gradiente ambientale sia maggiore di quelloadiabatico (superadiabatico). Solo in tal caso al termine del tragitto l’elemento risulterapiu caldo dell’ambiente circostante, in grado di cedere calore e di contribuire al trasportodell’energia. Tali semplici considerazioni mostrano che in una zona convettiva, dove - perdefinizione - il gradiente radiativo e maggiore di quello adiabatico, il gradiente effettivoe limitato dall’essere necessariamente maggiore del gradente adiabatico ma anche minoredel gradiente radiativo perche, per definizione di gradiente radiativo, l’esistenza di un talegradiente implica il trasporto radiativo dell’intero flusso energetico.

Il problema e pertanto quello di valutare il grado di superadiabaticita del gradiente locale.Per far cio ricorriamo ancora al precedente modello di convezione per notare che l’energiaceduta da un elemento di convezione sara pari a

δQ = CδT (11)

ove C rappresenta la capacita termica dell’elemento e δT la differenza di temperaturatra l’elemento e l’ambiente a fine tragitto. Quest’ultima grandezza e subito ricavabile come

δT =∫l

[(dT

dP)ad − (

dT

dP)amb]dP (12)

ove l’integrando e appunto il valore della superadiabaticita del gradiente ambientale.La capacita termica del gas all’interno di una stella e peraltro cosi elevata che, ove si

assuma che una sostanziale frazione della materia concorra al trasporto, per trasportare iflussi stellari si richiede di fatto una superadiabaticita microscopica (∼ 10−5), talche a tutti

Page 45: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

gli effetti pratici e in genere lecito assumere direttamente un gradiente ambientale pari aquello adiabatico.

Cio non e piu vero solo nelle zone piu esterne della struttura ove la marcata diminuzionedella capacita termica, conseguente alla diminuita densita della materia, genera un nonpiu trascurabile fabbisogno di superadiabaticita. In tal caso (convezione subatmosferica)manchiamo ancora di una teoria soddisfacente della convezione, ed e d’uso ricorrere ad unalgoritmo approssimato noto come (Teoria della ”Mixing Length” → A2.5).

E’ da notare che se il trasporto radiativo puo o meno essere attivo, il trasporto radiativo- in accordo alla (6) - in presenza di un gradiente di temperatura e sempre efficiente. Laconvezione puo quindi essere intesa come un meccanismo di troppo pieno che scatta quando lerichieste di gradiente per il trasporto radiativo superano la soglia del gradiente adiabatico,attivando un ulteriore canale di trasporto. E, in tale visione, il criterio di Schwarzschildstabilisce che in presenza di meccanismi di trasporto concorrenti si stabilisce il processo cheminimizza le richieste di gradiente.

In caso di convezione, l’efficienza relativa dei due canali di trasporto resta collegata alrapporto tra i gradienti. In particolare si ricava banalmente che:

∇rad >> ∇amb ∼ ∇ad → la zona e instabile per convezione ed il trasporto e essenzial-mente convettivo.

∇rad ∼ ∇amb > ∇ad → la zona e instabile per convezione ma il trasporto e essenzialmenteradiativo.

2.4. Le atmosfere stellari e la trattazione degli strati atmosferici

Si e gia indicato come l’analisi spettroscopica delle sorgenti stellari riveli nella grande mag-gioranza dei casi una distribuzione energetica largamente assimilabile ad uno spettro di corponero deformato dalla presenza di righe o bande di assorbimento.Cio mostra come nell’internodi una struttura stellare i meccanismi di interazione particella-particella e particella-fotonesiano cosi efficienti da mantenere l’equilibrio termodinamico, cosi che si possa definire unacomune temperatura per particelle e radiazione. Ovviamente cio implica che le particelleseguano una distribuzione di Maxwell-Boltzmann e i fotoni quella di corpo nero, assun-zione quest’ultima sulla quale riposa la formulazione del gradiente radiativo discussa nelleprecedenti sezioni.

Caratteristica necessaria della radiazione di corpo nero e di essere isotropa. L’esistenza inuna stella di un flusso uscente contraddice solo apparentemente tale condizione: l’anisotropianecessaria per rendere conto del flusso uscente risulta essere solo una trascurabile frazionedell’energia contenuta sotto forma di fotoni, talche l’equilibrio termodinamico puo consider-arsi pienamente realizzato. E’ evidente pero che tale condizione viene a cadere negli stratipiu esterni della struttura, dove per la bassa densita della materia diminuiscono le interazionie il flusso e di fatto un flusso netto uscente. Dunque l’equazione del trasporto radiativo nonpuo essere utilizzata e cio limita la validita dell’intero sistema di equazioni ai soli stratiinterni di una struttura, di cui gli strati piu esterni rappresentano una sorta di condizioneal contorno.

Per definire piu propriamente il ruolo di tali inviluppi stellari introduciamo la grandezzaτ = profondita′ottica, definita come la probabilita che ha un fotone di subire un’interazioneprima di lasciare la stella. E’ subito compreso che τ e in linea di principio correlabilealla profondita geometrica dei vari strati dell’inviluppo stellare, risultando τ= 0 al lim-ite esterno della struttura, crescendo poi al crescere della profondita degli strati. Possiamodefinire atmosfera di una stella la zona di inviluppo per la quale τ ≤ 1. Con tale definizionel’atmosfera di una stella e’ quella zona oltre la quale ”non possiamo vedere”, ovvero - con

Page 46: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

espressione piu corretta - oltre la quale non e possibile che ci giungano informazioni di-rette trasportate dai fotoni che, per definizione, subiranno almeno una interazione prima diemergere dalla struttura.

La nozione di atmosfera e quindi collegata a meccanismi di opacita, e si puo definire τattraverso la relazione

dτ = −dr

λ= −κρdr (13)

ove, per la gia data definizione di κ, κρ rappresenta l’inverso del cammino libero mediodel fotone e dunque la probabilitadi interazione per unita di percorso.

Le caratteristiche spettrali della radiazione osservata mostrano che una radiazione dicorpo nero proveniente dalla base dell’atmosfera (τ = 1), viene ”filtrata” nel passaggio at-traverso l’atmosfera, ove meccanismi selettivi di assorbimento o diffusione da parte degliatomi dell’atmosfera stessa estraggono fotoni dal fascio uscente, isotropizzandoli, in cor-rispondenza delle frequenze proprie delle possibili transizioni elettroniche. La valutazionedelle strutture atmosferiche e operazione estremamente complessa, per la quale e necessariovalutare nel dettaglio il trasporto radiativo nelle locali condizioni di anisotropia, tenendoconto della presenza di milioni di righe di assorbimento. Nella pratica dei calcoli di strutturestellari si preferisce ricavare da tali calcoli dettagliati la relazione funzionale

T = T (τ, Te) (14)

che con buona approssimazione risulta una funzione della sola temperatura efficace Te.Adottando tale funzione e possibile chiudere semplicemente il sistema di equazioni della

struttura atmosferica. Poiche dalla definizione di τ si trae ρ dr = - d τ / κ, la relazionedell’equilibrio idrostatico puo essere portata nella forma

dP = −GMρ

r2dr =

g

κdτ (15)

dove κ = κ (ρ, T) oltre che della composizione chimica dell’atmosfera e g=GM/R2

rappresenta l’accelerazione di gravita alla superficie della stella. Poiche massa e dimensionidell’atmosfera sono in ogni caso trascurabili rispetto a massa (M) e raggio (R) della stella elecito assumere Mr=M e r=R.

Gli strati atmosferici sono quindi descritti dalle tre relazioni

dP

dτ=

g

κ(ρ, T )(16)

T = T (τ, Te) (17)

P = P (ρ, T ) (18)

che regolano la distribuzione di P, ρ, T nell’atmosfera stellare al variare di τ (→ A2.4).L’integrazione di tali relazioni da τ = 0 sino alla base dell’atmosfera τ = 1 fornisce il valoredi P in tale punto, T e dato dalla (17), ρ dall’equazione di stato e R, M, L sono i valori diraggio, massa e luminosita della stella, costanti lungo tutta l’atmosfera.

Page 47: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

2.5. Le variabili naturali del sistema

A partire dalla base dell’atmosfera inizia il dominio di validita del sistema delle 5 equazioniche descrivono il comportamento fisico di una struttura stellare e che collegano tra loro le 6grandezze r, Lr, P, T, Mr, ρ. Notiamo peraltro che l’equazione di stato fornisce una relazionediretta tra P, T, ρ, diminuendo di uno i gradi di liberta del sistema. Il nucleo del sistemae cosi costituito dalle 4 equazioni differenziali dove considereremo come incognite P e T,ρ restando noto dall’equazione di stato non appena note P e T. Il sistema di 4 equazionie quindi in grado, con le opportune condizioni al contorno, di fornire quattro di questegrandezze in funzione della quinta assunta come variabile indipendente.

Nella formulazione sin qui adottata abbiamo assunto la variabile indipendente ”r”. Taleassunzioni, che ha radici ”antropocentriche” non e fisicamente tra le piu felici. Avvieneinfatti che talora ”r” non si presenti come una variabile naturale del sistema, nel senso chele grandezze fisiche in gioco hanno campi di escursione non significativamente collegati allacorrispondente escursione della coordinata radiale.

Al di la’ di questo, la coordinata radiale non e lagrangiana, nel senso che - al modificarsidella struttura - un fissato valore della coordinata radiale non corrisponde ad un determi-nato elemento di materia. Cio non avviene ove si scelga per variabile indipendente Mr cherisulta lagrangiana proprio nel senso che risulta collegata a determinati elementi di materia,indipendentemente da variazioni (espansioni o contrazioni) nella geometria della struttura,almeno sinche non siano presenti movimenti di materia (quali la convezione) all’interno dellastruttura stessa. Per tale motivo all’interno della struttura e d’uso utilizzare come variabileindipendente Mr.

E’ peraltro da notare che, causa la bassa densita delle regioni piu esterne, nelle zoneimmediatamente al di sotto dell’atmosfera la variabile Mr tende a saturare, raggiungendoasintoticamente il suo valore M = massa totale della struttura. Grandi variazioni della pres-sione restano percio contenute in variazioni percentualmente minime di Mr, che potrebberodiventare confrontabili con gli errori di arrotondamento delle cifre introdotti dai calcolatori.La grande precisione dei moderni calcolatori consente in genere di superare tale difficolta.Tuttavia alcuni programmi evolutivi preferiscono ancora prevenire tale pericolo adottandoper una breve regione al di sotto dell’atmosfera (ad esempio sino a Mr/M =0.97) la variabileindipendente P.

Riassumendo, l’intera struttura stellare risulta cosi matematicamente divisa in tre regionidi integrazione

1. Le zone atmosferiche (0 ≤ τ ≤ 1 : r = R,Mr = M,Lr = L): sistema di tre equazioni convariabile indipendente τ .

2. Eventuali zone subatmosferiche (1 ≥ Mr/M ≥ 0.97): sistema completo delle 5 equazioni,variabile indipendente P.

3. Le zone interne (0.97 ≥ Mr/m ≥ 0): sistema completo delle 5 equazioni, variabile in-dipendente Mr.

2.6. Metodi di calcolo

L’andamento delle variabili fisiche all’interno di una struttura stellare e dunque retto daun sistema di quattro equazioni differenziali che, integrato con l’equazione di stato, con-sente di ricavare l’andamento di cinque delle variabili in funzione di una sesta assunta comevariabile indipendente per ogni prefissato valore della massa M della struttura e per ogni pre-fissata distribuzione della composizione della materia all’ interno della struttura medesima.Notiamo subito che l’esistenza di quattro equazioni differenziali del primo ordine richiederal’individuazione di quattro opportune condizioni al contorno. Stante la complessita del sis-tema non esistono in generale soluzioni analitiche e la soluzione e ottenuta sulla base di

Page 48: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

tecniche di calcolo numeriche basate su metodi a differenze finite, ove cioe i differenzialisono approssimati con incrementi piccoli ma finiti, cosi che le relazioni differenziali vengonotrasformate in equazioni algebriche.

Prima di illustrare i due diversi metodi in uso per la soluzione di tali equazioni dis-cuteremo l’integrazione degli strati atmosferici, in quanto ingrediente di base che entranell’architettura di tutti e due i metodi cui abbiamo fatto riferimento.

2.6.1 Integrazione degli strati atmosferici

Ricordiamo che per gli strati atmosferici abbiamo stabilito la relazione differenziale (2.13)che, in termini di differenze finite puo essere scritta come

Pj+1 − Pj =g

κ(τj+1 − τj) (19)

ove, in accordo con il metodo delle differenze finite, l’intervallo di integrazione 0 ≥ τ ≥ 1e stato opportunamente suddiviso prefissando N valori τj della variabile indipendente (Nmesh) per j che va da 1 a N. Pj e il valore, da determinare, della variabile nel generico punto”j”. Accanto a questa relazione differenziale abbiamo le due ulteriori relazioni, qui ripetuteper comodita

T = T ( τ , Te )P = P ( ρ, T )

Tali relazioni consentono di ricavare l’andamento delle variabili P, ρ, T in un atmosferastellare per ogni prefissato valore della massa stellare M, quando siano assegnati due trai tre parametri R, L e Te il terzo restando determinato dalla relazione L = 4 π R2σ T4

e.Assegnando ad esempio, come d’uso, M, L e Te restano fissati g = G M/R2 e Te. Sotto talicondizioni, note le grandezze nel generico punto j la (19) fornisce il valore della pressionenel punto j+1

Pj+1 = Pj +g

κ(τj+1 − τj) (20)

la temperatura nello stesso punto j+1 e fornita dalla T(τ ,Te), dall’equazione di stato siricava allora la densita e, con essa, il valore di κ(ρ, T). Basta quindi fornire i valori per τ =0 (N = 1) (→ A2.6) per ricavare per ricorrenza l’andamento di P, ρ, T su tutto l’intervalloconsiderato.

Tale integrazione per tangenti (cfr. fig.2.5) risultera tanto piu accurata quanto piu piccoligli intervalli (passi ) della variabile indipendente. Nella pratica, tali passi possono esserecollegati alla condizione che la variabile dipendente lungo un passo non vari piu di unaprefissata percentuale, e la bonta dell’integrazione puo essere controllata verificando, adesempio, che un ulteriore dimezzamento dei passi non vari il risultato entro la richiestaprecisione. Sulla base di tale schema sono costruiti algoritmi di calcolo numerico (ad es. ilmetodo di Runge-Kutta) che, con l’introduzione di opportuni coefficienti di correzione basatisull’andamento della funzione gia integrata consentono di minimizzare il numero di passi perogni prefissata precisione.

2.6.2 Il metodo del fitting

Per ogni prefissato valore della massa totale M e per ogni scelta dei due parametri L eTe si possono quindi ricavare i valori di P e T (e quindi ρ) alla base dell’atmosfera, ove sonoquindi disponibili i valori di tutte e sei le variabili

r=R, Lr=L, P, T, ρ, Mr=M

Page 49: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 2.5. Nell’integrazione per tangenti, noto il valore della derivata della generica variabile Y(X)nel mesh Xj si pone Yj+1= (dY/dX)j (Xj+1 - Xj), valutando cosi la variazione lungo la tangentedefinita dalla derivata in Xj , con un errore che diminuisce al diminuire dell’assunto ∆X.

che compaiono nel sistema di equazioni per l’equilibrio stellare. Supponendo di utilizzaresubito come variabile indipendente Mr, possiamo riscrivere le equazioni di equilibrio infunzioni della variazioni di tale variabile. Ponendo dr =dMr/4 πr2ρ e passando nuovamenteallo schema di differenze finite si ottiene

Pj+1 − Pj = −GMr,j

4πr4j

(Mr,j+1 −Mr,j) (21)

rj+1 − rj =Mr,j+1 −Mr,j

4πr2j ρ

(22)

Tj+1 − Tj = − 3κLr,j

64acπ2r4

1T 3

(Mr,j+1 −Mr,j) (23)

se (dT/dP)rad ≤ (dT/dP)ad, altrimenti

Tj+1 − Tj = −GMr,j

4πr4(dT

dP)ad(Mr,j+1 −Mr,j) (24)

Lr,j+1 − Lr,j = ε (25)

Analogamente a quanto gia discusso per l’integrazione atmosferica, se nel mesh Mr,j sononoti i valori delle variabili r, Lr, P, T, ρ (dall’equazione di stato), κ(ρ, T ) e ε(ρ, T ) sono notii valori di tutti i coefficienti a secondo membro delle relazioni precedenti, e per ogni assunto∆Mr = Mr,j+1−Mr,j le relazioni forniscono il valore delle variabili nel mesh j+1. Partendodal primo mesh, alla base dell’atmosfera, l’iterazione di tale procedura consente di spingerel’integrazione lungo tutta la struttura.

Perche il risultato possa rappresentare una stella occorre e basta che per Mr = 0 (centrodella struttura) risulti r = 0 e Lr = 0. In linea di principio si potrebbe pensare di identificarela soluzione variando opportunamente i valori di L e Te di partenza, sino a soddisfare lecitate condizioni centrali. Nella pratica cio non e consentito dalla eccessiva sensibilita dellesoluzioni a Mr = 0 dalle condizioni superficiali. Il metodo del ”fitting” (cioe del raccordo)supera questa difficolta procedendo ad una integrazione dall’ esterno a partire una coppiadi valori di prova L e Te, spingendo l’integrazione sino ad un prefissato valore della massaMr = MF ( massa di fitting) ottenendo in tale punto una quadrupletta di valori re, Le

r, Pe,Te, ove l’indice ”e” sta ad indicare che tali valori sono il risultato dell’integrazione esterna.

Page 50: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

L, Te → re(L, Te), Le (L, Te), Pe(L, Te), Te(L, Te)

ove si e evidenziata la ovvia dipendenza dei valori della quadrupletta dai due assuntivalori di prova L e Te. Si procede poi ad una integrazione dal centro imponendo in talepunto r = Lr = 0 e assumendo due valori di prova Pc e Tc ricavando nello stesso punto difitting un’altra quadrupletta di valori ri, Li

r, Pi, Ti,

Pc, Tc → ri(Pc, Tc), Lir(Pc, Tc), Pi(Pc, Tc), Ti(Pc, Tc)

e l’integrazione sara corretta solo quando le due quadruplette vengano a coincidere.In generale, le integrazioni basate sui parametri di prova forniranno al fitting valori non

concordanti, e porremo per tali discrepanze

re − ri = εr

Ler − Li

r = εL

P e − P i = εP

T e − T i = εT

Tenuto presente che i valori delle due quadruplette dipenderanno dai valori di provaassunti, rispettivamente, per L, Te e Pc, Tc, il metodo del fitting consiste nel valutarequali le variazioni da apportare ai 4 valori di prova per annullare le discrepanze tra le duequadruplette, o - nella pratica - perche le discrepanze (Pi - Pe)/Pi e simili scendano al disotto di una soglia di precisione tipicamente non maggiore di 10−4.

In approssimazione lineare, la variazione dei valori delle quadruplette puo essere espressain funzione delle derivate parziali dei valori medesimi rispetto ai relativi valori di prova. Cosi,ad esempio

∆P e = (∂P e/∂L)Te=cost∆L + (∂P e/∂Te)L=cost∆Te

e, corrispondentemente,

∆P i = (∂P i/∂Pc)Tc=cost∆Pc + (∂P i/∂Tc)Pc=cost∆Tc

Sulla base di simili relazioni, per la variazione delle discrepanze si ottiene

∆(re − ri) = (∂re

∂L)Te∆L + (

∂re

∂Te)L∆Te + (

∂ri

∂Pc)Tc∆Pc + (

∂ri

∂Tc)Pc∆Tc (26)

∆(Ler − Li

r) = (∂Le

r

∂L)Te∆L + (

∂Ler

∂Te)L∆Te + (

∂Lir

∂Pc)Tc∆Pc + (

∂Lir

∂Tc)Pc

∆Tc (27)

∆(P e − P i) = (∂P e

∂L)Te∆L + (

∂P e

∂Te)L∆Te + (

∂P i

∂Pc)Tc∆Pc + (

∂P i

∂Tc)Pc

∆Tc (28)

∆(T e − T i) = (∂T e

∂L)Te∆L + (

∂T e

∂Te)L∆Te + (

∂T i

∂Pc)Tc∆Pc + (

∂T i

∂Tc)Pc

∆Tc (29)

Imponendo che tali variazioni siano eguali ma di segno contrario alle discrepanze εi (i =1, 4), cosi da annullare le differenze delle due quadruplette al fitting, ove siano noti i valoridelle derivate si ottiene un sistema lineare di quattro equazioni nelle quattro incognite ∆L,∆Te. ∆Pc. ∆Tc e con termini noti -εi (i=1,4).

Page 51: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

I valori delle derivate parziali sono ricavati eseguendo quattro integrazioni, due dall’esterno e due dall’interno, a partire dai valori al contorno

L + δL, Te

L, Te + δTe

Pc, Tc + δTc

Pc + δPc, Tc

e ponendo per la generica variabile Xij (j=1, 4), Xe

j(j=1,4)

∂Xej

∂L∼

Xej (L + δL, Te)−Xe

j (L, Te)δL

(30)

e simili per le derivate rispetto alle altre tre condizioni al contorno. La soluzione delsistema di quattro equazioni lineari fornisce le quattro correzioni alle condizioni al contornosulla base delle quali operare una nuova coppia di integrazione esterno-interno. Poiche lalinearita del sistema delle correzioni e’ solo una approssimazione al primo ordine, la soluzioneviene in genere raggiunta attraverso una serie di iterazioni, sempre che le iniziali condizionial contorno non siano troppo distanti da quelle finali, risultando all’interno di quella cheviene definita l’area di convergenza.

2.6.3 Il metodo di Henyey

Un approccio alternativo alla soluzione del problema consiste nel adottare una soluzionedi prova, cioe assegnare in ogni punto un valore delle funzioni r(Mr), Lr(Mr), P(Mr), T(Mr),ed applicare un metodo che consente di correggere tali valori.

Possiamo riscrivere le equazioni dell’equilibrio sotto forma di differenze finite e portandotutti i termini a primo membro, ottenendo -ponendoci ad esempio nel caso di equilibrioradiativo, le quattro relazioni algebriche

(Pj+1 − Pj)/(rj+1 − rj)−GMr,jρj/r2j = 0

(Mr,j+1 −Mr,j)/(rj+1 − rj)− 4πr2j ρ = 0

(Tj+1 − Tj)/(rj+1 − rj)− (3/4ac)(κρj/T 3j )Lr,j/4πr2

j = 0(Lr,j+1 − Lr,j)/(rj+1 − rj)− 4πr2

j ε = 0

Poiche la soluzione di prova non soddisfa le equazioni di equilibrio, le quattro eguaglianzea zero non saranno verificate, ed ognuna delle quattro relazioni dara, per ogni coppia degliN mesh, una discrepanze

δi,j i = 1, 4; j = 1, N − 1

Occorre dunque operare sui valori di prova assegnati negli N singoli mesh in cui e statadivisa la struttura al fine di azzerare i 4N-4 δi,j cosi che le relazioni di equilibrio risultinosoddisfatte lungo tutta la struttura.

Notiamo al proposito che, avendo scelto come variabile indipendente Mr ed avendodunque prefissato il valore di Mr in opportuni mesh spaziati lungo la struttura, il gener-ico δi,j resta una funzione algebrica dei valori delle quattro variabili nei mesh j e j+1

δi,j = f(rj , Lr,j , Pj , Tj , rj+1, Lr,j+1, Pj+1, Tj+1)

di cui e possibile ricavare algebricamente i valori delle derivate parziali rispetto alle ottovariabili.

Per la dipendenza del generico δi,j dalle funzioni di prova potremo dunque scrivere perogni coppia di mesh e per ognuna delle 4 equazioni dell’equilibrio una relazione che lega lediscrepanze al valore variabili

Page 52: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

∆δi,j = ∂δi,j

∂rj∆rj + ∂δi,j

∂Lr,j∆Lr,j + ∂δi,j

∂Pj∆Pj + ∂δi,j

∂Tj∆Tj + ∂δi,j

∂rj+1∆rj+1 + ∂δi,j

∂Lr,j+1∆Lr,j+1 +

∂δi,j

∂Pj+1∆Pj+1 + ∂δi,j

∂rj+1∆Tj+1

imponendo che per ogni coppia e per ogni equazione δi, j subisca una variazione egualee di segno contrario alla discrepanza trovata, si ottiene in definitiva un sistema di 4N-4equazioni nelle 4N incognite

∆rj ,∆Lr, j, ∆Pj ,∆Tj (j=1,N)

Il bilancio tra numero di incognite e numero di equazioni mostra - come dovevamo at-tenderci - che la soluzione richiede l’intervento di quattro condizioni al contorno. Due diqueste si ricavano immediatamente osservando che al centro della struttura deve risultare erimanere r = Lr = 0, e quindi

∆r1 = 0,∆Lr,1 = 0

Restano dunque 4n-2 incognite. Le altre due condizioni risultano dall’imporre che l’ultimomesh (N) debba essere alla base dell’ atmosfera. Sappiamo infatti che le variabili fisiche allabase dell’atmosfera sono note non appena sia assegnata una coppia di valori L e Te. Perl’ultimo mesh devono valere dunque le ulteriori condizioni

rN = f1(L, Te)

Lr,N = f2(L, Te)

PN = f3(L, Te)

TN = f4(L, Te)

che aggiungono alle precedenti 4 nuove equazioni e due incognite (L e Te). In totaleabbiamo dunque un sistema di 4N equazioni in 4N incognite, che viene in genere risoltoper sostituzioni successive (→ A2.8), fornendo i valori delle correzioni da apportare in ognimesh alle funzioni di prova per verificare le equazioni dell’equilibrio. Avendo nuovamentelinearizzato il problema, la soluzione sara in genere raggiunta tramite una serie di iterazioni,sempre che le funzioni di prova siano assegnate all’interno di un’area di convergenza.

Page 53: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Approfondimenti

A2.1. Energia interna, pressione della radiazione e pressione del gas perfetto.

Si e gia indicato (→ A1.1) come all’interno di una struttura stellare materia e radiazione sianoambedue da considerarsi termalizzate alla temperatura locale T In tali condizioni la densita e ladistribuzione in frequenza dei fotoni restano regolate dalle leggi del corpo nero, la densita di energiarisultando in particolare pari a U = aT 4. In tali condizioni e anche facile ricavare il valore dellapressione di radiazione, collegata -come nel caso delle particelle- al momento trasportato dai fotoni.

Se immaginiamo la radiazione intrappolata all’interno di un cubetto di volume unitario a su-perfici interne perfettamente riflettenti. Un generico fotone di energia E = hν e momento p = hν/cavra una direzione di moto definita dai tre coseni direttori

cx

c,cy

c,cz

cdegli angoli formati dal vettore velocita c con i tre assi delle coordinate. Nell’unita di tempo siavranno cx urti contro le due pareti perpendicolari all’asse x (Figura 2.6) ed in ogni urto verrascambiata una quantita di moto pari in modulo a 2(hν/c)cx/c. La somma (in modulo) dei momentiscambiati dal fotone con le 6 pareti del cubetto nell’unita di tempo risulta

2hν

c

cx

c+ 2

c

cy

c+ 2

c

cz

c= 2

c2(c2

x + c2y + c2

z) = 2hν = 2E

Se ne conclude che il gas di fotoni isotropi scambia nell’unita di tempo con ognuna delle pareti delcubetto una quantita di moto pari a

∆p = E/3

dove E e la somma delle energie dei singoli fotoni. Poiche ∆p = F∆t si ricava che il gas di fotoniopera sulla superficie unitaria una forza (la pressione) pari a

Pr = E/3

Per una distribuzione di corpo nero si ricava cosi il valore della pressione di radiazione

Pr =1

3U =

a

3T 4

Con considerazioni del tutto analoghe si ricava per un gas perfetto non relativistico

Pg =1

3Σmiv

2i =

2

3W

dove W = Σ 12miv

2i rappresenta la densita di energia cinetica. Poiche l’energia cinetica media per

molecola e pari a 32kT, Σ 1

2miv

2i = nkT dove n rappresenta il numero di particelle per unita di

volume. Si ritrova cosi l’equazione di stato del gas perfetto

Pg = nkT

Per un gas perfetto monoatomico W=U=3/2 kT. Nel caso piu generale U=N/2 kT, dove N e ilnumero di gradi di liberta delle particelle, e si ricava facilmente

Pg =2

NU

che, in analogia di quanto gia visto per la radiazione, pone in relazione la pressione con l’energiainterna per unita di volume.

Page 54: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

Fig. 2.6. Nell’urto elastico contro la parete un fotone di impulso hν/c inverte la componente xcedendo un impulso pari a 2 hν

ccosθ = 2 hν

ccxc

.

A2.2. Gradiente di temperatura e gradiente radiativo. Conduzione elettronica.

Se nel plasma stellare esiste un gradiente di temperatura (Fig. 2.7) la densita di fotoni cresce con latemperatura e si produrra un flusso netto di fotoni dalle maggiori verso le minori temperature. E’possibile porre in relazione il gradiente di temperatura con tale flusso, osservando che le interazionicon la materia tendono ad isotropizzare i fotoni del flusso, estraendoli dal ”fascio” direzionale e che,in tal modo, i fotoni devono cedere momento alla materia.

Il numero di interazioni subite da uno di questi fotoni in un tragitto dr e dato da dr/λ, dove λrappresenta il libero cammino medio del fotone. Se N e il numero di fotoni che attraversano nell’unitadi tempo l’unita di superficie, il momento trasferito nell’unita di tempo dai fotoni alle particellesara

dp = Ndr

λ

c=

Φ

λcdr

Poiche la pressione di radiazione altro non e che il momento trasportato per unita di superficie e ditempo, dp = dPr, e quindi

Φ

λcdr = dPr

Ove, come nel caso degli interni stellari, si possa assumere l’equilibrio termodinamico locale, Pr =a/3T 4 e si ottiene cosi

Φ = λcdPr

dr= λc

4a

3T 3 dT

dr

Poiche il cammino libero medio dei fotoni dipende dalla frequenza, ponendo λ = 1/κρ, doveκ rappresenta una opportuna media (media di Rosseland) sulla distribuzione energetica dei fotoni:1/κρ rappresenta la probabilita media di interazione per unita di percorso e κ prende il nome diopacita per grammo di materia. Si ha cosinfine

Φ =4acT 3

3κρ

dT

dr

che mostra come in condizioni di equilibrio termodinamico sussiste una necessaria proporzionalitatra gradiente di temperatura e flusso di energia trasportato dai fotoni.

In assenza di convezione, poiche in un gas il trasporto per conduzione e in genere molto pocoefficiente, la precedente relazione si trasforma in una relazione tra gradiente di temperatura e flussototale di energia. Cio pero non e piu vero nel caso di degenerazione elettronica, allorquando permotivi quantistici gli elettroni manifestano un comportamento collettivo (→ A3.2). In tal caso,

Page 55: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Fig. 2.7. I fotoni che compongono il flusso di energia fluente tra due temperature T1 e T2 (T1 >T2) subiscono interazioni che li isotropizzano cedendo qunatita di moto alla materia

come avviene nei metalli, un gas di elettroni mal sopporta gradienti energetici, e la conduzioneelettronica diviene un meccanismo di grande efficienza.

Per il flusso di energia Φc trasportato dalla conduzione si puo ancora porre

Φc = CdT

dr

dove il valore di C resta definito per le varie condizioni fisiche del mezzo dalla teoria di un gaselettronicamente degenere. In presenza di conduzione elettronica e d’uso generalizzare, con sempliceartificio, la precedente formula del gradiente radiativo. Basta infatti definire una opacita conduttivaκc attraverso la relazione

C =4acT 3

3κcρ

per ottenere

Φr + Φc = −4acT 3

3ρ(

1

κr+

1

κc)dT

dr

Definendo come opacita totale 1/κT = 1/κr + 1/κc si ottiene la forma generalizzata

Φ =4acT 3

3κT ρ

dT

dr

che collega la totalita del flusso ”non convettivo” al gradiente locale di temperatura.

A2.3. L’equazione di Oppenheimer-Volkoff. Il raggio di Schwarzschild.

La formulazione newtoniana della gravitazione, cosı come inserita nella relazione dell’equilibrio idro-statico, non puo essere mantenuta per campi gravitazionali estremi, quando l’energia gravitazionaledelle particelle diventa non trascurabile a confronto dell’energia di massa E = mc2. Occorre in talcaso ricorrere al formalismo della relativita generale. Adottando la metrica di Schwarzschild, chegoverna il campo gravitazionale a simmetria sferica generato da una massa ”m”

ds2 = −(1− rg

r) d(ct)2 +

1

1− rg/rdr2 + r2(dθ2 + sin2θdΦ2)

dove

rg =2Gm

c2

si giunge a riscrivere l’equazione dell’equilibrio idrostatico e quella della conservazione della massanella forma generalizzata relativistica

dP

dr= −GMr

r2ρ (1 +

P

ρc2) (1 +

4πr3P

Mrc2) (1− 2GMr

rc2)−1

Page 56: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Fig. 2.8. La relazione massa densita centrale per le strutture di stelle di neutroni, La curva Aindica la soluzione per un gas di neutroni liberi mentre le altre curve portano esempi di equazionidi stato piu elaborate.

dMr

dr= 4πr2ρ

dove Mr, massa contenuta all’interno del raggio ”r”. contiene il contributo non solo della massa ariposo delle particelle ma anche quello della loro energia.

Le strutture in cui si rende necessaria l’applicazione di un tale formalismo si collocano in qualchemaniera ai due estremi delle normali strutture stellari: stelle supermassive e stelle di neutroni.

Per cio che riguarda gli oggetti supermassivi (M ∼ 105 − 108M) e da notare che per i normalioggetti stellari esiste un limite superiore, a poco piu di 100 M, per la formazione di strutturestabili. Cio perche al crescere della massa il crescente contributo della pressione di radiazione finiscecol destabilizzare la stella. Al livello di supermassivita indicato intervengono pero due nuovi fattoriche consentono, almeno in linea di principio, strutture gravitazionalmente legate. Infatti il campogravitazionale efficace e enormemente accresciuto dall’equivalente in massa dell’energia e, nel con-tempo, i fotoni perdono energia nel propagarsi contro il campo gravitazionale, riducendo di moltogli effetti della pressione di radiazione.

Oggetti supermassivi sono stati nel passato invocati per giustificare l’emissione luminosa danuclei galattici, radiosorgenti e quasars. Per quanto tale ipotesi sia stata ormai abbandonata, e danotare che da una struttura di 105M nelle fasi iniziali di combustione di idrogeno si attendono∼ 1043 erg/sec, con temperature efficaci (→ 1.7.1)Te ∼ 6 104K. Il confronto con la luminosita delSole (∼ 1033erg/sec) rivela come in tali oggetti supermassivi il rapporto luminosita/massa risultidell’ordine di ∼ 105 volte di quello solare.

A causa delle elevatissime densita, anche stelle di neutroni che eventualmente si producanonell’esplosione di Supernovae sono caratterizzate da campi gravitazionali estremamente intensi, enecessitano quindi di un trattamento relativistico. Se si assume che i neutroni si comportino comeun gas di fermioni liberi (→ A3.2) per essi vale un equazione di stato del tipo

P = P (ρ) ∼ 41019ρ5/3

che, unita alle due precedenti relazioni, consente di definire la

struttura dell’oggetto (caso politropico→ A5.1). Se ne ottiene una relazione massa-densita cen-trale che raggiunge un massimo per M = 0.7M (Fig.2.8). E’ subito visto che strutture al disopra di tale limite non sono stabili: una fluttuazione della densita centrale porterebbe la stellafuori dall’equilibrio, innescando una contrazione e,di qui, un processo di collasso reazionato positi-vamente.

Page 57: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

L’approssimazione di un gas di fermioni appare peraltro inadeguata, perche a densita che rag-giungono e superano quelle nucleari interverranno certamente interazioni a molti corpi tra le par-ticelle. Equazioni di stato piu realistiche appaiono spostare il precedente limite sino a 2-3 M (Fig. 2.8. Al di sopra di queste masse non si trovano meccanismi in grado di fermare il collasso dellastruttura, che dovrebbe quindi procedere indefinitamente.

Al riguardo e facile verificare come l’equazione dell’equilibrio presenti una singolarita per

r =2GM

c2

E’ questo il cosiddetto raggio di Schwarzschild. Anche nell’approssimazione non relativistica si ver-ifica facilmente che, per ogni massa, a tale raggio corrisponde una velocita di fuga pari alla velocitadella luce. In generale si trova quando il collasso raggiunge il raggio di Schwarzschild i fotoni nonsono ulteriormente in grado di sfuggire dall’oggetto collassante, che quindi cessa di avere un talecanale di comunicazione elettromagnetica con il resto dell’Universo (diventando una buca nera).

A2.4. Termodinamica della materia in condizioni stellari. Il gradiente adiabaticoed il criterio di stabilita

Dalla usuale formulazione del primo principio della termodinamica, indicando con δQ il calorefornito ad un generico sistema termodinamico, si ha

δQ = dU + pdV

ove appare la variabile estensiva V = volume occupato dal sistema. Osservando che il volumeoccupato da 1 grammo di materia e pari a 1/ρ, si risale immediatamente ad una piu appropriataformulazione riguardante il bilancio termico per grammo di materia

δQ = dU + pd(1

ρ) = dU − P

ρ2dρ

ove l’energia interna U e’ ora da intendersi come riferita al grammo di materia e immediatamentericavabile dividendo per ρ le gia citate espressioni riguardanti l’energia interna per unita di vol-ume. Lo stato termodinamico resta cosi definito dalle tre variabili intensive T, P e ρ, fornendo unarappresentazione adeguata anche ad un generico fluido termodinamico non soggetto ad artificialidelimitazioni. Si noti che in tutte le precedenti relazioni la pressione P va intesa come pressionetotale, somma dunque delle pressioni parziali di gas e radiazione.

La termodinamica ci assicura anche che per trasformazioni reversibili, cioe per trasformazioniche si sviluppano lungo stati di equilibrio e nelle quali restano quindi definite istante per istante levariabili di stato, il calore assorbito o ceduto resta collegato alla funzione di stato S (entropia) dallarelazione δQ = TδS. Poiche questo e ovviamente il caso per le trasformazioni subite dal plasmastellare nel corso dell’evoluzione di strutture stellari in equilibrio, potremo in generale porre il primoprincipio della termodinamica nella forma

δQ = TδS = dU − P

ρ2dρ

Poiche S e funzione di stato, assumendo P e T come variabili indipendenti, il bilancio energeticodeve potersi portare nella forma

Tds = T [(∂S

∂T)P + (

∂S

∂P)T ] = CP dT − ET dP

conCP = T (dS/dT )P = (δQ/dT )P = calore specifico a pressione costanteET = T (dS/dP )T = (δQ/dT )P = calore specifico scambiato in una compressione isoterma.

Nel caso generale la valutazione di questi due coefficienti riposa su opportune e complessevalutazioni sullo stato energetico del sistema, che tengano nel dovuto conto non solo il grado diionizzazione, ma anche la distribuzione degli elettroni nei vari livelli eccitati, la presenza di eventuali

Page 58: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

legami molecolari etc. Stante la complessita dei relativi calcoli, questi dati vengono in genere fornitial programma assieme all’equazione di stato (→ A3.2) ed ai coefficienti di opacita (→ A3.3) sottoforma tabulare, per ogni assunta composizione della materia stellare e per una opportuna griglia divalori delle variabili di stato ρ e T .

Nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione, basta peraltro esplicitare la dipendenzadell’energia interna U dai parametri di stato e fare uso dell’equazione di stato per ricavare analiti-camente i valori di CP e ET . Scegliendo come parametri di stato P e T , il primo principio dellatermodinamica fornisce

TdS = (∂U

∂P)T dP + (

∂U

∂T)P dT − P

ρ2[(

∂ρ

∂P)T dP + [(

∂ρ

∂T)P dT ]

e quindi

CP = (∂U

∂T)P +

P

ρ2[(

∂ρ

∂T)P ]

EP = −(∂U

∂P)T +

P

ρ2[(

∂ρ

∂P)T ]

Poiche (→ 3.2)

P = Pg + Pr =k

µHρT +

a

3T 4

U = Ug + Ur =1

ρ(N

2Pg + 3Pr)

si ottiene, ad esempio, per ET

ET = (N

2Pg + 3Pr)

1

ρ2(

∂ρ

∂P)T −

1

ρ[

∂P(N

2Pg + 3Pr)T ] +

P

ρ2(

∂ρ

∂P)T

Osservando che per T = cost, dPr = 0 e dP = dPg si ha

(∂ρ

∂P)T = (

∂ρ

∂Pg)T =

µH

kT=

ρ

Pg

si ottiene infine

ET =1

ρ(N

2+ 3

Pr

Pg− N

2+

P

Pg) =

1

ρ(4

Pr

Pg+ 1)

Analogamente si ricava

CP =1

ρT(N + 2

2Pg + 20Pr + 16

P 2r

Pg)

Si noti che TdS = 0 definisce una trasformazione adiabatica. Ne segue che per una tale trasfor-mazione

(dT

dP)ad =

ET

CPo anche ∇ad =

dlogT

dlogP=

P

T

ET

CP

Se Pr << Pg, ∇ad = 2/(N + 2), pari quindi a 0.4 nel caso di un gas perfetto monoatomico(N=3) e a 0.3 nel caso di molecole biatomica (N=5). Piu in generale, e facile comprendere che ungas perfetto monoatomico realizza il massimo possibile gradiente adiabatico. In tal caso infatti, esolo in tal caso, tutto il lavoro assorbito in una compressione adiabatica va in energia cinetica delleparticelle e nel corrispondente innalzamento della temperatura. Ove esistano gradi di liberta interni(quali molecole, ionizzazioni, eccitazioni elettroniche) parte del lavoro sara ripartito tra questi, conconseguente minor innalzamento della temperatura.

Si noti infine che per Pr >> Pg, come tende ad avvenire in strutture stellari di massa moltogrande, ∇ad → 0.25. La radiazione tende quindi a diminuire il gradiente adiabatico, favorendo laconvezione. La radiazione dunque si comporta come un gas con 6 gradi di liberta, ed in effetti tale

Page 59: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

22

Fig. 2.9. Andamento dei gradienti (scala di destra) e del peso molecolare µ(scala di sinistra) infunzione della pressione P negli strati esterni di una stella di Popolazione II, 1.5 M in SequenzaPrincipale, log Te = 3.91. Il gradiente radiativo raggiunge il valore massimo 45. In superficie il pesomolecolare segnala la presenza di molecole di idrogeno.

comportamento corrisponde alle due direzioni di polarizzazione per ognuna delle tre direzioni dipropagazione del fotone. Da questa osservazione e facile giungere ad un criterio termodinamico perla stabilita di una struttura stellare. Per il teorema del viriale (→ 4.1) tale stabilita richiede

2T + Ω = 0

dove T e l’energia cinetica totale posseduta dalle particelle che compongono la struttura e Ω el’energia di legame.

La stabilita richiede quindi che meta dell’energia guadagnata in una contrazione sia trasferitaall’ energia cinetica delle particelle : dT = −dΩ/2. In un gas monoatomico, quindi con 3 gradi diliberta, tutta l’energia guadagnata dal gas va in energia cinetica, e resta quindi altrettanta energia(dΩ/2) per sopperire alle perdite per radiazione. In un gas con 6 gradi di liberta se meta dell’energiava in energia cinetica, altrettanta energia deve andare negli altri gradi di liberta del sistema. Nonresterebbe quindi energia disponibile per sopperire alle perdite per radiazione, e questo e chiaramenteincompatibile con la stabilita della struttura. Il predominare della pressione di radiazione portaquindi la struttura verso l’instabilita.

Tale criterio e sovente espresso in letteratura tramite γ = CP /CV = d(logP/dlogρ)ad = 1/(1−∇ad) = 1 + 2/N , con N gradi di liberta delle particelle. Per un gas perfetto monoatomico risultaγ = 5/3, per la radiazione γ = 4/3 e la stabilita richiede γ > 4/3.

A2.5. La teoria della mixing-length

Assumiamo che la convezione sia descrivibile come lo spostamento di elementi di convezione(”bolle”) che, iniziando il loro moto in equilibrio con l’ambiente, percorrano adiabaticamente untragitto ”l” per cedere infine l’eccesso di energia termica all’ambiente circostante. Il tragitto ”l”prende il nome di lunghezza di rimescolamento o mixing length. Se dT/dR e il gradiente dell’ambientein cui si muove la bolla, la differenza di temperatura tra bolla ed ambiente sara a fine tragitto

∆T = [(dT/dr)ad − (dT/dr)]l = [(dT/dP )ad − (dT/dP )](dP/dr)l

.

Poiche dP/dr e negativo, si riconosce immediatamente che vi sara trasporto di energia (la bollasara picalda) solo quando la zona e instabile per convezione, cioe dT/dP > (dT/dP )ad (Criterio diSchwarzschild → 2.2)

Page 60: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

23

Fig. 2.10. Come in figura 2.9, ma per una stella di 1.25 M, log Te = 3.83. Al diminuire dellatemperatura efficace affonda la zona convettiva e nelle regioni piu interne ( piu dense) il gradientelocale tende al gradiente adiabatico.

Poiche lo scambio di calore avviene a pressione costante, il calore scambiato al termine deltragitto sara MCP ∆T , ove M e la massa della materia a maggior temperatura. Ponendo che metadella materia partecipi al moto ascendente, si ricava per il flusso trasportato dalla convezione

Fc =1

2CP ρv[(

dT

dr)ad − (

dT

dr)]l

L’esistenza di un gradiente di temperatura implica peraltro anche un trasporto radiativo (→A2.2)

Fr = − T 3

κrho

4ac

3

dT

dr

cosı che per il flusso totale in regime di convezione si ricava

F = Fc + Fr =1

2CP ρv(

dT

dr)ad − (

1

2CP ρv − T 3

κrho

4ac

3)(

dT

dr)

da cui

dT

dr=

F − 12CP ρv( dT

dr)ad

T3

κρ4ac3− 1

2CP ρv

Si riconosce facilmente che per convezione inefficiente (CP ρv → 0) dT/dr → (dT/dr)rad mentreper convezione dominante (CP ρv →∞)) dT/dr → (dT/dr)ad.

Per valutare le velocita degli elementi di convezione possiamo osservare che per il principio diArchimede la forza agente sull’elemento sara

F = g∆ρV

dove g e la gravita locale, V il volume delle elemento e ∆ρ e la differenza di densita tra l’ambientee la bolla di convezione. Assumendo un gas perfetto (trascurando quindi variazioni del grado diionizzazione) ∆ρ/ρ = ∆T/T , dove per ogni tragitto parziale x (0 ≤ x ≤ l)∆T = [(dT/dr)ad −(dT/dr)amb]x. Applicando il teorema delle forze vive (lavoro = variazione di energia cinetica) siottiene cosi al termine del tragitto

1

2mv2 =

∫ l

0

g∆ρV dx =

∫ l

0

gρV∆/T

Txdx

da cui

Page 61: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

24

Fig. 2.11. Andamento della temperatura in funzione della pressione per il modello di figura 2.10per due diverse assunzioni sulla lunghezza di rimescolamento. All’aumentare di l aumenta l’efficienzadella convezione e diminuisce il gradiente di temperatura. In ogni caso le diverse soluzioni convergonoverso una comune soluzione interna.

v(l)2

2' g

1

T[(

dT

dr)ad − (

dT

dr)amb]

∫ l

0

xdx =g

T[(

dT

dr)ad − (

dT

dr)amb]

l2

2

Introducendo come valori medi lungo la traiettoria v = v(l)/2 e ∆T (l) = ∆T/2, osservando cheper l’equilibrio idrostatico si ha che

dT

dr=

dT

dP

dP

dr= − dT

dPgρ

si ricava infine

v = gl[Hµ

8kT(∇−∇ad)]1/2

che unita alla precedente relazione per il gradiente ambientale fornisce un sistema di equazioniche, per ogni assunto valore della mixing length consentono la determinazione di v e ∇amb.Quest’ultimo, in particolare, fornisce il valore del gradiente di temperatura locale in presenza diconvezione e, in quanto tale, viene sovente indicato come ∇conv

Non puo sfuggire l’estrema semplificazione del modello adottato, ove -ad esempio - viene trascu-rata la viscosita del mezzo e vengono trascurati gli scambi di energia lungo il tragitto degli elementidi convezione. Ancor piu pesante e l’assunzione di una convezione per ”bolle” a fronte dell’evidenzaosservativa (nel Sole) di una convezione per colonne, e quindi ”non locale”. La teoria della mixinglength e nondimeno utilizzata come un formalismo che conduce ad una ragionevole correlazionetra le varie quantita fisiche in gioco, fornendo relazioni che finiscono col dipendere dal parametrol che, di fatto, viene a regolare l’efficienza del trasporto convettivo. In tal senso l viene riguardatocome un parametro libero il cui valore va determinato non tanto con ulteriori valutazioni teoriche,quanto sulla base di un riscontro dei risultati ai risultati osservativo sperimentali. In questo quadrola versione semplificata della teoria, qui presentata come proposta da Demarque e Geisler, e nonmeno valida della piu sofisticata versione originalmente proposta da Erika Bohm-Vitense, nella qualeveniva ulteriormente elaborato il problema del tragitto non-adiabatico dell’elemento di convezione.

Nella pratica dei calcoli evolutivi e invalso l’uso di assumere una mixing length proporzionaleall’altezza di scala di pressione, HP

l = αHP

dove HP = dlogP/dr = (1/P )dP/dr e α e scelto tra 0.5 e 2 in base alla considerazione chedifficilmente un elemento di convezione puo conservare la propria individualita per tragitti molto

Page 62: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

25

superiori a quello per cui la pressione si riduce di un e-mo. In analogia con la precedente formu-lazione, la mixing length puo essere anche riferita a l’altezza di scala di temperatura o a quella didensita. Quest’ultima in particolare ha in passato goduto di una certa popolarita, perche elimina leinversioni di pressione che talora si manifestano con l’uso HP .

Le Figure 2.9 e 2.10 riportano a titolo di esempio l’andamento dei vari gradienti nelle zonesubatmosferiche di stelle di sequenza principale di varia massa. Al diminuire della massa stellareaumenta la densita degli strati subatmosferici, aumenta quindi la capacita termica della materie e,come mostrato nelle figure, il gradiente convettivo tende sempre piu verso il gradiente adiabatico.

E’ importante notare come l’incertezza sull’efficienza della convezione superadiabatica sitrasferisca in genere in un incertezza sui raggi stellari, ma non sulle rispettive luminosita. In partico-lare si puo mostrare che per inviluppi convettivi non troppo profondi le soluzioni per diversi valori dil finiscono per convergere ad un unica soluzione interna (Fig. 2.11), Si puo calibrare α richiedendo,ad esempio, che un modello solare riproduca il raggio (e la temperatura efficace) osservato. Si ricavacosi l ' 1.8. Nulla assicura peraltro che una tale calibrazione possa essere estesa a stelle con diversamassa e/o diversa composizione chimica. Ed in effetti giganti rosse di Pop.II richiedono diversi α.

Notiamo infine come la teoria della mixing length, nei limiti in cui si accettino le predizionisulla velocita, possa fornire anche indicazioni sulla consistenza dell’overshooting. Il tragitto deglielementi nella zona radiativa e infatti ricavabile dall’applicazione del teorema delle forze vive alleforze di frenamento che in tale zona si vengono a creare.

A2.6. Integrazione degli strati atmosferici

Si e gia indicato come l’integrazione degli strati atmosferici riposi sull’equazione dell’equilibrio idro-statico e sulla diponibilta di una relazione che fornisca l’andamento della temperatura al variaredella profondita ottica τ . Tale relazione, nel caso piu generale, si ottiene come risultato di complessimodelli di atmosfera, basati sull’integrazione dell’equazione del trasporto che collega, per ogni asseg-nata direzione l’intensita della radiazione all’opacita ed alla emissivita della materia, giungendo cosia fornire predizioni sulla struttura dell’atmosfera e sulle caratteristiche dello spettro della radiazioneemergente.

Per cio che riguarda la temperatura, si ottiene una soluzione semplice nell’approssimazione diatmosfera grigia, ove si assume che l’opacita sia indipendente dalla frequenza della radiazione. Intal caso si ricava:

T 4 =1

2T 4

e (1 +3

2τ)

quindi una T (τ, Te) che per τ = 23

fornisce T = Te. In generale le relazioni esatte non si discostano

sensibilmente dalla relazione di atmosfera grigia, che fornisce cosi un utile punto di riferimento. Nellapratica dei calcoli evolutivi vengono di frequente usate correzioni semiempiriche alla distribuzionedi temperature dell’atmosfera grigia. Tale, ad esempio, la relazione di Krishna-Swami.

E’ peraltro da notare che una tale trattazione (approssimazione di Eddington) assume implici-tamente una atmosfera in equilibrio radiativo. Cio e’ in genere ben verificato perche nell’atmosferaρ → 0 e, con ρ tende a zero il gradiente radiativo. Solo in strutture di piccolissima massa (pochidecimi di massa solare) le atmosfere risultano sede di estesi moti convettivi e, in tal caso, la relazioneT (τ) deve essere solo ricavata da acconci modelli di atmosfera.

E’ anche da notare che l’equazione dell’equilibrio idrostatico

dP

dτ=

g

κ

regola l’andamento della pressione totale P = Pg + Pr. Si ha dunque

dPg

dτ=

g

κ− dPr

Ma (→ A2.2)

dPr

dτ=

Φ

c=

σT 4e

c

Page 63: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

26

e ponendo gr = (κσT 4e )/c, si puo’ scrivere

dPg

dτ=

1

κ(g − gr) = geff/κ

dove geff = g − gr assume il ruolo di gravita efficace.Nella pratica dei calcoli, l’integrazione non puo partire da τ = 0, ove l’equazione presenta

una singolarita, implicando Pg = 0 e κ = 0. Per ogni assunto Te le condizioni iniziali vengonoimposte tramite un’iterazione che conduce ad una tripletta di valori Pg, T e τ tra loro compatibili.Assumendo un valore piccolo ma finito di Pg, si adotta inizialmente T = T (τ = 0) e, ricavandodalla coppia Pg e T un valore di ρ, si ricava quindi τ da

P/τ = geff/κ(ρ, T )Adottando tale τ si ottiene una nuova temperatura e quindi un nuovo ρ , un nuovo κ e, infine,

un nuovo τ . Il processo viene iterato sino ad ottenere la convergenza.

A2.7. Algoritmi risolutivi del metodo di Henyey

Si e gia mostrato come il metodo di integrazione di modelli stellari noto come metodo di Henyeyconduca ad un sistema di 4N equazioni in 4N incognite, essendo N il numero di mesh in cui e statasuddivisa la struttura interna della stella. Ricordiamo qui alcuni tra i vari accorgimenti di calcoloin genere adottati nel raggiungere la soluzione.

E’ d’uso innanzitutto raffinare il sistema di equazioni definendo le variabili fisiche nel genericointermesh j+1/2 ponendo Pj+1/2 = (Pj+1 − Pj)/2 e simili, e scrivendo le equazioni di equilibrionella forma

Pj+1 − Pj

rj+1 − rj= G

Mj+1/2ρj+1/2

r2j+1/2

Si noti come in tale forma venga automaticamente eliminata l’apparente singolarita centrale. E’inoltre d’uso portare le equazioni in forma logaritmica, cosi da rendere piu maneggevole il calcolodelle derivate.

Lo soluzione del sistema di equazioni puo essere agevolmente raggiunta attraverso un metododi sostituzioni ricorrenti. Si consideri, ad esempio, la prima quadrupletta di equazioni che fannoriferimento al mesh centrale (j=1) ed a quello adiacente (j=2). Si e gia notato trattarsi di 4 equazioniin 6 incognite, dovendo risultare per due delle correzioni ∆L1 = ∆r1 = 0. E’ dunque possibilerisolvere per sostituzione il sistema ricavando ∆r2, ∆L2, ∆P2 e ∆T2 in funzione di ∆P1 e ∆T1 .Riportando questi 4 valori delle correzioni nella seconda quadrupletta e ora possibile ricavare le 4correzioni nel mesh 3 sempre in funzione di ∆P1 e ∆T1, e cosı di seguito sino a ricavare tutte lecorrezioni in funzione delle due incognite correzioni centrali. Tali due gradi di liberta del problemasi eliminano imponendo che r, L, P e T nell’ultimo mesh N (= base della subatmosfera) debbanocorrispondere a soluzioni dell’integrazione compiuta dall’esterno al variare delle condizioni inizialiL e Te.

Per far cio, si esegue una preventiva serie di integrazioni dall’esterno variando opportunamentele condizioni iniziali L e Te, cosi da ricavare rN , LN , PN e TN come funzioni lineari di L e Te.Imponendo la coincidenza dei valori esterni ed interni nel mesh N si ottengono infine 4 equazioninelle 4 incognite ∆P1, ∆T1, L e Te e, da ∆P1 e ∆T1 le correzioni da apportare alle variabili fisichein tutti gli altri mesh. Poiche ci siamo mossi nell’ambito di un trattamento linearizzato al primoordine, la soluzione finale sara raggiunta dopo un certo numero di iterazioni, sempre che la soluzionedi prova sia fornita all’interno della relativa area di convergenza.

Il vantaggio essenziale del metodo del fitting e di richiedere solo le 4 condizioni al contorno,senza il bisogno di fornire valutazioni preventive dell’andamento delle variabili fisiche lungo tutta lastruttura. Il metodo di Henyey si fa peraltro preferire perche il trattamento ”locale” della soluzioneconsente di affrontare strutture complesse, con discontinuitfisiche o chimiche quali si incontrano nellefasi avanzate dell’evoluzione stellare. Vedremo nel seguito come il metodo del fitting sia utilizzatocome ”innesco” del metodo di Henyey nella valutazione delle sequenze evolutive.

Ricordiamo ancora una volta come il risultato del metodo di Henyey NON dipenda dallabontdelle derivate delle discrepanze. Cio nella pratica consente alcune semplificazioni delle proce-dure di calcolo evitando la valutazione di derivate troppo numericamente onerose. Piu in generale,

Page 64: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

27

se ne conclude anche che, in assenza di errori formali nella stesura delle equazioni dell’equilibrio,i risultati dell’integrazione di un modello non dipendono dal particolare codice utilizzato ma solodalla bonta delle relazioni e/o assunzioni fisiche dal modello stesso utilizzate.

Page 65: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

28

Origine delle Figure

Fig.2.1 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.2 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.3 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.4 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.5 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.6 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.7 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.8 Gratton L. 1978, ”Introduzione all’Astrofisica”, ZanichelliFig.2.9 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283Fig.2.10 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283Fig.2.11 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283

Page 66: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 3

Materia e radiazione in condizionistellari

3.1. Il quadro fisico

Per procedere all’integrazione numerica delle equazioni dell’equilibrio stellare e necessariodisporre di opportune valutazioni quantitative sul comportamento fisico della materia stel-lare, comportamento che nelle equazioni appare attraverso le tre relazioni

P = P (ρ, T )κ = κ(ρ, T )ε = ε(ρ, T )

In tutti e tre i casi e altresi da assumersi, anche se non esplicitata, la dipendenza dallacomposizione chimica della materia. Le tre funzioni dovranno evidentemente coprire tutto ilcampo di valori di ρ e T che ci attendiamo nelle strutture stellari. Stante la complessita dellerelative valutazioni, equazione di stato e opacita vengono in genere fornite al programmaevolutivo sotto forma di acconce tabulazioni che riassuono i risultati dei calcoli. In questocapitolo esamineremo nell’ordine le tre relazioni, al fine di identificare l’intervento dei varipossibili meccanismi fisici, delineando le generali vie di approccio a tale problematica.

3.2. Equazione di stato

I contributi alla pressione provengono dai tre componenti del plasma stellare: ioni, elettronie radiazione elettromagnetica. La pressione totale sara la somma dei contributi dovuti a talicomponenti

P = Pi + Pe + Pr

con ovvio significato dei simboli. Si assume in cio trascurabile il contributo di moticollettivi (convezione, turbolenza), la cui quantita di moto puo peraltro giocare un ruolonon trascurabile nel caso delle atmosfere stellari.

3.2.1 Il gas perfetto

Per cio che riguarda la componente particellare (ioni ed elettroni), in molti casi la materiastellare si comporta con buona od ottima approssimazione come un gas perfetto. Ricordiamoche per un gas perfetto di particelle libere e tra loro non interagenti, vale l’equazione di stato

1

Page 67: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

P = nkT

ove n e il numero di particelle per unita di volume e k la costante di Boltzman. Per lanostra miscela di ioni ed elettroni varra quindi

P = Pi + Pe = (ni + ne)kT

Tale relazione puo essere facilmente portata nelle due variabili ρ, T (proprie delleequazioni di equilibrio), osservando che per un gas composto da particelle di massa ”m”si ha n = ρ/m. Poiche nel gas stellare la massa e essenzialmente quella degli ioni, potremocoaı porre

Pi = kµiH

ρT

dove µi e il peso molecolare degli ioni e H la massa dell’atomo di idrogeno. Il contributodegli elettroni viene introdotto attraverso l’artificio di definire un peso molecolare medio perelettrone µe = ni/ne (= ni/Z in caso di ionizzazione completa). Si ha cosi

Pe = kµeH ρT

e, in totale

Pgas = kµiH

ρT + kµeH ρT = k

µH ρT

avendo posto 1/µ = 1/µi + 1/µe.Si noti come la valutazione della pressione degli elettroni richieda una valutazione dello

stato di ionizzazione delle specie atomiche presenti (→ A3.1). Negli interni stellari e peraltroin generale lecito assumere la completa ionizzazione almeno delle due specie atomiche atom-iche piu abbondanti H e He. Troveremo infatti che stelle di sequenza principale hanno tipichetemperature centrali dell’ordine di 10−30 106 K, cui corrisponde una radiazione largamentecomposta da fotoni di energia media kT ∼ 1keV (raggi X duri). Poiche l’energia di ioniz-zazione dell’idrogeno e di soli 13.6 eV tale elemento sara completamente ionizzato. Cosi epure per l’He, i cui potenziali di prima e seconda ionizzazione risultano pari rispettivamentea 24.49 eV e 52.17 eV.

H e He saranno quindi completamente ionizzati nella maggior parte della materia stel-lare, ecettuate solo le parti piu esterne ove la temperature scendono a valori di 103 − 104

K. Ioni di atomi piu pesanti sono invece in grado di conservare gli elettroni piu interni an-che a temperature elevate. L’energia di ionizzazione di un atomo idrogenoide (che ha cioeconservato un solo elettrone) risulta infatti pari a W = Z2m4

e/2h2. Per il Ferro si ha cosiW ∼ 9keV , ed i nuclei di Fe saranno in grado di conservare in parte i loro elettroni piuinterni anche a temperature dell’ordine della diecina di milioni di gradi.

Nel caso di ionizzazione completa e talora utile ricavare il numero di particelle per unitadi volume dalle abbondanze in massa di idrogeno, elio ed elementi pesanti X, Y e Z. Perqueste tre componenti il numero di nuclei ed il numero di elettroni si ottiene facilmente dallerelazioni

nH = X/H → ne = X/HnHe = Y/4H → ne = Y/2HnZi = Xi/AiH → ne = XiZi/AiH

dove con Xi indichiamo l’abbondanza in massa dell’ i-mo elemento pesante di numeroatomico Ai e carica Zi. In totale si avra dunque

n = (2X +3Y

4+ Σ

Xi

Ai+ Σ

XiZi

Ai)

ρ

H

Page 68: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

Trascurando ΣXi/Ai (Xi << 1, Ai ≥ 12) ed osservando che Zi/Ai ∼ 1/2 (cio e esattoper C, N, O, Ne che sono tra i maggiori contributori a Z) si ottiene infine

n ' (2X +3Y

4+

Z

2)

ρ

H

da cui per il peso molecolare medio (ρ/µH = n)

µ =1

(2X + 3Y4 + Z

2 )

Da queste relazioni si riconosce come, in prima approssimazione, il peso molecolare mediosia essenzialmente governato dalla ionizzazione di H e He, con un contributo solo marginaledei metalli (Z ≤ 10−2).

3.2.2 Interazioni coulombiane e degenerazione elettronica

Per la componente particellare (ioni, elettroni) si puo agevolemente verificare entro qualilimiti l’energia cinetica predomina sulle interazioni coulombiane, condizione necessaria perpoter assimilare il sistema ad un gas di particelle libere approssimanti un gas perfetto.Indicando con ”d” la distanza media tra le particelle, per un gas di ioni con carica Ze lacondizione si traduce ad esempio nella relazione

kT >> Z2e2/d = ECoul

Se Ni e il numero di ioni per unita di volume, si ha anche

Ni(= ρ/µH) ∼ 1/d3

dove µ e il peso molecolare degli ioni e H la massa dell’atomo di idrogeno. Se ne ricava

d ∼ 1/N1/3 ∼ (µH/ρ)1/3

e la condizione si traduce nella relazione

T/ρ1/3 >>Z2e2

k

1(µH)1/3

da cui

ρ << 4 10−14µT 3Z6gr/cm3

condizione in genere ben verificata nelle strutture stellari. Per temperature T∼ 107 K(combustione dell’idrogeno, Z=1) si ottiene ρ << 4.107gr/cm3, per T∼ 108 (combustionedell’elio, Z=2) ρ << 109gr/cm3, cioe valori di densita che superano ampiamente quantoavremo occasione di verificare nella larga generalita delle strutture stellari. Le condizioniper un sensibile intervento di correzioni coulombiane (alte densita, basse temperature) ap-pariranno solamente nel caso di stelle di piccola massa o di nane bianche, per le quali saranecessario introdurre nell’equazione di stato opportuni termini di correzione coulombiana.Quando ECoul ∼ kT il gas inizia a solidificare e per ECoul > kT gli ioni sono forzati in unastruttura solida sino a cristallizzare (Fig. 3.1).

E’ facile infine riconoscere che se sono trascurabili le interazioni ione-ione, lo sono an-che quelle ione-elettrone ed elettrone-elettrone. Cio e immediato per Z=1, mentre per Zmaggiori la diminuzione del prodotto delle cariche interagenti prevale sulla contemporaneadiminuzione delle mutue distanze.

Page 69: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

Fig. 3.1. Mappatura schematica delle condizioni del plasma stellare al variare dei parametritemperatura-densita con schema delle traiettorie evolutive delle condizioni centrali di strutturestellari .

Analoghe considerazioni consentono di investigare entro quali limiti il gas di particellesi puo considerare libero da effetti quantistici, imponendo in questo caso che la distanzamedia tra le particelle risulti molto maggiore della lunghezza d’onda associata alle particellemedesime λ = h/p, dove p=mv rappresenta il momento delle singole particelle.

Per ioni ed elettroni, dall’equipartizione dell’energia si ha

miv2i = mev

2e

da cui si ricava immediatamente

mivi

meve=

ve

vi

che mostra come la quantita di moto degli ioni sia sempre molto maggiore di quelladegli elettroni e, conseguentemente, che saranno in ogni caso gli elettroni ad entrare perprimi in regime quantistico. Con considerazione del tutto analoghe a quelle gia svolte per leinterazioni coulombiane, dalla condizione

λ = h/p << d

osservando che kT ∼ mev2e e, quindi, p2 ∼ mekT , si ricava facilmente

ρ1/3 << (µH

Z)1/3 (mekT )1/2

h

ρ << 10−10T 1/2gr/cm3

Ove cio non si verifichi, si manifestano effetti quantistici ed il gas di elettroni vienedefinito quantisticamente degenere. E’ immediato riconoscere come queste condizioni sulladensita siano piu stringenti di quelle per le interazioni coulombiane.In effetti la degenerazioneelettronica giochera un ruolo determinante in molte strutture stellari.

3.2.3 Equazione di stato del plasma stellare

Se alla pressione del gas aggiungiamo il contributo portato dalla radiazione, ove nonintervengano fenomeni di degenerazione elettronica e risultino trascurabili le interazionicoulombiane, otteniamo l’equazione di stato per il plasma stellare

Page 70: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Fig. 3.2. La linea del piano log T, log ρ lungo la quale la pressione di degenerazione eguagliaquella degli elettroni liberi. La linea a tratti segnala l’instaurarsi di degenerazione relativistica.

P =k

HρT (

1µi

+1µe

) +a

3T 4

Gli effetti della degenerazione elettronica sono di rendere il gas di elettroni piu incom-primibile di un gas perfetto. Gli elettroni sono infatti fermioni (cioe particelle a spin sem-intero) per i quali vale il Principio di esclusione di Pauli per il quale non piu di due elettronipossono occupare un identico stato energetico. Ne segue, ad esempio, che nel limite T → 0 ungas di elettroni possiede energia e quantita di moto, quest’ultima implicando una pressionenon prevista dalla trattazione classica.

Si puo porre

Pe = Pe + Pe,d

ove con Pe ePe,d si indicano rispettivamente la pressione di un gas perfetto di elettroni e ilcontributo della digenerazione. Pe,d puo essere calcolato sulla base del comportamento quan-tistico di un gas di Fermi (→ A3.2). La Figura 3.2 mostra l’intervento della degenerazionenel piano ρ, T , riportando in particolare la linea di transizione lungo la quale Pe,d = Pe,come definita dalla relazione

ρ/µe = ne = 2.4 10−8T 3/2cm−3

In caso di completa degenerazione (Pe,d >> Pe) la pressione del gas e data dai solielettroni degeneri (Pe > Pi), dipendendo in tal caso solo dalla densita secondo la relazione(c.g.s.)

Pg = Pe = 10.00 1012(ρ/µe)/3

Per altissime densita (ρ ≥ 107) la degenerazione spinge gli elettroni in livelli energeticicosi alti che l’energia non e piu trascurabile rispetto all’energia della massa a riposo (mec

2)rendendo necessaria una trattazione relativistica. In tal caso per la quantita di moto si avrape = mev/(1− v2/c2)1/2 (∼ mev se v << c), e per la pressione si ha

Pg = Pe = 6.58 1014(ρ/µe)4/3

Page 71: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 3.3. Assorbimento della radiazione al variare della lunghezza d’onda da parte di un atomo neu-tro di Pb. Le varie discontinuita corrispondono all’energia di ionizzazione dell’elettrone sull’orbitapiu interna (K) e degli elettroni nella successiva shell L.

3.3. L’opacita ed i meccanismi di interazione radiazione materia

Dalla definizione di opacita usata nell’equazione del trasporto discende che i contributiall’opacita proverranno da tutti quei meccanismi di interazione tra radiazione e materia ingrado di estrarre fotoni dal flusso di radiazione uscente dalla stella, isotropizzandoli. Accantoai meccanismi di assorbimento (con riemissione isotropa), quali ad es. l’effetto fotoelettrico,dovranno quindi essere considerati anche il contributo degli scattering elastici o anelastici.

Ricordiamo che l’opacita κρ e definita come l’inverso del cammino libero medio del fotone,rappresentando quindi la probabilita di interazione per unita di percorso. Ne segue che, ingenerale, in presenza di diversi meccanismi di interazione la probabilita totale di interazionesara direttamente ricavabile come somma delle probabilita relative di ciascun processo

κ = Σκi

I possibili meccanismi di interazione radiazione-materia sono riassumibli in quattro cat-egorie:

→ Scattering eletronico: diffusione di fotoni da parte degli elettroni liberi presenti nelplasma stellare. Alle energie stellari e in genere valida l’approssimazione di scatteringisotropo non relativistico (Scattering Thomson). Alle alte energie intervengono fenomeniquantistico-relativistici (Scattering Compton).

→ Processi bound-bound (bb): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato(bound) ad un nucleo con passaggio dell’elettrone ad orbite ad energia superiore. Si trattadunque di processi di eccitazione.

→ Processi bound-free(bf): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato cheviene liberato (free=libero) e portato nel continuo, secondo un processo altrimenti noto comeEffetto Fotoelettrico o Fotoionizzazione.

→ Processi free-free (ff): assorbimento di un fotone libero ma nel campo di un nucleo.Si puo facilmente verificare che l’assorbimento di un fotone da parte di un elettrone liberoed isolato resta proibito dalle leggi di conservazione di energia e quantita di moto. Il pro-cesso diventa possibile in presenza di un terzo corpo (il nucleo) che partecipi al bilancio diconservazione.

Gli ultimi tre processi implicano un assorbimento solo come atto iniziale: gli elettroniassorbiti ritorneranno in equilibrio termico riemettendo energia sotto forma di radiazione

Page 72: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 3.4. Mappatura nel piano T, ρ dell’efficienza relativa dei vari meccanismi di opacita.

isotropa, ed il risultato netto di tali interazioni sara quindi di estrarre fotoni dal flusso diradiazione uscente.

La valutazione dettagliata delle probabilita di interazione per gli eventi bb e bf e cer-tamente tra le piu onerose procedure affrontate dal calcolo astrofisico. Tale calcolo richiedepreventivamente una dettagliata conoscenza non solo del grado di ionizzazione ma anchedella distribuzione degli elettroni nei vari livelli (gradi di eccittazione), la valutazione delleprobabilita di interazione per le varie frequenze della radiazione e infine l’esecuzione diun’opporuna media (media di Rosseland → A3.4) sullo spettro della radiazione. Cio implicain generale la considerazione di milioni di righe di assorbimento dovute agli atomi nei varistati di ionizzazione. Il calcolo diventa ancor piu oneroso alle basse temperatura a causa delcontributo degli spettri rotazionali delle molecole presenti.

Nel secondo dopoguerra un vasto programma di ricerca sull’opacita fu iniziato per motivistrategici dai laboratori di Los Alamos. Sulla base di tale lavoro, ripreso e perfezionatoin altre istituzioni, oggi sono disponibli tabulazioni di opacita radiativa per varie misceledi elementi in funzione dei parametri di stato ρ e T . Nel calcolo di strutture stellari talitabulazioni sono ormai d’uso generale, sostituendo antiche approssimazioni analitiche. E’peraltro opportuno discutere con qualche dettaglio l’efficienza dei vari meccanismi di opacitaal fine di ricavare indicazioni generali sul loro intervento nel calcolo delle strutture stellari.

Per cio che riguarda lo scattering Thomson, anche classicamente (→ A3.3) si trova chela probabilta di interazione tra la radiazione e una particella di carica e e massa m e datada

σT =8π

3(

e2

mc2)2 =

3r20

dove r0 = 2.82 10−13 cm e il raggio classico della particella, cioe il raggio attribuibilealla particella se tutta la sua massa fosse di origine elettromagnetica. Poiche tale probabilitava come 1/m2 e subito visto che i nuclei danno un contributo allo scattering trascurabilerispetto a quello degli elettroni.

Ricordando che l’opacita corrisponde alla probabilta di interazione per unita di superficiee per unita di percorso risulta quindi

κT = σTne

ρ

Page 73: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Fig. 3.5. Andamento dell’opacita radiativa al variare della temperatura per assunti valori delladensita.

Fig. 3.6. L’intervento della degenerazione elettronica induce un crollo dell’opacita totale κT allealte densita.

Poiche σT = 0.66 10−24, ne = (X + Y/2 + Z/2)ρ/H = (1/2 + X/2)ρ/H e H =1.66 10−24gr, si ricava infine

κT ∼ 0.2(1 + X)

che mostra come l’opacita per scattering Thomson non dipenda dalla densita ma solodall’abbondanza in massa di idrogeno. Notiamo infine che in presenza di degenerazioneelettronica la probabilita d’interazione tendera a diminuire, per divenire proibiti tutti quegliscattering che porterebbero gli elettroni in stati gia occupati. Ad alte energie, in regime discattering Compton (hν ≥ mec

2), occorrera inoltre tener conto che lo scattering non e piuisotropo ed i fotoni tendono ad essere preferenzialmente scatterati in avanti.

Ove siano presenti elettroni legati (materia non completamente ionizzata) i processi bb ebf dominano sullo scattering Thomson. Di qui la grande importanza degli elementi pesantinel determinare l’opacita della materia stellare, nonostante la loro relativamente scarsa ab-bondanza, con contributi determinanti in regioni dove ormai H e He sono completamenteionizzati. Per i processi bf (effetto fotoelettrico) notiamo in particolare che ad ogni statolegato dell’elettrone corrisponde una ben precisa energia di estrazione (ionizzazione)Wi. Perogni possibile ionizzazione esiste quindi per i fotoni una energia di soglia hν = Wi al di sottodella quale il processo e proibito. Come conseguenza l’opacita presenta un caratteristicoandamento con picchi corrispondenti alle varie ionizzazioni (Fig. 3.3).

Page 74: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

L’interazione free-free puo infine essere riguardata come il processo inverso della ben notaradiazione di frenamento (Braemstrahlung) dove un elettrone emette un fotone nel campodi un nucleo. Il principo del bilancio dettagliato assicura che in condizioni di equilibriotermodinamico le velocita di reazione diretta ed inversa devono essere eguali. Si trova cosi

κff α Z2neniT7/2 α

Z3ρ

A2T−7/2

che con il termine Z3 mostra ancora una critica dipendenza dalla presenza di elementipesanti.

A fianco dei meccanismi bb, bf e ff occorre anche tener conto dei fenomeni di emissionestimolata che, aggiungendo fotoni al flusso, diminuiscono in pratica le singole opacita di unfattore 1− ehν/kT (Coefficienti di Einstein). In totale per ogni frequenza ν si avra

κ(ν) = κT + (κbb + κbf + κff )(1− ehν/kT )

che verra mediata sulla distribuzione di fotoni tipica di ogni temperatura per fornirel’opacita κ(ρ, T ) tabulata per le varie assunte miscele.

La Figura 3.4 riporta una mappatura nel piano (ρ, T ) delle regioni in cui dominano i varimeccanismi di opacita, mentre la Fig. 3.5 riporta esempi dell’andamento dell’opacita, evi-denziando le ingenti variazioni collegate all’efficienza dei vari meccanismi.Ricordiamo infineche in caso di degenerazione elettronica diviene efficiente il trasporto elettronico. In pienadegenerazione κc << κr e il trasporto e dominato dalla conduzione (κ ' κc) (Fig. 3.6).

3.4. Generazione di energia

Nelle equazioni dell’equilibrio la condizione di conservazione dell’energia interviene at-traverso il coefficiente ε, inteso come bilancio energetico per grammo di materia e persecondo. I meccanismi che possono contribuire a tale bilancio sono tre, cui e d’uso far cor-rispondere i tre distinti coefficienti:

→ εg : Trasformazioni termodinamiche della materia,→ εN : Produzione di energia per reazioni di fusione nucleare,→ εν : Perdita di energia per produzione di neutrini.

Il coefficiente di produzione di energia risulta ovviamente definito come somma dei reltivicontributi:

ε = εg + εN − εν

.3.4.1 Il bilancio termico della materia

Al primo meccanismo corrisponde il calore assorbito o prodotto a causa delle trasfor-mazioni termodinamiche subite dalla materia stellare. Di norma indicato, ma impropria-mente, come produzione di energia gravitazionale, in esso deve essere compreso non solo illavoro delle forze di pressione ma anche le variazioni di energia interna del plasma stellare. Ilbilancio termico per grammo di materia e immediatamente fornito dal primo principio dellatermodinamica che con formulazione intensiva puo essere scritto

dQ = dU + pd(1/ρ)

dove U rappresenta l’energia interna per grammo di materia e 1/ρ e il volume corrispon-dente. Introducendo l’entropia per grammo di materia S si ricava

Page 75: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Fig. 3.7. L’energia di massa per nucleone al variare del numero di nucleoni (numero atomico) innuclidi stabili.

εg = −dQ

dt= −T

dS

dt= −T [(

dS

dP)T

dP

dt+ (

dS

dT)P

dT

dt] = EP P − CP T

I coefficienti EP e CP delle derivate temporali sono facilmente ricavabili nel caso diuna miscela di gas perfetto e radiazione (→ A2.4). Nel caso generale essi vengono calcolatiassieme all’equazione di stato e forniti anch’essi sotto forma tabulare. Si noti come la presenzadelle derivate temporali implichi che laddove εg non sia nullo l’integrazione di una strutturastellare richiede precise informazioni sulla passata storia temporale di P e T lungo tutta lastruttura della stella.

3.4.2 Energia Nucleare

Ad alte temperature due o piu nuclei leggeri possono arrivare in contatto, fondendosi performare un nucleo piu massiccio con un rilascio di energia (”Q” della reazione) dato dalladifferenza tra le masse iniziali e quelle dei prodotti di reazione secondo la nota relazioneE = mc2. E’ subito da notare al proposito che in natura la massa media per nucleonedecresce al crescere del numero atomico A dall’idrogeno sino al nucleo del ferro, per risalireprogressivamente per A ancora maggiori. Se ne ricava che per il Fe e massima l’energia dilegame per nucleone (Fig. 3.7), cioe l’energia che occorre fornire ai nucleoni per portarliallo stato libero e, quindi, alle masse caratteristiche dei nucleoni liberi. Ne segue anche chereazioni di fusione nucleare sono esoenergetiche sino alla formazione di Fe. La fusione di duenuclei di Fe, ad es., richiederebbe invece l’assorbimento dell’energia necessaria per portare inucleoni alla maggiore massa. Si comprende cosı come per elementi pesanti, quale l’Uranio,risultino esoenergetiche non le reazioni di fusione ma quelle di fissione, cioe di rottura delnucleo in due o piu frammenti.

L’energia ceduta da una reazione si presenta sotto forma di energia dei prodotti direazione. Se osserviamo una tipica reazione di fusione di interesse stellare (fusione di dueprotoni (p) in un nucleo di deuterio (D))

p + p → D + e+ + νe

troviamo l’energia rilasciata sotto forma di energia cinetica dei prodotti di reazione enella produzione dell’elettrone positivo. Quest’ultima particella e destinata ad annichilarsicon un elettrone negativo

e+ + e− → 2γ

Page 76: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

cosi che la produzione del positrone corrisponde, come bilancio netto energetico, allaproduzione di due γ di energia complessiva pari all’energia delle masse a riposo degli elettroniannichilati (2mec

2) piu l’energia cinetica delle due particelle.Il γ ed il deutone D vengono rapidamente termalizzati, cedendo cosı la loro energia alla

struttura. Questo non avviene per il neutrino elettronico νe, particella debole il cui camminolibero medio e ben superiore alle dimensioni stellari. L’energia Q∗ acquisita dalla strutturae quindi fornita dal Q della reazione meno l’energia (media) portata dal neutrino. Ove sianoto il numero N di reazioni nucleari che avvengono per unita di tempo e di volume, ilcoefficiente di energia nucleare sara fornito, per ogni prefissata reazione, dalla relazione

εN =N

ρQ∗ erg gr−1sec−1

3.4.3 Termoneutrini

Ad alte temperature e densita, a fianco della produzione di neutrini nelle reazioni nuclearidivengono efficienti meccanismi di produzione di neutrini direttamente a spese del contenutotermico del plasma stellare, cui nel seguito daremo il nome di termoneutrini. La teoria delleinterazioni deboli fornisce il quadro di tali interazioni quali provengono anche dalla provataesistenza di correnti neutre:

e− + (Z,A) → e− + (Z,A) + νe + νe (bramstrahlung)

γ + e− → e− + νe + νe (fotoproduzione)

γ → e+ + e− → νe + νe (da coppie)

dove tra i processi di bramstrahlung e da comprendere anche l’interazione elettrone-elettrone.E’ facile riconoscere come tali processi rappresentino l’analogo di noti processi che coin-

volgono elettroni e fotoni, ove si ammetta in uscita una coppia neutrino-antineutrino al postodi fotoni.

e− + (Z,A) → e− + (Z,A) + γ (bramstrahlung)

γ + e− → e− + γ (scattering)

γ → e+ + e− → γ + γ (creazione e annichilazione di coppie)

A densita elevate diviene inoltre efficiente un altro e piu complesso canale di produzione ditermoneutrini: i neutrini da oscillazione di plasma. Per delinearne il meccanismo, ricordiamocome un fotone non possa decadere direttamente in una coppia di neutrini non potendosiconservare energia e quantita di moto. Da qui l’intervento nei processi di braemstrahlunge di fotoproduzione di un ulteriore particella. Fotoni in un gas ionizzato, quale e l’internostellare, possono interagire anche con i modi di oscillazione del plasma (la cui quantizzazioneconduce al concetto di plasmoni) scambiando quantita di moto e divenendo in grado diprodurre coppie di neutrini.

La teoria delle interazioni deboli consente di valutare l’efficienza dei vari processi, giun-gendo cosı a valutare l’energia depositata in questi neutrini. Si noti come in questi fenomeni,che definiremo di termoproduzione, i neutrini giocano un ruolo differente da quanto gia esam-inato nel caso dei neutrini da reazioni di fusione nucleari. Nella fusione infatti i neutrinisemplicemente ”taglieggiano” l’energia prodotta nella fusione, diminuendone l’efficienza cheresta peraltro positiva. Nella termoproduzione il neutrino sottrae invece energia direttamentedalla struttura stellare, realizzando un meccanismo di raffredamento che ha fondamentaliripercusisioni nella storia evolutiva di molte strutture stellari.

La figura 3.8 riporta una mappatura nel piano ρ, T dell’efficienza relativa dei vari pocessidi produzione.

Page 77: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 3.8. Regioni del piano ρ, T di predominio dei diversi processi di produzione di termoneutrini.E’ mostrata, a tratti, la linea lungo la quale l’Energia di Fermi (Ef ) eguaglia l’energia termica, chedelimita la regione di degenerazione elettronica.

3.5. Reazioni nucleari

Le reazioni nucleari ricoprono un ruolo fondamentale nell’evoluzione delle strutture stellari,non solo per costituire un importante componente della generazione di energia ma anchedeterminando l’evoluzione della composizione chimica della materia stellare. Conviene quindiesaminare in qualche maggior dettaglio lo scenario in cui si colloca tale meccanismo fisico.

All’inizio del XX secolo Rutherford, studiando la deflessione di un fascio di particellecariche da parte di una sottile lamina metallica, concluse che in un atomo le cariche positivesono raggruppate in una microscopica regione centrale, il nucleo, di raggio dell’ordine di10−13− 10−12 cm, circondato da una nuvola di elettroni negativi con dimensioni dell’ordinedi 10−8 cm. Se l’attrazione coulombiana rende ragione della collocazione degli elettroni, fuchiaro che sui nucleoni (protoni e neutroni) doveva agire una forza che dominando sulla repul-sione coulombiana riusciva a mantenere le particelle del nucleo in una configurazione stabile.Forze che fu conseguentemente indicata come interazione forte. Operativamente indicheremocome raggio di un nucleo proprio la distanza cui comincia a manifestarsi la interazione fortecome deviazione dal comportamento coulombiano nelle esperienze di scattering di particellecariche su un nucleo.

Un nucleo e quindi un insieme isolato di nucleoni sotto il controllo della forza forte.Insieme isolato sia per il caratteristico comportamento dell’interazione forte che si annullaal di la’ di un caratteristico ”range” di azione, sia per la repulsione coulombiana che incondizioni normali impedisce che due nuclei possano avvicinarsi sino al raggio di azionedelle forze forti. Particelle sufficientemente energetiche possono peraltro giungere a superaretale repulsione coulombiana. Se e quando cio avviene, i nucleoni di due nuclei venuti incontatto ”forte” formano per definizione un nucleo composto, cioe un insieme di nucleonisotto il comune controllo delle forze forti.

Non necessariamente il nucleo composto ammettera configurazioni stabili. Ove cio siverifichi, il nucleo composto (creato in uno stato eccitato) potra decadere nel suo stato fon-damentale, emettendo sotto forma di un quanto γ l’energia in eccesso, come data dall’energiacinetica delle particelle interagenti e dalla variazione dell’energia di legame dei nucleoni primae dopo l’interazione. Piu in generale il nucleo composto tendera a decadere in una serie didiversi possibili canali di decadimento, con probabilita che dipendono dal particolare insiemedi nucleoni e dall’energia da essi posseduta. Sara cosı possibile che il nucleo composto si sud-divida in due o piu frammenti, che emetta un nucleone singolo, una particella α, ecc. . Potrain particolare ridecadere nei componenti iniziali, realizzando cosı uno scattering nucleare,

Page 78: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

simile come risultato ma sostanzialmente diverso dallo scattering coulombiano nel quale nonsussite interazione nucleare e formazione del nucleo composto. Si noti che i possibili canalidi decadimento del nucleo composto possono dipendere anch’essi dall’energia: ad esempiosolo fornendo al nucleo composto energie superiori all’energia di legame dei nucleoni sarapossibile che il nucleo si frammenti nei suoi singoli componenti (evaporazione del nucleo).

In un generico processo di collisione nucleari tra due particelle i e j, il numero np di eventiche, per unita di volume e per unita di tempo, conducono ad un prodotto finale ”p” vienecorrelato alla densita delle particelle interagenti ed alla loro mutua velocita V attraverso unarelazione che e definizione della sezione d’urto σp

np = NiNjσp(V )V

dove Ni e Nj indicano rispettivamente il numero di particelle interagenti per unita divolume. E’ facile verificare come tale relazione rappresenta l’estensione formale di quantobanalmente ricavabile nel caso di particelle assimilabili a sferette. Essendo NiNj il numerodi possibili coppie di particelle per unita di volume, σp(V )V si configura come la probabilitaper coppia di particella che avvenga il processo ”p”.

Nel caso di particelle di varia velocita e immediata l’estensione della relazione precedentealla piu generale relazione

dnp = NiNj(V )σp(V )V dV

dove NiNj(V )dV rappresenta il numero di coppie di particelle che hanno tra loro mutuavelocita tra V e V+dV, e dnp e il contributo di tali particelle al processo in esame.

Nel caso di reazione di fusione particelle cariche, che e quello che piu direttamente ciinteressa, la probabilita di reazione puo essere ulteriormente esplicitata entrando nel meritodei meccanismi fisici ad esso inerenti. Ricordando che si ha formazione di nucleo compostoquando le particelle giungono alle distanze dell’interazione forte, una reazione nucleare puoessere pensata procedere in due successivi e distinti passi

1) Le particelle giungono a interagire forte, superando la repulsione coulombiana,2) Il nucleo composto cosı formatosi decade nel canale prescelto.

Essendo questi due accadimenti tra loro indipendenti, la probabilita P di reazione saradata dal prodotto delle due rispettive probabilita

P = σ(V )V = PCPN

ove con PC e PN indichiamo rispettivamente la probabilita (coulombiana) di formazionedel nucleo composto e la probabilita (nucleare) di decadimento del nucleo composto nelcanale prescelto.

In tale scenario, le regole della fisica ci consentono di valutare PC . Al proposito e da con-siderare che alle temperature tipiche degli interni stellari l’energia delle particelle interagentie in ogni caso inferiore all’altezza della barriera coulombiana ( 3.9). In altre parole le reazioninucleari sono classicamente proibite. In simili condizioni e peraltro noto che la meccanicaondulatoria predice che la barriera di potenziale non rappresenta un confine rigido per lapresenza di particelle: la funzione d’onda si attenua all’interno della barriera, ma esiste unprobabilita, piccola ma finita, che una particella superi la zona classicamente proibita pergiungere ad interagire nuclearmente (effetto tunnel).

Tale probabilita risulta in particolare proporzionale al fattore di penetrazione di Gamow

PC α1

E1/2exp(−2πZiZje

2

hV)

Page 79: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

Fig. 3.9. Una particella che a grande distanza da un nucleo bersaglio possegga una energia cineticaE non puo classicamente oltrepassare la distanza Rc, alla quale tutta l’energia cinetica iniziale sie trasformata in energia potenziale nel campo elettrico. Grazie all’effetto tunnel quantistico unafrazione di particelle riesce invece a raggiungere la distanza rn alla quale intervengono le interazioninucleari

Ne segue che la barriera coulombiana gioca un ruolo determinante, abbassando di unfattore exp (−ZiZj) la probabilita di reazione al crescere del numero atomico delle particelleinteragenti. Tale andamento esponenziale risulta dominante su tutti gli altri fattori, ed inesso risiede il motivo per cui l’energia di soglia delle reazioni nucleari cresce al crescere di Z.

Il caso della materia stellare, nella quale le particelle interagenti sono ambedue termaliz-zate, puo essere ricondotto all’analisi precedente. Si puo infatti mostrare che se le particellei e j hanno ambedue una distribuzione di velocita di Maxwell Boltzmannm, anche la dis-tribuzione delle mutue velocita e una maxwelliana, e per il numero di coppie N(V)dV convelocita mutua V = |Vi − Vj | tra V e V+dV si ha

N(V ) = NiNj(2π

)1/2 V 2µ3/2

kT 3/2e−

µV 2

2kT = NiNjn(V )

dove µ = AiAj/(Ai + Aj) e la massa ridotta tipica dei problemi dei due corpi.Il numero di reazioni per unita di volume ed unita di tempo sara in definitiva fornito da

n =∫ ∞

0

N(V )PCPNdV = NiNj

∫ ∞

0

n(V )PCPNdV

Trascurando il contributo di PN , da ricavarsi da opportune esperienze di laboratorioe che fuori da eventuali risonanze e funzione lentamente variabile, e istruttivo esaminarel’andamento della funzione integranda n(V )PC nelle tipiche situazioni stellari.

Assumendo, come verificheremo nel seguito, che il Sole sia sorretto dalla combustione diidrogeno, l’evidenza geologica che assegna al Sole un’ eta superiore ai 4 miliardi di anni, sitraduce nell’evidenza di una lunga vita media dei protoni a fronte delle reazioni di combus-tione e, di converso, di una probabilita di reazione fortemente ridotta. La grande quantitadi energia emessa dal Sole e quindi figlia non tanto della velocita delle reazioni ma delgrandissimo numero di particelle coinvolte.

Come illustrato in figura 3.10, cio corrisponde ad una situazione in cui la citata fun-zione integranda e non nulla solo in un ristretto intervallo di energie nel quale la coda adalte energie della maxwelliana interseca il limite inferiore della probabilita di penetrazionecoulombiana. L’andamento dell’integrando in tale regione prende il nome di picco di Gamow

Page 80: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

Fig. 3.10. Andamento schematico delle due funzioni, l’integrale del cui prodotto regola la velocitadelle reazioni nucleari. La curva a tratti mostra l’andamento del prodotto, che raggiunge un massimoall’energia di Gamow EG

e l’energia del suo massimo viene indicato come energia di Gamow. Si noti come al cresceredi ZiZj la probabilita coulombiana si sposti a maggiori energie: al fine di fornire un anal-ogo contributo energetico la maxwelliana si dovra anch’essa spostare verso maggiori energie,richiedendo cioe maggiori temperature.

Nella usuale notazione astrofisica si usa porre

n =NiNj

1 + δij< σV >

ove < σV > rappresenta l’integrale sulle velocita ed il fattore 1+δij (δij=0 per i=j, =1 peri=j) viene introdotto per generalizzare la formula al caso di particelle identiche per il qualeil numero di coppie risulta N2

i /2. Il valore di < σV > viene fornito, per ogni reazione, comefunzione della temperatura in base a valutazioni teoriche e sperimentali sull’andamento dellesezioni d’urto nucleari. La sperimentazione e alle energie di interesse astrofisico e peraltroresa difficoltosa dalla bassa efficienza delle reazioni e quindi dal basso numero di eventi attesidai limitati campioni di materia gestibili in un laboratorio. Tali esperienze vengono quindirealizzate tipicamente in laboratori sotterranei, quali i Laboratori Nazionali del Gran Sassodell’INFN, per quanto possibile schermati dal fondo di segnali prodotto dalla radiazionecosmica.

Aggiungiamo che nelle valutazioni complessive occorrera infine tener anche conto dellapresenza nel plasma stellare di elettroni liberi la cui carica elettrica negativa tende a scher-mare i campi elettromagnetici dei nuclei, favorendo le reazioni nucleari (electron screening).

Page 81: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Approfondimenti

A3.1. Eccitazione e ionizzazione: formule di Boltzmann e di Saha. Ionizzazioneper pressione.

In accordo con i risultati della meccanica statistica all’equilibrio termodinamico la popolazionerelativa di due stati separati da un’energia ∆E resta regolata dalla nota formula di Boltzmann

n1

n 0=

g1

g0e−∆E/kT

dove g0,1 rappresentano la degenerazione dei rispettivi stati, cioe il numero di stati quanticisovrapposti nel medesimo livello energetico. Nel caso di un generico atomo, r-volte ionizzato, laformula di Boltzman regola la popolazione dei diversi stati eccitati, ricordando che in assenzadi campi magnetici ( trascurabilita dell’effetto Zeeman) ad ogni stato con momento angolare Ji

corrispone una degenerazione data da gi = 2Ji + 1. Se quindi indichiamo con Ei l’energia dieccitazione del livello ”i”, cioe l’energia che occorre fornire per portarvi un elettrone dallo statofondamentale, il popolamento relativo di due qualunque stati eccitati j e k dello ione sara fornitodalla

nj

nk=

gj

gke−(Ej−Ek)/kT

Sommando su tutti i possibili stati j si ricava che la frazione di ioni nello stato eccitato k e datadalla relazione

nk =gke−Ek/kT

G

doveG = g0 + g1e

−E1/kT + g2e−E2/kT + .....

prende il nome di funzione di partizione dello ione. Formule analoghe varranno per ogni specieatomica e per ogni grado di ionizzazione.

Un qualunque ione isolato ha peraltro infiniti livelli eccitati, e la funzione di partizione diverge.Nel caso reale gli elettroni liberi si trovano nel campo di ioni ed elettroni. L’energia di elettronelibero nel plasma stellare diminuisce allora di un fattore −e2/RD ove RD e il cosiddetto raggio diDebyee con esso diminuisce l’energia di ionizzazione. A causa di tale abbassamento del continuo ilnumero di livelli diventa finito e viene evitata la divergenza delle funzioni di partizione.

Analoghe considerazioni possono essere applicate ai processi di ionizzazione. Dal bilancio ener-getico del prodesso di ionizzazione di uno ione Ar r volte ionizzato

Ar → Ar+1 + e

si puo ricavare (equazione di Saha)

nr+1ne

nr=

Gr+12

Gr(2πmekT

h2)3/2e−χr/kT

dove χr rappresenta l’energia necessaria per estrarre un altro elettrone dall’atomo r-volte ioniz-zato.

Al crescere della densita il raggio di Debye diminuisce e cresce l’abbassamento del continuo.Calcoli dettagliati mostrano che a densita dell’ordine di 103gr/cm3 gli atomi di idrogeno finisconol’essere totalmente ionizzati: tale fenomeno prende il nome di ionizzazione per pressione.

Page 82: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

Fig. 3.11. Schema del meccanismo di ionizzazione per pressione. Atomi sufficientemente distantisi comportano come buche di potenziale isolate (1) che ammettono tutta una serie di livelli legatiper gli elettroni. Avvicinandosi gli atomi (2) le buche di potenziale tendono a fondersi, abbassandoil livello del continuo e distruggendo gli stati legati a energia superiore.

A3.2. Degenerazione elettronica. Equazione di stato di un gas di Fermi

La teoria cinetica dei gas, cosıcome sviluppata nella meccanica statistica, mostra come il concetto ditemperatura sia indissolubilmente connesso col concetto di equilibrio termico.Il principio fondamen-tale e che per ogni prefissato insieme di N particelle contenute in un volume V e di assgnata energiatotale E tutte le possibili configurazioni microscopiche compatibili con le assegnate condizioni sonoequiprobabili. Ne segue che il macrostato che finisce con il realizzarsi e quello cui corrisponde lamassima probabilita, cioe il maggior numero di microstati. E’ questo quello che noi chiamiamoequilibrio termico. L’obiettivo primario della meccanica statistica e dunque quello di valutare tuttii diversi possibili stati microscopici corrispondenti ad una assegnata energia totale E delle particelledel sistema. E’ noto come su questa base si giunga alla nota distribuzione di Maxwell-Boltzmannper la velocita delle particelle a prefissata temperatura T.

La considerazione della natura quantistica delle particelle introduce, salvando il principio,notevoli modifiche al calcolo classico delle configurazioni microscopiche. Dal principio di indeter-minazione di Heisenberg (∆px∆x = h) si ricava che il numero di stati permessi per una particellacontenuta in un volume V e con quantita di moto p compresa tra p e p + dp e dato da

∆N =1

h34πp2dpV = g(p)dpV

dove g(p) rappresenta la densita degli stati. La distribuzione delle particelle in tali possibilistati deve essere valutata con l’ulteriore avvertenza che la meccanica quantistica opera su particelleindistinguibili, il che implica che non si devono considerare distinti due stati se due particelle si sonosolo scambiate di posto. Tale distribuzione dipende infine da proprieta globali delle particelle che,in natura, appartengono ad una delle due classi:

Fermioni: particelle a spin (momento angolare intrinseco) semiintero, quali elettroni, protoni eneutroni,

Bosoni: particelle a spin intero o nullo, quali fotoni, mesoni, nuclei di He3.

Per le particelle a spin semiintero sussiste l’ulteriore condizione (principio di esclusione di Pauli)secondo la quale uno stato non puo essere occupato da piu di una particella, da cui discende che nonpiu di due elettroni (con spin opposto) possono occupare uno stato di moto, talche g(P ) = 8πp2/h3.Se ne trae la statistica di Fermi-Dirac, secondo la quale, detta n(p)dp la densita di elettroni tra p ep + dp,

n(p)dp =2

h34πp2dpP (E)

Page 83: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Fig. 3.12. Il valore del parametro α al variare di ρT−3/2/µe

Fig. 3.13. Mappatura nel piano ρ/µe, T del valore del parametro di degenerazione Φ = -α

dove l’indice di occupazione P (E) di uno stato e dato da

P (E) = 1/(eα+E/kT + 1)

e dove, per ogni assunto valore della densita di elettroni ne e e della temperatura T , il valore diα resta determinato della condizione ∫

n(p)dp = ne

Poiche ρ = neµeH, il valore di α resta fissato per ogni coppia di valori T, ρ/µe (Fig. 3.12, 3.13).Si noti come in ogni caso P (E) ≤ 1 come vuole il principio di esclusione di Pauli. Al crescere dine decresce α, che da valori grandi e positivi (gas classico) raggiunge grandi valori negativi (gasdegenere). Nel caso di gas classico P (E) << 1 per tutte le energie. Nel caso completamente degenereα << 0 e

P (E) = 1 per E/kT < |α|

P (E) = 0 per E/kT > |α|

cioe tutti gli stati sono occupati sino all’energia E = |αkT |, che prende il nome di energia diFermi. In tale caso

ne =

∫n(p)dp =

3h3p3

max

Page 84: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Fig. 3.14. Il rapporto 2/3 F3/2/F3/2, che rappresenta la correzione di degenerazione alla pressionedi gas perfetto, in funzione del parametro α.

che mostra come al crescere di ne cresce l’energia massima raggiunta dagli elettroni. Tale ac-cadimento e subito compreso osservando che in degenerazione completa tutti gli stati ad energiaminore sono occupati, e ove si spingano altri elettroni nell’unita di volume essi devono andare adoccupare stati ad alta energia. Si comprende anche come al crescere di ne si giunga infine a spingeregli elettroni ad energie relativistiche anche a basse temperature.

Nel caso generale, ed in approssimazione non relativistica, si ha E = p2/2me da cui

ne =

∫n(p)dp =

h3

∫ ∞

0

p2dp

eα+p2/2mekT + 1

con la sostituzione x = p2/2mekT si ottiene

ne =4π

h3(2mekT )3/2

∫ ∞

0

x1/2dx

eα+x + 1=

8π(2mekT )3/2

h3F1/2(α)

dove F1/2(α), come definito dalle precedenti relazioni, prende il nome di funzione ”1/2” diFermi. Come gia ricavato per il caso del gas perfetto (→ A2.1), la pressione elettronica discende dalmomento trasportato, da cui

Pe =1

3

∫ ∞

0

pven(p)dp =8π(2mekT )3/2

3h3kTF3/2(α)

con analoga definizione della funzione di Fermi F3/2. Per la pressione del gas si puo quindi porre

P = Pi + Pe =k

µHρT +

8π(2mekT )3/2

3h3kTF3/2(α)

Ricordando che ne = ρ/µeH si ottiene infine

P = Pi + Pe =k

µHρT [1 +

µ

µeΦ(α)]

dove Φ(α) = 2/3(F3/2/F1/2. Per ogni coppia di valori ρ, T e possibile ricavare il valore di α eper ogni α ottenere P dalle correnti tabulazioni di F1/2 e F3/2 (Fig.3.14).

In letteratura e frequentemente utilizzato il parametro di degenerazione Ψ = −α. Si puomostrare che ΨkT fornisce il potenziale termodinamico di Gibbs per elettrone. Per Ψ < −4 ilgas di elettroni ha un comportamento classico, −4 < Ψ < 4 rappresenta la zona di degenerazioneparziale, mentre per Ψ > 4 nel gas domina la pressione di degenerazione.

Notiamo infine che la presenza di degenerazione elettronica modifica anche il comportamentotermodinamico che abbiamo studiato nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione (→ A2.1).Utilizzando la stessa linea di ragionamento adottata in quella occasione, dovremo portare

Page 85: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

Tds = dU − P

ρ2dρ

nella forma

TdS = CP dT − EP dP

ricordando pero che ora

ρ = ρ(Ψ, T )

P = Pe(Ψ, T ) + Pi(ρ, T ) + Pr(T ) = P (Ψ, T )

Con una lunga serie di passaggi e sostituzioni e possibile ottenere dΨ in funzione diP, T, ρ, Ψ, dP, dT , e utilizzando la formula di ricorrenza per le funzioni di Fermi

dFn(Ψ)

dΨ= nFn−1(Ψ)

si ottiene infine

CP =P

ρT(HP

ρkT

(4− 3β/2)2

L(Ψ)− 15

4β)

EP =1

ρ(HP

ρkT

(4− 3β/2)

L(Ψ)− 3

2)

dove

L(Ψ) =1

µi+

2

µe

F1/2(Ψ)

F−1/2(Ψ

e β = PG/P = (Pi + Pe)/P essendo P, come di consueto, la pressione totale. Al limite di nondegenerazione (Ψ → −∞) L(Ψ) tende a 1/µi + 1/µe e le relazioni precedenti si riconducono allecorrispondenti formule per un gas non degenere.

Nel caso di completa degenerazione e facile ricavare direttamente le relazioni tra pressione edensita. Nel caso non relativistico per la quantita di moto si ha p = meve, da cui

Pe =

∫ pmax

0

pven(p)dp =

∫ pmax

0

p2

me

8πp2

h3dp =

15

p5max

meh3

e poiche

ne =8π

3

pmax3

h3

ricordando che ne = ρ/µeH si ricava infine

Pe = (3

8π)2/3 h2

5meH5/3(

ρ

µe)5/3

.

Nel caso relativistico

p =meve

(1− v2e/c2)1/2

da cui ve =pc

[(mec)2 + p2]1/2

dalla quale, con percorso analogo al caso precedente non relativistico

Pe =1

8(3

π)1/3 hc

H4/3(

ρ

µe)4/3

Page 86: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

A3.3. Interazione radiazione elettrone libero: lo Scattering Thomson

Le leggi di conservazione proibiscono che un fotone venga assorbito da un elettrone libero.Nell’ipptesi di elettrone a riposo ed energie non relativistiche si dovrebbe ad esempio richiedere:

hν =1

2mev

2 hν

c= meV

che ammette solo la non-soluzione v = 2c. Un fotone pero puo essere deflesso scatterato e, nelcaso piu generale Effetto Compton, le leggi di conservazione:

hν + mec2 = hν′+ mc2

hν/c = mv + hν′/c

forniscono l’atteso valore di ν′ per ogni angolo di deflessione. Al limite non relativistico di basseenergie l’effetto Compton si riduce allo scattering Thomson, la cui efficienza puo essere calcolataanche classicamente.

La forza agente su un elettrone a riposo in un campo di radiazione elettromagentica in cui ilcampo elettrico e descritto dalla relazione

E = E0sinωt

si avra F = eE = mea. L’accelerazione dell’elettrone risulta quindi pari, istante per istante, a

a = F/me = eE0sinωt/me

Dalle leggi classiche dell’elettromagnetismo e noto che una carica accelerata irradia una potenza

P =2

3

e2a2

c3=

2

3

e4E20sin2ωt

c3m2e

Nel contempo, la potenza trasportata per unita di area dall’onda incidente e’ data dal modulodel vettore di Pynting

S = | c

4πE ∧H| = c

4πE2

0sin2ωt

Un elettrone diffonde quindi una frazione della potenza incidente

σT = P/S =8π

3(

e2

mec2)2

In termini di fotoni σT rappresenta quindi la probabilita che un fotone sia diffuso da un elettrone,e neσT sara la probabilita che un fotone sia diffuso da ne elettroni nell’unita di volume.

A3.4. La media di Rosseland

L’equazione del gradiente radiativo e stata in precedenza ricavata sotto l’assunzione di un camminolibero medio comune per tutti i fotoni o, in altra parole, di una opacita indipendente dalla frequenzadella radiazione caso grigio. Discutendo i meccanismi di opacita si e peraltro gia indicato come taleassunzione sia in generale lungi dall’essere verificata. Per ogni prefissata frequenza ν della radiazionepotremo definire λ(ν) come il cammino libero medio dei fotoni con frequenza compresa tra ν e ν+dν,una corrispondente opacita κ(ν) = 1/ρλ(ν), restando valida per ogni frequenza la relazione

dP (ν)

dr= κ(ν)ρcΦ(ν)

dove P (ν)dν e Φ(ν)dν rappresentano il contributo alla pressione ed al flusso della radiazioneportato dai fotoni con frequenza compresa tra ν e ν + dν. Indicando inoltre con E(ν) la densita dienergia radiativa nello stesso intervallo di frequenza, si avra

P (ν) =E(ν)

3e sara possibile porre in relazione il flusso totale con la densita di energia tramite la relazione

Page 87: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

22

Φ =

∫ ∞

0

Φ(ν)dν =c

∫ ∞

0

1

κ(ν)

dE(ν)

drdν

Per il noto teorema della media potremo definire κ attraverso la relazione∫ ∞

0

1

κ(ν)

dE(ν)

drdν =

1

κ

∫ ∞

0

dE(ν)

drdν

dove κ prende il nome di media di Rosseland dell’opacita, ricavando infine

Φ =c

1

κ

dE

dr

in completa analogia a quanto ricavato nel caso grigio. Poiche in equilibrio termodinamico laE(ν) = B(ν, T ) per la media di Rosseland si avra

1

κ=

∫∞0

1κ(ν)

dE(ν)dr

dν∫∞0

dE(ν)dr

dν=

∫∞0

1κ(ν)

dB(ν,T )dr

dν∫∞0

dB(ν,T )dr

dν=

∫∞0

1κ(ν)

dB(ν,T )dT

dTdr

dν∫∞0

dB(ν,T )dT

dTdr

dν=

∫∞0

1κ(ν)

dB(ν,T )dT

dν∫∞0

dB(ν,T )dT

Page 88: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

23

Origine delle Figure

Fig.3.1 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare, ZanichelliFig.3.2 Clayton D.D. 1983, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-HillFig.3.3 Clayton D.D. 1983, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-HillFig.3.4 Hayashi C., Hoshi R., Sugimoto D. 1962, Progr. Theor. Physics, Suppl 22.Fig.3.5 Ezer D., Cameron A.G.W. 1963, Icarus 1, 422.Fig.3.6 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare, ZanichelliFig.3.12 Clayton D.D. 1983, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-HillFig.3.14 Clayton D.D. 1983, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-Hill

Page 89: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 4

Le basi fisiche dell’evoluzione stellare

4.1. La formazione di strutture autogravitanti

Le considerazioni svolte nel precedente capitolo forniscono un quadro generale deimeccanismi fisici che riteniamo operare nelle strutture stellari determinandone le pro-prieta. Inserendo adeguate valutazioni dell’efficienza di tali meccanismi nelle equazionidell’equilibrio stellare discusse nel secondo capitolo e utilizzando i sistemi di calcolo nu-merico ivi presentati sara possibile operare previsioni teoriche sul comportamento nel tempodi tali strutture, per ogni assunto e prefissato valore della massa e della composizione chim-ica. Diviene cosi possibile investigare quantitativamente il destino evolutivo degli oggettistellari al duplice fine di interpretare le strutture stellari oggi osservate in termini dei loroparametri evolutivi e, nel contempo, di comprendere il ruolo che le stelle hanno svolto estanno svolgendo nell’evoluzione nucleare della materia dell’Universo.

Prima di entrare in tali dettagliate valutazioni, dedicheremo peraltro questo capitolo aprecisare il quadro entro il quale tali risultati evolutivi devono muoversi in base a consider-azioni generali sulla natura e il funzionamento della ”macchina stella”. Per cio che riguardain particolare l’origine di tali strutture, si e piu volte indicato come una stella sia il risultatodella contrazione di una massa di gas interstellare nel quale il campo gravitazionale abbiafinito col prevelere sull’energia termica delle particelle. Si puo ottenere una stima dei rap-porti tra le grandezze in gioco in tale processo imponendo semplicemente che alla periferiadi una nube di massa M e raggio R l’energia gravitazionale di un atomo di idrogeno risultinon minore della sua energia di agitazione termica

GMH

R≥ kT

Collegando la massa alla densita media della nube, M = 43πR3ρ, si ottiene una utile

relazione tra M, T e ρ

M2ρ

T 3≥ 3

4π(

k

GH)3

che mostra come per ogni prefissata coppia di valori ρ e T della nube protostellare esistauna massa minima in grado di contrarre (Massa di Jeans). Se per una tipica nube interstellareassumiamo una temperatura T ∼ 100K ed una densita di ∼ 20 atomi cm−3 si trova unamassa minima di circa un migliaio di masse solari, dell’ordine quindi di quella osservata pergli ammassi stellari di disco.

1

Page 90: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

Cio suggerisce un semplice schema che giustifica, sia pur qualitativamente, la formazionedi tali ammassi e, piu in generale, l’esistenza di ammassi stellari. Una nube che abbia rag-giunto la massa critica, o per fluttuazioni di densita o per raffreddamento, inizia infatti acollassare perche la forza gravitazionale prevale sull’agitazione termica. A bassa temperaturail gas e non ionizzato e trasparente alla radiazione, l’energia acquistata nella contrazioneviene irradiata nello spazio ed il collasso procede quasi isotermicamente. Aumenta peraltrola densita e diminuisce quindi la massa critica di Jeans, rendendo possibile ulteriori frag-mentazioni in scala gerarchica. Tali fragmentazioni terminano quando, al procedere dellacontrazione, la radiazione tende sempre piu a restare intrappolata nel gas e la temperaturadel gas stesso inizia ad aumentare. Dall’ultima generazione di fragmentazioni nasceranno lestelle dell’ammasso.

La formazione delle strutture stellari e peraltro processo estremamente complesso checoinvolge il trattamento idrodinamico del gas in contrazione, non escluso l’intervento dicampi magnetici, e che esula dai limiti della presente trattazione. E’ nondimeno istruttivoutilizzare ancora la relazione precedente per valutare la densita minima corrispondente amasse di Jeans dell’ordine delle comuni strutture stellari. Si ricava infatti facilmente che perl’instabilita gravitazionale deve essere

ρ ≥ 4 1044 T 3/M2

Ponendo come limite inferiore delle possibili temperature il valore della radiazione difondo (T ∼ 3K), per M = 1M si ottiene cosı ad esempio ρ ≥ 10−18grcm−3, corrispondentea circa 106 atomi di idrogeno per centimetro cubo.

4.2. Strutture di equilibro e teorema del viriale

Con semplici procedure basate sulla terza legge di Newton si puo agevolmente mostrare(→ A4.2) che per un qualsiasi sistema isolato di particelle autogravitanti vale il Teorema delViriale nella forma

2T + Ω =d2I

dt2

dove T =energia cinetica totale = Σi12miv

2i estesa a tutte le particelle del sistema, Ω =

energia (negativa) di legame gravitazionale ( = 0 per r → ∞) e I e il momento di inerziadel sistema.

Le fasi iniziali del processo di formazione stellare sono sotto il controllo dei tempi scalameccanici del collasso gravitazionale ed il sistema e ben lontano dalle condizioni di quasistazionarieta ( quasi equilibrio che abbiamo definito essere caratteristiche di una strutturastellare. Al progredire della contrazione l’innalzamento della temperatura finisce con il fa-vorire fenomeni di ionizzazione, cresce l’opacita radiativa, l’energia guadagnata nella con-trazione viene ceduta al gas, innalzandone temperatura e pressione, ed i tempi scala passanoda tempi scala meccanici a tempi scala termodinamici. Le strutture raggiungono cosı con-dizioni di quasi equilibrio, d2I/dt2 → 0 e le strutture stesse restano sotto il controllo delviriale nella forma

2T + Ω = 0

Da questo momento potremo dire di essere in presenza di una struttura stellare, strutturache rimarra sotto il controllo del viriale sinche non si giunga ad una eventuale fase finaleesplosiva. Si noti che l’alta opacita della materia nelle fasi iniziali, inibendo il trasportoradiativo, tende a indurre estesi moti convettivi, talche si ritiene in genere lecito assumerestrutture iniziali totalmente convettive e, di conseguenza, chimicamente omogenee.

Page 91: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

E’ utile notare che la precedente espressione del viriale non rappresenta qualcosa di mis-terioso o magico ma, al contrario, fornisce in forma quantitativa una ovvia condizione diequilibrio per le strutture. L’equilibrio tra le forze di gravita e quelle di pressione richiedeinfatti che all’aumentare della gravita (al decrescere di Ω) aumenti la temperatura per au-mentare la pressione. E’ facile ricavare dal viriale anche le linee generali di evoluzione diun sistema autogravitante. A causa dell’irraggamento dalla superficie (e talora anche peremissione di neutrini) il sistema perde infatti continuamente energia. Se tale perdita non ebilanciata da una qualche sorgente interna di energia (quali le razioni nucleari) temperaturatenderebbe a decrescere. Se la pressione e controllata dalla temperatura, la stella deve al-lora contrarre su tempi scala termodinamici (o di Kelvin-Helmotz. Il viriale ci dice che perrimanere in equilibrio deve risultare

dT = −dΩ/2

cioe meta dell’energia guadagnata nella contrazione deve andare ad innalzare il contenutotermico della struttura, mentre l’altra meta supplisce alle perdite per radiazione. La perditadi energia quindi finisce col produrre un innalzamento della temperatura e, in questi senso,una struttura autogravitante puo essere riguardata come un sistema termodinamico a calorespecifico negativo.

Ma quello che quı piu interessa e che tale relazione mostra come la storia di una stellasia la storia di una progressiva contrazione di una sfera di gas autogravitante e del con-temporaneo continuo innalzamento del contenuto termico della struttura. In tal senso unaqualunque stella altro non e che una macchina naturale per innalzare la temperatura di unagglomerato di particelle. Se le particelle che compongono il gas stellare fossero puntiformie non interagenti, la contrazione non avrebbe termine, ne avrebbe termine il continuo in-nalzamento delle pressioni e delle temperature. Ma le particelle sono atomi, composti daun nucleo centrale circondato dagli elettroni periferici, e nel corso della contrazione possonointervenire due possibili tipi di fenomeni, a seconda dei valori di temperatura-densita chevengono raggiunti:

i) gli elettroni degenerano, cosı che la pressione non dipende piu dalla temperatura. Lacontrazione e arrestata dalla pressione degli elettroni degeneri,

ii) vengono raggiunte temperature alle quali diventano efficienti le reazioni nucleari.

Minore e la massa di una stella, maggiore e in genere la densita e minore la temperaturadelle zone centrali. Stelle di massa sufficientemente piccola (M ≤ 0.1M) degenerano ancorprima di raggiungere le temperature di fusione dell’idrogeno. Stelle di massa leggermentesuperiore (0.1M ≤M ≤ 0.5M) innescano l’idrogeno ma degenerano prima di innalzare letemperature sino a innescare la combustione dell’elio. Stelle piu massicce degenerano primadi innescare la combustione del carbonio. In stelle ancora piu massicce la contrazione edestinata a proseguire, innescando tutte le combustioni esotermiche, sino a raggiungere leultime fasi esplosive.

Se e quando nelle regioni centrali di una struttura inizia a divenire efficiente una sor-gente nucleare di energia, l’energia cosı prodotta va a supplire alle perdite per radiazione,rallentando la contrazione. La contrazione deve in ogni modo continuare (innalzando la tem-peratura) sino a quando l’energia nucleare prodotta giunge a bilanciare esattamente quellapersa dalla struttura. In tali condizioni la contrazione guidata dalle perdite di energia siarresta e, se si trascurassero le variazioni di composizione chimica indotte dalle reazioninucleari, la struttura risulterebbe indefinitamente stabile.

In realta le reazioni di fusione nucleare, agglutinando due o piu nuclei in un unico prodottodi reazione, diminuiscono il numero di particelle. Diminuisce quindi la pressione, rompendo

Page 92: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

l’equilibrio idrostatico, e la stella deve quindi contrarre, ora pero su tempi scala nucle-ari. L’aumento di temperatura guidato da tale contrazione dovra anche essere in grado dimantenere la produzione di energia ai livelli necessari a fronte del progressivo consumo delcombustibile nucleare disponibile. Si noti che da quanto sinora indicato si ricava che l’energiairraggiata da una stella NON e determinata dall’efficienza delle reazioni nucleari, essendoinvece vero il viceversa: l’efficienza delle reazioni e regolata dalla necessita di bilanciare ilpreesistente fabbisogno energetico della struttura. E’ questa una evidenza che sara necessariotener presente nel seguito per comprendere alcune caratteristiche dell’evoluzione stellare.

La storia di una stella e quindi la storia di una continua contrazione, di volta in voltarallentata dall’innesco di reazioni nucleari, con una continua alternanza di tempi scala ter-modinamici e nucleari. Ricordando come la temperatura di efficienza delle reazioni nuclearisia regolata dalla repulsione coulombiana, e facile prevedere che, al passare del tempo edall’aumentare della temperatura, nelle regioni centrali di una stella iniziera prima la com-bustione dell’idrogeno, seguita -in successione a partire dall’elio- dalla combustione deglielementi piu pesanti prodotti delle precedenti combustioni. Tale alternanza si interrompedefinitivamente se la degenerazione elettronica interviene a bloccare la contrazione. Ove cionon avvenga (stelle massive) dobbiamo prevedere che una struttura stellare quasi staticagiunga fatalmente al suo termine quando nelle zone centrali si sia formato un nucleo di ferrogiunto al limite della fusione nucleare (∼ 5 109K). Come piu volte indicato tale fusione e en-dotermica, e ne consegue un processo di contrazione reazionato positivamente che riporterala struttura su tempi scala meccanici, ponendo fine all’evoluzione stellare con la possibiledistruzione e dispersione di parte della struttura.

L’innesco della reazione endotermica induce infatti un assorbimento di energia che ac-celera la contrazione, che a sua volta incrementa la temperatura centrale e l’efficienza dellareazione stessa. Ci si attende come risultato un collasso della struttura. Pur senza entrare quinel merito dei meccanismi fisici che regolano e controllano tale collasso, ricordiamo che ci siattende nel nucleo stellare una intensa produzione di neutroni e neutrini e, contemporanea-mente, un subitaneo innalzamento della temperatura che riattiva reazioni nucleari in granparte della struttura (nucleosintesi esplosiva). E’ in questa fase che puo venire eiettata nellospazio una consistente frazione della struttura medesima, iniettando nel gas interstellare glielementi sintetizzati nell’intero corso dell’evoluzione nucleare della struttura.

4.3. Combustioni termonucleari: la catena protone-protone

Per precisare ulteriormente il quadro evolutivo emerso dal teorema del viriale conviene esam-inare piu in dettaglio la serie di reazioni nucleari che ci attendiamo divengano efficienti nelgas stellare al progressivo aumentare della temperatura. Tra le moltissime reazioni nucleariin linea di principio efficienti soffermeremo la nostra attenzione solo su quelle che definiamocome significative, e che appartengono a due distinte categorie:

i) Reazioni che per l’abbondanza del combustibie ed il valore della sezione d’urto pre-dominano nettamente e dalle sole quali dipende la produzione di energia

ii) Reazioni che pur non contribuendo apprezzabilmente alla produzione di energiapossono lentamente sintetizzare prodotti di reazione di particolare rilevanza nel quadrodell’evoluzione della composizione nucleare della materia stellare.

Sulla base delle considerazioni sin qui svolte appare evidente che al progressivo cresceredella temperatura debbano per prime divenire efficienti le reazioni nucleari cui corrispondela minor repulsione coulombiana, cioe quelle tra due protoni. Cio, in linea di principio, ecertamente vero, ma e anche vero che i protoni, giunti a reagire nuclearmente decadono con

Page 93: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Fig. 4.1. Le reazioni della catena protone-protone, con sottolibeate le reazioni primarie.

grandissima probabilita nuovamente in due protoni (scattering nucleare) e solo una piccol-issima frazione dei nuclei composti decade lungo il canale di fusione, in grado di produrreenergia

p + p→ D + e+ + ν

fortemente inibito dal necessario intervento delle interazioni deboli. Per tale motivo, attornoai 106K le prime fusioni a diventare efficienti sono le combustioni degli elementi leggeri D, Li,Be e B con protoni. Ci si attende peraltro che l’abbondanza di tali elementi nel gas stellaresia molto piccola, e corrispondentemente piccolo e il contributo delle fusioni all’energeticadella struttura. L’effetto principale, oltre alla distruzione degli elementi stessi, consisterain un momentaneo rallentamento della contrazione gravitazionale ed in una trascurabileproduzione di 3He e 4He, secondo canali di combustione che ritroveremo discutendo qui diseguito la combustione dell’idrogeno.

Solo quando la temperatura raggiunge, orientativamente, i 5 − 6 106K il numero direazioni nucleari pp e aumentato al punto da rendere efficiente anche il canale di fusione didue protoni in un nucleo di deuterio D, secondo la reazione gia in precedenza indicata. Ildeuterio prodotto e peraltro in grado di reagire nuclearmente con un altro protone,

D + p→3 He + γ

cui segue tutta una catena di reazioni impostata sui vari prodotti di combustione che converraesaminare in qualche dettaglio. Alle minori temperature l’3He prodotto tende ad accumularsicome prodotto di reazione. Solo attorno a 8106K diviene efficiente la reazione di combustione

3He +3 He→4 He + 2p

mentre attorno ai 15 milioni di gradi diviene efficiente anche la reazione concorrente

3He +4 He→7 Be + γ

di fusione di 3He con i nuclei di 4He certamente presenti nel gas stellare almeno comeconseguenza della nucleosintesi cosmologica. Si noti come le due ultime reazioni esaminate

Page 94: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 4.2. Efficienza relativa delle catene di combustione pp al variare della tempeatura (in milionidi gradi).

contemplino di fatto la fusione di due nuclei di elio, mentre resta peraltro inibita la reazione”debole” 3He + p→4 He + e+ + ν.

Esperienze di laboratorio indicano che il 7Be e nucleo instabile per cattura K, cioe percattura di un elettrone dell’orbita piu interna, con tempo di dimezzamento di 57 giorni.Tale processo non puo peraltro essere efficiente nelle stelle, perche alle temperature in esameci si attende che il 7Be sia completamente ionizzato. In tali condizioni il nucleo puo perocatturare un elettrone del plasma stellare, iniziando una catena di reazioni che conduce infinealla formazione di due nuclei di 4He. Si noti come tale reazione non risulti governata dallarepulsione coulombiana.

E’ invece regolata dalla repulsione coulombiana l’alternativa cattura di un protone performare 8B e, attraverso una serie di decadimenti, 8Be e infine 24He. L’efficienza di questareazione aumenta quindi al crescere della temperatura, e a circa 2 107K essa finisce colprevalere sulla concorrente cattura elettronica. Di particolare rilevanza in questa catena direazioni i neutrini prodotti nel decadimento del 8B, che a causa della grande energia furonoi primi ad essere rilevati nelle esperienze di rilevazione dei neutrini solari (→ A5.5)

La Figura 4.1 riporta uno schema riassuntivo della catena di reazioni originate dallafusione di due protoni, nota come catena pp. Come indicato nella figura, al variare dellatemperatura sono possibili tre diverse sequenze di reazioni (ppI. ppII e ppIII) che conduconoin ogni caso al comune risultato di fondere 4 protoni in un nucleo di 4He. La Figura 4.2mostra l’efficienza relativa di questi diversi canali al variare della temperatura. Ad evitareequivoci ricordiamo che all’aumentare della temperatura aumenta l’efficienza di tutte lereazioni e quindi di tutte e tre le catene pp: la figura 4.2 riporta il contributo relativo delletre catene alla produzione totale di energia.

4.4. Elementi primari ed elementi secondari

Chi avesse dimestichezza con le famiglie di elementi radioattivi naturali riconoscerebbe nellacatena pp tutta una serie di elementi ”secondari”, i cui nuclei sono contemporaneamenteprodotti e distrutti nella sequenza di reazioni. In tale condizione le abbondanze di questielementi tendono verso condizioni di equilibrio, ed i nuclei non intervengono piu nel deter-minare la velocita delle reazioni se non in maniera indiretta. Illustreremo tale caratteristicanel caso del deuterio.

Per il deuterio si ha infatti una reazione di produzione (p + p →) ed una di distruzione(D+p→). Poiche per ogni reazione viene creato o distrutto un nucleo di deuterio, il numerodi nuclei creati o distrutti nell’unita di volume e nell’unita di tempo sara dato dalle relazioni

Processi di creazione→ dN2

dt= n1,2 =

N21

2< σ11v >

Page 95: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 4.3. Il rapporto di equilibrio D/H al variare della temperatura T in milioni di gradi.

Processi di distruzione→ dN2

dt= −n12 = −N1N2 < σ12v >

dove 1 e 2 fanno riferimento rispettivamente a protoni e deutoni. Ne segue che che ilnumero di deutoni nell’unita di volume varia col tempo secondo la relazione

dN2

dt= n11 − n12

Qualunque sia l’abbondanza iniziale del deuterio (ma in realta ce ne attendiamo moltopoco) si ricava che l’abbondanza di tale elemento deve evolvere verso la condizione di equi-librio

n11 = n12

da cui si trae per le abbondanze di equilibrio

(N2

N1)eq =

12

< σ11v >

< σ12v >

E’ subito visto infatti che se N2 > N1 allora σ12 > σ11, e viceversa, cosı che le abbondanzeevolvono necessariamente verso l’equilibrio. Ricordando che le abbondanze in numero sonolegate a quelle in massa dalla relazione Xi = NiAiH/ρ per le abbondanze in massa diequilibrio potremo scrivere (X2/X1)eq =< σ11v > / < σ12v >.

Si puo ottenere una scala dei tempi per il raggiungimento dell’equilibrio osservando che,per esempio, se N2 (N2)eq prevale la reazione di distruzione, per la quale

1N2

dN2

dt=

d

dtlnN2 = −N1 < σ12v >

da cui N2 = N02 e−t/τ con τ = 1/(N1 < σ11v >). Per una miscela ricca di idrogeno e per

temperature in cui la fusione pp e efficiente si trova cosı (X2)eq ≤ 10−18, τ ≤ 1 secondo. Lecondizioni di equilibrio sono cioe raggiunte in tempi rapidissimi e senza una apprezzabilevariazione della composizione chimica della materia (Figura 4.3)

All’equilibrio ogni reazione p+p e necessariamente seguita da una reazione D+p, talchesi puo direttamente assumere che ogni reazione p+p abbia per risultato la scomparsa ditre protoni e la sintesi di un nucleo di 3He, la velocita di produzione restando regolatasolo dal valore di n11. In questo senso il deuterio e elemento secondario, come lo sonoanche 7Be,7 Li,8 Be,8 B la cui dettagliata valutazione risulta inessenziale sia ai fini dellaevoluzione chimica che a quelli della produzione di energa della catena pp, fermo restando

Page 96: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Fig. 4.4. La concentrazione all’equilibrio di 3He (a sinistra) e il tempo (in anni) per raggiungerel’equilibrio stesso (a destra) in funzione della temperatura in milioni di gradi .

che alle restanti reazioni primarie occorrera associare i prodotti in particelle ed i contributienergetici provenienti dalle reazioni secondarie che le seguono.

Cosı gli effetti delle due prime reazioni della catenap + p→ D + e+ + ν (+Q11)D + p→3 He + γ (+Q12)

ove con Qii indichiamo l’energia rilasciata nella singola reazione eventualmente decurtatadella enrgia sotto forma di neutrini,restano compiutamente descritti dalle relazioni

dN1

dt= −3n11

dN3

dt= n11

dQ

dt= n11(Q11 + Q12)

ove le prime due regolano, con ovvio significato dei simboli, la variazione col tempo delnumero di particelle per unita di volume e la terza fornisce l’energia prodotta per unitaa ditempo sempre nell’unita di volume. Da quest’ultima si ricava immediatamente la produzionedi energia per grammo e per secondo della ppI:

ε =1ρ

dQ

dt

Resta da notare che alcuni elementi, come nel nostro caso l’3He, possono comportarsi daprimari o secondari a seconda della temperatura che regola il valore della sezione d’urto didistruzione. A basse temperature la sezione d’urto 3He +3 He e molto piccola e la compo-sizione d’equilibrio -sempre esistente- e corrispondentemente non solo molto alta ma ancheraggiunta in tempi lunghi. L’evoluzione dell’ abbondanza di 3He deve quindi essere seguitain dettaglio e l’3He si comporta come elemento pseudoprimario. Al crescere della temper-atura aumenta la sezione d’urto di distruzione e l’3He diviene a tutto rigore un secondario(Fig. 4.4)

4.5. Traiettorie evolutive per fusione di particelle cariche

Esaminando in generale le proprieta dei nuclei e possibile porre in luce quanto di non oc-casionale vi e nel tipo di reazioni nucleari che abbiamo incontrato discutendo la catenapp e che incontreremo illustrando le altre combustioni. Come gia richiamato nel I capitolo

Page 97: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

Fig. 4.5. La sequenza dei nuclei stabili e contornata da nuclei instabili che con decadimenti β+ oβ− si portano nella configurazione di equilibrio, cui corrisponde un massimo dell’energia di legame.

(→ A1.8), un generico nucleo resta caratterizzato dal numero Z di protoni e N di neutroniche lo compongono, ed e possibile mappare nel piano Z,N la sequenza di nuclei stabili es-istenti in natura (Fig. 4.5). In tale piano, per i nuclei piu semplici, sino a circa Z=20, inuclei stabili appaiono caratterizzati da un numero simile di protoni e neutroni (Z ∼ N)mentre a Z maggiori si manifesta un progressivo eccesso di neutroni (Fig. 1. 22). Le regioniesterne alla sequenza di stabilita sono occupate da nuclei instabili che decadono verso la loroconfigurazione stabile trasformando protoni in neutroni, o viceversa, attraverso decadimentiβ+ o β−, rispettivamente.

Come mostrato in Figura 4.6, non sorprende trovare che per ogni prefissato numero dinucleoni A=Z+N la configurazione stabile mostra la maggiore energia di legame (la minoremassa) tra tutti gli altri possibili isobari. Si comprende cosı come i decadimenti β rapp-resentino il canale di trasformazione che consente ai nuclei di portarsi nel loro minimo dienergia con l’emissione di elettroni negativi o positivi. Risulta anche comprensibile l’evidenzasperimentale secondo la quale l’instabilita appare tanto maggiore (i tempi di decadimentotanto minori) quanto piu i nuclei si allontanano da quella che viene talora definita la lorovalle di stabilita.

In tale scenario, si comprende come nella catena pp, agglutinando successivamente pro-toni si producano nuclei con eccesso di tali particelle, instabili dunque per decadimento β+.Piu in generale, quando la fusione di particelle leggere porta a configurazioni della valle distabilita, il nucleo composto prodotto nella reazione decadra nel suo stato fondamentale conl’emissione di un quanto γ di energia. Se il configurazione del nucleo composto e all’esternodella valle, cio avverra inevitabilmente per un eccesso di protoni e un decadimento β+ siincaricheradi riportare il nucleo nella sua configurazione stabile.

E’ cosı possibile leggere la maggior parte delle reazioni che abbiamo incontrato nellacatena pp e che incontreremo nel seguito in tale semplice chiave topologica, chiarendol’alternanza di processi γ e β+ che in genere contraddistinguono le varie catene di com-bustione tra particelle cariche.

Page 98: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Fig. 4.6. Andamento schematico della massa di nuclei con eguale numero di nucleoni (numeroatomico A=Z+N) al variare del numero di protoni Z e neutroni N. Il nucleo stabile realizza lamassima energia di legame (massa minima). I nuclei instabili si portano nello stato di massimolegame tramite decadimenti β− [(Z,N]→ (Z+1, N-1) + e− + ν ] o β+ [(Z,N]→ (Z-1, N+1) + e+ +ν ] liberandosi cosırispettivamente dell’eccesso di neutroni o di protoni.

4.6. Il biciclo CN-NO

Se, e solo se, nel gas stellare e presente anche una minima quantita di nuclei di carbonio, diazoto e/o di ossigeno, a temperature leggermente superiori a quelle necessarie per l’efficienzadella catena pp si apre un ulteriore canale di reazioni per la combustione dell’idrogeno inelio. Se, per esempio, assumiamo la presenza di soli nuclei di carbonio, a circa 15 106Kdiventano efficienti processi di cattura protonica che innescano una serie di reazioni

12C + p→13 N + γ

13N →13 C + e+ + ν (τ = 870sec)13C + p→14 N + γ

14C + p→15 O + γ

15O →15 N + e+ + ν (τ = 178sec)15N + p→ (16O)∗ → (∼ 99%)→12 C + α

→ (∼ 1%)→16 O + γ

Si vede come il nucleo di 12C aggreghi successivamente 4 protoni giungendo con l’ultimareazione alla produzione di un nucleo di 16O in uno stato eccitato. Quest’ultimo decade pref-erenzialmente restituendo un nucleo di 12C ed una particella α ( nucleo di 4

2He). Trascurandoper il momento l’ulteriore canale di decadimento in 16O, siamo dunque in presenza di un ciclo,in cui il carbonio funge da catalizzatore della fusione di 4 protoni in un nucleo di elio, rima-nendo disponibile per una serie indeterminata di reazioni. Naturalmente il ciclo puo prendereinizio quando sia presente almeno uno qualsiasi dei suoi componenti (12C,13 C,14 N,15 N),essendosi in precedenza assunto il 12C solo a titolo di esempio. Tale ciclo viene in genere in-dicato come ciclo CN ad indicare come esso sia basato sulla continua mutua trasformazionedi questi due elementi.

Trattandosi di un ciclo, tutti i nuclei C e N sono contemporaneamente creati e distrutti,e assumono quindi la veste di elementi secondari, evolventi quindi verso una loro condizionedi equilibrio. All’equilibrio n1j = cost (j = 12, 13, 14, 15) e per le abbondanze di equilibriosi ricava

N(12C) < σ1,12v >= N(13C) < σ1,13v >= N(14N) < σ1,14v >= ....

Page 99: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

Fig. 4.7. Variazione col tempo dell’abbondanza dei vari elementi del ciclo CNO in una miscelacon composizione iniziale solare, mantenuta a T= 30 106 K, ρ = 1 gr/cm3. La linea a tratti mostral’evoluzione temporale del coefficiente ε di generazione di energia. Il tempo t e in anni.

Come atteso, l’abbondanza di equilibrio dei vari nuclei risulta quindi inversamente pro-porzionale alla sezione d’urto per i rispettivi processi di distruzione. La sezione d’urto digran lunga minore e quella per processi di cattura protonica su 14N , seguita nell’ordine daquelle per gli analoghi processi su 12C,13 C e 15N . Corrispondentemente ci si attende cheall’equilibrio oltre il 95% dei nuclei sia sotto forma di 14N ed il resto largamente sotto formadi 12C.

Abbiamo peraltro gia indicato come il ciclo CN non sia perfetto, perdendo una piccolaparte dei nuclei a formare 16O. Tale perdita e peraltro effimera, perche tale elemento vienea sua volta processato per restituire nuclei di 14N . Si ha infatti

16O + p→17 F + γ17F →17 O + e+ + ν17O + p→ (18F )∗ →14 N + αove appare ora lecito trascurare la piccola quantita di 18F che decade nel suo stato

fondamentale. Si vede come le precedenti reazioni realizzino un nuovo ciclo NO: un nucleodi azoto puo aggregare successivamente 4 protoni per restituire infine ancora un nucleo diazoto piu una particella α. Siamo dunque in presenza di due cicli mutuamente accoppiati cherealizzano il cosiddetto biciclo CN-NO nel quale tutti i nuclei pesanti coinvolti si presentanocome elementi secondari. Si noti che, poiche i nuclei non sono in realta ne creati ne distruttima solo trasformati l’uno nell’altro, in ogni caso ed in ogni momento il numero originale N0

di nuclei pesanti deve conservarsi, risultando

ΣNi = N0

Alle minori temperature la cattura 16O + p e largamente innefficiente e la combustioneriposa essenzialmente sul solo ciclo CN. Attorno ai 20 106K ambo i cicli sono in pienaefficienza e sia 12C che 16O vengono ridotti a pochi percento di 14N . Anche in questo caso

Page 100: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 4.8. Abbondanze relative di equilibrio al variare della temperatura (in milioni di gradi) pergli elementi principali del ciclo CNO. Si e posto ΣNi = 1

Fig. 4.9. La produzione di energia dalla catena pp e dal ciclo CNO al variare della temperaturain milioni di gradi. Si e assunta una composizione chimica solare.

la grande maggioranza dei nuclei di 14N finiscono necessariamente con l’evolvere lungo ilciclo CN che fornisce quindi in ogni caso il maggior contributo alla generazione di energia.L’importanza del ciclo NO discende dall’evidenza che il gas interstellare da cui originanole stelle risulta in genere relativamente ricco di elementi multipli di α, quali 12C e 16O, afronte di una relativa sottoabbondanza di 14N . L’efficienza del ciclo NO ha dunque l’effettodi rendere disponibili per il ciclo CN gli originali nuclei di 16O presenti nella materia.

Quanto sinora esposto ha come importante conseguenza l’efficienza di una combustioneCNO viene dunque memorizzata nella abbondanza relativa di quei tre elementi, secondo loschema:

Gas non processato 12C ⇑ 14N ⇓ 16O ⇑Gas processato CN 12C ⇓ 14N ⇑ 16O ⇑Gas processato CNO 12C ⇓ 14N ⇑ 16O ⇓

La Figura 4.7 riporta l’andamento col tempo delle abbondanze dei nuclei nel caso dicombustione CNO in una miscela con abbondanze originali solari alle condizioni indicate.Si nota come prima 12C e poi 16O vengano trasformati in 14N , mentre 13C e 15N vengonoprodotti e mantenuti all’equilibrio con i loro capostipiti 12C e 14N . I tre elementi piu abbon-danti del ciclo CNO risultano in ogni caso 12C, 14N e 16O, cui corrispondono le piu piccolesezioni d’urto per le reazioni di distruzione e, conseguentemente, i tempi piu lunghi peril raggiungimento dell’equilibrio. Per seguire nel dattaglio l’evoluzione di una combustioneCNO sara quindi sufficiente valutare istante per istante l’efficienza delle tre reazioni

12C + p → 13N + γ

Page 101: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

Fig. 4.10. Schema delle reazioni che compongono il biciclo CN-NO. Sono indicate anche le reazioniche prendono origine dai rari nuclei di 18F che decadono nel loro stato fondamentale.

14N + p → 15O + γ16O + p → 17F + γ

e, eventualmente, se interessati ai dettagli temporali,13C + p → 14N + γ

che sono le quattro reazioni pseudoprimarie. Tutti gli altri elementi possono essere riguar-dati come strettamente secondari, raggiungendo in tempi trascurabili composizioni minimedi equilibrio. La Figura 4.8 mostra la dipendenza dalla temperatura delle abbondanze diequilibrio dei quattro elementi pseudoprimari.

L’efficienza della combustione CNO dipende per ogni temperatura dalla abbondanza ditali elementi nel gas stellare. Nel caso di gas con composizione solare (Z ∼ 0.02) circa il50% della massa degli elementi pesanti e attribuibile a C,N ed O e attorno ai 17 106 K lacombustione CNO inizia a predominare sulla pp (Fig. 4.9). Tale soglia non dipende peraltrocriticamente dall’abbondanza di CNO. La dipendenza dalla temperatura della generazionedi energia va infatti nei due casi come

εpp ∝ T 4 εCNO ∝ T 15

e modeste variazioni di temperatura sono quindi sufficienti per bilanciare variazioni anchenotevoli nell’abbondanza di nuclei CNO.

La Figura 4.10 riporta uno schema delle reazioni che compongono il biciclo CN-NO,con anche indicate le reazioni che prendono origine dai rari nuclei di 18F che decadononello stato fondamentale anziche restituire un nucleo di 14N ed una particella α. In lineadi principio potrebbe preoccupare l’esistenza al termine di queste ultime reazioni del nucleostabile 20Ne: ogni nucleo di 20Ne formato viene infatti sottratto al ciclo, diminuendonel’efficienza. E’ peraltro facile verificare che il numero di nuclei di 20Ne cosı prodotti risultadel tutto trascurabile. Dal rapporto delle rispettive sezioni d’urto p,γ e p,α si ricava infattila probabilita dei nuclei eccitati (= la frazione) di decadere nel loro stato fondamentale perproseguire la catena di reazioni. Risulta cosı

Page 102: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

(18F)∗ →18F ∼ 0.3; (19F)∗ →19F ∼ 0.0008; (20Ne)∗ →20Ne ∼ 0.0002;

ricordando che circa solo l’ 1% dei nuclei transita per il ciclo NO si ricava che la prob-abilita di formare un nucleo di 20Ne e minore di 10−9. Questa probabilita va confrontatacon il numero di cicli che compie un nucleo prima che sia esaurito l’idrogeno. Nel caso dimateria di tipo solare, Z=0.02, abbiamo indicato come vi sia all’incirca 1 nucleo di CNO perogni 1000 nuclei di idrogeno, e questo e quindi il numero di cicli compiuto da ogni nucleo diCNO. E’ subito visto che non solo nel caso del Sole, ma anche per materia molto piu poveradi metalli, la probabilita di formare 20Ne risulta microscopica.

Per completare il quadro resta da indicare come il quadro di reazioni sin qui descrittoriposi sull’implicita assunzione che il tempo tra due successive catture protoniche sia lungorispetto ai decadimenti β. Cio e sempre vero nelle fasi di normale evoluzione delle strutturestellari, nelle quali la temperatura e governata dall’equilibrio idrostatico e le fusioni nucleari -come abbiamo indicato - sono eventi rari. Non e piu vero durante le ultime fasi di implosione-esplosione, durante le quali la temperatura puo aumentare improvvisamente di ordini digrandezza. In tal caso cresce la sezione d’urto per cattura protonica e diventa probabile chegli elementi del ciclo instabili β+ catturino un protone prima di decadere. In tal caso siaprono ulteriori canali di combustione indicati con il termine CNO veloce (→ A4.3).

4.7. Combustione dell’He. Catena del 14N

Al termine della combustione dell’idrogeno, esaurito tale combustibile la materia risulteracomposta da elio e dagli elementi piu pesanti originariamente preesistenti. Se il ciclo CNOe stato efficiente ci si attende che tra tali elementi pesanti C e O si siano in gran partetrasformati in 14N.

La catena pp, ove sono presenti due rami di combustione He+He, ci indica come a qualchediecina di milioni di gradi debba certamente risultare ”coulombianamente” efficiente anchela reazione

42He +4

2 He→84 Be

Con tale reazione non si realizza pero una reale combustione perche il 8Be cosı prodottoridecade in due particelle α in circa 10−16 secondi. La combustione si realizzera solo se equando il Be prima di decadere catturi una ulteriore particella α giungendo a produrre unnucleo stabile di 12C

8Be +4 He→12 C

Per comprendere il meccanismo che porta ad una efficiente produzione di carbonio eda notare che il 8Be si comporta come un elemento secondario, creato dalla reazione diproduzione 4He +4 He e distrutto dal successivo decadimento, con una concenrazione diequilibrio che dipende dal rapporto tra l’efficienza delle reazioni di produzione (fusione didue nuclei di elio) e di distruzione (decadimento spontaneo). Aumentando la temperaturasi producono due effetti, tutti e due tesi a rendere piu probabile la combustione del berillioin carbonio:

1. Aumenta la velocita di reazione α + α e aumenta quindi, a fronte del costante tempo didecadimento , la concentrazione di equilibrio di 8Be

2. Si attenuano gli effetti della repulsione coulombiana e aumenta quindi la sezione d’urtodel berillio per cattura α

La combinazione di questi due effetti fa si che a circa 108K divenga efficiente il processoa tre corpi di fusione di He in C. A tali temperature, ben superiori a quelle richieste dal

Page 103: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

semplice attraversamento della barriera coulombiana, risultano peraltro efficienti anche suc-cessive catture α, cosi che nelle strutture stellari ci si attende che siano contemporaneamenteefficienti

3α→12 C + γ

12C + α→16 O + γ

seguite, ma con minore e talora trascurabile efficienza, da

16O + α→20 Ne + γ

20Ne + α→24 Mg + γ

Al termine della combustione di elio ci si attende essenzialmente una miscela di 12C e16O con tracce piu o meno consistenti di Ne. Le stelle, consentendo di mantenere la materiaattorno ai 108K per milioni di anni, riescono cosıa superare tramite la reazione 3α il limiteimposto alla veloce nucleosintesi cosmologica dalla mancanza di nuclei stabili con A=5, 8.

Le reazioni di combustione di elio sin qui discusse sono le uniche rilevanti per quel cheriguarda il contributo al fabbisogno energetico di una struttura stellare. E’ peraltro da notarecome alle temperature di combustione dell’elio l’ 14N presente (anche come prodotto di unaprecedente combustione CNO) sia in grado anch’esso di catturare particelle α

14N + α→18 F + γ

seguita dal decadimento

18F →18 O + e+ + ν

innescando una catena di reazioni che qui di seguito riportiamo in una notazione alternativadi immediata interpretazione

14N(α, γ)18F (e+ν)18O(α, γ)20Ne(α, n)25Mg

Ricordiamo che in una stella ricca di metalli quale il Sole, con abbondanza in massa dielementi pesanti dell’ordine di Z ∼ 0.02, l’abbondanza in numero di elementi CNO (supra)e dell’ordine di 10−3, confortando la scarsa rilevanza energetica di tale reazione a fronte dellacombustione 3α. E’ peraltro da notare che il completamento della catena implica che perogni nucleo CNO originalmente presente nel gas stellare venga liberato un neutrone, il che-nella assunzione Z ∼ 0.02- corrisponde a ∼ 1021 neutroni liberati per grammo di materia.

Poiche i neutroni non risentono della repulsione coulombiana, essi tendono ad esserecatturati dai nuclei circostanti, che vengono cosıa fungere da nuclei seme per la costruzionedi elementi a numero atomico sempre piu alto. Proprio un simile processo contribuisce allaformazione degli elementi piu pesanti del Fe che, come gia sappiamo, non ci attendiamopossano essere prodotti in combustioni termonucleari quiescenti.

4.8. Le combustioni avanzate

Considerando ancora una volta gli effetti della repulsione coulombiana, si trova che in-nalzando la temperatura a 7− 8 108K diviene efficiente la combustione del carbonio

12C +12 C →20 Ne + α ∼ 50% Q = 4.6MeV→23 Na + p ∼ 50% Q = 2.2MeV

Page 104: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

→23 Mg + n rara Q = −2.6MeV→24 Mg + γ molto rara Q = 13.9MeV→16 O + 2α sporadica Q = −0.1MeV

Si noti come all’aumentare della complessita del nucleo composto diventino sempre piuprobabili canali di fragmentazione con emissione di protoni, neutroni o particelle α a con-fronto del decadimento nello stato fondamentale.

Poiche siamo a temperature molto piu alte di quelle tipiche per la combustionedell’idrogeno o dell’elio, i protoni e le particelle α prodotte reagiscono immediatamentecon molti dei nuclei circostanti. Tra le molte reazioni possibili, e di cui sara necessario teneredovuto conto, segnaliamo ad esempio una catena di reazioni che puo portare un ulteriorecontributo alla produzione di neutroni

12C(p, γ)13N(e+ν)13C(α, n)16O

Innalzando ancora la temperatura, a T ∼ 1.5 109 K i fotoni sono cosı energetici chela successiva combustione del Neon viene in realta innescata da un processo di fotodisinte-grazione

20Ne + γ →16 O + α

e le particelle α cosı prodotte reagiscono con lo stesso Neon o con il 23Na prodotto dellaprecedente combustione del carbonio

20Ne + α→24 Mg + γ23Na + α→26 Mg + p

dando di nuovo inizio a tutta una serie di reazioni che possono portare alla formazionedi alluminio, silicio, fosforo.

A T ∼ 2 109 K diviene possibile la fusione diretta di due atomi di ossigeno

16O +16 O →28 Si + α ∼ 45% Q = 9.6MeV→31 P + p ∼ 45% Q = 7.7MeV→31 P + n ∼ 10% Q = 1.5MeV→32 S + γ molto rara Q = 16.5MeV→24 Mg + 2α sporadica Q = −0.4MeV

i cui prodotti danno di nuovo origine a tutta una serie di reazioni che possono giungere sinoal 46Ti.

All’ulteriore aumentare della temperatura iniziano a dominare i processi di fotodisinte-grazione e di ricattura delle particelle prodotte che conducono ad un equilibrio dinamico incui l’abbondanza dei vari nuclei e regolata dalle rispettive energie di legame. Da tali pro-cessi di equilibrio emerge come specie dominante il nucleo piu legato, il Ferro, termine dellepossibili reazioni esoenergetiche di cui qui ci siamo interessati.

4.9. Evoluzione stellare e fusioni nucleari

La conoscenza del quadro delle reazioni termonucleari consente ora di precisare le aspetta-tive evolutive delineate all’inizio di questo capitolo come conseguenza del teorema del viriale.Come schematizzato in Fig. 4.11 , ci si attende che la storia di una stella sufficientementemassiccia consista in una progressiva contrazione intervallata da ”stop” nucleari ogniqual-volta l’innalzamento della temperatura nelle zone centrali raggiunga la soglia di una dellecombustioni termonucleari chiamate progressivamente a trasformare prima H in He, poi He

Page 105: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

Fig. 4.11. Schema dell’andamento temporale delle temperature centrali T in uns stella sufficien-temente massiccia: fasi di contrazione gravitazionale (g) portano in successione alle combustioni diH, He, C.. sino alla finale fotodisintegrazione del Ferro.

in C e O, sintetizzando infine Mg, Si sino alla costituzione del nucleo finale di Fe la cuifotodisintegrazione dara inizio al collasso finale di Supernova .

Piu in dettaglio, troveremo che ogni reazione, esaurito il proprio combustibile nelle regionicentrali, si sposta in uno strato che circonda il nucleo composto dai prodotti di reazioneche all’aumentare della temperatura fungeranno da combustibile alla successiva reazione.Come schematizzato in Fig. ?? l’iterazione di tale processo conduce infine nelle fasi finalidi pre-Supernova alla tipica struttura ”a cipolla”, in cui un nucleo di Ferro e contornatoin successione dai prodotti delle varie reazioni che sono state efficienti lungo tutta la storiadella stella.

La durata temporale delle fasi di combustione nucleare resta determinata dalla condizioneche l’energia prodotta supplisca al fabbisogno energetico della struttura, restando quindicollegata alla capacita di produrre energia delle varie fusioni. E’ subito visto che a paritadi nucleoni coinvolti la fusione di gran lunga piu energetica e quella dell’idrogeno, dallaquale ci attendiamo un emissione di energia di almeno ∼20 MeV per nucleo di He prodotto,quindi almeno ∼5 MeV per nucleone coinvolto. Segue nell’ordine la 3α →12 C che fornisce7.275 MeV per nucleo prodotto di carbonio, e altri 7.162 MeV per la combustione di 12Cin 16OO. Si hanno dunque circa 0.6 MeV per nucleone dalla combustione in C, che salgonoa circa 0.9 MeV se la combustione si completa a formare 16O. Se ne conclude che se unastella rimanesse a luminosita costante la combustione dell’elio sarebbe in grado di durarenon piu di un quinto di quanto duri quella dell’idrogeno. Poiche in realta una strutturaaumenta di ordini di grandezza la sua luminosita, la durata combustione di He risulteracorrispondentemente minore, riducendosi talora anche a meno di 1%.

Le combustioni di elementi piu pesanti risultano ancor meno energetiche e, per di piu,l’abbondante produzione di termoneutrini che contraddistingue le fasi evolutive piu avanzateaumentano di molto il fabbisogno energetico, riducendo di conseguenza i tempi caratteristicidella combustione, sino a farli svanire in una continua finale contrazione. La Tabella 1 riportauna valutazione indicativa della storia energetica di una struttura, dalla sua formazione sinoalla struttura finale di pre-Supernova.

Se l’eta delle stelle e distribuita a caso, ci si attende di trovare la grande maggioranzadelle stelle in fase di combustione di idrogeno, e cio e da collegarsi alla gia citata evidenzaosservativa della Sequenza Principale. Ci si attende anche una non trascurabile presenzadi stelle in fase di combustione di He, ma una scarsa o nulla evidenza di stelle in fasi dicombustione ancor piu avanzate. Fasi quindi di difficile identificazione osservativa, ma che

Page 106: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Fig. 4.12. A destra: l’andamento temporale della struttura di una stella. In ordinata la variabileMr/M che descrive la struttura dal centro ( Mr/M=0) alla superficie ( Mr/M=1). Le aree trat-teggiate rappresentano le zone ove sono efficienti le indicate combustioni nicleari. A sinistra: schemadella struttura finale ”a cipolla” in fase di pre-Supernova.

Tab. 1. Schema orientativo dell’evoluzione di una struttura stellare massiva attraverso le diversefasi di combustione al crescere della temperatura centrale T6 in milioni di gradi. Per ogni fase vieneriportata l’energia totale (gravitazionale o nucleare)rilasciata dall’inizio dell’evoluzione e la frazionedi energia emessa per fotoni o neutrini.

T6 Fase Egrav Enucl Fotoni Neutrini

0-10 Gravit. 1 KeV/n 100%10-30 H → He 6.7 MeV/n 95% 5%

30-100 Gravit. 10 KeV/n 100%100-300 He→ C, O 7.4 MeV/n 100%300-800 Gravit. 100 KeV/n 50% 50%

800-1100 12C +12 C → 7.7 MeV/n ∼ 100%1100-1400 150 KeV/n ∼ 100%1400-2000 16O +16 O → 8.0 MeV/n ∼ 100%2000-5000 Fe 400 KeV/n 8.4 MeV/n ∼ 100%

risultano peraltro di grande importanza quando si affrronti il problema della formazionedegli elementi e della evoluzione nucleare della materia nell’Universo.

Page 107: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Approfondimenti

A4.1. La formazione stellare. Funzione Iniziale di Massa (IMF)

La formazione stellare origina dal prevalere della gravita sulla agitazione termica del gas interstellare.La dinamica dei processi di formazione e peraltro ancora aperta a indagini ed ipotesi. Per quel cheriguarda l’identificazione del meccanismo che conduce nubi interstellari a superare la massa critica,iniziando la contrazione, sono possibili due scenari:

1. La massa critica viene superata per fluttuazioni spontanee nella densita e/o per rafreddamentodel gas,

2. La massa critica viene superata a causa della compressione prodotta dalla propagazione nelmezzo di onde d’urto prodotte da una vicina supernova.

Tali due meccanismi, anziche essere alternativi, possono rappresentare due meccanismi concor-renziali che, con efficienza da determinare, hanno contribuito alla formazione stellare lungo l’arcodella storia della nostra Galassia. In tale contesto, le piu volte citate differenze tra ammassi stellaridi disco e di alone (numero di stelle e stato dinamico) sono indice di una sostanziale differenza nellostato fisico del gas nel quale si formarono i protoammassi e/o nei meccanismi di formazione.

Nel primo caso (fluttuazioni spontanee) la produzione di stelle resta indipendente dalla presenzain loco di altre stelle,o tutt’al piu inibita da tali stelle se esse, riscaldando il gas, elevano il valore dellamassa di Jeans. In tal caso ci si attendono processi di formazione stellari piu o meno casualmentescaglionati nel tempo. La formazione di stelle indotta da eventi di Supernova suggerisce al contrarioche la nascita di sistemi stellari sia un evento autopropagantesi: la formazione di un sistema stellareimplica la presenza di stelle massicce che, esplodendo come Supernove, inducono in sequenza laformazione di ulteriori sistemi stellari nelle regioni circostanti, e cosıdi seguito. Un processo iterativodi cui si trova forse evidenza osservativa nella sequenza temporale di alcuni gruppi di ammassi apertidella Galassia.

La distribuzione di masse stellari risultante al termine della gerarchia di fragmentazioni di unprotoammasso e un problema fondamentale tuttora aperto. Dall’osservazione delle stelle attornoal Sole e stata a suo tempo ricavata per tale distribuzione una legge di potenza, nota come IMF(Initial Mass Function) di Salpeter, fornita in letteratura nelle due forme alternative:

dN

dlnM= M

dN

dM= M−α = M−1.35

dN

dM= M−(α+1) = M−2.35

E’ subito visto come tale distribuzione diverga per M→ 0: essa era infatti intesa a descrivere ladistribuzione della IMF per masse superiori o dell’ordine di 1 M. Le piu recenti evidenze osservativemostrano che la distribuzione di Salpeter puo al piu essere mantenuta sino a masse dell’ordine di0.6 M; per masse minori sono state proposte varie alternative, tutte in accordo nell’abbassaredrasticamente il numero di stelle previsto in tale intervallo di masse. Miller e Scalo hanno adesempio proposto di interpretare i dati osservativi in termini di una distribuzione log-normale, deltipo

dN

dlnM∝ exp[−C1(logM − C2)

2]

Page 108: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

Fig. 4.13. Istogramma della distribuzione in massa dei frammenti risultanti da un processo proba-bilistico confrontato con una distribuzione log-normale. Le masse sono in frazioni della massa dellanube iniziale.

con cui coprire l’intero intervallo di masse. Non e peraltro ancora chiaro il ruolo dei fenomeni fisicialla base di una tale distribuzione, ne - in particolare - quanto tale legge sia di validita generaleo rappresenti - al contrario - una distribuzione caratteristica delle sole stelle di Popolazione I.L’ipotesi che la IMF dipenda anche sensibilmente dal contenuto di metalli e stata infatti avanzatapiu volte, sulla base dell’osservazione che il contenuto di metalli condiziona l’opacita della materiaed i meccanismi di raffreddamento della medesima, processi che dovrebbero giuocare un ruolo nontrascurabile nella dinamica della contrazione e della fragmentazione.

E’ interessante peraltro notare come sia stato mostrato che una distribuzione log-normale siaspontaneamente raggiunta quando si supponga che il processo di successive fragmentazioni sia rettoda leggi probabilistiche per quel che riguarda il numero di frammenti per evento, le masse di taliframmenti e il numero di frammentazioni (Fig. 4.13).

A4.2. Il teorema del viriale

Si abbia un gas autogravitante, composto cioe da un insieme di N particelle di massa mi, mutamenteinteragenti attraverso il loro campo gravitazionale. Per esso si definisce il momento di inerzia

I =∑

im1(x

2i + y2

i + z2i ) i = 1, N

con ovvio significato dei simboli. Operandone la derivata seconda rispetto al tempo ne risulta

1

2

d2I

dt2=

∑i

mid

dt(xivxi + yivyi + zivzi) =

∑i

miv2xi + ... + m1xiaxi + .......

dove per brevita sono stati omessi gli analoghi contributi delle componenti y e z.

E’ subito visto che la somma∑i

miv2xi + miv

2yi + miv

2zi =

∑i

miv2i = 2T

avendo indicato con T l’energia cinetica totale del sistema, somma delle energie cinetiche dellesingole particelle.

Notiamo ora che miaxi per la legge di Newton (F = ma) e la componente x della forza agentesulla i-ma particella. Potremo dunque scrivere

xi miaxi = xiFxi = xiG∑j 6=i

mimj

r2ij

xj − xi

rij

Page 109: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

Eseguendo le somme, ad ogni termine del tipo

xiGmimj

r2ij

xj − xi

rij(componente x della forza operata dalla particella j su quella i)

corrisponde un termine

xjGmimj

r2ij

xi − xj

rij(componente x della forza operata dalla particella i su quella j)

la cui somma fornisce

(xi − xj)Gmimj

r2ij

xj − xi

rij= −G

mimj

r2ij

(xj − xi)2

rij

Sommando le corrispondenti componenti y e z si ha

−Gmimj

r2ij

(xj − xi)2 + (yj − yi)

2 + (zj − zi)2

rij= −G

mimj

rij

e sommando su tutte le particelle

−∑

ij

Gmimj

rij= Ω = energia di legame gravitazionale

Riassumendo, si conclude che

1

2

d2I

dt2= 2T + Ω

come si voleva dimostrare.

A4.3. Condizioni generali sulle strutture stellari

Sulla base delle varie relazioni teoriche che governano l’equilibrio delle strutture stellari e possibilericavare interessanti predizioni sul comportamento generale di tali strutture.

Dall’equazione dell’equilibrio idrostatico nella forma dP/dM=GM/4πr4, integrando lungol’intera struttura con un unico passo si ottiene as esempio

P ∝ M2

R4e poiche P ∝ ρT ∝ M

R3T

si ha infine

T ∝ M

R

Alla stessa relazione si giunge dal teorema del viriale. Da 2W + Ω = 0 si ha infatti W ∝ −Ω,dove ad evitare confusioni con la temperatura T abbiamo ora indicato con W l’energia cineticatotale del sistema. Per la temperatura si ha T ∝ W/M e, dal viriale, anche ∝ Ω/M. Poiche Ω ∝M2/R si ha infine ancora T ∝ M/R.

Utilizzando tale relazione possiamo anche ricavare indicazioni sulla relazione massa-luminositaper strutture supposte almeno in larga parte in equilibrio radiativo. In tal caso si ha infatti

dT

dM= − 3κ

4ac

L

16π2r4T 3da cui

T 4

M∝ L

R4

Da T ∝ M/R si ricava infine

L ∝ M3

Page 110: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

22

Fig. 4.14. Mappa degli elementi coinvolti nella combustione CNO veloce. Le linee a tratti indicanoi decadimenti β.

che mostra come la luminosita debba crescere con una potenza superiore della massa. Sinoti come nella derivazione non si siano fatte ipotesi sulla generazione di energia, a ulteriore di-mostrazione che la luminosita di una struttura e governata dalla massa attraverso l’equilibrio idro-statico. Introducendo l’ipotesi che la luminosita sia il prodotto di un meccanismo di combustionenucleare, poiche l’efficienza delle combustioni cresce con la temperatura, la relazione precedente cigarantisce anche che la temperatura centrale deve crescere con la massa.

Dalla equazione della conservazione di energia si ha inoltre

dL

dR= 4πr2ρε da cui

L

R3∝ ρε

e utilizzando ancora T ∝ M/R, unita alla L ∝ M3 si ha

LT 3

M3∝ T 3 ∝ ρε

.

che mostra come il rapporto tra temperatura e densita dipenda dal coefficiente di generazionedi energia. Per quest’ultimo si avra una dipendenza da temperatura e densita del tipo

ε ∝ ρm T n

risultando m=1, n=4 per la combustione dell’idrogeno, catena pp, m=1, n=14 per il ciclo CNO,e m=2, n=22 per la combustione dell’elio.

Per strutture sorrette dalla catena pp si avra cosı, ad esempio

Tρ2 ∼ cost

e simile per il CNO, che mostra come se all’aumentare della massa deve crescere la temperatura,come abbiamo gia trovato, nel contempo deve diminuire anche la densita centrale. Diminuendole masse si avranno dunque minori temperature e maggiori densita, predisponendo tali masseall’insorgere della degenerazione elettronica, come gia indicato.

A4.4. Il ciclo CNO veloce

I meccanismi di combustione dell’idrogeno tramite la catena pp o il ciclo CNO sono in genere valutatisotto l’implicita assunzione che la materia stellare sia a temperature tipiche delle fasi quiescenti di

Page 111: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

23

Fig. 4.15. Diagrammi di flusso per le reazioni del ciclo CNO veloce a varie temperature in miliardidi gradi (T9).

combustione, e quindi al piu a poche diecine di milioni di gradi. Sono queste infatti le temperatureche consentono di norma di estrarre dalla fusione dell’idrogeno l’energia necessaria per sostenereuna struttura stellare. E’ da presumere pero che in peculiari condizioni evolutive materia ancoraricca di idrogeno possa raggiungere temperature anche molto piu alte. Tale e il caso, ad esempio,di stelle supermassicce o prive di metalli o ancora, con riguardo a fasi non quiescenti, di materiacoinvolta nell’esplosione di una nova o di una supernova (nucleosintesi esplosiva.)

Ad alte temperature (T ≥ 108 K)il quadro di reazioni di combustione dell’idrogeno puo risultareanche drasticamente modificato da due distinti ordini di accadimenti;

1. Nella normale trattazione delle reazioni pp o CNO si e assunto che ove vengano prodotti nucleiβ instabili, questi abbiano il tempo di decadere spontaneamente prima di catturare un altroprotone. Cio puo non essere piu vero ad alte temperature, quando la velocita delle reazioni dicattura e grandemente accresciuta.

Page 112: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

24

2. Alle alte temperature considerate e contemporaneamente presente la cattura α che puo entrarein concorrenza con reazioni di cattura protonica.

Le modifiche attese nella catena pp risultano marginali. Piu rilevanti le modifiche attese nel cicloCNO, dove la cattura 13N(p,γ)14O puo diventare concorrenziale al decadimento 13N(e+ν)13C, e dovereazioni quali 14O(α,p)17F(p,γ)18Ne o 15N(α, γ)19F a T≥ 5 108 K giocano un ruolo determinante.

Il calcolo dettagliato dell’efficienza dei vari processi concorrenti puo essere eseguito sulla basedella conoscenza delle relative sezioni d’urto. La figura 4.14 riporta uno schema delle varie reazioniin grado di contribuire alla combustione veloce, mentre la figura 4.15 mostra i canali efficienti alletre diverse temperature 108, 5 108 e 109 K.

A 108 K e ancora essenzialmente operante un ciclo CNO attraverso la serie di reazioni

12C(p, γ)13N(p, γ)14O(e+ν)14N(p, γ)15O(e+ν)15N(p, α)12C

mentre 20Ne viene trasformato in 22Ne. A 5 108 K il ciclo CNO si espande mentre divieneoperante anche il ciclo

20Ne(p, γ)21Na(e+ν)21Ne(p, γ)22Na(p, γ)23Mg(e+ν)23N(p, α)20Ne

A 109 K le reazioni sono infine dominate da catture α che operano sugli elementi leggeri sino atrasformarli in Mg24.

Page 113: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

25

Origine delle Figure

Fig.4.2 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.4.3 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.4.4 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.4.5 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.4.6 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.4.7 Castellani V., Sacchetti M. 1978, Astrophys. Space Sci. 53, 217Fig.4.8 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.4.9 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.4.13 Elmegreen B.G.Mthieu R.D. 1983, MNRAS 203, 305Fig.4.14 Prialmk D., Shara M.M., Shaviv G. 1978, A&A 62, 339Fig.4.15 Audouze J., Truran J.W., Zimmerman B.A, 1973, ApJ 184, 493.

Page 114: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 5

La combustione centrale dell’Idrogeno

5.1. Modelli di presequenza. Politropi

Fine ultimo delle considerazioni fisico-matematiche che siamo andati presentando nei capitoliprecedenti e quello di porci in grado di procedere a valutazioni quantitative delle variazionistrutturali, e con esse dei parametri osservativi, che ci attendiamo debano caratterizzarel’arco di esistenza di una struttura stellare. Per entrare nel dettaglio dei risultati evolu-tivi restano da illustrare brevemente le tecniche di calcolo che consentono di valutare unasequenza evolutiva di modelli stellari al fine di predire le variazioni temporali di ogni prede-terminata struttura.

Possiamo ricapitolare quanto sinora esposto, concludendo che il sistema di equazionidell’equilibrio, integrato con le relative valutazioni fisiche, consente di determinarel’andamento delle variabili fisiche lungo tutta una struttura stellare una volta che si conoscain ogni punto la composizione chimica degli strati stellari e qualora si possa trascurare ilcontributo dell’energia gravitazionale. La prima condizione e esplicitamente inserita nelleequazioni dell’equilibrio, mentre la seconda discende dall’evidenza che il coefficiente di ener-gia gravitazionale εg richiede la valutazione punto per punto delle derivate rispetto al tempodi pressione e temperatura, valutabili solo conoscendo l’evoluzione temporale del modello.

La composizione chimica all’interno di una struttura stellare e peraltro figlia della storianucleare della struttura medesima, e non e pertanto valutabile a priori. Le uniche struttureche saranno accessibili ad un calcolo diretto saranno quindi e solo quelle di recentissima for-mazione, nella prima fase di contrazione gravitazionale e prima che l’innesco delle reazioninucleari inizi a modificare la composizione chimica. Ricordiamo ora che nel processo di for-mazione una struttura raggiunge una configurazione di equilibrio quando l’aumento dellatemperatura, stimolando la ionizzazione, aumenta l’opacita della materia intrappolando laradiazione. A seguito dell’ alta opacita ci attendiamo che tali strutture primitive siano to-talmente convettive e da tale accadimento discende la possibilita di calcolarne la struttura.

Per cio che riguarda la prima condizione notiamo infatti che strutture completamenteconvettive sono completamente e continuamente rimescolate. Se dunque l’assenza di reazionieffetti di selettive sedimentazioni gravitazionali dei diversi elementi. Potremo sunque as-sumere strutture chimicamente omogenee con composizione chimica pari a quella assuntaper la nube originaria.

Un modello convettivo risulta peraltro anche indipendente da εg. Per comprendernele ragioni assumiamo inizialmente, come prima approssimazione, che lungo l’intera strut-

1

Page 115: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

tura il gradiente sia pari al gradiente adiabatico di un gas perfetto monoatomico ∇ad =(dlogT/dlogP)ad =0.4. In tal caso

da dlogT = 0.4dlogP si ricava T = C1 P 0.4

sostituendo nell’equazione di stato

P =k

µHρT → P = C1

k

µHρP 0.4 da cui P = C2ρ

γ con γ = 5/3

E’ questo un caso particolare di una regola generale: non appena si aggiunga all’equazionedi stato un’ulteriore relazione che colleghi tra loro le variabili termodinamiche (nel nostrocaso la relazione del gradiente adiabatico) il sistema termodinamico perde un grado di libertae ognuna delle variabili di stato (P, T, ρ) puo essere espressa in funzione di solo un’altravariabile. Varra sempre, in particolare, una relazione del tipo

P = K ργ

con γ dipendente dalla assunta relazione tra le variabili. Tutte le volte che l’equazione distato e esprimibile nella forma precedente prende il nome di ”equazione di stato politropica”.Si noti che se la relazione riguarda un gradiente (come nel caso adiabatico) l’equazione distato politropica contiene necessariamente una costante arbitraria (condizione al contorno).Fissando le derivate si fissa infatti l’andamento delle variabili ma non il loro punto zero.Questo resta fissato non appena si fissi il rapporto P/ρ ( e quindi la temperatura) in unqualsiasi punto.

Per cio che riguarda il modello stellare omogeneo e totalmente convettivo, se per essoriscriviamo le equazioni dell’equilibrio si trova che nel caso di strutture politropiche

dP (r)dr

= −GMr(r)ρ(r)

r2dr (1)

dMr = 4πr2ρdr (2)

P = K ργ (3)

che formano un sistema di tre equazioni nelle tre variabili incognite P, ρ, Mr, la cuirisoluzione richiedera ora la presenza di tre opportune condizioni al contorno. Quel che quici interessa, e che la struttura prescinde da ogni valutazione sulla generazione di energia, con-sentendo quindi l’integrazione del modello stellare. Per tale integrazione si usera un metododel fitting, mancando delle soluzioni di prova richieste dal metodo di Henyey. In genere, perogni prefissato valore della massa e della composizione chimica, si usa determinare le trecondizioni al contorno Pc (pressione centrale), Te (temperatura efficace) e L (luminosita)per un prefissato valore della temperatura centrale Tc, assunta a valori sufficientemente bassiper escludere il passato intervento di reazioni nucleari.

Si noti come alla costante arbitraria nell’equazione di stato politropico-adiabatica cor-rispondono infinite soluzioni del modello, descritte dal calcolo al variare delle assunzioni suTc. Questo ci dice che finche la struttura resta totalmente convettiva dovra necessariamenteseguire il tracciato decritto dai modelli politropici al progressivo innalzarsi di Tc.

La stessa procedura puo essere applicata nel caso generale, ove si lasci cadere l’assunzione∇ad = 0.4 (ionizzazione completa) in tutta la struttura e si voglia valutare il gradientesuperadiabatico nelle zone esterne. La presenza della relazione di gradiente adiabatico oconvettivo abbassa sempre di un grado di liberta il sistema, e anche se il gradiente convettivodipende da L, per esso nelle zone esterne resta lecito assumere L=cost, prescindendo dallavalutazione di εg.

Page 116: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

5.2. Sequenze di modelli evolutivi

Avendo prodotto un primo modello di struttura stellare, e possibile seguirne l’evoluzionetemporale attraverso l’integrazione di una serie di modelli intervallati da opportuni passitemporali ∆ti. Conoscendo la distribuzione delle variabili fisiche e della composizione chimicalungo tutta una struttura e infatti possibile predisporre le condizioni per integrare un nuovomodello che realizza le condizioni della struttura dopo un prefissato intervallo temporale ∆t.Nel caso generale cio corrisponde a valutare innanzitutto la nuova distribuzione della speciechimiche dopo il passo temporale. Questa nuova struttura potra essere integrata, assumendoin ogni punto ”i” per le derivate rispetto al tempo che appaiono nel coefficiente di energiagravitazionale

dPi

dt=

P ′′i − P ′

i

∆te

dTi

dt=

T ′′i − T ′

i

∆t(4)

dove P ′, T ′ e P ′′, T ′′ rappresentano i valori delle rispettive variabili nel modello che precedeo segue il passo temporale.

Le variazioni della composizione chimica sono collegate all’efficienza delle reazioni difusione e, eventualmente, al rimescolamento prodotto da fenomeni di convezione. Le vari-azioni di composizione indotte dalle reazioni nucleari sono subito ricavabili dal numero nij direazioni per grammo e per secondo necessario per valutare nel modello di partenza il valoredel coefficiente di produzione di energia nuclear εn. Facendo ad esempio il caso della catenaPPI, dalla valutazione delle reazioni primarie (→ 4.4) si trae il numero di nuclei di idrogenoscomparsi nell’unita di tempo

dNH = −3n11 + 2n33

e di conseguenza il numero di nuclei di 4He formatisi

dNHe = −dNH/4

da cui le variazioni delle abbondanze in massa dopo un imtervallo di tempo ∆t, comefornite in ogni punto da

Xi = (dNiµiH)∆t

Ove siano presenti regioni convettivamente instabili, si terra successivamente conto delprocesso di omogeneizzazione indotto dal rimescolamento convettivo ponendo in tutta lazona convettiva

〈Xi〉 =1

Mc

∫XidM =

1Mc

∑XidM

dove l’integrale (sommatoria) e esteso a tutta la zona convettiva di massa totale Mc.L’iterazione di tali procedure consente di seguire l’evoluzione di una struttura stellare

a partire dalle primissime fasi di contrazione gravitazionale attraverso tutte le fasi di com-bustione nucleare sino al suo destino finale. Attraverso queste Sequenze Evolutive si realizzail compito dell’astrofisica stellare, consentendo di predire nei dettagli le strutture fisichee le grandezze osservabili per ogni assunto valore della massa, della composizione chimicaoriginaria e dell’eta di una stella.

Page 117: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

Fig. 5.1. Tracce teoriche per l’evoluzione presequenza di stelle di varie masse e composizionechimica solare. Nel diagramma sono anche indicate le linee di raggio costante come ricavabili dallarelazione di corpo nero L=4πR2σ T4

e. I cerchietti aperti indicano le fasi iniziali di contrazione grav-itazionale. Il primo punto sulla traccia segnala l’ultimo modello totalmente convettivo, il penultimopunto il primo modello sorretto nuclearmente e l’ultimo il modello di Sequenza Principale di EtaZero. I tempi lungo le tracce sono in anni.

5.3. La presequenza

Alcune semplici considerazioni permettono di predire come debba presentarsi una strutturastellare nelle prime fasi che seguono la sua formazione. Essa sara ovviamente espansa, essendogiusto all’inizio della sua lunga storia di contrazione, ma anche relativamente fredda, perchela stabilizzazione della struttura segue, come abbiamo gia ricordato, l’inizio della ionizzazioneparziale dell’idrogeno. Poiche dalla relazione di corpo nero segue che grandi raggi implicanoanche grandi luminosita, si giunge alla conclusione che al momento della sua formazione unastruttura deve presentarsi relativamente fredda ma molto luminosa: in termini astronomicideve presentarsi come una Gigante Rossa.

Tale previsione e puntualmente verificata dai risultati del calcolo. La Fig. 5.1 mostrala posizione nel diagramma HR teorico (logL, logTe) di modelli stellari con composizionechimica solare nelle primissime fasi di contrazione gravitazionale. Come atteso, tutti i mod-elli sono completamente convettivi, e tali rimangono per il primo tratto di evoluzione che sisvolge con una decrescita della luminosita a temperatura pressoche costante, e quindi conuna sensibile diminuzione del raggio. All’aumentare della temperatura centrale diminuiscel’opacita e al punto indicato in figura incominciano a formarsi dei nuclei in equilibrio radia-tivo. Al crescere di tale nucleo la traccia evolutiva abbandona infine il precedente andamentoper spostarsi verso alte temperature con un contenuto aumento di luminosita. Mostreremonel seguito come sia proprio la presenza di un nucleo radiativo a spostare la stella verso alte

Page 118: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Fig. 5.2. Evoluzione di presequenza per una stella di 1 M e composizione chimica solare. A=modello iniziale; B= ultimo modello completamente convettivo; C= primo modello sorretto nucle-armente; D= Sequenza principale di Eta Zero (ZAMS). Lungo la traccia sono riportati i tempi dievoluzione ed i modelli in cui si raggiungono le temperature centrali per la combustione del deuterio.

temperature efficaci, abbandonando quella che viene indicata in letteratura come la ”Tracciadi Hayashi”.

Mentre la stella si sposta verso alte temperature cominciano a diventare efficientile reazioni nucleari sinche (penultimo punto in Fig. 5.1) l’energia nucleare arriva a co-prire l’intero fabbisogno energetico della struttura, svanisce il contributo dell’energia grav-itazionale e ha termine la fase di contrazione su tempi scala termodinamici. In linea deltutto generale e da notare come tutte le stelle si stabilizzino attorno a quella che sara la loroluminosita nella fase di combustione nucleare ben prima che le reazioni stesse comincinoa diventare efficienti, a ulteriore riprova che non sono le reazioni a determinare la lumi-nosita di un oggetto stellare. E’ vero il contrario: la luminosita, governata dalle condizionidi equilibrio, determina la richiesta di energia e quindi l’efficienza delle reazioni nucleari.

La Fig. 5.2 riporta con qualche ulteriore dettaglio la traccia di presequenza per una stelladi 1 M. L’evidenza che l’evoluzione rallenti al diminuire della luminosita non dovrebbesorprendere: la luminosita altro non e che l’energia persa dalla struttura per unita di tempo,e in fase di contrazione gravitazionale l’evoluzione sara tanto piu veloce quanto piu velocela perdita di energia. Nella stessa figura sono indicati i modelli in cui per la prima volta siraggiungono le temperature per la combustione del deuterio. La scarsa abbondanza naturaledi questo elemento rende pressoche trascurabile il contributo di tali combustioni, causandoal piu un transitorio rallentamento dell’evoluzione.

In base a semplici considerazioni sui tempi scala nucleari noi abbiamo gia identificato laSequenza Principale osservata, ad esempio, nelle stelle nei dintorni del Sole, come formatada strutture in fase di combustione di idrogeno. Possiamo perfezionare tale identificazioneprecisando che definiremo stelle di Sequenza Principale tutte quelle stelle che evolvono coni tempi scala della combustione dell’idrogeno. Sulla base di tale definizione si deve conclud-ere che il primo modello sorretto nuclearmente al termine della fase di contrazione NONrappresenta ancora una struttura di Sequenza Principale. Nei meccanismi di combustione

Page 119: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 5.3. Andamento col tempo di temperatura centrale, densita centrale e energia gravitazionalein una stella di 1 M durante la fase di contrazione e nell’approccio alla Sequenza Principale.

dell’idrogeno, siano essi la catena pp o il ciclo CNO, vi sono infatti specie nucleari chedevono portarsi all’equilibrio prima che la combustione dell’idrogeno raggiunga una situ-azione di regime e che evolveranno - e con essi la struttura - con tempi scala intermedi traquelli gravitazionale e quelli della combustione dell’idrogeno. Conseguentemente dovremodefinire come primo modello di Sequenza Principale (o modello di ZAMS = Zero Age MainSequence) il primo modello sorretto nuclearmente in cui gli elementi secondari abbiano rag-giunto l’equilibrio.

Nel caso di una stella di 1 M, quale quello illustrato in Fig. 5.2, la struttura arrivaad essere sorretta dalle combustioni nucleari con temperature centrali dell’ordine dei 15106 K, alle quali domina ancora la catena ppI. Per arrivare al modello di ZAMS dovremoquindi attendere che l’ 3He, pressoche ancora nullo nel primo modello sorretto nuclearmente,raggiunga la sua composizione di equilibrio. E’ istruttivo riconoscere in Fig. 5.3 il comporta-mento della struttura in questa fase di approccio alla sequenza principale. Durante tutta lafase di contrazione gravitazionale temperatura e densita centrale aumentano con continuitasino a quando intervengono le reazioni nucleari e l’energia prodotta dalla gravitazione crollarapidamente a zero, sostituita da quella nucleare.

Per mancanza di 3He le reazione 3He+3He → 4He + 2p non puo essere efficiente, e lacombustione si deve limitare alla produzione di 3He, con l’emissione di energia corrispon-dente alla sola produzione di tale elemento,. Mano a mano che aumenta l’abbondanza di3He, la 3He+3He → 4He + 2p comincia a diventare efficiente, il PPI si completa e aumental’energia prodotta per ogni fusione di coppia di protoni, aggiungendovisi l’energia guadag-nata nella produzione dell’4He. La stella, che si era portata a temperature tali da soddisfareal suo fabbisogno energetico con il solo ppI incompleto, reagisce all’eccesso di energia dimin-uendo temperatura e densita per abbassare la velocita delle reazioni e mantenere costante laproduzione di energia nucleare. Ne segue anche una espansione con il limitato assorbimentodi energia gravitazionale segnalato dai valori negativi in figura. E’ temporaneamente pre-sente un piccolo nucleo convettivo, destinato ad una rapida sparizione e privo di conseguenzeevolutive (→ A5.4)

La decrescita della temperatura prosegue sinche l’3He nelle zone di combustione si sta-bilizza alla sua composizione di equilibrio: da questo momento la stella cessa di evolvere coni tempi scala dell’equilibrio dell’3He e inizia ad evolvere con i tempi scala della combustionedell’idrogeno (modello di ZAMS). Durante la fase di riaggiustamento nucleare che intercorretra il primo modello sorretto nuclearmente e il modello di ZAMS le condizioni centrali tor-nano verso valori precedenti e, corrispondentemente, come mostrato nelle figure 5.1 e 5.2 siinverte la direzione della traccia nel diagramma HR.

Page 120: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 5.4. Andamento col tempo di temperatura centrale, densita centrale e energia gravitazionalein una stella di 1.5 M durante la fase di contrazione e nell’approccio alla Sequenza Principale. Qcc

riporta l’estensione del nucleo convettivo in frazioni di massa stellare. Estremi delle ordinate: 0.80≤ logTc ≤ 1.39; 0.75 ≤ logρc ≤ 2.00

Al diminuire della massa diminuisce la temperatura centrale dei modelli sorretti nu-clearmente causa la drastica diminuzione della luminosita intrinseca delle strutture. Lereazioni nucleari continuano dunque ad essere dominate dalla catena ppI e le fasi di prese-quenza hanno andamenti sostanzialmente analoghi, almeno sinche non si giunga (M ≤ 0.4M) a temperature centrali cosı basse e, conseguentemente, a tempi di equilibrio dell’3Hecosı grandi da configurare per tale elemento il ruolo di elemento primario. In tal caso svaniscela fase di rilassamento nucleare e il primo modello sorretto nuclearmente deve essere consid-erato modello di ZAMS.

Ancora analogo, ma per alcuni versi speculare, l’avvicinamento alla Sequenza Principaledi modelli invece piu massicci, nei quali la maggior richiesta di energia conduce a mag-giori temperature centrali, portando alla dominanza del ciclo CNO. L’equilibrio del cicloviene raggiunto quando il 12C viene trasformato in 14N, diminuendo la velocita del ciclo el’energia emessa nell’unita di tempo. La Fig. 5.4 mostra che in tal caso al primo modello sor-retto nuclearmente segue un nuovo episodio di limitata contrazione e un ulteriore aumentodi temperatura che infine consente al ciclo all’equilibrio di fornire la richiesta energia. Neldiagramma HR il modello prosegue ora la sua traccia, innalzando ulteriormente la temper-atura efficace. Notiamo infine che, come previsto (→ Cap. 2), a causa della alta dipendenzadalla temperatura la combustione CNO produce ora nuclei convettivi, che si manterrannoper tutta la fase di sequenza principale.

La diversa risposta delle combustioni pp e CNO nell’approccio all’equilibrio si riflettequindi nella diversa collocazione nel diagramma HR dei modelli di ZAMS rispetto ai modelliomogenei sorretti nuclearmente. Come mostrato in Fig. 5.5, modelli di ZAMS sorretti dallacatena pp si collocano a temperature efficaci leggermente inferiori dei rispettivi modelliomogenei, mentre il contrario avviene per i modelli sorretti dal CNO, che continuano lacontrazione per portarsi a temperature efficaci piu alte. Tale diversa risposta rende ancheragione del fatto che alla transizione tra le due combustioni esiste un intervallo di massein cui i modelli omogeni sono sorretti dal CNO e i modelli di ZAMS dal pp. La massadi transizione dipende naturalmente dalla assunta composizione chimica: innalzando l’eliooriginario si ottengono, ad esempio, modelli piu caldi e la massa di transizione diminuisce.

Resta infine da osservare come, sulla base delle considerazioni svolte, si possa concludereche la struttura di un modello di ZAMS possa n genere essere identificata anche senza

Page 121: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Fig. 5.5. Una sequenza di modelli omogenei supermetallici (linea a tratti) confrontata con lacollocazione dei modelli di ZAMS.

procedere al calcolo dettagliato delle fasi di presequenza. Sinche, come avviene per masse nontroppo piccole, i tempi scala gravitazionale, nucleare dei secondari e nucleare del’idrogenorestano ben distinti, sara lecito integrare direttamente un primo modello omogeneo sorrettonuclearmente imponendo ε=0, e lasciando evolvere la struttura sino a raggiungere l’equilibriodei secondari (pseudoevoluzione).

5.4. La traccia di Hayashi

Si e visto come tutti i modelli stellari nella loro iniziale fase convettiva seguano ben definite etra loro analoghe sequenze confinate alle basse temperature efficaci. Tale comportamento vainquadrato in una regola generale secondo la quale per ogni prefissata massa e composizionechimica esiste nel diagramma HR un limite destro invalicabile definito appunto da strutturetotalmente convettive, che prende il nome di traccia di Hayashi. Tale regola, enunciatadall’astrifisico giapponese Kushiro Hayashi sulla base di modelli stellari semianalitici, puoessere convenientemente illustrata in base ad esperimenti numerici.

Si riprendano infatti le equazioni di equilibrio e si consideri il gradiente dT/dp come unparametro libero G costante lungo la struttura. Se ne ricava il sistema politropico

dP/dr = ....dMr/dr = ...dT/dp = G

che per ogni valore di G e per ogni assunto valore della luminosita L ammette unasoluzione. Non sorprendentemente, si trova che per ogni L, al crescere di G il modello (nonrealistico) si sposta a temperature efficaci minori. Il criterio di Schwarzschild detta peraltroun limite superiore per i valori del ”gradiente medio” G, dovendo risultare

dT

dP≤ (

dT

dP)ad

Page 122: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

Fig. 5.6. Linee isoconvettive HR per una struttura di 1 M dalla indicata composizione chimica.Le singole linee indicano il luogo nel diagramma HR ove la base dell’inviluppo convettivo raggiungeun prefissato valore della frazione di massa Mce. La linea a tratti riporta la traccia di Hayashi(strutture roralmente convettive)

ove, trascurando gli effetti superficiali di superadiabaticita, l’eguaglianza implica strut-ture completamente convettive. Ne segue che la linea formata al variare di L da tali struttureconvettive rappresenta nel diagramma HR un limite destro per strutture in quasi equilibrio.

E’ utile inserire il concetto di traccia di Hayashi nel contesto piu vasto di un indaginetopologica della convezione negli strati esterni delle strutture stellari. Si e gia indicatocome al diminuire della temperatura efficace ci si attenda che nascano e progressivamentesi sviluppino in profondita strati convettivi superficiali collegati alla ionizzazione parzialedell’idrogeno. Tale previsione qualitativa puo essere perfezionata osservando che il metododel ”fitting” ci assicura che per ogni prefissata massa stellare, ogni posizione del diagrammaHR (ogni coppia di valori L e Te) identifica senza ambiguita le condizioni superficiali. E’lecito quindi integrare le equazioni di equilibrio verso l’interno, identificando le catatter-istiche che avrebbe la struttura e, in particolare, la profondita degli strati convettivi, sepresenti. Si noti che in tale modo non si esegue la valutazioe di un reale modello stellare:si opera solamente la previsione che se una stella di data massa si venisse a trovare in quelpunto del diagramma HR, allora dovrebbe avere la struttura esterna cosı calcolata.

Tali informazioni possono essere accorpate per produrre la topologia degli inviluppi con-vettivi mostrata in Fig.5.6, ove le varie linee isoconvettive rappresentano il luogo dei puntiove la convezione superficiale affonda sino ad un predeterminato valore della massa stellare.Come caso limite, si ottiene cosı anche una valutazione della traccia di Hayashi ove sonotenuti in debito conto gli effetti della superadiabaticita.

Poiche i modelli di presequenza percorrono per definizione le rispettive tracce di Hayashi,la precedente Fig, 5.1 mostra chiaramente come al diminuire della massa stellare la tracciadi Hayashi si sposti verso temperature efficaci minori. La Fig, 5.7 mostra come la traccia sisposti verso minori temperature efficaci anche all’aumentare della metallicita. La sensibilitaal contenuto originario di elio e molto minore, almeno nel campo delle variazioni atteseper questo parametro evolutivo (∆ Y ≤ 0.1), con la traccia che si sposta leggermente atemperature inferiori al diminuire di Y. La particolare sensibilita al contenuto metallicodiscende dal forte contributo dato dai metalli (a differenza dell’elio) all’opacita della materia.

Page 123: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Fig. 5.7. Tracce di Hayashi per una struttura di 1 M al variare del contenuto metallico.

E’ infine di particolare rilevanza osservare che per ogni fissata massa e composizionechimica originaria la traccia di Hayashi dipende anche, e sensibilmente, dalla lunghezzadi rimescolamento adottata nel trattamento della convezione superadiabatica. Minore lalunghezza di rimescolamento, meno efficiente e il trasporto convettivo e piu alto il valore dellasuperadibaticita. Si noti al riguardo come al limite l →0 debba risultare anche ∇con → ∇rad.Maggiore superadiabaticita significa infine maggiori gradienti all’interno della struttura edi conseguenza temperature piu basse in atmosfera. Se ne conclude che al diminuire dil la traccia di Hayashi si sposta, come avviene, verso temperature piu basse. Se ne deveconcludere che in assenza di indicazioni precise sul valore di l (→ A5. ..) la collocazionedella traccia e soggetta a pesanti incertezze, che si riflettono non solo sulla temperaturadelle tracce di presequenza, ma anche, come vedremo, sulla collocazione nel diagramma HRdelle Giganti Rosse.

5.5. La Sequenza Principale di Eta Zero (ZAMS)

In base alle considerazioni evolutive sin qui svolte e possibile produrre valutazioni teorichesulle strutture di Sequenza Principale per ogni assunta composizione chimica iniziale. LaFig. 5.8 riporta, nel riquadro a sinistra, l’andamento nel diagramma HR di tali sequenze pertre scelte di composizione chimica che coprono le composizioni delle strutture galattiche. Ilriquadro a destra nella stessa figura riporta l’andamento delle temperature centrali per glistessi modelli.

Luminosita e temperatura centrale crescono in ogni caso al crescere della massa, comerichiesto dal crescente contenuto energetico e conseguente fabbisogno delle strutture di equi-librio. Al crecere della massa stellare segue l’inevitabile passaggio delle combustioni nuclearisotto il controllo del ciclo CNO. La transizione tra catena pp e ciclo CNO avviene attorno alle1-2 M, in dipendenza anche dalla composizione chimica. Tale transizione e segnalata dalladiversa pendenza della relazione massa - temperatura centrale: per sostenere l’aumento di lu-minosita con la crescita della massa, stelle sorrette dalla catena pp (∝ T 4) devono aumentarela temperatura centrale molto piu rapidamente di quanto richiesto dalle stelle sorretta dalciclo CNO, dalla molto maggiore dipendenza dalla temperatura (∝ T 14).

Le masse minori, sorrette dalla catena pp, come conseguenza della bassa dipendenzadi tale catena dalla temperatura hanno nuclei in equilibrio radiativo, con l’occasionale e

Page 124: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

Fig. 5.8. A sinistra: distribuzione nel diagramma HR di strutture di sequenza principale per leindicate composizioni chimiche. Il punto lungo le sequenze segnala la collocazione dei modelli di 1M. E’ indicata una retta R= cost (logL ∝ 4logTe). A destra: andamento delle temperature centrali(in milioni di gradi) al variare della massa negli stessi modelli.

transitoria presenza di una limitata convezione da 3He (→ A5.3). La alta dipendenza dallatemperatura del ciclo CNO genera invece nuclei convettivi che aumentano all’aumentare dellamassa e, quindi, della temperatura centrale. Contemporaneamente, stelle a massa minore sicollocano a temperature effettive corrispondentemente minori, ove abbiamo visto debbanosvilupparsi inviluppi convettivi che devono scomparire alle alte temperature efficaci. Ne segueche -come indicato in figura- stelle della Sequenza Principale ”Inferiore” (SPI) o ”Superiore”(SPS) hanno strutture caratteristicamente speculari: nuclei radiativi ed inviluppi convettivile prime, nuclei convettivi e inviluppi radiativi le seconde. Differenze che si rifletterannonelle successive fasi evolutive. La convezione superficiale, presente a partire da logTe ∼4.0, a logTe ∼ 3.8 comincia ad interessare consistenti frazioni di massa stellare, affondandosempre di piu al diminuire della massa (e della temperatura efficace) sino a produrre permasse M≤ 0.3 M strutture totalmente convettive.

La Tabella 2 riporta alcune grandezze caratterizzanti strutture di sequenza principalecon composizione originale solare, Z=0.02, Y=0.27. Si nota come, in generale, al cresceredella massa decresca sensibilmente la densita centrale. Si puo comprendere il significato ditale comportamento ricorrendo alla condizione di equilibrio imposta dal viriale. Supponiamoinfatti di avere una fissata struttura stellare e di aumentarne (con un gedanken experiment) lamassa. La struttura ha due vie per ritrovare l’equilibrio: aumentare l’energia cinetica totale(aumentare la temperatura) o diminuire l’energia gravitazionale (espandere e diminuire ladensita). I dati in tabella mostrano che le strutture stellari sfruttano contemporaneamenteambedue i canali. La leggera deviazione da tale comportamento generale attorno 1 M e,forse, da porsi in connessione con la transizione tra i due tipi di combustione e la nascitadei nuclei convettivi. Se, aumentando la massa, aumenta la temperatura e diminuisce ladensita dobbiamo infine concluderne che all’aumentare della massa le strutture si allontananosempre piu dal rischio di degenerazione elettronica, accadimento che e la chiave di volta dallaquale dipenderanno le caratteristiche dell’evoluzione delle strutture nelle fasi successive allaSequenza Principale.

Page 125: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 5.9. La collocazione nel diagramma HR di Sequenze Principali con Z=0.001 e varie assunzionisull’abbondanza di idrogeno X. La linea a punti mostra il luogo di modelli di 1M al variare di X.

Tab. 1. Grandezze caratteristiche di alcune strutture di ZAMS per composizione chimica solare.Vengono riportati nell’ordine: la massa M in masse solari, luminosita e temperatura effettiva, raggioin raggi solari, temperatura Tc e densita centrale ρc, la massa del nucleo convettivo Mcc in massesolari, la frazione di massa del bordo inferiore della convezione esterna Mce e la frazione di energiaprodotta tramite la catena pp o il ciclo CNO. L’ultima colonna riporta infine il tempo, in anni, chele strutture trascorreranno nella fase di combustione centrale di H

M logL logTe R Tc ρc Mcc Mce Lpp LCNO tH

0.1 -3.06 3.450 0.12 4.69 402.5 compl. conv. 1.000 0.000 ∼1000 109

0.3 -1.98 3.534 0.29 7.69 100.7 compl. conv. 1.000 0.000 ∼500 109

0.6 -1.09 3.620 9.55 10.0 84.7 0.04 0.510 0.996 0.004 73 109

0.8 -0.59 3.694 0.70 11.7 79.2 0.06 0.741 0.980 0.020 23 109

1.0 -0.17 3.751 0.87 13.7 77.4 0.07 0.969 0.898 0.136 10 109

1.5 0.69 3.849 1.49 18.1 79.4 0.07 0.981 0.803 0.168 2.2 109

2.5 1.59 4.028 1.84 22.7 48.9 0.44 – 0.277 0.724 497 106

5.0 2.74 4.230 2.73 26.9 20.3 0.94 – 0.033 0.967 83 106

7.0 3.25 4.318 3.27 29.1 13.5 1.60 – 0.013 0.987 38 106

Per quel che riguarda le strutture di MS, la degenerazione elettronica comincia ad influiresolo nelle stelle al di sotto di 1 M, crescendo al diminuire della massa, sinche attorno a0.1 M giunge a bloccare la contrazione di presequenza e ad impedire cosı l’innesco dellacombustione dell’idrogeno. Strutture al di sotto di tale limite continueranno a raffreddaresotto forma di oggetti compatti sorretti dalla pressione di degenerazione, dissipando il caloreprodotto nella fase gravitativa. Se non troppo al di sotto della massa limite, a queste ”stellemancate” si da il nome di Nane Brune (Brown Dwarfs) ad indicare l’esistenza di sia purlimitate capacita radiative. Con masse ancora minori si entra nel campo dei pianeti gassosi,con analoga storia evolutiva. In tale contesto e da notare come nel nostro sistema planetarioGiove, MJ ∼ 10−3 M, emetta una quantita di energia maggiore di quella ricevuta dal Sole,una evidenza da porsi forse in relazione con una residua lenta contrazione.

La Fig. 5.8 mostra come al diminuire del contenuto di metalli e/o all’aumentare del con-tenuto di elio le sequenze principali si spostino verso maggiori temperature effettive, mentre

Page 126: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

Fig. 5.10. Andamento con la frazione di massa delle variabili fisiche e chimiche in un modellodi MS di 1.25 M, Z=0.001, Y=0.1. Le variabili sono normalizzate ai valori L=7.16 1033 erg/sec,P=2.05 1018 dyn/cm2, ρ =87.81, T=14.88 106 K, R=6.84 1011 cm, X3=6.37 10−4, X12=1.41 10−4,X14=2.41 10−4

a parita di massa le strutture risultano piu luminose. Questa ultima evidenza indica senzaambiguita un aumento delle temperature centrali, come peraltro verificabile nel riquadro de-stro della stessa figura. Notiamo subito che la dipendenza della collocazione nel diagrammaHR dal contenuto di elementi pesanti rende ragione della collocazione in tale diagrammadelle subnane di campo, le stelle povere di metalli che transitano nelle vicinanza del Sole (→Cap.1). L’aumento della luminosita lascia anche prevedere che al diminuire del contenuto dimetalli diminuisca anche la durata, a parita di massa, della fase di combustione di idrogeno.

La risposta delle strutture alle variazioni di elio puo essere compresa osservando che, aparita di densita, l’incremento della percentuale di elio diminuisce il numero di particelle: lastruttura deve contrarre e aumentare la sua temperatura per contrastare l’aumentata grav-itazione. Ogni volta che si aumenta il peso molecolare, troveremo strutture piu calde e piuluminose. La Fig. 5.10 riporta una estesa analisi della collocazione delle Sequenze Principalial variare del contenuto di elio. Spingendosi verso il limite X (abbondanza di idrogeno)→0 lesequenze coprono una vasta ma limitata fascia del diagramma H R, per balzare a temperatureefficaci notevolmente piu alte per X=0. Tale balzo e collegato alla variazione nel meccan-ismo di combustione che, all’esaurimento dell’idrogeno, deve passare dalla combustione ditale elemento alla combustione 3α, che richiede molto maggiori temperature centrali.

Si noti che se le stelle foseero oggetto di efficienti rimescolamenti interni evolverebberomantenendosi omogenee, accrescendo col tempo il loro contenuto di elio. La loro traccia evo-lutiva dovrebbe dunque seguire le linee a massa costante in Fig.5.9, spostandosi sulla sinistradella Sequenza Principale. Tale approccio topologico fornisce una semplice risposta ad undelicato problema: l’evidenza di rotazione delle strutture stellari puo lasciar sospettare chefenomeni di circolazione meridiana rimescolino la struttura, mantenendola omogene. La va-lutazione teorica dell’efficienza di tali rimescolamenti e collegata a non semplici valutazionisulla viscosita del gas stellare, e potrebbe apparire dubbia. La riposta osservativa e esplicita-mente e inconfutabilmente negativa, mostrando che l’evoluzione sposta le strutture non sullasinistra ma sulla destra della Sequenza Principale. Sara dunque l’evoluzione disomogenea a

Page 127: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

Fig. 5.11. Andamento schematico dell’abbondanza di idrogeno durante l’evoluzione di una strut-tura della SPI. I numeri segnalano nell’ordine la sequenza temporale.Le linee a tratti segnalano ilpassaggio alla combustione CNO.

dover rendere conto degli osservabili, cosa che fara con buon successo. Conviene peraltroancora una volta ricordare come l’incertezza sulla lunghezza di rimescolamento si traduca inuna indeterminazione sul valore della temperatura efficace in stelle con inviluppi convettivii cui effetti dovrano essere opportunamente valutati.

La fig. 5.10 riporta l’andamento delle variabili fisiche e di composizione in un modello diMS di 1.25 M. Si noti in particolare l’evidente presenza di un piccolo nucleo convettivo el’evoluzione dei diversi elementi chimici che intervengono nelle due combustioni pp e CNO.La caratteristica distribuzione dell’ 3He corrsiponde al fatto che nelle zone piu interne questoelemento ha ormai raggiunto la sua abbondanza di equilibrio (che cresce al diminuire dellatemperatura) mente nelle zone piu esterne non e stato ancora formato.

Qui come sempre nel seguito, occorre ricordare come la indeterminazione sulla lunghezzadi rimescolamento si traduca in una indeterminazione sui valori assoluti delle temperaturecon inviluppi convettivi (→ A6.1), indeterminazione che e necessario tenere in considerazioneogniqualvolta si proceda all’interpretazione di dati osservativi.

5.6. La Sequenza Principale e l’esaurimento dell’idrogeno

La struttura di ZAMS e il punto iniziale della lunga combustione centrale dell’idrogeno.In tutte le strutture, alla progressiva diminuzione dell’abbondanza di idrogeno nelle regionicentrali corrisponde automaticamente un continuo aumento di temperatura e densita cen-trali che si riflette in una lenta crescita della luminosita e un progressivo allontanamentodalla ZAMS. Stelle della Sequenza Principale Superiore (SPS) hanno nuclei convettivi neiquali l’idrogeno viene progressivamente sostituito dall’elio prodotto nelle combustioni. Poichel’opacita dell’elio e -a parita di condizioni fisiche- minore di quella dell’idrogeno, il gradienteradiativo tende a diminuire e conseguentemente l’estensione dei nuclei convettivi regrediscelentamente nel tempo.

L’esaurimento dell’idrogeno al centro segna la fine di questa lunga fase di SequenzaPrincipale, manifestandosi con caratteristiche singolarmente diverse per stelle della SPI oSPS, in dipendenza della presenza o meno di nuclei convettivi. In stelle della SPI, in as-senza di moti convettivi centrali l’idrogeno viene consumato in una zona relativamente largaattorno al centro della struttura e, in ogni punto di tale zona, in proporzione all’efficienzalocale delle combustioni pp. Ne segue un andamento temporale dell’abbondanza di idrogenodel tipo riportato nella figura 5.11. E’ facile comprendere come in tal caso l’esaurimento

Page 128: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

Fig. 5.12. Andamento schematico dell’abbondanza di idrogeno durante l’evoluzione di una strut-tura della SPS. I numeri segnalano nell’ordine la sequenza temporale.

dell’idrogeno non rappresenti un evento traumatico: il progressivo aumento di temperaturarendera piu efficienti le combustioni nelle zone ricche di idrogeno contornanti il centro e lacombustione si spostera con continuita dal centro ad una ampia shell contornante un nucleoessenzialmente composto solo da elio e dagli originari elementi pesanti.

E’ importante rilevare che la crescita delle temperature centrali favorisce l’efficienza delciclo CNO che poco dopo l’esaurimento dell’idrogeno centrale finisce col prendere defini-tivamente il sopravvento. A causa della forte dipendenza del CNO dalla temperatura, sirestringe fortemente la zona interessata dalle combustioni che finisce col presentarsi comeuna shell sottile che progredisce all’interno della stella erodendo il fondo della zona ancoraricca di idrogeno e separando bruscamente il nucleo di elio dalle zone piu esterne.

Nelle stelle di SPS la presenza del nucleo convettivo conduce invece a conseguenze pe-culiari. Anche se la zona di combustione e fortemente accentrata, il rimescolamento operatodalla convezione fa sı che l’idrogeno diminuisca omogeneamente in tutta la zona convettiva(Fig. 5.12). Ne consegue che all’esaurimento dell’idrogeno restano prive di combustibile nonsolo le zone ove era efficiente la combustione, ma anche una estesa regione circostante. Allospengersi delle combustioni la stuttura deve quindi reagire con una contrazione che avratermine solo quando la temperatura interna si sara innalzata sino a produrre una efficientecombustione di idrogeno negli strati circostanti il vecchio nucleo convettivo. Si noti ”in pass-ing” che al diminuire delle combustioni centrali diminuisce il relativo flusso, il gradienteradiativo crolla e sparisce l’instabilita convettiva.

La Fig. 5.13 riporta esempi del cammino evolutivo delle strutture durante la fase di MS,sino all’innesco della combustione di idrogeno in una shell. Il modello di 1 M mostra latipica evoluzione delle strutture di SPI: si allontana regolarmente dalla posizione di ZAMSraggiungendo un massimo della temperatura efficace (turn off della traccia) poco primadell’esaurimento dell’idrogeno centrale. Dopo l’esaurimento la traccia prosegue dirigendosisempre piu decisamente verso basse temperature efficaci nel mentre si instaura la combus-tione di idrogeno in una shell. I modelli di 1.25 e 1.5 M mostrano invece il tipico andamentodelle strutture di SPS. Poco prima dell’esaurimento parte la contrazione (tratto A-B in Fig5.13) solo al termine della quale l’idrogeno al centro viene definitivamente esaurito. Ci siattende dunque che stelle sufficientemente massicce presentino al termine della fase di com-bustione centrale di idrogeno (MS) una fase di contrazione gravitazionale, percorsa dunquecon tempi scala molto minori di quelli nucleari. In questa fase ci si attende quindi scarsa onulla presenza di oggetti stellari. Le osservazioni confermano puntualmente tale previsione:ammassi stellari sufficientemente giovani mostrano al termine della sequenza principale una

Page 129: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Fig. 5.13. Tracce evolutive nel diagramma HR di stelle per la composizione iniziale Y=0.30,Z=0.10. L’evoluzione e seguita a partire dal modello di ZAMS sino al massimo relativo di luminosita(C). I punti lungo le tracce indicano decrementi di idrogeno centrale pari a ∆X=0.1.

Fig. 5.14. Il diagramma CM (Colore-Magnitudine) per l’ammasso di vecchio disco M67 =NGC2682.

”gap” per mezzo della quale l’esistenza di un nucleo convettivo nelle strutture di SPS diventa-indirettamente- un osservabile (Fig. 5.14).

Ulteriori dettagli sulla fase di esaurimento dell’idrogeno sono riportati in A5.6. Prima diconcludere questo punto dobbiamo pero aggiungere che per masse al di sopra delle 10 M,la fase di esaurimento dell’idrogeno si complica per la presenza di un ulteriore fenomeno:l’energia emessa dai nuclei in contrazione si traduce in un flusso cosı grande che nelle regioniche circondano il nucleo il gradiente radiativo viene spinto a superare quello adiabatico e lezone diventano, almeno formalmente, convettive.

Abbiamo detto ”almeno formalmente” perche e adesso necessario osservare che nelladerivazione del criterio di Schwarzschild si era a suo tempo fatta l’implicita assunzione dimateria chimicamente omogenea. La zona che contorna il nucleo in contrazione presentainvece un gradiente di elio, la cui abbondanza va progressivamente crescendo verso l’internocome risultato della progressiva diminuzione delle dimensioni del nucleo convettivo original-mente presente nel modello di ZAMS.

L’esistenza di un tale gradiente di peso molecolare tende a stabilizzare la zona piu diquanto previsto dal criterio di Schwarzschild: al termine di uno spostamento adiabatico glielementi possono trovarsi piu caldi dell’ambiente circostante ed essere peraltro richiamati

Page 130: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

alla posizione originale perche intrinsecamente piu pesanti. Conseguentemente il criterio diSchwarzschild si trasforma nel Criterio di Ledoux secondo il quale per l’instabilita convettivasi richiede

∇rad ≥ ∇L = ∇ad +dlogµ

dlogP

E’ stato pero fatto notare che in una zona superadiabatica resa stabile del termine diLedoux un elemento richiamato alla sua posizione iniziale, a causa delle inevitabili perdite ra-diative vi tornerebbe piu freddo e quindi piu pesante dell’ambiente circostante, proseguendoquindi nel suo moto e dando origine ad una sia pur diversa forma di instabilita che porterebbein ogni caso al rimescolamento degli strati coinvolti. L’efficienza del rimescolamento in questezone e peraltro questione ancora dibattuta, talora affrontata nel quadro di teorie diffusive.Qui notiamo solo che nel caso dell’esaurimento dell’idrogeno in stelle massicce l’applicazione”sic et simpliciter” del criterio di Ledoux inibisce di fatto la formazione delle shell di con-vezione, con predizioni osservative che sembrano in molto migliore accordo con le osservazioni(→ A5,,,).

Resta infine da notare come la durata della fase di combustione centrale dell’idrogeno(MS) decresca rapidamente all’aumentare della massa (e della luminosita) della struttura:la precedente tabella 5.1 riporta alcuni valori di tale durata per stelle di metallicita solare.Stelle povere di metalli avranno durate leggermente piu lunghe, ma si puo in ogni modoconcludere che in ogni caso stelle con masse minori di ∼ 0.8 M hanno vite di MS mag-giori dell’eta stimata per l’Universo (∼ 1010 anni). Tali strutture devono quindi in ogni casoessere ancora presenti in cielo, portando testimonianza di tutte le generazioni stellari chesi sono succedute nella nostra come nelle altre galassie. Si ricava anche che il nostro Sole,con circa 4 miliardi di anni di vita, si trova nel pieno della sua fase di MS, ancora essen-zialmente sorretto dalla combustione pp. Il confronto delle strutture solari teoriche con idati sperimentali dell’eliosismologia ha posto in luce la probabile efficienza di meccanismidi diffusione microscopica che, con scale temporali dell’ordine di miliardi di anni, induconoleggere modificazioni alla distribuzione degli elementi chimici all’interno delle strutture stel-lari, interessando quindi solo l’evoluzione di stelle con massa suffientemente piccola e tempievolutivi corrispondentemente lunghi (→ ..).

Page 131: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Approfondimenti

A5.1. Modelli politropici. Equazione di Lane Emden.

Ogniqualvolta sia possibile stabilire una relazione ”politropica” del tipo

P = Kργ = Kρ(n+1)/n

le equazioni di equilibrio si riducano conducano a modelli ”politropici”, dalle gia discusse carat-teristiche. Gli indici che corrispondono alle due diverse formulazioni della relazione tra pressione edensita prendono rispettivamente il nome di esponente della politropica (γ) o di indice della politrop-ica (n). Tra le molte possibili origini di un comportamento politropico ricordiamo:

1. Gradiente adiabatico di gas perfetto monoatomico γ = 5/3, n= 1.5

2. Gas isotermo γ = 1, n= ∞3. Pgas /Ptot=β=cost, γ = 4/3, n= 3

4. Degenerazione non relativistica γ = 5/3, n= 1.5

5. Degenerazione relativistica γ= 4/3, n= 1.5

In tutti i casi, derivando rispetto a r l’eguaglianza dell’equilibrio idrostatico, e sostituendodMr/dr tramite la relazione di conservazione della massa si ottiene

d

dr(r2

ρ

dP

dr) = −G

dMr

dr= −G4πr2ρ

da cui

1

r2

d

dr(r2

ρ

dP

dr) = −4πGρ

esprimendo P attraverso la relazione politropica e operando le sostituzioni

ρ = ρcθn

r = ξ/A dove A =4πG

(n + 1)Kρ

n−1n

c

si giunge all’equazione di Lane Emden

1

ξ2

d

dξ(ξ2 dθ

dξ) = −θn

da integrarsi con le condizioni θ = 1 e dθ /dξ = 0 per ξ =0. L’equazione di Lane Emden ammetteper alcuni valori di n anche soluzioni analitiche.

Abbiamo gia ondicato come nel caso adiabatico K rappresenti un parametro libero cui cor-rispondono ∞1 strurrure convettive. Diverso e il caso di strutture degeneri, ove K e una costantefissata dalla teoria della gas degenere. In tal caso si ha quindi una soluzione unica, e ogni ρc fissamassa e raggio della struttura, accadimento che mostra come il raggio di una struttura degenerenon dipenda dal suo contenuto termico e dal quale vedremo discendere l’esistenza di una massalimite per nane bianche e stelle di neutroni.

Page 132: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Fig. 5.15. Reazioni di cattura protonica per gli elementi leggeri.

A5.2. La combustione degli elementi leggeri

Le combustioni di elementi leggeri nel corpo delle varie catene pp e il ruolo di elementi secondarigiocato da tali elementi mostra senza ambiguita che le catture protoniche su D, Li, Be e B precedonola combustione dell’idrogeno in deuterio. La Fig. 5.15 riporta i principali canali di combustione, coni due canali del 9Be in concorrenza 1:1. Stante la scarsa abbondanza di tali elementi nella mate-ria interstellare e lecito trascurare il contributo energetico alla storia evolutiva di una strutturastellare; al piu ci si attende che il deuterio, di gran lunga il piu abbondante, produca un rallenta-mento nell’evoluzione di presequenza. peraltro trascurabile a fronte dei successivi tempi evolutivi.Marginale anche il contributo dei prodotti di reazione, 3He e 4He, alla originaria composizionechimica di una struttura.

L’interesse di queste combustioni risiede principalmente nel fatto che esse consentono di sondarela storia degli eventuali inviluppi convettivi di una struttura stellare. Maggiori infatti le profonditaraggiunte da un inviluppo convettivo, maggiori sono le temperature alla base della zona convettivacui vengono esposti gli elementi nel continuo rimescolamento. Poiche le sezioni d’urto scalano conla repulsione coulombiana, ci si attende quindi che al crescere di tali temperature scompaianonell’ordine dalla atmosfera D, Li, Be, B. Per quel che riguarda le strutture di MS, ci si attende dunqueche tali elementi scompaiano, nell’ordine, al diminuire della massa stellare e al conseguente cresceredegli inviluppi convettivi. Tale previsione e in linea generale confermata dalle osservazioni, anche see bene precisare che i calcoli dettagliati mostrano che le combustioni avvengono principalmente nelcorpo delle strutture di presequenza. Il problema di una corretta previsione delle abbondanze deglielementi leggeri nelle atmosfere stellari e peraltro ancora aperto e oggetto di indagini.

A5.3. La convezione centrale da 3He.

E’ istruttivo seguire nei dettagli l’evoluzione dell’ 3He nelle fasi di approccio alla MS di una stella dipiccola massa al fine di comprendere come tale evoluzione governi la nascita di un nucleo convettivoe la sua successiva sparizione. Assumendo un’abbondanza iniziale di 3He tracurabile, la produzionedi tale elemento sara proporzionale alla temperatura e, quindi, in una fase iniziale la distribuzione di3He avra un massimo al centro della struttura. Poiche la presenza di 3He favorisce il completamentodella catena pp, la produzione di energia si concentra anch’essa verso il centro, aumenta il flusso dienergia e -stanti l’espressione del gradiente radiativo ed il criterio di Schwarzschild- la zona centralediventa convettiva,

Al procedere della combustione l’3He raggiunge pero il suo valore di equilibrio, prima al cen-tro e progressivamente nella zone circostanti (Fig.5.16). Poiche l’abbondanza di equilibrio e tantomaggiore quanto minore la temperatura, la distribuzione dell’3He tendera ad assumere una carat-teristica distribuzione a shell, con l’effetto incrementare l’efficienza della catena nelle zone esterne al

Page 133: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

Fig. 5.16. La variazione col tempo e con la frazione di massa dell’abbondanza di 3He (lineecontinue)in una stella di 0.6 M, Y=0.10, Z=10−3. Lungo le varie curve sono riportate le eta deimodelli in anni. La curva a tratto e punto riporta la distribuzione di 3He al manifestarsi dell’episodioconvettivo (t= 2.7 107 anni). Le curve a tratti riportano l’andamento della luminosita alla massimaestensione del nucleo convettivo (a) e per t= 2.5 109 anni.

nucleo convettivo, ridistribuendo la generazione di energia e finendo cosı con l’inibire la convezionefino a farla scomparire.

A causa di tale meccanismo le stelle di piccola massa sperimentano nelle fasi di approccio enelle fasi iniziali di MS un episodio di convezione centrale, la cui limitata estensione, nella strutturacome nel tempo, ha effetti trascurabili sulla successiva storia evolutiva della struttura.

A5.4. Eliosismologia, diffusione e Modello Solare Standard.

Negli anni ’60 del XX secolo si era scoperto, con una qualche sorpresa, che la superficie del Solerisultava soggetta a moti oscillatori. Dopo quasi un decennio si comprese, almeno in linea di princi-pio, l’origine di tale fenomeno: il Sole una massa gassosa , e quindi fluida, mantenuta in equilibriodalla sua stessa forza di gravita (struttura autogravitante). Tale struttura, se sollecitata, puo per-altro oscillare attorno alla sua configurazione di equilibrio, ed appunto questo quello che avviene.L’origine della sollecitazione va ricercata nei moti convettivi alla superficie del Sole, in grado ditrasferire energia meccanica all’intera struttura. Ricorrendo ad un’immagine molto usata, si puoriguardare al Sole come ad una campana o un gong che risuona sotto le sollecitazioni dei moticonvettivi. Sarebbe peraltro pi corretto ricorrere ad immagini quali quelle di una massa gelatinosaposta in vibrazione.

La struttura solare risponde alle sollecitazioni con una enorme quantita di possibili oscillazionicollegate alla propagazione di onde acustiche che attraversano tutta la struttura. In particolare siinstaurano onde stazionarie, con milioni di modi di oscillazione contraddistinti dai numeri quanticin, l, m delle relative armoniche sferiche. A fianco di tali onde acustiche (modi ”p”) esistono ancheonde di gravita (modi ”g” e ”f”). In analogia con quanto ottenuto dalle indagini sismiche sullastruttura dell’interno della terra, la rivelazione e lo studio di tali onde ha consentito di ottenereimportantissime informazioni sulla struttura interna del Sole, aprendo cos un inatteso ed insperatocampo di studio: l’eliosismologia. Campo che richiede peraltro misure di estrema delicatezza, ovesi consideri che l’ampiezza tipica delle oscillazioni dell’ordine di solo 0.1 m/sec e la rivelazione ditali velocita tramite l’effetto Doppler sulle righe di assorbimento della radiazione solare richiededi riuscire a valutare spostamenti Doppler dell’ordine di un milionesimo della larghezza intrinsecadelle righe stesse.

Page 134: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

Fig. 5.17. Confronto dell’andamento di P/ρ del SSM con i risultati eliosismologici .

L’eliosismologia si andata sviluppando solo in tempi relativamente recenti. Nei primi anni’90 diventava ad esempio operativo il programma GONG (Global Oscillation Network Group)destinato a tenere sotto continua osservazione il Sole grazie a sei stazioni di osservazione dis-tribuite regolarmente in longitudine. Nel 1995 veniva inoltre lanciato il satellite SOHO (SOlarand Heliospheric Observatory), una collaborazione ESA/NASA dedicata all’osservazione continuadel Sole dallo spazio. La disponibilita di informazioni sperimentali sull’interno della struttura solareha stimolato un rilevante progresso nella nostra capacita di produrre accurate previsioni teorichesulla struttura ed evoluzione non solo del Sole ma anche delle altre stelle. L’affidabilita dei ”mod-elli stellari”, come sviluppatisi negli ultimi decenni del XX secolo anche grazie alla disponibilita dimoderni e veloci calcolatori elettronici, dipende infatti criticamente dalla accuratezza con cui vienedescritto il comportamento della materia e della radiazione in condizioni stellari.

Nel caso del Sole, la possibilita di confrontare le predizioni dei modelli con i dati eliosismologiciha stimolato un grande progresso in tali valutazioni, ponendo inoltre in luce l’efficienza nel Sole dimeccanismi di diffusione che erano in prededenza generalmente trascurati nei calcoli evolutivi. Alivello microscopico per ogni specie ionica ”i” si puo definire una velocita di migrazione

vi =T 5/2

ρξi

con

ξi = ATdlogT

dr+ AP

dlogP

dr+ AC

dlogCi

dr

Siamo in presenza dunque di un effetto di sedimentazione gravitazionale (dlogP) cui si aggiun-gono effetti di temperatura e di concentrazione, quest’ultimo in genere di minore efficienza.

La considerazione di processi di diffusione si e rivelata un ingrediente fondamentale per giun-gere a produrre modelli solari che siano in buon accordo non solo con le caratteristiche radia-tive del Sole (Luminosita e Temperature efficace) ma anche con le caratteristiche strutturali rive-late dall’eliosismologia. Tali modelli (Standard Solar Model=SSM) venivano originalmente prodottirichiedendo che una struttura di 1 M con la composizione chimica originale della attuale atmosferasolare raggiunga dopo 4.5 miliardi di anni le caratteristiche del Sole. La condizione sull’eta provienedalle stime sull’eta del sistema solare ricavate dagli elementi radioattivi contenuti nei meteoriti.

In tali procedure i modelli contengono due parametri liberi, la lunghezza di rimescolamento cheregola l’efficienza della convezione superadiabatica e il contenuto originale di elio, non direttamentericavabile dallo spetro del Sole perche le righe dellelio nel suo stato fondamentale cadono nell’estremoultravioletto. La lunghezza di rimesolamento governa il raggio della struttura, mentre il contenutodi elio ne regola la luminosita, cosı che la richiesta di riprodurre il Sole attuale corrispondeva aduna calibrazione di tali due quantita.

Page 135: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

22

Tab. 2. Distribuzione di alcune grandezze fisiche lungo il Modello Standard con diffudione micro-scopica

Mr/M R/Rtot logP logT logρ L/Lsup εN ∇rad ∇ad

1.06E-07 6.91E-04 17.366 7.195 2.181 9.49E-07 1.71E+01 3.32E-01 0.3974.12E-03 3.43E-02 17.332 7.184 2.141 3.45E-02 1.54E+01 3.31E-01 0.3974.20E-02 7.92E-02 17.208 7.143 2.014 2.83E-01 1.06E+01 3.26E-01 0.3978.88E-02 1.07E-01 17.100 7.109 1.914 5.01E-01 7.40E+00 3.19E-01 0.3971.86E-01 1.48E-01 16.912 7.050 1.756 7.68E-01 3.63E+00 3.00E-01 0.3972.71E-01 1.78E-01 16.758 7.006 1.637 8.87E-01 1.93E+00 2.80E-01 0.3973.46E-01 2.04E-01 16.619 6.968 1.530 9.43E-01 1.05E+00 2.62E-01 0.3974.46E-01 2.37E-01 16.423 6.919 1.380 9.80E-01 4.52E-01 2.41E-01 0.3975.23E-01 2.65E-01 16.255 6.880 1.250 9.94E-01 2.21E-01 2.27E-01 0.3975.79E-01 2.87E-01 16.122 6.850 1.146 9.98E-01 8.72E-02 2.18E-01 0.3976.45E-01 3.16E-01 15.944 6.812 1.005 1.00E+00 2.84E-02 2.09E-01 0.3977.06E-01 3.46E-01 15.758 6.774 0.857 1.00E+00 1.21E-02 2.02E-01 0.3977.39E-01 3.65E-01 15.642 6.751 0.764 1.00E+00 7.21E-03 1.98E-01 0.3977.79E-01 3.91E-01 15.484 6.720 0.637 1.00E+00 3.57E-03 1.95E-01 0.3978.12E-01 4.17E-01 15.334 6.691 0.516 1.00E+00 1.82E-03 1.93E-01 0.3978.45E-01 4.47E-01 15.159 6.657 0.374 1.00E+00 8.19E-04 1.91E-01 0.3978.73E-01 4.77E-01 14.984 6.624 0.232 1.00E+00 3.66E-04 1.91E-01 0.3978.90E-01 4.99E-01 14.865 6.601 0.135 1.00E+00 2.09E-04 1.92E-01 0.3979.07E-01 5.24E-01 14.729 6.575 0.026 1.00E+00 1.10E-04 1.93E-01 0.3979.23E-01 5.53E-01 14.572 6.544 -0.101 1.00E+00 5.11E-05 1.97E-01 0.3979.40E-01 5.89E-01 14.383 6.506 -0.252 1.00E+00 1.98E-05 2.06E-01 0.3979.50E-01 6.15E-01 14.250 6.478 -0.358 1.00E+00 9.84E-06 2.16E-01 0.3979.58E-01 6.40E-01 14.120 6.449 -0.459 1.00E+00 4.80E-06 2.33E-01 0.3969.66E-01 6.70E-01 13.968 6.411 -0.574 1.00E+00 1.93E-06 2.70E-01 0.3969.74E-01 7.05E-01 13.785 6.356 -0.705 1.00E+00 5.54E-07 3.50E-01 0.3969.79E-01 7.30E-01 13.655 6.306 -0.787 1.00E+00 1.83E-07 5.10E-01 0.3969.83E-01 7.53E-01 13.520 6.252 -0.868 1.00E+00 5.38E-08 7.71E-01 0.3969.88E-01 7.81E-01 13.352 6.186 -0.969 1.00E+00 1.10E-08 1.25E+00 0.3969.91E-01 8.09E-01 13.158 6.109 -1.085 1.00E+00 1.61E-09 2.14E+00 0.3969.93E-01 8.28E-01 13.023 6.055 -1.167 1.00E+00 3.94E-10 3.05E+00 0.3969.95E-01 8.46E-01 12.873 5.996 -1.257 1.00E+00 0.00E+00 4.54E+00 0.3969.96E-01 8.66E-01 12.696 5.926 -1.363 1.00E+00 0.00E+00 7.33E+00 0.3969.97E-01 8.79E-01 12.563 5.873 -1.443 1.00E+00 0.00E+00 1.06E+01 0.3959.98E-01 8.95E-01 12.382 5.802 -1.551 1.00E+00 0.00E+00 1.77E+01 0.3959.99E-01 9.06E-01 12.248 5.749 -1.632 1.00E+00 0.00E+00 2.58E+01 0.3949.99E-01 9.26E-01 11.936 5.626 -1.819 1.00E+00 0.00E+00 6.59E+01 0.3929.99E-01 9.35E-01 11.778 5.564 -1.913 1.00E+00 0.00E+00 1.12E+02 0.3911.00E+00 9.43E-01 11.613 5.500 -2.013 1.00E+00 0.00E+00 2.03E+02 0.3891.00E+00 9.50E-01 11.458 5.440 -2.105 1.00E+00 0.00E+00 3.70E+02 0.3871.00E+00 9.55E-01 11.312 5.383 -2.194 1.00E+00 0.00E+00 6.73E+02 0.384

Le strutture cosı calcolate risultano peraltro in grave disaccordo con i dati eliosismologici cheforniscono, ad esempio, il velore di P/ρ lungo tutta la struttura. L’introduzione di meccanismidi diffusione complica ovviamente le procedure, perche si deve anche ricavare una composizionechimica originale che, tenendo conto della diffusione atmosferica, produca infine il valore di Z/Xricavato dagli spettri del Sole attuale. Come risultato di tale introduzione le valutazioni teorichehanno raggiunto un insperato grado di affidabilita, come mostrato nella Figura 5.17, che mostral’eccellente accordo del rapporto tra pressione e densit (P/ρ) all’interno del Sole, come ricavato

Page 136: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

23

Fig. 5.18. Traccia evolutiva di un Modello Solare Standard.

dall’eliosismologia, con le previsioni del modello teorico solare. Grazie anche a tali verifiche speri-mentali, siamo oggi in grado di valutare con ragionevole precisione le storia evolutiva delle stelle,in generale, ed in particolare quella del nostro Sole. La Figura 5 riassume schematicamente quantooggi sappiamo non solo sulla storia passata del nostro astro, ma anche sulla sua prevista evoluzionenei prossimi 5 miliardi di anni.

A5.5. Neutrini Solari

I neutrini solari hanno rappresentato un rilevante problema giunto a soluzione giusto nei primi anni2000. I termini di tale problematica erano stati posti a partire dai precedenti anni ’60, quandoR. Davis installo in una miniera di Homestake, nel Dakota, ad una profondita di 1500 metri, uncontenitore con 400 000 litri di tetracloroetilene al fine di rivelare i neutrini prodotti dalle reazioni difusione nucleare che, trasformando idrogeno in elio, riforniscono il Sole di energia. Una valutazionedel numero di neutrini emessi dal Sole e di grande semplicita. In ogni reazione di fusione 4 protonivanno a formare un nucleo di elio con due protoni e due neutroni, e ad ogni formazione di un neutronecorrisponde l’emissione di un neutrino. Quindi ad ogni reazione di fusione corrisponde l’emissionedi due neutrini. Il numero di reazioni che avvengono in un secondo e subito ricavabile dall’energialuminosa emessa dal Sole in quell’intervallo di tempo (3.9 1033 erg) divisa per l’energia prodottanella formazione di un nucleo di elio (circa 25 MeV = 4 10−5 erg). Ne risulta una produzione dicirca 1038 neutrini al secondo e un flusso, alla distanza della terra, dell’ordine di 1011 neutrini percm2 e per secondo.

I neutrini solari rivestono una grande importanza perche, prodotti nelle regioni centrali dellastella, sfuggono direttamente nello spazio senza in pratica interagire con la materia solare. Essiportano quindi informazioni direttamente dalle regioni di produzione, nel centro della nostra stella.Con i fotoni dunque vediamo la superficie del Sole, con i neutrini ”vediamo” le sue parti centrali.Per comprendere l’evoluzione della problematica sui neutrini solari, dobbiamo peraltro ricordarecome alla fusione dell’idrogeno concorrano numerose reazioni che producono neutrini elettronici divaria energia (Fig. 5.19 ) . Le pi importanti risultano:

p + p→ D + νe Eν = 0.42Mev

7Be + e− →7 Li + νe Eν = 0.86Mev

8B →8 Be + e+ + νe Eν = 14.06Mev

ove per ogni reazione riportata l’energia massima posseduta dai neutrini prodotti.

Page 137: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

24

Fig. 5.19. Lo spettro dei neutrini solari predetto dal Modello Solare Standard. Le frecce riportanola soglia dei vari esperimenti di rivelazione.

L’esperienza di Davis rivelava i neutrini tramite la reazione νe+37Cl →37 Ar+e− e la successivarivelazione del decadimento del nucleo di 37Ar cosı prodotto. La reazione ha peraltro una sogliapari a 0.81 Mev, talche l’esperimento poteva in linea di principio rivelare solo i neutrini provenientidalle reazioni del boro (B) e del berillio (Be). Sorprendentemente i neutrini rivelati risultarono solotra 1/2 e 1/3 di quelli previsti dalla teoria.

Tale evidenza sperimentale si apriva a due interpretazioni alternative. Poteva infatti indicareche i modelli teorici non valutavano correttamente il contributo delle diverse reazioni all’emissionedei neutrini, fermo restando il numero totale di neutrini emessi. Ne seguirono vari ma vani tentatividi abbassare le temperature centrali del Sole, spostando cosı le reazioni verso la catena ppI i cuineutrini non erano rivelabili. Ma, alternativamente, sin dal 1962 Bruno Pontecorvo (1913-1993)aveva avanzato l’ipotesi secondo la quale i neutrini emessi dal Sole, di tipo elettronico, si sarebberotrasformati in volo in uno degli altri due tipi di neutrino (muonico e tauonico), perdendo cosı lacapacita di interagire col Cloro. Ipotesi affascinante perche implicherebbe che il neutrino abbia unamassa, contrariamente alle previsioni dei piu semplici e accettati modelli di tali particelle, aprendola strada ad una nuova fisica.

Il problema dei neutrini solari ha stimolato nel tempo una serie di importanti imprese sperimen-tali. Nel 1987 l’esperimento giapponese Kamiokande misurava i neutrini del B utilizzando processidi scattering elettronico, parzialmente sensibili anche alla presenza di neutrini non elettronici, con-fermando il deficit di neutrini. Assumendo come validi i dati sperimentali, era peraltro gia possibilericavare che i risultati dei due esperimenti erano incompatibili con neutrini canonici. La Fig 5.20mostra l’interpretazione dei dati sperimentali nel piano dei flussi neutrinici rispettivamente di B eBe. Kamiokande, sensibile solo ai neutrini del B, fissa il flusso di tali neutrini indipendentementeda ulteriori assunzioni. Il segnale di Homestake fornisce invece una relazione tra i due flussi a sec-onda che sia interpretato come prodotto solo da neutrini del B, solo da neutrini del Be o da unamescolanza dei due. La figura mostra che, in ipotesi di neutrini canonici, il flusso del B misuratoda Kamiokande dovrebbe, da solo, produrre in Homestake un segnale piu alto di quanto osservato.Una contraddizione sanabile solo ammettendo o un errore nei dati sperimentali.

Un ulteriore chiarimento. e un supporto ai dati dei precedenti esperimenti, veniva dai risul-tati dell’esperimento Gallex (Gallium Experiment) condotto a partire dal 1996 nei LaboratoriSotterranei dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) al Gran Sasso, e dal contempora-neo esperimento SAGE (Soviet-American Gallium Experiment) in un laboratorio sotterraneo nellemontagne del Caucaso. La soglia della reazione utilizzata da ambedue questi esperimenti per rivelarei neutrini

νe +71 Ga→71 Ge + νe

Page 138: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

25

Fig. 5.20. Le condizioni imposte dagli esperimenti di Homestake e Kamiokande ai flussi di neutrinidel Be e B.

era sufficientemente bassa per rivelare neutrini provenienti da tutte le reazioni supposte esistentinel Sole. Il deficit di neutrini riscontrato anche in questi esperimenti, interpretabile ancora sullafalsariga dello scenario di Fig.5.20, puntava decisamente in direzione delle oscillazioni del neutrino.La soluzione definitiva del problema venuta solo nel 2001, con l’esperimento di Sudbury che utilizzal’interazione tra neutrino e deuterio per studiare contemporaneamente la presenza sia di neutrinielettronici che di altro tipo. Le due reazioni utilizzate sono:

νe + D → p + p + e−

ν + D → p + n + ν

Anche dal confronto con i risultati degli esperimenti precedenti, se ne tratta la chiara e definitivaevidenza per un flusso dei neutrini in pieno accordo con le previsioni teoriche e la contemporaneaevidenza per l’oscillazione dei neutrini elettronici in neutrini di altro tipo, aprendo cosı la stradaad un nuovo capitolo della fisica fondamentale.

A5.6. La fase di esaurimento dell’idrogeno.

Le strutture della SPI, caratterizzate lungo la fase di MS da nuclei in equilibrio radiativo, attraver-sano la fase di esaurimento dell’idrogeno al centro mantenendo una regolare continuita evolutiva. LaFig. 5.21 mostra la distribuzione degli elementi chimici in una struttura di 1 M in due momenti,l’uno precedente e l’altro successivo all’esaurimento dell’idrogeno. La distribuzione dell’idrogenonella struttura che precede l’esaurimento e conseguenza di una combustione pp che e giunta adinteressare circa meta della massa stellare. La scarsa efficienza del ciclo CNO e dimostrata dalladistribuzione dell’16O, che ha iniziato a muoversi verso la sua composizione di equilibrio solo nelleregioni piu centrali. Si nota peraltro che il 12C si e ormai portato all’equilibrio con l’14N in granparte della zona di combustione.

Nella struttura successiva all’esaurimento si e ormai formato un piccolo nucleo di elio. La com-bustione e ancora largamente sorretta dalla catena pp, come mostrato dalle dimensioni della zonain cui l’idrogeno e diminuito. La combustione CNO sta pero guadagnando efficienza, come mostratodall’16O la cui abboondanza nelle regioni centrali e crollata ai valori di equilibrio. Si puo infinenotare come la shell dell’ 3He si sposti verso l’esterno, come conseguenza del combinato effetto delladiminuzione dei valori di equilibrio dovuta all’aumento di temperatura nella porzione piu internadella shell, e della proseguita produzione di tale elemento nella porzione piu esterna.

Page 139: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

26

Fig. 5.21. Distribuzione delle concentrazioni in massa degli elementi primari o pseudoprimariall’interno di una struttura di 1 M prima (linee continue) e dopo (linee a punti) l’esaurimentodell’idrogeno centrale. Tutte le grandezze sono normalizzate al loro valore massimo.

Fig. 5.22. Andamento temporale di variabili fisiche di struttura e dell’abbondanza centrale di Hdurante la fase di contrazione all’esaurimeno di H centrale.Il tempo t e in miliardi di anni.

I dettagli dell’evoluzione di una struttura di SPS attraverso la fase di esaurimento dell’idrogenosono piu complessi. Il passaggio dalla combustione centrale a quella a shell, sovente indicato inletteratura come fase di overall contraction, avviene in realta con una certa continuita, grazie an-che all’intervento nella fase cruciale dell’energia gravitazionale. La Fig. 5.22 mostra l’andamentotemporale di alcune variabili di struttura nella stella di 1.25 M di Fig 5.13. La contrazione hainizio quando al centro Xc ∼ 0.05 (punto A in figura) con un aumento di temperatura e densitacentrali che tendono a mantenere efficiente la combustione CNO dello scarso H ancora presente,mentre la generazione di energia gravitazionale resta ben al di sotto di quella nucleare. Nel con-tempo aumentano anche le temperatura ai margini del nucleo convettivo ove iniziano a divenire siapur debolmente efficienti reazioni di combustione.

L’esaurimento dell’idrogeno e segnalato dalla contemporanea scomparsa del nucleo convettivo:in questo momento la contrazione gioca il suo ruolo di stabilizzazione, fornendo un’energia paria quella generata nuclearmente. La temperatura centrale crolla perche il nucleo ormai privo disorgenti di energia deve tendere all’isotermia, portandosi alla temperatura delle combustioni chelo circondano, mentre cresce corrispondentemente la densita centrale. Al termine di questa ultimae rapida fase, la struttura si e stabilizzata nella combustione a shell. E’ importante notare che,contrariamente a quanto talora ritenuto, la fase di rapida evoluzione (e quindi la ”gap” osservativa)

Page 140: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

27

Fig. 5.23. Andamento temporale della temperatura efficace in modelli di 20 M, composizionechimica solare, all’esaurimento dell’idrogeno centrale, calcolati adottando alternativamente il criteriodi Ledoux (L) o quello di Schwarzschild (S).

Fig. 5.24. Diagramma CM dell’ammasso giovane globulare della Grande Nube di MagellanoNGC2004. La linea mostra la traccia evolutiva di una stella di 16 M calcolata adottando il criteriodi Ledoux.

non necessariamente coincide con la fase di temperature efficaci crescenti (tratto A-B in Fig. 5.13),potendosi estendere anche alle fasi successive, come facilmente deducibile dai dati di Fig. 5.22.

Passando al caso delle shell di convezione in stelle massicce, l’alternativa applicazione dei cri-teri di Schwarzschild o di Ledoux porta, come abbiamo indicato, all’esistenza o meno dell’ insta-bilita, con macroscopiche conseguenze sulle caratteristiche evolutive. La Fig. 5.23 riporta ad esempiol’andamento temporale della temperatura efficace in una stella di 20 M valutato sotto le due al-ternative ipotesi. Assumendo il criterio de Ledoux all’esaurimento dell’idrogeno la stella si spostabruscamente nella zona delle giganti rosse, ove proseguira la sua vita innescando la combustionedell’elio. Dal criterio di Schwarschild si ricaverebbe invece che la stella si sposta lentamente dalla suaposizione di MS, innescando l’elio avendo ancora un temperatura efficace di ∼ 10000 K. a Fig. 5.24mostra che ammassi globulari giovani nella Grande Nube di Magellano (LMC= Large MagellanicCloud) presentano un gruppo ben separato di giganti rosse, mostrando cosı che il criterio di Ledouxproduce, perlomeno, modelli stellari molto piu vicini alla realta delle cose.

Page 141: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

28

Origine delle Figure

Fig.5.1 Cameron A.G.W. 1971, in ”Structure and Evolution of the Galaxy”, ReidelFig.5.2 Ezer D., Cameron A.G.W. 1965, Canad. J. Phys. 49, 1497.Fig.5.3 Iben I.Jr. 1965, ApJ 141, 993Fig.5.4 Iben I.Jr. 1965, ApJ 141, 993Fig.5.5 Caloi V., Castellani V., Firmani C., Renzini A. 1968, Mem. SAIt 39, 409Fig.5.6 Caputo F., Castellani V., D’Antona F. 1974, Astrophys. Space Sci. 28, 303Fig.5.7 Caputo F., Castellani V., D’Antona F. 1974, Astrophys. Space Sci. 28, 303Fig.5.8 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.5.9 Caloi V., Castellani V. 1975, Astrophys. Space Sci. 39, 335Fig.5.10 Castellani V., Renzini A. 1968, Astrophys. Space Sci. 2, 83Fig.5.11 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.5.12 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.5.13 Caloi V., Castellani V., Di Paolo N. 1974, A&A 30, 349Fig.5.14 Montgomery K.A., Marschall L.A., Janes K.A. 1993, AJ 106, 181Fig.5.16 Caloi V., Castellani V., Firmani C., Renzini A. 1968, Mem. SAIt 39, 409Fig.5.17 Degl’Innocenti S., Dziembowski W.A., Fiorentini G., Ricci B. 1997, Astroparticle Phys. 7, 77Fig.5.18 Castellani V., 2002, Lezioni Galileiane X, 423, Museo della Scienza, FirenzeFig.5.20 Castellani V., Degl’Innocenti S., Fiorentini G., Lissia M., Ricci B. 1997, Phys. Reports 281, 566Fig.5.21 Castellani V., Giannone P., Renzini A. 1971, Mem. SAIt 42, 73Fig.5.21 Tornambe A. 1980, Tesi di Laure, Universita ”La Sapienza”.Fig.5.21 Bencivenni D., Brocato E., Buonanno R., Castellani V. 1991, AJ 102, 137Fig.5.21 Brocato E., Castellani V. 1993, ApJ 410,99

Page 142: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 6

Combustione dell’idrogeno in shell

6.1. Il Limite di Schoenberg Chandrasekhar. Gap di Hertsprung

Le caratteristiche evolutivo-strutturali di una stella che si inoltra nella fase di combustione diH in una shell risultano regolate da una serie di ricorrenze che accomunano tutte le strutture.L’instaurarsi della combustione a shell e infatti sempre seguita da una espansione degli stratiesterni mentre la luminosita si mantiene approssimativamente costante. Diminuisce quindila temperatura efficace e gli strati esterni alla shell diventano rapidamente e sempre piuconsistentemente convettivi. La stella si porta conseguentemente verso la sua traccia diHayashi raggiungendo l’isoconvettiva corrispondente ad un inviluppo totalmente convettivo,seguendo infine l’isoconvettiva medesima con un progressivo aumento di luminosita sinchela shell d idrogeno resta l’unico sorgente efficiente di energia nucleare (Fig. 6.1). E’ questoil primo apparire di una regola generale; combustioni centrali collocano i modelli verso altetemperature efficaci, combustioni a shell riportano i modelli verso le rispettive tracce diHayashi.

Fig. 6.1. Tracce evolutive nel diagramma HR per stelle di Pop.I di varie masse. Il punto 6 ndicail terrmine della combustione di H in shell e l’innesco della combustione dell’elio.

1

Page 143: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

Tab. 1. Tempi evolutivi (milioni di anni) per le due strutture di 3 e 5 M alle fasi riportate in Fig.6.1

Fase 2 3 5 6 9

3 Modot 227 239 249 253 3265 Modot 65.5 68.2 70.3 70.8 87.8

Fig. 6.2. Diagramma CM per l’ammasso giovane di disco NGC7789.

Al progredire della combustione l’idrogeno che circonda il nucleo inerte di elio vienetrasformato anch’esso in elio. Il nucleo aumenta quindi con continuita la propria massamentre la shell di combustione interesssa progressivamente strati sempre piu esterni. In ognicaso la combustione e ormai dominata dal ciclo CNO. Causa l’assenza di sorgenti di energia,il nucleo di elio tende inizialmente verso una struttura isoterma, reagendo poi alla continuasua crescita in massa con una contrazione e conseguente riscaldamento che condurra infineall’innesco delle reazioni dell’elio.

Stelle della SPS dopo la fase di overall contraction permangono nei pressi della SequenzaPrincipale sinche il nucleo di elio raggiunge ∼ 10% della massa totale della stella. E’ questoil limite di Schoenberg Chandrasekhar, dal nome dei due ricercatori che nel 1942 mostraronocon trattamento analitico come al di sopra di questo limite non siano ammesse soluzionidelle equazioni di equilibrio che si raccordino con un nucleo isotermo. Raggiunto tale limitei nuclei iniziano una fase di contrazione mentre la struttura si porta verso la traccia diHayashi dove, dopo breve risalita, giungono ad innescare la combustione centrale dell’elio.Questa fase si sviluppa con tempi scala molto minori sia di quelli precedenti che di quellidella successiva combustione dell’elio. Ci si attende quindi che la zona del diagramma HRcompresa tra la Sequenza Principale e le Giganti Rosse in fase di combustione di elio siascarsamente popolata, accadomento peraltro gia evidenziato dalle osservazioni di ammassigiovani (Fig. 6.2), noto in letteratura come Gap di Herizsprung. I dati in Tabella 2 riportanoa titolo di esempio i tempi alle diverse fasi evolutive di due strutture della Fig. 6.1.

Stelle con massa superiore a circa 6 M hanno in Sequenza Principale nuclei convettiviche gia superano il limite di Schoenberg Chandrasekhar: l’esaurimento del idrogeno centralee seguito immediatamente dalla contrazione del nucleo di elio con il conseguente spostamentoverso la traccia di Hayashi dove innescano la combustione 3α. Stelle ancora piu massicce(≥ 15 M) finiscono con innescare le reazioni dell’elio ancor prima di raggiungere la tracciadi Hayashi (vedi Fig. 6.1), che verra raggiunta solo al termine della successiva combustionedell’elio . In caso di strutture povere di metalli, decresce il limite inferiore per tale combus-

Page 144: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

Fig. 6.3. Tracce evolutive di stelle di SPS per le indicate masse e composizioni chimiche. I puntisulle tracce riportano nell’ordine: ZAMS, esaurimento idrogeno centrale, inizio combustione centraledi elio, esaurimento elio centrale.

Fig. 6.4. Caratteristiche strutturali di una stella si 6 M, Y=0.20, Z= 10−4 nella fase di MS(pannello superiore) e nella fase di combustione di idrogeno a shell (pannello inferiore). Le grandezzesono normalizzate al loro valore massimo.

tione precoce dell’elio (Fig.6.3). Tale comportamento puo essere agevolmente interpretatoricordando che al diminuire di Z aumentano temperature centrali e luminosita delle stelle,aumentando con queste anche le dimensioni in massa del nucleo convettivo. Vengono cosisimulate condizioni che a Z maggiori sono caratteristiche di stelle piu massicce.

In stelle con massa inferiore a, circa, 2.5 M nel nucleo di elio cominciano invece amanifestarsi gli effetti della degenerazione elettronica, che accomunera la storia evolutiva ditali strutture a quella delle strutture della SPI che verra discussa nella prossima sezione.

Page 145: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

Fig. 6.5. Schema rappresentativo della evoluzione temporale di una struttura di 7 M diPopolazione I. Il tempo e in unita di IO7 anni.

La Fig. 6.4 riporta alcuni dettagli della struttura di una stella di 6 M in fase di com-bustione centrale di idrogeno (pannello superiore) e nella fase di combustione a shell chesegue l’esaurimento dell’idrogeno centrale. Si noti nella struttura di MS il gradiente di elioconseguente all’arretramento del nucleo convettivo e nella struttura a shell il gradiente ditemperatura nel nucleo che segnala la contrazione del medesimo e, negli strati esterni alnucleo, la diminuzione di luminosita che segnala il riassorbimento di energia legato alla es-pensione dell’inviluppo. La Fig.6.5 illustra infine l’andamento temporale di una strutturadi 7 M secondo una rappresentazione tipica della scuola evolutiva tedesca di Kippenhan ecollaboratori.

6.2. Stelle di piccola massa: il ramo delle giganti e il ”flash” dell’elio.

Nel seguito definiremo come stelle di piccola massa tutte quelle strutture nelle quali al ter-mine della combustione centrale dell’idrogeno si formano nuclei di elio in cui si manifestanogli effetti della degenerazione elettronica. Ricordando come al diminuire della massa di unastruttura risulti favorito il fenomeno della degenerazione, ne concludiamo che alle piccolemasse appartengono le stelle della SPS al di sotto di circa 2.5 M e tutte le stelle della SPI.Le masse limite per l’intervento delia degenerazione dipendono dalla composizione chimicadella struttura originaria, e per le piu volte ripetute motivazioni e immediato comprenderecome esse debbano diminuire all’aumentare dell’elio e/o al diminuire dei metalli. L’evoluzionedelle strutture di piccola massa risulta di particolare rilevanza, sia perche tali strutture rap-presentano un importante campione osservativo delle piu antiche popolazioni stellari, sia peruna serie di interessanti fenomeni che si manifestano nel corso di tale evoluzione.

In linea generale la degenerazione agisce ”congelando” la struttura: la contrazione del nu-cleo viene ostacolata dalla pressione degli elettroni degeneri, viene ostacolato quindi l’innescodella combustione dell’elio e i tempi scala della combustione a shell dell’idrogeno aumentanosensibilmente. La combustione di idrogeno a shell e la degenerazione elettronica interven-gono cosii a modificare, integrandolo, il semplice quadro evolutivo tratteggiato sulla base delTeorema del Viriale. Come mostrato in Fig. al termine della combustione centrale di idrogenole stelle di piccola massa raggiungono la loro traccia di Hayashi e, anziche innescare l’elio,proseguono la loro evoluzione inerpicandosi lungo la traccia stessa, mentre la combustionedell’idrogeno in shell aumenta progressivamente la massa del nucleo di elio. In tale fase diGigante Rossa a causa delle alte temperature e densita si manifestano nel nucleo con cres-

Page 146: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Fig. 6.6. Tracce evolutive di due stelle di piccola massa. I punti lumgo le tracce indicano variazionidi 0.1 nell’abbondanza centrale di idrogeno. Lungo il ramo delle Giganti Rosse sono indicati inoltrei punti: MC = massimo affondamento della convezione superficiale; D = la shell di combustioneraggiunge la discontinuita nell’abbondanza di idrogeno; HE = He flash

cente efficienza meccanismi di produzione di termoneutrini, che estraendo energia dal nucleostesso (”raffreddando” il nucleo) ostacolano ulteriormente l’innalzamento delle temperaturee ritardano l’innesco dell’elio.

In tali condizioni una struttura viene a perdere energia da due distinte regioni: la super-ficie, tramite fotoni, e le zone centrali, tramite neutrini. L’energia prodotta dalle reazioninucleari deve quindi fluire a compensare amboedue queste perdite e, conseguentemente, latemperatura raggiunge un massimo in una regione intermedia per decrescere sia verso lasuperficie che verso il centro della stella. Ne segue anche che l’innesco dell’elio avverra nonal centro della struttura ma in una shell. Al ritardo dell’innesco dell’elio causato dai ter-moneutrini corrisponde una accresciuta massa del nucleo di elio al momento dell’innseco.Tale variazione, pur se contenuta in pochi percento, avra sensibili conseguenze sulla lumi-nosita delle strutture nella successiva fase di combustione centrale di elio, cosi che i relativiriscontri osservarvi forniscono una macroscopica sperimentazione dei processi di interazionedebole.

L’innesco delle combustioni 3a avviene quando il nucleo di elio raggiunge una massadi circa 0.5 M, il valore esatto dipendendo leggermente dalla massa e dalla composizionechimica. L’innesco di una fusione nucleare in materia elettronicamente degenere da luogo adun processo reazionato positivamente che inizialmente tende a divergere: l’energia prodottainnalza la temperatura locale lasciando inalterata la pressione che e essenzialmente for-nita dagli elettrono degeneri. La stella dunque non reagisce espandendosi, e l’unico effettodell’innalzamento di temperatura e di incrementare ulteriormente la velocita delle reazioni,stimolando l’emissione di ulteriore energia. Nel caso delle Giganti Rosse di piccola massa,la 3α procede autoincentivandosi sinche localmente non si siano raggiunte temperature ingrado di rimuovere la degenerazione attivando la controreazione dell’espansione. In questafase, rapida ma non dinamica (r ∼ 0), l’energia prodotta dalle reazioni 3α raggiunge val-ori dell’ordine di 1011L ma senza apprezzabili variazioni delle luminosita della struttura:l’energia prodotta viene infatti totalmente riassorbita nell’espansione degli strati interni e laviolenza del fenomeno resta nascosta all’interno della struttura.

Page 147: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 6.7. Caratteristiche strutturali di una stella di 0.8 M, Y=0.20, Z= 10−3 dalla fine della fasedi Sequenza Principale all’innesco del flash dell’elio. Si noti nell’ultima fase il Carbonio prodottodall’inizio del flash. Tutte le grandezze sono normalizzate al loro valore massimo.

La Fig. 6.7 illustra le tipiche variazioni strutturali di una stella di piccola massa dalle fasifinali di sequenza principale sino all’innesco dell’elio. Si noti come, in presenza del nucleodi He, le variabili fisiche P e T compiano in pratica lo loro intera escursione all’interno delnucleo medesimo. Da cio la larga insensibilita dell’evoluzione del nucleo alle caratteristichedell’inviluppo, che viene sentito come una trascurabile modifica alle condizioni al bordo delnucleo P∼0 e T∼0. Caratteristica di queste fasi e anche l’estrema sottigliezza della shell dicombustione dell’idrogeno. Nelle fasi piu avanzate l’intera energia finisce con l’essere prodottain uno strato contenente non piu di 10−3 10−4 della massa totale ( fase di shell sottile). Permeglio comprendere questa evidenza si puo usare un’immagine gastronomica, asserendo chel’idrogeno viene bruciato ”alla piastra”: viene infatti combusto giusto l’idrogeno che vienein contatto con la superficie ”arroventata” del nucleo di elio.

Si osservi anche come il nucleo, pur giungendo a contenere piu di meta della massastellare, rimanga sempre di dimensioni estremamente ridotte. Una Gigante Rossa e dunqueformata da un esteso e tenue inviluppo ricco di idrogeno che quasi ”galleggia” attorno ad unpunto, il nucleo, che fornisce gravita. A confortare tale pittura basti avvisare che a meta delraggio di una Gigante Rossa la densita e ancora inferiore alla densit dell’atmosfera terrestre.Aggiungiamo infine che il nucleo cresce col tempo in massa ma non in raggio, raggio che anzidiminuisce leggermente e progressivamente. Questo processo si puo comprendere osservandoche l’idrogeno trasformandosi in elio aumenta la massa del nucleo di He degenere, e giasappiamo che le strutture degeneri al crescere della massa devono diminuire il raggio. Talediminuzione non segue peraltro esattamente la relazione delle Nane Bianche perche il nucleodi He e solo parzialmente degenere.

In conclusione, le Giganti Rosse di piccola massa formano ed accrescono nel loro internouna embrione di stella di elio che giungera infine ad innescare la combustione 3α una voltaraggiunta la indicata massa critica. Si comprende anche cosi la limitata influenza di massae composizione chimica originaria sul valore di tale massa critica. Stelle di massa minore di0.5 M 0 non sono ovviamente in grado di inescare la combustione di elio. Esse dovranno

Page 148: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Tab. 2. Evoluzione temporale dei parametri fisici per la struttura di 0.9 M di Fig. 6.6

Fase log Tc log ρc log Pc log R(cm)

Sequenza Principale 7.10 1.9 17.4 10.7Esaurimento H centrale 7.29 2.4 18.0 10.8RG: L=1.5 7.56 5.2 21.3 11.7RG: L=2.0 7.66 5.5 22.0 12.2RG: L=3.0 7.82 5.9 22.5 12.5flash: L=3.3 7.88 6.0 22.3 12.7

terminare la loro evoluzione con una fase di raffreddamento sotto forma di Nane Bianche dielio.

La Tabella 2 riporta l’evoluzione temporale di alcuni parametri strutturali caratterizzantil’evoluzione di una piccola massa sino al flash. Notiamo solamente come l’osservazione delleGiganti Rosse e dei loro ”successori” evolutivi consenta di sperimentare astronomicamenteil comportamento di un gas di elio a temperature di poco inferiori ai 100 milioni di gradi e adensita dell’ordine di 1 tonnellata per centimetro cubo, ben al di la quindi delle possibilitasperimentali nei laboratori terrestri.

6.3. Giganti Rosse di piccola massa: primo ”dredge up” e velocita evolutiva

L’evoluzione di una stella di piccola massa nella fase di Gigante Rossa presenta ulteriorie rilevanti caratteristiche che meritano di essere esaminate in dettaglio anche perche sene ricavano ulteriori opportunita di possibili e talora soprendenti riscontri osservativi. LaFig. 6.9 mostra l’evoluzione della massa del nucleo di elio e della profondita dell’inviluppoconvettivo in funzione della luminosita della struttura. I dati in figura mostrano come perluminosita maggiori o dell’ordine di logL∼ l.5 si manifesti una correlazione tra luminositae massa del nucleo di elio, largamente indipendente dai parametri evolutivi della struttura.La massa del nucleo di elio fissa quindi con buona approssimazione la luminosita, mentrel’inviluppo governa la temperatura efficace il raggio) della struttura.

La stessa figura mostra come la convezione dell’inviluppo raggiunga alla sua massimaestensione una frazione di massa Mr ∼ 0.3, interessando dunque strati parzialmente elabo-rati nuclearmente nel corso della combustione centrale di idrogeno che. a causa della bassadipendenza dalla temperatura della catena pp, ha interessato una porzione relativamentevasta della struttura. Ne segue che il rimescolamento convettivo arricchira la superficie dellastella con elio prodotto dalle combustioni, producendo nel contempo una discontinuita nelleabbondanze di elio e di idrogeno in corrispondenza del limite inferiore raggiunto dalla con-vezione (Fig. 6.8).

Per la prima volta nella sua storia la stella subisce quindi un ”dredge up”, cioe il trasportonegli strati atmosferici di prodotti delle combustioni interne. Tale dredge up, oltre che aportare in superficie elio, alterera anche l’abbondanza superficiale di elementi secondari che,se pur coinvolti in reazioni nucleari scarsamente efficienti ed energeticamente trascurabili,hanno avuto il tempo nella ormai lunga storia della stella di modificare lentamente la loroabbondanza originaria. Ci si attende cosi che nelle atmosfere di giganti di piccola massa siriduca l’abbondanza di 12C, orientativamente di circa il 30%, e che si raddoppi 14N comeconseguenza di una sia pur modesta efficienza delle reazioni CNO in una vasta regioneinterna. Lo sviluppo del dredge up e quindi un segnale di evoluzione interna che raggiungela superficie della stella dove puo essere rivelato ed analizzato spettroscopicamente.

Il dredge up, creando una discontinuita nell’abbondanza di idrogeno, finisce inoltre colprodurre un ulteriore fenomeno osservabile. La Fig. 6.9 mostra infatti come al crescere in

Page 149: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Fig. 6.8. Andamento schematico della abbondanza di idrogeno in una struttura di piccola massadopo il primo ”dredge up” .

Fig. 6.9. Evoluzione temporale della massa del nucleo di He (Me) e della profondit dell’inviluppoconvettivo (Mce) in funzione dela luminosit della struttura per alcuni modelli di Gigante Rossa. Inumeri tra parentesi riportano, nell’ordine, la massa, il contenuto originario di elio e la metallicitdei modelli .

massa del nucleo di elio la convezione venga respinta verso l’alto, mantenendosi in contiguitadel nucleo stesso, con la shell di combustione che finisce necessariamente col raggiungere lazona della discontinuita. I modelli predicono che quando la shell incontra la discontinuita,la struttura reagisce dimunendo leggermente la luminosita (∆logL ∼ 0.03) per riprendere lasua regolare ascesa sul ramo delle giganti dopo essersi adattata alla nuova abbondanza diidrogeno. Vi e dunque un breve tratto del ramo delle giganti che viene percorso in totale trevolte, e nel quale le stelle spendono quindi un tempo eccezionalmente lungo rispetto ai tempicon i quali vengono percorsi gli altri tratti del ramo. Corrispondentemente ci si attende checio venga segnalato da una anomala sovrabbondanza di stelle, puntualmente osservata neidiagrammi osservativi degli animassi globulari (Fig. 6.10), cui viene dato il nome di RedGiant Bump.

Per portare tale problematica in forma quantitativa possiamo definire

τ =∆t

∆logL∼ dt

dlogL

tempo ”specifico” impiegato da una stella per percorrere un tratto il Ramo delle Giganti,inverso di una corrispondente velocita evolutiva. Dai modelli stellari si ricava, fuori dal bump,logτ ∼ logL. Si puo mostrare che tale proporzionalita discende dall’esistenza di una relazionemassa del nucleo-luminosita. La fase in cui la shell incontra la discontinuita introduce inquesta regolare dipendenza un temporaneo allungamento dei tempi evolutivi. I risultatidei calcoli evolutivi, come riportati in Fig 6.11, indicano che luminosita e consistenza delbump dipendono dalla massa e dalla composizione chimica della stella evolvente. Dai datiin figura si ricava in particolare che la luminosita decresce al diminuire dell’elio originale e/o

Page 150: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

Fig. 6.10. Diagramma CM dell’ammasso globulare galattico 47Tuc, con indicato l’evidente ”RGbump”.

Fig. 6.11. Logaritmo dei tempi specifici τ in funzione di logL per una Gigante Rossa di 0.8 M pertre modelli con le indicate abbondanze originali di idrogeno (X) e d metalli (Z). Per ogni modellosono indicati i ”sovratempi” prodotti dall’incontro della shell di combustione con la discontinuitachimica.

all’aumentare della metallicita, come peraltro si pu ricavare anche dai dati in Fig.6.8. Laluminosita del bump decresce inoltre anche al diminuire della massa.

Notiamo infine che una Gigante Rossa approssima ma non realizza a pieno una strutturacompletamente convettiva. Conseguentemente e quindi improprio, anche se diffuso, identifi-care la traccia di una gigante con la relativa traccia di Hayashi. Piu propriamente diremo cheun gigante si colloca su una isoconvettiva corrispondente al limite effettivo della convezionedato dalla massa del nucleo di elio. Da tali considerazioni discende anche che la collocazionedella traccia di gigante NON dipende dai meccanismi di combustione dell’idrogeno ma solodalle dimensioni del nucleo di elio e dalle caratteristiche (massa e composizione chimica)dell’inviluppo.

6.4. Linee evolutive e isocrone di ammasso. La ”Red Giant Transition”

Le considerazioni evolutive sin qui svolte ci pongono in grado di predire l’evoluzione di unastruttura stellare lungo tutta la sua fase di combustione di H una volta che ne sia stata fissatala massa e la composizione chimica originaria. Tali predizioni consentono di procedere alla

Page 151: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Fig. 6.12. Linee evolutive (punti) per una prefissata composizione chimica e per gli indicati valoridelle masse. Le linee mostrano le corrispondenti isocrone, per quattro diverse et (in miliardi di anni).

ricostruzione della distribuzione nel diagramma HR di stelle in ammassi stellari, per le qualie lecito assumere una comune eta e composizione chimica. Si dovra a tale scopo identificareil luogo del diagramma HR ove si distribuiscono stelle con prefissata composizione chimicaal variare della massa e per ogni prefissata eta dell’ammasso. Il luogo cosi identificato prendeil nome di isocrona.

La costruzione di un isocrona resta collegata al calcolo di un sufficiente campione di tracceevolutive al variare della massa stellare, cosi da ricavare tramite opportune interpolazienidelle relazioni L(M,t) e Te(M,T) fornite dalle tracce stellari l’andamento dei due parametriL e Te in funzione della massa per ogni prefissata eta. La Fig. 6.12 mostra un esempio deirisultati di tali procedure, dal quale si riconosce come le isocrone, pur conservando una strettaanalogia con le tracce evolutive, siano cosa essenzialmente diversa. Poiche al crescere dellamasse diminuiscono i tempi evolutivi, una tipica isocrona sara formata dalle masse minoriancora in sequenza principale per avere tempi evolutivi di sequenza maggiori della fissata eta,ed un ristretto intervallo di masse che si distribuiscono nelle fasi fuori sequenza. All’avanzaredella fase evolutiva cresce in generale la velocita di evoluzione, intesa come velocita con laquale viene percorsa l’ascissa curvilinea del cammino evolutivo. Di conseguenza diminuisceil gradiente di massa lungo l’isocrona e l’isocrona stessa finisce col coincidere con la tracciaevolutiva della tipica massa in fase di evoluzione avanzata.

Nel caso di isocrone popolate da piccole masse (eta superiori a qualche miliardo di anni)cio avviene circa in corrispondenza della base del ramo delle giganti rosse (RGB= Red GiantBranch): non solo per tale ramo ma anche per tutte le successive fasi di combustione nu-cleare e lecito confondere l’isocrona con la traccia evolutiva e, in tal caso, assumere che ilpopolamento dell’isocrona sia proporzionale ai relativi tempi evolutivi (→ A6.5). Il popo-lamento della Sequenza Principale risulta invece governato dalla distribuzione delle masse,distribuzione che tornera a governare anche il popolamento della fase finale di raffreddamentodelle Nane Bianche, che giunge nuovamente a coprire lunghi tempi evolutivi.

La Fig. 6.13 riporta a titolo di esempio un fascio di isocrone calcolate per diverse etanell’intervallo 3-24 miliardi di anni. E’ immediato riconoscere come tali isocrone rendano

Page 152: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

Fig. 6.13. Linee isocrone per le fasi di combustione di H. Le isocrone sono ordinate da 1 a 19 eper ogni isocrona e riportatata l’eta in 1010anni).

pienamente conto - almeno qualitativamente- di una parte notevole della distribuzione neldiagramma CM osservate negli ammassi globulari, che deve quindi essere interpetata comeevidenza di stelle in fase di combustione di idrogeno, al centro e in shell. La variazione delleisocrone con il tempo rappresenta 1o ”orologio” con cui potremo valutare l’eta degli ammassistellari, orologio calibrabile tramite la luminosita del punto di massima temperatura efficace(punto di Turn Off) segnalato in figura. Si preferice la luminosita perch la temperaturaefficace, altra possibile scelta, e affetta dalle incertezze sul trattamento della convezionesuperficiale superadiabatica. Da un punto di vista della modellistica stellare notiamo che alcrescere dell’eta diminuisce la massa delle giganti e il ramo delle giganti s sposta leggermenteverso le minori temperature, in accordo con la gia dicussa dipendenza della traccia di Hayshidalla massa. La presenza nei diagrammi osservativi delle ulteriori fasi di Ramo Orizzontale(HB) e di Ramo Asintotico(AGB) viene ora automaticamente a configurarsi come evidenzadi fasi successive alla combustione dell’idrogeno, dunque alle fasi di combustione dell’elio.

Il Ramo delle Giganti segnala l’instaurarsi della degenerazione elettronica nei nucleidi elio nella fase di combustione a shell dell’idrogeno e segnala quindi nel contempo, lapresenza sul ramo di stelle di piccola massa e di conseguenza una eta dell’ammasso dialmeno qualche miliardo di anni. Troviamo cosi conferma all’ipotesi di lavoro avanzata giustoall’inizio della nostra indagine secondo la quale ”rosso significa vecchio”. Ammassi o, piuin generale, popolazioni stellari giovani non producono rami d giganti e vi dominano stelleblu di MS. All’aumentare dell’eta diminuisce la massa evolvente e, allorche si raggiunge lamassa critica per la degenerazione dei nuclei di elio, appare il ramo delle giganti. Si ha cosiuna rapida transizione a popolazioni dominate da giganti a bassa temperatura, designata inletteratura come la Red Giani Transition.

Sulla base di una approfondita valutazione dell’andamento delle isocrone teoriche,trasportate nel piano osservativo Colore-Magnitudie, si sviluppano i programmi interpre-tativi che consistono, in linea generale, nell’identificare l’isocrona che rende ragione delladistribuzione osservatva, ricavando cosi indicazioni non solo sull’eta ma anche su altri im-portanti parametri degli ammassi. A titolo di esempio anticipiamo in Fig. 6.14 un esempiodel confronto teoria osservazione dal quale si ricava per l’ammasso globulare M5 un eta di∼ 12 Gyr e un modulo di distanza (m-M)V ∼ 14.6 mag. E’ d’uso inoltre identificare nelle

Page 153: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 6.14. Confronto tra le isocrone teoriche e la osservata distribuzione nel diagramma CM dellestelle nell’Ammasso Globulare galattico M5.

isocrone tutta una serie di parametri con chiara corrispondenza osservativa e larga affid-abilita teorica, quale ad esempio la luminosita del Turn Off, da cui ottenere informazionisullo stato evolutivo di un ammasso.

Nella pratica si tende a indagare il maggior numero possibile di relazioni teorico osser-vative non soltanto per sopperire a possibili indeterminazioni teoriche (quali quelle sullatemperatura efficace delle Giganti Rosse) ma anche per sincerarsi attraverso la ridondanzadel sistema, della piena adeguatezza del quadro teorico, garantendo la congruita di tuttigli ingredienti fisci che sono alla base delle valutazioni evolutive. In questo senso le stellefiniscono col fornirci informazioni non solo sulla loro stessa storia, ma anche sulle leggi fon-damentali della fisica e sulla conseguente efficienza di meccanismi fisici quali le reazioninucleari, le interazioni deboli e cosi di seguito. Di particolare rilevanza e anche l’uso dellestrutture stellari per porre condizioni alle possibili evoluzioni verso la ”nuova fsica” richiestadall’evidenza di una massa dei neutrini. Cosi, ad esempio, l’evidenza osservativa ha con-sentito di dedurre dalle strutture stellari un limite superiore di IO11 magnetoni di Bohr almomento magnetico del neutrone, perfezionando i limiti di laboratorio.

Osserviamo infine che, ove sia assegnata una distribuzione di massa iniziale, attraversole isocrone e facile ricavare non solo il luogo geometrico della distribuzione delle stelle neldiagramma HR (e CM) ma anche la distribuzione delle singole stelle lungo tale luogo, costru-endo quelli che nel seguito indicheremo come Diagrammi HR Sintetici.

Page 154: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

Approfondimenti

A6.1. Efficienza della convezione superadiabatica. Indeterminazione sui raggistellari.

Il corrente trattamento della convezione superadiabatica negli inviluppi stellari richiede di operareassunzioni sul valore del parametro libero 1 = lunghezza di rimescolamento. Tale parametro e ingenere assunto dell’ordine di grandezza dell’altezza di scala della pressione HP , definita come lalunghezza su cui nella stella la pressione si riduce di 1 e-mo

HP =dr

dlogP

Con analoga definizione e stata usata anche l’altezza di scala della densita Hρ che ha il pregiodi non consentire inversioni di pressione ma il contemporaneo difetto di richiedere valutazioni piuonerose, attraverso opportune iterazioni.

Per HP si ha infatti direttamente

1

HP= −dlogP

dr= − 1

P

dP

dr=

GMrρ

Pr2

mentre per Hρ, ricordando che P = κµH

ρT da cui dlogP = dlogρ + dlogT , si ha

1

Hρ= −dlogρ

dr= −dlogP

dr− dlogT

dr

che mostra come il valore di Hρ dipenda dal gradiente di temperatura che esso stesso condiziona, dacui la necessita di procedure iterative. Si noti che risulta Hρ = Hp/(1−∇) , da cui risulta Hρ > HP

ma anche ∇ ≤ 1 che e facilmente riconoscbile come condizione per non avere inversioni di densita.La lunghezza di rimescolamento regola d fatto l’efficienza della convezione: diminuire l significa

ridurre l’efficienza del trasporto convettivo (nullo per l=0) e di conseguenza aumentare il gradientelocale, sino a portarlo sul gradiente radiativo per l=0. La Fig.6.15 riporta i risultati di un esperimentonumerico, mostrando l’effetto di diverse assunzioni su l sull’andamento di pressione e temperaturanell’inviluppo di una struttura di 1 M supposta a logL=3, logTe=3.57. Minore il valore di lmaggiore il gradiente, e quindi viene raggiunta piu rapidamente la ionizzazione totale e minore el’estensione della zona convettiva. In ogni caso, tutte le integrazioni convergono verso l’interno ad uncomune andamento, a indicazione che il trattamento della convezione superadiabatica non modificala struttuta interna di una stella e, quindi, non influenza la luminosita della struttura. Le variazioniindotte nella zona convettiva diventano infatti rapidamente trascurabili a confronto della variazioninelle zone piu interne.

Ne segue la regola generale per la quale l’incertezza su l si traduce in una incertezza sui raggistellari (sulle temperature efficaci) ma non sulle luminosita. L’effetto sulle strutture stellari puoessere compreso osservando che se la temperatura centrale e determinata dall’efficienza delle reazioninucleari allora minore l implica maggior gradiente nelle regioni superadiabatiche e, in definitiva,minore temperatura efficace alla superfcie (= maggiori raggi stellari). Tale effetto risulta tantopiu rilevante quanto minore la densita degli inviluppi e, quindi, tanto maggiore la richiesta disuperadiabaticita.

La Fig.6.16 mostra le varie collocazioni nel diagramma HR di una Sequenza Principale calcolatacon diverse lunghezze di rimescolamento. Strutture con logTe ≥ 3.9 non risentono del valore della

Page 155: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

Fig. 6.15. Correlazione tra pressione e temperatura nell’inviluppo di una struttura di 1 M(Y=0.20. Z=4 10−4) posta a log L/L= 3, logTe=3.57 per diverse assunzioni sul valore dellalunghezza di rimescolamento.

Fig. 6.16. Collocazione nel diagramma HR di Sequenze principali (Y=0.10, Z=10−3) per varieassunzioni sulla lunghezza di rimescolamento.

mxing length per avere inviluppi radiativi o con convezione in questo contesto trascurabile. Aldi sotto di questa temperatura, come previsto, all’aumentare della mixing length le strutture sispostano verso temperature efficaci maggiori. Si noti peraltro come al diminuire della massa, e alconseguente decrescere della temperatura efficace, l’influenza della mixing length torni a decrescere.Cio e dovuto al fatto che al decrescere della massa cresce la densita negli inviluppi e stelle di massamolto piccola tendono conseguentemente a sviluppare strati convettivi sempre piu adiabatici.

L’evoluzione verso una Gigante Rossa implica invece un’espansione degli inviluppi ed una dras-tica diminuzione delle densita subatmosferiche, con conseguente richiesta di forte superadiabaticita.Se ne hanno, in linea di principio, le drammatiche consegueze illustrate in Fig.6.17 nel caso diuna struttura di 1 M. La Figura mostra come la lunghezza di rimescolamento abbia una limitatainfluenza anche sulla luminosita del ”Bump” delle Giganti Rosse. Aumentando il valore di l taleluminosita tende ad aumentare leggermente: se ne trae l’evidenza che all’aumentare di l diminuisceleggermente la profondita massima raggiunta dalla convezione superficiale.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze il valore della lunghezza di rimescolamento deve esserericavato tramite opportune calibrazioni su strutture reali. E’ molto usata la calibrazione su ModelliSolari Standard che fornisce il valore l ∼ 1.9Hp. A priori, nulla garantisce che tale calibrazione possaessere estesa a strutture con masse, composizioni chimiche e fasi evolutive diverse. E’ peraltro digrande interesse rilevare che lo stesso valore di l produce la corretta temperatura efficace per i ramidelle Giganti Rosse negli Ammassi Globulari sopra un esteso intervallo di metallicita, talche la

Page 156: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

Fig. 6.17. Tracce evolutive di una stella di 1 M per le varie indicate assunzioni sulla lunghezza ditrimescolamento.Le frecce indicano la collocazione del ”Bump” delle Giganti Rosse.

scelta α = 1.9 appare al momento la piu corretta. Notiamo infine che usare un SSM come cal-ibratore implica tenere nel dovuto conto gli effetti della diffusione degli elementi all’interno dellastruttura. Pseudo-SSM calcolati senza diffusione forniscono il valore α ∼ 1.6, talvolta incongrua-mente utilizzato in taluni calcoli evolutivi.

A6.2. Stelle deficienti o prive di metalli. La Popolazione III

Il quadro generale delle fasi di combustione dell’idrogeno tracciato per le varie popolazioni stellaririsulta sensibilmente modificato quando si considerino strutture stellari estremamente povere o ad-dirittura del tutto prive di metalli. Non e questa peraltro una pura esercitazione numerica: se - comefondatamente riteniamo - la materia emersa dal Big-Bang era priva di elementi pesanti, la primagenerazione stellare da essa formatasi doveva necessariamente essere composta da stelle di puroidrogeno-elio. Anche se i processi di arricchimento hanno infine portato la stragrande maggioranzadelle stelle della nostra galassia a possedere metallicita superiori o dell’ordine di Z = 10−4, stelleprive o poverissime di metalli devono essersi formate, popolando a tutt’oggi l’alone galattico ove sisono osservate sia pur rare stelle con metallicita inferiore a quella degli ammassi globulari, sino a Z∼ 10−7.

Lo studio di queste strutture deficienti in metalli appare quindi di grande rilevanza quando sivogliano ricostruire le caratteristiche evolutive delle popolazioni stellari che, con la loro esistenza,hanno dato inizio all’evoluzione chimica della materia galattica. Per comprendere la peculiarita dellestelle prive di metalli, e utile innanzitutto richiamare le ragioni della larga similarita dell’evoluzionein fase di combustione di idrogeno al variare del contenuto originario di metalli anche di ordinidi grandezza nelle Popolazioni I e II. La presenza dei metalli influisce sulle strutture stellari at-traverso, essenzialmente, i coefficienti di opacita e di generazione di energia. Al variare dei metallile variazioni di opacita possono essere sensibili ma non drammatiche perche anche in assenza dimetalli permangono tutti i meccanismi di opacita collegati in ogni caso all’idrogeno ed all’elio. Nesono drammatiche , in genere, le conseguenze della variata efficienza del ciclo CNO: stante l’altadipendenza del ciclo dalla temperatura, le strutture reagiscono ad una diminuzione degli elementiCNO incrementando modestamente le temperature centrali sino a recuperare il soddisfacimento delfabbisogno energetico.

Quest’ultimo meccanismo e quello che viene a cadere quando si assumano strutture stellaritotalmente prive di metalli. La catena pp resta di fatto l’unica possibile sorgente di energia e lestelle in fase di presequenza dovranno necessariamente continuare a contrarre fino a raggiungeretemperature tali da estrarre da questa catena di reazioni il loro intero fabbisogno energetico. Leconseguenze, come illustrate in Fig.6.18 possono diventare drammatiche. Al crescere della massa,l’aumento delle temperature centrali non e piu ”calmierato” dall’intervento del ciclo CNO e la

Page 157: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Fig. 6.18. Andamento delle temperature centrali in funzione della massa per stelle di MS prive dimetalli. La lnea continua mostra le temperature ricavate sotto la condizione di pura combustionepp. La linea a punti indica la modifica causata dalla produzione di carbonio tramite reazioni 3α.La linea a tratti indica le temperature centrali per stelle di normali popolazioni.

Fig. 6.19. Tracce evolutive per stelle di piccola massa e per i due indicati valori di metallicita.

temperatura continua a crescere sino a raggiungere attorno alle 15 M i 108 K, cioe la temperaturadi innesco delle reazioni 3α. All’ulteriore crescere della massa si manifesta un fenomeno del tuttonuovo, peraltro qualitativamente prevedibile. A 108 K inizia infatti la combustione 3α che forniscecarbonio il quale, a sua volta, abilita il ciclo CNO, riducendo il fabbisogno di temperatura. Laproduzione di carbonio cessa solamente quando l’efficienza del ciclo riporta la temperatura sotto lasoglia delle reazioni 3α. La conseguenza finale e che, all’ulteriore crescere della massa la temperaturatende a stabilizzarsi attorno ai 108 K mentre aumenta la quantita di carbonio prodotto e messo adisposizione delle regioni centrali convettive.

E’ questo il primo manifestarsi di un fenomeno generale che caratterizza l’evoluzione in fase diidrogeno delle stelle prive di metalli: ogniqualvolta in fase di combustione di idrogeno l’evoluzionetende a portare le temperature oltre la soglia di innesco delle 3α interviene la produzione di carbonioche stabilizza la temperatura. Fenomeni simili sono attesi anche in strutture in cui il CNO siaestremamente sottoabbondante. Nel seguito definiremo come strutture di Popolazione III tuttequelle strutture prive o sottoabbondanti di metalli nella cui evoluzione si manifestano fenomeni dicombustione contemporanea H-He, separandole cosı da strutture anche molto povere di metalli(estrema Pop. II) la cui evoluzione segue le generali prescrizioni ricavate per le stelle di Pop. I ePop. II.

Page 158: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

Fig. 6.20. Effetto di metallicita sull’evoluzione fuori sequenza di stelle di piccola massa.

Tab. 3. Andamento di variabili strutturali per una stella di MS di 10 M al variare della metallicita.MCC e Lpp rappresentano rispettivamente la frazione di massa nel nucleo convettivo e la frazionedi luminosit prodotta dalla combustione pp.

Z logL logTe Mcc Lpp logTc logρc

0 3.76 4.61 0.16 1.00 7.82 2.0410−8 3.74 4.59 0.36 0.87 7.79 1.9210−6 3.73 4.55 0.38 0.16 7.71 1.7010−5 3.73 4.51 0.38 0.05 7.66 1.534 10−4 3.72 4.47 0.36 0.01 7.56 1.25

Una notevole caratteristica delle stelle sottoabbondanti in metalli riguarda le dimensioni deinuclei convettivi. Al diminuire della metallicita da valori solari a Z = 10−4 la luminosita delle stelle diMS tende ad aumentare, con il conseguente e gia ricordato aumento dei nuclei convettivi. Al continuodiminuire della metallicita deve crescere sempre piu il contributo della catena pp che, al limite Z=0, e l’unica efficiente. Sappiamo peraltro che la combustione pp tende a deprimere le dimensioni deinuclei convettivi. La conseguenza che attorno a Z =10−5 i nuclei convettivi raggiungono un massimoper poi decrescere con continuita sino a raggiungere un pronunciato minimo per Z = O, (Tabella 3).Constateremo nei prossimi capitoli come tali variazioni abbiano importanti conseguenze sul destinofinale delle stelle. La Fig. 6.19 mostra gli effetti della sottoabbondanza metallica in stelle di piccolamassa. La scomparsa della fase di overall contraction testimonia la scomparsa dei nuclei convettivi,cosi che per Z = 10−8 anche una stella di 2.5 M si comporta come una struttura di MS inferiore.

L’influenza di Z sulla caratteristiche dell’evoluzione fuori sequenza e infine mostrata in Fig.6.20: si verifica come la diminuzione del contenuto metallico da Z = 10−4 a Z =10−8 non influenziormai in maniera sensibile ne la posizione di SP ne la collocazione delle Giganti Rosse. Cio eda collegarsi alla scarsa influenza che ormai i metalli hanno sulla opacita della materia, influenzache attorno a Z ∼ 10−5 - 10−6 diviene del tutto trascurabile. Le diverse modalita di uscita dallaMS e di evoluzione di subgigante corrispondono invece a necessita della struttura chiaramenteinterpretabili. In stelle di piccola massa lo spostamento della struttura verso la sua traccia di Hayashicorrisponde all’instaurarsi d un efficiente combustione a shell tramite CNO. Minore l’abbondanzadi questi elementi piu la stella deve aspettare ad eseguire il passaggio evolvendo nei pressi dellasequenza principale. E’ questa una prima indicazione diretta dell’effetto di variazioni di abbondanza

Page 159: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Fig. 6.21. Evoluzione strutturale di una stella di 0.7 M, Y= 0.20, Z=10−3 durante la fase diinnesco dell’elio. Nel pannello superiore e riportato lo sviluppo temporale della convezione durantei vari flash. La linea a punti indica l’andamento della posizione del massimo di temperatura. Nelpannello inferiore sono riportati, in luminosit solari, gli andamenti della luminosit totale (L) ed icontributi a questa delle combustioni d H e di He. Il tempo t e in 106 anni.

degli elementi CNO in stelle della SPI. Si noti infine come la luminosita cui avviene il flash vadaprogressivamente decrescendo con Z, in corrispondenza delle crescenti temperature interne.

Nello scenario in precedenza adottato, le tracce evolutive nelle Pig. 6.19 e ?? sono da riguardarsicome evoluzioni di normale ed estrema popolazione II. Stelle di 0.9 M con Z = 0 sono invececostrette a produrre carbonio quando ancora al centro residua idrogeno, e percorrono il ramo dellegiganti con una shell di idrogeno parzialmente alimentata dal carbonio prodotto attraverso reazioni3α. Tra i problemi particolari posti dall’integrazine di strutture di Popolazione III citiamo infinela necessita di riguardare alle alte temperature l’3He come un vero e proprio elemento secondario,stanti i brevi tempi di equilibrio. Questo elemento non deve quindi essere rimescolato nelle zoneconvettive interne. Trascurare questa avvertenza provocherebbe una abbondanza spuria di 3He alcentro della stella, da cui un flttizio incremento della produzione di energia ed un conseguenteaumento dei nuclei convettivi.

A6.3. Il flash dell’elio.

Abbiamo gia indicato come l’innesco dell’elio in stelle di piccola massa avvenga tramite un processoreazionato positivamente che porta ad un flash di efficienza delle reazioni di fusione 3aα. A causa delraffreddamento indotto dai neutrini l’innesco dell’elio avviene in una shell, la cui distanza dal centrodipende dai parametri di massa e di composizione chimica della stella. Calcoli dettagliati mostranocome un primo e piu violento flash riesca a rimuovere la degenerazione elettronica negli stratisovrastanti la shell di innesco. Il processo procede quindi, in maniera sufficientemente complessa,attraverso una serie successiva di flash secondari, intervallati nel tempo e progressivamente semprepiu prossimi al centro della stella, sinche la degenerazione e completamente rimossa in tutto il nucleodi elio ed inizia la fase di combustione quiescente di elio al centro della struttura.

La Fig. 6.21 riporta alcune caratteristiche di tali fasi calcolate per una stella di massa M =0.7 M, Y=0.20 e Z = 10−3. Si noti in particolare come l’espansione indotta dal flash principale(il primo) negli strati esterni del nucleo di elio produca Io spengimento della shell di idrogeno che

Page 160: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Fig. 6.22. Percorso nel diagramma HR della struttura di cui alla Fig.6.21 durante la fase diinnesco dell’elio. Il cerchietto pieno indica la posizione al flash principale; la stella l’inizio della fasequiescente di combustione centrale di elio. II tempo t e in milioni di anni.

recuperera la sua efficienza solo gradualmente, tornando a contribuire sostanzialmente alla strutturasolo in prossimita dell’inizio della fase di combustione di elio quiescente. I risultati principali ditali calcoli, eseguiti sotto le usuali assunzioni di simmetria sferica e convezione interna adiabatica,possono essere riassunti nei due seguenti punti fondamentali:

1. La convezione nel nucleo resta separata, sia pur di poco (∆Mr ∼ 210−3) dalla base della shell diidrogeno. Non si attendono quindi rimescolamenti che si ripercuotano sulla successiva efficienzadi questa shell.

2. Nel corso dei vari flash si giunge a sintetizzare una quantita di carbonio dell’ordine 12X ∼ 0.05,omogeneamente distribuito nel nucleo di elio.

La Fig.6.22 riporta il cammino evolutivo della struttura di cui alla Fig.6.21 durante la fase deiflash e sino ai raggiungimento della combustione quiescente dell’elio centrale. Poiche la durata diquesta fase risulta dell’ordine di 106 anni, a fronte dei 108 anni tipici per l’evoluzione di giganterossa nello stesso intervallo di luminosita, ci si attende di osservare circa una stella in fase di flashper ogni 100 giganti rosse. Questo rende pienamente conto della lacuna osservabile negli ammassiglobulari tra il ramo delle giganti e la successiva fase di combustione di elio.

A6.4. Massa limite per la combustione dell’idrogeno. Nane Brune.

In una struttura stellare di Sequenza Principale al diminuire della massa aumenta la densita neces-saria per raggiungere le temperature di combustione dell’idrogeno. Cio puo essere compreso ancheattraverso semplici valutazioni di ordini di grandezza. Abbiamo infatti gia visto (→ A4.3) come dalViriale si ricavi per la temperatura media di una struttura

T ∝ M

R

dalla quale, poiche ρ ∝M7R3 si ricava anche

T ∝ ρ1/3M2/3

e quindi per mantenere temperature di combustione al diminuire della massa aumenta la densita.Aumenta conseguentemente il richio di degenerazione elettronica sino a raggiungere una massa limiteal di sotto della quale le stelle degenerano in presequenza e non giungono ad innescare le reazionidell’idrogeno. Abbiamo gia indicato come tale massa limite si aggiri attorno a 0. 1 M . Valutazionipiu accurate richiedono un corrispondentemente accurato trattamento della complessa equazione distato, ove le interazioni coulombiane rivestono un ruolo rilevante.

La Fig.6.23 riporta una serie di tracce evolutive di strutture di piccola e piccolissima massa infase di contrazione gravitazionale. Nel caso illustrato si trova una massa limite pari a 0.08 M. Si

Page 161: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

Fig. 6.23. Sequenze di contrazione per strutture di piccola e piccolissima massa.

noti come al diminuire della massa crescano notevolmente i tempi di presequenza delle strutture chegiungono ad innescare l’idrogeno, cosi che, al limite, la 0.08 M raggiunge la MS solo dopo alcunecentinaia di milioni di anni. Il completamento della sequenza principale alle minori luminositarichiede dunque un lungo periodo di tempo, accadimento di cui si deve tener conto nel costruire leisocrone di ammassi stellari con eta al di sotto di ∼ 1 Gyr.

Strutture al di sotto della massa limite non innescano l’idrogeno e contraggono sino a raggiungereil raggio della struttura degenere: la successiva evoluzione consistera nel progressivo raffreddamentodella struttura che andra diminuendo progressivamente luminosita e temperatura efficace seguendouna sequenza di raggio costante. La Fig.6.23 mostra come tali strutture si dispongano a formareun prolungamento della MS verso le basse luminosita, mostrando nel contempo come l’ulterioreallungamento dei tempi di contrazione porti alla predizione che anche per eta dell’ordine di 10 Gyrtale prolungamento debba risultare popolato da oggetti che mantengono luminosita che scalanoregolarmente a partire dall’estremo inferiore della MS.

A fronte di tale evidenza, l’antica designazione di Nane Nere (Black Dwarf) data in origine aquesti oggetti e stata sostituita da Nane Brune (Brown Dwarf) a significare la prevista sopravvivenzadi non trascurabili capacita radiative. A livello di nomenclatura, aggiungiamo infine che le stelleche popolano l’estremita inferiore della MS ( M ≤ 0.4 - 0.3 M) vengono di norma designate con iltermine di strutture VLM (Very Low Mass ).

A6.5. Isocrone teoriche e funzioni di luminosita per Ammassi Globulari

La collocazione nel diagramma HR delle stelle di un ammasso stellare deve essere considerata comeil luogo, ad un prefissato tempo t0 (isocrona), dei punti rappresentativi di stelle in moto lungo traiet-torie prefissate le tracce evolutive) determinate, per ogni assunta composizione chimica, dall’unicoparametro M = massa delle stelle. Si e qui assunto implicitamente che le fluttuazioni nei tempidella formazione stellare siano trascurabili rispetto ai tempi evolutivi. Lungo un isocrona e dunqueL = L(M,t] Te=Te(M,t) al variare del parametro M. Con terminologia mutuata dall’idrodinamicadiremo in definitiva che le tracce evolutive delle strutture costituiscono le linee di corrente del fluidostellare, mentre l’isocrona rappresenta la linea materiale del fluido all’istante t=t0.

Si e gia indicato come nelle fasi evolutive avanzate aumenti la velocita evolutiva, definibileattravesro il valore delle derivate (∂L/∂t)M e (∂Te/∂dt)M che regolano la variazione con il tempodella posizione di una struttura nel diagramma HR. Si e anche intuitivamente indicato come in tali

Page 162: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

Fig. 6.24. La relazione massa luminosita lungo isocrone teoriche per eta comprese tra 9 e 321miliardi di anni.

condizioni sia lecito confondere l’isocrona con la traccia evolutiva comune al ridotto intervallo ditracce evolventi.

Possiamo precisare le motivazioni e i limiti di una tale approssimazione definendo lungo unagenerica isocrona la variabile curvilinea S, cosi che S(M,t) risulti univocamente detrminata e im-plicitamente resolubile rispetto a qualsivoglia delle variabili M,t. Dalla definizione di isocrona si haallora:

dt(M, S) = (∂t

∂M)SdM + (

∂t

∂S)MdS

da cui si ottiene per la variazione delle masse lungo l’isocrona

(∂M

∂S)t = −(

∂M

∂t)S(

∂t

∂S)M

Si verifica cosi innanzitutto che per

(∂S

∂t)M →∞ (

∂M

∂S)t → 0

cioe che al crescere della velocita evolutiva (∂S/∂t)M tende a zero la variazione di massa lungol’isocrona.

L’osservazione fornisce non solo la collocazione nel diagramma HR della linea isocrona, maanche il numero di stelle dN che popolano l’intervallo di ascissa curvilinea dS. Il dato osservativo Φ=dN/dS e correlabile alle proprieta evolutive, risultando

Φ(S, t0) = Ψ(M)(∂M

∂S)t = −Ψ(M)(

∂M

∂t)S(

∂t

∂S)M

avendo indicato con Ψ(M) = dN/dM la distribuzione di masse propria dell’ammasso (IMF =Initial Mass Function). E’ facile riconoscere che l’espressione precedente rappresenta semplicementel’espressione euleriana dell’equazione di continuita. Per fasi evolutive avanzate, laddove tende azero l’intervallo di masse popolanti l’isocrona, potremo porre Ψ(M) ∼ cost e cosi anche per il flussotemporale lungo l’isocrona (∂M/∂t)S ∼ cost. Se ne ricava che, sotto tali condizioni, il numero distelle in una fase evolutiva avanzata risulta proporzionale al tempo speso dalle stelle evolventi lungola loro traccia in tale fase.

Come utile applicazione di tale relazione abbiamo in precedenza discusso il caso della funzione diluminosita del ramo delle Giganti Rosse in un Ammasso Globulare. A titolo orientativo la Fig.6.24riporta la distribuzione teorica massa-luminosita lungo isocrone di eta compresa tra 9 e 21 Gyr.Come atteso, la variazione della massa interessa essenzialmente le strutture di MS. Le subgigantiche si collocano tra il Turn Off e la base del ramo delle giganti hanno variazioni gia piu contenute, edalla base delle giganti la massa evolvente diventa sensibilmente costante. Si e a suo tempo indicatocome lungo il ramo delle giganti si possa porre

Page 163: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

22

Fig. 6.25. Funzione di luminosita per l’Ammasso Globulare NGC6356 confrontata con le predizioniteoriche per la distribuzione dal Turn Off sino al tip del ramo delle giganti. I dati teorici assmono[Fe/H]=-0.9, eta 14 Gyr, (m-M)v = 18.05.

logτ ∝ logL dove τ =dt

dlogL

e la velocita evolutiva (in luminosita) delle giganti. Mostreremo qui che tale relazione e conseguenzadiretta del fatto che lungo il ramo delle Giganti Rosse, come ogniqualvolta si sia in presenza di stellecon nucleo degenere, esiste una relazione massa del nucleo-luminosita

L = Mαn

che ci indica come in tali strutture sia la massa del nucleo degenere a governare la luminosita diuna stella.

A fianco della precedente relazione potremo infatti considerare l’ulteriore relazione che collegala luminosita della struttura alla crescita temporale della massa del nucleo

dMn = µLdt

dove µ rappresenta la massa di elio sintetizzato nella produzione dell’unita di energia. Differenziandola prima relazione si ottiene

dMn =1

αL

1−αα dL

che sostituita nella seconda relazione conduce con facili passaggi a

dt

dlogL= τ =

1

µαL

1−αα

da cui la attesa relazione

logτ = cost +1− α

αlogL

La Fig.6.25 mostra come i riscontri sperimentali siano in generale in buon accordo con le previ-sioni, rivelando anche il bump delle giganti prodotto dall’incontro della shell di combustione di Hcon la discontinuita prodotta dall’affondamento della convezione superficiale.

Page 164: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

23

Origine delle Figure

Fig.6.1 Iben I.Jr. 1964, ApJ 140, 1631Fig.6.2 Hagen G.L. 1970, ”An Atlas of Open Clusters CM Diagrams”, David Dunlap Obs. pub.4Fig.6.3 Alcock C., Paczynski B. 1978, ApJ 223, 244Fig.6.4 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 294, L31Fig.6.5 Hofmeister E., Kippenhahn R., Weigert A. 1964, Zeitschr. Astrophys. 59,242Fig.6.6 Castellani V. 1985, Fund. Cosmic Phys. 9, 317Fig.6.7 Chieffi A. 1984, inediti.Fig.6.8 Caputo F., Castellani V., D’Antona F. 1974, Astrophys. Space Sci,28, 303.Fig.6.10 Sosin C., Piotto G., Djorgovski S.G. et al 1997,”Advances in Stellar Evolution” , Cambridge Univ.Fig.6.11 Castellani V., 1976, A&A 48, 461.Fig.6.12 VandenBergh D.A. 1980, ApJS 51, 29Fig.6.13 Bertelli G., Bolton A., Chiosi C., Nasi E. 1979, A&AS 36, 429Fig.6.14 Cassisi S., Castellani V., Degl’Innocenti S., Salaris M., Weiss A. 1999, A&A 134,103Fig.6.15 Caputo F., Castellani V., D’Antona F. 1974, Astrophys. Space Sci,28, 303.Fig.6.16 Castellani V., Renzini A. 1968 Astrophys. Space Sci. 2, 83Fig.6.17 Cassisi S., Castellani V. 2004, ineditaFig.6.18 Castellani V., Paolicchi P. 1975, Astrophys. Space Sci. 35, 185Fig.6.19 Wagner R.L. 1974, ApJ 191, 173Fig.6.20 Castellani V. 1985, Fund. Cosmic Phys. 9, 317Fig.6.21 Mengel J.C., Sweigart A.V. 1981, ”Astrophysical Parameters for Globular Clusters”, IAU Coll. n.68Fig.6.22 Mengel J.C., Sweigart A.V. 1981, ”Astrophysical Parameters for Globular Clusters”, IAU Coll. n.68Fig.6.23 D’Antona F., Mazzitelli I. 1985, ApJ 296, 502Fig.6.24 Castellani V., D’Antona F. 1971, Mem. SAIt 42, 441

Fig.6.25 Zoccali M., Piotto G. 2000, A&A 358, 943

Page 165: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 7

Combustione dell’elio e fasi evolutiveavanzate: le piccole masse

7.1. Generalita sulle fasi di combustione dell’elio. Piccole masse, masseintermedie e grandi masse

Lo studio delle fasi avanzate di combustione di idrogeno in una shell ci ha portato a con-cludere che stelle con massa superiore o dell’ordine di ∼ 0.5 M riescono a raggiungere letemperature tipiche (∼ 108 K) per l’innesco delle reazioni 3α. In tali stelle, all’aumentare

Fig. 7.1. Traccia evolutiva di una stella di 3.0 M di Pop. 1, tipica di stelle al limite delflash dell’elio. L’asterisco indica la posizione dell’innesco dell’elio. L’evoluzione e seguita sinoall’esaurimento dell’elio al centro ed all’instaurarsi della combustione a doppia, shell. I tempi evo-lutivi delle varie fasi sono riportati in tabella 1. La luminosita L e in luminosita solari.

Tab. 1. Tempi evolutivi per la traccia in Fig. 7.1 (in 108 anni).

Punto t Punto t Punto t Punto t Punto t

2 1.39 6 2.44 10 2.489 14 2.56 18 3.193 2.24 7 2.47 11 2.498 15 2.78 19 3.234 2.34 8 2.479 12 2.507 16 2.94 20 3.265 2.40 9 2.484 13 2.53 17 3.07

1

Page 166: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

Fig. 7.2. Evoluzione della struttura interna di una stella di 5 M, Pop. I, dalla sequenza principalesino allo spengimento della sbell di idrogeno ed al secondo dredge up. il tempo t e in 10 7anni. Comein Fig. 6.5 sono indicate le zone di combustione e di convezione.

della massa il nucleo centrale di elio risulta sempre meno governato da fenomeni di degener-azione elettronica. Le valutazioni evolutive mostrano che stelle con massa maggiore di circaM ∼ 3M giungono ad innescare pacificamente l’elio in un nucleo centrale non degenere.

Indipendentemente dalle modalita dell’innesco, le fasi di combustione di elio riproduconoun’evoluzione strutturale per molti versi analoga a quella caratterizzante la combustionecentrale ed a shell dell’idrogeno. E’ innanzitutto da notare come, a causa della elevatadipendenza della reazione 3a dalla temperatura, la combustione centrale di elio induce inogni caso la formazione di un nuovo nucleo di convezione. Le strutture che avevano raggiuntola loro traccia di Hayashi reagiscono alla presenza della nuova sorgente centrale di energiatendendo a distaccarsi dalla traccia, ritornando verso maggiori temperature effettive, cioeverso il luogo caratteristico delle combustioni centrali.

Stelle di massa sufficientemente elevata (M ≥ 7M) continuano ad evolvere con ungraduale e contenuto aumento di luminosita. Al decrescere della massa si manifesta semprepiu evidente una tendenza dei modelli a doppia sorgente di energia (He centrale ed H inshell) a collocarsi a luminosita inferiori a quelle raggiunte al momento dell’innesco dell’elio.La Fig. 7.1 riporta in maggiori dettagli l’evoluzione del modello di 3 M di Fig. 6.1 chemostra chiaramente tale caratteristica. La tabella 1 riporta i tempi evolutivi delle relativefasi.

La diminuzione di luminosita conseguente all’instaurarsi della doppia sorgente di energiaprosegue e risulta esaltata in stelle di piccola massa che subiscono il flash dell’elio. Da oltre1.000 luminosita solari, tipiche del flash, esse discendono a meno di 100, collocandosi alleluminosita tipiche della fase di ramo orizzontale negli ammassi globulari (→ A7.2). Faseche avevamo gia interpretato, in base al principio di ragion sufficiente, come quella dellacombustione dell’elio. Si puo interpretare questo scenario come un’evidenza che la presenzadi una relazione massa del nucleo degenere - luminosita spinge la stella verso luminositaabnormi. Rotta la degenerazione, la struttura si riassesta sulle luminosita naturali per unastruttura non degenere.

Per ogni massa, all’esaurimento dell’elio centrale segue l’innesco della reazione 3α nellashell ricca di elio contornante un nucleo di carbonio-ossigeno, e la stella tende nuovamente aricollocarsi lungo la sua traccia di Hayashi. E’ in questa fase che si manifesta una ulteriorebiforcazione nella storia evolutiva delle stelle. Abbiamo gia definito come ”piccole masse”tutte quelle strutture che innescano la 3α in un nucleo di He degenere e, quindi, con unflash. Tenendo presente che il progredire dell’evoluzione tende a favorire l’insorgere della

Page 167: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

Tab. 2. La classificazione evolutiva delle strutture stellari.

Innesco H Innesco He Innesco C

M≤ 0.1M Nane Brune Mancato - -0.1M ≤M≤ 3M Piccole Masse Quiescente Degenere Mancato3M ≤M≤ 8M Masse Intermedie Quiescente Quiescente Mancato8M ≤M≤ 11M Masse Intermedie Quiescente Quiescente Degenere

11M ≤M Grandi Masse Quiescente Quiescente Quiescente

degenerazione elettronica, non sorprende trovare che al termine della combustione di Hetutte le piccole masse sviluppano un nucleo di CO fortemente degenere.

Al di sopra del limite delle piccole masse troviamo un intervallo di masse, orientativam-nete tra le 3 e le 11 M, caratterizzato da strutture che innescano l’idrogeno in manieraquiescente al centro di un nucleo non degenere, ma che al termine della combustione di Hesviluppano nuclei di CO degeneri. Tali strutture, designate con il termine di ”masse inter-medie”, in larga parte condivideranno con le piccole masse il destino comune di nana bianca.Caratteristico di queste masse il secondo dredge up: nella fase di combustione a doppia shellla convezione esterna affonda e , finisce col raggiungere ed intaccare piu o meno profonda-mente il nucleo di elio, trasportando in superficie i prodotti delle precedenti combustioni(Fig. 7.2) .

Masse ancora superiori, le ”grandi masse”, innescheranno invece la combustione del car-bonio in un nucleo di CO non degenere, giungendo a completare l’intera catena di reazionisino alla fotodisintegrazione del ferro. Si giunge cosı ad una classificazione altamente signi-ficativa, basata sulle caratteristiche evolutive delle strutture, che si sovrappone e sostituiscela suddivisione in strutture della MS superiore o inferiore il cui valore resta limitato alle strut-ture della Sequenza Principale ed alle loro modalita di uscita dalla MS stessa. La Tabella2 riassume schematicamente tale classificazione, riportando a titolo orientativo l’indicazionedi limiti di massa che peraltro dipendono, talora sensibilmente, dalla composizione chimicaoriginaria.

7.2. Combustione centrale di He: Trascinamento del nucleo convettivo esemiconvezione indotta

Una volta innescato l’elio,sia in maniera quiesente o attraverso un flash, nella fase di combus-tione quiescente la stella brucia 4He in C e O in un nucleo convettivo non degenere, internoad un piu esteso nucleo di elio. Tale nucleo e infine circondato da un inviluppo ancora riccodell’idrogeno originale, mentre sul bordo del nucleo di elio e ancora efficiente una shell dicombustione dell’idrogeno. Al progredire dell’evoluzione He viene trasformato in C + O,omogeneamente ridistribuiti nella zona convettiva. In combustione di idrogeno il prodottodi combustione, l’elio, aveva opacita minore dell’idrogeno, e da cio discendeva la progressivadiminuzione in massa dei nuclei convettivi. In combustione di elio la situazione e radical-mente diversa, perche carbonio ed ossigeno hanno opacita maggiore (Fig. 7.3). Questo daraluogo ad una crescita del nucleo attraverso meccanismi che richiedono di essere discussi conqualche dettaglio.

Come esemplificato in Fig. 7.4, nel modello iniziale il nucleo di elio e ancorasostanzialmente omogeneo, ed il gradiente radiativo decresce regolarmente dal centro versol’esterno, raggiungendo e superando il bordo della convezione, definito dalla condizione diSchwarzschild ∇rad = ∇ad. Al progressivo incremento delle abbondanze di C e O, au-menta l’opacita e aumenta di conseguenza il gradiente radiativo nel nucleo convettivo ,mentre nella zona esterna di elio non raggiunto dalla convezione opacita e gradiente restano

Page 168: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

Fig. 7.3. Opacita di He, C ed O per distribuzioni di densita e temperatura caratteristiche delnucleo di una stella di piccola massa in fase di combustione centrale di elio.

sostanzialmente inalterati, e la zona resta pertanto formalmente stabile e in equilibrio ra-diativo. Applicando indiscriminatamente tale criterio, al bordo della convezione si verrebbeprogressivamente a creare una discontinuita del gradiente radiativo, collegata alla disconti-nuita in composizione chimica, con il gradiente radiativo che al limite della convezione crescea valori sempre piu superadiabatici.

E’ facile verificare come tale situazione, pur verificando formalmente il criterio diSchwarzschild, sia sostanzialmente da rigettare da un punto di vista fisico. Basta infattiricordare come debba esistere un sia pur contenuto overshooting della zona convettiva percomprendere come tale overshooting, portando C + O all’esterno, tenda ad estendere irre-versibilmente il confine della convezione, operando istante per istante a partire dal nuovoconfine. Il confronto tra i tempi della convezione (tempi scala meccanici) ed i tempi evolutivi(tempi scala nucleari) mostra che se anche l’estensione dell’overshooting e - come abbiamoassunto - tracurabile, la propagazione di tale meccanismo di autotrascinamento del nucleoconvettivo deve risultare pienamente efficiente.

Se, a titolo di esempio, assumiamo tempi scala della convezione dell’ordine del mese,risulta che in un passo temporale di 1 milione di anni l’overshooting riesce in linea di principioa propagarsi per 107 volte la sua estensione. L’unica situazione stabile e accettabile e quindiquella nella quale il nucleo si a esteso sino a verificare il criterio di eguaglianza ∇rad =∇ad sulla faccia interna della superficie di separazione tra convezione e stabilita radiativa,condizione nella quale viene a cessare il meccanismo di autotrascinamento. (Fig.7.5).

La situazione diviene piu complessa allorquando, al progredire delle dimensioni del nu-cleo, si giunge ad una fase nella quale il gradiente radiativo corrispondente alla miscelaricca di C + O, al crescere delle dimensioni del nucleo presenta un minimo oltre il qualetende a ricrescere e le prescrizioni in precedenza adottate per definire le dimensioni delnucleo convettivo non sono piu utilizzabili. Si puo comprendere lo sviluppo di una tale situ-azione partendo dall’ultimo modello accettabile, nel quale il limite del nucleo convettivo -secondo le precedenti prescrizioni - e giusto al minimo del gradiente e supponendo di evol-vere temporalmente la situazione lasciando innalzare C + O nel nucleo e quindi creando unsovragradiente ai bordi del nucleo medesimo (Fig. 7.6 : a). Una tale situazione, instabile,dovr evolvere dinamicamente secondo le seguenti fasi

1. l’overshooting ai bordi del nucleo estendera la convezione, trasportando contemporanea-mente elio dall’esterno e abbassando cosi il gradiente in tutto il nucleo (Fig. 7.6: b).

2. Al progredire di questo rimescolamento il gradiente finira col verificare la condizione adi-abatica non al bordo del nucleo convettivo ma in corrispondenza del minimo di gradiente(b). La convezione al minimo non e piu efficiente e la zona convettiva interna ed esternaal minimo si disaccoppiano.

Page 169: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Fig. 7.4. La crescente discontinuit del gradiente radiativo ai limiti del nucleo convettivo quandosi trascuri l’instabilita indotta dall’overshooting. Le varie curve sono contrassegnate dal valore Ydel contenuto di elio nel nucleo convettivo di una stella in fase di combustione centrale di elio. Y∼1rappresenta la situazione del modello iniziale.

Fig. 7.5. Andamento schematico dei gradienti al limite del nucleo convettivo:(a) nel caso di unacrescente discontinuita e (b) nella situazione stabile .

3. L’overshooting resta efficiente a causa della sovradiabaticita al bordo esterno, ma e ingrado di trasferire elio solo nella zona esterna al minimo, e di trasferirlo per ogni zonasinche l’elio non ha abbassato il gradiente radiativo sull’ adiabatico inibendo la convezione(Fig. 7.6: c).

Il processo termina quando, continuando ad inibire la convezione alle sue spalle, il bordodella convezione inibisce se stesso, e si raggiunge una situazione stabile che puo essere cosidescritta: un nucleo convettivo estendentesi sino al minimo del gradiente, e regolato dallacondizione che al minimo stesso si raggiunga la condizione di adiabaticita, circondato dauna zona a gradiente chimico nella quale il rapporto He/(C+O) e punto per punto taleda garantire la neutralita convettiva (∇rad = ∇ad) della zona (zona semiconvettiva). Alprogredire dell’evoluzione l’effetto combinato della convezione e dei rimescolamenti tendein continuazione a ristabilizzare la struttura sulla situazione precedentemente descritta, che

Page 170: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 7.6. Schema esplicativo dello sviluppo del processo di semiconvezione.

Fig. 7.7. Distribuzione dell’abbondanza di elio per varie fasi al progredire della combustionedell’elio. La freccia indica gli effetti del trascinamento. La linea a tratti mostra la tipica distribuzionedell’elio in fase di avanzata combustione in assenza di overshooting.

e la prescrizione utilizzata in molti calcoli evolutivi. La. Fig. 7.7 mostra l’evoluzione delladistribuzione interna di He nei due casi.

La zona a gradiente chimico che contorna il nucleo convettivo e stata definita ”semi-convettiva” perche ancora una volta siamo in presenza di una convezione che tende adautoinibirsi, non giungendo al completo rimescolamento degli strati inizialmente instabili.Si noti peraltro che il meccanismo che genera la semiconvezione in combustione di eliorisulta sostanzialmente diverso da quello che produce la semiconvezione che abbiamo in-contrato al termine della combustione centrale di idrogeno nelle grandi masse. In quel casol’instabilita convettiva originava spontaneamente nella struttura, nel caso dei nuclei di elioe invece prodotta dal meccanismo di avanzamento dell’overshooting. Per tale ragione pareopportuno designare questo secondo caso con il termine di semiconvezione indotta.

Page 171: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 7.8. Traccia evolutiva, di una stella di 0.6 M con composizione chimica dell’inviluppoY=0.27, Z=10−3 durante la fase di combustione centrale dell’elio. Il cerchietto indica il primomodello di combustione quiescente a dppia sorgente di energia che segue al flash dell’elio. Percomparazione e riportata anche la traccia evolutiva dello stesso modello calcolata in assenza diovershooting e semiconvezione. E’ assunta una massa iniziale del nucleo di He M = 0.468M. Latraccia senza oversbooting e spinta oltre l’esaurimento dell’elio centrale che avviene attorno a logTe∼3.7, logL ∼ 1.9.

La prevedibile conseguenza dell’efficienza di autotrascinamento e semiconvezione e ilprolungamento temporale della fase di combustione di elio centrale: ambedue i meccanismicontribuiscono infatti a portare nuovo elio nelle regioni di efficienza della 3α, prolungandoneconseguentemente l’efficienza. Viene conseguentemente prolungata anche la traccia evolutiva,come esemplificativamente mostrato in Fig. 7.8 nel caso di una stella di piccola massa. Lafigura mostra come l’effetto dell’overshooting e della semiconvezione sia essenzialmente quellodi estendere l’intervallo di temperature efficaci coperto durante l’evoluzione. In ogni caso lastruttura evolve mantenendosi in un ristretto intervallo di luminosita, in qualitativo accordocon l’evidenza piu volte menzionata delle fasi di ramo orizzontale nei vecchi ammassi diPopolazione II.

Durante la combustione centrale di elio la direzione di evoluzione risulta regolata daleggi che sono in qualche maniera speculari rispetto a quelle che reggono la collocazione delmodello nel diagramma HR. L’evoluzione strutturale e infatti caratterizzata da un continuo eregolare spostamento della produzione di energia dalla shell di combustione dell’idrogeno allacombustione centrale dell’elio. Sinche la shell di idrogeno predomina, la stella evolve versomaggiori temperature efficaci. Quando infine la combustione centrale prende il controllo dellaproduzione di energia il cammino evolutivo si inverte e la stella tende ad evolvere in direzionedella zona delle giganti. Pur se nella intera fase di combustione di elio centrale le temperaturecentrali risultano in continuo aumento, la prima fase di combustione e caratterizzata dauna espansione del nucleo e da un conseguente regolare decremento dei valori delle densitacentrali, andamento che nelle piu avanzate fasi di combustione si inverte per tornare alregolare aumento di ambedue temperatura e densita centrali.

7.3. Stelle di piccola massa: perdita di massa, ZAHB ed evoluzione di ramoorizzontale

Nel seguito rivolgeremo inizialmente l’attenzione al problema dell’evoluzione in fase di com-bustione di elio per stelle di piccola massa. Tale scelta e suggerita da due ordini di argomenti:il primo e principale e che esaurienti evidenze osservative per stelle in fase di combustionedi elio nella nostra Galassia sono di fatto reperibili solo in sistemi antichi come gli ammassiglobulari. Cio discende non tanto da caratteristiche evolutive quanto dalle proprieta degliammassi stellari delle diverse popolazioni galattiche. Tenendo presente che la fase di com-bustione di elio ha tempi caratteristici di circa due ordini di grandezza inferiori a quellidella fase di combustione dell’idrogeno, e tenendo presente che in un ammasso oltre alle

Page 172: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Fig. 7.9. Tracce evolutive nel diagramma HR di struttre in fase di combustione di elio per duediverse assunzioni sulla massa del nucleo di He Mc e al variare della massa totaale. Le linee a puntimostrano, per ogni Mc, la collocazione dei modelli iniziali

stelle evolventi fuori sequenza esistono molte altre stelle ancora in fase di combustione diidrogeno, si puo orientativamente stimare, anche se molto rozzamente, di poter osservare infase di combustione di He circa una stella su 103.

Essendo gli ammassi di disco caratterizzati al piu da qualche migliaio di stelle, ci si aspettadi trovare in fase di elio pochissime stelle, dalle quali e difficile ottenere relazioni statisti-camente rilevanti. Ben diverso e il caso di un ammasso globulare, nel quale l’abbondantepopolazione stellare consente di rivelare centinaia di stelle in tale fase evolutiva, fornendoun campione rilevante sul quale operare confronti con le teorie evolutive. A questo fatto sideve aggiungere che la possibilita di ottenere informazioni sui parametri evolutivi di stelleche appartengono alla lontana storia dell’alone galattico e certamente un eccitante obiettivonel contesto delle ricerche sulla storia del nostro Universo.

Abbiamo gia indicato come il cammino evolutivo di una stella di piccola massa in fasedi doppia combustione (He centrale + shell di idrogeno) si collochi confortabilmente nellazona del diagramma HR nel quale si osserva la cosiddetta fase di ”Ramo Orizzontale”.Molto meno confortabilmente non si tardo a riconoscere che alcuni ammassi globulari dellaGalassia presentano rami orizzontali con un’estensione in temperatura molto maggiore diquella ottenibile in base alle tracce evolutive susseguenti al flash. Tracce che - per unagia citata regola - devono coincidere con l’isocrona. Lo scenario teorico richiede quindi unqualche perfezionamento e modifica. Le modalita di una tale modifica vengono suggeritedall’evidenza osservativa (righe di emissione) che mostra come nelle Giganti Rosse luminosesiano efficienti meccanismi di perdita di massa. Possiamo quindi sospettare che un ulterioreparametro, la perdita di massa, regoli la distribuzione delle stelle lungo il Ramo Orizzontale.

Un approccio topologico alle proprieta dei modelli di ramo orizzontale puo chiarire lasituazione, confortando l’intervento della perdita di massa. Osserviamo che, per ogni pre-fissata composizione chimica, un modello nella sua fase iniziale d combustione di elio alcentro resta identificato da due parametri Mc = Massa del nucleo di He, M = massa to-tale della stella, M-Mc rappresentando ovviamente la massa dell’inviluppo ricco di idrogeno.Integrando una serie di modelli utilizzando Mc e M come parametri liberi si ottiene che latopologia dei modelli e regolata da una semplice relazione, secondo la quale (Fig. 7.9) perogni prefissata composizione chimica dell’inviluppo e per ogni prefissata massa del nucleo dielio, al variare della massa, le stelle si dispongono lungo una sequenza sensibilmente orizzon-tale; minore e la massa totale maggiore e la temperatura efficace della stella. Le origini diuna tale comportamento sono facilmente comprensibili: minore la massa totale, minore (aparita di Mc) e la massa dell’inviluppo, e quindi piu esterna, piu fredda e meno efficiente e

Page 173: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

Fig. 7.10. ZAHB teoriche valutate per diverse assunzioni sull’abbondanza iniziale di elio, as-sumendo Z= 10−4 ed un’eta di 10 Gyr. Lungo le sequenze sono riportati le masse totali dei varimodelli,in masse solari e le masse evolutive dei nuclei di elio.

la shell di idrogeno, e piu la stella deve allontanarsi dalla traccia di Hayashi per avvicinarsialla sua posizione sulla sequenza principale di elio.

Dai dati in Fig. 7.9, che coprono gli attesi valori evulutivi dei nuclei di He al flash, siricava non solo la capacita della perdita di massa di distribuire le strutture lungo un RamoOrizzontale, ma anche che le masse richieste per coprire bracci estesi risultano sensibilmenteinferiori alle masse originarie di 0.8, 0.9 M attese per Giganti Rosse con eta dell’ordinedi 10 Gyr. E’ oggi universalmente riconosciuto che una dispersione nei valori di perdita dimassa e all’origine della osservata distribuzione delle stelle di Ramo Orizzontale, cosi che lesequenze di Fig.7.9 vengono a rappresentare il luogo del diagramma HR ove ci si attende chepossano andare a collocarsi le stelle all’inizio della combustione quiescente di elio centrale alvariare della perdita di massa, e prendono il nome di Rami Orizzontali di Eta Zero (ZAHB= Zero Age Horizontal Branch).

Si noti come la perdita di pochi decimi di massa solare, quali necessari per popolare ilRamo Orizzontale, hanno effetti trascurabili sulle caratteristiche delle Giganti Rosse, stantela ridotta dipendenza della traccia di Hayashi dalla massa stellare. I tempi evolutivi diGigante Rossa diventano inoltre minori dei tempi scala termodinamicidel nucleo interno dielio, cosi che la perdita di massa e le conseguenti modifiche dell’inviluppo stellare finisconocol non influenzare la struttura interna. In conclusione, la postulata perdita di massa infase di Gigante Rossa ha possibilita di manifestarsi nel diagramma HR solo all’avvento dellasuccessiva fase di combustione centrale di elio.

Al di la di esperimenti numerici quali quelli di Fig.7.9, il calcolo di strutture di HBrichiederebbe in linea di principio che per ogni assunta composizione chimica originariavenga seguita l’evoluzione delle stelle introducendo opportune valutazioni della perdita dimassa lungo il Ramo delle Giganti, seguendo la struttura attraverso il flash dell’He sinoalla suuccessiva fase di combustione quiescente. A causa dell’onerosita dei relativi calcolinumerici, per ricavare il modello di ZAHB e largamente utilizzata una procedura alternativaestremamente semplificata.

Tale procedura consiste nel determinare, attraverso acconci calcoli evolutivi, per ogniassunta composizione chimica ed eta la massa delle giganti al flash e la relativa massa delnucleo di elio. Saltando la fase del flash, i relativi modelli di ZAHB vengono direttamentecostruiti come strutture di equilibrio sorrette nuclearmente, costituite da un nucleo di eliodella massa evolutivamente prefissata e con la massa dell’inviluppo come parametro libero,con la ovvia condizione che la somma delle masse del nucleo e dell’inviluppo sia minore oal piu eguale alla massa originale della struttura. Si tiene conto della nucleosintesi del flashassumendo che il 5% dell’elio del nucleo si sia trasformato in C, mentre si dovra anche tener

Page 174: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Tab. 3. Parametri evolutivi per un modello di 0.65 M, Z=0.001, Yorig =0.23,Yinv =0.243,Mc=0.4942 in fase di combustione di He. Sono riportati, nell’ordine, l’eta del modello (in mil-ioni di anni dal primo modello), l’abbondanza centrale di He, luminosita, temperatura efficace,temperatura e densita centrali, la frazione di luminosita prodotta dal CNO o dalla 3α, la massa delnucleo di He e di quello di CO in masse solari.

Fase t Yc logL logTe logTc logρc LCNO LHe MHe MCO

Equilibrio 0.193 0.95 1.620 3.851 8.073 4.271 0.560 0.466 0.494 -

ZAHB 1.000 0.93 1.652 3.813 8.072 4.278 0.519 0.425 0.494 -He centrale 3.453 0.90 1.661 3.802 8.074 4.276 0.518 0.430 0.494 -

11.567 0.80 1.670 3.801 8.079 4.267 0.503 0.465 0.495 -22.386 0.70 1.664 3.830 8.086 4.246 0.451 0.511 0.499 -34.495 0.60 1.648 3.869 8.093 4.225 0.370 0.593 0.503 -46.640 0.50 1.638 3.892 8.101 4.210 0.290 0.675 0.505 -58.602 0.40 1.636 3.900 8.111 4.202 0.219 0.751 0.507 -70.348 0.30 1.644 3.894 8.123 4.202 0.163 0.813 0.509 -81.606 0.20 1.663 3.877 8.138 4.215 0.128 0.852 0.510 -95.544 0.10 1.708 3.830 8.163 4.258 0.106 0.879 0.511 -

100.997 0.05 1.742 3.796 8.185 4.316 0.137 0.845 0.512 -105.083 0.01 1.800 3.751 8.214 4.409 0.238 0.735 0.512 -107.055 0.00 1.900 3.719 8.251 4.544 0.431 0.498 0.513 -107.384 0.00 1.990 3.702 8.268 4.694 0.595 0.040 0.513 -107.399 0.00 1.999 3.701 8.267 4.713 0.601 0.037 0.513 -

He shell 107.647 - 2.188 3.682 8.278 4.948 0.707 0.116 0.513 0.204107.767 - 2.233 3.678 8.274 5.006 0.712 0.284 0.513 0.224109.018 - 2.118 3.689 8.192 5.170 0.357 0.636 0.513 0.257111.351 - 2.166 3.684 8.163 5.311 0.225 0.766 0.517 0.294114.378 - 2.296 3.673 8.147 5.841 0.036 0.963 0.518 0.349116.915 - 2.498 3.658 8.130 5.657 0.013 0.975 0.518 0.394118.605 - 2.705 3.644 8.105 5.856 0.074 0.899 0.519 0.446119.085 - 2.800 3.638 8.088 5.931 0.276 0.693 0.520 0.462119.685 - 3.004 3.624 8.055 6.036 0.651 0.328 0.524 0.483119.685 - 3.004 3.624 8.055 6.036 0.651 0.328 0.524 0.483

1o maxL 119.907 - 3.104 3.618 8.040 6.074 0.774 0.217 0.526 0.488

conto della variazione di composizione chimica dell’inviluppo causata dal primo ”dredge up”.Per ottenere il corretto modello di ZAHB si lascia infine rilassare la struttura per ∼ 106 anniper raggiungere l’equilibrio degli elementi CNO nella shell di combustione di idrogeno, oranotevolmente piu estesa che nelle precedente struttura di RG.

La Fig. 7.10 mostra una serie di ZAHB teoriche evolutive calcolate assumendo una metal-licita Z=10−4 per diversi valori dell’elio originario Y. I dati in figura si prestano ad una seriedi interessanti considerazioni. Si riscontra innanzitutto che la massa del nucleo di elio alflash diminuisce all’aumentare del contenuto originario di elio. Cio e in buon accordo conla regola generale che vuole all’aumentare di Y (del peso molecolare) strutture piu calde(e piu luminose) che sfuggono quindi prima al controllo della degenerazione. Dalla Fig. 7.9si ricava che per ogni fissata temperatura efficace la luminosita di una struttura di HBcresce all’aumentare della massa del nucleo di elio, in accordo con le attese di una gener-ica relazione massa-luminosita. La Fig.7.10 mostra peraltro che all’aumentare dell’elio, per

Page 175: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

Fig. 7.11. Contributi parziali allaluminosita totale dueante le fase di esaurimento dell’He centralee il passagio alla combustione di He in shell. Tempi in milioni di anni dal flash.

temperature efficaci minori o dell’ordine di 104 K le ZAHB hanno luminosita che aumentanoall’aumentare dell’elio anche se la massa del nucleo di elio diminuisce.

Cio indica che la luminosita della stella e dominata dalla combustione a shelldell’idrogeno, tanto piu efficiente quanto piu ricca di elio e calda risulta la struttura:all’aumentare del contenuto di elio la produzione di energia della shell compensa e superala perdita di energia della combustione di elio nel nucleo, innalzando in totale la produzionedi energia. Al diminuire della massa dell’inviluppo diminuisce l’efficienza della shell e talegerarchia di contributi deve necessariamente scomparire. Al limite di stelle prive di inviluppoe sorrette quindi dalla sola combustione dell’elio centrale, la luminosita deve risultare pro-porzionale alla massa della stella di elio. Questo spiega l’incrociarsi delle ZAHB attorno alogTe ∼ 4.2 - 4.3: al di sopra di quelle temperature efficaci e ormai il nucleo che domina,imponendo la sua relazione massa luminosita.

Le tipiche tracce evolutive di piccole masse in combustione di elio sono gia riportate nelleprecedenti figure 7.8 e 7.9. La Tabella 3 riporta a titolo di esempio l’evoluzione in fase dicombustione di elio dei piu rilevanti parametri di struttura per una tipica stella di RamoOrizontale in ammassi globulari di metallicita intermedia, quali M3 o M5. Limitandosi peril momento ad esaminare solo la fase di combustione centrale di He e facile verificare neidati in Tabella tutta una serie di gia discusse caratteristiche evolutive, quali ad esempio, labilanciata evoluzione dei contributi relativi delle combustioni di H ed He ed il corrispondenteandamento della traccia evolutiva nel diagramma HR.

7.4. Stelle di piccola massa: esaurimento dell’elio centrale.Ramo asintotico

La fase di esaurimento dell’elio centrale e complicata dall’apparizione di una instabilita che estata oggetto di molte indagini volte in particolare a decidere se si trattasse di fenomeno realeo di mera instabilita numerica di calcolo. Da un punto di vista generale l’origine fisica di taleinstabilita e rapidamente comprensibile, quando si tenga presente che nel meccanismo dellasemiconvezione, come descritto in precedenza, l’estendersi della semiconvezione ed il con-seguente richiamo di elio ”fresco” verso le zone convettive centrali contribuiva a stabilizzarela zona grazie alla diminuzione di opacita. In tale descrizione si e implicitamente assuntoche il contemporaneo effetto sull’efficienza delle reazioni nucleari fosse piccolo rispetto almeccanismo di opacita.

Cio non puo piu essere vero nella fase di esaurimento dell’He, quando l’abbondanza dielio centrale si e ridotta al punto che anche un modesto ingresso di elio si traduce in unasensibile variazione percentuale nell’abbondanza di tale elemento. Ne segue un aumento diluminosita e, conseguentemente, del gradiente radiativo che finisce col produrre una serie diviolenti pulsi di convezione noti in letteratura con il termine di breathing pulses. Al riguardo

Page 176: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 7.12. Tracce evolutive per stelle di varia massa durante le fase di combustione centrale di Hee nella successiva evoluzione a doppia shell lungo il Ramo Asintotico .

Fig. 7.13. Andamento temporale della luminosita per i modelli di Fig. 7.12 .

si e andato diffondendo l’orientamento generale di riguardare tale fenomeno come spurio,eliminandolo con varie tecniche dalla modellistica. Pur se il problema attende un definitivochiarimento, noi nel seguito seguiremo tale orientamento, rimandando agli approfondimentiper una piu dettagliata descrizione del fenomeno.

Cio premesso, l’esame dei dati in tabella 3 mostra con sufficiente chiarezza i meccan-ismi del passaggio dalla combustione centrale di He alla combustione a shell dello stessoelemento, descritto con maggiori dettagli nella Fig. 7.11. All’esaurimento dell’elio centraleviene inizialmente a mancare il contributo delle reazioni 3α e l’energia viene supplita inparte dalla conseguente contrazione ed in parte dalla shell di idrogeno che viene spintaad aumentare la sua efficienza. All’innesco della combustione di He nella shell circondanteil nucleo di CO svanisce il contributo gravitazionale e ne segue la stabilizzazione in duecombustioni a shell quiescenti.

La Fig. 7.12 riporta le tracce evolutive di una serie di modelli di varia massa, seguitidall’inizio della combustione centrale di elio sino alle fasi avanzate di combustione a shellche precedono la fase di pulsi termici (vedi oltre). La freccia in figura mostra il minimo rel-ativo in luminosita che segnala l’innesco della shell di He. Le caratteristiche dell’evoluzionesono ulteriormente chiarite nella Fig. 7.13 che riporta l’andamento temporale della lumi-nosita dei vari modelli. La stella spende la sua fase di combustione centrale nei pressi dellasua luminosita di ZAHB e solo al termine di tale fase si sposta rapidamente verso la suatraccia di Hayashi innalzando contemporaneamente la luminosita. L’innesco della shell diHe e segnalato da un minimo relativo nella luminosita, dopo il quale la stella imizia la suaascesa lungo il ”Ramo Asintotico”,aumentando progressivamente la sua luminosita mentre

Page 177: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

si sviluppa un nucleo degenere di Carbonio ed Ossigeno che tende sempre piu a raffreddarsia causa della crescente efficienza della produzione di neutrini.

Nella fase di Ramo Asintotico (AGB) si riproduce quindi la situazione gia discussa perle Giganti Rosse: l’evoluzione naturale prevista dal viriale e per cosi dire ”bloccata”, e lestrutture sono costrette a permanere nella fase di combustione a shell, aumentando ora concontinuita la massa del nucleo di CO. Nel caso di giganti rosse di massa maggiore di ∼0.5 M interveniva il flash dell’elio a risolvere la situazione. Ora invece il nucleo di CO efortemente e definitivamente degenere e la combustione a shell dovra proseguire accrescendolentamente la massa del nucleo stesso.

La Fig. 7.11 mostra come l’evoluzione lungo l’AGB sia caratterizzata da un progressivoprevalere della combustione dell’elio (come gia e avvenuto nelle fasi di combustione centraledi elio); la shell di H finisce con lo spengersi e la shell di He resta l’unica sorgente d energaefficiente nella struttura. Poiche una shell efficiente rappresenta un limite invalicaabile per laconvezione, lo spengimento della shell di H consentirebbe in linea di principio alla convezionesuperficiale di affondare nel nucleo di He. Le stelle di piccola massa ”mancano” peraltroil secondo ”dredge up” che abbiamo descritto nella discussione generale all’inizio di questocapitolo. Pur a shell di idrogeno spenta, la convezione superficiale non giunge mai a superarela discontinuita He-H, talche il nucleo di elio che caratterizza le strutture di ramo asintoticoe e resta quello ai momento dello spengimento della shell di H o, in pratica, quello ereditatodalla fase di combustione di elio centrale.

Notiamo infine che, a somiglianza di quanto gia osservato nel caso di combustione a shelldi idrogeno, appare esistere una relazione tra la luminosita della struttura e la massa delnucleo degenere:

L ∼ 104(MCO − 0.5)

con la luminosita L e la massa del nucleo degenere MCO misurate in unita solari.

7.5. I Pulsi termici e il terzo dredge up

Una struttura di Ramo Asintotico e composta da un nucleo di CO degenere, contornato dastrati di He a loro volta circondati dall’inviluppo ancora ricco di idrogeno. Poco dopo lasua accensione, la shell di combustione di He prende il sopravvento e la piu esterna shell dicombustione dell’idrogeno si spenge. Da questo momento l’evoluzione strutturale consisterain un progressivo aumento della massa del nucleo degenere di CO, mentre la situazione alpassaggio He-H resta congelata causa l’assenza di reazioni nucleari di fusione dell’idrogeno.Come gia nel caso delle Giganti Rosse il nucleo degenere cresce in massa ma diminuisce inraggio. Ragionando peraltro in termini della variabile Mr potremo dire che il nucleo si spostaa valori sempre maggiori di tale parametro, a spese dei circostanti strati di elio che vengonoprogressivamente trasformati in CO e inglobati nel nucleo.

In tale progressivo aumento, il nucleo degenere finisce necessariamente col trovarsi semprepiu prossimo al inviluppo ricco di idrogeno. Quando la distanza (in massa) si riduce a pochicentesimi di massa solare inizia a riaccendersi la shell di idrogeno, riaccensione segnalata daun massimo relativo nell’andamento della luminosita col tempo. Segue nel tempo una sortadi instabilita nota come ”pulsi termici” da cui, tra l’altro, ci si puo attendere il trasporto insuperficie di prodotti di combustione dell’elio. Con l’apparizione dei pulsi termici ha fine lafase indicata in letteratura come evoluzione di ”early AGB”.

Per comprendere il meccanismo di tale instabilita occorre partire dall’evidenza che in-evitabilmente la shell di combustione 3α, che implica una temperatura dell’ordine di 108 K,si avvicina progressivamente al limite del nucleo di elio ove la shell di idrogeno e inefficiente,il che a sua volta implica temperature molto minori. Poiche all’interno della struttura non

Page 178: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

Fig. 7.14. Diagramma schematico illustrante il meccanismo di innesco dei pulsi termici. I simbolipieni rappresentano combustioni a shell attive, quelli aperti shell spente. Alla penultima riga eindicata l’accensione a flash della shell di elio.

possono sussistere gradienti di temperatura infiniti, ne segue che all’avvicinarsi delle dueshell le rispettive temperature devono avvicinarsi. Cio che avviene e che la shell di elioprogressivamente si raffredda perdendo efficienza fino a spengers. La struttura inizia nelfrattempo una fase di contrazione che ha l’effetto di riaccendere la shell di idrogeno e lastella esperimenta una fase quiescente di idrogeno in shell.

In Fig. 7.14 e riportato un diagramma schematico illustrante la catena di avvenimentiche ne seguono e che conducono alla instabilita di pulso termico. La riaccensione dellashell di idrogeno mette infatti in opera un meccanismo che tende ad accumulare nuovo eliosopra la vecchia shell 3α, rimuovendo le cause della sua inefficienza. In effetti il progressivoavanzamento della shell di idrogeno ricostruisce progressivamente un’ ”intercapedine” dielio tra le due shell, finendo con l’indurre un’innalzamento di temperatura sulla shell 3αche si riaccende improvvisamente con un flash. Dopo tale fase parossistica, si instaura unacombustione quiescente di elio mentre la shell di idrogeno si e nuovamente spenta.

Si comprende facilmente come un tale processo si ripresenti iterativamente:l’avanzamento della shell 3α finisce col trasformare in CO l’intercapedine di He e la shell 3αsi dovra nuovamente spengere provocando la riaccensione della shell d idrogeno e la riedi-zione del ”pulso termico”. Un tale processo e comune a tutte le stelle con combustione dielio in una shell circondante un nucleo degenere. Il numero di pulsi e la durata di un singolopulso dipendono invece dalla massa della struttura: all’aumentare della massa si passa dapochi pulsi con durata sino a milioni di anni a migliaia di pulsi con durate dell’ordine di 103

-104 anni.L’intera fase di combustione a shell di elio puo quindi essere cosı riassunta:

1. All’esaurimento dell’elio centrale si instaura la combustione a shell di elio e si spenge lashell di idrogeno. Gli strati di elio vengono progressivamente trasformati in CO. Questafase (early AGB) termina quando praticamente tutto l’elio e andato in CO e la stella ecomposta da un relativamente microscopico (in raggio) nucleo di CO degenere al centrodi un esteso inviluppo idrogenoide.

2. L’insorgere dei pulsi termici ha l’effetto di trasformare iterativamente gli strati diidrogeno che circondano il nucleo prima in He e poi in CO: un processo in due passiche ha l’effetto globale di trasformare H in CO e attraverso il quale il nucleo degenerecontinuera a crescere in massa sino, potenzialmente, ad invadere l’intera struttura.

La teoria pone peraltro un limite superiore alla massa del nucleo degenere (limite diChandrasekhar), pari a circa 1.4 M. (vedi oltre). Ove si raggiunga tale limite la pressione

Page 179: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

Fig. 7.15. Traccia evolutiva nel diagramma HR delle fasi di combustione di elio per un modellodi 0.6 M e composizione chimica iniziale Y=0.25, Z=10−3. I cerchietti pieni indicano l’inizio diun pulso e l’escursione durante il pulso e mostrata per i pulsi 7, 9 e 10. Lungo la traccia in us-cita dall’AGB sono riportati i tempi evolutivi (in anni, t=0 per Te= 30.000 K) e la massa residuanell’inviuppo ricco di idrogeno. E’ riportata la linea di raggio costante (R, in unita solari) cor-ripondente alla massa della struttura. FBE (= Fundamental Blue Edge) rappresenta il limite adalte temperature della zona di instabilita (striscia punteggiata) ove ci si attende che le strutturemanifestion fenomeni di variabilita che verranno trattati nei successivi capitoli.

degli elettroni degeneri non puo piu sostenere la struttura che collassando innesca la fusionedel C in ambiente fortemente degenere. I calcoli mostrano che al termine di questa esplosionee stata depositata nella materia della stella un’energia di gran lunga superiore all’energia dilegame della struttura. Ci si attende che la struttura venga dispersa e ”incinerita”: l’energiainiettata infatti nelle particelle porta a rapidissime fusioni spostando l’abbondanza deglielementi verso il picco del Fe.

Le stelle di Ramo Orizzontale degli Ammassi Globulari galattici hanno certamente massedi gran lunga inferiori al limite di Chandrasekhar. Dopo una serie di pulsi termici queste stellefiniranno col lasciare la traccia di Hayashi quando la massa dell’inviluppo ricco di idrogenosi e ridotta a circa 0.01 M (→ A7.2) e non e piu in grado di sostenere la combustionedell’idrogeno. Una fase di rapida contrazione porta la stella al suo raggio di Nana Bianca,che per queste stelle e una funzione precisa della sola massa, e che caratterizzera tutta lasuccessiva fase di raffreddamento. Durante queste fasi finali il riscaldamento della shell diidrogeno in ambiente elettronicamente degenere puo portare a episodici flash nucleari. LaFig.1 7.15 riporta a titolo di esempio l’evoluzione nel diagramma HR di un modello di AGBdi massa costante pari a 0.6 M.

Piu in generale, l’inizio della fase di contrazione viene a dipendere dall’efficienza dellaperdita di massa che, riducendo l’inviluppo ricco di idrogeno, affretta il compimento dellafase di AGB. Si ritiene che al termine della fase di AGB possa manifestarsi una fase dirapida e violenta perdita di massa (superwind) che darebbe luogo alle osservate NebulosePlanetarie, stelle che appaiono circondate da un anello di materia diffusa. Si ritiene ancheche la perdita di massa porti in ogni caso le stelle di piccola massa al di sotto del limitedi Chandrasekhar, cosıche per tutte queste strutture si prevede il destino comune di NanaBianca. Si noti che, stante l’esistenza della relazione Massa del nucleo-Luminosita, dallaluminosita massima osservata in stelle di AGB in una popolazione stellare si puo risalire alla

Page 180: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Fig. 7.16. L’alternanza di episodi di convezione (linee a punti) attraverso i quali si realizza il IIIdredge up.

massa delle stelle evolventi in questa fase ottenendo una indicazione della perdita di massasubita dalle strutture.

Come fenomeno di importanza non secondaria, aggiungiamo che durante la fase di pulsitermici, in corrispondenza del ritmico alternarsi di efficienza delle due shell, si instauranomoti convettivi che finiscono col portare in superficie prodotti della combustione 3α, in primoluogo carbonio. Come schematizzato in Fig.7.16, all’innescarsi semiesplosivo della shell dielio si instaura una instabilita convettiva che rimescola la zona tra le due shell portandoviprodotti della combustione dell’elio. Al successivo spengimento della shell di idrogeno edurante la combustione quiescente della shell di elio la convezione superficiale affonda sino asuperare la discontinuita He-H ed intaccando cosi la zona contaminata dal precedente pulsodi convezione. Ci si attende che attraverso tale meccanismo (III ”dredge up”) la superficiesi arricchisca di carbonio e di elementi ”s” prodotti dai neutroni da combustione di 14N. Se,come da taluni sospettato, in questa fase processi di diffusione e/o mescolamenti riescono aportare protoni nella zona di combustione dell’elio, ne risulterebbe un’ulteriore sorgente dineutroni originata dalla reazione 12C + p →13N + γ che potrebbe grandemente aumentarel’efficienza dei processi ”s” (→ 11.2).

7.6. Nane Bianche: la relazione massa-raggio

Per concludere il quadro evolutivo delle stelle di piccola massa resta da esaminare con ul-teriori dettagli la configurazione delle strutture nella loro ultima fase di degenerazione elet-tronica.Da un punto di vista osservativo, la prima Nana Bianca venne alla luce dall’evidenzadell’esistenza di un ”compagno oscuro” di Sirio, Sirio B. Dai parametri di tale sistema bi-nario si ricavava per Sirio B una massa dell’ordine di 1 M, con una luminosita pari a circa1/500 di quella solare. Lo spettro, ottenuto nel 1915, rivelo peraltro una temperatura efficacedell’ordine di 9000 K. Dal bilancio tra emissivita e luminosita (L=4πR2σT4

e) si dovette nec-essariamente concludere per un raggio inferiore al 2% di quello solare e corrispondentemente,per densita dell’ordine almeno di 105 gr/cm3. In tali condizioni ci si attende una strutturaelettronicamente degenere.

La struttura di una stella totalmente degenerata e retta dal sistema politropico (→ 5.1e A5.1):

dP

dr= −GMrρ

r2

dMr

dr= 4πr2ρ

P = kργ .

Page 181: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

Fig. 7.17. La relazione teorica massa-raggio per strutture elettronicamente degeneri confrontatacon i dati sperimentali per alcune Nane Bianche.

ove, a differenza del caso dei gas non degeneri, ambedue gli indici k ed γ sono univocamentedeterminati dalla condizione di degenerazione elettronica. Nel caso di degenerazione non-relativistica (ρ < 106 gr/cm3) si ha:

P = 1.0 1012(ρ/µe)5/3

da cui una politropica di indice 3/2. Al crescere della densita gli elettroni sono spinti a energierelativistiche. Al limite relativistico (Pe > mec

2, ρ > 106 gr/cm3) risulta analogamente:

P = 1.2 1015(ρ/µe)4/3 = politropica di indice 3

.Dalla struttura del sistema politropico discende che per ogni fissata densita centrale ρc

resta fissata la pressione centrale e, con essa, tutta la struttura ed in particolare la massaed il raggio della stella. Ad ogni massa deve dunque corrispondere una e una sola densitacentrale ed un determinato raggio della struttura degenere. Cio e una conseguenza direttadel fatto che, se tutta la pressione e fornita dagli elettroni degeneri, pur se le temperaturepossono essere ancora elevate il contributo dell’energia termica e trascurabile.

Nel caso di degenerazione non relativistica, una semplice valutazione di ordini digrandezza consente di valutare la dipendenza di raggio e densita centrali dalla massa.Ponendo infatti ρ ∼M/R3, si ha dall’equilibrio idrostatico:

P ∼ GM2

R4

ma e anche P = Kρ5/3 ∼ KM5/3/R5, da cui

P ∼∝M−1/3 e anche ρ ∝M2

Maggiore e la massa della struttura minore deve dunque essere il raggio della medesima.Cio discende dal fatto che al crescere della massa la densita centrale necessaria per sostenerela struttura cresce col quadrato della massa stessa. La soluzione della politropica fornisce ineffetti per il raggio di una Nana Bianca di M masse solari:

R ∼ 0.02

µ5/3e M1/3

R

Page 182: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Fig. 7.18. Andamento con il tempo della luminosita di un modello di Nana Bianca di CO, 0.6M. Nelle linee a tratti e trascurato il calore di cristallizzazione. Caso A: inviluppo di 1.5 10−4 Mdi H; caso B: inviluppo di 0.016 M di He. Il tempo t e in anni.

dove µe, peso molecolare medio per elettrone, e stato gia a suo tempo definito comela massa, in unita della massa dell’idrogeno, per elettrone libero. Fatta eccezione per ilcaso dell’idrogeno (µe = 1), che peraltro riveste scarsa importanza nel quadro evolutivo chestiamo esaminando, per tutti gli altri elementi si ha µe ∼ 2, e, in particolare, si ha µe perHe, 12C, 16O, 20Ne. Il raggio di una struttura degenere evoluta dipende quindi solo dallamassa, e non dipende dalla composizione chimica della struttura stessa ne, come si e piuvolte ripetuto, dal suo contenuto termico.

La relazione precedente resta valida per M ≤ 0.5 M. Per masse superiori si raggiungonodensita a cui interviene la degenerazione relativistica, che tende ad accrescere la dipendenzadel raggio dalla massa. La Fig.7.17 mostra come queste previsioni teoriche siano ben con-fortate dai dati sperimentali per alcune WD appartenenti a sistemi binari, confortando, inultima analisi, le correnti valutazioni teoriche sulle proprieta della materia degenere.

Un’indipendente indicazione osservativa sul rapporto M/R nelle nane bianche e fornitadallo spostamento delle righe spettrali (redshift) causato dal forte campo gravitazionale, inaccordo con le prescrizioni della relativita generale. Per un fotone di energia hν0 emessoalla superficie di una stella di massa M e raggio R, che raggiunga un osservatore all’infinitopotremo infatti porre

hν = hν0 −GM

R

hν0

c2

dove il secondo termine al secondo membro rappresenta il lavoro del campo gravitazionaledelle stella. Se ne ricava immediatamente

ν0 − ν

ν0=

GM

Rc2

Tale redshift, trascurabile in strutture stellari normali, diviene oservabile nelle WD acausa della grande gravita superficiale. Viene sovente riportato sotto forma di Effetto DopplerEquivalente ponendo ∆λ/λ = v/c, da cui

v = 0.64M

Rkm/sec

dove M e R sono in unita solari. Per le due Nane Bianche Sirio B e 40 Eri B si ottienecosı v=92 ± 8 km/sec e 22 ± 1.4 km/sec.

Da un punto di vista generale, asserire che per ogni prefissata massa una Nana Bianca haun raggio fissato, indipendentemente da ogni assunzione su temperatura e luminosita, sig-nifica indicare che la Nana si comporta come un corpo solido, quali -per fornire un’immagine-

Page 183: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Fig. 7.19. Sequenze teoriche di raffreddamento di Nane Bianche (µe = 2) per vari valori dellamassa. Per confronto sono riportate alcune linee R=cost ed e indicata la collocazione di una SequenzaPrincipale. I cerchietti aperti mostrano la collocazione di alcuni nuclei di Nebulosa Planetaria,progenitori di Nane Bianche a minor temperatura efficace.

una sfera di metallo o un mattone. Tale corpo, formatosi da materia ad altissime tem-peratura, perdera energia irraggiando dalla sua superficie come un corpo nero, a spesedell’energia degli ioni, essendo ormai gli elettroni nel loro stato di minima energia com-patibile con la loro natura di fermioni. La struttura percorrera quindi nel diagramma HRuna sequenza a raggio costante (L ∝ T4

e) dissipando prima l’energia di agitazione termicadegli ioni e poi anche il calore di cristallizazione degli stessi, destinata a raffreddarsi sinoa porsi in equilibrio con il fondo cosmico dell’Universo o, piu in generale, con il campo diradiazione locale.

All’inizio del raffreddamento la velocita con la quale decresce la luminosita e molto alta,perche corrispondentemente alte sono le perdite per irraggiamento. Al diminuire della lumi-nosita decresce anche la temperatura efficace e con questa diminuiscono anche le perdite dienergia, e i tempi evolutivi si allungano corrispondentemente. La Fig.7.18 riporta un esem-pio dell’andamento temporale della luminosita di un modello di Nana Bianca lungo la suasequenza di raffreddamento, mostrando il rallentamento portato dal contributo del calore dicristallizzazione. Si noti come i tempi di raffreddamento dipendono anche dalle dimensionie dalla composizione di sia pur tenui inviluppi residui, sia per il possibile contributo ener-getico di combustioni superficiali di idrogeno, sia perche l’opacita degli inviluppi governa latemperatura efficace e, quindi, le perdite di energie della struttura.

La figura mostra come i tempi di raffreddamento possano raggiungere e superare i 1010

anni: ci si attende di conseguenza che anche negli ammassi stellari piu antichi, quali gliAmmassi Globulari, le prime Nane formatesi non abbiano ancora terminato il loro raffred-damento, marcando quindi con la loro luminosita il tempo della loro formazione. La Fig.7.19mostra la l’andamento nel diagramma HR di sequenze di egual raggio calcolate per variemasse, poste a confronto con la distribuzione osservata per un campione di Nane Bianche dicampo.

Per concludere ricordiamo come le densita in una Nana Bianca restino fissata una voltafissata massa e µe. Il numero di particelle per unita di volume sara peraltro inversamenteproporzionale alla massa delle medesime. Poiche ogni ione possiede una energia ∝ kT, nesegue, ad esempio, che una Nana Bianca di He avra - a parita di temperature - un contenuto

Page 184: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

Tab. 4. Densita di soglia per la neutronizzazione. Dall’energia di soglia e sottratta l’energia dimassa dell’elettrone mec

2 =0.511 MeV.

Reazione Energia (MeV) ρ0 (gr cm−3)11H → n 0.782 1.22 107

42He→3

1 H + n→ 4n 20.596 1.37 1011

126C →12

5 B →124 Be 13.370 3.90 1010

168O →16

7 N →166 C 10.419 1.90 1010

2010Ne→20

9 F →208 O 7.026 6.21 109

2412Mg →24

11 Na→2410 Ne 5.513 3.16 109

2814Si→28

13 Al →2812 Mg 4.643 1.97 109

3216S →32

15 P →3214 Si 1.710 1.47 108

5626Fe→56

25 Mn→5624 Cr 3.695 1.14 109

Fig. 7.20. Relazioni massa-densita centrale per strutture elettronicamente degeneri di varia com-posizione, tenendo in conto i processi β inversi. La linea a tratti mostra la soluzione di Chandrasekharper µe = 2.

termico molto maggiore di una Nana di CO e, corrispondentemente, tempi di raffreddamentopiu lunghi.

7.7. La massa limite di Chandrasekhar.

La teoria pone un limite superiore alla massa di una struttura sorretta dalla degenerazioneelettronica, pari a circa 1.4 M. Tale limite (limite di Chandrasekhar) fu a suo tempo ricavatocome conseguenza diretta delle relazioni fisiche che siamo andati sin qui esponendo. Si puocomprendere l’origine di tale limite ricordando che al crescere della massa cresce la densita(serve maggior pressione degli elettroni) e la degenerazione e fatalmente spinta verso il regimerelativistico. Al limite pienamente relativistico esiste una ed una sola struttura possibile, lacui massa e fornita dalla relazione

M =5.75µ2

e

M

Ripetendo il precedente calcolo di ordini di grandezza nel caso relativistico ( P ∝ ρ4/3)si ha infatti:

Page 185: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

Fig. 7.21. Relazioni massa-densita centrale per strutture sorrette da elettroni o neutroni degeneri.Le linee a tratti rappresentano strutture instabili. Per le stelle di neutroni e riportata la soluzione ri-cavata dall’equazione di Oppenheimer-Volkoff (OV) assieme ad una soluzione che include opportuneinterazioni tra neutroni.

P ∼ GM2

R4e anche P ∼ KM4/3

R4

da cui si ricava la massa M = (K/G)−2/3. In pratica si trova che raggiungendo la pienadegenerazione relativistica la struttura dovrebbe ridursi ad un punto, ne sono permessestrutture di equilibrio con masse maggiori.

Al di la di tale approccio analitico, il problema della massa limite e in realta governatoda meccanisnmi fisici piu complessi. Al crescere della densita cresce l’energia raggiunta daglielettroni, finendo col superare la soglia per reazioni β inverse sui nuclei. Quando infattil’energia di un elettrone diviene superiore all’energia del decadimento β di un nucleo dinumero di massa A e carica Z-1, diventano possibili le reazioni

e− + (Z,A)→ (Z − 1, A) + ν

La Tabella 4 riporta le densita di soglia per l’innesco di tali processi per diverse specieatomiche. Valutazioni dettagliate (Fig.7.20)mostrano che che al crescere della massa di unastruttura elettronicamente degenere, e quindi della sua densita, avvicinandosi alla massalimite di Chandrasekhar intervengono processi β inversi che, aumentando µe, inducono unadiminuzione della massa limite. La Fig.7.21 riporta una sintesi generale di tali risultati. Alledensita minori si trova il campo di esistenza delle strutture elettronicamente degeneri sinqui discusse. Al crescere ulteriore della densita centrale si hanno strutture instabili in cui lamassa decresce all’aumenatre di ρc. Si ritrova una zona di stabilita solo a densita dell’ordinedi ρc ∼1014 - 1016 per strutture sorrette ora da neutroni degeneri (Stelle di neutroni). Ineutroni, con spin 1/2, sono infatti anch’essi fermioni che ubbidiscono alla statistica diFermi Dirac, in grado quindi di sviluppare una pressione di degenerazione. Nel caso nonrelativistico si trova cosıP ∼ 4 109ρ5/3. A titolo orientativo ricordiamo qui che il raggiotipico di una stella di neutroni risulta dell’ordine di 10 km, contro i 103-104 km di una NanaBianca e i 106 km del Sole.

Alle densita delle stelle di neutroni non e peraltro piu valida l’approssimazioneNewtoniana, e il campo gravitazionale dovra essere descritto in accordo con la relativitagenerale, secondo l’equazione di Oppenheimer Volkoff (→ A2.3). La soluzione dipende dalleassunzioni che devono essere necessariamente fatte sull’equazione di stato della materia neu-tronica. Si ritrova in ogni caso ancora una massa limite, ma il valore di tale massa dipendecriticamente da tali assunzioni. Assumendo l’equazione di stato non relativistica si tro-verebbe una massa limite M ∼ 0.7 M. La figura 7.21 mostra peraltro un esempio di come

Page 186: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

22

equazioni di stato che introducono opportunele interazioni tra neutroni possano innalzare lamassa limite per tali strutture. Oggi si ritiene che il limite di massa per le stelle a neutronisi collochi attorno alle 2 - 3 M, anche se la maggioranza delle stelle di neutroni osservatecome ”pulsar” ha masse attorno alle 1.4 M.

A titolo orientativo ricordiamo qui che il raggio tipico di una stella di neutroni risultadell’ordine di 10 km, contro i 103-104 km di una Nana Bianca e i 106 km del Sole. Per le NaneBianche resta in ogni caso stabilito un limite superiore di massa dato, con buona approssi-mazione, dal limite di Chandrasekhar MCh precedentemente riportato. Per una strutturadi idrogeno µe=1 e MCh = 5.8 M, un limite di scarsa rilevanza perche sappiamo che incondizioni normali strutture di H di massa maggiore di 0.1 M giungono ad innescare lacombustione dell’idrogeno. Per 4He, 12C, 16O, 20Ne etc µe = 2 e quindi

MCh ∼ 1.4M

limite che giochera un ruolo essenziale nell’evoluzione delle stelle massicce e nella pro-duzione di Supernovae di tipo I nei sistemi binari.

Per completezza, ricordiamo infine che a temperatura zero ma densita sufficientementealte diventano possibili anche reazioni nucleari: l’energia dei nuclei nel lattice puo diveniresufficientemente elevata da superare la repulsione coulombiana, dando luogo a reazioni cheprendono il nome di reazioni picnonucleari, dal greco ”pyknos” = denso. Si stima che a106 gr cm−3 H sarebbe convertito in He in circa 105 anni, e a 1010 gr cm−3 He sarebbeconvertito in C. Il calcolo di tali processi e peraltro molto difficoltoso, e i valori riportatisono solo indicativi.

Page 187: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

23

Fig. 7.22. Andamento delle variabili chimiche e fisiche in una struttura di Ramo Orizzontaledurante la fase di semiconvezione quiescente. Parametri evolutivi: massa totale della stella M=0.65M, massa iniziale del nucleo di He Mc= 0.5 M, Y inviluppo = 0.20, Z= 10−3. Luminosita ecomposizioni chimiche sono normalizzate ai loro valori massimi.

Fig. 7.23. Andamento di alcune variabili strutturali nella stella di cui alla figura precedentedurante (pannello superiore) e subito dopo (pannello inferiore) un pulso di convezione. Si notidurante il pulso il riassorbimento della luminosita segnalante l’espansione del nucleo centrale.

Approfondimenti

A7.1. Breathing Pulses

L’origine dei pulsi di convezione noti come Breathing Pulses e da ricercarsi nel medesimo mecca-nismo di opacita che aveva in precedenza dato luogo al trascinamento del nucleo convettivo edallo sviluppo della semiconvezione. Meccanismo che nelle fasi finali di combustione centrale di elioviene ulteriormente sollecitato dalle particolari caratteristiche della combustione. E’ infatti da no-tare come al tendere a zero dell’ abbondanza di elio nella zona di combustione, diventi sempre menprobabile la reazione 3α (che dipende dal cubo dell’abbondanza centrale di elio Yc) a fronte dellaconcorrente reazione 4He (12C, γ)160. In pratica, i nuclei di elio fondono preferenzialmente con ilcarbonio in cui sono ormai immersi prima di riuscire a trovare altri due nuclei di elio disponibili per

Page 188: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

24

Fig. 7.24. Traiettoria nel diagramma HR della struttura di cui alle due precedenti figure durante lafase di combustione quiescente diell’elio e attraverso i primi due pulsi sino all’innesco del terzo pulso.I numeri segnalano l’inizio dei pulsi e le porzioni di traccia a punti riportano le rapide evoluzionidurante i flash

Fig. 7.25. Andamenti temporali di luminosita, temperatura efficace e composizione chimica cen-trale per il modello di cui alle figure precedenti lungo l’intera fase di combustione centrale di He.

la reazione 3α. La trasformazione di 12C in 160 innalza ulteriormente l’opacita della materia, cosiche il bordo del nucleo convettivo e stimolato con continuita ad allontanarsi dalla neutralita (∇rad

= ∇ad) e, conseguentemente, a richiamare al suo interno materiale ancora ricco di He.

Al diminuire di Yc la situazione diviene progressivamente sempre piu critica perche anche ilpoco elio trasportato attraverso tale meccanismo nel nucleo ormai depauperato di combustibilecomincia ad influenzare sensibilmente la generazione di energia, tendendo ad aumentare il flusso equindi il gradiente radiativo, contrastando l’effetto di stabilizzazione collegato all’opacita. Si trovache per Yc ≤ 0.05 l’effetto di flusso finisce col prevalere e l’immissione di elio ”fresco” finisce in-evitabilmente col produrre un innalzamento generale del gradiente e quindi, con processo reazionatopositivamente, un progressivo estendersi della convezione a richiamare nel nucleo sempre piu elio. Ilprocesso si blocca solo quando, a causa del sensibile incremento dell’energia proveniente dal centrodella struttura, gli strati circostanti iniziano una rapida espansione, riassorbendo l’energia stessa estabilizzando cosi la zona.

La Fig. 7.22 riporta i dettagli di una struttura di ramo orizzontale durante la fase semicon-vettiva quiescente, mentre la Fig.7.23 mostra la stessa struttura durante un pulso convettivo.Calcoli dettagliati suggeriscono che prima di giungere all’esaurimento dell’elio le strutture subis-

Page 189: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

25

Fig. 7.26. Linee isoacutiche Lac/L = cost nel diagramma HR per una stella di 0.6 M, Y=0.1,Z=10−3, mixing length l=1.5 HP . Per confronto sono mostrate la posizione della MS, la lineaevolutiva di una struttura di 1.1 M e la traccia di Hayashi per l’assunta composizione chimica.

cano in media tre maggiori pulsi, che si sviluppano con tempi scala termodinamici. L’effetto di talipulsi e di ”ringiovanire” la struttura, riaumentando improvvisamente l’abbondanza di elio centrale.Corrispondentemente la stella tende a riportarsi verso precedenti posizioni nel diagramma HR, perriiniziare la sua tipica evoluzione di combustione quiescente (Fig.7.24). Solo quando attraverso ipulsi e stato depauperata di elio una vasta regione circondante il nucleo convettivo la stella riescead esaurire l’elio centrale per predisporsi alla fase di combustione in doppia shell.

L’effetto principale dei pulsi sarebbe dunque di prolungare la durata della fase di combustionecentrale di He, come immediatamente ricavabile dai dati in Fig.7.25, ove e facilemente riconoscibileche l’intervento dei pulsi allunga tale fase di poco meno di circa il 20%. Per sopprimere i pulsiesistono due alternative tecniche di calcolo. Una prima consiste nell’imporre che nei modelli inprossimita dell’esaurimento dell’elio centrale (Yc ≤ 0.1 -0.05) siano impediti aumenti nel tempodi tale parametro. Una seconda tecnica, che sopprime i pulsi e fornisce comportamenti evolutivianaloghi ma non eguali, consiste invece nel sopprimere negli stessi modelli la valutazione dellagenerazione di energia gravitazionale εG.

A7.2. Perdite di massa: Giganti Rosse, Blue HB, AGB Manque e Hot Flasher.

Vi e oggi un generale accordo sul fatto che le strutture stellari nel corso della loro evoluzione sianosoggette a non trascurabili fenomeni di perdita di massa. Osservazioni dirette di tale fenomenoriposano sull’evidenza di gas diffuso emergente dalla struttura, come data - ad es. - dalla presenzadi righe di emissione nella banda ottica o da emissione infrarossa. Le misure, spesso di non facileinterpretazione, suggeriscono che la perdita di massa sia particolarmente efficiente tra le GigantiRosse, raggiungendo e forse superando valori di 10−8 M/anno. Nel caso di giganti di ammassiglobulari sono state riportate evidenze di perdita di massa dell’ordine di 10−9 M/anno, cioe giustodell’ordine di grandezza adatto per perdere durante la fase di Gigante Rossa quei pochi decimi dimassa solare richiesti dalle caratteristiche osservative dei rami orizzontali.

Pur non esistendo al presente una chiara interpretazione del meccanismo fisico che sovraintendea tale fenomeno, le osservazioni sembrano indicare come la perdita di massa cresca sensibilmente alcrescere della luminosita della struttura. Su tali basi e spesso utilizzata una formula empirica per ilvalore di tale perdita:

M = −4 10−13ηRL

gRM/anno (Formula di Reimers)

dove la luminosita, il raggio e la gravita superficiale sono in unita solari ed ηR e un parametrolibero che dovrebbe variare tra 1/3 e 3.

Page 190: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

26

Fig. 7.27. Diagrammi CM per un campione di Ammasi Globulari galattici, ordinati per crescentemetallicita

Nel tempo si sono peraltro susseguite una gran varieta di formulazioni sie empiriche che basatesulla postulata efficienza di meccanismi fisici quali la pressione di radiazione sugli strati atmosferici.Citiamo, a titolo di esempio, la proposta correlazione tra perdita di massa ed i flussi acustici presentinegli inviluppi convettivi turbolenti, ipotizzando che da tali flussi si origini l’energia utilizzata dalgas per sfuggire alla attrazione gravitazionale. In effetti si ricava che la topologia di questi flussi neldiagramma HR (Fig.7.26), cosıcome ricavabile da integrazioni analoghe a quelle usate per ricavarele linee isoconvettive e la traccia di Hayashi (→ 5.4), mostra una almeno qualitativa corrispondenzacon quanto atteso per l’efficienza della perdita di massa.

Assumendo una perdita di massa proporzionale al rapporto tra la luminosita acustica e l’energiagravitazionale

Page 191: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

27

Fig. 7.28. Disribuzioni teoriche nel diagramma CM per ammassi con eta 15 Gyr e per le indicateassunzioni sulla metallicita Z. Si e assunto ηR = 0.4.

M = −ηFPRR

GMLac (Formula di Fusi Pecci− Renzini)

dove ηFPR e un parametro di efficienza. Tarando tale formula per il caso solare (M ∼10−14M/anno) la formula fornisce previsioni che si accordano almeno qualitativamente bene conla formula empirica di Reimers.

Restando nel campo delle piccole masse, la Fig.7.27 riporta i diagrammi CM per un campione diAmmassi Globulari galattici, ordinati per metallicita crescente. Sia pur con alcune eccezioni, sullequali dovremo tornare nel seguito, si riscontra una generale correlazione tra metallicita Z e RamoOrizzontale, con le stelle di HB che si spostano verso minori temperature efficaci all’aumentaredellla metallicita. Un tale andamento puo essere compreso osservando che all’aumentare di Z perogni prefissata eta aumenta la massa delle Giganti Rosse al flash e diminuisce nel contempo lamassa delle stelle di HB ad una prefissata temperatura efficace (aumenta l’efficienza della shell diH!), ambedue queste variazioni andando nel senso di produrre HB piu rossi.

La Fig.7.28 mostra come utilizzando la formula di Reimers con parametro ηR=0.4 le predizioniteoriche forniscano diagrammi CM in buon accordo con tale andamento generale. La presenzadi alcuni HB con eccezionali ”Code Blu” e peralro evidenza che in quegli ammassi alcune stelledi HB hanno subito un ingente ed eccezionale perdita di massa, sino a perdere la quasi totalitadell’inviluppo idrogenoide. ”In passing”, si noti che il brusco crollo di luminosita degli HB allealte temperature e un artefatto dell’intervento della correzione bolometrica. Vedremo nel prosieguocome nell’ultravioletto le stelle piu blu di Ramo Orizzontale (EHB= Extremely Blue HB) sianoaddirittura le piu luminose dell’intero ammasso.

La Fig.7.29 mostra un fascio di tracce evolutive per modelli che iniziano la fase di combustione diHe a varie temperature efficaci di ZAHB. Si noti come modelli a temperatura molto alta, quindi coninviluppi estremamente tenui e shell di idrogeno poco efficienti, al termine della fase di combustionecentrale di elio non riescano a spostarsi sul Ramo Asintotico, permanendo alle alte temperatureda dove infine raggiungeranno direttamente la loro sequenza di raffreddamento come Nane di CO.A Tali strutture prendono il nome di AGB Manque , e sono di grande importanza per il flussoUV (ultravioletto) che possono generare negli Ammassi Globulari e, piu in generale, nelle antichepopolazioni stellari.

Perdite di massa che portino la massa di un Gigante Rossa al di sotto della massa critica perl’innesco del nucleo di elio mancheranno la fase di Ramo Orizzontale. L’idagine evolutiva mostrache una Gigante Rossa riesce a completare la sua evoluzione sino al flash dell’elio solo nel caso chela perdita di massa non riduca in precedenza l’inviluppo al di sotto di un valore critico pari a circa0.06 M. In corrispondenza di tale limite la shell di idrogeno inizia a risentire della mancanza diinviluppo e la stella cessa la sua ascesa, permanendo presso il Ramo delle giganti sino a ridurre

Page 192: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

28

Fig. 7.29. Tracce evolutive per la fase di combustione di elio per stelle con varie collocazionidi ZAHB, come causate da corrispondenti variazioni nella assunta quantita di massa persa daiprogenitori RG.

Fig. 7.30. Sequenze evolutive di Giganti Rosse che per eccesso di perdita di massa abbandonanoil Ramo delle Giganti per raffreddarsi come Nane di He.

l’inviluppo a ∼ 0.007 M, iniziando a questo punto una rapida contrazione che le porta sullasequenza di raffreddamento sotto forma di Nane di He (Fig.7.30).

Esiste peraltro un piccolo intervallo di masse che, avendo abbandonato il ramo delle Gigantipoco prima del flash, finisce con innescare il flash lungo la sequenza di raffreddamento. Tali struttureprendono il nome di Hot Flashers. Si ritiene che in tali strutture la particolare violenza del flashpossa portare a fenomeni di rimescolamento che arricchiscono l’atmosfera delle strutture con He eC. A seguito di tale arricchimento le stelle dovrebbero mostrarsi nei diagrammi CM come un gruppoleggermente separato dalla normali stelle di HB.

A7.3. Rotazione stellare. ZAHB rotazionali

Non sorprendentemente, l’evidenza sperimentale mostra che non solo il Sole ma anche le altrestelle ruotano attorno ad un loro asse. Evidenze per la rotazione stellare possono essere e sonoricavate dall’allargamento delle righe di assorbimento dovuto all’effetto Doppler, qualora l’asse dirotazione della struttura non giaccia lungo la linea visuale. La Fig.7.31 riporta l’andamento dellavelocita equatoriale media caratterizzante stelle di SP di varia massa. Si nota come al di sotto di∼ 2 M si evidenzi una brusca diminuzione dello stato di rotazione. Cio viene posto in relazionecon l’instaurarsi di una zona di convezione superficiale e, con essa, di un vento solare in grado diestrarre momento angolare dalla struttura, tramite l’interazione delle particelle del vento col campo

Page 193: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

29

Fig. 7.31. Andamento con la massa stellare delle velocit‘a equatoriali medie per stelle di MS. Lemasse sono in masse solari.

magnetico ruotante originato dalla struttura medesima. A parziale riprova di questa interpretazionevi e l’osservata correlazione inversa tra l’eta della struttura e le velocita di rotazione.

La rotazione stellare e un possibile parametro evolutivo che abbiamo sinora omesso nelle val-utazioni strutturali, assumendone esplicitamente la trascurabilita, almeno come caso generale. Cioe confortato dall’andamento monoparametrico dei diagrammi CM, nei quali non si manifestano glieffetti di un parametro stocastico come ci si attende sia la rotazione stellare. Valutazioni rigorose distrutture ruotanti sono peraltro estremamente complesse, non fosse altro perche, venendo a caderela simmetria sferica, sarebbe in linea di principio necessario sviluppare codici di calcolo in coordi-nate cilindriche. Valutazioni approssimate indicano che la rotazione tende a raffreddare gli internistellari. Si puo comprendere tale risultato osservando che la forza centrifuga va in parte a bilanciarela gravita, diminuendo le richieste di temperatura (energia cinetica).

Raffreddando l’interno delle strutture stellari, la rotazione puo influenzare l’evoluzione di piccolemasse in fase di Gigante Rossa, ritardando il flash dell’elio. Ne discende che strutture di ZAHBprovenienti da stelle ruotanti dovrebbero avere masse dei nuclei di elio e perdite di massa maggioridi quanto atteso nel caso canonico non rotante. L’aumento della perdita di massa, fatti salvi ulteriorifenomeni legati alla rotazione, restando collegato al maggior tempo passato in fase di Gigante Rossa.Al riguardo sono state eseguite stime evolutive, sotto la condizione di conservazione del momentoangolare lungo tutta la struttura. Cio implica un forte aumento di velocita angolare nei nuclei dielio delle Giganti Rosse, stante le esigue dimensioni spaziali cui tali nuclei si riducono.

In accordo con tali stime massa del nucleo di elio e luminosita al flash seguono approssimativa-mente le relazioni

Mc(ω) ∼Mc,0 + 1.44ω2.16

logLf ∼ logLf,0 + 3.810−3ω2

dove Mc,0 e ogLf,0 rappresentano i valori canonici di modelli non rotanti e ω e la velocitaangolare dei modelli di MS, data in rotazioni per giorno. E’ da notare che per ω ≤ 5 l’evoluzionedalla MS alle giganti rosse resterebbe sostanzialmente inalterata, gli effetti di rotazione rivelandosisolo nella fase di combustione di elio.

Dalle discusse proprieta topologiche dei modelli a doppia sorgente di energia si ricava chel’aumento di Mc e quello della perdita di massa agiscono entrambi nel senso di spostare un mod-ello dalla sua posizione canonica verso maggiori temperature effettive, con modalita che dipendonodallo stato di rotazione delle singole stelle e dalla relativa efficienza dei due meccanismi citati. Lasituazione e illustrata dall’approccio topologico di Fig.7.32. Se modeste variazioni sulla velocita an-golare ω , tali cioe da non influenzare il valore canonico di Mc, producono sensibili variazioni sullaperdita di massa, l’attesa distribuzione sul ramo orizzontale non si discosta da una ZAHB canonica,

Page 194: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

30

Fig. 7.32. La collocazione nel diagramma HR di sequenza di ZAHB sotto diverse assunzioni dellarelazione tra perdita di massa e rotazione. La η-ZAHB rappresenta la ZAHB canonica con massavariabili e massa del nucleo costante. La ω-ZAHB e il luogo di strutture con massa costante evariabile massa del nucleo di He. I cerchietti aperti mostrano la distribuzione attesa quando perditadi massa e rotazione sono combinate secondo le prescrizioni fornite nel testo. .

indicata in figura come η-ZAHB a sottolineare che la distribuzione e originata esclusivamente davariazioni di efficienza nella perdita di massa.

Se, all’altro estremo, variazioni di ω giungono a variare sensibilmente Mc senza modificare laperdita di massa, le stelle si distribuiranno lungo una sequenza caratterizzata dalle condizioni M ∼cost ma Mc variabile. Tali sequenze sono indicate in figura come ω-ZAHB. E’ facile verificare che perogni assunta relativa efficienza dei due meccanismi le possibili sequenze di ZAHB rotazionali devonorestare comprese nel cono avente vertice nel modello canonico non ruotante e avente come limiti laη-ZAHB e la ω-ZAHB passanti per quel punto, discostandosi dalla η-ZAHB tanto maggiormentequanto minore e l’influenza della rotazione sulla perdita di massa.

Le attuali valutazioni dell’influenza della rotazione sulle dimensioni in massa del nucleo di elioe sulla perdita di massa paiono indicare un bilanciamento tra questi due effetti, come mostratonella stessa Fig.7.32. Parrebbe potersi obiettare che le stelle di ramo orizzontale sono stelle dipiccola massa che abbiamo trovato essere trascurabilmente ruotanti. Da un lato pero non abbiamoprobanti informazioni sullo stato di rotazione di tali stelle negli ammassi globulari, ne sappiamoquanto il meccanismo di frenamento discusso in precedenza agisca in profondita. In effetti cio che noimisuriamo e lo stato di rotazione dell’atmosfera stellare e nulla sappiamo su una possibile residuarotazione dell’interno. Se una dispersione dei valori della rotazione fosse all’origine della dispersionedelle stelle lungo il Ramo Orizzontale verrebbe ad essere modificata la relazione tra luminosita diHB e composizione chimica iniziale cosıcome ricavata dalle η-ZAHB ed alla base di molte dellecorrenti elaborazioni teoriche dei dati osservativi.

Page 195: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

31

Origine delle Figure

Fig.7.1 Iben I.Jr. 1965, ApJ142,1447Fig.7.2 Kippenhan R., Thomas H.C., Weigert A. 1965, Zeitschrift f. Astrofis. 61, 241Fig.7.3 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204Fig.7.4 Castellani V., Giannone P., Renzini A. 1971, Astrophys. Space Sci, 10, 340Fig.7.5 Castellani V., Giannone P., Renzini A. 1971, Astrophys. Space Sci, 10, 340Fig.7.6 Castellani V., Giannone P., Renzini A. 1971, Astrophys. Space Sci, 10, 340Fig.7.7 Demarque P., Sweigart A.V., 1976, A&A 20, 442Fig.7.8 Demarque P., Sweigart A.V., 1976, A&A 20, 442Fig.7.9 Sweigart A.V., Gross P. 1976, ApJS 32, 367Fig.7.10 Caloi V., Castellani V., Tornambe A. 1978, A&AS 33, 169Fig.7.11 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204Fig.7.12 Castellani V., Chieffi A., Pulone L. 1991, ApJS 76, 911Fig.7.13 Castellani V., Chieffi A., Pulone L. 1991, ApJS 76, 911Fig.7.14 Castellani V., Astrofisica Stellare, Zanichelli 1985Fig.7.15 Iben I.Jr. 1982, ApJ 260, 821Fig.7.16 Castellani V.1985 , Astrofisica Stellare, Zanichelli ed.Fig.7.17 Kaplan S.A. 1982, Fisica delle Stelle, Sansoni ed.Fig.7.18 Iben I.Jr., Tutukov A.V. 1984, ApJ 282, 615Fig.7.19 Weidemann V. 1967, Zeitschrift f. Astrofis. 67, 286Fig.7.20 Shapiro S.L., Tenkolsky S.A. 1983, Black Holes, WD and Neutron Stars, Wiley Inters. Publ.Fig.7.21 ReesM.J., Ruffini R. 1974Fig.7.22 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204Fig.7.23 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204Fig.7.24 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204Fig.7.25 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204Fig.7.26 Castellani V., Puppi ., Renzini A. 11971, Astrophys. Space Sci. 10, 136Fig.7.27 Sosin C., Piotto G., Djorgovski S.G. et al 1997, Advances in Stellar Evolution, Cambridge Univ. PressFig.7.28 Brocato E., Castellani V., Poli F.M. Raimondo G. 2000, A&AS 145,91Fig.7.29 Cassisi S., Castellani M., Caputo F., Castellani V. 2004, A&AFig.7.30 Castellani M., Castellani V. 1993, ApJ 407, 649Fig.7.31 McNally D. 1965, The Observatory 85, 166Fig.7.32 Castellani V., Ponte G., Tornambe A. 1981, Astrophys. Space Sci. 73, 11

Page 196: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 8

Combustione dell’elio e fasi evolutiveavanzate: masse intermedie e grandimasse

8.1. Lo scenario generale

Lo studio dell’evoluzione delle piccole masse ci ha fornito gran parte degli ingredienti nec-essari per la comprensione dei meccanismi che caratterizzano e condizionano l’evoluzione dimasse superiori nelle fasi evolutive avanzate. Ricordiamo innanzitutto che masse intermediee grandi bruciano in ogni caso H in un nucleo convettivo: all’esaurimento dell’H centralesubiranno quindi tutte una fase di overall contraction che conduce all’innesco della com-bustione a shell di idrogeno ai confini del nucleo di He che segnala l’avvenuta combustionedell’idrogeno. Il nucleo di He e non-degenere, e la combustione a shell assume l’aspetto di unarapida fase di transizione che porta la struttura sulla sua traccia di Hayashi ove innescherala combustione quiescente 3 α al centro del nucleo di elio, mentra la shell di idrogeno restaattiva ai confini di tale nucleo. In questo intervallo di masse viene dunque a mancare ilRamo delle Giganti, che resta a contraddistinguere le piccole masse e, dunque, le piu antichepopolazioni stellari.

Stante la forte dipendenza della combustione 3 α dalla temperatura, in tutte questestrutture si sviluppera una zona convettiva centrale. I fenomeni di trascinamento del nucleoconvettivo, semiconvezione e, eventualmente, ”breathing pulses” che abbiamo riscontratonelle piccole masse sono presenti anche nelle masse superiori, contribuendo a prolungare neltempo la fase di combustione centrale di He. A somiglianza delle piccole masse, cresce neltempo il contributo energetico delle combustioni di He e, tipicamente, nel diagramma HR letraiettorie evolutive compiono un ”loop” prima allontanandosi dalla traccia di Hayashi, pertornarvi all’esaurimento dell’elio centrale e l’instaurarsi della fase di combustione a doppiashell, come gia riscontrabile nelle Fig. 6.1, 6.3 e 7.1.

La Fig. 8.1 illustra il comportamento in combustione centrale di elio della struttura di6 M che avevamo gia seguito nelle fasi di combustione di idrogeno (→ Fig. 6.4). Si puonotare il progressivo incremento della luminosita prodotta dalla 3 α a spese dell’efficienzadella shell di idrogeno. Si noti anche il progressivo aumento del nucleo convettivo, segnalatodalla distribuzione omogenea di 12C, e lo sviluppo di una limitata regione semiconvettiva,segnalata dal gradiente nell’abbondanza di elio. Dalle temperature efficaci riportate in figurasi ricava come l’ultimo modello sia gia in fase di rientro verso la traccia di Hayashi.

1

Page 197: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

Fig. 8.1. Evoluzione della struttura interna di una stella di 6 M, y=0.20, Z=10−3 durante la fasedi combustione quiescente dell’elio centrale. I vari parametri sono normalizzati ai loro valori massimi,riportati in ogni pannello. Per ogni struttura sono anche riportati la collocazione nel diagrammaHR (logL, LogTe), l’eta ed il numero sequenziale del modello. .

Per definizione, le masse intermedie innescano la combustione a shell di elio alla periferiadi un nucleo di CO che diviene rapidamente degenere. Come le piccole masse, esse darannoquindi vita ad una fase di AGB, raggiungendo fatalmente una fase di pulsi termici attraversoi quali l’idrogeno dell’inviluppo viene progressivamente trasformato prima in elio e poi inCO. Se nel frattempo, come si ritiene, la perdita di massa porta le strutture al di sotto dellimite di Chandrasekhar, il destino finale di tali strutture sara - come per le piccole masse- ilprogressivo raffreddamento sotto forma di Nane Bianche di CO. In caso contrario si giungerafatalmente alla deflagrazione del Carbonio. Il limite superiore di massa per tale comporta-mento viene indicato in letteratura come Mup. Il preciso valore di tale limite dipende dallacomposizione originale della stella: possiamo peraltro almeno orientativamente indicare unvalore attorno alle 8 M.

Masse superiori a Mup giungono invece ad innescare la combustione del Carbonio primache il nucleo degeneri completamente. In un ristretto intervallo di circa 2 M la combustionedi C conduce alla creazione di nuclei di ONe degeneri. Se, nuovamente, non interviene unasufficiente perdita di massa, anche queste strutture termineranno o con la deflagrazione delCarbonio (masse minori) o con processi di cattura elettronica che portano alla implosioneed alla formazione di una stella di neutroni. Nel seguito considereremo queste strutturecome una sottoclasse della masse intermedie. Stelle con massa ancora maggiore portanoa compimento l’intera catena di combustioni sino alla finale fotodisntegrazione del Fe el’esplosione come Supernovae.

Page 198: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

Fig. 8.2. Andamento di alcune variabili di struttura al variare della massa stellare alla transizionetra piccole masse e masse intermedie. Pannello superiore: massa del nucleo di He all’innesco dellareazione 3α. Pannello intermedio: luminosita del primo modello in combustione quiescente di He.Pannello inferiore: tempi di vita in fase di combustione di He centrale.

8.2. La transizione tra masse piccole e intermedie

Il dominio delle piccole masse resta definito dalla combustione di idrogeno in una shellche circonda un nucleo di He elettronicamente degenere, condizione che contrasta l’innescodella combustione dell’He e prolunga l’evoluzione in combustione di H lungo il Ramo delleGiganti sino allo sviluppo dell’ He-flash in una struttura con luminosita migliaia di voltequella solare e con un nucleo di He che raggiunge all’incirca le 0.5 M. All’aumentaredella massa stellare viene progressivamente rimossa la degenerazione e, corrispondentemente,viene progressivamente facilitato l’innesco dell’He che avviene prima e con un nucleo di Hepiu piccolo (in massa). Rimossa la degenerazione la struttura e ormai entrata nel dominiodelle masse intermedie.

La Fig.8.2 riporta alcuni dettagli che illuminano il comportamento delle strutture alvariare della massa attraverso la transizione dalle piccole masse alle masse intermedie percomposizioni di tipo solare. Il pannello superiore mostra come alle masse minori il nucleo diHe all’innesco dell’He (flash) si mantenga sensibilmente costante, diminuendo leggermenteall’aumentare della massa. Attorno alle 2.0 M inizia una rapida transizione ed il nucleodi He raggiunge un minimo per M=2.3 M. In questa struttura la degenerazione e ormairimossa e l’innesco dell’elio avviene in maniera quiescente. Il nuovo aumento al di sopra diM=2.3 M origina dal fatto che la 2.3 M in MS ha gia sviluppato un nucleo convettivo, cheall’esaurimento dell’H centrale si trasformera in un nucleo di elio, e che tale nucleo convettivocresce al crescere della massa della stella.

Il pannello intermedio mostra come tali variazioni si riflettano sulla luminosita dellestrutture. Sino a circa 2.0 M, nonostante la leggera diminuzione del nucleo di He, la lumi-nosita aumenta, segnalando che l’aumentata massa degli inviluppi accresce l’efficienza dellashell di H, compensando la diminuzione del nucleo e governando la luminosita totale dellastruttura. Nella fase di transizione e invece la forte diminuzione del nucleo che prende ilsopravvento, inducendo una corrispondentemente rapida diminuzione della luminosita. Sono

Page 199: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

Fig. 8.3. Collocazione nel diagramma HR dei modelli di cui alla figura precedente.

infine ancora le dimensioni del nucleo di He a guidare la risalita della luminosita sopra leM=2.3 M, con una crescita che continuera regolarmente al crescere della massa stellare edel conseguente aumento dei nuclei convettivi.

Il pannello inferiore riporta infine la rilevante evidenza di come la durata della fase dicombustione di He centrale sia regolata dalle dimensioni del nucleo di He, regola di cuifaremo uso nel discutere gli effetti di un eventuale esteso oveshooting (→ A8.1). Se ne trael’evidenza che giusto alla transizione le strutture stellari mostrano una eccezionale duratadella fase di combustione di He centrale, permanendo in tale fase piu del doppio del tempodi ogni altra massa, sia minore che maggiore. Evidenza che in taluni casi si deve tradurre inuna particolare abbondanza di tali strutture.

Piu in generale, dai dati in Fig.8.2 e sulla base dei tempi in Tabella 5.1, si trae l’evidenzache una popolazione stellare di composizione solare e di assegnata eta, comincera a sviluppareun Ramo delle Giganti dopo circa 600 milioni di anni, tempo evolutivo di una strutturaM=2.3 M all’esaurimento dell’H centrale. A 800 milioni di anni, tempo della combustionedi H di una M=2.1 M, il Ramo delle Giganti e ormai formato e permarra per tutti i tempisuccessivi. Questa fase di apparizione del Ramo delle Giganti prende in letteratura il nomedi Red Giant Transition (RGT) e segna il rapido passaggio dalle tipiche polazioni giovani, agiganti blu, alle popolazioni piu anziane dominate dalle Giganti Rosse.

Tempi e masse della Red Giant Transition dipendono dalla composizione chimica origi-nale delle stelle. La stessa Fig. 8.2 mostra come una diminuzione dell’elio originale si traducain un aumento della massa di transizione. Cio appare in accordo con la regola piu volte enun-ciata secondo la quale diminuire il contenuto di elio (diminuire il peso molecolare medio)produce strutture piu fredde e, di conseguenza, piu affette da degenerazione elettronica.Analogamente si puo facilmente predire che al diminuire della metallicita deve diminuireanche la massa di transizione: una diminuzione di metallicita produce infatti strutture piucalde e meno soggette alla degenerazione elettronica.

La Fig. 8.3 mostra infine la collocazione nel diagramma HR di strutture di transizioneall’inizio della loro fase di combustione quiescente di elio. All’aumentare della massa i mod-elli raggiungono un minimo nella temperatura efficace per poi tornare verso alti valori di taleparametro ancor prima di entrare nella fase di vera transizione, marcata dal successivo min-imo della luminosita. Superata la transizione, la luminosita alla quale inizia la combustionedi elio crescera infine monotonamente al crescere della massa della struttura.

Page 200: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Fig. 8.4. Tracce evolutive per stelle di 3, 4, 5, 7 e 9 M dalla MS sino alle fasi di combustione diHe in shell per composizioni chimiche rappresentative della Pop.I e della Pop.II.

8.3. Masse intermedie.

Superata la massa critica per la Red Giant Transition le stelle entrano nel dominio dellemasse intermedie. Tutte queste strutture avevano in MS un nucleo convettivo che nel tempoe andato ritirandosi lasciando dietro di se un gradiente di elio. E’ in questa zona semicom-busta che si innesca la shell di H che conduce la stella nella zona delle Giganti Rosse doveinfine inneschera la combustione centrale dell’He. Per composizioni chimiche normali i tempievolutivi sono ormai scesi a centinaia di milioni di anni, troppo corti perche la diffusionedegli elementi possa modificare in maniera significativa la distribuzione interna delle speciechimiche. La Fig. 8.4 riporta il tipico cammino evolutivo delle masse intermedie per duecampioni di stelle rappresentativi, rispettivamente, della Pop. I e II. La fase di combustionedi elio centrale e segnalata dai ”loop” in temperature efficaci che prima allontanano e poiriportano le stella sulla loro traccia di Hayashi. Notiamo qui solamente che al diminuiredella metallicita aumenta l’escursione di tali ”loop”, occorrenza che avra risvolti rilevantinel discutere le proprieta delle veriabili Cefeidi.

Dopo l’esaurimento dell’He centrale e lo spengimento della shell di H la maggior partedelle strutture subisce il 2 dredge up. La convezione superficiale affonda sino a penetrarenel nucleo di elio, arricchendo di elio la superfice e avendo come conseguenza anche unadiminuzione delle dimensioni in massa del nucleo medesimo. Il nucleo di CO inizia a de-generare e la produzione di neutrini raffredda le regioni centrali procurando una inversionedella temperatura. In tale fase il parametro evolutivo che regola il raggiungimento o menodell’innesco delle reazioni del Carbonio e la massa del nucleo di CO degenere. Occorronograndi nuclei di CO per consentire che la loro contrazione fornisca l’energia che, in concor-renza con le perdite per termoneutrini, consenta di raggiungere l’innesco del Carbonio. Inpratica si trova che innescano il C le strutture che giungono a costituirsi un nucleo di COdi massa M maggiore di ∼ 1.1 M.

E’ immediato collegare tale prescrizione alla storia evolutiva della stella e, con essa, allamassa della struttura. Le dimensioni del nucleo di CO discendono infatti dalle dimensionidel nucleo di He nella fase di combustione centrale di He e queste sono a loro volta ilricordo del nucleo convettivo nella fase di combustione di H. Maggiore dunque la massadella stella, maggiore - come abbiamo visto - il nucleo convettivo in MS e, attraverso lacatena di eventi ora enunciata - facilitato l’innesco del Carbonio. Una simile prescrizionefornisce anche un criterio per valutare l’effetto della metallicita sul valore della massa criticaMup. Dalla correlazione a suo tempo indicata per le strutture della Sequenza Principale,secondo la quale al diminuire della metallicita aumenta la massa dei nuclei convettivi, segueora direttamente che al diminuire della metallicita viene favorito l’innesco del C, spostando

Page 201: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Tab. 1. Parametri evolutivi per le strutture di cui alla Fig. 8.4. Ogni riga riporta nell’ordine: metal-licita (Z), massa del nucleo convettivo in ZAMS (MMS

cc ), massa del nucleo di elio all’esaurimentodell’H centrale (MX=0

He ) e all’inizio della combustione di He (MHeHe), massa del nucleo convet-

tivo all’innesco dell’He (MHecc ) e le masse del nucleo di elio (MY =0

He ) e del nucleo di CO (MY =0CO )

all’esaurimento dell’He centrale. Le ultime quattro colonne riportano infine massa del nucleo di COe luminosita della struttura al 2 dredge up e al primo pulso termico. Le lineette indicano un mancatodredge up. Masse e luminosita sono in unita solari.

Z M MMScc MX=0

He MHeHe MHe

cc MY =0He MY =0

CO MDUCO LDU MTP

CO LTP

0.02 3 0.60 0.32 0.37 0.22 0.57 0.21 - - 0.55 3.41

0.02 4 0.88 0.40 0.49 0.32 0.79 0.39 - - 0.79 4.12

0.02 5 1.20 0.58 0.64 0.40 1.04 0.44 0.73 3.95 0.87 4.23

0.02 7 1.93 0.90 0.98 0.71 1.59 0.72 0.94 4.17 1.01 4.46

0.02 9 2.63 1.27 1.39 1.03 2.20 1.03 - - C ignition

0.002 3 0.64 0.34 0.39 0.30 0.70 0.30 - - 0.69 3.74

0.002 4 0.98 0.47 0.51 0.42 0.93 0.47 0.73 4.00 0.86 4.17

0.002 5 1.33 0.59 0.64 0.54 1.19 0.57 0.78 4.00 0.91 4.28

0.002 7 2.11 0.88 0.96 0.81 1.73 0.83 1.01 4.25 1.07 4.51

0.002 9 2.97 1.24 1.37 1.11 2.28 1.11 - - C ignition

dunque Mup verso valori minori, almeno sinche si rimanga nel campo di metallicita tipicheper le normali popolazioni galattiche.

In tale contesto e infine opportuno rilevare come il raggiungimento della massa critica delnulcleo di CO, e quindi l’innesco o meno del C, dipenda anche dall’efficienza dei meccanismidi rimescolamento che hanno operato lungo la storia della struttura, con il trascinamentodel nucleo e la semiconvezione indotta che favoriscono l’innesco e il 2 dredge up che invecelo sfavorisce. La Tabella 1 illustra la catena di avvenimenti che condizionano la massa delnucleo di CO riportando alcuni parametri significativi per le stelle di cui alla precedente Fig.8.4.

Come esempio di lettura di tali dati, la Tabella ci dice, ad esempio, che una stella di 5M, Z=0.02, inizia la sua vita con un nucleo convettivo di 1.20 M che al termine dellacombustione di idrogeno si e ridotto a 0.58 M, portato a 0.64 M dalla combustione ashell di H prima dell’innesco dell’elio. All’inizio della combustione di elio la struttura ha unnucleo convettivo di 0.40 M, che produce al termine della combustione un nucleo di COdi 0.44 M, mostrando i ridotti effetti del trascinamento del nucleo in queste masse. Nellostesso tempo il nucleo di elio e stato portato dalla combustione a shell a 1.04 M. La stellasubisce il 2 dredge up e arriva al reinnesco della shell di idrogeno, precursore della fase deipulsi termici, con un nucleo di CO di sole 0.87 M, indicando che a tale valore e calato delnucleo di elio dopo il dredge up. Si notino nella Tabella le alte luminosita raggiunte dallestelle al termine della fase di early AGB. In una stella di 7 M di Pop.II il primo precursoredei pulsi si manifesta a logL/L =4.5, a luminosita ben piu alte che nel caso delle piccolemasse (logL/L ∼ 3).

La traiettoria evolutiva delle condizioni centrali, come riportata in Fig. 8.5 per variemasse e due metallicita, fornisce un utile compendio della storia delle strutture. Come carat-teristica generale si noti come l’innesco della combustione centrale di elio sia segnalato dauna espansione delle regioni centrali, cui corrisponde nel diagramma HR il primo trattodel loop verso alte temperature efficaci. Nelle fasi evolutive successive una stella di 10 Ma bassa metallicita riesce a mantenersi al di fuori della degenerazione, giungendo ad in-nescare pacificamente il Carbonio. Diminuendo la massa e/o aumentando la metallicita gli

Page 202: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 8.5. Traiettoria temporale delle condizioni centrali per stelle di varia massa con Y=0.28 eZ=10−4 (linee continue) e Z=3 10−2 (linee a tratti). La linea a punti indica il luogo ove l’energiaprodotta dalla combustione del C eguaglia le perdite per termoneutrini. Le masse delle stelle sonoindicate in M all’inizio delle relative tracce. Cerchi o quadrati lungo le tracce segnalano nell’ordine:1. Sequenza Principale; 2. Inizio della fase di overall contraction; 3. Innesco della combustione dielio centrale; 4. Esaurimento dell’elio centrale.

effetti della degenerazione finiscono con il prevalere, allontanando le traiettorie dalla curvadi ignizione per imboccare una sequenza di raffreddamento.

L’innesco del Carbonio, che segna il limite superiore delle masse intermedie, avvieneinizialmente in nuclei parzialmente degeneri ove e presente l’inversione di temperatura in-dotta dall’efficiente produzione di termoneutrini: tale innesco avverra dunque in una shelltramite una serie di flash. All’aumentare della massa si passera ad un flash centrale e, infineall’innesco quiescente del C che segna l’inizio delle Grandi Masse. Non sorprendentemente,la stelle che innescano il C in ambiente degenere sono quelle che svilupperanno un nucleo diONe definitivamente degenere.

Abbiamo piu volte ripetuto come il destino delle masse intermedie, che sviluppano unnucleo di CO definitivamente degenere, dipenda dalle perdite di massa. Inizialmente, entratenel regime di pulsi termici, mostreranno atmosfere arricchite dal 3 dredge up, segnalandosicome Stelle al Carbonio. Se attraverso il meccanismo dei pulsi termici il nucleo di CO e ingrado di aumentare liberamente, dalla relazione massa del nucleo luminosita si ricava chea logL/L ∼ 4.7 il nucleo raggiunge la massa di Chandrasekhar: ne segue deflagrazione eincinerimento della struttura. Si ritiene peraltro che durante i pulsi termici intervenga anchenelle masse intermedie una perdita di massa parossistica (superwind) che liberi la strutturadel proprio inviluppo, lasciando il nucleo di CO degenere di circa 1 M al centro di unaNebulosa Planetaria.

8.4. Grandi masse: combustione di H e He

Stelle sufficientemente massicce (M≥ 10 - 11 M) giungono a superare indenni la com-bustione del Carbonio, procedendo attraverso le successive combustioni di Neon, Ossigeno,Silicio sino a formare un nucleo di Fe. Abbiamo gia ricordato la sostanziale inosservabilitadelle fasi successive alla combustione dell’elio causata dai brevi tempi evolutivi. A confermadi cio la Tabella 2 riporta una stima dei tempi trascorsi nelle diverse combustioni da unastella di 25 M, confermando come lo studio delle combustioni avanzate debba essere essen-zialmente volto alla conoscenza dell’evoluzione chimica della materia stellare e ai processiesplosivi che interessano le strutture finali.

A fronte della breve vita delle grandi masse , non risulta peraltro semplice trovare pertali strutture opportuni riscontri osservativi anche per le fasi di combustione di H o He. GliAmmassi Globulari o Galattici che abbiamo sin qui posto come fondamento delle indagini

Page 203: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Tab. 2. Temperature, densita e tempi scala nucleari per una stella di 25 M.

Combustione Temperatura Densita Tempi scala

Idrogeno 5 keV 5 gr/cm3 7 106 anniElio 20 kev 700 gr/cm3 5 105 anniCarbonio 80 kev 2 105 gr/cm3 600 anniNeon 150 kev 4 106 gr/cm3 1 annoOssigeno 200 kev 107 gr/cm3 6 mesiSilicio 350 kev 3 107 gr/cm3 1 giornoCollasso 600 kev 3 109 gr/cm3 secondiMassimo del collasso 3 MeV 1014 gr/cm3 millisecondiEsplosione 100-600 kev varie 1-10 secondi

Fig. 8.6. Sinistra: Diagramma CM per l’Ammasso Globulare della Grande Nube NGC2004. Destra:Stesso diagramma ma corretto per un modulo di distanza DM=18.5 e con sovraimposte le tracceevolutive teoriche per stelle di 2.5 e 16 M. Le stelle del clump indicato dalle frecce sono stelle delcampo della Nube, non appartenenti all’ammasso,

evolutive offrono al riguardo scarsissime evidenze. Fortunatamente nei pressi della Galassiasi trova la galassia satellite della Grande Nube di Magellano, ove e tuttora attiva le for-mazione di popolosi Ammassi Globulari. Nel seguito introdurremo dunque il discorso sullegrandi masse avendo come utile riferimento le evidenze osservative che ci provengono da am-massi della Grande Nube (Large Magellanic Cloud = LMC) quali quello il cui diagrammaCM e riportato in Fig. 8.6.Come mostrato nel pannello di sinistra della stessa figura, as-sumendo per LMC un modulo di distanza DM ∼ 18.5, troviamo all’estremita superiore dellaSequenza Principale stelle di magnitudine V ∼ -6, oltre 20000 volte piu luminose del Sole,a testimonianza della loro appartenenza al campo delle grandi masse.

Da un punto di vista teorico le fasi di combustione dell’idrogeno non si discostano qual-itativamente dalle tipiche evoluzioni guidate dalla combustiome CNO. All’aumentare dellamassa aumentano temperatura centrale e luminosita delle strutture, e aumentano le dimen-sioni in massa dei nuclei convettivi di Sequenza Principale, che in una stella di 20 M ein dipendenza dalla composizione chimica iniziale, possono arrivare a superare anche le 9M. Come mostrato nel pannello di destra della precedente Fig.8.6 nel caso di una 16 M,all’esaurimento dell’idrogeno centrale segue - come di norma - una escusrsione verso il rosso.Le modalita di tale escursione dipendono peraltro dalle assunzioni riguardanti il criterio perla stabilita convettiva, come espresso o attraverso la formulazione di Schwarzschild o tramite

Page 204: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

Fig. 8.7. Andamento temporale della temperatura efficace al termine della combustione centraledi H assumendo per l’instabilita convettiva il criterio di Schwarzschild (S) o di Ledoux (L)

Fig. 8.8. Tracce evolutive di grandi masse per i vari indicati valori della massa e della composizionechinica originaria.

l’espressione modificata da Ledoux per prendere in considerazione l’intervento dei gradientidi peso molecolare.

Dall’adozione di uno dei due criteri dipende lo svilupparsi (Schwarzschild) o meno(Ledoux) di una instabilita convettiva alla periferia del nucleo in contrazione all’esaurimentodell’idrogeno. Le conseguenze evolutive sono mostrate in Fig.8.7. Adottando il criterio diSchwarzschild la struttura si sposta lentamente verso la traccia dii Hayashi, andando quindia popolare il tratto intermedio. Al contrario, il criterio di Ledoux conduce ad una rapidaescursione alle basse temperature, ove le stelle passerano la loro fase di combustione di eliosotto forma di Supergiganti Rosse. Al riguardo il diagramma CM di NGC2004 di Fig.8.7sembra portare una testimoninza decisiva, indicando il criterio di Ledoux come il piu adattoa rappresentare il comportamento reale delle stelle.

Su tali basi la Fig.8.8 riporta un campione di tracce evolutive per diverse assunzioniriguardanti le masse e le composizioni chimiche originarie. Si vede come al diminuire dellametallicita vengano favoriti i loop della combustione di elio. E’ peraltro da avvisare chequi, come anche nel caso di masse intermedie, l’estensione dei loop dipende criticamente da

Page 205: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Tab. 3. Temperature centrali per i modelli di 20 M di cui alla Fig.8.8 nella fase di ZAMS eall’esaurimento dell’idrogeno.

Z 0.01 0.006 0.003 0.002

TMSc 30.6 31.5 35.9 37.4

TX=0c 65.5 67.5 70.8 72.0

dettagli della modellistica: ad esempio, diverse assunzioni sulla ancora incerta sezione d’urtoper la reazione 12C(α, γ)16O producono sensibili variazioni sullo sviluppo dei loop.

La Fig.8.8 porta per la prima volta alla luce un accadimento che vedremo avere unavalenza ancor piu generale. I modelli a metallicita minore (Z=0.002) non completanol’escursione verso il rosso, innescando l’elio e iniziando il loop ancora a temperature rel-ativamente elevate. Come mostrato in Tabella 3, cio e dovuto al fatto che al diminuire dellametallicita cresce la temperatura centrale dei modelli di ZAMS e crescono ancor di piu letemerature al momento dell’esaurimento dell’idrogeno centrale. La conseguenza e un innescoanticipato dell’elio e l’interruzione dell’escursione verso il rosso. La temperatura centrale deimodelli di grandi masse e di per se cosi alta che tale innesco anticipato si manifesta gia ametallicita ”normali”, tipiche di una Popolazione II estrema. Nelle masse intermedie unasimile caratteristica si sviluppera solo a metallicita ancor e talora notevolmente minori. Alcontrario, tale anticipazione si manifestera a metallicita sempre piu alte andando a massesempre maggiori nel dominio delle grandi masse.

8.5. Limiti superiori di massa. Quadro riassuntivo

Stelle di grande massa percorrono le fasi di combustione nucleare in pochi milioni di anni,terminando la loro vita esplodendo sotto forma di Supernova. Strutture molto massicce (M≥60-100 M ), se si formano, sfuggirebbero peraltro a tale destiono a causa di una instabilitache deve manifestarsi alla formazione di nuclei di Ossigeno. A causa delle altissime temper-ature centrali i fotoni della radiazione divengono sufficientemente energetici per attivare laproduzione di coppie di elettrone nel campo dei nuclei:

γ → e+ + e−

L’intervento di una ulteriore particella e necessario per conservare la quantita di moto,come e subito visto mettendosi nel sistema del baricentro della coppia di elettroni prodotta.La reazione si sviluppa preferenzialmente con l’intervento dei nuclei perche, stante la rela-tivamente grande massa, contribuiscono al bilancio della quantita di moto assorbendo pocaenergia, talche la soglia energetica resta in pratica quella per la produzione delle masse deidue elettroni E ∼ 2mec2 ∼ 1 Mev. Nel campo di un elettrone tale soglia salirebbe a circa 6Mev.

L’attivazione del canale di produzione di coppie tende a destabilizzare la struttura: ri-facendosi al teorema del Viriale ricordiamo come la stabilita richieda che meta dell’energiaguadagnata nella contrazione vada ad aumentare l’energia cinetica delle particelle che com-pongono la struttura stessa. L’effetto della produzione di coppie e di impedire che l’energiainiettata nella struttura vada integralmente ad innalzare l’energia cinetica, una parte sempremaggiore essendo spesa per produrre particelle. Si rompe cosı l’equilibrio del Viriale e lastruttura collassa.

Piu in dettaglio, partendo dal teorema del Viriale si puo mostrare che una strutturadiventa instabile ogniqualvolta il parametro termodinamico

Page 206: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

Fig. 8.9. Traiettorie temporali delle condizioni centrali nuclei ”nudi” di ossigeno poste a confrontocon le regioni di instabilita per fotodisintegrazione del Fe o per creazione di coppie..

γ =CP

CV

scende sotto il valore di 4/3. In tale quadro lo scenario qualitativo precedente si mate-rializza nell’osservazione che al crescere dell’efficienza della produzione di coppie diminuisceil valore di CV , che tende a zero nel limite in cui tutta l’energia iniettata nella materia vadain formazione di coppie.

Quando, al crescere della temperatura, il criterio di stabilita viene a risultare violato inuna consistente frazione della struttura, la stella deve contrarre piu velocemente da quantorichiesto dalle perdite di energia. Ne risulta un aumento dell’efficienza della combustionedell’Ossigeno ed una incontenuta produzione di energia che finisce col distruggere la strut-tura. In un tale processo sono possibili produzioni di energia termonucleare anche sensibil-mente maggiori di quelle prodotte nel collasso da fotodisintegrazione del Fe.

La Fig.8.9 riporta a titolo di esempio i risultati di un indagine compiuta seguendol’evoluzione di nuclei ”nudi” di Ossigeno, considerando cioe in prima approssimazione cometrascurabile l’influenza degli inviluppi piu esterni. Dalla traiettoria evolutiva delle condizionicentrali, confrontata con la regione di efficienza della produzione di coppie, si evince chestrutture che sviluppano nuclei di Ossigeno sono a 10 M riescono a compiere l’intero ciclodi combustioni sino al Fe. Stelle con nuclei dell’ordine o maggiori di 30 M sono invecedestinati a penetrare nella zona di produzione di coppie, destabilizandosi.

Definiremo tali strutture, dell’ordine delle 102 M, come oggetti ultra-massivi, essendoil termine di oggetti super-massivi gia entrato in letteratura intorno agli anni ’60, a des-ignare supposte strutture di 106 - 107M indagate, ma poi abbandonate, come possibilicontroparti teoriche dell’allora recente scoperta dei Quasar. Stelle ultra massive, se si for-mano, percorrono peraltro in brevissimo tempo l’intero loro ciclo evoluttivo e possono farparte dell’Universo osservabile al piu tramite le loro esplosioni.

Siamo cosı giunti al termine di un lungo percorso che ci ha consentito di indagare lanatura e le proprieta degli oggetti stellari disseminati nell’Universo a comporre galassie edammassi di galassie, creando un quadro conoscitivo che riteniamo copra il destino evolutivodi tutte le possibili strutture di equilibrio che si sono formate e continuamente si formanodalla condensazione del gas interstellare. La Fig.8.10 riassume graficamente tale quadro, ri-

Page 207: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 8.10. Quadro riassuntivo della storia evolutiva delle struture stellari.

portando la collocazione osservativa assieme ed indicando alcuni caratteristici episodi strut-turali e il destino finale di opportune strutture rappresentanti i tre tipi di storie evolutiveche siamo andati identificando e che abbiamo raggruppato nelle categorie di stelle di massapiccola, intermedia e grande.

8.6. Grandi masse: combustioni avanzate

Pur mancando di un diretto riscontro osservativo, l’indagine sulla evoluzione di strutture digrande massa attraverso le fasi di combustione successive a quella dell’elio e argomento digrande rilevanza che ha l’obiettivo di giungere ad identificare le caratteristiche strutturalie la distribuzione delle specie chimiche all’instaurarsi dell’instabilita. Tali strutture di pre-supernovae rappresentano l’ingrediente fondamentale per indagare l’evoluzione temporaledell’instabilita e, in particolare, per valutare tipo e quantita di materia elaborata nuclear-mente espulsa nel corso dell’esplosione, valutando cosi il contributo delle varie Supernovaeall’evoluzione nucleare della materia dell’Universo.

E’ da avvisare che il calcolo di tali strutture diviene progressivamente sempre piu onerososia per la necessita di valutare il contributo di un sempre maggior numero di concorrentireazioni nucleari, sia per il complesso accoppiamento tra reazioni nucleari e mescolamentoconvettivo. Orientativamente, ricordiamo che nei calcoli si giunge a seguire l’evoluzione di

Page 208: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

Fig. 8.11. Evoluzione temporale delle regioni convettive all’interno di una stella di 15 M compo-sizione solare, dalle fasi iniziali sino alla strutura di pre Supernova.

parecchie centinaia di isotopi valutando l’intervento di migliai di diverse reazioni nucleari.La complessita dei calcoli e delle relative strutture e ben illustrata in Fig. 8.11, che riportal’evoluzione tenporale delle regioni convettive in una stella di 15 M composizione solare,dalle fasi iniziali sino alla strutura di pre Supernova. Vi si riconosce facilmente la attesaregressione dell’iniziale nucleo convettivo indotto dalla combustione CNO e nella succes-siva fase di combustione di elio, il nuovo nucleo convettivo in progressivo aumento per ilmeccanismo di autotrascinamento.

Dopo l’esaurimento dell’He centrale, l’evoluzione e caratterizzata dalla formazione dinuovi nuclei convettivi in corrispondenza delle maggiori fasi di combustione di C, Ne, O eSi e dall’alternarsi di episodi di convezione in shell che seguono l’innesco delle varie shell dicombustione. L’affondarsi della convezione superficiale dimostra che a partire dal terminedella combustione dell’elio e sino alla sua esplosione la stella raggiunge e permane nello statodi Supergigante Rossa. Strutture a minore metallicita non completano invece l’escursioneverso il rosso, ed esploderanno come Supergiganti Blu ad alta temperatura superficiale.

Come gia preconizzato sin dal Capitolo 4 sulla base di ”principi primi”, la strutturadi pre supernova conserva memoria della sua storia nucleare distribuendo in una struttura”a cipolla” i prodotti di tutte le passate combustioni. La Fig. 8.12 porta l’esempio delladistribuzione delle specie chimica nella struttura di presupernova di una stella di 25 M.Dall’esterno verso l’interno si riconoscono prima gli strati incombusti ( 25 < M/M < 10),seguiti dalle shell con i prodotti di combustione prima dell’H, poi dell’He sino alla produzionedel nucleo di 54Fe.

L’abbondanza delle specie chimiche all’interno di una struttura di presupernova non eperaltro ancora rappresentativa della composizione chimica della materia che verra eiettatanello spazio a seguito dell’esplosione. Ci si attende infatti che tale composizione venga anchesostanzialmente modificata dal passaggio dell’onda d’urto provaocata dall’esplosione medes-ime, onda che innalza anche di ordini di grandezza le temperature locali provocando unultimo episodio di Nucleosintesi Esplosiva.

Notiamo qui che in tale episodio le reazioni nucleari possono seguire strade anche moltodiverse da quelle che abbiamo indagato interessandoci delle combustioni quiescenti. In quellecondizioni, il fabbisogno energetico della struttura e soddisfatto da una bassa efficienza dellereazioni e, conseguentemente, abbiamo implicitamente assunto che la bassa frequenza direazioni consentisse in ogni caso che gli elementi instabili prodotti durante una catena direazioni decadessero prima di subire una reazione di fusione con un ulteriore particella. Nella

Page 209: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

Fig. 8.12. La distribuzione delle specie chimiche in una struttura di presupernova, calcolata almomento in cui la velocita massima di collasso nel nucleo causata dall’instabilita per fotodisinte-grazione del Fe ha raggiunto 1000 km/sec. La massa M e in masse solari.

Fig. 8.13. Distribuzione delle specie chimice nel nucleo della struttura di cui alla precedente figuradopo la rielaborazione terminale causata dalla nucleosintesi esplosiva.

Nucleosintesi Esplosiva tale condizione viene a cadere, e le reazioni seguono nuovi camminidi cui abbiamo dato un esempio trattando negli Approfondimenti del Ciclo CNO veloce.

Sfortunatamente, al presente i calcoli idrodinamici non riescono ancora a riprodurre neldettaglio la fase del collasso e della conseguente successiva espulsione di strati esterni. Siritiene che nel collasso gli strati esterni ad un nucleo centrale neutronizzato dovrebberofinire col venire riflessi a causa dell’energia proveniente dal centro della struttura, ed eiettatida cio che resta della stella. In linea generale, e infatti da notare che qualunque meccan-ismo che consenta di trasferire all’inviluppo anche pochi percento dell’energia prodotta dalnucleo collassante giunge inevitabilmente ad invertire il collasso dell’inviluppo medesimo,trasformandolo in una esplosione.

In assenza di una descrizione dettagliata, la nucleosintesi esplosiva viene investigata va-lutando con vari argomenti la parte del nucleo sopravvivente all’esplosione e provocandol’espulsione degli strati al di sopra di tale nucleo con vari artifici, quali una improvvisainiezione di energia o una perturbazione con effetto di pistone. Si ritiene peraltro che irisultati, quali quelli presentati in Fig. 8.13 siano largamente significativi.

Con riferimento alla citata figura e con riferimento alle piu macroscopiche modificazioni,si puo notare come giusto all’esterno del nucleo neutronizzato la nucleosintesi esplosiva delSilicio conduca ad una completa distruzione del Si con produzione di 56Ni. Piu all’esterno,dalla combustione incompleta del Si originano strati ricchi di Si, S, Ca e Ar. Aggiungiamo

Page 210: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

solo che i calcoli dettagliati forniscono valutazioni dettagliate sull’abbondanza dei diversiisotopi dei vari elementi, valutazioni che esulano dai limiti della presente esposizione, mache sono alla base di interessantissimi capitoli dell’Astrofisica Nucleare basati sul confrontocon l’abbondanza naturale di quegli isotopi.

Il destino del nucleo della Supernova dipende dalla sua massa. Se inferiore alla massacritica per strutture di neutroni degeneri esso permarra sotto forma di una Stella di Neutronidal diametro dell’ordine della diecina di km. In tal caso, stante la necessaria conservazionedel momento angolare, e facile prevedere come tali strutture possano diventare rapidissimirotatori, e non stupisce riconoscere tali strutture nelle Pulsar, emettitori radio con periodidei segnali (e della rotazione) anche notevomente minori al secondo.

Per masse maggiori, non paiono esistere meccanismi fisici in grado di fermare il collassogravitazionale, e la materia appare destinata a proseguire il collasso raggiungendo il suoRaggio di Schwarzschild, scomparendo dall’Universo osservabile sotto forma di Buca Nera.

Page 211: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Fig. 8.14. Collocazione nel diagramma HR di modelli in fase iniziale di combustione di elioal variare dell’eta. Per i vari modelli sono riportati massa (masse solari), eta (miliardi di anni),abbondanza di elio superficiale e massa del nucleo di He. Per i vari modelli sono riportate anchele tracce evolutive in fase di combustione centrale di He e gli spostamenti del modello iniziale perperdite di massa multiple di 0.1 M.

Approfondimenti

A8.1. Strutture ”Not-too-old” in combustione di He

Abbiamo visto come all’inizio della combustione di elio i modelli che portano alla transizione RGTsi dispongano al variare della massa, e quindi dell’eta, lungo una sequenza che raggiunge un minimonella temperatura efficace per poi tornare verso alte temperature incrementando leggermente laloro luminosita. Possiamo trovare una ragione per tale andamento sulla base di semplici consider-azioni strutturali svolte in analogia a quanto discusso nel caso delle ZAHB. Nel caso delle ZAHB ilparametro libero era la perdita di massa, qui assumiamo come parametro libero l’eta della struttura.

E’ subito evidente che per eta opportunamente alte ci attendiamo in combustione di elio stelledi massa poco superiore alla massa del nucleo elettronicamente degenere. Stelle quindi con shell diidrogeno poco efficiente, che si devono collocare ad alte temperature in prossimita della SequenzaPrincipale dell’He. Al diminuire dell’eta cresce la massa della struttura e cresce con essa la massadell’inviluppo di H: la shell di combustione dell’H diviene sempre piu efficiente e la stella si spostaverso la sua traccia di Hayashi. Si puo comprendere peraltro come tale processo non possa continuareindefinitamente. Al progressivo aumentare dell’inviluppo di H la produzione di energia della shellsi viene peraltro a trovare in regioni sempre piu interne, cosi che comincia sempre piu ad essere”sentita” dalla stella come una combustione centrale e la stella riguadagna il suo cammino verso lealte temperature.

Accenni ad un simile comportamento si trovano gia all’estremita rossa di alcune ZAHB. La Fig.8.14 mostra in dettaglio la distribuzione dei modelli che nel caso Z=10−4 coprono il minimo intemperatura efficace di cui andiamo discutendo. Nella stessa figura vengono riportati i parametrievolutivi dei vari modelli: massa, eta, abbondanza di He nell’inviluppo (dopo il primo dredge up) emassa del nucleo di He all’innesco della reazione 3α. La stessa figura riporta anche le tracce evolutivedei vari modelli nella fase di combustione di He centrale e la distribuzione dei modelli iniziali perperdite di massa multiple di 0.1 M.

Page 212: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

Fig. 8.15. Modelli evolutivi di HB per stelle ”metal-deficient” originate da un progenitore di 1.0M. Si noti il ”turn over” della ZAHB che segnala la massima escursione dei modelli verso il rosso.Le linee a tratti delimitano la regione di instabilita per pulsazioni radiali delle variabili di tipo RRLyrae.

E’ subito visto che per eta dell’ordine di quelle degli Ammassi Globulari galattici (11-12 Gyr)anche in assenza di perdita di massa le stelle in combustione di elio si collocherebbero sul ramoinferiore, prima del minimo in temperatura efficace. In tal caso, come abbiamo gia visto, anchecontenute perdite di massa sono in grado di aumentare notevolmente la temperatura efficace dellestrutture, creabdo i ben noti Rami Orizzontali. Il quadro cambia notevolmente andando ad etaminori, quali quelle rilevanti non solo per alcuni ammassi stellari galattici di vecchio disco, ma perAmmassi Globulari nelle Nubi di Magellano e per le popolazioni stellari in alcune Galassie Nanedel Gruppo locale.

Diminuisce infatti notevolmente la sensibilita alla perdita di massa e la traiettoria dei modelli amassa variabile segue in qualche maniera i precetti delineati in precedenza: ne segue in particolareche la perdita di massa cessa di essere in grado di portare le strutture verso le alte temperature.I Rami Orizzontali restano quindi una prerogativa delle popolazioni stellari, quali gli AmmassiGlobulari galattici, con eta dell’ordine di quella dell’Universo (Tempo di Hubble).

Non sorprendentemente, in tale escursione delle strutture pre-transizione verso il rosso il minimodi temperatura efficace dipende sensibilmente dalla metallicita: diminuendo la metallicita le stellerestano piu calde. al Fig. 8.15 mostra come scendendo a valori esteremamente bassi di Z il ”turnover” dei modelli raggiunga temperature dell’ordine 104 K, accadimento che puo essere messo inrelazione con le diminuita efficienza della shell di combustione dell’idrogeno. Come discuteremo inuno dei capitoli seguenti, cio avra rilevanti conseguenze sulle predizioni concernenti l’apparizione distelle variabili nelle popolazioni piu povere di metalli.

A8.2. La Red Giant Transition

Una estrema sottoabbondanza di metalli ha conseguenze rilevanti anche sui parametri della RedGiant Transition. Il pannello di sinistra della Fig. 8.16 mostra l’andamento della luminositaall’innesco dell’elio (”tip” delle Giganti Rosse) al variare della massa stellare per diverse valoridi sottoabbondanza. La luminosita in oggetto e un ulteriore parametro che segnala la transizione:

Page 213: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Fig. 8.16. Pannello di sinistra: andamento della luminosita al ”tip” delle Giganti Rosse al variaredella massa attraverso la RGT per gli indicati valori di metallicita. Pannello di destra: come nelpannello di sinistra ma in funzione dei tempi all’innesco dell’elio.

Tab. 4. Parametri evolutivi per modelli stellari al minimo della transizione per diverse assuntemetallicita. Per ogni Z sono riportati la massa Mmin al minimo del nucleo di He, in masse solari,il suo tempo evolutivo (milioni di anni), la massa del nucleo di He M min

c e la luminosita di ”tip”Lmin

tip . ambedue in unita solari.

Z 10−10 10−6 10−4 4 10−3 10−2 4 10−2

Mmin 1.5 1.9 2.4 2.5 2.6 2.9tmin 4500 2650 769 636 612 531M min

c 0.29 0.34 0.32 0.33 0.33 0.33Lmin

tip 2.04 2.15 2.11 2.26 2.31 2.27

Fig. 8.17. Variazione con il tempo dell’abbondanza relativa di stelle in fase di combustione a shelldi H (subgiganti e giganti) o in fase di combustione centrale di elio. Il tempo t e in milioni di anni.

all’aumentare delle masse attraverso la transizione tale luminosita diminuira seguendo la progres-siva scomparsa del Ramo delle Giganti Rosse , raggiungendo un minimo in corrispondenza delminimo valore del nucleo di elio, per poi risalire seguendo l’aumento delle masse stellari e delle loroluminosita evolutive.

Il pannello di destra della stessa figura mostra ancora la luminosita di ”tip” ma in funzione deltempo all’innesco dell’elio. Dai dati in figura si trae l’evidenza che popolazioni sottoabbondanti dimetalli possono sperimentare la RGT a masse notevolmente minori e, conseguentemente, a tempinotevolmente maggiori di una normale popolazione stellare, sviluppando un Ramo delle GigantiRosse solo dopo alcuni miliardi di anni. La Tabella 8.16 riporta alcuni parametri caratterisaticidella RGT per metallicita che coprono l’intervallo da Z= 10−10 al valore soprasolare Z= 4 10−2.

Page 214: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Tab. 5. Per le varie masse M (in masse solari) ogni riga riporta nell’ordine la massa del nucleo diHe e l’eta all’innesco dell’elio centrale seguite dai tempi di vita nelle fasi d combustione a shell diidrogeno, combustione centrale di elio e early AGB.

M Mc t(flash) τHshell τHe

central τHeshell

1.0 0.472 13527 1982 118 101.2 0.471 6851 986 111 101.5 0.470 3105 632 117 102.0 0.444 1158 137 130 112.3 0.341 740 58 260 252.5 0.330 573 33 231 233.0 0.363 341 14 136 13

Fig. 8.18. Evoluzione delle condizioni centrali di stelle di varia massa dalla fase di presequenzasino alle fasi evolutive avanzate.

Per indagare infine con qualche maggiore dettaglio le modalita della transizione riportiamo inTabella 5 una selezione di tempi evolutivi per una serie di masse di composizione solare a cavallodella transizione. Sulla base di tali dati la Fig.8.17 mostra la variazione con il tempo dell’attesaabbondanza relativa di stelle in fase di combustione a shell di idrogeno o combustione centrale dielio. Se ne ricava l’evidenza di come alle minori eta le fasi post MS siano dominate dal clump dellestelle nella combustione centrale di elio. La transizione avviene a circa 1 Gyr, quando giungono alflash le stelle di ∼ 2.0 M.

A8.3. Nuclei degeneri. Pulsi termici. Biforcazione del Carbonio.

Allorquando in una struttura stellare si sviluppa un nucleo degenere l’evoluzione delle condizioniinterne appare largamente condizionata dalle caratteristiche del nucleo stesso. Un’evidenza di cioproviene dalla esistenza di una relazione ”massa del nucleo-luminosita” sia per le Giganti Rossedi piccola massa, con nucleo di He degenere, che per piccole masse e masse intermedie in fase diAGB. A titolo di esempio la Fig. 8.18 riporta l’evoluzione temporale delle condizioni centrali di uncampione di masse stellari, mostrando come le strutture con nuclei degeneri di He convergano versoun’unica sequenza temporale.

Strutture con nucleo di CO degenere sono fatalmente destinate a innescare pulsi termici. Iltermine della fase di early AGB e l’innesco dei pulsi e segnalato da alcuni eventi precursori, qualiuna rinnovata efficienza della shell di idrogeno e alcuni lievi massimi secondari nell’evoluzione dellaluminosita della struttura. Ancora a titolo di esempio la Fig.8.19 mostra l’andamento di tale lu-minosita in un modello di 2.5 M di composizione chimica solare. Si puo notare come la crescitacontinua della luminosita assuma gradatamente un andamento oscillante sino a innescare il primovero e proprio pulso che, dopo un transiente riaggiustamento, da inizio ad una sequenza omogenea disuccessivi pulsi. Si noti al riguardo anche la relativamente bassa luminosita alla quale si sviluppanoi pulsi rispetto alle strutture piu massicce.

Page 215: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

Fig. 8.19. Andamento temporale della luminosita nella fase di innesco dei pulsi termici in unmodello di 2.5 M di composizione solare.

Fig. 8.20. Evoluzione temporale delle temperature centrali e delle temperature massime in unaserie di modelli con Z=8 10−3 a cavallo dei limiti per l’innesco del Carbonio.

La Fig.8.20 mostra infine come l’innesco del Carbonio si presenti come una vera e propriabiforcazione nel destino evolutivo delle strutture stellari. A densita logρc ∼6 al centro di tutte lestrutture inizia a prevalere la produzione di neutrini, provocando una inversione di temperatura edil progressivo raffreddamento delle regioni centrali. La temperatura continua peraltro a crescere inuna shell intermedia, sinche avviene la netta e brusca separazione tra le strutture che innescano equelle che raffreddano.

A8.4. Modelli con Overshooting invasivi.

Nel trattamento della convezione adottato nel testo, si e esplicitamente assunto che ai bordidelle zone convettive esista una regione di ”overshooting” di estensione trascurabile. La presenzadell’overshooting si manifesta dunque in tale modellistica ”classica” solo nella fasi di conbustionedell’elio attraverso i meccanismi del trascinamento del nucleo convettivo e nelle successiva fase disemiconvezione. Attorno agli anni ’80 fu peraltro avanzata da alcuni ricercatori l’ipotesi di ”over-shooting invasivi”, cioe con dimensioni non trascurabili. In assenza di una teoria al proposito,l’estensione di tali overshooting viene ad assumere l’aspetto di un parametro libero ed e usualmenteespressa in unita di quella lunghezza di scala di pressione HP che appare anche nel trattamentodella convezione superadiabatica, ponendo l=β HP .

La reale efficienza di tale meccanismo, peraltro ignorato nella formulazione dei Modelli SolariStandard, e stata l’oggetto di un lungo dibattito che si prolunga sino al presente. Le varie evidenzeosservative di volta in volta invocate in supporto del fenomeno sono talora risultate incosistenti e, neltempo, le estensioni di overshooting adottate sono progressivamente scese da β ∼ 1 a 0.25. Notiamoqui che un’estensione dell’orine do 0.1 HP produce modelli che che cominciano a confondersi con loscenario classico.

Da un punto di vista generale e facile prevedere le conseguenxe di un efficiente overshootinginvasivo, che si traduce in accresciute dimensioni delle regioni rimescolate ed omogeneizzate dai

Page 216: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

Fig. 8.21. Tracce evolutive di una struttura di 4.0 M come calcolate seguendo le segnalateassunzioni sull’efficienza di overshooting invasivi.

nuclei convettivi. Piccole masse in fase di combustione di idrogeno, essendo prive di nuclei convettivi,risultano quindi immuni dall’intervento da tali extra rimescolamenti, che invece interesseranno inuclei convettivi della fase di combustione di elio e le strutture in combustione sia di H che di Hein masse intermedia e grandi. Conseguentemente, un efficiente overshooting produce nelle piccolemasse solo un’allungamento della fase di HB proporzionale al combustibile portato nel nucleo dicombustione di elio e, dunque, alle dimensioni di overshooting adottate.

In masse intermedie e grandi l’overshooting modifica invece gia le strutture di ZAMS, generandouna catena di conseguenze che possono essere riassunte nei seguenti punti:

1. Si prolunga la vita in fase di combustione centrale di H, con modifiche della traccia di uscitadalla ZAMS.

2. All’esaurimento dell’H centrale la struttura ha nuclei di He piu massivi e, di conseguenza, siabbassa il valore della massa critica per la RGT.

3. Le stelle si presentano in fase di combustione di elio centrale con nuclei di elio piu massivirisultando piu luminose e con vite medie piu brevi.

4. Le strutture sviluppano infine nuclei di CO piu massivi, di conseguenza, scende il valore di Mup.

che rappresentano, nel contempo, le caratteristiche osservative sulle quali e possibile in linea diprincipio verificare e/o calibrare l’efficienza dell’overshooting.

La Fig.8.21 riporta un esempio di tale comportamento, mettendo a confronto la traccia evolutivadi struttura di 4 M calcolata con le assunzioni classiche con tracce per la stessa struttura macalcolate assumendo un’estensione dell’overshooting pari a 0.10 o 0.25 HP .

Per ovviare ad alcune inconsistenze, nei calcoli recenti sono stati introdotti approcci piu arti-colati, ad esempio inibendo del tutto l’efficienza dell’overshooting per masse minori od eguali a 1M, ad evitare le predizioni di un nucleo convettivo nell’attuale Sole, aumentando gradatamenteil valore di tale perametro portandolo in piena, seppur moderata, efficienza per stelle di massa ≥1.5 M. La modellistica e ulteriormente complicata dalla coerente introduzione di un parallelo ”un-dershooting” alla base degli inviluppi convettivi, anch’esso modulato in termini di HP , seppur convalori autonomi ed in genere diversi da quelli utilizzati per la convezione interna.

A8.5. Strutture deficienti in metalli e Mup

Le stelle, a parita di massa, al diminuire dei metalli risultano progressivamente ”piu calde”, allu-dendo con cio alla predizione di maggiori temperature centrali. Ne segue, come discusso in altropunto, una corrisponente diminuzione della massa della RGT. Nel caso delle grandi masse, per Z≤0.002 ne segue anche una accelerazione della combustione dell’elio, il cui innesco avviene prima chela struttura raggiunga la sua traccia di Hayashi. E’ facile comprendere come tale effetto scali conle masse: masse minori hanno temperature centrali minori e e saranno necessarie minori metallicita

Page 217: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

22

Fig. 8.22. Tracce evolutive per masse intermedie con metallicita Z= 10−4.

Fig. 8.23. Evoluzione temporale dei nuclei convettivi in strutture con Z=10−10 e gli indicati valoridelle masse. In ascissa la concentrazione di idrogeno al centro Xc .

per innalzare sufficientemente le temperature e produrre l’innesco anticipato. In effetti la Fig. 8.22mostra come scendendo a Z=10−4 anche le masse intermedie mostrano un simile comportamento.A metallicita ancora minori, piccole masse anticiperanno l’innesco dell’elio diminuendo progressiva-mente la luminosita del tip del Ramo delle Giganti.

L’effetto della metallicita sul valore di Mup e piu complesso. L’innesco della combustione delCarbonio resta infatti collegato alle dimendioni del nucleo di CO e tali dimensioni risultano an-che dal tipo di reazioni che hanno sorretto la fase di combustione dell’idrogeno. Diminuendo lametallicita a partire da valori solari, a parita di massa aumentano i nuclei convettivi e diminuiscecorrispondentemente il valore di Mup. Al progressivo diminuire di Z inizia pero ad essere progressi-vamente sfavorita la combustione CNO, che e all’origine dei nuclei convettivi, a favore della catenapp. Cio riduce la dimensione dei nuclei convettivi, sfavorendo l’innesco del Carbonio ed innalzandonuovamente il valore di Mup.

Come caso limite, la Fig.8.23 riporta la storia dei nuclei convettivi in strutture di masse interme-die e grandi con Z=10−10. In tutti i casi, la ricrescita della convezione nel corso della combustionecentrale di idrogeno corrisponde all’intervento della reazione 3α con la conseguente produzione diCarbonio ”fresco” che incentiva un passaggio verso la combustione CNO. Le conseguenze su Mup

sono mostrate in Fig. 8.24: in strutture deficienti in metalli il valore di Mup risale sensibilemte. Se a

Page 218: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

23

Fig. 8.24. Andamento di Mup al variare delaa metallicita .

cio corrispondesse anche una diminuzione della perdita di massa, forse masse intermedie delle primepopolazioni stellari potrebbero non terminare le loro vitsa come Nane Bianche di CO, ma subire ladeflagrazione del Carbonio.

A8.6. Il bilancio del viriale ed il criterio di stabilita delle strutture

Dal teorema del Viriale, per una struttura quasi stabile deve valere

2T + Ω = 0

con l’ormai usuale significato dei simboli. Si puo indagare piu a fondo il bilancio energetico dellastruttura ricordando (→ A2.1) che l’energia interna per particella risulta

u =n

2kT

dove n e il numero di gradi di liberta. Per l’energia cinetica della particella si ha in particolare

w =3

2kT

da cui

w =3

nu =

3

2(2

n)u

Ponendo γ = 1 +2/n, γ -1= 2/n e per l’energia cinetica si ha la forma

w =3

2(γ − 1)u

Dalla termodinamica elementare si ricava facilmente che γ e il rapporto CP /CV dei calorispecifici a pressione o volume costanti.

La precedente relazione tra energia cinetica ed ebergia totale della materia consente di ricavareun dettagliato bilancio energetico del processo di contrazione. L’energia totale posseduta dallastruttura risultera infatti, ponendo U = Σi ui

E = U + Ω

ma per il viriale, risultando T=Σi wi, deve anche valere

3(γ − 1)U + Ω = 0

da cui si ricava in definitiva

Page 219: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

24

E =3γ − 4

3(γ − 1)Ω

Per una contrazione, dΩ < 0, e le due precedenti relazioni forniscono

dE =3γ − 4

3(γ − 1)dΩ

dU = − 1

3(γ − 1)dΩ

Ne segue che per γ > 4/3 la contrazione comporta una diminuzione di E: e questa l’energiadisponibile per essere irradiata. Nel contempo la contrazione implica un aumento di U, confermandoche in tal caso la contrazione aumenta l’energia interna e con essa l’energia cinetica della struttura.

Per un gas perfetto monoatomico γ = 5/3, W = U, e si riconosce come meta dell’energiaguadagnata dalla contrazione vada in energia cinetica delle particelle e meta venga irradiata. E’subito visto che al diminuire di γ aumenta la frazione di energia gravitazionale che deve essereimmagazzinata come energia interna per mantenere l’equilibrio. Al limite γ = 4/3 (gas di fotoni)tutta l’energia guadagnata dalla contrazione deve andare in energia interna.

Le precedenti considerazioni forniscono agevolmente un criterio di stabilita per la struttura.Sinche γ > 4/3 resta possibile l’equilibrio di una struttura stellare, in quanto l’energia guadagnatanella contrazione e sufficiente per innalzare adeguatamente l’energia interna e soddisfare le richiestedel viriale. Per γ < 4/3 cio non e piu possibile: l’energia guadagnata dalla contrazione diventaminore di quella necessaria per mantenere l’equilibrio idrostatico e si deve manifestare una instabilitagravitazionale. La condizione γ > 4/3 e quindi condizione necessaria per la stabilita delle strutturestellari.

A8.7. La storia gravitazionale

Nel seguire la storia evolutiva delle strutture stellari abbiamo di volta in volta posto in lucel’intervento della gravitazione come elemento centrale che guida la contrazione ed il riscaldamentodella materia di cui le stelle sono composte. E’ restato peraltro in secondo piano il reale contributodi energia con cui il campo gravitazionale ha contribuito al bilancio energetico generale.

E’ dunque interessante esplorare la storia gravitazionale delle strutture stellari, come ricavabiledall’andamento temporale dell’ energia di legame gravitazionale

Ω = G

∫Mrρ

r.

che fornisce in ogni istante il bilancio dell’energia prodotta lungo tutta la precedente storia dellastella a spese del campo gravitazionale.

La Fig. 8.25 riporta nel pannello inferiore un esempio di tali andamenti nel caso di una stelladi 5 M di composizione solare, seguita dalla Sequenza Principale sino alle fasi avanzate di AGBlungo la traccia riportata nel pannello superiore della stessa figura.

Se ne trae la sorprendente evidenza di quanto l’intervento dell’energia nucleare, intrecciandosicon le condizioni strutturali, finisca con il modificare la semplice pittura che avevamo a suo tempoderivato dal Teorema del Viriale. In effetti la Fig. 8.25 mostra che, in totale, l’energia gravitazionaledella struttura rimane per lungo tratto del’evoluzione addirittura minore di quella del modello diMS, finendo con l’aumentare sensibilmente solo durante la fase di crescita del nucleo degenere diCO durante la fase di AGB.

La storia di una stella, come dipinta dal Viriale, e’ dunque largamente una storia dei nucleistellari, mentre le varie e successive espansioni degli inviluppi tendono a bilanciare le variazionidell’energia totale gravitazionale. Come mostrato in Fig. 8.26 , la storia gravitazionale di una pic-cola massa quale il Sole, risulta ancor piu lineare, con le fasi di combustione centrale a legamesensibilmente costante, l’aumento di legame durante le fasi di combustione a shell e l’evidente es-pansione causata dal flash dell’elio e il conseguente riaggiustamento della stella in una struttura di

Page 220: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

25

Fig. 8.25. Pannello superiore: Traccia evolutiva di una stella di 5 M e composizione chimicasolare. Pannello inferiore: Andamento temporale dell’energia dii legame della struttura di cui alpannello superiore. Le frecce indicano alcune fasi evolutive.

Fig. 8.26. Andamento temporale dell’energia di legame di una struttura di 1M seguita dalla faseiniziale di Sequenza pPrincipale sino alle fasi avanzate di Ramo Asintotico. .

HB. In passim, dai dati in figura, si ricava facilmente che l’antica evidenza per la quale l’energiagravitazionale del Sole potrebbe sostenere l’attuale luminosita per meno di 108 anni.

Come accenato in precedenza, il motore di tutta l’evoluzione delle strutture stellari resta peraltroe in ogni caso la gravitazione, il cui contributo energetico e all’origine della serie di complessifenomeni che caratterizzano la vita delle strutture stellari e che, sola, riesce a risvegliare l’energialatente nei nuclei per porla a disposizione della stella.

Page 221: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

26

Origine delle Figure

Fig.8.1 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 283, L89Fig.8.2 Castellani V.,Degl’Innocenti S.,Girardi L., Marconi M.,Prada Moroni P.G.,Weiss A. 2000, A&A 354,150Fig.8.3 Castellani V.,Degl’Innocenti S.,Girardi L., Marconi M.,Prada Moroni P.G.,Weiss A. 2000, A&A 354,150Fig.8.4 Castellani V., Chieffi A., Pulone 1990 ApJS 74, 463Fig.8.5 Alcock C., Paczynski B. 1978, ApJ 223, 224Fig.8.6 Bencivenni D., Brocato E., Buonanno R., Castellani V. 1991, AJ 102, 137Fig.8.7 Brocato E., Castellani V. 2003, ApJ 410, 99Fig.8.8 Brocato E., Castellani V. 2003, ApJ 410, 99Fig.8.9 Barka T.S. 1977, in ”Supernovae”, O.N. Schramm ed., Reidel Publ. Comp.Fig.8.10 Iben I.Jr. 1980, in ”Physical Processes in Red Giants”, Reidel Publ. Comp.Fig.8.11 Limongi M., Chieffi A., Straniero O. 2001, Mem. Soc. Astron. It. 72, 289Fig.8.12 Woosley S.S., Weawer S.E. 1982, in ”Essays in Nuclear Astrophysics”, Cambridge University Press.Fig.8.13 Woosley S.S., Weawer S.E. 1982, in ”Essays in Nuclear Astrophysics”, Cambridge University Press.Fig.8.14 Castellani V.,Degl’Innocenti S. 1995, A&A 298, 827Fig.8.15 Cassisi S., Castellani V., Tornambe A. 1996, ApJ 459, 298Fig.8.16 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509Fig.8.17 Castellani V., Chieffi A., Straniero O. 1992, ApJS 78, 517Fig.8.18 Iben I.Jr. 1973, in ”Explosive Nucleosynthesis”, D.N. Schramm ed., Univ. Texas PressFig.8.19 Castellani V., Chieffi A., Straniero O. 1992, ApJS 78, 517Fig.8.20 Castellani V., Degl’Innocenti S., Marconi M., Prada Moroni P.G. Sestito P. 2003 A&A 404, 645Fig.8.21 Castellani V., Degl’Innocenti S., Marconi M., Prada Moroni P.G. Sestito P. 2003 A&A 404, 645Fig.8.22 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509Fig.8.23 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509Fig.8.24 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509Fig.8.25 Castellani V., Marconi M. unpublishedFig.8.26 Castellani V., Marconi M. unpublished

Page 222: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 9

Riscontri e problematiche osservative

9.1. Calibrazione e validazione dello scenario teorico

La catena di argomentazioni che siamo andati sviluppando ci autorizza ad interpretare intermini dei parametri fondamentali ”eta” e ”composizione chimica originaria” lo stato evo-lutivo di una qualsivoglia struttura stellare, consentendoci in particolare di interpretare intermini di ”isocrone” la distribuzione di fasi ecolutive osservata nei diagrammi CM degliammassi stellari. Tali diagrammi rappresentano nella maggior parte dei casi il ”dato speri-mentale” di cui le teorie sono chiamate a rendere conto, con il duplice obiettivo di verificare,innanzitutto, l’adeguatezza del quadro teorico stesso e, su tali basi, di desumerne i paramterievolutivi degli ammassi stellari in esame.

Per fare luce sulla gran varieta di valutazioni evolutive apparse in letteratura convieneinnanzitutto richiamare e precisare alcuni aspetti fondamentali dell’approccio teorico. Daun punto di vista generale, la creazione di uno scenario teorico riposa sul calcolo di lineeevolutive (le tracce evolutive) che costituiscono l’ingrediente di base per giungere alla predi-zione delle relative isocrone. Per giungere a confronti quantitativamente significativi conle osservazioni occorre peraltro ”forgiare” lo strumento evolutivo operando una scelta trale molte opzioni sulle quali riposa il calcolo di un qualunque modello stellare. Per porretale problematica sulle sue giuste basi osserviamo innanzitutto che, almeno sinche si ri-mane nel campo delle strutture stellari a simmetria sferica, il sistema delle cinque condizionidell’Equilibrio appare fornire una descrizione esauriente del sistema fisico e, in quanto tale,viene universalmente adottato nei calcoli evolutivi.

Aggiungiamo ora che il metodo di soluzione di tali equazioni, basato sul rilassamento diuna soluzione di prova (metodo di Henyey), fornisce risultati singolarmente robusti. Abbiamoinfatti a suo tempo indicato come procedure inaccurate possano eventualmente influenzarela velocita di convergenza o il suo stesso reggiungimento: se e quando si raggiunge la conver-genza le funzioni sono peraltro la corretta soluzione del sistema, indipendentemente da ognialtra considerazione. In programmi di calcolo ragionevolmente impostati, variazioni nel trat-tamento numerico (numero dei mesh, spaziatura dei passi temporali, etc) hanno una minoreinfluenza, talche appare lecito concludere che i modelli stellarti non dipendono dai partico-lari programmi di calcolo ma che, invece, un modello stellare e tanto piu adeguato e migliorequanto piu adeguato e migliore e il trattamento degli ingredienti fisici che intervenfono nelcalcolo del modello.

Possiamo richiamare i vari ingredienti fisici che entrano o che eventualmente si sopettapossano entrare in un modello stellare, dividendoli in due categorie:

1

Page 223: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

1. Meccanismi microscopici: 1. Equazione di Stato (EOS) per il plasma stellare, 2. Opacitaradiativa ed eventuale conduzione elettronica, 3. Produzione di energia, ivi compresa laproduzione di termoneutrini.

2. Meccanismi macroscopici: 1. Convezione superadiabatica, 2. Diffusione, 3. Overshootinginvasivo, 4. Breathing pulses.

Abbiamo piu volte ricordato come la valutazione dei meccanissmi fisici microscopici(prima categoria) coinvolga valutazioni sia teoriche che sperimentali anche di notevole com-plessita e difficolta. Conseguentemente la capacita di predire il comportamento fisico delplasma stellare e andata progressivamente affinandosi con il tempo, con un parallelo adegua-mento e perfezionamento della modellistica stellare. Per quel che riguarda la seconda cat-egoria dei meccanismi macroscopici, la modellistica puo includere o meno diffusione, over-shooting invasivo o breathing pulses, mentre la convezione superadiabatica, quando trat-tata tramite l’algoritmo della mixing length, richiede la calibrazione del parametro libero”lunghezza di rimescolamento”.

A fronte di una tale varieta di opzioni, appare chiaro che il puro e semplice ”output” diun programma di calcolo evolutivo, per essere usato per valutazioni quantitative, richiede diessere validato e calibrato. Abbiamo a suo tempo indicato come l’eliosismologia fornisca unprimo e prioritario strumento di validazione, talche la modellistica che non abbia passato il”test” solare dovrebbe essere guardata perlomeno con sospetto. Discutendo di grandi masse,abbiamo anche posto in luce come la validazione richieda l’adozione del criterio di instabilitadi Ledoux. Sono questi solo due esempi di come le varie fasi evolutive offrano una varietadi occasioni di validazione che non possono essere trascurate quando si vogliano raggiungererisultati affidabili.

9.2. Ammassi di disco e masse intermedie

In questa, come nelle seguenti sezioni di questo capitolo, intendiamo proporre una seriedi esempi che illustrino almeno nelle loro linee fondamentali le numerose problematicheconnesse all’utilizzazione dello strumento evolutivo, al fine di porne in luce le potenzialitama anche i limiti e le eventuali assunzioni. Inizieremo dal caso degli ammassi stellari inprossimita del Sole, che rappresentano un campione privilegiao per la raggiunta solidita deirelativi dati osservativi. Per lungo tempo il confronto tra teoria ed osservazioni era rimastoinfatti solo parzialmente significativo a causa dell’assenza di informazioni sulla distanza degliammassi e, di conseguenza, sulla magnitudine assoluta delle stelle.

Il satellite astrometrico Hipparcos, lanciato nel 1989, ha finalmente colmato tale lacuna,consentendo di determinare trigonometricamente la distanza di alcuni degli ammassi stellaripiu vicini al Sole. La Fig.9.1 pone a confronto il diagramma CM dell’ammasso delle Iadi,gia a suo tempo riportato in Fig. 1.6, con le isocrone teoriche prodotte utilizzando modelliclassici (no overshooting invasivo, no breathing pulses) basati sui pi‘u recenti ingredienti dimicrofisica testimoniati in letteratura a tutto il 2004. Si noti che per eta inferiori a qualchemiliardo di anni gli effetti della diffusione risultano in ogni caso negligibili.

Nella stessa figura sono riportati anche i dati osservativi per un altro ammasso apertoin vicinanza del Sole, la Pleiadi, anch’essi confrontati con le relative predizioni teoriche.Iniziamo con l’osservare che il confronto della teoria con i dati osservativi richiede che lostrumento evolutivo, che fornisce l’isocrona nel diagramma HR teorico nel piano logL, logTe,sia ulteriormente integrato da opportune relazioni che colleghino logL, logTe alle magnitudinie colori nelle prefissate bande usate nell’osservazione.

I dati in figura mostrano che utilizzando aggiornate valutazioni di tali due ingredientila teoria appare in confortante accordo con le distribuzioni osservate. Evidenza tanto piusolida in quanto la figura stessa mostra come le assunzioni sul valore della mixing length non

Page 224: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

Fig. 9.1. Diagrammi CM per le stelle degli ammassi aperti Iadi e Pleiadi. In ascissa e ordinatasono riportati rispettivamente i colori intrinseci e le magnitudini assolute. Le linee riportano leisocrone teoriche per gli indicati valori di metallicita dei due ammassi e per il valore di mixinglength l=1.9 HP . La linea a tratti mostra la collocazione della MS predetta per l=2.2 HP .Sonoriportate indicazioni per le eta delle due isocrone, per l’equazione di stato (EOS) e le trasformazioninel piano osservatico (”Colori”)

influenzino le stelle di Sequenza pPrincipale alle maggiori temperature, e abbiano anche unalimitata influenza sulle stelle di MS di minor massa, che sappiamo dover sviluppare inviluppiconvettivi. Si noti al proposito come all’ulteriore diminuire della massa (e della temperaturaefficace) diminuisca per infine svanire l’influenza del trattamento della convezione, che di-viene progressivamente sempre piu adiabatica.

Come gia abbiamo discusso, la scelta della lunghezza di rimescolamento e invece criticaper la collocazione delle Giganti Rosse. La presenza nelle Iadi di due giganti in fase dicombustione di He consente cosi di calibrare tale lunghezza al valore l∼ 1.9HP , in rimarcabileaccordo con il valore ricavato dal Modello Solare Standard calcolato nel quadro del medesimoscenario teorico. Come indicato in figura, le isocrone consentono infinedi ricavare per i dueammassi eta pari a 130 milioni di anni per le Pleiadi e a 520 milioni per le Iadi, gettandouna proma luce sulla storia della formazione degli ammassi nella nostra Galassia.

E’ subito necessario precisare che con quanto sopra non si intende dare una rispostaprobante e definitiva ad argomenti sui quali e ancora aperto il dibattito. L’introduzione diovershooting invasivo aumenterebbe la valutazione delle eta, lasciando pressoche inalteratala bonta del ”fitting”. Cosi come non vi e generale accordo sulla metallicita da assegnare allePleiadi. Qui, come nel seguito, si intende fare uso di opportuni esempi per illustrare il tipodi procedure utilizzate nel raccordo tra teorie evolutive ed osservazioni, avvertendo peraltro-come stiamo facendo- delle ”variabili nascoste” esistenti nelle diverse problematiche.

Ove si accetti la precedente validazione, su tale base e evidentemente possibile esten-dere l’indagine a qualsivoglia ammasso aperto della nostra Galassia, questa volta pero ri-cavando moduli di distanza e magnitudini assolute delle stelle di un ammasso dal ”fitting”delle Sequenze Principali, cioe dall’imporre che la distribuzione delle sequenze osservativecorrispondano alle predizioni teoriche come valutate per i valori di metallicita determinatispettroscopicamente per i vari ammassi. Notiamo peraltro che in caso di arrossamento in-terstellare non trascurabile, con tale metodo si ricava non il modulo di distanza ”vero”,differenza tra le magnitudini non arrossate (m-M)0, ma un modulo di distanza (m-M) in cuiall’effetto di distanza si somma quello dell’assorbimento. Nel caso della banda visuale si ha,ad esempio, (V-MV ) = (V-MV )0 + AV = (V-MV )0 + 3.1 E(B-V). In tale contesto notiamoche parlare genericamente di un modulo di distanza DM puo talora ingenerare equivoci,dovendosi preferire le forme esplicite (V-MV ) o (V-MV )0 e simili.

Page 225: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

Fig. 9.2. Diagramma CM osservativo per l’Ammasso Globulare NGC1866 nella Grande Nube diMagellano. La linea nel corpo della Sequenza Principale e la sequenza di punti indicata dalla frecciamostrano il ”best fitting” con l’isocrona teorica popolata con una distribuzione casuale delle masse.La freccia indica la sequenza teorica dei modelli in combustione di elio.

Di particolare rilevanza appare l’estensione di simili procedure agli Ammassi Globularidelle Nubi di Magellano. La Fig. 9.2 riporta il best fitting dell’ammasso NGC1866 nellaGrande Nube, come ottenuto per un’eta di 140 milioni di anni e gli indicati parametri dicomposizione chimica. Seguendo la procedura nota in letteratura come ”Ammassi sintetici”al posto della linea isocrona cui abbiamo sin qui fatto riferimento, la figura riporta la dis-tribuzione di stelle lungo l’isocrona stessa come predetta sulla base di una distribuzione ca-suale delle masse evolventi. Tale procedura consente di aggiungere all’informazione sul luogodei punti del diagramma coperto dall’isocrona anche l’informazione sull’atteso popolamentodelle varie fasi evolutive mostrando ad esempio, nel caso in figura, come a causa dell’altavelocita evolutiva non ci si attendono stelle nella vasta regione che separa la SequenzaPrincipale dalle Giganti Rosse in fase di combustione di elio.

Il caso di NGC1866 ci consente di meglio valutare quanto a suo tempo affermatosull’importanza degli Ammssi Globulari giovani nelle Nubi di Magellano. Si riconosce in-fatti come tale cluster rappresenti la controparte extragalattica di un ammasso galatticoquale le Pleiadi, avendo simile eta e non eccessivamente dissimile composizione chimica. Acausa della grande differenza di popolazione, NGC1866 contiene peraltro qualche centinaiodi Guganti Rosse in fase di combustione di elio laddove le Pleiadi non ne mostrano nem-meno una. Gli ammassi giovani delle Nubi rappresentano quindi un eccezionale campioneche consente di ottenere dati statisticamente rilevanti sul popolamento delle fasi avanzate dicombustione di elio in masse intermedie e, di converso, sui relativi tempi evolutivi. Per talemotivo NGC1866 estato sovente utilizzato per indagare l’efficinza dell’overshooting invasivo,peraltro sinora con controversi risultati.

Notiamo infine come il best fitting, oltre a confortare le capacita predittivre della teoriaed a fornire una stima dell’eta di quell’ammasso, fornisce anche una stima della distanzadell’ammasso e, con esso, della Grande Nube di Magellano. Ne risulta infatti un modulo didistanza (V-MV ) = 15.5 da cui un modulo di distanza intrinseco (V-MV )0 ∼15.35. Senzaentrare al momento in problematiche che affronteremo piu oltre, accenniamo qui alla grandeimportanza di una precisa determinazione della distanza della Grande Nube: da tale distanzasegue infatti la calibrazione della relazione periodo luminosita delle variabili Cefeidi dellanube stessa, primo gradino che porta a definire una scala delle distanze per l’Universo intero.

Page 226: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Fig. 9.3. Il numero di stelle di MS nell’ammasso NGC2004 con luminosita superiore alla magni-tudne V in funzione di V (Distribuzione cumulativa ) confrontato con le predizioni teoriche per i variindicati valori dell’esponente della IMF. Il numero di stelle e normalixzzato al numero di GigantiRosse in combustione di elio.

Come ulteriore elemento di possibili indagini, notiamo infine come la conoscenza dellarelazione teorica massa-luminosita lungo una MS consenta di ricavare con facile calcolola distribuzione di stelle lungo tale sequenza per ogni assunto valore della distribuzioneiniziale di massa IMF, parametro che vedremo essere di rilevanza centrale nella storia dellepopolazioni stellari. Il confronto con le osservazioni consente quindi di esplorare il vaolredell’esponente dell’IMF in tutti quegli ammassi con MS sufficientemente popolate per fornirerisultati statisticamente rilevanti. A titolo di esempio, la Fig. 9.3 mostra come la MS delcluster NGC2004 della Grande Nube, il cui diagramma CM e stato riportato nel precedentecapitolo alla Fig. 8.6, segua con buona precisione una distribuzione IMF con esponente diSalpeter, risultando per il numero di stelle N al variare della massa M dN/dM = M−2.35.

9.3. Ammassi Globulari Galattici: procedure di fitting ed eta

Gli Ammassi Globulari Galattici rappresentano un campione osservativo sul quale si e permolto tempo concentrata l’attenzione dei ricercatori, sia per l’interesse intrinseco di questisistemi collegati alle fasi evolutive iniziali della Galassia, sia per la presenza statisticamenterilevante di stelle in ambedue le fasi di combustione di elio al centro (HB) e in shell (AGB).La validazione dello scenario teorico e in questo caso meno stringente, non avendosi sinoramisure dirette della distanza di tali ammassi. Rimane dunque un grado di liberta sul valoredelle magnitudini assolute, cui talora si aggiunge una leggera flessibilita sui colori, collegataall’incertezza sul preciso valore di un eventuale arrossamento. Il parametro libero ”eta”, chemodula la forma del Turn Off, agiunge ulteriore liberta. Resta peraltro evidente che una talevalidazione, se pur ”debole” resta prioritariamente necessaria quando si voglia utilizzare loscenario teorico a livello quantitativo.

Nel caso di ammassi non arrossati, o di arrossamento noto con precisione, la dis-tanza dell’ammasso puoo essere determinata tramite il best fit con la Sequenza Principaleteorica di opportuna composizione chimica. E’ peraltro facilmente verificabile come in-certezze sull’arrossamento si traducano in incertezze sul modulo di distanza: aumentandol’arrossamento aumenta il modulo di distanza necessario per portare a coincidere la sequenzateorica con quella osservata. Una tale degenerazione arrossamento-distanza puo in principioessere risolta attraverso il best fit del Ramo Orizzontale, la cui luminosita, per l’andamentosensibilmente orizzontale, poco risente dell’arrossamento. E’peraltro da notare come i mod-elli di ZAHB siano il prodotto dell’intera evoluzione in fase di Gigante Rossa, e pertanto

Page 227: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 9.4. Esempio delle procedure di best fitting per l’Ammasso Glubulare M68. a):Determinazione del modulo di distanza apparente dal fit del Ramo Orizzontale e dell’ arrossa-mento dal fit della MS (+ TD). La freccia mostra la direzione di spostamento delle isocrone alcrescere dell’arrossamento. b): Aumento della mixing length e fit del colore del Ramo delle Giganti.

contengano molta piu ”storia” e molta piu fisica dei semplici modelli di MS, risultandopertanto corrispondentement piu a rischio di incertezze.

Tenendo in mente tali precauzioni, notiamo qui che se il modulo di distanza appar-ente viene fissato tramite il Ramo Orizzontale, l’arrossamento resta fissato dal fitting dellasequenza principale, come mostrato in Fig. 9.4a. Fortunatamente, come mostrato nellastessa figura, tale processo ammette un ulteriore criterio di validazione. Il ”gomito” cheall’aumentare delle temperature efficaci conduce alla verticalizzazione del Ramo (HB-TD= HB Turn Down) segnala in effetti la temperatura alla quale la correzione bolometricainzia a crescere, abbassando la luminosita nella banda V. Esso e quindi un buon indicatoredi temperatura che si colloca attorno a (B-V)0 ∼ 0, indipendentemente dalla metallicita odall’eta del cluster. La buona corrispondenza tra il TD teorico e quello osservato e quindiun buon criterio di conferma del valore di reddening adottato.

Come mostrato in Fig. 9.4b, fissato modulo di distanza e reddening, il valore dellalunghezza di rimescolamento resta fissato dalla condizione di riprodurre il colore osservatodel Ramo delle Giganti, anch’esso solo debolmente dipendente dall’eta dell’ammasso (cioedal valore della massa evolvente). l’eta resta infine determinata dal confronto delle isocronenella regione del Turn Off. I dati in Fig. 9.4b mostrano come in un ammasso con buon di-agramma CM l’incertezza di tale determinazione sia sensibilmente minore a ± 1 Gyr, fattosalvo l’intervento di errori sistematici. La Fig.9.5 mostra come le isocrone teoriche piu ag-giornate riescano a rendere fedelmente conto della distribuzione nel diagramma CM dellestelle di un Ammasso Globulare, riproducendo in particolare con buona precisione la collo-cazione del Ramo delle Giganti con il parametro di mixing length calibrato al valore l∼ 2.0HP .

Page 228: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 9.5. Diagramma CM per l’Ammasso Globulare M13 con sovraimposto il best fitting delleisocrone teoriche. Per la fase di combustione centrale di He e riportata solo la collocazione dellaZAHB.

A fianco e in aggiunta a tale criterio morfologico, esistono altri parametri che possonoconcorrere ad una validazione dello scenario teorico. Tra questi di particolare rilevanza ilrapporto tra il numero di stelle in AGB e in HB, che l’osservazione fissa a 0.14 ± 0.05.E’ facile comprendere come tale rapporto rifletta l’estensione della convezione nella fasedi combustione centrale di He: maggiore tale estensione maggiori sono i nuclei di CO altermine della combustione, piu lunga la vita in HB e piu luminosa e piu rapida la fasedi AGB. La semiconvezione classica rende automaticamente conto di tale rapporto, cherichiederebbe invece una drastica riduzione dell’overshooting invasivo usato da alcuni autori.Tra gli elementi validanti, e che nel contempo forniscono informazioni sui parametri evolutividel cluster, ricordiamo infine anche la funzione di luminosita del Ramo delle Giganti e, nelcorpo di questa, la luminosita del ”bump” generato dall’incontro della shell di combustionedell’idrogeno con la discontinuita nell’abbondanza di H lasciata dal primo dredge up.

Tra i risultati delle procedure di validazione e di fitting vi e dunque, come atteso, anchel’eta dei cluster, elemento di grande rilevanza nello stabilire le tappe evolutive della Galassia.Vi e oggi un crescente accordo per assegnare agli Ammassi Globulari della Galassia eta chesi aggirano attorno a 11-12 Gyr, il valore esatto dipendendo dai vari autori. E’ ancora apertoil discorso di quanto tali ammassi possono essere considerati rigidamente coevi. Da notareche in ammassi cosi antichi non e piu trascurabile la diffusione degli elementi: per ogniprefissata eta dell’ammasso, tale meccanismo tende a diminire la luminosita del Turn Offe quindi, a ringiovanire l’ammasso di circa 1 Gyr rispetto a quanto ricavabile ricorrendo ascenari evolutivi privi di diffusione.

Si noti a tale proposito come la luminosita del Turn Off cui abbiamo or ora fatto rifer-imento possa essere calibrata, per ogni assunta composizione chimica originaria, in terminidell’eta dei cluster. Cio consente determinazioni dell’eta che prescindono dal fitting accuratodell’andamento delle stelle nel diagramma CM. Per usare tale calibrazione occorre peral-tro riuscire a valutare la distanza dell’ammasso e, con essa, la magnitudine assoluta dellestelle osservate. A tale scopo vengono usati due tipi di procedure. L’una, che abbiamo g’arichiamato, consiste nel valutare la distanza dell’ammasso tramite il fitting della SequenzaPrincipale. Una variante di tale procedura, utilizzata da taluni, consiste nel valutare la mag-nitudine assoluta delle stelle di MS non gia dalle previsioni teoriche ma dall’osservazione disubnane di campo di distanza e metallicita note. Non si comprende peraltro in base a qualeragionamento non ci si fida della MS teorica per poi fidarsi della calibrazione dei Turn Off.

Una seconda procedura assume di fatto come calibratori di distanza (candele standard)le stelle di Ramo Orizzontale. Ferme restando le precauzioni che riguardano le valutazioni

Page 229: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Fig. 9.6. Il diagramma CM per le stelle nella Dwarf Spheroidal Galaxy Carina del Gruppo locale.Le isocrone teoriche mostrano il best fit delle stelle di tre distinti episodi di formazione.

teoriche di tali strutture in fase di evoluzione avanzata, una tale procedura conduce aduna stima dell’eta di particolare rilevanza e semplicita, nota come il Metodo Verticale. E’infatti subito visto che in tal caso la teoria fornisce una calibrazione in termini di eta delladifferenza di magnitudine tra il Ramo Orizzontale ed il TO, che e parametro indipendentedall’arrossamento e facilmente misurabile anche quando le osservazioni non raggiungano consufficiente precisione le stelle di MS. Ricordando come la luminosita dell’HB dipenda solomolto debolmente dall’eta, si conclude facilmente come la differenza di magnitudine HB-TOdeva aumentare al crescere dell’eta dell’ammasso.

In linea di principio, a fianco del Metodo Verticale si potrebbe considerare anche uncorrispondente Metodo Orizzontale. La Fig.9.4 mostra infatti come al crescere dell’etadiminuisca la lumghezza del Ramo delle Subgiganti che collega il TO al Ramo delle Giganti.La calibrazione teorica e peraltro dipendente dalle assunzioni sul valore della mixing lengthche, in linea di principio, potrebbe variare al variare della metallicita del cluster. Per tale mo-tivo il Metodo Orizzontale e stato principalmente sinora usato essenzialmente per confrontiinterni tra cluster con simili metallicita.

Come nel caso delle masse intermedie, concludiamo anche questa sezione con una ap-plicazione dello scenario evolutivo a sistemi extragalattici. La Fig.9.6 mostra infatti il di-agramma HR delle stelle nella galassia ”dwarf spheroidal” del Gruppo Locale in Carina.Ne emergono con buona evidenza tre distinti episodi di formazione stellare. Come mostratonella stessa figura, il fitting con le isocrone teoriche conduce a valutare le eta di tali episodicome risalenti, rispettivamente, a 0.6, 5 e 11 miliardi di anni or sono.

9.4. Ammassi Globulari Galattici: composizione chimica e problema dell’elio.Parametro R.

Il quadro evolutivo sin qui elaborato ha assunto la composizione chimica originaria dellestelle di ammasso come dato accessibile alla sperimentazione attraverso l’analisi degli spet-tri stellari in strutture, quali quelle della MS, che non abbiano ancora subito fenomeni didredge up. Se questo e vero in linea di primcipio, e altrattanto vero che la determinazionedelle abbondanze chimiche nella atmosfere stellari e problema di grande complessita che

Page 230: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

Fig. 9.7. Diagramma CM per l’Ammasso Globulare Galattico NGC6752. Metallicita stimatadell’ammasso [Fe/H]= -1.57. Lungo la ”coda blu” del Ramo ”Orizzontale” sono riportate gravita eabbondanza superficiale di elio come misurate alle diverse indicate luminosita .

nell’approccio piu moderno riposa sulla produzione di ”modelli di atmosfera” da cui ri-cavare Spettri sintetici da confrontare con gli spettri osservati. Pur senza poter entrare neldettaglio di uno dei piu estesi capitoli dell’astrofisica moderna, ricordiamo solamente cheancor oggi molte modelli di atmosfera sono basat1 su un trattamento monodimensionale(strati atmosferici piani e paralleli) assunti in Equilibrio Termodinamico Locale = LTE.

Appare peraltro sempre piu evidente che approcci piu perfezionati, quali quelli non-LTEtridimensionali, possono portare a non trascurabili variazioni nelle valutazioni di compo-sizione chimica. Le stime sin qui fornite sulla metallicita delle struttture galattiche ed ex-tragalattiche devono pertanto essere riguardate come fortemente indicative, ma con ancoraun sia pur limitato margine di variabilita. In tale contesto, per lungo tempo si e fatto usodell’ipotesi che al variare della metallicita totale Z rimanesse costante il rapporto dei varielementi pesanti che concorrono a formare tale metallicit‘a, cosi come ricavato dall’atmosferadel Sole (Solar Scaled Mixtures). Valutazioni piu approfondite hanno peraltro mostrato cheal fdiminuire di Z ai valori tipici della Pop-II galattica si manifesta una tipica sovrabbon-danza relativa degli elementi multipli di α, quali C, O, Ne, Mg. E’ questo un interessantesegnale di una variazione temporale nei meccanismi di produzione degli elementi pesanti.

Qui ci interessa solo segnalare che tale sovrabbondanza viene rappresentata, in analogiacon il fattore di metallicita [Fe/H], dal rapporto

[α/Fe] = log[α/Fe]∗ − log[α/Fe]

che dunque misura il rapporto [α/Fe] in una stella ripetto al rapporto solare. Dal valore[α/Fe] ∼ 0.3 tipico di per almeno alcuni Ammassi Globulari si ricava cosı che in tali ammassigli elementi α sono, rispetto al Fe, circa il doppio che nel Sole. Sia pur con qualche eccezionee precauzione , per investigare il cammino evolutivo di stelle di Pop.II e sufficiente valutaredai due valori di [Fe/H] e di [α/Fe] il corretto valore di Z, abbondanza in massa di tuttigli elementi piu pesanti dell’elio.

Completamente diverso e invece il problema della valutazione del contenuto di elio nellestelle di Pop.II. Come notato discutendo dei tipi spettrali, le righe dell’elio appaiono solo instelle ad alta temperatura superficiale, di tipo spettrale B od O, ove gli elettroni dell’eliosi collocano in stati sufficientemente eccitati. Le righe di assorbimento degli elettroni nellostato fondamentale cadono infatti nell’estremo UV, assorbito dal gas interstellare. Stelle atemperatura sufficientemente alta si trovano solo in Ammassi Globulari con HB molto estesi.

Page 231: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Le misure dell’elio in tali stelle hanno peraltro prodotto risultati inattesi, con abbondanzeche variano tra 1/10 e 1/100 dell’abbondanza di He nel Sole.

A fronte di tale evidenza, fu a suo tempo suggerito, ed e oggi universalmente accettato,che la scarsezza di He nelle atmosfere di stelle ”blu” di HB sia da addebitarsi alla sedi-mentazione gravitazionale, meccanismo che ci si attende sia particolarmente efficiente in talistelle caratterizzate da alta gravita superficiale e assenza di inviluppi convettivi. Analisi ac-curate hanno confortato tale ipotesi, mostrando come in stelle blu di HB l’abbondanza di Herisulti inversamente proporzionale alla gravita superficiale (Fig.9.7). L’elio negli AmmassiGlobulari non e quindi osservabile spettroscopicamente, e la sua valutazione puo proveniresolo da considerazioni evolutive.

Ci si deve quindi domandare quali variazioni osservabili possano essere causate da vari-azioni nel contenuto di elio originale. Di particolare rilevanza appare la prediziobe secondolaquale all’aumentare del contenuto di elio aumenta sensibilmente la lumimosita predetta perle stelle di Ramo Orizzontale. Su tale evidenza si basa una ingegnosa procedura, propostanell’ormai lontano 1967 da Icko Iben Jr., che in linea di principio consente di giungere alla va-lutazione dell’elio tramite semplici conteggi stellari e indipendentemente da ogni preventivavalutazione della distanza o dell’arrossamento di un cluster.

Alla base di tale procedura vi e l’evidenza che le velocita evolutive in fase di GiganteRossa appaiono regolate dalla relazione ”massa del nucleo di elio”-”luminosita” e risultanopertanto largamente indipendenti dai parametri evolutivi. A titolo esemplificativo ci si lascianche assumere che anche i tempi di evoluzione in HB siano costanti, ipotesi non distantedalla realta risultando tali tempi sempre dell’ordine di 108 anni. Sotto tali assunzioni bastadefinire il parametro

R =N(HB)

N(RG)L>L(HB)

rapporto tra il numero di stelle in HB e il numero di giganti piu luminose dell’HB perottenere un paramtero osservativo che risulta un sensibile indicatore del contenuto originariodi elio.Da un punto di vista teorico ci si attende infatti che tale rapporto sia pari al rapportodei rispettivi tempi evolutivi

R =τ(HB)

τ(RG)L>L(HB)

e all’aumentare dell’elio aumenta il calore di R per il semplice motivo che aumenta laluminosiya del Ramo Orizzontale e diminuisce quindi il percorso evolutivo delle giganti presein considerazione.

Una precisa calibrazione teorica del parametro R incontra peraltro severe difficolta. Ladurata della fase di HB dipende infatti innanzitutto dal trattamento della convezione centralee, ad esempio, risulterebbe notevolmente allungata nel caso di overshooting invasivo. Ancherimanendo nello scenario canonico della semiconvezione, tale durata viene a dipendere dalvalore della sezione d’urto della reazione 12C(α, γ)16O che completa la combustione 3α:aumentando la sezione d’urto aumenta corrispondentemente la durata della combustione dielio centrale.

Si noti come un’analoga parametrizzazione possa essere definita anche per la fase diAGB, definendo un parametro

R1 =N(AGB)

N(RG)L>L(HB)

dove il mantenere come termine di paragone le Giganti Rosse e consigliato da quella che elecito ritenere la piena affidabilita delle relative valutazioni evolutive, come confortate anche

Page 232: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

Fig. 9.8. Gli Ammassi Globulari NGC5272 (=M3) e NGC6205 (=M13) con simili metallicita([Fe/H]∼ -1.55) mostrano spiccate differenze nella distribuzione delle stelle di HB. Le frecce de-limitano indicativamente l’intervallo di temperature in cui le stelle di HB, se esistenti, mostranofenomeni di variabilita tipo RR Lyrae

dalle buona corrispondenza alle predizioni teoriche delle osservate funzioni di luminosita.Senza entrare in ulteriori dettagli, e da ritenere che precise valutazioni osservative di R eR1 possano nel futuro contribuire sensibilmente a chiarire le precise modalita delle fasi dicombustione di elionelle piccole masse.

9.5. Il problema del secondo parametro e le ”Code Blu”

Gli Ammassi Globulari galattici mostrano una generica correlazione tra metallicita e dis-tribuzione delle stelle di HB, con Rami Orizzontali che passano dal blu al rosso all’aumentaredella metallicita. Abbiamo gia visto come lo scenario evolutivo predica spontaneamente unatale correlazione assumendo una comune legge di perdita di massa per tutti gli ammassi.Un tale andamento generale presenta peraltro delle eccezioni che hanno da tempo atti-rato l’attenzione dei ricercatori. E’ il caso ad esempio della coppia di cluster M3 3 M13che, ambedue con metallicita [Fe/H]∼ -1.55, mostrano spiccate differenze nella distribuzionedelle stelle di HB. Per portare in forma quantitativa tali differenze e in uso il parametro”HB Ratio” di Lee, definito come

HBR =B −R

B + V + R

dove V e il numero di stelle variabili RR Lyrae, e B,R rappresentano il numero di stelle di HBrispettivamente piu blu o piu rosse della regione di variabilita. HBR= 1 indica dunque unramo tutto a temperature efficaci maggiori della striscia di variabilita, e HBR= -1 un ramodi sole stelle rosse, tipico degli ammassi a maggiore metallicita. Nel caso in esame si passadal tipico ramo intermedio di M3 (HBR= 0.08) al braccio blu di M13 (HBR= =.97). Ovesi escludano grossolani errori nella determinazione delle metallicita, se ne deve concludereche oltre alla metallicita deve esister un ulteriore parametro che interviene nel determinarela distribuzione delle stelle lumgo i Rami Orizzontali. E’ questo il Problema del SecondoParametro cui sono state rivolte numerose indagini.

Prendendo spunto da tale problema possiamo qui di seguito utilmente elencare alcunedelle possibili cause per le quali M13, con la stessa metallicita di M3, potrebbe avere HBpiu blu:

Page 233: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 9.9. Diagramma CM per l’Ammasso Globulare Galattico NGC2808. Metallicita stimatadell’ammasso [Fe/H]= -1.15.

1. Maggiore eta: minori masse in RGB e, a parita di perdita di massa, in HB.2. Minore [α/Fe]: shell di idrogeno meno efficienti e HB piu blu.3. Maggiore He originario: strutture piu calde e piu luminose, evoluzioni piu veloci e quindi

masse minori in RGB e HB.4. Maggiore rotazione: nuclei di He piu grandi.

Tra queste opzioni sembra al momento prevalere la differenza di eta, almeno nel casodella coppia di cluster M3 e M13, ma il problema e ancora aperto e suscettibile di ulterioriindagini.

Parallelo al problema del Secondo Parametro, e talora confuso con esso, e il problemadelle Code Blu. Come nel caso gia presentato di NGC6752 (Fig.9.7), alcuni cluster presentanouna estensione del Ramo Orizzontale che si spinge sino ad altissime temperature efficaci. Acausa dell’intervento della correzione bolometrica, nei diagrammi CM V, B-V o V, V-I ilramo assume un andamento spiccatamente verticale, raggiungendo e anche superando lamagnitudibe del TO. Il confronto con le risultanze teoriche mostra che si e in presenzadi stelle che, al limite blu, giungono a perdere in pratica tutto l’inviluppo di idrogeno,spingendosi cosı sino al limite estremo della ZAHB.

Nei cluster piu poveri di metalli, quale NGC6752, la coda blu si presenta comeun’estensione del ramo alle alte temperature, in cui appaiono perlatro evidenti sottorag-grupamenti di stelle. A metallicita superiori la coda blu appare come qualcosa che viene adaggiungersi al ramo rosso del cluster. Emblematico il caso di NGC2808 riportato in Fig.9.9,ove un ramo rosso ben popolato e separato da una vistosa gap in colore dalla coda blu chetorna a popolare quella parte di Ramo Orizzontale. Anche in questo caso si noti l’evidenteesistenza di una serie di raggruppamenti che modulano la popolazione stellare della CodaBlu.

L’assenza di correlazione tra Code Blu e metallicita induce talora alcuni ricercatori ainserire tale evidenza nel quadro del problema del Secondo Parametro. Anche se tale prob-lematica e al presente ancora controversa, notiamo che il problema del Secondo Parametropare spontaneamente collocarsi nello scenario di una variazione di parametri evolutivi. Alcontrario, le Code Blu sembrano indicare che, per qualche oscura ragione, in alcuni clus-ter sono efficienti meccanismi anomali di perdita di massa, che influenzano una parte dellapopolazione di Giganti Rosse giungendo sino a privarle del loro intero inviluppo.

Page 234: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

Fig. 9.10. Diagramma CM sintetico per un cluster con parametri evolutivi Z= 0.001, Y= 0.23,t= 15 Gyr. Per simulare le osservazioni e stato artificialmente introdotto un errore sui colori pro-porzionale alle magnitudini. Lungo le sequenze sono indicate le masse delle stelle in fase di combus-tione di H, la massa media delle stelle di HB e la massa iniziale dei progenitori delle stelle lungo lasequenza delle Nane Bianche. Si e assunta una IMF di Salpeter.

Si deve notare al proposito come esista una correlazione tra Code Blu e densita centrale(stelle/pc3) dei cluster, nel senso che non tutti i cluster ad alta densita centrale hanno CodeBlu, ma tutti i cluster con Code Blu hanno alta densita centrale. Questo lascia sospettare chele Code Blu possano essere il prodotto di interazioni dinamiche stella-stella con conseguentestripping degli inviluppi in ambienti ad alta densita, probabilmente in occasione di episodidi catastrofe gravotermica (→ A1.5) nei nuclei dei cluster.

9.6. Ammassi sintetici e colori integrati

La capacita di predire linee evolutive per ogni assunta composizione chimica e massa dellestrutture iniziali si traduce nella corrispondente capacita di predire isocrone per ogni assuntacomposizione chimica ed eta e, conseguentemente, anche di distribuire opportunamente lestelle lungo le isocrone quando si sia assunta una Funzione di Massa Iniziale (IMF) e sisia fissato il numero totale di stelle. Le due ultime condizioni fissano infatti il numero distelle in ogni intervallo di massa M, M+dm cui corrisponde sull’isocrona una ben deter-minata collocazione. Al riguardo si possono usare due procedure leggermente diverse. Unaprima, che conduce alla costruzione di Ammassi Probabili consiste nel distribuire le stellecon rigida proporzionalita alla probabilita di occupazione. Una seconda, piu utilizzata, con-siste nell’utilizzare una funzione ”random” per estrarre a caso le masse con cui popolare leisocrone, producendo cosi Ammassi Sintetici.

Le due procedure ovviamente convergono per un numero di stelle N → ∞, la secondarestando preferita perche consente anche di valutare, tramite successivre serie di estrazioni,le fluttuazioni statistiche di cui siono affetti i diagrammi. La Fig. 9.10 riporta a titolo di es-

Page 235: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

Fig. 9.11. Predizioni teoriche sulla distribuzione di ammassi giovani nel diagramma a due coloriUV (1800-2800 A) (1500-3100 A) (linea continua) confrontate con le osservazioni di ammassi nellaGrande Nube di Magellano.

empio il diagramma CM sintetico di Ammasso Globulare per gli indicati valori dei parametrievolutivi. Gli Ammassi sintetici risultamo di insostituibile utilita quando si voglia studiareil predetto popolamento di determinate fasi evolutive, come necessario, ad esempio, percalibrare compiutamente il valore del parametro R. Al riguardo, ricordiamo che nelle fasievolutive avanzate (RG, HB e AGB) vale la regola per cui gli intervalli di massa devonorisultare proporzionali ai tempi evolutivi, e dunque la calibrazione di R risultera indipen-dente da ogni assunzione sulla IMF. Nel prossimo Capitolo vedremo come le proceduresintetiche siano insostituibili amche nel predire il comportamento delle stelle variabili.

Qui notiamo che la costruzione di Cluster Sintetici consente di predire il flusso totale(flusso integrato) emesso da tali sistemi, agevolmente ottenible per ogni prefissata bandacome sommatoria dei flussi emessi dalle singole stelle. E’ questo un parametro di grandeimportanza perche tale flusso e l’unico rivelabile dagli ammassi in galassie lontane, nonrisolubili in singole stelle. Quando si tenga presente che gli Ammassi Globulari sono presentiin pratica in tutte le galassie e che gli ammassi galattici possono raggiungere una magnitu-dine -10, se ne trae l’evidenza dell’importanza degli ammassi nel mappare la storia evolutivadell’Universo. Le semplici considerazioni sul colore delle popolazioni stellari galattiche avan-zate all’inizio di questo testo mostrano senza ambiguita come i colori integrati contenganoinformazioni sull’eta degli ammassi. I colori integrati possono contenere peraltro simultaneeinformazioni sulla metallicita, come ricavabile -ad esempio- dall’evidenza che i rami RGBdegli Ammassi Globulari Galattici al si spostano verso temperature efficaci progressivamenteinferiori.

Tali considerazioni hanno stimolato una interessante linea di ricerca volta a definirele proprieta integrate degli ammassi stellari e nel ricercare le piu opportune bande perrimuovere eventuali degenerazioni tra i diversi parametri evolutivi. Nel caso di ammassirelativamente giovani, e ad esempio facile comprendere come le bande UV siano un sistemaprivilegiato per marcare l’eta dei sistemi, registrando il progressivo decrescere del flusso UVemesso da stelle massive di MS al crescere dell’eta. La Fig. 9.11 riporta a titolo di esempiola collocazione nel diagramma a due colori UV di ammassi giovani nella Grande Nube diMagellano (LMC) confrontata con le predizioni teoriche al variare dell’eta dei sistemi. Se netrae cosi l’evidenza della garabde produzione di ammassi a partire da circa 250 milioni dianni or sono e, nel contempo, l’assenza di formazione di ammassi nei precedenti 400 milionidi anni.

Page 236: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

Tab. 1. Classificazione, distanza, luminosita V e coordinate galattiche per le tra maggiori galassiedel Gruppo Locale e per le galassie satelliti della Via Lattea. L’ultima colonna riporta la presenzao meno di Ammassi Globulari.

d LV l bClass. (kpc) (107L) (gradi) (gradi) Globular?

Galassie:Andromeda Sb 770 2700 121 -22 SiGalassia Sbc - 1500 - - SiM33 Sc 850 550 134 -31 Si

Satelliti G.:LMC SBm 49 170 280 -33 SiSMC Irr 58 34 303 -44 SiFornax dSph 120 1.4 237 -66 SiSagittarius dSph 25 1.0 6 -14 SiLeo I dSph 270 0.5 226 49 NoSculptor dSph 72 0.14 288 -83 NoLeo II dSph 207 0.06 220 67 NoTucana dSph 870 0.05 323 -47 NoSextans dSph 83 0.04 244 42 NoCarina dSph 100 0.03 260 -22 NoUrsa Minor dSph 64 0.02 105 45 NoDraco dSph 72 0.02 86 35 No

Approfondimenti

A9.1. Il gruppo locale

Avendo nel testo fatto talora riferimento ad oggetti extragalattici appartenenti al Gruppo Locale digalassie, diamo qui alcune brevi informazioni sui membri di tale gruppo. Innazitutto intendiamo perGruppo Locale l’insieme di galassie che popolano la porzione di spazio dominato dalla due meggiorigalassie a spirale, la nostra Galassia ed Andromeda (=M31), distanti tra loro circa 800 kpc. Ilgruppo contiene una terza galassia a spirale M33=NGC598, nel Triangolo, oltre ad altri oggettiminori tra i quali ricordiamo la galassia irregolare Leo A, e la Galassia di Barbard (NGC6822)un’altra irregolare di tipo ”magellanico”. Nell’alone di Andromeda sono stati identificati alcunecentinaia (∼ 300) di Ammassi Globulari, e altri ammassi sono segnalati (alcuni forse giovani) inM33.

Via Lattea e Andromeda hanno ciascuna un proprio sistema di galassie minori ”satelliti”. Lesatelliti piu cospicue della Galassia sono rappresentati dalle due (Grande e Piccola = LMC e SMC)Nubi di Magellano, galassie irregolari visibili ad occhio nudo dall’emisfero meridionale. Le dueNubi risultano anche tra gli oggetti extragalatici piu prossimi, collocandosi ad una distanza dallaGalassia di ∼ 50 kpc, con la Piccola Nube un poco piu distante della Grande. La massa contenutanella Grande Nube puo essere stimata a circa 1/10 della massa della Galassia. Abbiamo piu volte ri-cordato l’esistenza in ambedue le Nubi di numerosi Ammassi Globulari, alcuni anche di recentissimaformazione.

Page 237: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Oltre a questi due maggiori satelliti la Galassia e circondata da diecine di altre corpi minori, chein genere prendono il nome dalla costellazione in cui si trovano collocati. Di particolare importanzala ricca popolazione di Dwarf Spheroidals , una sorta di ammassi globulari extragalattici, ma adebolissima concentrazione di stelle e con masse dell’ordine di 106- 107 M. Appartengono a taletipologia le nane Ursa Minor, Draco, Carina, Sextans, Sculptor, Leo I, Leo II e Tucana. In alcunicasi, come gia ricordato per Carina, si ha evidenza per una molteplicita di generazioni stellari.Ricordiamo qui anche la Dwarf Sferoidal Fornax, che ha la peculiare caratteristica di contenerecinque veri ammassi globulari.

Andromeda e a sua volta contornata da una serie di caratteristici satelliti. Questa galassia -a differenza della nostra Via Lattea - e innanzitutto accompagnata da 4 ellittiche nane; due piuvicine, NGC205 e NGC221=M32, e due, NGC147 e NGC185, leggermente piu distanti, con massecaratteristiche dell’ordine di 3-5 109 M, presenza di popolazione antica ma anche con segni direcente formazione stellare. Anche queste galassie minori contengono Ammassi Globulari. Sonostate inoltre rivelate attorno ad Andromeda alcune Dwarf Sheroidals cui sono stati assegnati i nomiAndromeda I, II, III .....

La Tabella 1 riporta alcuni valori indicativi per le tre maggiori galassie del Gruppo Locale e per isatelliti della Via Lattea, questi ultimi ordinati per luminosita integrata, nella banda V, decrescente.

A9.2. Masse intermedie ed overshooting invasivo

Abbiamo indicato come talora si sospetti l’esistenza di un obershooting invasivo che estende ilrimescolamento convettivo sensibilmente al di la del limite di Schwarzschild. Trascurando per ilmomento eventuali undershooting dagli inviluppi convettivi, i maggiori effetti di tale overshootingsi manifesterebbero in stelle con nuclei convettivi, dunque in fase di combustione di H all’incircaa partire da ∼ 1 M. Ne sarebbero invece affette tutte le stelle in fase di combustione di He. Neldiscutere la validazione dei modelli stellari abbiamo gia indicato come le stelle di HB indichino la ne-cessita di ridurre drasticamente i valori di overshooting correntemente adottati. Qui ci interesseremoin maniera pi1‘u generale del problema, discutendo le evidenze osservative collegate all’efficienza omeno di tale meccanismo.

Gli effetti dell’overshooting nella fase di combustione di H sono chiaramente illustrati in fig. 9.12,dove sono riportate le evoluzioni di un modello di 1.5 M sotto diverse assunzioni sull’efficienza ditale meccanismo. Come atteso, l’overshooting prolunga la durata della fase di combustione centraledi H, prolunganco contemporaneamente l’escursione del modello verso le basse temperature prima diraggiungere la fase di overall contraction. E’ facile dedurne che ne seguira una accentuata curvaturadell’isocrona per la fase di uscita dalla sequenza principale. Come ulteriore ”firma” dell’overshootingsi puo notare la progressiva scomparsa di stelle nella fase immediatamente successiva all’overallcontraction. Per validare l’overshooting nei dati osservativi, non bastera dunque fittare le isocrone,dovendosi procedere alla produzione di Ammassi Sintetici.

In generale, per ogni osservata terminazione superiore della MS di un cluster, i modelli conovershooting predicono per il cluster eta anche notevolmente superiori alle eta ”standard”. Ladisponibilita di informazioni sull’eta di un cluster indipendenti dalla terminazione della MS, come adesempio in linea di principio possibile dalla curva di raffreddamento delle Nane Bianche, condurrebbequindi ad una accurata validazione dell’efficienza dell’overshooting. Di particolare rilevanza e ilnotare come al crescere dell’overshooting il Ramo delle Giganti appaia progressivamente depopolato.Anche questa evidenza appare facilmente prevedibile: l’overshooting conduce a nuclei di He di massamaggiore, tendendo quindi a rimuovere la degenerazione elettronica che e all’origine dell’indugiaredelle stelle sul Ramo delle Giganti.

L’overshooting diminuisce quindi la massa critica per la Red Giant Transition. Ne segue an-che che aumenta l’eta della RGT, Da un punto di vista prettamente osservativo, ci si attende diconseguenza che i Rami delle Giganti appaiano a luminosita di TO inferiori di quanto previsto daimodelli standard. I cluster in prossimita della RGT canonica rappresentano dunque un target priv-ilegiate per le indagini sull’efficienza dell’overshooting. Su questo, come su altri parametri, esisteuna abbondante letteratura che peraltro non e ancora giunta ad unanimi conclusioni.

L’effetto dell’overshooting sulle masse intermedie e un altro argomento ampiamente investigatoin letteratura. Al riguardo, la linea di sviluppo delle relative argomentazioni e facilmente compren-

Page 238: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

Fig. 9.12. Percorsi evolutivi in fase di combustione di idrogeno per una struttura dagli indicatiparametri di massa e composizione, come valutati sotto le diverse indicate assunzioni sull’estensionedell’overshooting invasivo. I punti individuano lunglo le traiettorie evolutive un costante e comuneintervallo di tempo.

sibile. Per ogni prefissato valore della massa (intermedia) originaria, le strutture di MS sviluppanonuclei di He piu massivi. In analogia con quanto avviene per le strutture di MS. nella fase dicombustione di elio la luminosita cresce al crescere del nucleo di elio, e l’overshooting produrraquindi in tale fase stelle piu luminose e con minore durata nella fase di combustione di elio centrale.L’overshooting dunque opera sulla relazione massa - luminosita delle strutture in combustione dielio: per ogni assegnata luminosita l’overshooting prevede massa minori di quelle previste dalla mod-ellistica standard. Il comportamento pulsazionale delle variabili Cefeidi (supra) sembra confortareuna tale ipotesi di masse minori del previsto canonico: le evidenza pero mal si accordano anchecon lipotesi dell’overshooting e la citata discrepanza potrebbe essere solo evidenza per fenomeni diperdita di massa.

Grande attenzione e stata infine posta al tentativo di porre in luce le attese differenze temporali,secondo le quali l’intervento dell’overshooting ha il duplice e contemporaneo effetto di aumentare itempi di combustione di H e di diminuire nel contempo i tempi della combustione di elio. In lineadi principio tale differenza puo essere messa in luce semplicemente tramite il confronto dei datiosservativi con le predizioni teoriche per le funzioni di luminosita della MS normalizzate al numerodi Giganti Rosse. E’ immediato comprendere come, per ogni prefissata distribuzione di massa lungola MS (per ogni fissata IMF), l’ipotesi di overshooting produce meno giganti e, di conseguenza, unLF normalizzata sensibilmente piu alta del caso canonico.

Page 239: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Fig. 9.13. Funzione di luminosita per le stelle di MS del cluster NGC1866 in LMC, confrontatacon le predizioni teoriche per vari valori dell’esponente della IMF. Ancora una volta si trova che lestelle seguono con ottima approssimazione una distribuzione di Salpeter (α = 2.35)

La IMF puo essere d’altra parte agevolmente ricavata dai dati sperimentali esprimendo la fun-zione di luminosita osservata per le strutture non evolute della MS in un piano logN, V. Tale pianorisulta di grande utilita ogni qualvolta si discutano funzioni di lumonosita, rivelando le caratteris-tiche della distribuzione indipendentemente dalla tricchezza del campione. Nel caso in discussionead ogni esponente della IMF corrisponde una unica e ben determinata pendenza delle curve, e vari-azioni nel numero totale delle stelle implicano solo uno spostamento solidale della curve lungo l’assedelle ascisse. La Fig. 9.13 mostra un esempio dell’applicazione di tale tecnica all’ammasso NGC1866in LMC, ripetutamente usato come test per indagare l’efficienza di overshooting invasivi. Purtroppoincertezze nei dati sperimentali e difformita negli scenari teorici di riferimento non hanno ancoraportato a conclusioni unanimi.

Per amore di precisione, notiamo infine che in quanto sopra abbiamo leggermente abusato delladefinizione di MS: con tale termine abbiamo infatti indicato la sequenza di stelle che in realta eformata stricto sensu non solo da strutture di MS, ma ha alla sua culminazione strutture nelle fasiimmediatamente successive alla overall contraction. Per porre in chiaro tale ulteriore contributo,al posto di MS e stata talora usata la definizione di Blue Sequence (BS), ma questo e dettagliomarginale.

A9.3. Ammassi Globulari: Rami delle Giganti Rosse

Vogliamo qui discutere con qualche maggior dettaglio la dipendenza dei Rami delle Giganti dalcontenuto metallico, caratteristica che gioca un ruolo non secondario in molti parametri osservativi.La Fig. 9.14 riporta la distribuzione teorica di stelle in fase di combustione di idrogeno per l’assuntaeta di 11 Gyr e la variare del contenuto metallico nell’intervallo Z=0.0002-0.008. Si nota comeal crescere della metallicita le isocrone si spostano regolarmente verso minori temperature efficaci(verso il rosso). Al livello di modello mentale tale spostamento trova una sua ragione nell’aumentataopacita della materia, dalla quale discende un maggior gradiente radiativo e quindi una maggiorescursione di temperatura dal centro alla periferia della struttura.

Tale andamento teorico, che rende almeno qualitativamente ragione di analoghe evidenze sper-imentali, ha suggerito tutta una serie di parametri osservativi volte ad ottenere indicazioni sullametallicita di un ammasso globulare dai soli dati fotometrici, senza cioe ricorrere alla analisi dispettri stellari. Se ne traggono criteri di metallicita fotometrici che risultano di grande rilevanzaquando l’indagine si spinga ad ammassi distanti per i quali risulti difficoltoso acquisire informazionispettroscopiche. Con riferimento ai dati riportati in figura e innanzitutto subito visto che il coloredel Ramo delle Giganti ad una prefissata luminosita puo essere calibrato in termini della metallicitadell’ammasso.

Page 240: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Fig. 9.14. Isocrone teoriche nel piano V, B-V per stelle in fase di combustione di idrogeno con unacomune eta di 11 Gyr e per i valori di metallicita Z=0.0002, 0.0004, 0.0006. 0.001, 0.004, 0.008.

Fig. 9.15. Relazione tra massa del nucleo di He (Mc) e luminosita per due Giganti Rosse di 0.9M e per i due indicati valori della metallicita .

L’approccio osservativo riposa peraltro forzosamente su una definizione leggermente piu comp-lessa. Per ottenere un parametro indipendente dal modulo di distanza dell’ammasso si definisce ilparametro

(B − V )0,g

come il colore disarrossato del Ramo delle Giganti misurato al livello di luminosita del RamoOrizzontale. La calibrazione empirica di tale parametro riposa su campioni di ammassi di cui sianonoti sia il diagramma CM che le rispettive metallicita spettroscopiche. La corrispondente cali-brazione teorica si scontra con l’incertezza sul valore della lunghezza di rimescolamento, da cuiabbiamo visto dipendere il colore del Ramo delle Giganti e si traduce di fatto non tanto in una cali-brazione del parametro (B-V)0,g in termini di metallicita quanto in una calibrazione della lumghezzadi rimescolamento in termini dela metallicita stessa.

Un altro parametro fotometrico e fornito dalla Pendenza del Ramo definita dal parametro S(=”Slope”)

S =∆V

∆(B − V )

misurata sempre sa partire dal livello di luminosita del Ramo Orizzontale. Nella sua formulazioneoriginale, l’intervallo di misura veniva definito tramite il punto del Ramo delle Giganti 2.5 mag piuluminoso del HB. Tenendo presente che la magnitudine V del HB si aggira attorno a 0.5 m, la Fig.9.14 mostra come tale definizione non sia applicabile agli ammassi piu metallici, che non raggiungonola richiesta differenza di magnitudine. Per tale motivo sono state evanzate definizioni alternative,sia diminuendo l’intervallo di magnitudini, come esemplificato in figura, sia prendendo come base unintervallo in colore e non in magnitudine. Senza entrare in ulteriori dettagli, notiamo qui solamenteche il parametro S, rispetto al parametro (B-V)0,g, gode della importante proprieta di non dipenderedall’arrossamento dell’ammasso, sovente mal conosciuto.

Page 241: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

Fig. 9.16. Calibrazione teorica dei colori integrati di Ammassi Globulari per gli indicati valori dieta al variare del contenuto metallico. I punti riportano valori osservativi per Ammassi GlobulariGalattici.

Il contenuto metallico gioca un ruolo importante anche nella storia evolutiva delle strutture diGigante Rossa. Abbiamo gia ricordato come per tali strutture valga una relazione massa del nucleodi He - luminosita. Ora aggiungiamo che tale relazione non dipende - entro limiti ragionevoli - dallamassa stellare ma dipende dal contenuto metallico. I dati in Fig. 9.15 mostrano come per ogniassunto valore della metallicita stelle con minore contenuto metallico abbiano una maggiore massadel nucleo di He. Nuovamente a livello di modello mentale e ricordando come l’energia sia prodottadalle combustioni CNO, cio discende dal fatto che a parita di nucleo di He stelle a minore contenutodi CNO erogano minor energia.

I dati nella stessa figura confermano (→ 6.3) anche che, a parita di massa, la luminosita del”bump” del Ramo delle Giganti decresca sensibilmente al crescere della metallicita. Aggiungiamoche, per fissata metallicita, tale luminosita decresce al diminuire della massa evolvente e quindiall’aumentare dell’eta dell’ammasso. Aggiungiamo anche che la vita in fase di combustione diidrogeno cresce all’aumentare dei metalli: i modelli di Fig. 9.15 raggiungono il flash rispettivamentea 7.07 Gyr (Z=0.0002) e 12.94 Gyr (Z=0.008). A parita di eta stelle piu metalliche sono quindimeno massicce, e la diminuzione di massa si aggiunge all’aumento di metallicita nel contribuire alladiminuzione della luminosita del Bump. Le condizioni sulla luminosita del Bump possono cosi essereriassunte schematicamente:

M = cost, Z ↑: LBump ↓ tflash ↑

t = cost, Z ↑: LBump ↓ Mflash ↓Ricordando infine come la luminosita del Bump dipenda anche dall’abbondanza originale di He,

se ne trae la conclusione che la rivelazione di tale fase nei Rami di Giganti osservati aggiunge unapreziosa informazione che non dovrebbe essere trascurata nell’interpretazione dei diagrammi CM intermini di eta e composizione chimica delle strutture stellari.

Osservando come le Giganti Rosse risultino di gran lunga le stelle piu luminose di un ammassoglobulare, se ne trae anche la ovvia conseguenza che il colore integrato di un ammasso e largamentedominato dalla radiazione emessa da tali strutture. Dai dati riportati in Fig. 9.14 si ricava senzaambiguita la predizione che il colore integrato di un ammasso che abbia superato la Red Giant

Page 242: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

Fig. 9.17. Traiettoria nel diagramma HR di una stella di 0.8 M, Z=0.0002 per i due indicativalori del parametro di efficienza della perdita di massa nella formulazione di Reimers.

Transition deve risultare tanto piu rosso quanto piu alta e la metallicita, predizione puntualmenteverificata dai calcoli evolutivi. La Fig. 9.16 mostra come i colori integrati in varie bande siano ottimiindicatori di metallicita, solo marginalmente affetti da variazioni di eta nell’intervallo 8-15 Gyr. E’peraltro da avisare che variazioni nel tipo di HB possono introdurre ulteriori, ma non drsmmstichevariazioni. I colori integrati forniscono quindi la possibilita di ottenere preziose informazioni sullametallicita di ammassi globulari in galassie anche estremamente lontane e per i quali non sianoaccessibili i diagrammi CM.

Ricordiamo infine come la luminosita delle stelle al’estremita superiore del Ramo (”Tip” delleGiganti) sia stata piu volte utilizzata per stimare la distanza di ammassi globulari extragalattici,con una precisione che puo tipicamente scendere a circa 0.1 mag.

A9.4. Ammassi Globulari: Nane Bianche di He, Hot Flashers

L’evidenza osservativa di Ammassi Globulari con ”Code Blu” deve essere necessariamente interpre-tata come evidenza di Giganti Rosse che hanno perso massa sino a raggiungere le masse critiche perl’innesco del flash, iniziando la loro fase di combustione centrale α sotto forma di un nuclewo di Hecontornato al piu da un tenuissimo inviluppo ancora ricco di H. Qualunque sia il meccanismo chegoverna tale abnorme perdita di massa, e lecito ritenere che ben difficilmente possa essere calibratosui limiti di massa per l’innesco, e ne consegue la predizione che in ammassi con Code Blu alcuneGiganti Rosse debbano perdere ancor piu massa, mancando l’innesco del flash e andando a contrarresotto forma di Nane Bianche di Elio.

La Fig. 9.14 mostra le previsioni teoriche su un tale accadimento, riportando le tracce evolutiveper tre diversi valori del coefficiente che regola la perdita di massa nella formulazione di Reimers.Per η = 0, si ha la normale evoluzione a massa costante con l’innesco del flash al tip dell’ RGB.Per η = 1 e 2, quando la massa dell’inviluppo di H scende al di sotto di un valore critico , lestrutture abbandonano il Ramo delle Giganti prima di raggiungere il tip, tanto piu precocementequanto maggiore e la perdita di massa. Ricordando come sull’RGB viga una relazione ”massa delnucleo” -”luminosita” e immediato collegare tale evidenza con le progressivamente minori massedelle strutture.

L’evoluzione di tali strutture nella fase di abbandono dell’RGB mostra interessanti caratteris-tiche. Si noti innanzitutto nella Fig. 9.17 come prima dell’abbandono le tracce evolutive tendano siapur leggermente a spostarsi a temperature efficaci minori della traccia a massa costante. L’inviluppoha tempi scala di Kelvin-Helmotz minori dei tempi evolutivi, e si sposta quindi verso la traccia diHayashi corrispondente alla diminuita massa. Quando la massa dell’inviluppo scende al di sotto di∼ 0.06 M la struttura termina la sua normale evoluzione di RG, la luminosita si stabilizza e latemperatura efficace inizia a risalire mentre la shell di H continua a trasformare H in He diminu-endo la massa dell’inviluppo. Come risultato si ottengono strutture che raffredderanno sotto formadi Nane Bianche di He con inviluppi ricchi di idrogeno anche inferiori al millesimo di massa solare.

L’abbandono del Ramo delle Giganti, con la conseguente escursione verso la sequenza di raf-freddamento di Nana Bianca, obbedisce a regole nel contempo precise ed interessanti. Adottando la

Page 243: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

22

Fig. 9.18. A sinistra: Massa delle strutture all’abbandono del Ramo delle Giganti al variaredell’efficienza della perdita di massa e per le indicate assunzioni sulla metallicita. A destra: Massadegli inviluppi ricchi di idrogeno all’abbandono del Ramo delle Giganti in funzione della luminositadi abbandono e per le indicate assunzioni sulla metallicita delle strutture

formulazione di Reimers per la perdita di massa, si trova che al crescere del parametro di efficienzaη le strutture -come atteso- abbandonano sempre piu precocemente il Ramo delle Giganti, ad unaluminosita che risulta praticamente indipendente dalla metallicita delle strutture. Quanto questorisultato sia collegato all’intervento di diversi e contemporanei fattori e mostrato dai dati in Fig.9.18. Il pannello di destra mostra infatti come, a parita di η e quindi di luminosita di abbandono, lamassa delle strutture sia tanto maggiore quanto minore la metallicita. Questa e l’attesa conseguenzadel fatto che al diminuire della metallicita i Rami delle Giganti si spostano a temperature efficacimaggiori e quindi diminuisce, a parita di η, la perdita di massa.

L’abbandono del Ramo delle Giganti avviene quando quindi, per ogni prefissata luminosita,ad una massa critica che aumenta al diminuire della metallicita. Tale aumento non e in realtasorprendente quando si tenga conto di almeno due fattori. Innanzitutto, la Fig. 9.15 mostra comea parita di luminosita stelle meno metalliche hanno nuclei di He maggiori e quindi, a parita dimassa, avrebbero inviluppi idrogenoidi minori. A cio si aggiunge, come mostrato nel pannello didestra di Fig. 9.18, che al diminuire della metallicita cresce anche il valore della massa minimadell’inviluppo (massa critica) necessaria per sostenere l’evoluzione di Gigante Rossa. Anche per taleaccadimento si puo ricorrere ad un modello mentale: maggiore la metallicita, maggiore il CNO,piu efficiente e piu sottile la shell di combustione e, di conseguenza, minori le richieste sulla massaminima dell’inviluppo.

Al quadro generale sin qui riportato, la teoria aggiunge la predizione che al crescere della perditadi massa, le prime strutture che abbandonano il Ramo delle Giganti prima di innescare il flashdell’He, finiscono con subire tale innesco durante l’escursione verso la sequenza di Nana Bianca oaddirittura durante il raffreddamento lumgo tale sequenza.La Fig. 9.19 ne riporta un tipico esempio.Tali strutture sono indicate in letteratura con il termine di ”Hot Flashers”, e coprono un ristrettointerallo di masse, dell’ordine di 0.02 M. Masse ancora minori non riescono ad innescare il flash eraffreddano come Nane Bianche.

Al termine del flash gli Hot Flashers iniziano la fase di combustione quiescente dell’He quasi, manon esattamente, in corrispondenza della ZAHB delle masse superiori. Il nucleo di He non e infattiriuscito a svilupparsi completamente e le strutture hanno nuclei di elio leggermente meno massicci,risultando di conseguenza leggermente meno luminose. La Fig. 9.20 mostra nel dettaglio un esempiodi tale accadimento. Particolare di grande rilevanza e l’evidenza che in base ai meccanismi descritti,tali stelle conserveranno in ogni caso un sia pur tenue inviluppo di idrogeno, non raggiungendo quindimai l’estremo limite teorico della ZAHB definito da un inviluppo nullo. In base a tali considerazionila teoria fornisce per le strutture in fase di combustione quiescente di He una temperatura efficacemassima non superiore a logTe ∼ 4.5

Numerosi dati osservativi sembrano peraltro indicare che tali temperature sono superate dallestelle piu calde in almeno alcune ”Code Blu”. La Fig. 9.21 riporta i dati osservativi per il ramoorizzontale di NGC2808, come osservato nelle bande 2180 A (estremo UV) e 5500 A (visibile). Sinota innanzitutto come l’uso di bande UV consenta di studiare con grande dettaglio le stelle di HB

Page 244: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

23

Fig. 9.19. Traiettoria evolutiva di un modello di ”Hot Flasher”. L’asterisco indica l’innesco delflash dell’He e la linea a tratti collega tale punto col primo modello di combustione quiescente di Hecentrale. E’ riportata anche la successiva evoluzione in combustione quiescente di elio sino al finaleraffreddamento sotto forma di Nana Bianca di CO.

Fig. 9.20. ZAHB e fasi di combustione centrale di He per strutture evolutive (linee continue)confrontate con modelli a massa del nucleo costante (linee a tratti). Le masse delle strutture sonoindicate in masse solari. Per confronto sono riportati anche tre modelli di puro elio di 0.45, 0.50 e0.55 M e la traccia evolutiva del modello di 0.50 M sino al raffreddamento come nana di CO.

Fig. 9.21. Diagramma CM UV delle stelle dell’ammasso NGC2808. La grande linea curva indica lacollocazione della ZAHB teorica, e la linea a tratti quella delle fasi di esaurimento dell’elio centrale.Sono indicate alcune fasi evolutine: TO=Turn Off, RHB= Red HB, BHB= Blue HB, AGBm=AGBmanque. E’ indicata anche la sequenza di ”Blue Stragglers” (BS), di origine incerta.

ad alta temperatura, che in tali bande risultano di gran lunga le piu luminose dell’intero ammasso.Colori quali (218-555) usato in figura risultano onoltre ben correlati con le temperature estreme, adifferenza - ad es- - del B-V che a tali temperature ha ormai saturato raggiungendo il suo minimovalore.

Page 245: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

24

Dal confonto dei dato osservativi con le previsioni teoriche, riportate nella stessa figura, sinota come le stelle piu calde superino il limite estremo delle previsioni teoriche. Tale accadimentopare anche confermato da osservazioni spettroscopiche, che forniscono per tali stelle temperaturedell’ordine di 35000-40000 K (logTe ∼ 4.55-4.60). Il problema e ancora aperto: tra le varie ipotesisegnaliamo quella che collega tali alte temperature ad eventi di mescolamento durante il flash dellestrutture meno massicce, che arricchirebbero le atmosfere di tali stelle di He e C.

Page 246: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

25

Origine delle Figure

Fig.9.1 Castellani V., Degl’Innocenti S., Prada Moroni P.G., Tordiglione V. 2002, MNRAS 334, 193Fig.9.2 Brocato E., Castellani V., Di Carlo E., Raimondo G., Walker A.R. 2003, AJ 125, 311Fig.9.3 Bencivenni D., Brocato E., Buonanno R., Castellani V. 1991, AJ 102, 137Fig.9.4 Brocato E., Castellani V., Piersimoni A. 1997, AJ 491, 789Fig.9.5 Cariulo P., Degl’Innocenti S., Castellani V., 2004, A&A (in stampa)Fig.9.6 Monelli M., Pulone L., Corsi C.E., Castellani M., Bono G. (piu 10 coautori) 2003, ApJ 128, 218Fig.9.7 Heber U., Kudritzki R., Caloi V., Castellani V., Danziger J. (piu 2 coautori) 1985, A&A 162, 171Fig.9.8 Rosenberg A., Piotto G., Saviane I., Aparicio A. 2001, A&A 144, 5; 145, 451Fig.9.9 Piotto G., King I.R., Djorgovski S.G., Sosin C., Zoccali M. (piu 7 coautori) 2002, A&A 391, 945Fig.9.10 Brocato E., Castellani V., Poli F.M., Raimondo G. 2000, A&AS 146, 91Fig.9.11 Barbero, J., Brocato E., Cassatella A., Castellani V., Geyer E.H. 1990, ApJ 351, 98Fig.9.12 Prada Moroni P.G. 1999, Tesi, Universita di Pisa.Fig.9.13 Brocato E., Castellani V., Di Carlo E., Raimondo G., Walker A.R. 2003, AJ 125, 3111Fig.9.14 Cariulo P., Degl’Innocenti S., Castellani V., 2004, A&A (in stampa)Fig.9.15 Pisa Evolutiobary LibraryFig.9.16 Brocato E., Castellani V., Poli F.M., Raimondo G. 2000, A&AS 146, 91Fig.9.17 Castellani M., Castellani V. 1993, ApJ 407, 649Fig.9.18 Castellani V., Luridiana V. , Romaniello M. 1994, ApJ 428, 633Fig.9.19 Castellani M., Castellani V. 1993, ApJ 407, 649Fig.9.20 Castellani V., Degl’Innocenti S., Pulone L. 1995, 446, 228Fig. 9.15 Bono G., Castellani V., Iannicola G. 2004, in preparazione.

Page 247: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 10

Le Stelle variabili.

10.1. Cenni storici e inquadramento

Nella cultura occidentale la perfezione e la conseguente immutabilita dei cieli sono state perquasi due millenni un preciso dogma delle imperanti dottrine aristoteliche. Gli oggetti celestierano quindi pensati come eterni ed incorruttibili, non sucettibili di variazioni o modifiche.In tale contesto l’apparizione delle comete veniva riguardata come fenomeno atmosferico,non convolgendo quindi la profondita del cielo. Fu quindi con non piccola sorpresa che nel1596 il pastore luterano Fabricius annunzia che una stella nella costellazione della Balena(omicron Ceti) mutava regolarmente di splendore. La grabde novita del fenomeno giustificail nome con cui quella stella fu battezzata e che tuttora conserva: Mira Ceti, cioe la stellameraviglios o ”straordinaria” in Cetus.

Per dare subito una chiara idea del fenomeno ”variabilita” riportiamo in Fig. 10.1 lacurva di luce di quella stella, cioe un grafico che registra l’andamento della magnitudinedell’oggetto in funzione del tempo: la luminosita varia regolarmente con il tempo, con unperiodo di circa 11 mesi, passando da un massimo attorno a magnitudine 2-3 ad un minimoben al di sotto alla magnitudine 6, soglia di visibilita ad occhio nudo. L’ispezione visiva delcielo mostrava dunque nella costellazione della Balena una stella che appariva e scomparivaregolarmente, ad intervalli di 11 mesi.

A partire da quei lontani tempi le indagini astronomiche hanno presto rivelato come lavariabilita stellare sia un fenomeno tutt’altro che raro, portando a molte diecine di migliaiail numero di variabili sinora scoperte nella sola nostra Galassia. Sono nel contempo emerse

Fig. 10.1. Curva di luce di Mira Ceti. Il tempo e espresso in giorni giuliani (J.D. = Julian Days→ A10.1)

1

Page 248: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

sostanziali differenze nelle caratteristiche di tale variabilita e nei meccanismi all’origine delfenomeno. Citiamo subito, per non interessarcene ulteriormente, la presenza di variabiliottiche o ”pseudovariabili”, oggetti binari nei quali le variazioni periodiche di luminositasono dovute al mutuo eclissarsi dei due oggetti orbitanti (binarie ad eclisse). Tra gli oggettiche invece presentano una reale variabilita possiamo definire in prima approssimazione duegrandi tipologie:

1. Variabili intrinseche. Come Mira Ceti, hanno variazioni di magnitudine che si ripetonosovente con ampiezze e periodi ben determinati. Tra queste le variabili pulsanti, nellequali l’ effetto Doppler nelle righe dello spettro mostra senza ambiguita che la variazionedi luminosita e accompaganta da corrispondenti variazioni del raggio delle strutture.

2. Variabili cataclismiche. Hanno improvvisi e in genere violenti aumenti di luminosita chesi ripetono senza precisa periodicita. A tale classe vanno ascritti oggetti quali le variabilitipo U Geminorum, ma anche le stelle Novae, nelle quali e stata piu volte riscontrata laripetibilita del fenomeno sia pur a grande distanza di tempo (novae ricorrenti). In tutti icasi ci si trova di fronte a sistemi binari stretti con instabilia causate da scambi di massatra le due componenti.

Nel prosieguo di questo capitolo ci interesseremo esclusivamente delle variabili pulsantie, tra esse, a quelle strutture che mostrano andamenti strettamente periodici. Le ragionidi tale scelta risiedono nell’evidenza che solo in questo caso la variabilita e un fenomenointrinseco alle singole strutture stellari, collegabile quindi a quegli stessi parametri evolutivi- quali massa, luminosita o temperatura efficace - oggetto dall’indagine evolutiva. Tale pursemplice constatazione chiarisce subito la portata delle ricerche sulla variabilita: quando sigiunga - come oggi si e giunti - a stabilire le relazioni che collegano le caratteristiche dellapulsazione a quelle delle relative strutture, le predizioni evolutive che siamo andati sin quisviluppando si traformano anche in predizioni sulle caratteristiche pulsazionali osservate.

La variabilita stellare viene cosı ad aggiungersi allo scenario evolutivo, integrandolo eperfezionandolo con nuove e indipendenti predizioni i cui riscontri osservativi fornisconopreziose verifiche allo scenario evolutivo e, nel contempo, offrono la possibilta di appro-fondire l’interpretazione delle strutture stellari disseminate per nelle galassie. Aggiungiamosolamente che le variabili cataclismiche, per ora trascurate, assumeranno invece un ruolofondamentale nel prossimo capitolo, quando tratteremo il problema dell’evoluzione nuclearedella materia dell’Universo.

10.2. Pulsatori radiali

La moderna ricerca astronomica ha portato alla luce un gran numero di forme di vari-abilita intrinseca presenti, con maggiore o minore evidenza, nelle strutture stellari. Quandosi consideri che le ocillazioni solari sono in ultima analisi una forma di microvariabilita, sicomprende anche come non sia facile porre un limite preciso tra strutture variabili e nonvariabili (statiche). Noi qui ci interesseremo solo delle forme di alcune variabilita macro-scopica e, tra queste, di classi di pulsatori radiali che caratterizzano con la loro presenza lepopolazioni stellari della nostra come di altre galassie.

Al riguardo abbiamo gia avuto occasione di ricordare come nei Rami Orizzontali degliAmmassi Globulari esista un intervallo di temperature nel quale le stelle, se presenti, sonotutte variabili a corto periodo (minore di un giorno) di tipo RR Lyrae. Queste variabilisono invece assenti in ammassi o popolazioni stellari piu giovani, ove si manifestano invecevariabili a piu lungo periodo, tra alcuni giorni e pochi mesi, che prendono il nome di CefeidiClassiche. Ambedue queste classi prendono il nome dalla prima variabile della classe scopertae studiata in qualche dettaglio, rispettivamente RR Lyrae e δ Cephei per le due popolazioni.

Page 249: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

Fig. 10.2. Distribuzione nel diagramma HR di idocrone al variare dell’eta e per l’indicata compo-sizione chimica iniziale. Sono indicati i bordi della striscia di instabilita e, a tratti, e schematizzatala collocazione del Ramo Orizzontale popolato dalle stelle in combustione centrale di He nelle popo-lazioni piu antiche.

Il problema della variabilita stellare e suscettibile di un approccio moderno e generaliz-zato. Le teorie evolutive ci hanno infatti insegnato come una popolazione stellare al variaredell’eta porti le stelle a percorrere progressivamente vaste ma ben determinate porzioni deldiagramma HR. A titolo di esempio, la Fig. 10.2 riporta lo sviluppo in tale diagramma delleisocrone di una popolazione con Z=0.008 e al variare dell’eta tra 50 Myr e 4 Gyr. Per diversecomposizioni chimiche varieranno i dettagli delle singole isocrone, lasciando peraltro inal-terata il quadro topologico generale. Le strutture teoriche con cui e popolato il diagrammasono per imposte condizioni matematiche ”strutture di equilibrio”. Nulla peraltro ci assicurache questo equilibrio sia stabile o meno.

Le procedure fisico-matematiche per investigare la stabilita di una struttura stellare,quale quelle fornite dai calcoli evolutivi, sono concettualmente semplici: abbandonare lacondizione di equilibrio scrivendo le equazioni del moto per gli elementi del fluido stellaree perturbare la struttura, indagando se la perturbazione tende a smorzarsi (stabilita) o, alcontrario, ad esaltarsi (instabilita). Su tale falsariga si sono andati sviluppando nel tempocalcoli sempre piu precisi e perfezionati. Dai primi approcci di piccole perturbazioni inapprossimazione lineare, non in grado quindi di seguire il completo sviluppo del fenomeno, sie passati a formulazioni non lineari progressivamente sempre piu adeguate a rappresentare lafenomenologia della pulsazione. Conseguentemente, in letteratura si trovano ancora risultatidi varia affidabilita. A titolo orientativo ricordiamo che le valutazioni teoriche sui periodirisultano in ogni caso largamente affidabili, mentre le valutazioni sui bordi dell’instabilita el’ampiezza della pulsazione dipendono criticamente dalla adeguatezza dello scenario teoricoadottato.

Quel che qui interessa e che sin dalle prime e approssimate valutazione e emerso cheesiste nel diagramma HR una striscia di instabilita, schematizzata in Fig. 10.2, all’inernodella quale tutte le strutture risultano instabili per pulsazioni radiali, cioe per ripetitivee periodiche variazioni di raggio accompagnate da corrispondenti variaziono di luminosita.Risulta innanzitutto che la pulsazione e un fenomeno che coinvolge essenzialmente sologli strati piu esterni di una struttura. Si comprende cosı la correlazione tra pulsazione ediagrama HR: la modellistica stellare ci assicura infatti che per ogni assunta composizione

Page 250: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

chimica originaria un punto del diagramma HR determina completamente la struttura deglistrati atmosferici e subatmosferici.

L’origine dell’instabilita risiede principalmente nelle zone di ionizzazione dell’idrogeno edell’elio. Cio rende anche qualitativamente ragione dell’esistenza di una ”instability strip”:per temperature efficaci minori del limite rosso della strip la ionizzazione ha luogo in unaregione densa e adiabatica che non sostiene le pulsazioni. Per temperature maggiori del limiteblu, la ionizzazione diviene invece troppo superficiale, coinvolgendo una frazione troppopiccola di massa. La pulsazione si instaura cioe quando le zone di ionizzazione si vengonoa trovare abbastanza, ma non troppo, al di sotto dell’atmosfera stellare. I meccanismi fisiciche producono e sostengono l’instabilita risiedono principalmente nella risposta dell’opacitaradiativa (meccanismo K) e dell’esponente adiabatico (meccanismo Γ) a fluttuazioni dellecondizioni locali.

Poiche il meccanismo della pulsazione e in ogni caso sotto il controllo della gravita, einfine facile prevedere che all’aumentare della gravita debbano diminuire i periodi. Possiamotrasferire questa constatazione in termini di parametri stellari ricordando che R ∝ L/T4

e

e quindi, a parita di massa, aumentando L o diminuendo Te diminuisce la gravita. Neconcludiamo, ancor prima di un qualunque calcolo dettagliato, che ci attendiamo

P ↑ quando M ↓ L ↑ Te ↓

I dati in Fig. 10.2 rendono spontaneamente ragione per lo scenario osservativo in prece-denza delineato. Si vede infatti come nel caso di popolazioni giovani, trascurando la rapidafase di attraversamento del diagramma al termine della combustione centrale di H, la strippossa essere popolata solo da quelle stelle sufficientemente massicce il cui ”loop” in fase dicombustione centrale di He penetri nella strip. Nelle popolazioni piu antiche, quali quelledegli ammassi globulari, tali strutture vengono ovviamente a mancare, mentre la strip diinstabilita puo essere popolata sola da strutture di Ramo Orizzontale, a molto minore lu-minosita. E’ immediato identificare i due casi con le classi, rispettivamente, di Cefeidi e RRLyrae, comprendendo nel contempo che la differenza tra le due classi discende dalla diversaeta e non dalla diversa composizione chimica. E comprendendo anche che il minor periododelle RR Lyrae discende essenzialmente dalla maggior gravita superficiale.

10.3. RR Lyrae

La Fig. 10.3 mostra la curva di luce nella banda V della variabile RR Lyrae, prototipo dellaomonima classe, il cui periodo P risulta

P = 0.56683735d

Si noti che l’estrema precisione con cui e noto il periodo, inferiore al centesimo di secondo,e conseguenza di osservazioni ripetute ad intervalli di tempo molto maggiori del periodostesso. Nell’occasione notiamo come i periodi delle variabili rappresentino una grandezzaastrofisica non solo misurabile con precisione sconosciuta a tutte le altre grandezze sinoraincontrate nella problematica stellare, ma che anche non dipende ne dalla distanza ne daeventuali arrossamenti degli oggetti. Un dato sperimentale quindi di agevole misura ed es-trema affidabilita che si inserisce in un quadro osservativo per molti versi affetto da moltepiu incertezze.

Un ulteriore parametro caratterizzante la pulsazione e fornito dall’ampiezza della curvadi luce, intesa come differenza delle magnitudini al massimo e al minimo della curva stessa.Poiche alla variazione di luminosita corrispondono anche variazioni di temperatura efficace,l’ampiezza dipende dalla banda di osservazione e, tipicamente, risulta massima nella bandaB che, per tale motivo, e la piu utilizzata sia per la ricerca di variabili che per definirne

Page 251: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

Fig. 10.3. Curva di luce nella banda V della variabile RR Lyrae.

Fig. 10.4. Pannello superiore: Diagramma di Bayley per un campione di RR Lyrae nell’AmmassoGlobulare NGC5904=M5. Pannello inferiore: La collocazione nel diagramma CM del campione dicui al pannello superiore.

l’ampiezza. In qualunque banda, l’ampiezza della curva di luce e peraltro, anch’essa, indipen-dente da distanza ed arrossamento, cosi che ogni variabile osservata fornisce due parametriesenti da incertezze sperimentali.

Le RR Lyrae sono tipiche variabili di Popolazione II e, in quanto tali, presenti sia comestelle sparse nell’alone galattico sia concentrate in alcuni Ammassi Globulari. Le RR Lyraedegli Ammassi Globulari sono state storicamente e restano tuttora di estrema importanza:si e in presenza di campioni ricchi anche di qualche centinaio di variabili, tutte alla stessadistanza, tutte con la stessa eta e tutte provenienti da stelle con la medesima composizionechimica. Campioni quindi ottimali per indagare le proprieta intrinseche della variabilita e illoro collegamento con i parametri evolutivi.

Una prima ed important proprieta di tali variabili emerge mappando in un piano(Diagramma di Bayley) i due parametri pulsazionali periodo e ampiezza. Come mostratonell’esempio riportato nel pannello superiore di Fig. 10.4, i pulsatori si dispongono in due

Page 252: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 10.5. Topologia della striscia teorica di instabilita per stelle povere di metalli e massa 0.75M. Sono indicate le tre zone discusse nel testo e i vari limiti di instabilita: FBE (Fundamental BlueEdge), FRE (Fundamental Red Edge), FOBE (First Overtone Blue Edge), FORE (First OvertoneRed Edge).

gruppi ben distinti: un gruppo (RR di tipo ab = RRab) a maggiori periodi e ampiezzevarie, decrescenti col periodo, e un gruppo (RRc) con piccole ampiezze e corti periodi. Ildiagramma CM riportato nel pannello inferiore della stessa figura mostra come i pulsatoridi tipo ”ab” o ”c” si dispongano rispettivamente alle minori o alle maggiori temperatureefficaci.

Semplici considerazioni di ordine fisico hanno da molto tempo suggerito che una tale dico-tomia delle proprieta pulsazionali sia una manifestazione di diversi ”modi” della pulsazione,nel modo fondamentale le RRab e nel primo sopratono le RRc. Tale previsione e risultatapienamente confermata daile moderne valutazioni teoriche che mostrano come nella stripdi instabilita si distinguano tre regioni con diverse caratterisiche pulsazionali: alle maggioritemperature efficaci una zona FO (= First Overtone) ove e instabile solo il primo sopratono,alle minori temperature una zona F (=Fundamental) ove le stelle possono pulsare solo nelmodo fondamentale e una zona intermedia (zona OR) dove sono instabili tutti e due i modie le stelle possono pulsare indifferentemente pulsare nel fondamentale o nel primo sopratono.

La Fig. 10.5 riporta la topologia della striscia teorica di instabilita per stelle povere dimetalli e massa 0.75 M. La precisa collocazione dei bordi delle zone di instabilita dipendeinfatti dalla massa stellare e dalla composizione chimica degli inviluppi. Aggiungiamo che losviluppo della convezione giuoca un ruolo determinante nell’inibire la pulsazione alle minoritemperature efficaci. Non sorprendentemente, l’esatta collocazione del FRE viene anche adipendere dalle assunzioni sulla mixing length.

La teoria fornisce inoltre precise predizioni sui periodi. Per il modo fondamentale risulta

logPF = 11.242 + 0.841 logL− 0.679 logM − 3.410 logTe + 0.007 logZ

dove L e M sono in unita solari e il periodo P e in giorni. Per il primo sopratono vale unaformula analoga, che con ottima approssimaziome puo essere ridotta alla relazione

logPFO = logF − 0.13

cioe il primo sopratono si colloca a periodi pari a circa il 74% dei corripondenti periodi fonda-mentali. Queste relazioni consentono di associare ad ogni isocrona, eventualmente popolatatramite procedure di ammasso sintetico, una puntuale predizione della presenza di variabili

Page 253: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 10.6. La strip di instabilit a nel piano logP, Mv. Le frecce sull’ascissa indicano un intervallodi periodi osservato e le linee a tratti mostrano il metodo per ricavare la magnitudine assoluta deipulsatori.

RR Lyrae e dei loro periodi. Si aprono cosı inumerevoli canali di indagine che consentono diutilizzare le proprieta osservative di questi pulsatori come elemento a conferma o integrazionedelle indagini puramente evolutive.

Senza entrare in una casistica talvolta complessa e delicata, notiamo qui soltanto che perogni assunta composizione chimica, le teorie evolutive forniscono una precisa predizione perla luminosita del Ramo Orizzontale e per le masse che popolano la strip di instabilia. Ne segueanche una precisa predizione sui periodi delle RR Lyrae e, in particolare, sui periodi minimie massimi come realizzati rispettivamente al bordo blu e al bordo rosso della strip. Il con-fronto con le osservazioni consente quindi di validare lo scenario evolutivo o, eventualmente,di acquisire informazioni sulle necessarie modifiche. Cosı, ad esempio, un quadro teorico chefornisse Rami Orizzontali troppo luminosi verrebbe rivelato da periodi minimo/massimo piulunghi di quelli osservati. La Fig. 10.6 mostra una utile forma applicativa di tale metodo.Riandando alla Fig. 10.5 e facile verificare che per ogni assunta luminosita restano determi-nati i periodi ai due limiti dalla strip, lungo cioe il FOBE e il FRE. Cio consente di mapparela striscia di instabilita in un piano logP, log L o anche logP, Mv. Come esemplificato inFig. 10.6, ove si possa trascurare la dispersione in luminosita dei pulsatori, ad ogni osservatointervallo di periodi corrisponde un ed un sol valore della magnitudine assoluta V, da cui laluminosit a del Ramo e il modulo di distanza dell’Ammasso.

Aggiungiamo che, a livello operativo, molte procedure di indagine risultano semplificatedall’utile artifizio di introdurre i periodi fondamentalizzati. Di fatto l’analisi dei dati osser-vativi viene esguita trasformano gli osservati periodi delle RRc nei corrispondenti periodifondamentali tramite la precedente relazione, ricavando il periodo che quelle stelle mostr-erebbero se pulsassero nel fondamentale. Si evitano cosi le complicazioni presentate dallapresenza dei due modi di pulsazione ottenendo un campione sperimentale legato da unaunivoca relazione ai parametri evolutivi. Altro artifizio talora utilizzato e quello dei periodiridotti, ottenuti riducendo i periodi osservati ad una comune luminosita tramite l’utilizzodella relazione dei periodi trasportata nel piano osservativo per ottenere logP in funzione,ad esempio, di V, B-V e massa del pulsatore.

E’ facile infine prevedere, come di fatto si verifica, che in alcuni Ammassi Globularidebbano esistere anche variabili a periodi nettamente piu lunghi di quelli tipici delle RRLyrae. Stelle di Ramo Orizzontale che originano da collocazioni di ZAHB a temperaturaefficace maggiore di quella della strip (quindi stelle di Ramo Orizzontale con masse minoridi quelle delle RR Lyrae) al termine della combustione centrale di He attraverseranno ildiagramma per raggiungere le loro collocazione di AGB, attraversando quindi la strip di

Page 254: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Fig. 10.7. Diagramma teorico logP, Mv per quattro valori della massa (5, 7, 9 e 11 M ) e per letre composizioni chimiche indicate.

instabilita a luminosita sensibilmente maggiori di quelle del Ramo. Avendo anche massaminore pulseranno con periodi notevolment piu lumghi di quelli tipici delle RR.

Queste (rare) variabili sono sovente indicate il letteratura come Cefeidi di Popolazione II,nomenclatura che trae origine dai lunghi periodi ma che risulta peraltro ingannevole percheil comportamento e le caratteristiche di tali variabili sono ben lontani da quelli delle cefeidiclassiche che discuteremo nel seguito. Basti qui osservare che in queste variabili luminose diPop.II le strutture menomassicce sono anche le piu luminose (cfr., ad esempio, Fig. 7.12),mentre il contrario avviene nelle Cefeidi classiche. Per tale motivo e stata recentementeproposta la denominazione di ”Cefeidi di Ramo Orizzontale” (HB Cepheids).

10.4. Cefeidi classiche

Lo studio delle Cefeidi classiche ha avuto grande importanza a partire dal lontano 1912,quando miss Henrietta Leavitt, studiando ad Harward le Cefeidi nella Piccola Nube diMagellano (quindi oggetti tutti alla stessa distanza) scoprı l’esistenza di una relazioneperiodo-luminosita. Con l’attuale senno del poi, l’esistenza di una tale relazione non stupisce:basta riandare alla Fig. 10.2 per prevedere che se osserviamo un campo celeste con popo-lazioni stellari di varia eta la strip risultera popolata da una sequenza di strutture di varialuminosita, tanto piu luminose quanto piu giovani e quindi piu massicce. Poiche in terminidi gravita la variazione di luminosita predomina sulla variazione di massa, ci attendiamo cheCefeidi piu luminose abbiano periodi piu lumghi, come di fatto osservato.

Questo richiamo storico ci aiuta a comprendere le diverse filosofie che sovraintendono alleindagini su RR Lyrae o Cefeidi. Per loro natura, le RR Lyrae sono stelle di luminosita, etae massa pressoche costanti, con distribuzione di periodi largamente regolata dalle differenzedi temperatura attraverso la strip. L’indagine si rivolge principalmente ai ricchi campioni divariabili degli Ammassi Globulari, in larga parte al fine di determinare la magnitudine deiRami Orizzontali e i moduli di distanza dei cluster. Al contrario, i campioni di Cefeidi in clus-ter sono in generale molto scarsi, e l’indagime si rivolge a campi con popolazioni di eta, massae luminosit‘a variabili, al fine essenzialmente di calibrare una relazione periodo-luminositache consenta di usare le Cefeidi, molto piu luminose delle RR Lyrae, come ”candele stan-dard” per calibrare la distanza di galassie anche lontane, ricavando la magnitudine assolutadagli osservati periodi.

Page 255: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

Fig. 10.8. Strip di instabilita nel piano logP, Mv per Z=0.004 confrontata con la collocazionedi un campione di Cefeidi della Piccola Nube di Magellano (Small Magellanic Cloud= SMC). Iquadrati pieni riportano la collocazione dei corrspondenti modelli teroco do Fig. 10.7

Per indagare il previsto comportamento delle Cefeidi dovremo ricavare dalle teorie evo-lutive la relazione massa-luminosita per le stelle che in fase di combustione centrale di eliopenetrano nella strip di instabilita. Essendo le Cefeidi stelle massicce e, quindi, relativamentegiovani, per la Galassia potremo orientativamente assumere una metallicita solare, Z∼0.02.Ma la problematica delle Cefeidi si estende spontaneamente al di la della nostra Galassia, el’evidenza osservativa indica peraltro che le Cefeidi della Grande Nube di Magellano hanno,almeno in media, metallicita minori, Z∼0.008, e ancora minori (Z∼0.004) quelle della PiccolaNube. Sara quindi necessario esplorare l’influenza della metallicita sul comportamento di talivariabili.

Possiamo peraltro operare subito una importante previsione. Le teorie evolutive ci indi-cano che l’estensione dei loop che caratterizzano la combustione centrale di elio aumenta aldiminuire della metallicita. Ci si deve quindi attendere che al diminuire di Z entrino nellastrip stelle progressivamente sempre meno massicce e, conseguentemente, meno luminose. Daqui la previsione che popolazioni giovani ma povere di metalli dovrebbero essere segnalatedall’esistenza di Cefeidi con periodi anormalmente brevi. Tale previsione e di fatto pun-tualmente verificata non solo nelle Nubi di Magellano ma anche in alcune galassie nane delGruppo Locale. In letteratura queste Cefeidi a corto periodo e povere di metalli sono stateper lungo tempo indicate come Cefeidi Anomale, nomenclatura che peraltro risente dellamancata comprensione della naturale estensione del fenomeno Cefeidi alle basse metallicita.

La Fig.10.7 riporta i risultati di una esplorazione teorica della variabilita di strutturemassicce di 5, 7, 8 e 11 M per le tre indicate assunzioni sulla composizione chimica origi-naria delle strutture medesime. Sulla falsariga di procedure che abbiamo gia discusso, taleindagine e stata eseguita, per ogni assunto valore della massa stellare, esplorando il dia-gramma HR al variare della temperatura efficace e al livello di luminosita che compete allafase di combustione di elio delle singole masse. Dai risultati di tale esplorazione si ricava in-fine il diagramma logP, logL e da questo diagrammi logP,magnitudini quale quello riportatoin figure.

Dai dati nella figura si ricavano alcune interessanti evidenze. Innanzitutto, come atteso,per ogni assunta composizione chimica l’esistenza di una striscia di instabilita nel diagrammaHR si traduce necessariamente in una corripondente striscia di instabilita nel diagrammalogP,Mv. Tale striscia, non marcata in figura, si ricava facilmente collegando tra loro i periodiminimo e i periodi massimi della pulsazione per le varie masse ad ogni fissata composizionechimica. La Fig. 10.8 riporta ad esempio la strip di instabilita per il caso Z=0.004. Comemostrato nella stessa figura, il best fitting con i dati osservativi si ottiene richiedendo levariabili all’interno della strip teorica, ricavandone cosı un modulo di distanza.

Page 256: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Fig. 10.9. Il campione di Cafeidi della Grande Nube di Magellano raccolto dall’esperimento OGLE.

Contrariamente a quanto talora ritenuto, non esiste quindi una relazione periodo-luminosita (PL) ma esistono solo relazioni periodo-luminosita- temperatura assieme alle con-seguenti periodo-luminosita-colore (PLC). Si potra al piu parlare di una relazione periodo-luminosita media, quale quella rappresentata dalle curve teoriche riportate nella precedenteFig. 10.7. Relazione peraltro non priva di rischi, applicabile solo quando si abbia la garanziache il campione osservativo sia non solo abbondante, ma anche uniformemente distribuito aricoprire l’intera strip.

Le predizioni teoriche indicano che la collocazione della strip dovrebbe dipendere leg-germente dalla metallicita, spostandosi verso il rosso all’aumentare di questa. Ne segue loshif di periodi evidente in Fig. 10.7. Ne segue che a parita di periodo Cefeidi piu metal-liche dovrebbero avere luminosita medie minori. Questa appare come una ferma predizioneteorica, anche se i riscontri sperimentali sono ancora dibattuti.

Anche le relazioni tra periodo e parametri strutturali dipendono leggermente dalla metal-licita. Nel caso Z=0.008 (LMC) si ha ad esempio

logPF = 10.557 + 0.932 logL− 0.795 logM − 3.279logTe

che in realta non si discosta molto da quanto avevamo a suo tempo trovato per le RRLyrae. Anche nella strip delle Cefeidi si hanno le tre zone FO, OR e F, con i pulsatorinella prima armonica che hanno periodi piu corti del rispettivo fondamentali di ∆logP ∼0.14-0.15.

Come per le RR Lyrae, la dipendenza dal colore diminuisce notevolmente utilizzando siamagnitudini infrarosse che gli indici ”reddening free” di Wesenheit. La Fig. 10.9 mostra adesempio il bel campione di circa 1500 Cefeidi nella LMC ricavato dall’esperimento OGLE(Optical Gravitational Lensing Experiment). L’utilizzazione dell’indice di Wesenheit W(V,I)ha non solo eliminato la dispersione osservativa legata agli arrossamenti differenziali, ma haanche fortemente ridotto la dipendenza dal colore, portando in bella evidenza le due sequenzedei pulsatori fondamentali e nella prima armonica. Si noti tra l’altro come i dati in questafigura si accordino almeno quaitativamente con le previsioni teoriche di Fig. 10.7, secondo lequali l’instabilita FO dovrebbe essere presente solo alle minori luminosita (cioe nelle masseminori).

Il collegamento tra proprieta pulsazionali e strutture evolutive stabilito dalla relazione deiperiodi e suscettibile di innumerevolie svariate applicazioni. Qui vogliamo solo come esempionotare che se di una Cefeide si conosce la distanza, misurarne luminosita e temperaturasignifica ricavarne la massa. Le pulsazioni danno quindi accesso a tale elusivo parametro

Page 257: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

Fig. 10.10. A destra: Best fit della curva di luce di U Comae per gli indicati parametri strutturali.A sinistra: variazione della curva di luce teorica per incrementi della temperatura effica di 50 K

fondamentale, risultando di vitale importanza in problemi evolutivi quali l’efficienza dellaperdita di massa e/o l’efficienza di meccanismi di overshooting invasivo.

10.5. Validazione della teoria. Progressione di Hertzsprung.

Lo scenario teorico sin qui esaminato fa essenzialmente uso della valutazione dei periodi edella definizione dei bordi dell’instabilita pulsazionale. I moderni modelli pulsazionali nonlineari e con adeguato trattamento temporale del’accoppiamento tra la pulsazione e la con-vezione superadiabatica offrono peraltro una informazione molto piu dettagliata, essendo,in linea di principio, in grado di seguire l’andamento temporale della struttura lungo tuttoil ciclo pulsazionale, fornendo previsioni dettagliate su rilevanti osservabili quali le curve diluce e quelle di velocita. Tali previsioni, al di la della quantificazione in termini di periodoe ampiezza della pulsazione, prese nella loro interezza offrono un formidabile strumento perindagare l’adeguatezza dello scenario teorico adottato. Si deve infatti richiedere che lo sce-nario teorico appaia in grado di riprodurre l’evoluzione temporale della curva di luce perragionevoli condizioni sui parametri strutturali.

L’approccio a tale forma di validazione puo seguire varie traiettorie di indagine. La Fig.10.10 riporta ad esempio nel pannello di sinistra la curva di luce di una RRc di campo, UComae, di metallicita intermedia e con periodo P=0.29? d. Trattandosi di una stella di HBpossiamo ragionevolmente assumere una massa nell’intervallo M∼0.6-0.8 M. Assunto unvalore della massa, per ogni assunto valore della luminosita esiste uno e un sol valore di tem-peratura efficace che soddisfi la fondamentale condizione di riprodurre il periodo osservato.Occorre dunque verificare se tra queste ∞1 coppie logL, logTe ne esista almeno una in gradodi riprodurre la curva di luce sperimentale. Ove non si trovi una soluzione soddisfacenteoccorrera modificare entro limiti ragionevoli le condizioni sulla massa ed esplorare le nuove∞1 coppie logL, logTe.

L’insuccesso finale di tale procedura fornirebbe la prova dell’inadeguatezza del quadroteorico adottato. Il successo, purtroppo, non e prova assoluta di adeguatezza, ma puo essereriguardato come un confortante supporto alla teoria, rappresentando in ogni caso una formadi validazione che dovrebbe affiancare ogni valutazione teorica. La stesso pannello della Fig.10.10 mostra come un ragionevole accordo tra teoria e osservazione venga raggiunto quando siponga M= 0.6 M, logL= 1.607 logTe= 3.851 , parametri che appaiono in generale accordocon le previsioni delle teorie evolutive. Il pannello di destra della stessa figura mostra lagrande sensibilita delle curve di luce ai parametri di struttura, riportando i risultati disimulazioni teoriche per il modello M= 0.6 M al variare della temperatura in intervallidi soli 50 K. Si noti la contemporanea variazione di luminosita, imposta dalla condizionedi mantenere il periodo al valora assegnato. Analoghe forme di validazione possono essereapplicate al caso delle Cefeidi. Il pannello di sinistra della Fig. 10.11 mostra al riguardo

Page 258: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 10.11. Best fit teorico delle due Cefeidi nella Grande Nube di Magellano, come ottenuto pergli indicati parametri strutturali.

la curva di luce di una Cefeide della Grande Nube di Magellano. Il caso delle Cefeidi eperaltro diverso da quello delle RRLyrae, richiedendo procedure leggermente modificate.Ricordiamo infatti come lo scenario pulsazionale per le Cefeidi richieda che si fornisca per lestrutture una relazione massa-luminosita. Per ogni prefissata luminosita si ha cosi una massae quindi anche una e una sola temperatura per ogni prefissato periodo. La semplificazionee peraltro puramente apparente: se si applica alle giganti in combustione di He la relazionemassa luminosita in assenza di perdite di massa, le curve di luce teoriche differiscono dallaosservata per ogni assunto valore della luminosita. Come mostrato nello stesso pannello sitrova invece che l’accordo puo essere raggiunto, quando si modifichi la relazione massa-luminosita imponendo che a fissata luminosita la massa sia minore della massa originale o,il che e equivalente, che una prefissata massa della gigante si trovi a luminosita piu alte diquelle previste dall’evoluzione a massa costante.

Il parametro libero di partenza non e piu la massa, come nel caso dele RR Lyrae, ma larelazione massa luminosita. Ed il risultato evidenzia la potenza dell’approccio pulsazionaleche pone inequivocabilmente in luce fenomeni dei quali avevamo evidenze indirette, ma cherimanevano mal riconoscibili nel cammino evolutivo delle strutture. La relazione massa-luminosita richiesta dalle curve di luce e infatti l’attesa conseguenza dei fenomeni di perditadi massa, cui si possono eventualmente aggiungere effetti di overshooting invasivo.

Nel caso in esame la validazione puo essere ulteriormente perfezionata osservando chele Cefeidi della Grande Nube sono tutte alla stessa distanza, e quindi se lo scenario teoricoe affidabile dovra essere in grado di riprodurre anche altri pulsatori sotto la condizione diun medesimo modulo di distanza e quindi di luminosita che stanno tra loro nel rapportodesumibile dalle osservate differenze di magnitudine. Il successo di tale procedura e mostratonel pannello di destra della Fig. 10.11, a ulteriore conforto delle attuali possibilita operativedella teoria dei pulsatori radiali. Va peraltro avvisato che le procedure contemplano ancheuna calibrazione della mixing length, dal cui valore dipende non tanto la forma ma l’ampiezzadella curva di luce.

Le due curve di luce riportate nella Fig. 10.11 consentono infine di illustrare una carat-teritica osservativa che prende il nome di Progressione di Hertzsprung. Come indicato nellafigura, tale progressione consiste nella apparizione di un ”bump” che si sposta regolarmentelungo la curva di luce al variare del periodo. L’origine di tale bump e stata oggetto di moltee contrastanti discussioni. Qui ci interessa solo di segnalare che presenza e collocazione delbump emergono spontaneamente da appropriati calcoli pulsazionali. Per completezza, noti-amo peraltro che, per motivi ancora ignoti, la teoria ha difficolta a riprodurre la curva diluce delle RRab in prossimita del FRE.

Page 259: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

Fig. 10.12. Curve di luce nella bande U, B, V della variabile RR Lyrae. In basso e mostratol’andamento temporale dell’indice di colore B-V.

Approfondimenti

A10.1. Il giorno giuliano

Nelle indagini sulla variabilita stellare, il dato osservativo di base e ovviamente fornito dalla acqui-sizione e registrazione dell’evoluzione temporale della luminosita delle singole strutture. Per potercollegare tra loro osservazioni di un oggetto fatte in diversi osservatori anche a notevole distanzadi tempo e necessario peraltro disporre di una scala dei tempi universale. cui riferire le varie osser-vazioni. A tal fine viene utilizzata una scala di giorni e frazioni di girono, intendendo come giornoil tempo trascorso tra due successivi passaggi del Sole al meridiano di Greenwhich. Un Julian Dayinizia dunque al mezzogiorno di Greenwich e termina al successivo mezzogiorno.

Tale scala dei tempi non contempla anni, ma solo una sequenza di giorni con le loro frazioni.Il termine di ”Giorno Giuliano” prende origine dalla definizione del punto zero della scala, che -assumendo un calendario giuliano - viene fissato al 1 Gennaio del 4713 a. C. Si noti che questo esolo un artifizio per fissare un determinato giorno prima del presente, e nulla ha a che vedere necon il percorso annuale del Sole ne tantomeno con il ciclo delle stagioni. Per determinare un giornogiuliano non occorre peraltro risalire al punto zero, ma basta conoscere il J.D. di una qualunquedata prossima al presente. Cosi, ad esempio, al mezzogiorno di Greenwich del 31 Dicembre 2000corriponde

31.12.2000 → 2451910.00 J.D.

A10.2. Curve di luce e curve di velocita.

La Fig. 10.12 riporta le curve di luce sperimentali per la variabile RR Lyrae nelle bande U, B e V diJohnson. E’ facile riconoscere come l’ampiezza della curva di luce dipenda dala banda, raggiungendo

Page 260: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

Fig. 10.13. Curva di luce e andamento delle velocita radiali tipiche di pulsatori radiali, quali RRLyrae e Cefeidi.

un massimo per la bamda B. La ragione di tale comportamento e subito compresa quando si esaminil’andamento temporale dell’indice di colore B-V. Si vede come al minimo in luminosita corrispondaun massimo del colore (B-V∼0.4) e quindi un minimo della temoperatura. Analogamente, al massimodi luminosita corrisponde il minimo di B-V e un massimo della temperatura. Alla variazione dellaluminosita bolometrica (= totale) della struttura si sovrappone quindi un effetto di temperaturache aggiunge radiazione nella banda B in prossimita del massimo e toglie radiazione, spostandolaa maggiori lunghezze d’onda, in prossimita del minimo. Se ne conclude che l’aumento di emissivitacollegato all’aumento di temperatura efficace giuca un ruolo importante nella curva di luce.

Ulteriori ed importanti informazioni sono fornite dalla curva di velocita radiale, ricavabiledall’effetto Doppler sulle righe spettrali. La Fig. 10.13 mostra come tutti i pulsatori radiali presentinocurve di velocita caratteristicamente speculari rispetto alla curva di luce. Le velocita misurate Vrisultano dalla combinazione della velocita della pulsazione Vr alla velocita radiale V0 intrinsecaall’oggetto pulsante. Quest’ultima e peraltro ricavabile dalla ovvia condizione che l’integrale rispettoal tempo della velocita radiale propria della pulsazione , che rappresenta in ogni istante lo spazioin km di cui si e spostata la fotosfera stellare, debba annullarsi quando esteso ad un ciclo∫

(V − V0) dt = 0

Si ottiene cosı agevolmente il valore di V0, rappresentato in Fig. 10.13 dalla linea che dividela curva delle velocita in due porzioni che, per definizione, sottendono eguali aree. Dai dati nellastessa figura e ora facile verificare che il massimo di luminosita cade in un punto intermedio dellafase di pansione, in corrispondenza del massimo in temperatura efficace. Il successivo aumento diraggio e controbilanciato dalla diminuzione di temperatura che porta, in totale, ad una diminuzionedella lumonosita.

Quando si voglia risalire dalle velocita radiali osservate alla cinematica della pulsazione occorretener presente che il dato osservativo fa riferimento alla media sull’emisfero stellare visibile dellacomponente della velocita nella direzione dell’osservatore, componente che e in genere minore dellareale velocita radiale, ed uguale ad essa solo nel punto centrale dell’emisfero osservato. La misurasperimentale fornisce quindi un valore inferiore del vero valore della velocita radiale. Con semplicecalcolo si trova per altro che sussiste la proporzionalita

Vr(misurata) = 2/3Vr(reale)

Dalle curve di luce nelle varie bande si ottengono infine le corrispondenti magnitudini mediecome integrali sull’intero ciclo del segnale raccolto. Al riguardo sono peraltro utilizzate in letteraturadue alternative opzioni, consistenti in

Page 261: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

Fig. 10.14. Confronto tra colori B-V in magnitudine o in intensita per un campione di RR Lyraenell’Ammasso Globulare M5, senza o con correzione al colore statico.

1. Medie in magnitudine: (U), (B), (V) ... → ricavate per ogni banda come media temporale dellemagnitudini istantanee

2. Medie in intensita: 〈U〉, 〈B〉, 〈V〉 ... → ricavate dal logaritmo della media temporale dei flussienergetici.

Poiche la media del logaritmo non e il logaritmo della media le due grandezza differiscono,anche se non di molto, tra loro. Dalle singole magnitudini medie si ricavano cosı i colori mediin magnitudine (B-V) o in intensita 〈B-V〉. In letteratura e stato a lungo dibattuto il problemadi quale tra questi due colori approssimi meglio il colore della struttura statica. In realta e statoinfine mostrato che ambedue questi colori osservativi tendono a discostarsi dal colore della strutturastatica quanto piu la curva di luce risulta asimmetrica.

Esistono al riguardo opportune correzioni che consentono di risalire dai colori medi osservati aicolori statici, passaggio obbligato quando si vogliano inserire i risultati osservativi per le variabilinel contesto delle teorie evolutive e dei loro colori statici. La Fig. 10.14 mostra come esempio ilconfronto tra colori B-V in magnitudine o in intensita per un campione di RR Lyrae nell’AmmassoGlobulare M5, senza o con correzione per colore statico.

A10.3. Relazioni Periodo-Mk. Indici di Wesenheit

L’osservazione infrarossa di campioni di RR Lyrae in Ammassi Globulari galattici ha portato allaluce una serie di interessanti caratteristiche che hanno stimolato un crescente uso delle magnitu-dini nella banda K, che copre l’intervallo di lunghezze d’onda 2.0-2.5 micron. Nel seguito faremoriferimento a tale problematica, avvisando peraltro che quanto andremo esponendo trova del tuttoanaloghe applicazioni anche nel campo delle variabili Cefeidi.

Una prima caratteristica e che in tale banda l’ampiezza delle curve di luce risulta estremamenteridotta, e le magnitudini medie corrispondono senza ambiguita alle magnitudini statiche. Molto piuimportante e l’osservazione che in tale banda si manifesta una relazione Periodo-Magnitudine che,osservativamente, pare non dipendere dalla metallicita degli ammassi e, quindi, dal preciso livellodi luminosita del Ramo Orizzontale. La teoria predice infatti che tale luminosita debba leggermentedecrescere al crescere della metallicita, diminuendo di circa ∆logL ∼ 0.07 (∆ M ∼ 0.17 mag)passando da Z=0.0001 a Z=0.001.

L’indagine teorica da ragione di un tale accadimento, fornendone una semplice chiave interpre-tativa. Per illustrare il differente comportamento nelle varie bande la Fig. 10.15 riporta nel pannellosuperiore l’attesa distribuzione di periodi per strutture distribuite lungo la strip a tre assunte diversilivelli di uminosita. Come atteso, le magnitudini visuali seguono i livelli di luminosita, con solo leg-gere variazioni collegate anche a piccole variazioni della correzione bolometrica e alla differenza tramagnitudini medie e magnitudini statiche. Questo perche la quantita di radiazione raccolta dalla

Page 262: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Fig. 10.15. Pnnello superiore: La distribuzine nel piano logP-Mv di strutture di HB distribuitelungo la strip ai tre indicati livelli di luminosita . Pannello inferiore: Come nel pannello superiorema per il piano logP-Mk

banda V dipende solo debolmente dalla temperatura delle strutture, temperatura che -per ogniprefissato livello di luminosita- va decrescendo dai periodi minori (FOBE) verso il massimo periodo,raggiunto al FRE.

Il pannello inferiore della stessa figura mostra la distribuzione delle medesime strutture nellabanda K. Facendo riferimento ad un qualunque livello di luminosita, ora si nota che al diminuiredella temperatura aumenta sensibilmente la radiazione raccolta dalla banda K e. conseguentemente,per ogni prefissato livello di luminosita si genera una relazione Periodo-Magnitudine K. Inoltre,l’esistenza di una tale relazione fa anche sı che all’aumentare del livello di luminosita, il corrispon-dente aumento del periodo riporta il punto del piano logP-Mk verso la relazione caratteristica delleminori luminosita. La conseguenza e che nel piano logP-Mv, un’incertezza ± 0.1 in logL, per ogniprefissato periodo si traduce in un incertezza di ∼ 0.25 mag in Mv. Dal pannello inferiore della Fig.10.15 si ricava che nel piano logP-Mk la stessa incertezza sul livello di luminosita bolometrica dellestrutture pulsanti si tradice in un incertezza di∼0.07 mag su Mk.

Se ne trae che anche accettando un’incertezza ∆logL = 0.1 sulle valutazioni teoriche dellaluminosita dei Rami Orizzontali, quindi ben superiore a quanto oggi si ritenga (∆ logL∼ ± 0.03),l’osservazione in banda K delle RR Lyrae consente di fissare il modulo di distanza di un ammassoentro ± 0.07 mag. Per cio che riguarda l’effetto di metallicita e immediato ricavare che una variazionedi ∆logL = 0.07 si traduce nel piano logP-Mk in una dispersione delle magnitudini K pari a ±0.025mag, confortando di fatto la pratica indipendenza dalla metallicita.

L’adozione della banda K agisce quindi nel senso di rompere la degenerazione tra periodi emagnitudini, associando ad ogni periodo solo un ristretto intervallo di magnitudini. Analogo effettoha, peraltro per tutt’altri motivi, l’adozione degli indici ”reddening free” definiti a suo tempo daWesenheit come utili parametri osservativi indipendenti dall’arrossamento interstellare. Ricordando,ad esempio, che per l’estinzione nella banda V sussiste la relazione

AV = 3.10E(B − V )

si riconosce che per la funzione di Wesenheit

W (B, V ) = V − 3.1(B − V ) = V0 − 3.10(B − V )0

Page 263: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

E’ infatti

V − 3.10(B − V ) = V0 + Av − 3.10(B − V )0 − 3.10E(B − V )

da cui si ha subito il precedente enunciato. Indici di Wesenheit possono essere definiti per qualunquecoppia di bande fotometriche e, ad esempio, per le bande V,I si ha

W (V, I) = V − 2.54E(V − I)

Questa volta la degenerazione viene rotta perche per una popolazione di pulsatori che riempia lastrip a V∼ cost W decresce al crescere di (B-V) dal FOBE al FRE, creando una relazione logP(W).Si hanno in definitva risultati del tutto analoghi a quelli discussi per la banda K, con quindi analogheapplicazioni osservative.

A10.4. La dicotomia di Oosterhoff

Non tutti gli Ammassi Globulari galattici hanno RR Lyrae. La maggioranza anzi ne ha pochissimeo nessuna, per avere i Rami Orizzontali o troppo blu o troppo rossi. Resta pero un congruo numerodi ammassi, circa una trentina, che contengono almeno 20 RR Lyrae, con NGC5272=M3 nel qualene sono state scoperte oltre 200. Nel lontano 1939 l’astronomo olandese Pieter Oosterhoof porto allaluce una curiosa caratteristica delle popolazioni di RR Lyrae di tali ammassi: valutando il periodomedio dei pulsatori fondamentali (RRab) si trova che tali periodi si separano in due gruppi (Gruppidi Oosterhoff), con periodi medi rispettivamente inferiori o superiori di 0.6 d. A tale evidenza fu datoil nome di Dicotomia di Oosterhoff. Con il tempo divenne chiaro che tale dicotomia e correlata conla metallicita degli ammassi stessi: ammassi relativamente piu metallici (ad es. M3) hanno periodimedi delle ab piu corti di 0.6 d (I Gruppo di Oosterhoff) mentre gli ammassi meno metallici (ad es.M15) con periodi piu lunghi appartengono al II Gruppo.

Attualmente le caratteristiche osservative dei due gruppi possono essere cosı sintetizzate:

1. Oo.I: Periodi medi minori di 0.6d, relativamente a maggiore metallicita con minor percentualedi primi sopratoni (RRc).

2. Oo.II: Periodi medi maggiori di 0.6d, relativamente a minore metallicita con maggior per-centuale di primi sopratoni.

Le ricerche sulle origini di una tale dicotomia sono state per lungo tempo al centro di numeroseindagini. Tra le varie ipotesi avanzate se ne segnalano essenzialmente due, alternative, che possonoessere cosı riassunte:

1. La dicotomia di Oosterhoff e essenzialmente un effetto di luminosita: gli ammassi Oo.II hannoperiodi medi piu lunghi semplicemente perche hanno stelle di HB piu luminose.

2. La dicotomia di Oosterhoff e essenzialmente un effetto del popolamento della zona OR: nelgruppo Oo.I la zona OR e popolata da pulsatori fodamentali mentre negli Oo.II da FO. Gli am-massi OO.II hanno periofi piu lunghi semplicemente perche mancano delle ab a minor periodo.

La seconda ipotesi e nota com Ipotesi dell’isteresi perche in genere collegata, ma non nec-essariamente, all’efficienza di un meccanismo di isteresi secondo il quale nella zona OR le stelleconserverebbero il tipo di pulsazione con cui vi sono entrate.

Senza entrare in analisi troppo dettagliate, qui ci interessa solo mostrare come i periodi fonda-mentalizzati forniscano un semplice approccio per dirimere la questione. Se si fondamentalizzano iperiodi delle RRc e si esegue la media dell’intero campione di RR Lyrae, nell’ipotesi di isteresi talemedia deve restare costante tra i due gruppi di Oosterhoff, perche tutti i pulsatori sono presenticon egual peso. Al contrario, nel caso di effetto di luminosita il periodo medio fondamentalizzatodegli Oo.II dovrebbe restare piu alto di quello degli Oo.I. La Fig. 10.16 riporta la situazione os-servativa. Nella parte superiore del pannello di sinistra sono riportati i periodi medi della ab infunzione della metallicita dei cluster: si nota la chiara presenza della dicotomia di Oosterhoff chesi presenta attorno ad una metallicita [Fe/H]∼ -1.6. Nella parte inferiore dello stesso pannello e

Page 264: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Fig. 10.16. Panello di sinistra: periodi medi delle RRab (sopra) e periodi medi fodamentalizzati(sotto) in funzione della metallicita dei cluster. Pannello di destra: istogramma dei periodi fonda-mentalizzati per gli ammassi M15 (Oo.II) e M3 (Oo.I. In nero il contributo delle RRc

riportato l’andamento dei periodi medi fondamentalizzati: la discontinuita scompare, confortandopienamente l’ipotesi di isteresi.

Nel pannello di destra della stessa figura sono riportati gli istogrammi delle distribuzioni deiperiodi fondamentalizzati nei due ammassi piu rappresentativi rispettivamente dei gruppi Oo.I (M3)e Oo.II (M15). Se ne trae l’evidenza di distribuzioni analoghe, ma con la trasformazione delle RRaba corto periodo presenti in M3 in corrispondenti RRc in M15.

A10.5. Coefficienti di Fourier. Ampiezze pulsazionali.

L’andamento temporale del flusso energetico e delle velocita radiali (curve di luce e curva di velocita)rappresentano insieme il dato osservativo che contiene il massimo di informazioni sul fenomeno pul-sazionale. Conseguentemente il piu esauriente approccio teorico consisterebbe, in linea di principio,nella riproduzione teorica sempre e ovunque di tali osservabili. Abbiamo visto peraltro come dallesole curve di luce sia lecito estrarre due parametri, periodo ed ampiezza, che pur rappresentandoun contenuto minimale di informazione, risultano di grande utilita nel discutere ed interpretare ilcomportamento pulsazionale delle variabili.

Utilizzando ampiezza e periodo si perde naturalmente ogni informazione su una caratteristicaosservativa cosi rilevante quale e la forma della curva di luce. Esiste peraltro in letteraura un filonedi indagine che tenta di non trascurare questo elemento, parametrizzando la forma della curva diluce attraverso i coefficienti del suo sviluppo in serie di Fourier. Si e ritenuto cosi di poter metterein relazione il coefficiente Φ31, differenza di fase tra prima e terza componente, con la metallicitadei pulsatori. L’ipotesi, in linea di pricipio altamente suggestiva, e peraltro ancora ampiamentedibattuta.

Restando nell’ambito dei due parametri tradizionali, si notera come l’ampiezza abbia giuocatoun ruolo importante nella classificazione delle RR Lyrae tramite il diagramma di Bayley, restandoperaltro esclusa da gran parte delle elaborazioni interpretative. Ci o e in gran parte dovuto alfatto che solo in tempi relativamente recenti i calcoli non lineari hanno consentito di ottenerevalutazioni teoriche su tale parametro. Da tali risultati si ricava che le ampiezze assumono particolareimportanza nel caso delle RR Lyrae, ove e possibile stabilire relazioni univoche con i parametristrutturali. La Fig. 10.17 riporta un esempio delle predizioni teoriche riguardanti il diagrammadi Bayley per una stella di massa M= per prefissati valori della luminosia L. Si riconosce comein particolare per le RRab esista, per ogni luminosita una relazione approssimativamente lineareAmpiezza-Periodo.

A titolo di esercizio possiamo usare i dati in figura per trarne alcune interessanti deduzioni. Si puoad esempio notare che per un ampiezza costante il periodo aumenta con L, risultando ∆logP∼0.08

Page 265: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Fig. 10.17. Predizioni teoriche sull’ampiezza bolometrica di pulsatori RR Lyrae fondamentali (F)e primisopratoni (FO)per le indicate assunzioni sulla massa e luminosita.

per ∆logL=0.1. La variazione di periodo e dunque con buona approssimazione quella prodotta dallasola variazione di luminosita. Basta questo per evidenziare che con altrettanto buona approssi-mazione, per una massa fissata, l’ampiezza deve risultare funzione della sola temperatura efficace.Poiche questa regola conserva valore anche al variare della massa, possiamo facilmente prevederel’effetto di una variazione di tale parametro: all’aumentare della massa la relazione Ampiezza-Periodo deve traslare versi periodi minori, di una quantita che con buona approssimazione e fornitadalla relazione che lega periodo a massa del pulsatore.

Queste relazioni ci consentono di guardare al diagramma di Bayley non come a qualcosa dioccasionale, ma come un diagramma in cui sono registrate massa e luminosita dei pulsatori, e chesi viene ad aggiungere alle altre relazioni gia discusse per creare l’insieme delle condizioni teorichesulle quali impostare validazioni e indagini interpretative.

A10.6. Classificazione delle variabili

La classificazione delle stelle variabili ha subito nel tempo una continua evoluzione, collegata alcontinuo accrescersi delle evidenze osservative. Oggi si possono distinguere almeno sei categorie divariabili, ognuna con vari sottotipi di cui riportiamo alcuni esempi tra parentesi:

1. Eruttive: causate da brillamenti (flares) o eiezione di shell (T Tauri, R Coronae Borealis, SDoradus),

2. Pulsanti: con pulsazioni radiali o non radiali ( vedi infra),3. Ruotanti: causate da spot, magnetisno, variazioni di forma (Pulsar, variabili magnetiche, bi-

narie a riflessione)4. Cataclismiche: esplosioni da accrescimento di materia (U Gem, AM Her, Novae)5. Binarie ad eclisse: variabilita solo apparente (Algol, β Lyrae, W Ursae Majoris),6. Variabili X: con variabilita dell’emissione X, (stelle di neutroni, buche nere).

Qui di seguito riassumiamo e integriamo le informazioni sulle variabili pulsanti riportate neltesto, adottando le nomenclature normalmente piu utilizzate.

1. RRLyrae: indicate talora in passato anche com ”Cefeidi di ammasso” sono stelle di piccolamassa sul Ramo Orizzontale. Appartengono quindi a popolazioni antiche e, nella Galassia, allaPop.II, antica e povera di metalli. Periodi minori di un giorno. Luminosita ∼ 40-50 L, MV ∼0.5-0.7, leggermente dipendente dalla metallicita.

2. Cefeidi di Pop.II: denominazione equivoca che nasconde il fatto che si tratta di stelle blu diRamo Orizzontale che, spesso accompagnando le RR Lyrae, attraversano la strip ad alta lumi-nosita. Stelle di piccola massa, popolazioni antiche. Periodi da 1 giorno a 1 mese. Si distinguonoin BL Her (P < 8 d) e W Virginis (P> 8 d) .

Page 266: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

3. Cefeidi Classiche: Masse intermedie e grandi masse in fase di combustione centrale di elio.Popolazioni giovani; nella Galassia Pop.I. Luminosita da centinaia a migliaia di luminosita solari.Mv da -2 a -6.5. Periodi da 1 a 100 giorni.

4. Cefeidi Anomale: Cefeidi classiche ma di masse inferiori. Presenti solo nelle popolazioni giovanipovere di metalli. Extragalattiche.

A queste quattro classi gia dicusse, si aggiungono altre di cui ricordiamo qui le principali:

5. δ Scuti, SX Phoenicis: strutture di sequenza principale che intercettano la stessa striscia diinstabilita di Cefeidi e RR lyrae. Hanno (di conseguenza) periodi estremamente brevi, minori odell’ordine dell’ora. Di Pop.I (δ Scu) o Pop.II (SX Phoe).

6. Lungo Periodo o tipo ”Mira”: Giganti Rosse con periodo da 80 a 1000 giorni.Ampiezze da2.5 a piu di 11 mag.

7. Semiregolari: Giganti Rosse con irregolare periodicita. Ampiezze sino a 3 mag e periodi da 20giorni ad alcuni anni,

8. β Cephei: Stelle ad alta luminosita e alta temperatura. Periodi 0.1 -0.7 d e ampiezze 0.1 -0.3mag.

9. RV Tauri: Supergiganti da gialle a rosse, con minimi di luce primari e secondari che si alternano.Ampiezze sino a 4 mag e periodi da 30 a 150 d.

10. ZZ Ceti: Nane Bianche con pulsazioni non radiali. Periodi minori di 30 min e ampiezze minoridi 0.2 mag.

Page 267: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

Origine delle Figure

Fig.10.1 www.aavso.org/ images/lcmira.gifFig.10.2 Castellani V., Degl’Innocenti S., Prada Moroni P.G., Tordiglione V. 2002, MNRAS 334, 193Fig.10.3 Castellani V. 2000, XIII Rencontre de Blois, ”Frontiers of the Universe”.Fig.10.4 Caputo F., Castellani V., Marconi M., Ripepi V. 1999, MNRAS 306, 815Fig.10.5 Bono G., Caputo F., Marconi M. 1995, AJ 110, 2365Fig.10.6 Caputo F. 1997, MNRAS 284, 994Fig.10.7 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M. 1999, ApJ 512, 711Fig.10.8 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M. 1999, ApJ 512, 711Fig.10.9 Udalski A. et al. 1999, Acta Astronomica 49, 223Fig.10.10 Castellani V., Degl’Innocenti S., Marconi M., 2001, Cambridge Conference ”ωCen”.Fig.10.11 Bono G., Castellani V., Marconi M. 2002, ApJ 565, L83Fig.10.12 Hardie R.H. 1955, ApJ 122, 256Fig.10.13 Rose W.K. 1973, Astrophysics, Holt, Rinehart & Winston Inc.Fig.10.14 Caputo F., Castellani V., Marconi M., Ripepi V. 1999, MNRAS 306, 815Fig.10.15 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M., Storm J. 2001, MNRAS 326, 1183Fig.10.16 Castellani M., Caputo F., Castellani V. 2003, A&A 410, 871

Fig.10.17 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M. 1997, A&AS 121, 327

Page 268: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 11

La Nucleosintesi.

11.1. L’evoluzione nucleare.

La formazione di strutture stellari e un evento del tutto naturale che segue e segna la storiadell’intero Universo. Ogni singola stella, con tempi e modi condizionati dai parametri strut-turali, e una sorta di macchina naturale che trasforma l’idrogeno in elio e l’elio in elementiancora pi u pesanti. Abbiamo piu volte ripercorso le motivazioni che ci inducono a ritenereche gli elementi cosı sintetizzati vengano riciclati nella materia interstellare, contribuendo alprogressivo arricchimento di elementi pesanti nelle successive generazioni stellari. Con questoscenario in mente, possiamo ora cambiare prospettiva e spostare la nostra attenzione dallestrutture stellari ancora ”in funzione” al prodotto finale di tale funzionamento, interrogandola materia dell’Universo per vedere se resta traccia, e quale traccia resti, di tali accadimenti.

Per una tale indagine il dato di partenza sperimentale e fornito dalla distribuzione dellespecie nucleari nella materia dell’Universo attuale. Tale dato e fornito dall’analisi spettro-scopica della atmosfere stellari, che sappiamo dover conservare - con minori eccezioni - lacomposizione chimica della materia da cui quelle stelle sono nate. Analoghe osservazionisono ottenibili direttamente per il mezzo interstellare e, naturalmente, abbiamo a dispo-

Fig. 11.1. Curva delle abbondanze solari con indicati i relativi principali processi di nucleosintesi.

1

Page 269: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

Fig. 11.2. Confronto tra le abbondanze relative dei nei Raggi Cosmici (cerchi aperti) e nel Sole(cerchi pieni), normalizzate all’abbondanza di He

sizione anche il campione locale costituito dalla Terra, dai meteoriti e dai corpi del sistemasolare resi accessibili dai veicoli spaziali.

Il risultatp di una tale indagine e che, tenuto conto dei processi selettivi che hannnocertamente operato nella formazione dei corpi planetari, la materia dell’Universo sembraaver mantenuto nel tempo una tipica distribuzione delle varie specie nucleari. Infatti se epur vero che, ad esempio, nella Galassia il contenuto di elementi pesanti pu o variare traPop.I e Pop.II anche di un fattore 100, la distribuzione delle abbondanze relative non sidiscosta sensibilmente da quella ricavata er il Sole, riportata a suo tempo in Fig. 1.5.

Come mostrato in Fig.11.1, avendo in mente la storia delle reazioni nucleari nelle strut-tura stellare, non e difficile riconoscere in tale distribuzione l’impronta del funzionamentodella ”macchina stella”. La peculiare scarsezza degli elementi leggeri Li, Be e B, e quanto cisi attende dalla combustione dell’idrogeno: la natura di elementi secondari nella catena ppassicura infatti che tali elementi - ove presenti - debbano ridursi ai loro infinitesimali valoridi equilibrio. Le reazioni termonucleari possono quindi al piu distruggere il litio cosmologico(Li/H ∼ 10−10) emerso dalla nucleosintesi del Big Bang.

La successiva serie di picchi di abbondanze che si spingono sino al grande picco del Feportano un’indubbia testimonianza delle serie di reazioni che portano sino al Fe attraversoessenzialmente un progressiva agglutinazione di particelle α. E, infine, il picco stesso del Fee l’attesa conseguenza dei processi di equilibrio che sappiamo dominare le ultime fasi dellavita delle grandi masse stellari. La prima porzione della curva delle abbondanze ci parladunque senza ambiguita di una storia di interni stellari e dei loro successivi riciclaggi nellamateria interstellare. Resta peraltro da indagare l’origine dei nuclei oltre il ferro, che nonpossono essere prodotti nelle reazioni termonucleari che sostengono le strutture stellari.

Prima di affrontare un tale argomento notiamo qui che gli elementi leggeri Li, Be e Bpongono peraltro un particolare problema. L’abbondanza di Litio nel Sole e infatti, ad esem-pio, superiore a quella cosmologica misurata nelle atmosfere di stelle di Pop.II. Deve quindiessere stato efficiente un meccanismo di produzione di Li che, per quanto abbiamo detto,non puo risedere nelle reazioni termonucleari dalle quali tale elemento viene invece distrutto.Oggi si ritiene che tale elemento venga almeno in parte prodotto dall’interazione dei RaggiCosmici con i nuclei di materia interstellare, attraverso processi di spallazione. Misure ef-

Page 270: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

Fig. 11.3. Sezione d’urto per cattura neutronica indunzione del numero atomico . E’ evidentela forte diminuzione in corrispondenza dei numeri magici. Si noti anche l’effetto pari-dispari. Lasezione d’urto e in mb (1 b= 1 barn = 10−24 cm2) per neutroni di 25 keV

fettuate sia da Terra che dallo spazio mostrano infatti come la Galassia sia attraversata daflussi di particelle di alta e altissima energia (sino a oltre 1020 eV), di gran lunga superioria quanto ottenuto sinora nei piu potenti acceleratori di particelle.

Tali particelle, in gran parte protoni, inducono reazioni di impatto con i nuclei dellamateria interstellare, reazioni che, a causa delle altissime energie in gioco, si traducono nellafrantumazione (la ”spallazione) dei nuclei piu pesanti. La peculiare abbondanza di elementileggeri nella radiazione cosmica, mostrata in Fig. 11.2, fornisce una chiara testimonianzadell’efficienza di un tale processo. Non pare peraltro che tale meccanismo possa renedereintera ragione della abbondanze osservate, talche si e ipotizzato l’intervento di ulteriorimeccanismi, quali reazioni indotte dai neutrini nell’esplosione di Supernovae di tipo II (infra)o l’efficienza di reazioni del tipo

3He(α, γ)7Be(e+ν)7Li

sia nei raggi cosmici stessi, come negli inviluppi convettivi delle Giganti Rosse e, inparticolare, nelle periodiche esplosioni di stelle Novae.

11.2. Processi di neutronizzazione lenta (S).

Le temperature di fotodisintegrazione del Fe sono le massime raggiungibili all’interno di unastruttura stellare e i nuclei del picco del Fe sono di conseguenza i piu complessi prodotti dellereazioni termonucleari. I nuclei oltre il Fe possono quindi ben difficilmente essere prodotti dareazioni nucleari tra particelle cariche, che richiederebbero temperature ancor maggiori diquelle raggiungibili nelle stelle. Per rendere ragione della presenza in natura di tali elementi e,nel contempo, per rispettare i limiti di temperatura imposti dalle stelle dovremo considerarereazioni nucleari non regolate dalla repulsione colombiana, invocando quindi la presenza dineutroni.

Vi sono peraltro in natura chiari indizi che supportano l’efficienza di processi di catturaneutronica. In Fig. 11.1 si puo notare come la distribuzione degli elementi ” transferrici ”sia modulata da una serie di caratteristiche ricorrenze, tra le quali la presenza dei picchidi abbondanza contrassegnati dalla lettera ”S”. Tali picchi corrispondono con precisione aicosiddetti nuclei ”magici”, nuclei che in corrispondenza di determinati numeri ”magici” dineutroni o protoni (N= 2, 8, 20, 28, 50, 82, 126) mostrano particolari doti di stabilita (→A1.8). In un modello a shell del nucleo a tali numeri corrisponderebbe il completamento di

Page 271: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

Fig. 11.4. Esemplificazione della tipica traiettoria dei processi S nel piano N (numero di neutroni)Z (numero di protoni). Le ”isole” sulla sinistra della valle di stabilita schermano i nuclei della stessadal contributo dei processi r. I nuclei possono cosi essere distinti in r-puri (r), S-puri (S) o do originemista (S,r).

una shell, e la stabilita dei corrisponedenti nuclei sarebbe l’analogo della stabilita mostratadagli atomi dei gas nobili. Come mostrato in Fig. 11.3, quel che qui ci interessa e che a talinuclei corrisponde un brusca diminuzione della sezione d’urto per cattura neutronica. Lacorrelazione tra abbondanze in natura e sezioni d’urto per cattura neutronica rende plausi-bile la supposta efficienza di tali processi e, come vedremo, rendera ragione della anomaleabbondanze dei picchi ”S”.

Il neutrone e peraltro particella instabile, che decade in un protone (piu e+ν) con tempodi dimezzamento di circa 15 minuti(→ A1.10). Perche il processo possa essere efficientedobbiamo quindi richiedere non solo una sorgente di neutroni, ma anche che tale sorgentesia immersa in materia sufficientemente densa perche i neutroni possano interagire primadi decadere. Tali condizioni sono spontaneamente realizzate ancora all’interno delle stelle,dove abbiamo visto che durante la combustione di elio diventa efficiente la produzione deineutroni tramite la catena dell’ 14N. Le stelle si presentano dunque spontaneamente comeluoghi in cui, a fianco delle reazioni termonucleari, devono diventare efficienti processi dicattura neitronica che, pur non contribuendo all’energetica della stella, pssono portare uncontributo sostanziale alla nucleosintesi degli elementi pesanti.

Poiche la considerazione o meno di tali processi non influisce sull’evoluzione delle strut-ture, le valutazioni dell’efficienza dei processi stessi viene sovente eseguita sulla base di unasequenza di strutture evolutive opportunamente memorizzzate. Se ne ricava l’evidenza chei neutroni prodotti dalla catena dell’ 14N possono venir catturati da preesistenti nuclei dielementi pesanti (Nuclei ”seme”), nuclei che a seguito di una serie di tali catture neutron-iche si spostano progressivamente lungo la valle di stabilita (→ ....) andando a formare glielementi oltre il Ferro.

Nel caso della combustione dell’H avevamo gia visto come una serie di catture protonichesu nuclei stabili finisca inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccesso di protoni,nuclei che vengono richiamati sulla valle di stabilita da decadimenti β+. Ora una seriedi catture neutroniche finisce inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccessodi neutroni, che vengono richiamati sulla valle di stabilita da decadimenti β−. Poiche ineutroni vengono prodotti su tempi scala termonucleari, il loro flusso rimane contenutoe si puo assumere che il processo sia ”lento” (S = Slow) nel senso che il tempo tra due

Page 272: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

successive catture neutroniche sia in ogni caso maggiore dei tempi di decadimento deglielementi instabili β− prodotti. Cioe che i nuclei instabili abbiano il tempo di decadere primadi catturare un ulteriore neutrone.

Nel piano N,Z ne segue la caratteristica traiettoria illustrata in Fig. 11.4, tramite laquale i nuclei seme vengono spinti lungo la valle di stabilita a numeri atomici A sempre piualti. Notiamo peraltro subito che una traiettoria ”S” non puo raggiungere i nuclei stabili (leisole) separati, sia a destra come a sinistra, dalla sequenza centrale. Poiche tali nuclei sonopresenti in natura, per essi dunque dovremo investigare diversi meccanismi di produzione.

Per cio che riguarda i processi S, motiamo che ogni nucleo lumgo la traiettoria si presentacome elemento ”secondario”, nel senso che ogni nucleo risulta prodotto da una catturaneutronica e distrutto dalla successiva cattura. Se n e il numero di neutroni nell’unita divolume e V la loro velocita, potremo dunque scrivere per il generico nucleo di numero atomicoA nell’unita di tempo

Produzione : dNA = nNA−1σA−1V

Distruzione : − dNA = nNAσAV

e, come ogni elemento secondario, il nucleo deve evolvere verso una situazione di equilibrionella quale in totale dNA=0 e quindi

NA−1σA−1 = NAσA o anche, per ogni A NAσA = cost

Si vede subito come ad una sezione d’urto di cattura neutronica σA peculiarmente bassa,quale quella che caratterizza i nuclei magici, debba corrispondere una abbondanza NA pecu-liarmente elevata, dando ragione dei picchi S osservati in natura. Al limite, a sezioni d’urtonulle corrisponde una indefinita crescita di abbondanza del nucleo A.

Notiamo infine come, a fianco della catena dell’14N e al molto minor contributo prove-niente da reazioni piu avanzate, quali

16O +16 O →31 S + n

siano state suggerite anche altre possibili fonti di neutroni. In particolare, nel caso di rimesco-lamento parziale di una zona in combustione di He con strati ancora ricchi di idrogeno, iprotoni si combineranno con il Carbonio, come avviene nel ciclo CNO

12C + p→13 N + γ

13N →13 C + e+ + ν

Una successiva cattura protonica e pero inibita dalla scarsita di protoni, e segita invece

13C + α→ (17O)∗ →16 O + n

che potrebbe risultare una notevolissima fonte di neutroni da affiancare a quelli prodottidalla catena dell’14N .

11.3. I processi rapidi ”r” e ”p”.

Abbiamo gia notato come i nuclei ”isola” non possano essere raggiunti dalla traiettorie S.E’ subito visto come tali nuclei richiedano l’intervento di almeno due successive catture,di neutroni o protoni, a partire da un isotopo collocato nella valle di stabilita. Cio indicacome all’evoluzione nucleare debbano aver contribuito anche processi ”rapidi”, tali cioe cheil tempo tra due successive catture risulti molto minore del tempo di decadimento del primo

Page 273: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

Fig. 11.5. La traiettoria S (linea spezzata) e i nuclei di attesa nei processi ”r” (zone a tratti).Icerchi indicano le zone di accumulazione che decaderanno β− a formare i ”bump”. In basso a destrala tipica traiettoria di accumulazione in corrispondenza di un numero magico di neutroni.

isotopo instabile formato. Il luogo naturale per tali processi e ovviamente l’esplosione di unaSupernova.

Notiamo anche che i processi S rendono ragione dei picchi S in Fig. 11.1, ma non dei”bump” di abbondanza che precedono regolarmente i picchi stessi. Sono infatti processirapidi ”r” di cattura neutronica che giustificano non solo l’esistenza di nuclei isola sulladestra della valle di stabilita, ma anche una tale caratteristica nella distribuzione delle ab-bondanze. Dobbiamo dunque assumere che a causa dell’improvviso e intensissimo flusso dineutroni prodotto nel collaaso di una supernova i nuclei preesistenti inizino una serie disuccessive catture neutroniche, spostandosi nella zona instabile β− sulla destra della valle distabilita. L’allontanamento non puo pero essere indefinito: all’aumentare del numero di neu-troni diminuisce l’energia di legame degli stessi e la catena di catture finisce col giungere adun punto in cui il neutrone aggiunto e subito espulso dai fotoni del bagno termico. Il nucleo(nucleo di attesa) finisce quindi col decadere β−, passando da Z a Z+1, e puo ricominciaread accogliere neutroni sino a formare nuovamente un nucleo di attesa.

Le aree tratteggiate in Fig. 11.5 mostrano indicativamente le aree popolate da tali nucleidi attesa. Il flusso di neutroni e peraltro un fenomeno molto rapido: al cessare del flussotutti i nuclei instabili subiranno una catena di decadimenti β− sino a raggiungere una con-figurazione stabile. Avendo in mente tale meccanismo, in Fig. 11.4 si possono riconosceretre tipi di nuclei

1. Le isole ricche di neutroni, che possono essere popolate solo da processi ”r”2. I nuclei schermati da un isola ”r”, che non possono essere raggiunte dai processi rapidi e

sono quindi prodotte esclusivamente dai processi ”S”3. I nuclei r,S la cui abbondanza risulta dal contributo di ambo i processi.

Si ha cosi tutta una serie di nuclei S-puri o r-puri che portano un importante testimoni-anza del contributo alla nucleosintesi dei vari processi.

L’esistenza di numeri magici di neutroni introduce infine in tale quadro generale un ul-teriore elemento: nuclei instabili con numero magico di neutroni hanno sezioni d’urto dicattuta molto basse. Quindi sono nuclei di attesa che decadono β−. Il prodotto del dacadi-mento non e piu magico, ma puo prendere un solo neutrone che lo fa ritornare magico. Come

Page 274: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

7

Fig. 11.6. Abbondanza in numero degli elementi pesanti formati ripettivamente da processi S, r op, normalizzata a 106 atomi di Si. Si notino i picchi e ”bump” nelle abbondanze S e r.

schematizzato nell’angolo a destra della Fig. 11.5, in corrispondenza di un numero magicoNm i nuclei sono costretti ad ”arrampicarsi” lungo la line N=Nm , popolando cos1 la regioneal di sotto del picco ”S” che corrisponde allo stesso valore N=Nm. Come schematizzato infigura, all’esaurirsi del flusso dei neutroni tali nuclei decaderanno β−, andando a popolarela valle di stabilita giusto sulla sinistra del picco ”S”, dando quindi ragione dei ”bump” chein natura accompagnano quei picchi.

A tale scenario occorre infine aggiungere l’evidenza portata dai nuclei isola ricchi di pro-toni, sulla sinistra della valle, il cui popolamento richiede multiple catture protoniche. Comemostrato in Fig. 11.6 l’abbondanza in natura di tali nuclei p-puri mostra che tali processi”p” hanno avuto un’efficienza circa un ordine di grandezza inferiore a quella dei processi ”s”o ”r”. L’intervento dei processi ”p” si limita quindi essenzialmente al popolamento delle rela-tive isole, con marginali contributi alla produzione degli altri nuclei. In conclusione potremocontinuare a distinguere i nuclei oltre il ferro in s-puri, r-puri, rs, cui dovremo aggiungere ip-puri delle isole.

L’origine dei processi ”p” va ricercata ancora una volta nell’esplosione delle Supernovae,nel corso della quale la materia viene improvvisamente portata a temperature che posonosuperare i 109 K. A tali temperature e efficiente la produzione di coppie

γ → e+ + e−

che puo essere seguita dae+ + (Z.A)→ (Z + 1, A) + ν

cui si aggiungono le catture protoniche dirette

(Z,A) + p→ (Z + 1, A + 1) + γ

Possiamo concludere osservando come la distribuzione delle specie nucleari nell’Universo,considerata per molto tempo una realta insondabile, porti al contrario una chiara testimoni-anza della storia dell’Universo nel suo insieme, a partire dal Big Bang e attraverso la nascitae la morte delle strutture stellari.

Page 275: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

8

Fig. 11.7. Curva di luce della variabile cataclismica SS Cyg, del tipo U Geminorum.

11.4. Fenomeni esplosivi: Variabili cataclismiche, Novae e Supernovae.

L’evoluzione di strutture stellari isolate, cui abbiamo sinora rivolto la nostra attenzione, nonrende completamente conto della fenomenologia riguardante le strutture stellari. Abbiamo adesempio gia ricordato l’evidenza osservativa di varibili cataclismiche. Tali sono ad esempiole variabili tipo U Geminorum: stelle che aumentano improvvisamente la loro luminositatipicamente di 3-4 magnitudini e permangono a tale luminosita per alcuni giorni per tornarepoi ad uno stato quiescente e ripetere il fenomeno a distanze temporali irregolari di settimaneo mesi. Fenomeno quindi ben diverso dalle pulsazioniche abbiamo gia discusso, e che nontrova spiegazione all’interno dello scenario evolutivo delle strutture stellari isolate.

Il nostro interesse per tali fenomeni riveste un duplice aspetto. Innanzitutto, a frontedell’evidenza di fenomeni esplosivi, vogliamo verificare se e quanto tali fenomeni possonoulteriormente contribuire alla nucleosintesi di elementi pesanti. In secondo luogo, e anchetempo di affrontare un problema centrale dell’evoluzione chimica dell’Universo: quanta dellamateria sintetizzata all’interno delle strutture stellari viene resitituita al mezzo interstellare,e come?

L’osservazione mostra che le variabili cataclismiche sono in ogni caso membri di sistemibinari stretti. Il meccanismo all’origine di tale fenomenologia e infatti collegato alla binarietaed e ormai sufficientemente ben conosciuto. Si e in ogni caso in presenza di sistemi formatida una Gigante Rossa e una Nana Bianca. In tali condizioni, se il sistema e sufficientementestretto (→ ...), puo innescarsi uno scambio di materia tra le due componenti, con gli stratiatmosferici della gigante che cadono sulla Nana Bianca formando in genere attorno alla Nanaun disco di accrescimento che deposita lentamente materia sulla nana stessa.

La materia cosi stratificata alla superficie della nana e ricca di idrogeno, e quando taleinviluppo raggiunge una massa critica si innescano esplosivamente le reazioni di combustionedell’idrogeno, dando luogo all’improvviso aumento di luminosita. L’esplosione riprocessa al-meno in parte il materiale sedimentato, la stella ritorna nel suo stato quiescente e riprendeil processo di accrescimento che portera a tempo debito ad una successiva esplosione. Ilprocesso e ripetitivo ma non strettamente periodico. Per queste varibili vale, almeno quali-tativamente, la legge di Kukarkin e Parenago, secondo la quale il tempo che intercorre tradue esplosioni e tanto piu lungo quanto maggiore e l’aumento di luminosita.

Un meccanismo del tutto analogo e all’origine di eventi ben piu violenti, quali sonole esplosioni delle stelle Novae. Lo splendore di tali stelle sale improvvisamente, in uno-due giorni, di almeno 10-11 magnitudini, per declinare poi lentamente (da qualche mesea qualche anno) verso lo splendore originale. Poiche nel suo stato quiescente la stella eraramente visibile ad occhi nudo, tali eventi furono in antico considerati come apparizionedi nuove stelle, da cui il nome. L’energia sviluppata nell’evento e dell’ordine di 1045-1046

erg, pari quindi a quella emessa dal Sole in circa 100 000 anni. Si stima che in una galassiacome la nostra ogni anno si ”accendano” circa 30 Novae. Nelle esplosioni vengono espulsicirca 10−4 M di materiale elaborato nuclearmente dall’esplosione, fonte non trascurabiledi arricchimento per la materia interstellare.

Page 276: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

9

Fig. 11.8. Curva di luce composita ottenuta sovrapponendo i dati osservativi di 38 SN di tipo I.

Confuse per molto tempo con le Novae, le Supernovae (SN) rappresentano infine unevento esplosivo di gran lunga piu energetico. Al picco di luminosita una SN puo aumentaredi 20 magnitudini (100 milioni di volte) e raggiungere 1010 luminosita solari, emettendoquindi come un intera galassia. Che si sia di fronte ad un fenomeno distruttivo e rivelato ,oltre cha dall’enorme quantita di energia emessa, dalle osservate velocita di espansione chesi aggirano attorno ai 104 km/sec. L’esplosione di SN non e peraltro un fenomeno inatteso.L’evoluzione stellare ci ha infatti insegnato che le grandi masse devono terminare la loro vitacon un collasso gravitazionale in cui vengono messe in gioco energie tipiche delle SN. E inquesto stesso capitolo abbiamo trovato chiare tracce di un tale accadimento nella produzionedegli isotopi ”r” e ”p”. Il quadro osservativo appare perlatro piu complesso, e dovra esserediscusso con qualche dettaglio.

Le caratteristiche della curva di luce hanno innanzitutto consentito di evidenziare duedistinte classi di SN, Come mostrato in Fig. 11.8 le Supernovae di Tipo I (SNI) hanno curve diluce ben caratteristiche e praticamente sovrapponibili, con una prima rapida discesa di circatre magnitudini seguita da un piu lento e regolare declino. Le SNII hanno invece un continuoregolare declino (SNII lineari) in alcuni casi interrotto da un periodo in cui la luminositacessa quasi di decrescere (SNII plateau). A tali differenze nella curva di luce si accomu-nano anche caratteristiche spettroscopiche: nelle SNI sono assenti le righe dell’idrogeno, cheappaiono invece nelle SNII.

Le SNII hanno le caratteristiche attese per il collasso finale di grandi masse. Esse ap-paiono infatti solo in galassie a spirale e solo in regioni ove sono evidenti fenomeni di recenteformazione stellare (Regioni H II). Quindi le SNII sono quelle predette dall’evoluzione stel-lare, tipiche di una Pop. I. Ci si attende che nell’esplosione tali N eiettino nello spaziogli starti che contornano il nucleo centrale neutronizzato, lasciando come ”remnant” o unastella di neutroni o una buca nera. Le SNI sono invece oggetti inattesi, che vediamo esplodereanche in galassie ellittiche, quindi in popolazioni antiche ove stanno ancora evolvendo solopiccole masse. Un piu accurato studio di questo tipo di SN ha infine portata ad una ulterioresuddivisione delle SNI in tipo ”a” (SNIa) nel cui spettro e presente la riga di assorbimentodel SiII a λ=6150 A, e SNIb ove tale riga e assente. La tabella 1 riassume la corrispondentesituazione osservativa:

Cosa puo produrre l’inattesa evidenza di SN in una popolazione antica? La domandatrova una naturale risposta quando si mediti sul fatto che le Nane Bianche di CO sonodei potenziali detonatori se e quando qualche meccanismo le porti a superare la massa diChandrasekhar. E il meccanismo di trasferimento di massa che vediamo all’opera nelle bina-rie cataclismiche e nelle Novae si adegua perfettamente a tale compito. Per completezzaaggiungiamo che a fianco di tale meccanismo e stata anche proposta la coalescenza didue Nane Bianchie mutuamente orbitanti, a causa della perdita di energia per emissione

Page 277: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

10

Tab. 1.

Balmer SiII Spirali Ellittiche Pop.

SNII Si – Si No ISNIa No Si Si Si IISNIb No No Si No I

di onde gravitazionali. Resta in ogni caso l’identificazione delle SNIa come prodotte dalladetonazione-deflagrazione del C, con incinerimento e totale dispersione della struttura.

Non sorprendentemente, si trova che la curva di luce delle SNIa e cosı regolare perchegovernata, in sequenza temporale, dall’energia emessa dai due decadimenti

56Ni→56 Co + e+ + ν (τ = 6d)

56Co→56 Fe + e+ + ν (τ = 77d)

Valutazioni quantitative mostrano come in queste esplosioni vengano sintetizzate da 0.5a 1 M dell’isotopo multiplo di α 56

28Ni. La buona analogia tra le curve di luce delle SNIa eSNIb indica infine che anche le SNIb devono corrispondere all’incenerimento termonuclearedi una nucleo degenere. L’assenza di tali SN nelle galssie ellittiche indica peraltro che inquesto caso tale incinerimento deve trarre origine dal nucleo degenere di una stella di massaintermedia. Anche in quest’ultimo caso la binarieta dovrebbe giocare un ruolo importante,producendo stelle con nuclei degeneri privi del loro inviluppo, osservate nella Galassia, notecome oggetti di Wolf Rayet. Non e peraltro escluso che almeno nelle primissime generazionistellari deficienti in metalli, a causa del combinato aumento di MUP con la possibile dimin-uzione della perdita di massa (diminuita opacita radiativa), il limite di Chandrasekhar possaessere stato raggiunto anche da stelle isolate di massa intermedia.

11.5. Modelli di evoluzione galattica

L’esplosione di SN e il meccanismo fondamentale che contribuisce nel tempo all’arricchimentodel gas interstellare con gli elementi pesanti sintetizzati dall’evoluzione delle strutture stel-lari prima e infine dalla nucleosintesi esplosiva. La valutazione della quantita di tali ele-menti al variare della massa e della composizione chimica originaria delle strutture stesse el’ingrediente fondamentale per indagare l’evoluzione temporale della composizione nuclearedella materia nella nostra come nelle altre galassie. Senza entrare in dettagli, ricordiamo quia titolo orientativo che le SNIa dovrebbero portare il maggior contributo alla produzione diFe, mentre le SNII arricchirebbero la materia interstellare essenzialmente di O.

Abbiamo gia visto come a questo si aggiungano anche altri meccanismi, quale la materiaelaborata ed eiettata nell’esplosione delle Novae. Aggiungiamo ora che un ulteriore e nontracurabile contributo e fornito dalla perdita di massa da parte di stelle di massa piccola ointermedia in fase in fase di AGB. Stante il loro grande numero, e stato infatti valutato chele strutture di AGB restituiscono al mezzo interstellare piu materia di quanto non faccianoin un egual periodo di tempo le SN. La valutazione di un tale contributo dovrebbe risultarequindi importante quando si consideri l’evoluzione temporale di elementi quali C, N, O oelementi ”s”.

Nella sua accezione piu generale un modello di evoluzione chimica della Galassia, o diuna qualsiasi galassia, fa uso di tali informazioni integrandole con opportune assunzioni

Page 278: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

11

Fig. 11.9. Produzione di elementi (in frazioni di massa stellare) per stelle di varie masse. La regionea tratti indica la porzione di struttura ”congelata” sotto forma di stelle degeneri o collassate.

sull’andamento temporale della formazione stellare per ricavare l’evoluzione temporale dellacomposizione chimica del gas interstellare e, da qui, due diversi osservabili:

1. la composizione chimica del gas interstellare al tempo presente, in generale con particolareriguardo ad uno o piu selezionati componenti.

2. la distribuzione delle relative composizioni chimiche ”fossili” testimoniata nelle atmosferedelle stelle della varie generazioni che sono sopravvissute sino al tempo presente.

Tali modelli galatici costituiscono un affascinante e complesso capitolo della modernaastrofisica che qui non puo essere compiutamente sviluppato. Ci limiteremo ad illustrareun modello estremamente semplificato che, nonostante la sua palese inadeguatezza, puoessere riguardato come un’utile ”approssimazione zero” della problematica, suscettibile diprogressivi perfezionamenti e in grado di porre in luce il ruolo di alcuni ingredienti.

Come esemplificato in Fig. 11.9 assumeremo di conoscere la produzione di elementipesanti al variare della massa stellare, assumendo nel contempo che tale produzione nondipenda dalla composizione originaria delle strutture. Per ogni assunta generazione stel-lare e per ogni assunta IMF (Initial Mass Function) resta evidentemente fissato il rapporto(”yield”) tra la massa che viene restituita al mezzo interstellare sotto forma di elementipesanti e la massa che viene ”congelata” in stelle a lunga sopravvivenza che resteranno atestimoniare nel tempo la presenza di quella generazione. Assumeremo anche che la IMFrimanga la stessa per tutte le generazioni stellari.

Se assumiamo anche che la massa andata in stelle rimanga sempre trascurabile rispettoalla massa del gas interstellare , la metallicita del gas restera in ogni tempo proporzionalealla massa di elementi pesanti in esso riversati. Ma, nelle condizioni poste, sara allora ancheproporzionale alla alla massa delle stelle a lunga vita che si sono formate prima che il gasraggiungesse una prefissata metallicita. Da queste semplici considerazioni traiamo dunqueche per ogni prefissata metallicita deve esistere una relazione di diretta proporzionalita tra lametallicita e il numero di stelle con metallicita minore di quella prefissata.Tale risultato vienesovebte rappresentato tramite l’andamento della variabile cumulativa S/S0 che rappresentaper ogni campione di S0 stelle, la frazione di stelle che abbiano metallicita inferiore ad ogniassunto Z (Fig. 11.10).

In forma quantitativa siano M la massa del gas, - dM la massa di gas andata in stellein un episodio di formazione stellare, dMS la massa di stelle ancora sopravviventi e dMZ lacorrispondente massa restituita al gas sotto forma di elementi pesanti. Nelle assunzioni delmodello semplice, a riciclaggio istantaneo e consumo trascurabile di gas

Page 279: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

12

Fig. 11.10. Distribuzione cumulativa S/S0 con abbondanza metallica non superiore a Z, al variaredi Z/Z0. La linea a tratti riporta le previsioni del modello semplice con consumo trascurabile di gas.Le curve continue simili previsioni ma al variare della frazione di massa del gas rimasta all’epocaZ0.

dMZ ∝ dMS ∝ dM

e potremo porre dMZ = k dM, da cui il contributo a Z di ogni generazione stellare

dZ =dMZ

M= −k

dM

M

da cui, partendo dal gas cosmologico privo di metalli

Z = lnM0 − lnM ∼ M −M0

M0per M→ M0

dove M0 e la massa iniziale di gas. Nel caso di consumo trascurabile di gas la metallicitarisulta dunque, come atteso, proporzionale alla massa di gas andat in stelle e quindi ancheal numero di stelle ancora sopravviventi.

Si noti che tale derivazione assume implicitamente un continuo e regolare processo diformazione stellare. Nelle assunzioni fatte, ad un ”burst” di formazione stellare corrispon-derebbe un salto ∆Z con la contemporanea assenza di stelle in quell’intervallo di metallicita.

Il modello semplice che abbiamo descritto rappresenta un punto di riferimento che puo es-sere perfezionato introducendo assunzioni adeguate, quale ad esempio l’intervento ritardatodelle SNIa. Modelli cosi perfezionati sono chiamati a rendere ragione dellae abbondanzechimiche osservate nella nostra come nelle altre galassie. Tra i vari problemi ricordiamo quisolamente l’interessante evidenza secondo la quale nella nostra Galassia le stelle povere dimetalli mostrano di avere una chiara sovrabbondanza di elementi multipli α (C, O, Mg, Si,Ca, Ti) rispetto al Fe. E’ stato suggerito che cio sia la conseguenza del ritardato interventodelle SNIa, produttrici di Fe, rispetto alla rapida sintesi di elementi α nelle SNII.

11.6. Conclusione

Da quanto siamo andati sviluppando nel corso di queste pagine, si evince quanto l’evoluzionestellare fornisca una fondamentale chiave interpretativa dell’Universo, quale oggi lo speri-mentiamo. Attraverso tale chiave ci e oggi possibile delineare lo sfondo sul quale inquadrarela storia dell’Universo, aprendo la strada ad un campo di ricerche che atende ancora di esserecompletato e perfezionato, ma le cui linee generali appaiono ormai saldamente acquisite.

Page 280: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

13

In tale ricostruzione della storia dell’Universo e gia stato compiuto un passo fondamen-tale: oggi sappiamo di poter leggere questa storia non solo nelle stelle ma anche nei nucleidella materia che ci circonda. Apprendendo dalla materia cio che nel passato deve essereavvenuto ma anche comprendendo che la materia non puo essere diversa da quello che e inbase a quello che sappiamo dover essere stata la storia delle stella e dell’Universo.

Page 281: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

14

Approfondimenti

A11.1. Reazioni nucleari interstiziali

A fianco delle combustioni termonucleari che intervengono nel bilancio energetico della struttura,la produzione di neutroni tramite la catena dell’14N e l’esempio piu rilevante di reazioni che in-teressano esclusivamente l’evoluzione nucleare della materia stellare. Occorre peraltro avvisare che,quando si sia interessati al dettaglio dell’evoluzione di alcune specie isotopiche, diventano impor-tanti anche reazioni energeticamente e quantitativamente ancor meno rilevanti, che peraltro possonolentamente giungere a modificare sensibilmente l’abbondanza di alcuni isotopi. Reazioni che per laloro scarsissima rilevanza abbiamo qui definito come ”interstixiali”.

Come esempio di tali reazioni prenderemo la catena CNO che, per quanto riguarda il fabbisognoenergetico, si chiudeva con la reazione

(18F )∗ →14 N + α

In realta, anche se molto raramente, il nucleo di 18F nello stato eccitato puo decadere nel suo statofondamentale,

(18F )∗ →18 F + γ

dando inizio alla complessa catena catture protoniche riportata qui di seguito

18F →18 N + +e+ + ν18O + p→15 N + α ⇑ ma anche 19F + γ19F + p→16 O + α ⇑ ma anche 20Ne + γ

20Ne + p→21 Na + γ21Na→21 Ne + e+ + ν21Ne + p→22 Na + γ

22Na→22 Ne + e+ + ν22Ne + p→23 Na + γ

23Na + p→20 N + α ⇑ ma anche 24Mg + γ24Mg + p→25 Al + γ

25Al →25 Mg + e+ + ν25Mg + p→26 Al + γ

26Al →26 Mg + e+ + ν ma anche 26Al + p→27 Si + γ26Mg + p→27 Al + γ 27Si→27 Al + e+ + ν

27Al + p→24 Mg + α ⇑ ma anche 28Si + γ

Come indicato dal simbolo ”⇑”, che segnala il ritorno ad un nucleo precedente, in queta catenaesistono motli cicli. Ciononostante un piccolo numero di nuclei, inessenziale sotto ogni altro ripetto,puo filtrare sino ai nuclei piu massicci, alterandone le abbondanze.

Si ritiene che tali catture protoniche siano all’origine di una serie di anomalie di composizione cheriguardano elementi quali Ne, Na, Mg, Al nelle atmosfere di Giganti Rosse, anomalie da mettersi inrelazione anche con l’efficienza di rimescolamenti profondi in grado di portare in superficie i prodottidi combustione elaborati nei pressi della shell di idrogeno.

Page 282: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

15

Fig. 11.11. Andamento delle linee equipotenziali nel piano dell’orbita di una binaria. Si e assuntoµ=0.4

A11.2. Sistemi binari stretti.

Buona parte delle stelle del disco galattico risultano essere gravitazionalmente legate in sistemi binario multipli.Se le componenti di tali sistemi sono sufficientemente distanti, il legame gravitazionaleinfluenza solo le orbite degli oggetti, e l’evoluzione delle singole strutture non si discosta da quantovalutato per stelle isolate. In sistemi binari stretti possono invece presentarsi peculiari modalitaevolutive, che condizionano pesantemente il destiono delle strutture.

Tali peculiarita trovano la loro origine nelle caratteristiche del campo gravitazionale e dallaforza centrifuga di rotazione cui in un sistemi binario 1,2 sottoposta la materia. Ponendosi in unsistema solidale con il baricentro, se trascuriamo la distorsione delle due strutture dovute alle mutueattrazioni (approssimazione di Roche) il potenziale gravitazionale e semplicemente fornito da

Φ = −(GM1

r1+

GM2

r2)

dove M1,2 e r1,2 sono ripettivamente le masse e le distanze di un generico punto materiale dai dueoggetti. Poniamoci ora in un sistema corotante, assumendo il piano dell’orbita come piano x,y eassumendo anche come origine il centro della stella 1 e asse x la congiungente i centri delle duestelle. In tale sistema le coordinate (x, y, z) del baricentro risulteranno (µa, 0, 0), dove ”a” e ladistanza (separazione) tra le due componenti e

µ =M2

M1 + M2

e il potenziale nell’approssimazione di Roche si esplicita nella forma

Φ = −(GM1

(x2 + y2 + z2)1/2+

GM2

((x− a)2 + y2 + z2)1/2)− 1

2ω2[(x− µa)2 + y2]

dove ω = 2π/P e l’ultimo termine rappresenta il potenziale della forza centrifuga.La Fig. 11.11 mostra il complesso andamento delle linee equipotenziali Φ = cost nel piano

dell’orbita nel caso µ=0.4. In prossimita delle stelle predomina il campo dei singoli oggetti mentre,al crecere della distanza, si vanno intrecciando i contributi della gravitazione e della rotazione. Adistanze ancora maggiori prevarra il contributo della rotazione. I cinque punti marcati in figuracome Li rappresentano i cinque punti lagrangiani di equilibro, sluzioni particolare del problema deitre corpi. Una particella di massa trascurabile ripetto alle altre due componenti, posta in uno deipunti percorrera orbite circolari mantenendo immutata la sua posizione ripetto alle due componentiprincipali. I punti L4 e L5, posti ai vertici di un triangolo equilatero con base ”a”, sono di equilibriostabile se M2 M1. Una tale configurazione e realizzata in natura dal sistema Sole-Give- Asteroidi”Troiani”.

Alla superficie equipotenziale passante per L1 si da il nome di Lobi di Roche. La Fig. 11.12mostra l’andamento del potenziale lungo la linea congiungente il centro delle due stelle, illustrando

Page 283: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

16

Fig. 11.12. Andamento del potenziale lungo la linea congiungente i centri delle due stelle. Lazona ombreggiata indica la regione occupata dalla materia stellare. E’ mostrato come al cresceredel raggio di una stella si inneschi un meccanismo di trasferimento di massa attraverso il puntolagrangiano L1.

nel contempo il principio fondamentale dei meccanismi di trasferimento di massa che regolanol’evoluzione delle stelle nei sistemi bibnari stretti. Sinche le dimensioni delle singole stelle restanoinferiori a quelle dei rispettivi lobi di Roche . l’evoluzione delle strutture segue il cammino dellestrutture isolate. L’evoluzione guida peraltro inevitabilmente le strutture verso la fase di GiganteRossa, con aumenti notevoli di raggio. Se il sistema esufficientemente stretto (lobi di Roche didimensioni ridotte) la componente primaria, la piu massiccia, evolvendo per prima finira col riempireil proprio lobo. Ogni tentativo di aumentare ulteriormente il proprio raggio avra solo l’effetto direasferire materia sul proprio compagno, ”scortecciando” la struttura originale.

E’ di grande importanza notare che il trasferimento di massa e fenomeno reazionato positi-vamente. Ricordando infatti come la traccia di Hayashi si sposti verso il rosso al diminuire dellamassa, ricaviamo che una gigante, a fissata luminosia, ha raggi tanto maggiori quamto minore ela massa. Per il solo fatto di perdere massa la gigante tende quindi ad espandere ulteriormente ilproprio raggio e, come conseguenza, il trasferimento avviene con tempi scala termodinamici anzichenucleari.

Puo cosı avvenire che l’originale secondaria finisca col diventare la stella piu massiccia del sis-tema, accelerando di conseguenza la sua evoluzione. Al progredire delle fasi evolutive, ogniqualvoltauna delle componenti riempi il proprio lobo di Roche si innescheranno fasi di trasferimento di massa.La Fig. 11.12 mostra le tre caratteristiche configurazioni di fatto riscontrate nei sistemi binari

1. Sistemi staccati (detached): le due componenti sono ognuna all’interno del proprio lobo di Roche.Ogni strutura segue una propria caratteristica evoluzione.

2. Sistemi semi-staccati (semi-detached): una delle due componenti riempie il proprio lobo, trafer-endo materia sull’altra.

3. Sistemi a contatto (common envelope): tutte e due le componenti riempiono contemporanea-mente il proprio lobo. La Fig. 11.12 mostra come in simili condizioni il sistema possa perderemassa verso l’esterno attraverso il punto lagrangiano L2.

Nei sistemi semi-distaccati o a contatto almeno una delle strutture risulta sensibilmente defor-mata rispetto alla forma sferica, deformazione che si riflette in precise caratteristiche della curvadi luce. A titolo esemplificativo, la Fig. 11.13 mostra la struttura del sistema a contatto AW UMacome derivabile proprio dall’analisi della complessa curca di luce.

Page 284: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

17

Fig. 11.13. La forma della binaria a contatto AW UMa come ricavata della analisi della curva diluce osservata.

Fig. 11.14. Esempio di evoluzione di un sistema binario di piccole masse.

Il calcolo dell’evoluzione delle stelle in un sistema binario puo essere agevolmente eseguito consolo alcune semplici implementazioni dei normali codici evolutivi per tener conto della presenzadei lobi di Roche, del conseguente fenomeno di travaso delle masse e delle conseguenti variazioninei parametri orbitali. I risultatisono peraltro molto variegati a fronte dei molti parametri checaratterizzano tali sistemi, quali non solo le masse iniziali delle due componenti ma anche la lorooriginale separazione. La Fig. 11.14 riporta a titolo di esempio, la storia evolutiva di un sistemacon masse iniziali M1 =1.0 e M2 =2.0 M. Nella fase (a) ambedue le componenti hanno raggiuntola loro sequenza principale. La primaria M1 evolve per prima sino a riempire il proprio lobo diRoche (fase (b)), iniziando il trasferimento di massa. Nella fase (c) l’originaria secondaria e ormaidiventata la componente piu massiccia e il sistema e formato da una gigante di 0.8 M che orbitaattorno ad una massiccia stella di MS di 2.2 M. Nella fase (d) la gigante ha completato la suaevoluzione e il sistema e composto da una Nana Bianca e la massicia stella di MS. L’evoluzione diquest’ultima porta ora al trasferimento di massa sulla Nana, producendo prima esplosioni di Nova(fase (e)) e, infine, una SN di tipoI (fase (f)).

A11.3. Le Supernovae storiche

Il termine ”Supernova” fu coniato nel 1933 da Baade e Zwicky quando divenne chiara l’enormedistanza delle galassie esterne e, di conseguenza, l’enorme energia sviluppata dalle stelle ”nuove”che in tali galassie erano apparse. Si comprese allora che a tale categoria dovevano essere ascrittile stelle nuove osservate nel 1572 da Tycho Brahe e nel 1604 da Keplero e Galileo. Quest’ultima erisultata l’ultima SN osservata nella nostra Galassia, e le indagini su taii oggetti nell’ambito galatticosi sono forzatamente basate sulle registrazioni recuperate in antichi testi. La Tabella 2 riporta unsommario delle SN galattiche per le quali si e recuperata una qualche documentazione.

La Tabella mostra quanto sia risultata preziosa la piu che millenaria sorveglianza dei cieli daparte degli astronomi cinesi. L’interpretazione di quelle antiche cronache non e peraltro ne facile

Page 285: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

18

Tab. 2. Le Supernovae galattiche registrate storicamente. Per ogni evento viene data la costellazionein cui e apparso, seguita da stime -quando disponibili- della magnitudine al massimo e dal tipo dievenyo.

Costellazione mag Tipo Testi

SN185 Centaurus ? ? CinaSN393 Scorpius ? ? CinaSN1006 Lupus -9 ? Cina, Giappone, Corea, EuropaSN1054 Taurus -5 II Cina, GiapponeSN1181 Cassiopeia -1 II, Ia Cina, GiapponeSN1572 Cassiopeia -4 Ia Cina, Corea, EuropaSN1604 Ophiuchus -3 II? Cina, Corea, EuropaSN1667 Cassiopeia ? ? Nessuna registrazione

Fig. 11.15. Proiezione sul piano galattico della collocazione delle Supernovae registrate storica-mente .

ne immediata, dovendosi cercare di selezionare le SN da una vasta categoria di ”stelle visitatrici”nella quale i cinesi registravano indifferentenmente comete, novae e supernovae. Si vede anche comel’Europa immersa nelle tenebre del Medio Evo abbia ignorato ben due SN su tre. In particolare laSN1054 doveva probabilmente essere visibile di giorno ad occhio nudo, ma non interesso un mondoche aveva abbandonato l’antica astronomia per l’astrologia. Ricordiamo qui che a questa SN cor-rispone oggi il ”remnant” noto come Crab Nebula al cui interno e stata osservata una stelle dineutroni ruotante (Pulsar). Straordinario il caso di SN1667 che, inspiegabilmente, non e stata os-servata da nessuno, ma la cui esplosione sembra indiscutibilmente testimoniata dalle caratteristichedel remnant rivelato in tempi relativamente recenti.

In base agli eventi storicamente accertati la frequenza di Supernovae galattiche risulterebbequindi dell’ordine di 1 ogni 250 anni. Lo studio delle SN si basa peraltro sulla ricerca di tali eventinelle galassie esterne, ricerca che nel solo anno 2003 ha prodotto oltre 300 eventi. Dalle stimeeseguite sulla base si tali ricchi campioni si ricava che in una galassia quale la nostra ci si attende1 evento ogni 80-100 anni, con una frequenza quindi circa tre volte superiore a quella osservata.La discrepanza risulta peraltro facimente spiegabile : come mostrato in Fig. 11.15le SN storiche sicollocano tutte attorno al Sole, in un settore angolare di circa 60 gradi centrato sul centro galattico.Se ne trae l’evidenza che in una larga porzione della Galassia le SN sono passate e passano in realtainosservate a causa del forte assorbimento della bamda ottica prodotto dalla materia interstellare.

Page 286: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

19

Fig. 11.16. Pannello di sinistra: abbondanza di 7Li nelle atmosfere di stelle di MS negli ammassidelle Iadi e Pleiadi. La freccia indica il ”dip” presente nelle Iadi, attribuito ad ulteriori effetti di dif-fusione microscopica e levitazione radiativa. Pannello di destra: la distribuzione di abbondanze nellePleiadi confrontata con le previsioni teoriche per due diverse assunzioni sul valore della lunghezzadi rimescolamento.

E’ stato stimato che la magnitudine visuale piu probabile per la prossima SN galattica saraattorno a magnitudine 21. Questo non e il caso quando si osservi in bande infrarosse: ad esempio inbanda K una qualunque SN galattica risulterebbe con alta probabilita tra gli oggetti piu luminosidel cielo. Un controllo dela Galassia in banda IR sarebbe quindi altamente augurabile, in sinergiacon i rivelatori che hanno mostrato di essere in grado di rivelare i neutrini emessi da una SNextragalattica, quale fu la 1986a nella Grande Nube di Magellano. Nell’occasione ricordiamo infinecome le supernovae vengano ”targate” in ordine di scoperta, con il numero dell’anno seguito daa, b...z per le prime 26, poi da aa, ab... az, ba, bb etc. La 1986a fu quindi la prima SN osservatanell’anno 1986.

A11.4. Misure di Li atmosferico

Le misure di abbondanza di 7Li nelle atmosfere delle stelle povere di metalli e un dato di granderilevanza per le indagini sulla produzione di elementi nel quadro della cosmologia del Big Bang. Ilproblema di quanto il Li rivelato in quelle stelle possa essere assunto direttamente come valore cos-mologico e stato a lungo dibattuto. Misure del rapporto 6Li/7Li sembrerebbero confortare una taleipotesi, sembrando escludere l’efficienza di meccanismi di distruzione che avrebbero maggiormenteoperato sul piu fragile nuicleo di 6Li. Qui vogliamo pero interessarci dell’evidenza osservativa per laquale in tutte le stelle il Li atmosferico scompare progressivamenteal al diminuire delle temperatureefficaci al di sotto di un determinato valore.

La Fig. 11.16 riporta a titolo di esempio nel pannello di sinistra le abbondanze atmosferichemisurate lungo la sequenza principale degli ammassi delle Iadi e Pleiadi. In linea di principio taleandamento riponde a ben precise previsioni teoriche. Al diminuire della temperatura efficace au-menta infatti la profondita raggiunta dalla convezione subatmosferica e, con essa, la temperaturaraggiunta del rimescolamento convettivo. Conseguentemente il Li viene portato a temperature sem-pre piu elevate dove viene distrutto per catture protoniche.

I modelli teorici mostrano che per stelle di massa non troppo piccola tale consumo di Li at-mosferico avviene essenzialmente durante le fasi di presequenza, mentre durante tutta la successivafasi di MS l’abbondanza viene solo marginalmente modificata. Il Pannello di destra della stessafigura mostra come le predizioni teoriche dipendano peraltro fortemente dalle assunzioni sul valoredella mixing length: all’aumentare della mixing length diminuisce il gradiente (superadiabatico)di temperatura e aumentano insieme inviluppo convettivo, temperatura di base della convezione edeplezione del Li.

Il riscontro con i dati sperimentali presenta alcuni problemi cui qui brevemente accenniamo.Innanzitutto i dati di deplezione del Li richiederebbero un valore di mixing length diverso da quelloadatto ai modelli di MS. Nulla osta peraltro che nelle due fasi la convezione abbia diverse efficienze,come valutate nel quadro della lunghezza di rimescolamento. Piu grave e l’evidenza che il valore

Page 287: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

20

del Li solare risulta minore di quello misurato negli ammassi, anche se le metallicita sono analoghee la teoria non prevede tale sensibile diminuzione con l’eta. Terminiamo qui questi brevi cenni cheintendono solo attirare l’attenzione sul piu generale problema degli elementi leggeri nelle atmosferestellari, problema ancora meritevole di approfondite indagini.

Page 288: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

21

Origine delle Figure

Fig.11.1 Castellani V. 1981, ”Introduzione all’Astrofisica Nucleare”, Newton Compton, RomaFig.11.2 Audouze J., Vauclair S. 1980, ”An introduction to Nuclear Astrophysics”, Reidel Publ. Comp.Fig.11.3 Clayton D.D. 1968, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-HillFig.11.4 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare” Zanichelli ed.Fig.11.5 Clayton D.D. 1968, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-HillFig.11.6 Audouze J., Vauclair S. 1980, ”An introduction to Nuclear Astrphysics” Reidel Publ. Comp.Fig.11.7 Rosino L., 1985, ”Gli Astri”, UTETFig.11.8 Stephenson F.R. 1975, ”Origin of Cosmic Rays”, Reidel Publ. Comp.Fig.11.9 Auduze J.,Boulade O., Malinie G., Pollane Y. 1983, A&A 127, 164Fig.11.10 Audouze J., Vauclair S. 1980, ”An introduction to Nuclear Astrophysics”, Reidel Publ. Comp.Fig.11.11 Shade J, Wood F.B. 1978, ”Interacting Binary Stars”, Pergamon Press.Fig.11.12 Pringle J.E. 1985, in ”Interacting Binary Stars”, Cambridge Univ. Press.Fig.11.13 Rucinski S.M. 1985, in ”Interacting Binary Stars”, Cambridge Univ. Press.Fig.11.14 Karttunen H., Kroeger P., Oja H. et al. 1996, ”Fundamental Astronomy”, SpringerFig.11.15 Piersanti L. 2001, Tesi di Dottorato, XIV Ciclo, Univ. ”Federico II”, Napoli

Fig.11.16 Imperio A., Castellani V., Degl’Innocenti S. 2001, in ”HR diagrams and stellar evolution”, ASP

Conference Series

Page 289: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

Capitolo 12

Appendici

12.1. Grandezze fondamentali

Grandezze Fisiche

Costante di Gravitazione G = 6.67 10−8 dyn cm2 gCostante di Boltzmann k = 1.38 10−16 erg K−1

Costante di Planck h = 6.62 10−27 erg sech = h/2π= 1.05 10−27 erg sec

Costante di Corpo Nero a = 7.56 10−15 erg cm−3 K−4

Velocita della luce c = 3.00 1010 cm secCostante di Stefan Boltzmann σ = ac/4 = 5.67 10−5 dyn cm−2 K−4

Massa dell’elettrone me = 9.11 10−28 grEnergia a riposo dell’elettrone mec

2 = 0.511 MeVMassa del protone mp = 1.67 10−24 grEnergia a riposo del protone mpc2 = 938.27 MeVCarica dell’ elettrone e = 4.80 10−10 uesRaggio classico dell’elettrone re = e2/mec

2 = 2.82 10−13 cmSezione d’urto Thomson (8π/3)r2

e = 6.65 10−25 cm2

Volt-elettrone 1 eV = 1.60 10−12 ergEnergia associata a 1 K 8.62 10−5 eVTemperatura associata ad 1 eV 1.16 104 K

Grandezze Astronomiche

Massa del Sole M = 1.99 1033 grLuminosita del Sole L = 3.90 1033 erg sec−1

Raggio del Sole R = 6.96 1010 cmMagnitudine Visuale del Sole V = -26.74 magMagnitudine assoluta del Sole MV = +4.83 magIndice di colore del Sole B-V = 0.62 magUnita Astronomica 1 A.U. = 1.49 1013 cmParsec 1 pc = 3.09 1018 cmAnno Luce 1 ly = 9.46 1017 cm

1

Page 290: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

2

12.2. Funzioni di Fermi

Valori delle funzioni di FermiFn(α) =

∫ ∞0

xndx

eα+x + 1

per vari valori di ”n” ed al variare del parametro di degenerazione ψ = −α da -4 (gas nondegenere) a +20 (completa degenerazione).

ψ F1/2 F3/2 F−1/2

-4.0 0.016 13 0.024 27 0.032 04-3.5 0.026 48 0.039 93 0.052 40-3.0 0.043 37 0.065 61 0.085 26-2.5 0.070 72 0.107 58 0.137 58-2.0 0.114 59 0.175 80 0.219 18-1.5 0.183 80 0.285 77 0.342 62-1.0 0.290 50 0.460 85 0.521 14-0.5 0.449 79 0.734 66 0.764 340.0 0.678 09 1.152 80 1.072 160.5 0.990 21 1.772 79 1.431 681.0 1.396 38 2.661 68 1.820 401.5 1.900 83 3.891 98 2.214 362.0 2.502 46 5.537 25 2.595 402.5 3.196 60 7.668 80 2.953 463.0 3.976 98 1.035 37 101 3.285 223.5 4.837 07 1.365 42 101 3.591 324.0 5.770 73 1.762 77 101 3.874 344.5 6.772 57 2.232 73 101 4.137 45.0 7.837 97 2.780 24 101 4.383 25.5 8.962 99 3.409 92 101 4.614 66.0 1.014 43 101 4.126 10 101 4.833 86.5 1.137 90 101 4.932 90 101 5.042 27.0 1.266 46 101 5.834 22 101 5.241 67.5 1.399 91 101 6.833 81 101 5.432 88.0 1.538 05 101 7.935 26 101 5.617 08.5 1.680 71 101 9.142 02 101 5.795 09.0 1.827 76 101 1.045 74 102 5.967 49.5 1.979 04 101 1.188 47 102 6.134 6

10.0 2.134 45 101 1.342 70 102 6.297 210.5 2.293 86 101 1.508 74 102 6.455 411.0 2.457 18 101 1.686 88 102 6.609 611.5 2.624 32 101 1.877 41 102 6.760 412.0 2.795 18 101 2.080 62 102 6.907 612.5 2.969 68 101 2.296 78 102 7.051 813.0 3.147 75 101 2.526 16 102 7.193 013.5 3.329 31 101 2.769 03 102 7.331 414.0 3.514 30 101 3.025 64 102 7.467 214.5 3.702 65 101 3.296 26 102 7.600 615.0 3.894 30 101 3.581 12 102 7.731 415.5 4.089 21 101 3.880 48 102 7.860 216.0 4.287 30 101 4.194 58 102 7.986 816.5 4.488 54 101 4.523 66 102 8.111 617.0 4.692 86 101 4.867 94 102 8.234 217.5 4.900 24 101 5.227 66 102 8.355 218.0 5.110 61 101 5.603 05 102 8.474 418.5 5.323 94 101 5.994 33 102 8.591 819.0 5.540 19 101 6.401 72 102 8.707 619.5 5.759 31 101 6.825 43 102 8.822 020.0 5.981 26 101 7.265 68 102 8.935 0

Page 291: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

3

12.3. Sistemi fotometrici

A partire da circa la meta del secolo scorso, e stato progressivamente introdotto un grannumero di sistemi fotometrici, talche al presente il Database di Asiago ne lista piu di 200.Nella tabella ne riportiamo alcuni tra i pi usati. Per lungo tempo il sistema UBV di Johnsone Morgan del 1953, con la rielaborazione ed estensione all’infrarosso di Johnson (1965),hanno costituito uno standard quasi universalmente adottato. In tempi piu recenti hannoperaltro registrato una crescente applicazione i sistemi rossi e infrarossi SAAO e di Cousin.Di particolare rilevanza il sistema di filtri adottato dall’Hubble Space Telescope (HST) dicui riportiamo, a titolo di esempio, alcuni tra i numerosi filtri della Wide Field PlanetaryCamera 1 (WFPC1): tre bande UV e i due filtri che piu da vicino approssimano le bande B eV di Johnson. In coda alla tabella riportiamo infine il sistema a banda stretta di Stromgren,che dal 1956 continua a godere una buona popolarita per la particolare correlazione dei suoiindici di colore con importanti caratteristiche delle strutture stellari, quali la metallicita.

Sistema Anno Banda λc WHM

Johnson and Morgan 1953 U 3580 550B 4390 990V 5450 850

Johnson 1965 U 3516 684B 4407 927V 5479 875R 6846 2090I 8640 2194J 1.25 µ 0.37K 2.20 µ 0.59L’ 3.57 µ 1.00M 5.00 µ 1.19

SAAO 1973 J 1.23 µ 0.28H 1.65 µ 0.31K 2.23 µ 0.36L 3.46 µ 0.57M 5.08 µ 0.53

Cousins 1976 R 6470 1515I 7865 1090

WFPC1 1989 122M 1218 162194W 1887 427336W 3358 466439W 4330 671455W 5380 1587

Stromgren and Crawford 1956 u 3449 377v 4109 199b 4672 180y 5476 235

Hβ 4857 30Hβ 4857 140

La Tabella riporta nell’ordine la designazione del sistema fotometrico, l’anno didefinizione, le bande del sistema, la lunghezza d’onda centrale λc e la larghezza a mezzaaltezza (WHM). Ove non altrimenti indicato le lunghezze d’onda λc sono in Angstrom, ivalori della WHM nella stessa unita di λc.

Page 292: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

4

12.4. Diagrammi HR teorici ed osservativi

La Fig. 12.1 riporta la relazione tra temperatura efficace ed indice di colore per una stelladi composizione chimica solare e gravita superficiale log g = 3.5.

Fig. 12.1. Indice di colore B-V in funzione della temperatura efficace Te.

Come atteso, si evidenzia come l’indice B-V risulti ben correlato con le temperatureefficaci solo per Te minori di ∼ 10000 K. A temperature maggiori l’indice tende a ”saturare”,tendendo asintoticamente ad un valore di poco inferiore a -0.2.

Nel contempo la correzione bolometrica ha un minimo per Te ∼ 6700 K, temperaturaalla quale e massima l’emissione nella banda del visibile. La Fig. 12.2 pone in evidenza letrasformazioni topologiche che ne seguono nel trasportare dati da un diagramma HR teoricologL, logTe al corrispondente diagramma CM osservativo Mv, B-V.

Fig. 12.2. Collocazione nel diagramma CM dei rettangoli del corrispondente diagramma teorico.

Si puo in particolare notare la drastica deformazione dei dati teorici alle maggiori temper-ature, dovuta alla concomitante azione della compressione dei valori di B-V e al subitaneoaumento della correzione bolometrica. Se ne trae l’evidenza che la distribuzione nel dia-gramma CM dei Rami Orizzontali degli ammassi globulari e largamente il risultato di unatale trasformazione. In tale contesto e utile notare come la subitanea variazione di pendenzache si verifica attorno ai 10 000 K (Turn Down) possa essere usato come un affidabile in-dicatore di temperatura, utile per ricavare una valutazione delle temperature indipendentedal colore nel caso di ammassi molto arrossati.

Resta peraltro evidente che uno studio dettagliato delle strutture di stelle calde di RamoOrizzontale richiede l’utilizzo di opportune indici di colore in bande UV.

Page 293: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

5

12.5. Potenziali di ionizzazione

La Tabella riporta per i vari elementi il valore in eV dell’energia necessaria per l’estrazionedei primi dieci elettroni periferici cui corrispondono i primi dieci gradi di ionizzazione ele conseguenti caratteristiche sequenze di righe spettrali (I= atome neutro, II = una voltaionizzato etc).

Z I II III IV V VI VII VIII IX X

1 H 13.5982 He 24.587 54.4163 Li 5.392 75.638 122.4514 Be 9.322 18.211 153.893 217.7135 B 8.298 25.154 37.930 259.368 340.2176 C 11.260 24.383 47.887 64.492 392.077 489.9817 N 14.534 29.601 47.448 77.472 97.888 552.057 667.0298 O 13.618 35.116 54.934 77.412 113.896 138.116 739.315 871.3879 F 17.422 34.970 62.707 87.138 114.240 157.161 185,182 953.886 1103.0910 Ne 21.564 40.962 63.45 97.11 126.21 157.93 207.27 239.09 1195.60 1362.1611 Na 5.139 47.286 71.64 98.91 138.39 172.15 208.47 264.18 299.87 1465.0912 Mg 7.646 15.035 80.143 109.24 141.26 186.50 224.94 265.90 327.95 367.5313 Al 5.986 18.828 28.447 119.99 153.71 190.47 241.43 284.59 330.21 398.5714 Si 8.151 16.345 33.492 45.141 166.77 205.05 246.52 303.17 351.10 401.4315 P 10.486 19.725 30.18 51.37 65.023 220.43 263.22 309.41 371.73 424.5016 S 10.360 23.33 34.83 47.30 72.68 88.049 280.93 328.23 379.10 447.0917 Cl 12.967 23.81 39.61 53.46 67.8 97.03 114.193 348.28 400.05 455.6218 Ar 15.759 27.629 40.74 59.81 75.02 91.007 124.319 143.456 422.44 478.6819 K 4.341 31.625 45.72 60.91 82.66 100.0 117.56 154.86 175.814 503.4420 Ca 6.113 11.871 50.908 67.10 84.41 108.78 127.7 147.24 188.54 211.7021 Se 6.54 12.80 24.76 73.47 91.66 111.1 138.0 158.7 180.02 225.3222 Ti 6.82 13.58 27.491 43.266 99.22 119.36 140.8 168.5 193.2 215.9123 V 6.74 14.65 29.310 46.707 65.23 128.12 150.17 173.7 205.8 230.524 Cr 6.766 16.50 30.96 49.1 69.3 90.56 161.1 184.7 209.3 244.425 Mn 7.435 15.640 33.667 51.2 72.4 95 119.27 196.46 221.8 243.326 Fe 7.870 16.18 30.651 54.8 75.0 99 125 151.06 235.04 262.127 Co 7.86 17.06 33.50 51.3 79.5 102 129 157 186.13 27628 Ni 7.635 18.168 35.17 54.9 75.5 108 133 162 193 224.529 Cu 7.726 20.292 36.83 55.2 79.9 103 139 166 199 23230 Zn 9.394 17.964 39.722 59.4 82.6 108 134 174 203 23831 Ga 5.999 20.51 30.71 6432 G 7.899 15.934 34.22 45.71 93.533 As 9.81 18.633 28.351 50.13 62.63 127.634 Se 9.752 21.19 30.820 42.944 68.3 81.70 155.435 Br 11.814 21.8 36 47.3 59.7 88.6 103.0 192.836 Kr 13.999 24.359 36.95 52.5 64.7 78.5 111.0 126 230.937 Rb 4,177 27.28 40 52.6 71.0 84.4 99.2 136 150 277.138 Sr 5.695 11.030 43.6 57 71.6 90.8 106 122.3 162 17739 Y 6.38 12.24 20.52 61.8 77.0 93.0 116 129 146.2 19140 Zr 6.84 13.13 22.99 34.34 81.541 Nb 6.88 14.32 25.04 38.3 50.55 102.6 12542 Mo 7.099 16.15 27.16 46.4 61.2 68 126.8 153

Come atteso, l’energia per estrarre l’ultimo elettrone, giungendo alla ionizzazione totale,appare crescere con continuita all’aumentare di Z. Per il Ca risulta, ad esempio, pari a5470 V. Si noti come molti elementi posseggano potenziali di prima ionizzazione inferioria quello dell’idrogeno, richiedendo quindi minori temperature per una prima ionizzazione.Caso differente e invece quello dell’elio che, assieme al Neon, richiede temperature pi elevate:le righe dell’HeII appariranno quindi solo ad alte temperature, alle quali l’idrogeno e ormaiin larga parte completamente ionizzato. Per l’apparizione di righe dell’HeII nello spettro delvisibile si richiede anche che gli elettroni dell’atomo una volta ionizzato si portino a popolarelivelli eccitati le cui energie di transizione ricadano nella banda ottica. Transizioni dallo statofodamentale interessano infatti solo l’estremo UV.

Page 294: Fondamenti Di Astrofisica Stellare

6

12.6. I nuclei atomici

La Tabella riporta l’eccesso o difetto di massa di nuclei sino al Silicio, ogni nucleo restandoidentificato dal numero di protoni (Z) e da quello di neutroni (N). Per maggior chiarezza, aldi sotto di ogni valore di Z viene anche indicato il simbolo del ripettivo elemento chimico.L’eccesso di massa e misurato per ogni nucleo come M-A (in MeV), dove A e il numero dinucleoni e si assume come unita di massa 1/12 della massa del nucleo del Carbonio 12. Lasottolineatura segnala le configurazioni stabili.

Z 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14H He Li Be B C N O F Ne Na Mg Al Si

N0 7.291 13.14 14.93 25.132 14.95 2.42 11.68 18.38 27.943 25.90 11.39 14.09 15.77 22.92 28.914 33.80 17.59 14.91 4.94 12.42 15.70 25.505 . 26.11 20.95 11.35 12.05 10.65 17.34 23.116 . 31.65 24.97 12.61 8.67 0.00 5.35 8.01 17.707 . . 35.30 20.18 13.37 3.13 2.86 2.86 10.69 16.488 . . 43.30 25.00 16.56 3.02 0.10 -4.74 1.95 5.32 12.98 17.509 . . . 35.70 24.20 9.87 5.68 -0.81 0.87 1.75 6.84 10.91 18.0010 . . . . 29.4 13.69 7.87 -0.78 -1.49 -7.04 -2.18 -0.38 6.77 10.8011 . . . . . 17.60 13.27 3.33 -0.02 -5.73 -5.18 -5.47 -0.05 3.8212 . . . . . . 16.40 3.80 -0.05 -8.03 -9.53 -13.93 -8.91 -7.1513 . . . . . . . 10.70 2.83 -5.15 -8.42 -13.19 -12.21 -12.3914 . . . . . . . . . -5.95 -9.36 -16.21 -17.20 -21.4915 . . . . . . . . . . -7.51 -14.58 -16.85 -21.8916 . . . . . . . . . . -6.60 -15.02 -18.21 -24.4317 . . . . . . . . . . . . -15.89 -22.9518 . . . . . . . . . . . . . -24.09

Si noti l’assenza di isobari contigui e, in generale, come l’isotopo stabile rappresenti laconfigurazione a massima energia di legame ( massa minima) tra tutti i suoi isobari.

Dai dati in tabella, e immediato ricavare l’energia fornita per nucleone nelle successivefusioni di H in He, He in C e cosı di seguito. Queste energie sono riportate nella successivatabella ove si e fatto uso dell’ulteriore dato che fornisce per il Fe 56 un eccesso di massa paria -60.61 Mev

H→ 4He 6.68 MeV4He→12 C 0.60 MeV12C→ 24Mg 0.58 MeV24Mg→28Si 0.19 MeV28Si→56Fe 0.31 MeV

Se ne evince ancora una volta che la fusione dell’idrogeno in elio e di gran lunga lamaggior sorgente di energia nucleare a disposizione delle strutture stellari e, di conseguenza,che la stragrande maggioranza delle strutture stellari osservate devono essere in fase dicombustione di idrogeno.