UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI UDINE
FACOLTÁ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di Laurea in Infermieristica
Tesi di Laurea
EDUCAZIONE AL PAZIENTE AFFETTO DA
SCLEROSI MULTIPLA IN TRATTAMENTO
CON TERAPIA IMMUNOMODULANTE:
STUDIO DESCRITTIVO
Relatore: Laureanda:
Dott.ssa Stefania Zuliani Tamara Golles
Correlatori:
Inf. Anna Maria Calderini
Dott.ssa Illarj Achil
Anno Accademico 2010/2011
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INDICE
INTRODUZIONE ……………………………………………………………………. 5
CAPITOLO 1 – REVISIONE DELLA LETTERATURA
1.1 Sclerosi multipla: la malattia………………………………………………. 8
1.2 Dati epidemiologici……………………………………………………….... 10
1.3 Eziopatogenesi…………………………………………………………….... 11
1.4 Fattori di rischio e stile di vita……………………………………………... 13
1.5 Sintomatologia……………………………………………………………… 14
1.6 Diagnosi e prognosi………………………………………………………... 16
1.7 Terapia……………………………………………………………………... 18
1.8 Aderenza alla terapia……………………………………………………… 22
1.9 Ruolo dell’infermiere…………………………………………………….... 33
CAPITOLO 2 – Educazione al paziente affetto da Sclerosi Multipla in
trattamento con terapia immunomodulante:
studio descrittivo
2.1 Obiettivi dello studio………………………………………………………. 38
2.2 Disegno di studio…………………………………………………………... 38
2.3 Procedura di raccolta dati………………………………………………… 39
2.4 Campione…………………………………………………………………... 41
2.5 Riservatezza………………………………………………………………... 42
2.6 Criteri di elaborazione dei dati…………………………………………… 42
CAPITOLO 3 – RISULTATI………………………………………………… 43
CAPITOLO 4 – DISCUSSIONE…………………………………………….. 49
CAPITOLO 5 – CONCLUSIONI…………………………………………… 53
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INTRODUZIONE
La sclerosi multipla (SM) è una malattia neurologica autoimmune a decorso cronico. La SM
può causare molti sintomi fra cui visione offuscata, scarsa coordinazione, perdita nell’abilità
del linguaggio, tremori, torpore, affaticamento estremo, problemi di memoria e
concentrazione, paralisi, cecità e altro. Questa sintomatologia può essere permanente o
intermittente. La malattia viene diagnosticata nella maggior parte delle persone in un’età
compresa tra i 20 e 50 anni, anche se vi sono alcune persone che possono svilupparla tanto
nella giovinezza (2 anni) quanto nella vecchiaia (75 anni). La SM non è considerata una
malattia mortale, ma l’imprevedibilità della malattia può creare molte sfide, tra cui la
comparsa nel tempo di molte limitazioni. Il fascicolo a scopo informativo, emesso dalla
National Multiple Sclerosis Society nel luglio 2011, segnala che la SM colpisce circa 2,1
milioni di persone in tutto il mondo, e che questi numeri possono solo essere stimati, poiché
i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) non ricevono necessariamente la
segnalazione di tutti i nuovi casi, molte persone, infatti, possono non accorgersi anche per
molto tempo della sua presenza e i sintomi non sempre sono riconducibili alla malattia
(National Multiple Sclerosis Society, 2011). Il trattamento della SM prevede la
somministrazione regolare di farmaci per mezzo di iniezioni nel lungo termine (Arroyo et al,
2010). Diverse fra le terapie disease modifying (DMT: terapie di tipo immunomodulante)
hanno dimostrato di ridurre le riacutizzazioni della malattia, impedire la formazione di
lesioni cerebrali e/o rallentare la progressione della patologia nella sclerosi multipla
recidivante-remittente (SM-RR) (Goodin, 2008). Le DMT in genere non riducono i sintomi
cronici, dunque i pazienti non avvertono necessariamente dei miglioramenti durante le loro
attività giornaliere. In alcuni casi, i pazienti lamentano sintomi avversi dopo l’auto iniezione
del farmaco e questo può portare ad una diminuzione della qualità di vita durante il
trattamento. Inoltre, durante i periodi di remissione della malattia i pazienti possono
diventare compiacenti e non sentire la necessità di proseguire la terapia; al contrario, quando
l’aspettativa è quella di ottenere un risultato di efficacia immediato dall’azione della terapia
e accade per sbaglio un evento avverso, interrompono bruscamente il trattamento. È noto che
soggetti con scarsa coscienza di malattia, difficoltà cognitive e problemi emotivi trovino
difficoltà nel mantenere nel tempo l’aderenza al trattamento terapeutico. L’aderenza ad un
trattamento farmacologico può essere definita come “la misura in cui, il comportamento di
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un soggetto che sta assumendo una terapia, corrisponde ai suggerimenti ed ai consigli
indicati dal medico curante” (Bruce et al, 2010).
Sebbene queste considerazioni introducano un ulteriore fattore destabilizzante nel tentativo
di valutare la prevalenza della non-aderenza, le informazioni emerse dai vari studi
suggeriscono che i pazienti non aderenti sono presenti in minor percentuale perlomeno
durante i primi anni di terapia (Caon et al, 2010). Il Global Adherence Project, valutando più
di duemila pazienti in trattamento con DMT per almeno sei mesi, ha registrato un tasso di
non-aderenza nelle forme di SM recidivante-remittenti pari al 25,3% (Devonshire et al,
2006). La non-aderenza dei pazienti affetti da SM al trattamento può assumere molte forme
(Bruce et al, 2011):
a) rifiutare totalmente la terapia;
b) diniego di determinate opzioni terapeutiche;
c) modificazione arbitraria da parte del paziente delle modalità o dello schema di
somministrazione.
La maggior parte delle attuali DMT approvate per il trattamento devono essere iniettate,
l’aderenza è inevitabilmente legata a problemi riguardanti l’auto somministrazione delle
iniezioni. Secondo una recente revisione di Caon et al (2010), i fattori che hanno l’impatto
maggiore sull’aderenza terapeutica sono associati all’auto somministrazione della terapia
interferonica e agli effetti avversi che può causare la stessa (reazioni nel sito d’iniezione,
dolore, ecchimosi, lipoatrofia, sintomi simil-influenzali) come anche all’indebolimento
cognitivo e all’autoefficacia. Altri fattori identificati sono: il livello di fiducia nella figura
medico-assistenziale di riferimento, lo stile di vita, la stabilità economica, il supporto
familiare, e la presenza di depressione.
Diversi tipi di strategie si sono rivelati efficaci per aumentare e migliorare l’aderenza tra i
pazienti affetti da SM. Gli interventi infermieristici, progettati per affrontare questi ostacoli,
possono aiutare i pazienti e i loro caregiver a sviluppare le abilità necessarie per favorire
un’aderenza ottimale e consapevole (Caon et al, 2010). In genere, sono proprio gli infermieri
che si trovano in una posizione ideale per stabilire delle relazioni, fornire supporto e
consigliare degli interventi, poiché rispetto ad altre figure professionali hanno maggiori
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contatti con i pazienti (Ross, 2008). Gli infermieri hanno le competenze necessarie per
effettuare interventi educativi rispetto a più dimensioni: le tecniche per l’auto
somministrazione delle DMT, i metodi per ridurre il più possibile gli eventi avversi causati
dalle iniezioni del farmaco, e i comportamenti da adottare per minimizzare l’impatto che la
malattia ha sulla vita di ogni giorno (Webb, 2008). L’infermiere che segue la persona affetta
da SM sin dal momento della diagnosi e per tutto il decorso della stessa, è una risorsa
preziosissima nella valutazione dei bisogni educativi dei pazienti e delle persone di supporto
di riferimento. Egli ha la possibilità di identificare precocemente quali sono gli elementi e
situazioni che possono influenzare l’aderenza terapeutica e come queste evolvono nel tempo
(Costello & Halper, 2010).
A fronte di tutto ciò, gli obiettivi dello studio sono:
descrivere i fattori ostacolanti l’aderenza alle terapie disease modifying di un gruppo
di pazienti seguiti presso il Centro Sclerosi Multipla del day hospital neurologico
dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “S. Maria della Misericordia” di Udine;
confrontarli con quelli riportati in letteratura;
descrivere l’attuale modello di educazione erogato ai pazienti affetti da sclerosi
multipla in trattamento immunomodulante (DMT auto iniettive), seguiti dal
medesimo Centro;
descrivere il livello di percezione del paziente rispetto l’addestramento e i vari
momenti di educazione.
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CAPITOLO 1
REVISIONE DELLA LETTERATURA
1.1 SCLEROSI MULTIPLA: LA MALATTIA
La sclerosi multipla (SM) è una malattia neurologica ad andamento cronico caratterizzata dal
danneggiamento delle guaine mieliniche che proteggono le fibre lunghe, dette assoni, nel
sistema nervoso centrale (SNC). Gli assoni sono responsabili del trasporto dei segnali
elettrici prodotti dalle cellule nervose del SNC. Una volta che le guaine sono danneggiate
(demielinizzate), gli assoni non sono più in grado di condurre efficacemente i segnali,
causando principalmente disturbi di tipo cognitivo, motorio e sensoriale (Caon et al, 2010). Il
grado di disabilità a cui può portare la malattia è variabile: si calcola che il 29-41% dei
soggetti colpiti sia autonomo, il 32-37% con dipendenza parziale e il 25-33% con
dipendenza totale. Il 13-16%, inoltre, continua ad esercitare la propria attività professionale
(Vampronti et al, 1985).
Nel tentativo di sviluppare un linguaggio comune per la valutazione e la ricerca della SM, è
stata condotta un’indagine internazionale tra gli specialisti nel campo della malattia.
Dall’analisi dei risultati si è giunti alle seguenti definizioni e categorie, che sono state poi
introdotte nella pratica clinica nel 1996 (National Multiple Sclerosis Society, 2011):
Recidivante-remittente: è la forma più comune di SM al momento della diagnosi
iniziale. Le persone affette da questo tipo di SM sono ca. l’85%: provano dei sintomi
ben definiti, chiamati ricadute, attacchi o riacutizzazioni. Si tratta di episodi di
peggioramento acuto delle funzioni neurologiche a cui seguono dei parziali o
completi periodi di recupero (remissioni), che non sono influenzati dalla progressione
della malattia.
Primaria-progressiva: ne è affetto circa il 10%. Il decorso della malattia è
caratterizzato da un lento ma continuo peggioramento sin dall’inizio, senza ricadute o
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remissioni. Tuttavia, esistono delle variazioni nei tassi di progressione della malattia,
con dei plateau occasionali e dei miglioramenti temporanei minimi.
Secondaria-progressiva: questa forma di SM è caratterizzata da un periodo iniziale
di tipo recidivante-remittente, seguito da un costante peggioramento clinico della
malattia con la presenza o meno di riacutizzazioni occasionali, con recuperi minimi
(remissioni), o con fasi di plateau. Secondo gli studi eseguiti su pazienti che non
erano in trattamento disease modifying, approssimativamente la metà di coloro la cui
malattia inizia in una forma di tipo recidivante-remittente incorre in questa forma di
SM entro i 10-20 anni dalla diagnosi iniziale. Dai dati disponibili non emerge ancora
l’efficacia delle disease-modifying therapies per favorire il ritardo al passaggio a
questa forma secondaria-progressiva.
Progressiva-recidivante: sono affetti da questo tipo di SM circa il 5% dei soggetti.
Il decorso è contraddistinto da un costante peggioramento della malattia sin
dall’esordio, con successive riacutizzazioni (attacchi o esacerbazioni), con o senza
recupero. Al contrario della SM recidivante-remittente, i periodi tra le varie ricadute
sono caratterizzati da una continua progressione della malattia.
Sindrome clinicamente isolata (CIS): si intende la comparsa di un episodio
neurologico (sintomo o segno), che dura almeno 24 ore e che è compatibile con una
malattia demielinizzante del SNC. Una persona che ne è affetta può quindi avere un
solo singolo sintomo neurologico causato da una singola lesione, o più segni o
sintomi neurologici contemporaneamente causati da più lesioni cerebrali. I soggetti
con questa forma di malattia non svilupperanno necessariamente la SM.
Inoltre, si può classificare la malattia in 2 categorie:
- SM benigna: è caratterizzata da un recupero completo e da un normale
funzionamento dopo un periodo sintomatico. Si pensa che ciò avvenga nel 5-10% dei
casi (Sayao et al, 2007). La funzionalità neurologica sembra essere presente a
distanza di 15 anni dall’insorgenza della malattia (Lublin & Reingold, 1996).
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- SM maligna: dopo un breve periodo dall’inizio della malattia, la situazione clinica
peggiora rapidamente portando a una disabilità significativa o alla morte entro 5 anni
dalla diagnosi; si stima sia estremamente rara (Lublin & Reingold, 1996).
1.2 DATI EPIDEMIOLOGICI
La SM colpisce circa 2,1 milioni di persone in tutto il mondo (National Multiple Sclerosis
Society, 2011). Globalmente, l’incidenza media è di 2,5 per 100.000 (Gonzalez – Andrade et
al, 2010). In Europa, i Paesi che presentano una maggiore diffusione della malattia sono
Ungheria, Slovenia, Germania, Repubblica Ceca,e Norvegia. In Europa dell’est, Francia,
Spagna e Portogallo i dati sulla prevalenza di SM sono inferiori rispetto a quelli degli altri
Paesi. Nel panorama europeo l'Italia si colloca in una posizione intermedia con 90 casi ogni
100 mila abitanti. I malati di SM in Italia sono circa 57 mila, per un totale di circa 1800
nuovi casi ogni anno. Particolarmente colpita dalla SM è la Sardegna, con un tasso
d’incidenza di gran lunga superiore alla media nazionale (Centro Nazionale di
Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, 2011).
L’esordio della malattia avviene di solito nei primi anni dell’età adulta ma può verificarsi
anche durante l’infanzia (Pittock et al, 2004). Quasi il 10% dei pazienti con SM ha una
diagnosi di malattia prima dei sedici anni (Compston & Coles, 2002). Come evidenziano gli
ultimi dati raccolti il rischio è più aumentato nelle donne (2,5%) che negli uomini (1,4%)
(Alonso & Hernán, 2008) e il rapporto maschio-femmina è di 1:4. L’età coi livelli più alti di
insorgenza è tra i 25 e i 35 anni. Gli uomini possono avere un esordio più tardivo della
malattia ma una prognosi peggiore (Beck et al, 2003; Kantarci & Wingerchuck, 2006;
Vukusic & Confavreux, 2006). Il 25% dei pazienti conduce la propria vita senza che vi siano
deficit significativi della mobilità, al contrario, il 15% incorre rapidamente in gravi
disabilità. L’abbassamento dell’aspettativa di vita è ristretto e molti pazienti con SM vivono
almeno per altri 25 anni dopo la diagnosi e muoiono per cause diverse da quelle della
malattia (Compston & Coles, 2002).
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1.3 EZIOPATOGENESI
Le cause esatte della malattia rimangono tuttora sconosciute. Sono stati identificati
meccanismi sia di tipo autoimmune che neurodegenerativi (Caon et al, 2010); vi è un’ipotesi
che, sebbene non dimostrata, ha tuttavia il supporto di numerosi dati scientifici ed è accettata
dalla più ampia maggioranza degli esperti in materia, che prevede l’intervento di tre fattori
fondamentali: genetici, ambientali, autoimmunitari. La malattia neurologica sarebbe causata
da un processo autoimmune probabilmente scatenato da un agente ambientale in soggetti
geneticamente predisposti. Si tratta di un modello che ha avuto conferma in altre patologie,
quali il diabete giovanile (Ghezzi & Zaffaroni, 2007). Una volta che il sistema immunitario
viene innescato, i linfociti attivati (globuli bianchi) migrano attraverso la barriera emato-
encefalica, interagiscono con alcune cellule del SNC, e stimolano la produzione di mediatori
infiammatori (citochine) che degradano la barriera emato-encefalica. Gli effetti combinati di
questa risposta autoimmune sono di demielinizzazione, danno assonale e la formazioni di
lesioni (Caon et al, 2010). Nel corso della SM è la mielina che non viene più riconosciuta
come propria. La distruzione delle guaine mieliniche causa un rallentamento, fino al blocco,
degli impulsi provenienti dal SNC e che giungono in periferia. Normalmente la velocità di
conduzione dell’impulso è pari a 100 m/s. Nella persona affetta da SM la velocità può essere
pari a 5 m/s e portare al blocco completo dell’impulso. Ad esempio, lo stimolo che viene
generato sulla retina dell’occhio raggiungerà la corteccia visiva con ritardo e in modo
desincronizzato, comportando un deficit della visione, oppure lo stimolo che si genera nella
corteccia cerebrale motoria arriverà in ritardo al midollo, e ciò, sul piano sintomatico, si
evidenzierà come un deficit motorio che, se grave, può raggiungere la plegia, cioè la paralisi
totale. Diversi studi hanno messo in evidenza che anche l’assone può risentire dell’attacco
infiammatorio e della perdita di mielina, giungendo alla compromissione dello stesso e
generando quello che viene definito “danno assonale” (Ghezzi & Zaffaroni, 2007). La
degenerazione assonale può iniziare precocemente nel corso della malattia e può portare a
una disfunzione neurologica permanente. Può verificarsi rapidamente anche l’atrofia
cerebrale che causa danni irreversibili al tessuto. La disabilità, quindi, proverrà dalla perdita
permanente ed irreversibile degli assoni lungo tutto il SNC (Caon et al, 2010).
Altresì importante è la riduzione di N-Acetylaspartate (NAA) in fase molto precoce della
malattia; questo amminoacido in condizioni normali è presente in quantità elevata negli
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assoni e nei neuroni e viene considerato come l’indicatore di integrità assonale (De Stefano
et al, 2001). Si è potuto osservare che il passaggio alla fase di progressione della malattia è
dovuto alla perdita consistente di densità degli assoni, come risulta dalla spettroscopia di
risonanza magnetica (MRS), dalla risonanza magnetica e da studi diretti sulla patologia
(Aboul-Enein et al, 2010; Schirmer et al, 2010; Bjartmar et al, 2003). Queste osservazioni
hanno portato a diverse ipotesi:
a) i meccanismi legati all’infiammazione potrebbero causare nel corso del tempo un
processo autonomo di neurodegenerazione come avviene nella malattia di Alzheimer,
nel morbo di Parkinson o nella SLA;
b) i meccanismi immunitari nella sostanza bianca non lesionata potrebbero contribuire
in modo sostanziale ai danni dell’entità neuroassonale;
c) le degenerazioni retrograde nelle lesioni focali demielinizzate possono spiegare la
grande entità della perdita neuroassonale osservata.
Vi è un’altra ipotesi alternativa che ritiene la SM come una malattia degenerativa primaria
negli individui in cui alcune caratteristiche del loro sistema immunitario favoriscono una
risposta immunitaria, se pur secondaria, di grande impatto. Più comunemente, il termine di
neurodegenerazione nel contesto della SM è utilizzato per descrivere la pienezza del danno
neuroassonale, sia essa correlata o meno alla formazione della lesione focale. In contrasto
alle classiche teorie viste in precedenza, molti autori, tuttora, non appoggiano la tesi del
processo neurodegenerativo del SNC, bensì considerano l’infiammazione il vero fattore per
la patogenesi della malattia (Charil & Filippi, 2007; Trapp & Nave, 2008). Il danno
degenerativo, qualunque ne sia la natura, è forse la principale causa del deficit neurologico
stabilizzato, che si consolida dopo gli attacchi acuti della malattia (Ghezzi & Zaffaroni,
2007). Sebbene la complessa interazione tra infiammazione e danno/morte neuroassonale,
specialmente durante le fasi diverse che si susseguono negli anni di malattia, non sia stata
ancora ben compresa, i recenti sviluppi nel campo considerano come approccio ideale alla
patologia l’utilizzo combinato di anti-infiammatori e di terapie neuroprotettive (Stadelmann,
2011).
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1.4 FATTORI DI RISCHIO E STILE DI VITA
Comportamenti non salutari, come tabagismo, consumazione di alcolici e basso livello di
attività fisica, influenzerebbero i rischi e gli esiti delle malattie croniche. I comportamenti di
tipo non salutare influenzano la salute indipendentemente dalle comorbidità (Waubant &
Randolph, 2011). Il tabagismo eccessivo (definito come più di 25 pacchetti all’anno)
aumenta il rischio di insorgenza della malattia di circa il 70%, e questo aumento è
direttamente proporzionale al rincaro della dose (Ascherio & Munger, 2007; Hedström et al,
2009; Hernán et al, 2005; Hernán, Olek, & Ascherio, 2001). Tra i pazienti con SM, il
tabagismo è associato a più alti livelli di disabilità, a un potenziamento delle lesioni T2 e T1
(acquisizioni alla RMN che indicano l’entità e il grado delle lesioni), a un’espansione del
volume della lesione, infine all’atrofia cerebrale (Zivadinov et al, 2009). Negli anni passati la
dieta è stata invocata come causa o concausa di malattia, facendo ipotizzare che una dieta
appropriata potesse essere un’arma utile nel trattamento della stessa. Particolarmente seguite
sono state le diete povere di grassi idrogenati oppure arricchite di acidi grassi polinsaturi
(acido linoleico e simili) (Ghezzi & Zaffaroni, 2007). Secondo Waubant et al (2011), in una
donna obesa di 18 anni, il rischio di contrarre la SM è aumentato di 2.25 volte (I.C. 95%,
1.50-3.37), in confronto ad una donna normopeso della stessa età.
L’effetto immunomodulante delle radiazioni solari è noto e utilizzato come terapia di alcune
malattie, ma è soprattutto noto l’effetto debilitante della temperatura elevata su molti
soggetti con SM. La spiegazione sta nel fatto che la velocità di conduzione degli stimoli
elettrici lungo le fibre nervose è inversamente proporzionale alla temperatura: perciò molti
pazienti non tollerano il caldo estivo, i bagni troppo caldi, il lavoro in prossimità di fonti di
calore, ma soprattutto la febbre (Ghezzi & Zaffaroni, 2007). La scarsa esposizione al sole e
l’assunzione di vitamina D, inoltre, sembrerebbero diminuire il rischio di aggravamento
della malattia (Coo & Aronson, 2004; Marrie, 2004; Munger et al, 2006; Munger et al, 2004;
Soilu-Hänninen et al, 2005).
I dati ricavati da alcuni studi di evidenza Classe II affermano che vi sia correlazione tra
l’Epstein-Barr virus (EBV) e la SM. È stato provato che la presenza di EBV nel plasma
aumenta il rischio di SM (Wagner, Munger & Ascherio, 2004). Il rischio aumenta
considerevolmente dopo l’infezione da EBV (Levin et al, 2010).
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Le vaccinazioni sono sempre state viste come un evento misterioso e potenzialmente
dannoso. Negli anni ’60 e ’70 erano stati, infatti, segnalati casi in cui la malattia era iniziata
o peggiorata in coincidenza con una vaccinazione. Il tema è poi venuto alla ribalta alcuni
anni fa dopo l’intervento delle autorità sanitarie francesi che avevano ipotizzato un possibile
rischio della vaccinazione anti-epatite B. I dati scientifici sono in realtà tranquillizzanti ed
esistono diverse evidenze che escludono un effetto negativo da parte delle vaccinazioni. È
stato osservato che, in soggetti sottoposti a vaccinazione anti-influenzale, non vi erano
differenze significative in termini di progressione o ricadute (Ghezzi & Zaffaroni, 2007). Nel
periodo post-vaccinazione non vi è un rischio aumentato di riacutizzazione della malattia, né
di un peggioramento della stessa (Miller et al, 1995; Confavreux et al, 2001). Uno studio
condotto da Mokhatarian e colleghi (1997), inoltre, ha confermato che la vaccinazione ha
ridotto il tasso di recidive della patologia.
1.5 SINTOMATOLOGIA
La SM può causare numerosi sintomi, che possono variare da individuo a individuo. Questi
sono imprevedibili e molto spesso interferiscono con le attività di vita quotidiana (ADL). I
sintomi principali sono causati da un deficit di conduzione dell’impulso dovuto alla
demielinizzazione, all’infiammazione e alla perdita assonale nel SNC (Lisak, 2001). Le
manifestazioni cliniche della SM dipendono dalla porzione del SNC che è stata attaccata. La
demielinizzazione o la distruzione della guaina mielinica degli assoni nel SNC colpisce più
frequentemente sia i nervi ottici che i nervi oculomotori, e i sistemi cerebellare,
corticospinale e quello dei cordoni posteriori. Le manifestazioni cliniche includono anomalie
della visione e nistagmo, deficit delle abilità motorie, del coordinamento e dell’andatura,
così come la spasticità e i disturbi sensoriali, tra cui il dolore e le parestesie (Hoeman, 2008).
L’interruzione della conduzione neuronale nei nervi demielinizzati si manifesta con una
varietà di sintomi, a seconda della localizzazione ed estensione della lesione (Hoeman, 2008;
Porth & Matfin, 2008; Swann, 2006).
La sintomatologia comprende (Thompson et al, 2011):
Compromissioni motorie: nei casi lievi si presentano in forma di “debolezza” con
riduzione della forza e impaccio motorio a uno o più arti. Quando è più severo può
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causare addirittura plegìa. Accanto al deficit di forza può presentarsi un aumento del
tono muscolare, fino a raggiungere, in taluni casi, un grado severo di spasticità.
Disturbi sensoriali: parestesie (intorpidimento, formicolii, sensazione di bruciore,
sensibilità alterata); l’insorgenza di dolore può essere causata da lesioni delle vie di
sensibilità ma può anche essere conseguenza di contratture muscolari e di alterazioni
posturali; possono anche comparire dolori intermittenti (parossistici), tipo “scossa”,
come nel caso del segno di Lhermitte (dolore che, partendo dalla colonna vertebrale,
si irradia agli arti inferiori, scatenato dalla flessione del capo); oppure come nel caso
della nevralgia trigeminale (dolore improvviso, trafittivo, di breve durata, a metà del
volto).
Disturbi visivi: il 25-48% dei pazienti incorre in una neurite ottica dovuta a lesioni
del nervo ottico. Anche la diplopia e il dolore all’orbita o nelle regioni contigue
possono manifestarsi allo stesso tempo. La sintomatologia che ne consegue può
presentarsi unilateralmente o bilateralmente e comprende la compromissione della
visione centrale (sfocature, annebbiamento, nebulosità) e l’alterata percezione dei
colori. I segni comprendono la diminuzione dell’intensità visiva centrale, lo scotoma
centrale o paracentrale (area di visione ridotta), il deficit acquisito della visione dei
colori (soprattutto rosso e verde), la reazione difettosa papillare alla luce, e una
varietà di difetti del campo visivo.
Disordini vestibolari: vertigini, turbe dell’equilibrio, nistagmo.
Disturbi dell’udito: perdita uditiva neurosensoriale.
Fatica: è definita come la mancanza soggettiva di un individuo di forza fisica e/o
mentale, che viene percepita come un impedimento a svolgere le comuni attività di
vita quotidiana. Colpisce il 75-95% dei pazienti con SM.
Disturbi urinari, intestinali, sessuali: tra i disturbi urinari vi sono la ritenzione
urinaria, lo svuotamento della vescica e iperattività della stessa (minzioni frequenti e
imperiose); tra quelli intestinali l’incontinenza fecale o stipsi, o in gravi casi
entrambe; il problema sessuale più frequente è l’impotenza.
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Disturbi della coordinazione o cerebellari: potrebbero verificarsi problemi come
tremori, disturbi dell’equilibrio (instabilità e barcollamento durante la
deambulazione), atassia, parola scandita (il linguaggio perde la fluidità, facendosi più
scandito).
Deficit cognitivi: tra i più rilevanti vi sono i deficit mnemonici, calo dell’attenzione e
rallentamento della velocità di elaborazione dell’informazione.
Disturbi dell’umore: ansia, disturbi del sonno, depressione sono i disturbi che più
frequentemente si manifestano in questi pazienti.
1.6 DIAGNOSI E PROGNOSI
La diagnosi clinica della SM si basa sull’esame obiettivo neurologico. Gli esami di
laboratorio per ricercare la positività liquorale e l’uso della risonanza magnetica nucleare
(RMN) riescono a fornire elementi certi per la diagnosi della malattia (Thompson et al,
2011). La diagnosi prevede tre presupposti imprescindibili: la disseminazione spaziale del
processo patologico, la disseminazione temporale dello stesso, e l’esclusione di altre
patologie eventualmente responsabili del quadro clinico (Sclerosi Multipla State of the Art,
2011).
I criteri di McDonald (2001) sono stati creati per rappresentare uno schema diagnostico
migliore e più affidabile per giungere ad una diagnosi di SM. Questi criteri sono basati su
parametri clinici e tengono conto della distribuzione delle lesioni viste tramite RM (es.
disseminazione spaziale) e dello sviluppo delle stesse o di ulteriori nel tempo (es.
disseminazione spaziale e temporale; immunoglobuline nel liquor, in particolare, il rapporto
tra IgG sieriche e IgG liquorali; potenziali evocati) per la diagnosi definitiva (Polman et al,
2005; Polman et al, 2011; Harris & Halper, 2004). I criteri di McDonald, revisionati nel
2010, sono i seguenti (Polman et al, 2011):
quando il quadro clinico comprende una o più ricadute e i parametri clinici oggettivi
indicano due o più lesioni in zone differenti, non vi è il dubbio che si tratti di sclerosi
multipla;
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se si verificano due o più ricadute e i parametri clinici indicano solamente una
lesione, per confermare la diagnosi occorre un’immagine dettagliata della
disseminazione spaziale delle lesioni utilizzando la RM, con l’aggiunta dei risultati
positivi degli esami del liquor;
nei casi in cui un individuo abbia avuto solo una ricaduta ma i parametri clinici
riportino due lesioni distinte, la RM non è indispensabile per la conferma della
diagnosi. Tuttavia, è in grado di fornire informazioni dettagliate sulla disseminazione
temporale delle lesioni, così come il verificarsi di una seconda ricaduta;
nelle sindromi clinicamente isolate (CIS) in cui un individuo abbia avuto solo una
ricaduta e i parametri clinici indichino la presenza di una lesione, la conferma della
disseminazione spaziale avviene tramite la presenza di un’anomalia alla RM, o la
presenza di due lesioni alla RM con l’aggiunta degli esami positivi del liquor. La
disseminazione temporale può essere confermata dalla presenza alla RM di una
seconda riacutizzazione.
La risonanza magnetica (RM) è una metodica estremamente sensibile nel rilevare le
alterazioni focali della sostanza bianca dei pazienti affetti dalla malattia. Per questo motivo,
è diffusamente applicata nel processo diagnostico dei pazienti con sindromi clinicamente
isolate (CIS) a rischio di evoluzione verso una forma definita, così come nei pazienti con
malattia conclamata. Uno dei punti fondamentali per l’utilizzo della RM a scopo diagnostico
è l’identificazione di caratteristiche di imaging delle lesioni, in termini di sede, forma e
dimensioni, che possano essere considerati suggestivi o tipici della malattia, e contribuire
quindi al processo di diagnosi differenziale con altre patologie neurologiche, che possono
avere un esordio clinico simile a quello della SM (Sclerosi Multipla State of the Art, 2011).
L’evoluzione della malattia è assai variabile. Dopo il primo episodio, l’intervallo con una
successiva riacutizzazione può essere anche molto protratto: oltre 5 anni in circa ⅓ dei casi.
In altri casi la malattia può riattivarsi dopo un breve periodo di tempo. La velocità con cui
progredisce è variabile. Secondo uno studio condotto dal Centro Studi Sclerosi Multipla
dell’Azienda Osp. “S. Antonio Abate di Gallarate” (VA), la SM si presenta con le
caratteristiche di benignità nel 77% dei casi con durata inferiore a 8 anni, e nella metà dei
soggetti per durata superiore. Altri studi hanno evidenziato che la forma benigna rappresenta
18
oltre il 30% dell’intera popolazione di pazienti che ne sono affetti, smentendo il pregiudizio
comune che nella maggioranza dei casi la malattia porti inesorabilmente a compromissione
severa in breve tempo. Si può prevedere l’evoluzione della malattia? Rispondere a questa
domanda non è semplice perché quello che può valere come statistica non necessariamente si
applica al caso singolo. Il medico curante, conoscendo meglio gli aspetti specifici della
malattia nel singolo caso, potrà cercare di formulare un’indicazione di prognosi più precisa e
personalizzata. Diversi studi hanno evidenziato che alcuni fattori di prognosi sfavorevole
hanno un certo valore in tal senso. Tendenzialmente, disturbi visivi o sensitivi all’esordio, un
andamento con ricadute distanziate nel tempo e recupero ottimale sono associati ad una
prognosi favorevole. Secondo alcuni studi l’età più avanzata d’esordio, il sesso maschile, il
decorso progressivo, la presenza di deficit motorio o cerebellare sono per alcuni soggetti dei
fattori associati ad un’evoluzione meno favorevole (Ghezzi & Zaffaroni, 2007; Vukusic &
Confavreux, 2007; Hutchinson, 2009).
1.7 TERAPIA
Attualmente non vi è una cura definitiva della SM; tuttavia, esistono diverse opzioni di
trattamento (Mahdavian et al, 2010; Sclerosi Multipla State of the Art, 2011b):
Terapia sintomatica: molti dei sintomi possono essere trattati farmacologicamente.
I sintomi più comuni fra questi pazienti includono depressione, debolezza muscolare,
rigidità e dolore, disturbi urologici come quelli vescicali ed erettili, convulsioni,
tremori e fatica. La depressione correlata alla SM viene trattata come qualsiasi altra
depressione, quindi con l’utilizzo di antidepressivi. Farmaci come i miorilassanti, le
benzodiazepine e gli antinfiammatori non-steroidei sono utilizzati nel trattamento dei
disturbi muscolari; gli anticolinergici vengono impiegati per i disturbi vescicali e
l’incontinenza; i disturbi di tipo erettile con denafil, vardenafil, o tadalafil; le
convulsioni vengono trattate con anticonvulsivanti, inclusi la carbamazepina e la
fenitoina.
Trattamento acuto: i corticosteroidi sono un pilastro nel trattamento mirato delle
riacutizzazioni associate alla SM; favoriscono il recupero e attenuano
l’infiammazione nel SNC, facilitano il ripristino della barriera emato-encefalica, e
19
riducono l’edema. Tra i più utilizzati vi sono il metilprednisolone e il prednisone.
Entrambi causano diversi effetti collaterali, come ipertensione, iperglicemia,
debolezza muscolare e aumento di peso.
Trattamento disease modifying: è un intervento terapeutico mirato a modificare il
decorso naturale della malattia implementando i meccanismi di compenso. Tra i
farmaci prevalentemente utilizzati in questo trattamento e di cui è stata dimostrata
l’efficacia abbiamo gli interferoni (IFN) e il glatiramer acetato (GA). Vi sono poi
altri immunomodulanti come il mitoxantrone e natalizumab, che sono riservati a
forme progressive, ad alto rischio o non rispondenti a farmaci di prima linea.
Gli interferoni sono delle proteine naturali prodotte dall’organismo come risposta agli
stimoli infettivi, interferiscono con la replicazione degli agenti infettivi. Ve ne sono
di tre tipi: alpha, beta, e gamma. Gli alpha e i beta vengono prodotti dai globuli
bianchi e sono quelli specificatamente impiegati nel trattamento della malattia. I due
attuali tipi di interferone comunemente indicati per la malattia sono l’interferone
beta-1b e l’interferone beta-1a. L’interferone beta-1a, in base alla formulazione può
essere somministrato per via intramuscolare una volta alla settimana, oppure tre volte
alla settimana per via sottocutanea. L’interferone beta-1b viene somministrato con
una dose di 0.25 mg quotidianamente per via sottocutanea e dopo 6 settimane si
prosegue il trattamento seguendo uno schema preciso di dosaggio del farmaco.
L’interferone beta 1-b si è dimostrato efficace nella prevenzione delle ricadute della
SM.
La rilevanza degli effetti collaterali è modesta e quasi sempre si tratta di fenomeni
gestibili. I disturbi più caratteristici sono le sindromi simil-influenzali che compaiono
all’inizio della terapia in circa il 50% dei casi, si riducono drasticamente dopo i primi
mesi e talora ricompaiono dopo mesi di scomparsa. I sintomi più frequenti sono:
febbre, brividi, dolori muscolari, cefalea, malessere. Insorgono in genere dopo alcune
ore dalla somministrazione e si attenuano in circa 24 ore; raramente la loro intensità è
tale da creare un serio impedimento al paziente; tutti questi sintomi sono ben
controllati da opportune dosi di paracetamolo. Vi sono poi i sintomi localizzati al sito
di iniezione, tra cui è frequente l’arrossamento della cute. In rari casi la reazione
cutanea può essere più marcata, fino ad arrivare alla necrosi cutanea. Per questo
20
motivo è indicato rotare il sito di inoculazione del farmaco. Sono da segnalare,
inoltre, altri effetti collaterali che si presentano con minor frequenza, ma devono
essere tenuti in considerazione nella scelta e nella gestione del farmaco, tra cui la
depressione (anche se studi recenti hanno negato la correlazione con gli interferoni),
la spasticità, la fatica, più raramente insonnia, irritabilità, disordini mestruali.
Il GA è indicato per i pazienti che sviluppano una forma di SM di tipo recidivante-
remittente. Sebbene non si sia ancora compreso l’esatto meccanismo di azione del
farmaco, il copolimero-1 agisce inibendo l’attivazione della proteina basica della
mielina e delle cellule T reattive, diminuendo così il numero di episodi di
riacutizzazione della malattia. Il sito di iniezione dovrebbe essere rotato
quotidianamente e la stessa area non dovrebbe essere utilizzata per più di una volta
alla settimana. Prima della somministrazione del farmaco, è consigliato lasciare la
siringa con la dose a temperatura ambiente per almeno 20 minuti. Tra gli effetti
collaterali più comuni sono citati: vasodilatazione, dolore toracico, orticaria, e
astenia.
Il mitoxantrone è un potente immunosoppressore mirato alle forme di tipo
secondario-progressive, progressivo-recidivanti, o alle forme più gravi recidivante-
remittenti. Il mitoxantrone attenua la migrazione delle cellule T nel SNC,
sopprimendo l’attività delle stesse, delle cellule B, e dei macrofagi. Questo farmaco
viene somministrato ogni 3 mesi. Gli effetti collaterali più frequenti sono: nausea,
alopecia, infezioni delle alte vie aeree, disordini mestruali e infezioni del tratto
urinario.
Il natalizumab è un anticorpo monoclonale indicato nel trattamento delle forme
recidivanti della SM. Rallenta il progredire della malattia e diminuisce il numero
delle ricadute. Il farmaco inibisce la migrazione dei globuli bianchi nel SNC,
favorendo la riduzione dell’infiammazione delle aree demielinizzate e il flusso delle
cellule T attivate. La via di somministrazione è quella endovenosa. Gli effetti
collaterali sono: rash cutaneo, nausea, cefalea, artralgia, infezioni delle alte vie aeree,
e fatica. Un altro effetto indesiderato molto grave è la leucoencefalopatia multifocale
progressiva (PML) (Thompson et al, 2011). In italia è stato attivato un registro
21
nazionale informatizzato per un programma di farmacovigilanza al quale afferiscono
i Centri di provata esperienza. Il programma permette di registrare le caratteristiche
di tutti i malati posti in terapia con natalizumab, facilitare un rigoroso monitoraggio
clinico e neuro-radiologico di ogni paziente, favorire una maggiore uniformità nella
pratica clinica tra i vari centri SM e contribuire alla tutela della sicurezza dei pazienti
agevolando la segnalazione di tutti gli effetti indesiderati e il riconoscimento
tempestivo di un’eventuale PML (Ghezzi & Zaffaroni, 2007).
L’arrivo dei farmaci orali per il trattamento della SM recidivante-remittente ha aperto un
nuovo sipario nel trattamento farmacologico della malattia. Cinque agenti orali, fingolimod,
cladribina, laquinimod, teriflunomide e BG00012 sono in fase di sperimentazione per le
forme recidivanti e per le CIS (Spain et al, 2009). Alcune di queste terapie emergenti
promettono una maggiore efficacia rispetto le attuali DMT approvate, ma con la possibilità
che insorgano potenziali eventi avversi (Giacomini et al, 2009).
Tra gli anticorpi monoclonali sono inclusi: alemtuzumab, daclizumab, e rituximab; vengono
somministrati per via endovenosa e hanno tutti mostrato finora risultati promettenti, anche se
è importante ricordare la sicurezza relativa del farmaco (es. natalizumab) [Rommer et al,
2008].
L’approccio terapeutico a questa patologia non si può limitare unicamente ai farmaci disease
modifying, ma deve comprendere anche le eventuali terapie della fase acuta, le terapie
sintomatiche, gli aspetti fisioterapici, psicologici e di assistenza (Sclerosi Multipla State of
the Art, 2011b). La maggior parte dei pazienti con SM recidivante-remittente dunque sta
seguendo, o dovrebbe seguire, una terapia con interferone o copolimero-1, farmaci che
prevedono somministrazioni settimanali o plurisettimanali, con effetti collaterali e con
impegno da parte del paziente o dei caregiver. I trial registrativi dei farmaci disease
modifying hanno evidenziato un’efficacia significativa sul tasso di ricadute e sulla
progressione della malattia in RM di circa il 30-50% (IFNB Multiple Sclerosis Study Group,
1993; Jacobs et al, 1996; PRISMS, 1998; PRISMS, 2001); questi successi possono essere
ottenuti solo con terapia continuativa per almeno 12 mesi, ma per molti di essi i risultati
continuano ad essere presenti anche dopo molti anni (Sclerosi Multipla State of the Art,
2011b).
22
1.8 ADERENZA ALLA TERAPIA
L’aderenza è stata definita come “la partecipazione attiva, volontaria e collaborativa del
paziente in un percorso comportamentale accettabile per tutte le figure coinvolte nel
processo, che produca, infine, un valido outcome terapeutico” (Ho et al, 2009). È provato
che l’aderenza risulti essere migliore quando il paziente accetta la severità della sua malattia,
riesce a fidarsi del suo terapeuta, e crede nell’efficacia delle misure terapeutiche
raccomandate (Ho et al, 2009; WHO, 2003; Bardel et al, 2007; Halling & Berglund, 2006;
Mohammadi et al, 2009). L’aderenza del soggetto al progetto terapeutico include:
accettazione, continuità, e compliance. Prima che i pazienti possano aderire ad un regime
terapeutico a lungo termine è necessario comprendere il significato e i benefici del
trattamento. In molti casi, dopo la diagnosi, capita che i pazienti con SM non provino una
riacutizzazione della malattia per mesi o addirittura per anni, il che può rendere difficile per
essi accettare di auto-somministrarsi in modo continuativo la terapia (Devonshire, 2007). La
continuità è spesso un problema in questo tipo di pazienti che va a compromettere l’aderenza
al trattamento, in particolare nei primi 6 mesi (Tremlett & Oger, 2003). La compliance
comporta l’adempimento delle istruzioni dettate dalla prescrizione (ad esempio: l’assunzione
del farmaco nel momento giusto, con la giusta dose, nel giusto giorno). La non-compliance è
un fenomeno comune tra i pazienti con SM in trattamento disease modifying poiché, a volte,
o si dimenticano di auto-somministrarsi la terapia o la rifiutano deliberatamente (Devonshire,
2007). Nel Global Adherence Project, Devonshire e colleghi (2006) hanno scoperto che il
fattore più comune di non-compliance nei pazienti con SM è legato all’iniezione (50%).
Sono stati citati, infine, dai pazienti ulteriori fattori come la fatica, la necessità di una “pausa
dalla terapia”, e gli eventi avversi della stessa.
Alcuni studi riportano che il 60-76% dei soggetti in trattamento con interferone beta (IFN
beta) e copolimero-1 aderisce alla terapia per almeno 2-5 anni (Haas & Firzlaff, 2005;
O’Rourke & Hutchinson, 2005; Ruggieri et al, 2003). La maggior parte dei pazienti che
interrompono la terapia tendono a farlo entro i primi 2 anni dall’inizio del trattamento (Rio et
al, 2005). Rio e colleghi (2005) hanno osservato per 8 anni 632 pazienti affetti da SM in
trattamento con IFN beta e copolimero-1; nel periodo di osservazione di questi soggetti, 107
hanno interrotto il trattamento farmacologico e fra questi circa il 49% lo ha fatto entro i
primi due anni dalla prescrizione (Rio et al, 2005). La non-aderenza può portare a esiti di
23
salute peggiori (Clerico et al, 2007; Cox & Stone, 2006). Lo stesso studio di Rio e colleghi
(2005) ha mostrato che i pazienti con SM di tipo recidivante-remittente che hanno interrotto
la terapia hanno riportato un punteggio della Kurtzke Expanded Disability Status Scale (scala
clinica che valuta il grado di severità della malattia) significativamente più alto rispetto ai
pazienti rimasti in trattamento. Inoltre, la percentuale dei pazienti esenti da riacutizzazioni e
progressione della malattia è risultata significativamente più bassa tra coloro che hanno
interrotto la terapia.
In letteratura non viene riportato solamente il tasso dei soggetti che interrompe il trattamento
terapeutico, ma vengono citati anche i fattori che maggiormente incidono sull’aderenza e che
possono nella peggiore delle ipotesi ostacolarla. Di seguito verranno descritti i principali
fattori che incidono sull’aderenza alla terapia e le strategie “per superarli”.
Problemi legati all’iniezione.
La terapia disease modifying prevede la frequente somministrazione dei farmaci per via
iniettiva e questo può risultare uno tra i fattori ostacolanti più importanti per i pazienti che
stanno affrontando un approccio iniziale (Saunders et al, 2010). Le reazioni più comuni
quando i pazienti si avvicinano a questo nuovo mondo sono di paura, evasione, ansia ed
avversione (Cox, 2006). I pazienti che si auto-somministrano la terapia hanno un’aderenza
più elevata rispetto a quelli, invece, che si fanno aiutare da qualcuno (Fraser et al, 2004). In
uno studio condotto da Mohr e colleghi (2001) si è potuto osservare che il 50% dei pazienti
ha previsto l’incapacità ad eseguire l’iniezione nel lungo termine, ma questo timore non ha
mai successivamente ostacolato l’aderenza al regime terapeutico (Mohr et al, 2001). Perciò i
pazienti che trovano difficoltà ad auto-somministrarsi la terapia devono essere
meticolosamente informati ed educati in modo da far comprendere la necessità della stessa.
Una volta afferrata questa esigenza e disponendo di tutte le informazioni necessarie il
processo sarà maggiormente facilitato (Costello et al, 2008). Il primo passo è quello di
dissipare i timori dei pazienti circa la sicurezza delle iniezioni; ciò può essere realizzabile
educando i soggetti sulla preparazione più appropriata del farmaco e sulla giusta tecnica di
iniezione (Cox & Stone, 2006). Ad esempio, alcuni pazienti possono essere intimoriti dal
fatto che la presenza della bolla d’aria nella siringa potrebbe causare degli effetti collaterali,
24
o che iniettando il farmaco da soli potrebbero procurarsi del male. In realtà, la sua presenza
può contribuire a rendere meno disagevole le iniezioni, poiché l’aria contribuisce a purificare
l’ago prima del suo ritiro, lasciando così meno farmaco che potrebbe irritare il tessuto.
Spiegare ciò e sottolineare che queste complicazioni sono altamente improbabili, soprattutto
se l’iniezione viene eseguita in modo asettico e con la tecnica corretta, può aiutare il paziente
a superare questi timori (Costello et al, 2008). L’infermiere può fare molto per contrastare
questi timori, a partire dall’addestramento iniziale alla terapia e insegnando le tecniche di
iniezione più appropriate. Dispositivi come l’autoiniettore e i sistemi di somministrazione
con aghi più sottili possono ridurre l’incidenza di reazioni al sito di inoculazione, il disagio e
l’ansia correlati. I nuovi ausili elettronici possono addirittura memorizzare il corretto
dosaggio ed essere personalizzati per ogni paziente (Lugaresi, 2009).
Un fattore che può influenzare positivamente l’aderenza può essere quello di persuadere gli
atteggiamenti dell’assistito nei confronti della terapia. Ad esempio, cambiare il paradigma da
“l’iniezione è qualcosa che fai a te stesso” a “è un qualcosa che fai per te stesso” può aiutare
i pazienti a riconquistare l’empowerment, in quanto essi sono realmente partecipi del
trattamento (Saunders et al, 2010).
Circa il 7-22% della popolazione generale ha la fobia dell’ago (Cox & Stone, 2006), e per i
pazienti affetti da SM, la paura degli aghi può essere un fattore ostacolante l’aderenza.
Riconoscere questa fobia e affrontarla in tempo può migliorare l’auto-efficacia del soggetto.
Per ridurre questa paura gli infermieri possono insegnare ai pazienti alcune tecniche di
rilassamento come la respirazione profonda, il rilassamento muscolare e la “riformulazione
di pensieri positivi”. Avere una persona accanto che assista durante la somministrazione
della terapia o avere in dotazione un autoiniettore può ridurre il dolore e prevenire le reazioni
cutanee derivate dalle iniezioni (Mohr et al, 2001).
Mancanza di efficacia percepita.
Il trattamento disease modifying modifica la risposta immunitaria ma non guarisce il
soggetto dalla malattia, i pazienti, quindi, possono continuare ad avvertire la sintomatologia
e incorrere in diverse ricadute. Alcuni pazienti credono che il loro trattamento non sia
realmente efficace, poiché o non traggono un immediato giovamento, o avvertono dei nuovi
sintomi. Questa mancanza di efficacia percepita può essere il risultato di aspettative
25
idealizzate sulla terapia (Costello et al, 2008). A differenza di alcune terapie iniettabili, come
l’insulina, che offre un riscontro oggettivo immediato del beneficio (es. misurazione della
glicemia), non è stato tuttora trovato alcun marcatore specifico che possa determinare nel
breve termine l’efficacia del farmaco utilizzato nel trattamento DMT. Gli studi eseguiti
mostrano che la mancanza di efficacia percepita è responsabile del 30-52% delle interruzioni
totali (Tremlett & Oger, 2003; Rio et al, 2005). Tremlett e Oger (2003) hanno appurato che
questo è uno dei fattori maggiormente riportati dai soggetti nell’ostacolare la terapia con IFN
beta iniziata da più di un mese. In un altro studio, Mohr e colleghi (2001) hanno scoperto
che, prima dell’inizio della terapia, il 57% dei pazienti aveva delle aspettative irrealistiche e
troppo ottimistiche della capacità potenziale del trattamento di ridurre le recidive, e il 34%
ha avuto aspettative simili circa la capacità della terapia di migliorare lo stato funzionale
(Mohr et al, 2001). Difficile, inoltre, è convincere i pazienti con diagnosi di sindrome
clinicamente isolata (CIS) ad iniziare una terapia disease modifying, poiché non riportano
necessariamente dei sintomi e sentendosi bene non comprendono la necessità di incorrere in
una terapia così impegnativa. È inoltre una sfida convincere gli stessi dei risultati di
miglioramento a lungo termine, in particolare se questi sono in un processo di negazione
della malattia. Queste sfide non sono solamente appartenenti ai pazienti con diagnosi recenti,
gli infermieri possono anche incontrare difficoltà simili con pazienti che convivono da anni
con la malattia e che si sentono bene, e quindi fuori dal pericolo di una ricaduta. Al
contrario, i pazienti che incorrono in una riacutizzazione, possono essere disposti a provare
una varietà di terapie, indipendentemente dai probabili effetti collaterali, e possono essere
facilmente convinti a mantenerne la somministrazione nel tempo (Saunders et al, 2010).
Temprare le false aspettative e nel contempo rinforzare il senso di speranza riguardo
l’efficacia del trattamento sono aspetti fondamentali nella relazione che si viene a instaurare
fra paziente e medico/infermiere (Saunders et al, 2010). Educare il paziente significa anche
trovare il giusto equilibrio tra speranza e realismo del progetto terapeutico (Ross, 2008).
Spiegando che lo scopo di questi farmaci è quello di prevenire la progressione della malattia
e non quello di curarla, è possibile ridurre sentimenti come la disperazione, soprattutto se il
paziente incorre in una riacutizzazione. Un’analogia può essere fatta utilizzando un esempio
molto banale come quello dell’ “assicurazione dell’auto”: fare un’assicurazione non significa
rendere migliore e più bravo un automobilista, e pagare per averla non offre alcun beneficio
finché non si ha un incidente, tuttavia quando si verifica, l’assicurazione può essere uno
26
strumento molto prezioso. Analogamente, sottoporsi ad un trattamento iniettabile, come
quello previsto per la SM, non indica che fornisca un vantaggio immediato e tangibile nella
vita del paziente, però, se si verifica una ricaduta, questi trattamenti possono rivelarsi
preziosi e indispensabili per ridurre la gravità dei danni nel lungo termine e prevenire la
progressione della malattia. A causa della variabilità e imprevedibilità della malattia, è
necessario rivalutare ogni tipo di aspettativa del paziente. Quando la diagnosi viene
confermata non vi è alcun modo per impostare un percorso prognostico ideale, poiché il
decorso e la progressione della malattia sono indipendenti e uniche per ogni paziente;
pertanto, la gestione della malattia deve essere continuamente adattata nel tempo (Saunders
et al, 2010; Costello et al, 2008).
Educare il paziente affetto da SM recidivante-remittente riguardo le opzioni di trattamento
comporta trovare il giusto equilibrio tra speranza e realismo: devono essere presentati tutti i
benefici della terapia insieme ad una valutazione esaustiva dei limiti e dei rischi del
trattamento. I due fattori che vengono citati maggiormente sono la mancanza di efficacia
percepita e gli eventi avversi. Sapere cosa aspettarsi e cosa, invece, non aspettarsi dalla
terapia ed essere sicuri di poter avere l’appoggio continuo del clinico e/o dell’infermiere
durante il trattamento può ridurre il numero di pazienti che non sono in grado di gestire la
terapia correttamente o che decidono di sospenderla (Ross, 2008). In uno studio Mohr e
colleghi (1996) hanno potuto osservare che circa il 50% dei pazienti trattati con IFN beta ha
avuto delle aspettative irrealistiche sul trattamento; il 20% ca. ha interrotto la
somministrazione entro i 6 mesi e il 64% ha riferito un eccessivo ottimismo riguardo la
terapia. È di estrema importanza che l’intero staff sanitario spieghi ai pazienti che il
trattamento immunomodulante non fornisce sollievo dai sintomi, né la cura, bensì attenua la
progressione della malattia riducendo il numero di ricadute e il danno all’intero SNC. Dopo
aver ricevuto queste informazioni, la comprensione del paziente dovrebbe essere rivalutata
poiché lo stesso, soprattutto sotto stress, non può essere in grado di assimilare in modo
completo tali spiegazioni (Smtrka et al, 2010).
Chiedere al paziente quante somministrazioni sono state saltate o impiegare dispositivi con
monitoraggio elettronico delle iniezioni può aiutare a comprendere meglio il livello di
aderenza dello stesso (Bruce et al, 2010; Smtrka, 2010).
27
Eventi avversi.
Anche gli eventi avversi rappresentano uno dei fattori più importanti di non-aderenza alla
terapia disease modifying e alcuni studi riportano che il 14-51% dei pazienti spezza la
continuità della terapia proprio per questo motivo (O’Rourke & Hutchinson, 2005; Ruggieri
et al, 2003; Clerico et al, 2007). Negli studi clinici condotti sull’IFN beta, gli eventi avversi
più comuni che portano ad un intervento clinico (interruzione, regolazione del dosaggio,
necessità di terapia concomitante) sono i sintomi simil-influenzali, la depressione, le reazioni
cutanee, e i livelli elevati di enzimi nel sangue (Rebif®, 2008; Avonex®, 2006; Betaseron®,
2007). In uno studio retrospettivo condotto da O’Rourke e Hutchinson (2005) su 394
pazienti affetti da SM in trattamento con IFN beta da 8 anni (non oltre), gli eventi avversi più
comuni che portarono all’interruzione della terapia sono stati: sintomi simil-influenzali
(23%), depressione (21%), fatica (16%), e reazioni cutanee al sito di inoculazione (16%). In
uno studio condotto su copolimero-1, gli eventi che hanno necessitato di interventi clinici
sono stati le reazioni cutanee, la vasodilatazione, la tachicardia, i tremori, e la depressione
(Copaxone®, 2007). I sintomi simil-influenzali possono verificarsi entro 2-6 ore dalla
somministrazione e si risolvono entro le 24 ore. I pazienti devono comprendere il fatto che il
farmaco non provoca loro l’influenza propriamente detta, bensì è possibile che si verifichino
sintomi molto simili. Informare il paziente di quali siano i sintomi specifici, piuttosto che
utilizzare il termine “sintomi simil-influenzali”, può aiutare ad alleviare le preoccupazioni in
taluni soggetti. Al fine di ridurre la gravità della sindrome è possibile iniziare la terapia con
IFN somministrando solo un quarto della dose e raggiungere il dosaggio completo nell’arco
di 4-6 settimane (Langer-Gould et al, 2004). Gli effetti collaterali degli IFN possono essere
mitigati dalla somministrazione di comuni antinfiammatori non steroidei 4 ore prima e/o 4
ore dopo l’iniezione del farmaco, tuttavia l’assunzione cronica di FANS può determinare un
aumento della frequenza delle reazioni al sito di iniezione (Rio et al, 1998). Strategie non
farmacologiche comprendono la somministrazione serale delle iniezioni o nei giorni in cui il
paziente non debba svolgere attività stressanti (Langer-Gould et al, 2004).
Le reazioni sistemiche provocate dall’iniezione di glatiramer acetato sono caratterizzate dalla
comparsa di vampate, dolore toracico, palpitazioni, ansia, dispnea, costrizione alla gola, e
orticaria. La sintomatologia può durare da 30 secondi a 30 minuti, e può anche verificarsi
dopo diversi mesi dall’inizio della terapia. Queste reazioni tendono a risolversi
28
spontaneamente, sono autolimitanti, e solitamente non necessitano di un trattamento. Per i
casi in cui queste reazioni persistano e inducano il paziente a ridurre o a interrompere la
terapia, è indicato cambiare tipo di trattamento. È fondamentale, comunque, informare
l’assistito circa il rischio di insorgenza delle reazioni sistemiche, della loro temporaneità, e
che non sono da considerarsi in alcun modo nocive (Langer-Gould et al, 2004).
Approssimativamente il 10% dei pazienti in trattamento con glatiramer acetato si lamenta di
una reazione post-iniezione caratterizzata da vampate di calore, tachicardia, e dispnea
(Copaxone®, 2007). Sebbene questa sintomatologia tenda a risolversi in pochi minuti, può
spaventare soprattutto coloro che da poco si sono approcciati alla terapia (Costello et al,
2008). In letteratura sono riportati, inoltre, numerosi casi di lipoatrofia associati all’utilizzo
di glatiramer acetato (Drago et al, 1999; Edgar et al, 2004; Soos et al, 2004). Nello studio
condotto da Edgar e colleghi (2004), 34 su 76 pazienti hanno sviluppato tale effetto
collaterale, e ben 12 pazienti (35%) hanno interrotto la terapia.
Per attenuare o evitare le reazioni cutanee al sito di inoculazione e il dolore associato
possono essere adottati vari accorgimenti. I pazienti devono essere informati su vari aspetti:
ruotare regolarmente il sito di iniezione, lavare accuratamente le mani e disinfettare il sito
per evitare il contagio, lasciare riscaldare il farmaco a temperatura ambiente, raffreddare il
sito con ghiaccio per 30-60 secondi prima dell’auto-somministrazione per ridurre il gonfiore
e il dolore. In alternativa, alcuni pazienti possono trarre giovamento con impacchi caldi
anziché freddi. Le iniezioni intradermiche dolorose possono essere evitate assicurandosi di
penetrare completamente sotto la superficie della pelle con l’ago. L’uso di un autoiniettore
può in tal senso favorire il raggiungimento di un’appropriata profondità. Se necessario,
possono essere impiegati degli anestetici locali (es. lidocaina) per prevenire il dolore al sito
di iniezione (Langer-Gould et al, 2004).
Nella tabella 1.1 vengono riassunti i principali effetti collaterali causati dall’iniezione dei
farmaci DMT e alcuni interventi da applicare per il disagio da iniezione del farmaco.
29
Tabella 1.1 Effetti collaterali da immunomodulanti e loro gestione (Walther & Hohlfeld, 1999;
Moses & Brandes, 2008).
Effetto collaterale Gestione dell’effetto collaterale
Reazioni al sito di iniezione (maggiore
incidenza per gli IFN s.c.):
dolore
reazioni cutanee (gonfiore,
arrossamento, bruciore,
indurimento)
necrosi cutanea (in rari casi)
Assistenza e training da parte di infermiere specializzato.
Meticolosa rotazione delle sedi di iniezione.
Adeguato riscaldamento (fino a temperatura ambiente) della
soluzione.
Tecnica di procedura sterile.
Corretto inserimento dell’ago con angolo di 90° rispetto alla cute.
Utilizzo dell’auto-iniettore.
Nessuna esposizione della cute ai raggi ultravioletti.
Ghiaccio sulla cute prima e dopo l’iniezione.
Utilizzo di FANS per gestire il dolore.
Uso di corticosteroidi topici.
Trattamento appropriato delle ulcerazioni nei casi di necrosi.
Sintomi simil-influenzali (con IFN)
Preparare il paziente attraverso un’adeguata informazione.
Adottare un adeguato schema di titolazione.
Somministrare paracetamolo/ibuprofene 30 minuti prima
dell’iniezione ed eventualmente ripetere tale somministrazione
dopo 4-6 ore.
Cambiare l’ora dell’iniezione.
Ridurre la dose del 25-50% per 3-4 settimane e quindi
incrementarla gradualmente.
Reazioni sistemiche post-iniezione
(con GA)
Istruire il paziente sulla possibile occorrenza di flush, costrizione
toracica, ansietà, dispnea, dolore retrosternale, palpitazione,
orticaria.
Far capire al paziente che la reazione è autolimitante e che non
deve preoccuparsi.
Contattare il medico o rivolgersi al PS solo se i sintomi superano
i 15-20 minuti.
30
Compiacimento del paziente.
Attraverso il dialogo potrebbero emergere altri potenziali fattori ostacolanti l’aderenza. Una
di queste barriere è il “compiacimento” del paziente, inteso come periodo in cui lo stesso non
avverte una sintomatologia ben definita e desidera non sottoporsi più al trattamento. Infatti,
la terapia disease modifying è spesso prescritta quando il paziente è in fase remittente,
rendendo, perciò, più difficile il processo terapeutico in quanto il soggetto si sente
apparentemente bene. Inoltre, i soggetti che sono stati in terapia per un periodo e non hanno
avuto alcuna recidiva o alcun segno di progressione possono pensare di non avere
necessariamente bisogno dell’auto-iniezione regolare come da indicazioni o prescrizione
(Cohen, 2006).
Difficoltà soggettive del paziente.
Un altro dei problemi rilevanti fra i pazienti che ricevono un trattamento a lungo termine è la
tendenza di taluni soggetti a stancarsi della ripetitività della terapia. Dopo diversi anni di
auto-iniezioni alcuni pazienti sono esausti del processo terapeutico e le restrizioni dovute alla
terapia incidono inevitabilmente sulle loro vite. Inoltre, i soggetti in terapia
immunomodulante potrebbero perdere le abilità ad auto-iniettarsi il farmaco: in alcuni casi si
tratta solamente di una forma di “compiacimento”, in altri può essere correlato a lievi deficit
cognitivi o funzionali associati alla SM. I deficit cognitivi causati dalle lesioni, infatti,
possono interferire nel processo mnemonico del paziente, rendendo più difficoltoso
ricordarsi la procedura. I disturbi di tipo motorio possono ostacolare la capacità di alcuni
soggetti di auto-somministrarsi la terapia (Costello et al, 2008).
Depressione.
Anche la depressione e la fatica possono ostacolare l’aderenza terapeutica (Saunders et al,
2010; Costello et al, 2008). Ciò che è noto è che la presenza di depressione è elevata fra i
pazienti affetti da SM ed è il fattore più importante che porta al rischio di suicidio
(Chwastiak & Ehde, 2007; Treadaway et al, 2009). Una volta riconosciuta può essere curata,
ma il centro deve disporre di tutti i mezzi per contrastarla (Saunders et al, 2010). Indagare
sul disagio ed esplorare il vissuto del soggetto con molta attenzione, spiegando che le cause
sono biologiche, e che si tratta di una malattia curabile, può facilitare il processo di
guarigione da essa. Infatti, molti pazienti hanno il desiderio che siano i membri del team
31
sanitario ad avviare una discussione sulla loro condizione patologica, permettendo così di
sfogare le preoccupazioni e le emozioni vissute (White et al, 2007).
Fiducia nella figura medico-assistenziale.
Un’altra variabile che incide sull’aderenza è il livello di fiducia nella figura medico-
assistenziale di riferimento (Trachtenberg et al, 2005). Il paziente affetto da SM potrebbe
sentirsi particolarmente vulnerabile, e questa vulnerabilità è responsabile nel determinare il
livello di fiducia nello stesso (Shenolikar et al, 2004). Promuovere il concetto di alleanza può
contribuire a generare un senso di fiducia tra paziente e operatore sanitario, che, in ultima
analisi, conduca l’assistito ad aderire strettamente al suo regime terapeutico e alle
raccomandazioni dei medici (Hall et al, 2002). Essere di conforto al paziente, ascoltarlo
attentamente e con empatia, incoraggiarlo nella formulazione di domande e rispondere in
modo comprensibile sono stati associati ad un livello di fiducia più alto fra le due figure
(Thom & Stanford Trust Study Physicians, 2001).
Supporto familiare.
Altre variabili che possono incidere sull’aderenza sono la struttura e il supporto familiare
(Costello et al, 2008). La diagnosi di una malattia colpisce oltre che il singolo anche l’intera
struttura familiare del paziente. È di estrema importanza ricordare che gli individui, le
coppie, e le famiglie possono sviluppare differenti stili di coping verso la malattia.
Incoraggiare i caregiver a presentarsi agli appuntamenti concordati può rivelarsi una
strategia preziosa, poiché hanno anch’essi la possibilità di ascoltare le informazioni che
vengono fornite al paziente e per cui possono essere di supporto nel momento in cui il
paziente non ricordi ciò che il team assistenziale ha spiegato loro riguardo il futuro
trattamento; inoltre, la presenza del caregiver può fornire una moltitudine di indizi circa le
abitudini di aderenza del paziente. Infine, devono essere messi al corrente sul fatto che la
loro collaborazione con i membri del team sanitario è essenziale, poiché il loro supporto, i
feedback, e il conforto sono necessari per il benessere dell’assistito (Saunders et al, 2010).
Una difficoltà da non sottovalutare può essere quella di decidere se informare i propri figli
della malattia. Tuttavia, parlare della propria condizione può portare a unire sempre più
l’intero nucleo familiare. Esporsi alle domande e curiosità dei propri figli e discuterne con
32
essi può rimuovere col tempo un’enorme quantità di pressioni che si erano instaurate in
entrambe le parti (Saunders et al, 2010).
L’intera equipe deve essere sensibile agli aspetti culturali dei pazienti e delle loro famiglie, e
deve affrontare delicatamente i dialoghi con essi, altrimenti vi sarebbe la possibilità di
minare i ruoli e l’intera struttura familiare (Saunders et al, 2010).
Lontananza dal centro di cura.
I soggetti che abitano nelle zone rurali sono tendenzialmente più a rischio di non-aderenza
poiché possono avere minori contatti coi fornitori dei servizi sanitari; è utile, perciò,
consegnare loro tutto il materiale illustrativo e scritto perché possano avere tutte le
informazioni per affrontare meglio il trattamento (Saunders et al, 2010).
Secondo l’esperienza clinica di Saunders e colleghi (2010) una preziosa risorsa sia per il
paziente che per la sua famiglia può rivelarsi frequentare dei gruppi di sostegno, soprattutto
nelle prime fasi della malattia.
Stabilità dello stile di vita.
Infine, è da ricordare l’importanza che ha la stabilità nello stile di vita. La modifica dei ruoli
personali o professionali può colpire i pazienti in modo drammatico. L’idea di perdere la
capacità di essere produttivi e di non poter fornire un reddito può spaventare il soggetto
affetto dalla malattia, specialmente quando il desiderio di realizzare questi obiettivi è ancora
intatto. Questi pensieri possono evolvere in sentimenti negativi come la disperazione e
aumentare il rischio di depressione. Tutto ciò non sarà altro che d’ostacolo all’aderenza del
paziente (Bruce et al, 2010; Saunders et al, 2010).
Nella seguente tabella sono sintetizzate le principali strategie per promuovere l’aderenza
finora trattate.
Tabella 1.2 Strategie per mantenere e promuovere l’aderenza (Saunders et al, 2010; Costello
& Halper, 2010)
Rafforzare l’educazione/informazione ripetutamente in maniera chiara e comprensibile
Stabilire una relazione basata sulla fiducia
Rendersi disponibili e reperibili
Indagare riguardo la concezione che il paziente ha della propria vita e della sua patologia, le auto-
33
1.9 RUOLO DELL’INFERMIERE
Poiché in genere gli infermieri hanno contatti frequenti con i pazienti, sono in una posizione
ideale per stabilire con essi delle relazioni e fornire loro interventi di supporto (Ross, 2008).
Gli infermieri sono in grado di educare e di fornire informazioni circa le corrette tecniche per
l’auto-somministrazione della terapia immunomodulante, i metodi più opportuni per ridurre
gli eventi avversi causati dalle iniezioni, e i comportamenti di auto-cura che minimizzino
l’impatto che ha la malattia sulla vita di ogni giorno (Webb, 2008). Gli infermieri
rappresentano una risorsa importante nel progetto educativo del paziente e come figura di
supporto al nucleo familiare, migliorando l’aderenza e gli outcome del trattamento
(Baumhackl, 2008). In particolare, il ruolo dell’infermiere permette un’osservazione attenta
e diretta delle variabili relative all’aderenza, che sono in continua evoluzione (Costello &
Halper, 2010).
L’infermiere, al momento della diagnosi e durante il decorso della malattia, è una risorsa
preziosa per valutare i bisogni educativi dei pazienti e dei loro caregiver ed ampliare le
conoscenze in merito, esplorare il vissuto mitigando sentimenti come la paura e rafforzando
quelli, invece, come la speranza che possono influire sull’aderenza (Costello & Halper,
2010).
La comunicazione della diagnosi di una malattia, come la SM, è un momento critico nel
rapporto paziente/clinico e deve essere trattato con molta cautela. Questo è importante da
ricordare specialmente per le situazioni in cui si ha a che fare con pazienti molto giovani e
iniezioni e i corrispettivi eventi avversi, e le sue aspettative
Favorire un clima di condivisione sincera, così da poter appurare i momenti di non-aderenza del paziente
alla terapia
Coinvolgere nel piano terapeutico i caregiver
Incitare il paziente e/o il caregiver a memorizzare o prendere nota delle informazioni durante gli incontri
Fornire un ambiente privo di distrazioni
Incoraggiare i pazienti a coinvolgere anche i propri figli
Identificare i tratti distintivi della depressione e trattarla adeguatamente
Esaminare i siti di iniezione per escludere la presenza di reazioni cutanee
Fornire chiarificazioni periodiche circa la tecnica di iniezione e la scelta dei sit i
Fornire risorse online e siti accessibili (es. National Multiple Sclerosis Society)
34
che non comprendono nell’immediato la reale gravità della malattia, soprattutto quando il
quadro patologico può sembrare inesistente per l’assenza di riacutizzazioni e di
sintomatologia conclamata. I pazienti dovrebbero essere incoraggiati a coinvolgere il loro
caregiver ad ogni visita e, in particolare, alle sessioni di formazione relative alle modalità di
auto-somministrazione del farmaco. Potrebbero divenire necessarie diverse visite per
solidificare il regime terapeutico, e all’inizio della terapia dovrebbero essere svolte frequenti
visite di follow-up (Smrtka et al, 2010).
Il paziente che partecipa all’incontro educativo con l’infermiere (addestramento alla terapia)
e che subisce un’esperienza negativa (spiegazione affrettata, informazioni trasmesse in modo
parzialmente comprensibile, altro..) può avere difficoltà a mantenere un rapporto duraturo e
basato sulla fiducia. Può ricordarsi di questa esperienza come un processo sottovalutato dal
personale sanitario, soprattutto se vi sono state interruzioni e/o distrazioni durante
l’addestramento, una presentazione troppo frettolosa e mancanza di contatto visivo con
l’assistito (Smrtka et al, 2010).
La scelta di un agente disease modifying viene fatta in collaborazione fra paziente e clinico,
in base alla vita di ogni singolo assistito e il profilo clinico generale. I pazienti hanno
bisogno di informazioni circa l’efficacia del trattamento, la tollerabilità, i potenziali effetti
collaterali e la possibilità di disporre di un dispositivo che faciliti l’auto-somministrazione
del farmaco (Ben-Zacharia & Lublin, 2009). Una spiegazione completa, rispettosa ed
empatica del trattamento crea dei punti cardine nella relazione terapeutica fra infermiere e
paziente (Smrtka et al, 2010).
Nel progetto educativo, l’infermiere deve indagare i possibili preconcetti e paure che ogni
paziente ha nei confronti della propria malattia e verso il trattamento: sebbene la diagnosi
possa essere di per sé devastante, oggi è possibile accedere a una serie di progetti terapeutici
altamente efficaci e che sono pronti ad espandersi sempre più nell’immediato futuro. Questo
messaggio di speranza e di empowerment, se trasmesso in maniera chiara, può aiutare il
paziente ad accettare la sua condizione e migliorare di conseguenza tutti i differenti stili di
coping verso la malattia (Smrtka et al, 2010). Gli stili di coping verso la malattia possono
essere diversi tra soggetto e soggetto. Alcuni pazienti potrebbero non sentirsi condizionati
rispetto la scelta del trattamento fino a che anche gli altri componenti della famiglia non
siano decisi ad impegnarsi nel progetto terapeutico. Se i soggetti non hanno realizzato a tutti
35
gli effetti la presenza della malattia, o hanno dubbi riguardo l’efficacia del trattamento, o
hanno ricevuto informazioni da fonti diverse e magari non attendibili, l’educazione potrebbe
divenire difficoltosa. In questi casi, è importante che l’infermiere mantenga un
atteggiamento consono rispettando i pensieri altrui e mantenendo il rapporto di
comunicazione senza creare alcuna pressione (Goodin & Bates, 2009).
Alcuni spunti di discussione da affrontare col paziente che inizia un trattamento disease
modifying sono elencati nella seguente tabella (Smrtka et al, 2010; Ben-Zacharia & Lublin,
2009):
Tabella 1.3 Approccio educativo al paziente che inizia un trattamento disease modifying
Iniziando e mantenendo il trattamento immuno-modulante, sta assumendo un ruolo attivo nella
gestione della sua malattia.
La maggior parte dei pazienti generalmente tollera bene la terapia e gli effetti collaterali possono
essere gestiti attivamente.
È stato dimostrato che la DMT può alterare il decorso della SM recidivante-remittente nella maggior
parte dei pazienti riducendo il numero delle ricadute e ritardando la progressione della malattia.
Gli agenti immuno-modulanti non sono una cura definitiva della SM e non riducono i sintomi
correlati durante il corso di una ricaduta. Altri farmaci, come gli steroidi, vengono impiegati nel
trattamento dei sintomi dovuti alla riacutizzazione.
È importante aderire fedelmente al regime terapeutico, sebbene non si sentano necessariamente dei
giovamenti.
Nonostante non ci sia un modo preciso per misurare l’efficacia delle terapie immuno-modulanti, il
decorso della malattia può essere valutato utilizzando degli strumenti clinici oggettivi, come l’esame
obiettivo del paziente, l’esame neurologico, la risonanza magnetica e i risultati di alcuni test.
Gli agenti immuno-modulanti differiscono nel loro meccanismo di azione e nei loro effetti collaterali,
e il loro impatto varia da paziente a paziente. Se non si risponde in modo ottimale ad un agente vi è la
possibilità di provarne un altro.
Imparare e saper gestire l’auto-iniezione La aiuta a prendere il controllo della situazione e ad essere
indipendente. Se non è in grado di auto-somministrarsi la terapia è possibile avere comunque un
ruolo attivo nel processo terapeutico in altri modi, ad esempio imparando la tecnica corretta e
assistendo la persona che segue la procedura.
Le terapie per la SM recidivante-remittente si sono evolute nel corso degli anni e aprono uno
spiraglio di speranza per il futuro.
36
Opportunità di educazione per l’infermiere.
La capacità dei soggetti di memorizzare e comprendere ciò che li viene spiegato durante gli
incontri educativi varia nel tempo. La realizzazione dell’apprendimento del paziente avviene
sfruttando il metodo educativo più adeguato e rinforzando continuamente tutte le
informazioni di cui necessita. Per esempio, dopo le prime visite avrà memorizzato solo
alcune delle tante informazioni ricevute, in particolare quelle relative ai benefici e rischi
correlati della terapia DMT. Per migliorare l’apprendimento è utile fornire materiale
aggiuntivo scritto come articoli che diano chiarificazioni riguardo il trattamento, opuscoli
informativi, materiale audiovisivo educativo, e risorse online a cui poter accedere in ogni
momento. Anche i gruppi di supporto sono una valida risorsa per produrre dei risultati di
apprendimento positivi (Smtrka et al, 2010). Il modello transteorico del cambiamento è in tal
senso utile per creare diverse strategie favorenti l’aderenza terapeutica (Holland et al, 2001;
Prochaska et al, 1994). Questo modello è specifico del cambiamento intenzionale che si
focalizza sul processo decisionale dell’individuo e prende in esame emozioni, cognizioni e
comportamenti dei soggetti; si basa sul concetto di stadio del cambiamento adattativo in
risposta alla scoperta della propria malattia, in quanto il cambiamento, come quello che
avviene per la SM, è un processo che si compie nel tempo (Smrtka et al, 2010). Nella tabella
1.4 viene riportato tale modello.
37
Tabella 1.4 Educazione nei vari stadi di adattamento alla SM recidivante-remittente
(Holland, 2008; Smrtka et al, 2010)
Precontemplazione: stadio in cui vengono prese in considerazione possibilità di cambiamenti nel
corso dei successivi 6 mesi. Le persone possono trovarsi in questa fase per la carenza o l’assenza di
informazioni sulle conseguenze del proprio comportamento, oppure possono aver tentato di
cambiare senza riuscirci, e per questo si sentono demoralizzate o sfiduciate nelle loro capacità di
cambiamento/adattamento. Interventi: accertare il livello di comprensione del paziente riguardo il
trattamento e le sue aspettative, e le possibili barriere ostacolanti l’aderenza.
Contemplazione: stadio in cui avviene la consapevolezza del cambiamento. Interventi:
concentrarsi sull’educazione relativa ai rischi associati al non-trattamento e chiarire gli obiettivi. I
pazienti devono essere in grado di descrivere le caratteristiche del loro progetto terapeutico.
Determinazione: stadio in cui vi è la decisione di agire in base a un piano di azione. Interventi:
sviluppare un piano accettabile di trattamento col paziente, compresi i dettagli del regime
terapeutico e la pianificazione degli interventi da attuare riguardo la terapia iniettiva. Coinvolgere
tutte le parti facenti parte del progetto, inclusi i familiari.
Azione: stadio in cui si mettono in atto le modifiche pianificate, facendo attenzione al rischio di
ricadute da parte del soggetto. Interventi: rendersi disponibili a chiarificare i punti di incertezza e
fornire un sostegno costante anche per mezzo telefonico.
Mantenimento: stadio in cui ci si sforza a mantenere ciò che si è raggiunto. Interventi: fornire un
sostegno costante con la possibilità di fissare degli incontri di follow-up. Se il paziente ha dubbi
riguardo la sua situazione è necessario rendersi disponibili per rinforzare il “mantenimento”.
38
CAPITOLO 2
Educazione al paziente affetto da sclerosi multipla in
trattamento con terapia immunomodulante:
studio descrittivo
2.1 OBIETTIVI DELLO STUDIO
L’obiettivo dello studio è quello di:
a) descrivere i possibili fattori ostacolanti l’aderenza alle terapie disease modifying di un
gruppo di pazienti seguiti presso il Centro Sclerosi Multipla del day hospital
neurologico dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “S. Maria della Misericordia” di
Udine;
b) confrontarli con quelli riportati in letteratura;
c) descrivere l’attuale modello di educazione erogato ai pazienti affetti da sclerosi
multipla in trattamento immunomodulante (DMT auto iniettive), seguiti dal
medesimo Centro;
d) descrivere il livello di percezione del paziente rispetto l’addestramento e i vari
momenti di educazione.
L’obiettivo secondario sarà quello di predisporre in futuro un piano educativo sulla base dei
risultati ottenuti.
2.2 DISEGNO DI STUDIO
Per raggiungere gli obiettivi preposti è stato utilizzato un disegno di studio di tipo
descrittivo. È stato somministrato un questionario strutturato ai pazienti affetti da sclerosi
multipla in trattamento immunomodulante di tipo auto-iniettivo che accedevano presso gli
39
ambulatori di Sclerosi Multipla dell’A. O. U. S.M.M ed è stata somministrata una scheda
auto-compilativa agli infermieri coinvolti nel processo educativo dei pazienti affetti da SM
in trattamento immunomodulante, presso il medesimo reparto. Tale scheda è stata elaborata
al fine di descrivere l’attuale modello di educazione erogato.
La partecipazione dei pazienti allo studio è stata libera: l’informazione delle finalità è stata
verbale e presentata in forma scritta. Agli utenti del servizio è stato richiesto il consenso alla
partecipazione alla raccolta dati e al trattamento dei dati personali garantendo l’anonimato e
la riservatezza dei dati raccolti (Allegato 1: Modulo per il consenso).
2.3 PROCEDURA DI RACCOLTA DATI
È stato somministrato un questionario strutturato, anonimo e auto-compilativo; il
questionario è stato specificatamente elaborato per identificare le variabili che
possono incidere sull’aderenza terapeutica. Per procedere alla stesura del
questionario con la finalità di identificare i temi di approfondimento è stata effettuata
una revisione della letteratura specifica e sono stati intervistati alcuni infermieri
esperti che prestano servizio presso il reparto day hospital neurologico. Prima di
essere somministrato è stato testato da un piccolo gruppo di pazienti (5 unità) che
successivamente non hanno partecipato allo studio.
Per ciascun partecipante è stata raccolta una scheda generale in ordine alle seguenti
variabili (sesso, età, nazionalità, scolarità, condizione lavorativa, presenza o meno di
supporto familiare convivente, presenza di patologie concomitanti), sono state
raccolte informazioni rispetto alla malattia e il trattamento farmacologico: da quanto
tempo il paziente è affetto da sclerosi multipla e da quanto tempo è in trattamento
farmacologico; informazioni riguardanti il progetto educativo: a quanto tempo risale
il primo addestramento, quale figura professionale ha svolto il primo intervento;
Sono state indagate variabili quali:
durata dell’addestramento alla terapia e percezione dei pazienti rispetto a
completezza e comprensibilità delle informazioni ricevute;
40
i mezzi e strumenti utilizzati per realizzare l’intervento educativo alla terapia disease
modifying (verbale, scritto, illustrativo, dimostrazione pratica, altro);
percezione dei pazienti rispetto a tipo di comunicazione con il personale, momento di
educazione terapeutica fornita dall’infermiere;
ambiti dell’educazione che necessitano di ulteriori informazioni;
conoscenze possedute dai pazienti in merito agli effetti collaterali provocati dalla
terapia immunomodulante;
abitudini rispetto alla modalità/gestione del trattamento. (Allegato 2: Questionario)
La scheda di compilazione somministrata agli infermieri aveva la finalità di descrivere
l’attuale modello di educazione; le variabili indagate sono riassunte in Tabella 2.1.
Tabella 2.1 Variabili indagate riguardo il modello di educazione fornito all’utente
- Sesso del paziente
- Modalità dell’ intervento - colloquio diretto;
- contatto telefonico.
- Durata dell’intervento - da 0 a 150 minuti.
- Intervento fornito - addestramento a nuovo paziente o
paziente noto;
- controllo ad un mese e completamento
dell’addestramento;
- controllo lesioni cutanee;
- controllo del corretto utilizzo dei
presidi o loro sostituzione;
- gestione della sindrome influenzale;
- consigli su vaccinazioni;
- consigli sui sintomi cronici;
- educazione al riconoscimento dei
sintomi di ricaduta;
- educazione ad autogestione dei
controlli clinici ed accertamenti;
41
- rilascio documentazione (piano
terapeutico, documenti da viaggio);
- pianificazione delle attività in
relazione alla terapia;
- programmazione delle visite
ambulatoriali.
(Allegato 3: Scheda infermieri)
2.4 CAMPIONE
È stato adottato un campione di convenienza (66 unità statistiche); sono stati ritenuti
eleggibili tutti i pazienti affetti da sclerosi multipla che rispondevano ai seguenti criteri di
selezione:
essere utenti del day hospital neurologico dell’A. O. U. S.M.M. di Udine;
essere in trattamento immunomodulante di tipo auto-iniettivo;
avere ricevuto l’addestramento alla terapia da almeno un mese;
avere ricevuto l’addestramento nel day hospital neurologico;
comprendere la lingua italiana;
non presentare disturbi cognitivi;
prestare il consenso alla partecipazione dello studio.
Per la compilazione della scheda relativa agli interventi effettuati dall’operatore sanitario,
sono stati ritenuti eleggibili tutti gli interventi forniti ai pazienti affetti da sclerosi multipla in
trattamento immunomodulante, per un totale di 83 unità statistiche.
La raccolta dei dati è stata effettuata durante il periodo da metà febbraio a metà marzo 2012.
42
2.5 RISERVATEZZA
Prima di procedere alla raccolta dei dati attraverso il questionario è stata richiesta ed ottenuta
l’autorizzazione del Dirigente della SOS Professioni Sanitarie, del Direttore della Neurologia
e del Coordinatore infermieristico del Day Hospital Neurologico dell’A O. U. S.M.M. di
Udine. Sulla prima pagina del questionario venivano descritte le motivazioni dello studio
con la garanzia dell’anonimato dei rispondenti e al momento della consegna ai pazienti
eleggibili, veniva richiesto il consenso informato scritto e fatto firmare, in relazione alla
legge sulla privacy di tutela dei dati personali.
2.6 CRITERI DI ELABORAZIONE DEI DATI
Le variabili indicate sono state codificate per consentire l’analisi statistica e le risposte ai
quesiti del questionario sono state classificate in raggruppamenti per aree concettuali
omogenee e successivamente codificate. I dati sono stati inseriti da un unico operatore nel
software MS Excel e successivamente elaborati con tabella Pivot e con il programma Epi
Info 3.5. I dati delle variabili continue (età dei pazienti, anni di durata della malattia, mesi e
anni di durata della terapia) sono state espresse con media, mediana e deviazione standard.
Nell’analisi di tutte le rimanenti variabili è stato utilizzato il test del Chi-quadro ed è stata
accettata una significatività statistica di P < 0,005.
43
CAPITOLO 3
RISULTATI
Questionario (Allegato 1)
Nel periodo tra metà febbraio e meta marzo 2012, hanno risposto al questionario 66 pazienti;
il 66,67% dei pazienti era di sesso femminile, il 33,33% maschile, e l’età media è di 42 anni
(mediana 41; DS 10,4); l’83% convive con la propria famiglia mentre il restante vive da
solo. Dai dati si evince che il 65% dei pazienti ha una preparazione scolastica medio-alta
(diplomati e laureati), e il 68% ha un impiego lavorativo.
I pazienti che hanno risposto al questionario sono affetti dalla malattia mediamente da 8 anni
(mediana 12; DS 6,9); il 5% ha ricevuto diagnosi entro l’anno. Il 10,61% soffriva anche di
depressione, il 9% di ansia, il 7,58% di ipertensione arteriosa, e solo il 3% di diabete. L’80%
del campione è in terapia immunomodulante di tipo auto-iniettivo in media da circa 5 anni.
Il 62,14% dei pazienti ha ricevuto l’addestramento alla terapia immunomodulante negli
ultimi 4 anni.
Il 98% dei pazienti è stato informato sulla terapia immunomodulante; scorporando i dati si
ricava che le informazioni sono state fornite nel 90,91% dei casi dal medico neurologo, nel
68,18% dall’infermiere, nel 62,12% sia dal medico che dall’infermiere, nel 12% dal Medico
di Medicina Generale, e nel 15% da figure esterne all’ambito sanitario (amici, parenti, altri
pazienti).
In media il tempo dedicato all’addestramento è stato di circa 37 minuti. Il 98,48% dei
pazienti ha avuto un giudizio positivo riguardo la completezza delle informazioni ricevute, il
10,61% le ha definite parzialmente complete. Solo una persona non ha risposto al quesito
somministratogli.
44
Tabella 3.1 Tempo impiegato dall’infermiere nell’addestramento
terapeutico e completezza delle informazioni
Durata %
< 30 minuti 42,42
≥ 30 minuti 40,91
60 minuti 9,09
> 60 minuti 6,06
Completezza informazioni %
Complete 87,88
Parzialmente complete 10,61
Incomplete -
Mettendo in relazione i dati emerge che i pazienti che dichiarano che le informazioni
ricevute sono state parzialmente complete, sono quelli che hanno ricevuto un addestramento
alla terapia di durata inferiore ai 30 minuti, ovvero il 9%. Ciò lo si può notare nella seguente
tabella:
Tabella 3.2 Valutazione sulla completezza delle informazioni ricevute dall’infermiere
in base alla durata dell’addestramento alla terapia
% Completezza % Completezza
parziale
% complessiva
< 30 minuti 33,3 9,1 42,4
≥ 30 minuti 39,4 1,5 40,9
60 minuti 9,1 - 9,1
> 60 minuti 6,1 - 6,1
% complessiva 87,9 10,6 98,5
Il 33% (22/66) dei pazienti dichiara di avere sentito la necessità di richiedere ulteriori
informazioni a conclusione dell’addestramento; di questi, il 68,18% (15/22) le ha richieste
per mezzo della visita di controllo.
I mezzi e strumenti utilizzati per realizzare l’intervento educativo alla terapia disease
modifying sono stati nel 95,45% dei casi quello verbale, nel 90,91% è stata eseguita la
dimostrazione pratica delle modalità di iniezione del farmaco, nel 65,15% dei casi il paziente
45
è stato munito di materiale illustrativo, e nel 59,09% è stato consegnato al paziente del
materiale scritto. Il 97% degli intervistati dichiara di avere ricevuto informazioni
comprensibili: è stato utilizzato un linguaggio consono alle loro conoscenze e impiegato un
tempo adeguato; solo una persona ha dichiarato di non avere ricevuto informazioni chiare,
poiché la spiegazione è stata troppo veloce.
La percezione dei pazienti rispetto al tipo di comunicazione con il personale è stata
pressocchè positiva; come è possibile constatare nella seguente tabella, il 97% dei soggetti
ha espresso di essere stato ascoltato dal personale sanitario, il 90,91% ha considerato il ruolo
dell’infermiere importante per la chiarificazione di alcuni dubbi riguardanti il trattamento
terapeutico, all’87,88% è stata data l’opportunità di esprimersi in modo completo, per
l’87,88% non sono state sottovalutate le proprie esigenze e richieste, e infine il 60,61% ha
potuto avere un rapporto basato sull’empatia.
Tabella 3.3 Comunicazione agevole con il personale sanitario
Caratteristiche % SI % NO
Sono stato ascoltato 96,97 1,52
Il rapporto era basato sull’empatia 60,61 37,88
Mi è stata data l’opportunità di esprimermi in modo completo 87,88 10,61
Sono state sottovalutate le mie richieste/esigenze 10,61 87,88
L’infermiere è riuscito a chiarificare i punti di incertezza 90,91 7,58
Rispetto al setting creato dall’infermiere per l’addestramento alla terapia, scorporando i dati
raccolti ed eliminando dall’elaborazione i pazienti che non hanno risposto a questi quesiti, si
evince che l’infermiere è riuscito a mettere a proprio agio l’assistito nel 98,4% dei casi
(61/62), garantendo la privacy (95,2%; 59/62) e fornendo un luogo adeguato per l’incontro
(93,5%; 58/62). Vi sono state interruzioni solo nel 3% (2/62) dei casi e il luogo adibito
all’addestramento è stato affollato solamente per il 4,8% dei soggetti (3/62).
L’89,39% (59/66) dei pazienti ha dichiarato di conoscere quali sono gli effetti collaterali
provocati dalla terapia immunomodulante. Prevalentemente riconoscono la sindrome
influenzale e le reazioni cutanee al sito di iniezione, quasi il 63% (37/59) la fatica; solo 24
pazienti riconoscono come effetto collaterale l’insonnia, e 25 la depressione. Nella tabella
3.4 sono riportati tali dati:
46
Tabella 3.4 Conoscenze possedute dai pazienti in merito agli
effetti collaterali provocati dalla terapia immunomodulante
Effetto collaterale N (/59) %
Sindrome influenzale 44 74,58
Fatica 37 62,71
Reazioni cutanee al sito di iniezione 46 77,96
Insonnia 24 40,67
Depressione 25 42,37
Nel questionario si chiedeva di esplicitare quali fossero gli ambiti dell’educazione
terapeutica che avevano necessitato di ulteriori delucidazioni: più elevata è stata l’esigenza
di ricevere informazioni per riuscire a riconoscere i sintomi di riacutizzazione della malattia
(43,9%), il 39,4% ha voluto avere consigli riguardo i sintomi cronici e il 31,82% sulle
vaccinazioni (stagionali, di viaggio); il 27,27% dei pazienti ha ritenuto necessario ricevere
informazioni riguardo la gestione della sindrome influenzale; il 19,7% necessitava ulteriori
informazioni riguardo l’utilizzo dei presidi, come l’autoiniettore; mentre solo il 15% dei
soggetti ne ha richieste o ritiene necessario riceverne sulla modalità di somministrazione
della terapia.
Per quanto concerne le abitudini rispetto alla modalità di somministrazione della terapia e
alla gestione dell’auto iniezione, osservando i dati riportati in tabella 3.5, si può notare che: il
95,45% dei pazienti non ha bisogno di eseguire esercizi di rilassamento prima dell’auto
iniezione, e solo una persona su 6 fra quelle che soffrivano di ansia adotta questo tipo di
strategie prima dell’auto somministrazione del farmaco; la terapia disease modifying può
influire sull’attività lavorativa nel 42,42% dei soggetti (28/66): il 46,7% di quelli che
lavoravano al momento dell’intervista (21/45), ha fatto emergere l’influenza che il
trattamento ha sulla propria attività lavorativa. Il 28,79% dei pazienti viene aiutato spesso
durante la somministrazione del farmaco ed emergono differenze statisticamente
significative nella gestione della terapia fra i due sessi: come si può notare è risultato che i
pazienti di sesso femminile si fanno aiutare maggiormente rispetto ai soggetti di sesso
maschile e precisamente nel 24,24% dei casi, mentre i maschi nel 4,55% (P < 0,005).
Riguardo la corretta modalità di preparazione e somministrazione del farmaco, l’88% dei
pazienti sceglie un orario e un posto comodo prima dell’auto iniezione, il 95,4% si lava le
47
mani e disinfetta accuratamente la cute, e l’86% esegue sempre il giro di rotazione del sito di
inoculazione. A più pazienti, circa il 26%, è capitato occasionalmente di pensare che il
trattamento non fosse efficace; infine, se in qualche zona di iniezione permane un’irritazione,
solo il 16,67% consulta sempre l’infermiere.
Tabella 3.5 Abitudini rispetto modalità di somministrazione della terapia e gestione
dell’auto iniezione
Descrizione %
Vengo aiutato spesso durante la somministrazione della terapia 28,79
Prima dell’auto iniezione sono solito fare esercizi di rilassamento 4,55
La terapia, a volte, influisce sulla mia attività lavorativa 42,42
Prima dell’auto iniezione, scelgo un orario e un posto comodo 87,88
Prima dell’iniezione, mi lavo le mani e disinfetto bene la cute 95,45
Eseguo sempre il giro di rotazione dei punti di iniezione 86,36
Se in qualche zona di iniezione permane un’irritazione, consulto sempre
l’infermiere
16,67
Mi è capitato di pensare più volte che il trattamento non fosse efficace 25,76
Differenza di gestione terapia rispetto al sesso (P < 0,005)
Sesso
% M % F % totale
Sì, mi faccio aiutare 4,55 24,24 28,79
No, non mi faccio aiutare 28,79 42,42 71,21
% totale 33,33 66,67 100,0
Lo studio, inoltre, prevedeva la somministrazione di una scheda compilativa agli infermieri
del reparto (Allegato 3) che intervenivano sempre su questa tipologia di pazienti nel
medesimo arco ti tempo.
Dalla compilazione della “Scheda Infermieri” è emerso che nel periodo preso in
considerazione sono stati effettuati 95 interventi sui pazienti affetti da sclerosi multipla in
trattamento immunomodulante. Dai dati raccolti si è potuto osservare che vi è una
prevalenza di interventi forniti attraverso la modalità telefonica (67,47%), mentre il
rimanente 32,53% attraverso il colloquio diretto. 5 pazienti hanno ricevuto l’addestramento
alla nuova terapia e la durata di tale intervento è stata in media di 66 minuti (mediana 70; DS
48
5,47). L’educazione al riconoscimento dei sintomi di ricaduta della malattia è stato un
intervento che ha richiesto nel 14% dei casi un’attività prettamente telefonica piuttosto che
utilizzando un approccio diretto con il paziente. La pianificazione delle attività di vita in
relazione alla terapia (viaggi, cambi orari, altro) è una variabile che non è stata molto
richiesta dai soggetti (3 interventi).
49
CAPITOLO 4
DISCUSSIONE
Le persone maggiormente affette dalla malattia nel campione intervistato risultano essere
quelle di sesso femminile (66,67%) per le quali possiamo trovare una corrispondenza simile
in letteratura (Alonso & Hernán, 2008) per quanto concerne l’incidenza epidemiologica
relativa al sesso. L’83,3% dei pazienti convive con almeno un familiare, e come visto in
precedenza, il supporto familiare (Costello et al, 2008) è una delle variabili che può incidere
positivamente sull’aderenza terapeutica; infatti, può dimostrarsi un valido aiuto per il
paziente avere un familiare che possa ricordargli le informazioni relative al trattamento da
eseguire.
Rispettivamente all’anno in cui il paziente dichiara di avere ricevuto il primo addestramento,
si può evincere che la più alta percentuale dei pazienti educati è stata addestrata nel 2011, e
complessivamente negli ultimi 5 anni lo è stato l’80% di quelli intervistati. Si può ipotizzare,
quindi, che l’attività educativa dell’infermiere si sia sviluppata nel corso degli anni e sia stata
data sempre più importanza alla sua figura nell’educazione al trattamento.
Infatti, dall’analisi della letteratura, emerge l’importanza che esso ha nel processo educativo
del paziente (Baumhackl, 2008), poiché in genere ha contatti frequenti coi pazienti ed è in
una posizione ideale per stabilire contatti e fornire interventi di supporto (Ross, 2008).
La presenza della depressione può essere un fattore ostacolante l’aderenza (Saunders et al,
2010; Costello et al, 2008). Nello studio condotto nel day hospital neurologico, il 10,6% dei
pazienti intervistati ha affermato di soffrire di questa malattia (6% maschi e ca. 5% donne), il
che può far pensare che questi soggetti possano essere esposti al rischio di non aderire al
trattamento. Il 9% dei soggetti, inoltre, ha riportato tra le malattie la presenza di uno stato
d’ansia. In uno studio condotto da Cox nel 2006, si è potuto osservare che le reazioni più
comuni quando i pazienti si avvicinano al trattamento auto iniettivo sono di paura, evasione,
ansia ed avversione. Circa il 7-22% della popolazione generale ha la fobia dell’ago (Cox &
Stone, 2006). Per i pazienti che hanno questa paura, l’ansia potrebbe diventare un fattore che
50
può aggravare questa situazione già di per sé problematica. Inoltre, il 95,45% dei pazienti a
cui è stato somministrato il questionario ha risposto che non ha avuto bisogno di svolgere
alcun tipo di esercizio di rilassamento prima della somministrazione del farmaco, in
particolare, solo una persona su 6 fra quelle che soffrivano di ansia adotta questo tipo di
strategie prima dell’auto iniezione. Come viene riportato nella letteratura (Mohr et al, 2001),
alcune strategie, come la respirazione profonda ed esercizi di rilassamento, possono rivelarsi
utili per ridurre il rischio di non-aderenza.
La fonte principale di informazioni sulla terapia immunomodulante è stata quella del medico
neurologo per il 90,91% dei soggetti, mentre, in minor parte (circa il 70%) è stata
l’infermiere. Questo non vuole significare che la figura dell’infermiere non abbia contribuito
all’educazione dell’assistito nel progetto terapeutico, bensì si può dedurre come nel tempo
siano cambiate le abitudini di presa in carico del paziente; taluni, infatti, hanno ricevuto il
primo addestramento alla terapia in anni in cui non era ancora attiva la collaborazione con la
figura dell’infermiere per l’educazione terapeutica o, comunque, stava ancora sviluppandosi.
Si è potuto notare che questi soggetti, più di 10 anni fa, hanno ricevuto le informazioni
solamente dal medico, e la figura dell’infermiere nel processo educativo in quegli anni non
era ancora attiva.
Nel mese in cui è stato condotto lo studio, gli infermieri hanno potuto educare alla terapia
attraverso l’addestramento 5 nuovi pazienti. La durata dell’intervento è stata in media di 66
minuti (mediana 70; DS 5,47). Secondo i dati dichiarati dai pazienti intervistati, gli
infermieri, durante l’attività educazionale e precisamente nel momento dell’addestramento,
hanno predisposto un setting adeguato, riservando una stanza per l’evento; hanno mostrato
loro la modalità di iniezione del farmaco e successivamente fatto eseguire la procedura;
infine, hanno fornito all’utente il materiale necessario per l’auto somministrazione ed
equipaggiato lo stesso di materiale aggiuntivo a scopo informativo.
Il 42% dei pazienti ha riportato che la durata dell’addestramento è stata inferiore ai 30
minuti, e di questi alcuni hanno dichiarato di avere ricevuto in tal senso delle informazioni
parzialmente comprensibili (vedi tabella 3.2).
Questo fa ipotizzare che la variabile “durata dell’addestramento” può incidere su quella
relativa alla chiarezza delle informazioni. Nello studio, infatti, si è potuto osservare come i
pazienti che hanno partecipato ad un addestramento di durata almeno superiore ai 30 minuti
abbiano avuto la percezione di avere ricevuto un’informazione più chiara e comprensibile.
51
Dai dati emerge la percezione positiva del paziente riguardo il servizio ricevuto in termini di:
completezza delle informazioni (98,5%) durante l’addestramento; quest’ultimo è
stato realizzato attraverso l’informazione trasmessa verbalmente (95,5%), la
dimostrazione pratica (91%), il materiale illustrativo (65%), e quello scritto (59%);
adeguatezza del setting creato dall’infermiere;
chiarezza delle informazioni (circa il 97%);
comunicazione con il personale (vedi tabella 3.3).
Il paziente che partecipa all’incontro educativo con l’infermiere (addestramento alla terapia)
e che subisce un’esperienza negativa (spiegazione affrettata, informazioni trasmesse in modo
parzialmente comprensibile, altro..) può avere difficoltà a mantenere un rapporto duraturo e
basato sulla fiducia. Può ricordarsi di questa esperienza come un processo sottovalutato dal
personale sanitario, soprattutto se vi sono state interruzioni e/o distrazioni durante
l’addestramento, una presentazione troppo frettolosa e mancanza di contatto visivo con
l’assistito (Smrtka et al, 2010).
Nello studio condotto, si è potuto vedere come tutte queste variabili, che, come riportato in
letteratura, possono minacciare il rapporto creatosi con l’infermiere, siano state valutate dalla
maggior parte dei pazienti in modo positivo. Si può dire, quindi, che la qualità percepita dei
pazienti coinvolti nello studio rispetto alle variabili analizzate sia stata ottimale.
Abbiamo visto come gli eventi avversi possano diventare uno dei fattori maggiormente
incisivi sull’aderenza alla terapia, e che è fondamentale che il paziente sia consapevole del
fatto che possano verificarsi in qualsiasi momento (Clerico et al, 2007; Langer-Gould et al,
2004). Per questo motivo, si è ritenuto opportuno indagare sulla conoscenza che avevano i
pazienti in merito agli effetti collaterali della terapia immunomodulante. Si è potuto notare
che i soggetti non sono a conoscenza di tutti i possibili effetti indesiderati (vedi tabella 3.4),
e il 9,09% degli intervistati ha dichiarato di non conoscerne alcuno.
Sarebbe opportuno rafforzare le informazioni in più momenti del progetto terapeutico così da
poter rendere maggiormente consapevole il paziente della probabile insorgenza di tali
problematiche. Dai dati raccolti riguardo le abitudini rispetto alla modalità di preparazione e
somministrazione del farmaco si evince che la maggior parte dei pazienti adotta dei
52
comportamenti corretti: mediamente il 90% sceglie un orario e un posto comodo per l’auto
somministrazione, si lava le mani e disinfetta la cute prima dell’iniezione, ed esegue sempre
il giro di rotazione del sito di inoculazione. Questo fa pensare che sono estremamente pochi
coloro i quali saranno più a rischio di non-aderenza qualora dovessero insorgere
accidentalmente reazioni cutanee. Secondo lo studio retrospettivo condotto da O’Rourke e
Hutchinson (2005) le reazioni cutanee al sito di iniezione sono state un fattore che ha portato
all’interruzione del trattamento con IFN nel 16% dei casi.
Come visto in letteratura, un altro dei fattori più rilevanti nell’ostacolare l’aderenza
terapeutica nel paziente in trattamento disease modifying è la mancanza di efficacia percepita
della propria terapia (Tremlett & Oger, 2003; Rio et al, 2005). Dei pazienti intervistati il
25,76% ha dichiarato di aver pensato più volte che il trattamento non fosse efficace. Secondo
Tremlett e Oger (2003) questo fattore è stato responsabile del 30-52% delle interruzioni
totali. Analizzando le credenze e motivazioni dei pazienti, Mohr e colleghi (2001) hanno
potuto constatare che prima dell’inizio della terapia, il 57% dei pazienti aveva delle
aspettative irrealistiche e troppo ottimistiche della capacità potenziale del trattamento di
ridurre le recidive (Mohr et al, 2001). Per queste ragioni, indagare sulle considerazioni che i
pazienti hanno riguardo l’efficacia della terapia, piuttosto che spiegare tutti i possibili
giovamenti che si possono trarre grazie alla continuità del trattamento, può aiutare a
disseminare aspettative avventate e preoccupazioni infondate.
Fraser e colleghi (2004) hanno potuto constatare che i pazienti che si somministrano la
terapia autonomamente hanno un’aderenza più elevata rispetto a coloro, invece, che vengono
aiutati da qualcuno. Dallo studio condotto nel day hospital neurologico dell’A. O. U. S.M.M.
di Udine, il 28,79% dei soggetti intervistati ha dichiarato di farsi aiutare spesso durante la
somministrazione della terapia da un familiare o da una persona di fiducia. Similmente ai
dati ricavati dalla letteratura, questi potrebbero essere coloro tendenzialmente più a rischio di
non-aderenza. Dall’indagine, inoltre, sono emerse differenze statisticamente significative nei
due sessi rispetto alla gestione della somministrazione: le donne sembrerebbero essere quelle
che hanno più necessità di farsi aiutare nel momento di iniezione del farmaco disease
modifying (P < 0,005; vedi tabella 3.5).
53
CAPITOLO 5
CONCLUSIONI
Come evincesi dalla letteratura, l’aderenza alla terapia immunomodulante è vitale per le
persone che convivono con una condizione cronica come la sclerosi multipla. Alcune fra le
disease-modifying therapies (DMT) implicano l’auto iniezione e tutte possono causare eventi
avversi e di conseguenza creare delle barriere al mantenimento dell’aderenza. Gli interventi
infermieristici progettati per affrontare questi ostacoli possono aiutare i pazienti e i loro
caregiver a sviluppare le abilità necessarie per un’aderenza ottimale e, a tal proposito, sono
diverse le strategie attuabili, ma devono essere continue e personalizzate per ogni paziente.
I limiti ipotizzabili dello studio condotto possono essere legati alla ristrettezza del campione
intervistato (66 pazienti), poiché potendo disporre di un maggior numero di pazienti si
sarebbero potute analizzare più dettagliatamente le variabili indagate.
Nel day hospital neurologico dell’ Azienda Ospedaliero Universitaria “S. Maria della
Misericordia” di Udine sono seguiti più di 500 pazienti affetti dalla malattia. Dal 1 gennaio
2011 fino a fine ottobre dello stesso anno vi sono stati complessivamente più di 90 ricoveri
dovuti alla riacutizzazione della malattia. Come riportato in letteratura, la malattia può di per
sé provocare queste complicazioni, ma anche comportamenti e abitudini scorretti del
paziente possono incidere sull’aderenza terapeutica, o addirittura portare all’interruzione del
trattamento, aumentando il rischio di insorgenza di recidive della sclerosi multipla.
Dallo studio condotto si è potuta ricavare una moltitudine di informazioni riguardo il
modello di educazione riservato ai pazienti affetti da SM in trattamento immunomodulante, e
come i pazienti abbiano percepito tale servizio. Un obiettivo che ha condotto
all’elaborazione del progetto di studio è stato voler riscontrare in questi soggetti le variabili
riportate in letteratura che possono incidere sull’aderenza terapeutica. Molte di queste, come
la qualità del rapporto paziente-infermiere, la concomitanza con patologie come la
depressione, la conoscenza degli effetti indesiderati associati alla terapia, le abitudini rispetto
alla modalità di preparazione e somministrazione del farmaco, e le aspettative rispetto
all’efficacia del trattamento, possono influire sull’aderenza e talune addirittura ostacolarla.
54
Dallo studio, inoltre, sono emersi risultati che hanno portato a delle considerazioni utili per
la pratica: basti pensare a come la sola durata dell’addestramento alla terapia abbia inciso
sull’apprendimento di alcuni pazienti, o come predisporre un setting adeguato ed educare il
paziente fornendo il maggior numero di informazioni possa diventare una procedura
educativa riconosciuta a tutti gli effetti nell’ambito sanitario.
Sarebbe utile in futuro osservare come si sviluppano le competenze infermieristiche
nell’ambito dell’educazione terapeutica al paziente affetto da SM, e riuscire a predisporre dei
veri e propri ambulatori adibiti all’attività educativa, aumentando sempre più la frequenza di
contatti diretti e telefonici con i pazienti coinvolti in tale processo. In questo modo si potrà
rafforzare il rapporto creatosi con l’assistito, garantendogli non solo un avvio alla terapia
attraverso l’utilizzo dello strumento “addestramento”, bensì anche attraverso continui
contatti e visite personalizzate di follow up.
55
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Udine, li 7/02/2012
Gentile Utente,
mi chiamo Golles Tamara e sono una studentessa universitaria del corso di
laurea in infermieristica di Udine iscritta all’anno accademico 2010-2011.
Sto elaborando una tesi dal titolo “Educazione al paziente affetto da sclerosi
multipla in trattamento immunomodulante: studio descrittivo” che si propone
di raccogliere informazioni dai pazienti affetti da sclerosi multipla e che sono in
trattamento con terapia immunomodulante, allo scopo di far riflettere gli
operatori sanitari su eventuali bisogni emergenti e/o sulla necessità di
migliorare, con i Suoi suggerimenti, l’informazione e l’educazione sanitaria
sulla terapia immunomodulante di tipo auto iniettivo.
Per questo motivo, ho la necessità di effettuare una raccolta di dati tramite
un’intervista. Le chiedo cortesemente se potesse dedicare alcuni minuti per
rispondere ai quesiti.
A garanzia del rispetto dell’art. 26 del D.Lgs 196/2003 (Garanzie per i dati
sensibili), si assicura che i dati rilevati saranno oggetto di trattamento solo con
il Suo consenso nell’osservanza della suddetta legge.
La ringrazio per l’attenzione dedicatami. Cordiali saluti.
Tamara Golles
CONSENSO ALLA PARTECIPAZIONE ALLA RACCOLTA DATI
(mediante risposta ad intervista)
Io sottoscritto (Nome e Cognome paziente) ………………………………. acconsento a
partecipare alla raccolta dati finalizzata alla tesi di laurea rispondendo ai quesiti propostomi.
Sono inoltre a conoscenza del fatto che il presente foglio non sarà allegato al questionario
stesso, in modo tale da annullare ogni possibilità di riconoscimento personale, a garanzia del
mio anonimato.
Firma
…………………………………………
CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
Io sottoscritto (Nome e Cognome paziente) ……………………………………. dichiaro di
aver ricevuto le informazioni di cui all’art. 13 del D.Lgs 196/2003, in particolare riguardo ai
diritti a me riconosciuti dalla legge ex art. 7 del D.Lgs 196/2003, acconsento al trattamento
dei miei dati con le finalità e per le finalità indicate nell’informativa stessa, comunque
strettamente connesse e strumentali alla stesura della tesi dal titolo “Educazione al paziente
affetto da sclerosi multipla in trattamento immunomodulante: studio descrittivo”.
Firma
…………………………………………
UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI UDINE
FACOLTÁ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di laurea in Infermieristica – Sede di Udine
Modalità di compilazione del questionario: barrare la casella corrispondente alla propria risposta o
scrivere quanto richiesto negli spazi predisposti. La compilazione richiederà pochi minuti.
Dati del compilatore.
Sesso
M F
Età .................
Nazionalità ……………………….
Scolarità
Privo di titolo di studio
Licenza di scuola elementare
Licenza di scuola media inferiore
Diploma di scuola secondaria sup.
Diploma di laurea
Condizione
lavorativa
Lavoratore dipendente
Libero professionista
Casalinga
Studente
Disoccupato
Altro
………………………
Convivenza Vivo da solo/a
Vivo in famiglia
Affetto
da malattia
Mesi ………
Anni ………
In
terapia
immuno-modulante
auto iniettiva
Mesi ……..
Anni ………
Indicare i mesi solo se le
durata è inferiore all’anno.
Questionario.
(barrare le caselle corrispondenti alla propria scelta)
1.a È stato informato sulla terapia immuno-modulante? SI NO
1.b Se sì, da chi ha ricevuto
informazioni?
Medico SI
NO
Infermiere SI NO
Medico di Medicina Generale SI NO
Amici/parenti SI NO
Altri pazienti SI NO
2. Quanto tempo è stato
impiegato per fornirLe le
informazioni durante
l’addestramento alla
terapia?
< 30 minuti
≥ 30 minuti
60 minuti
> 60 minuti
3. Come definisce le
informazioni che Le sono
state fornite?
Complete
Parzialmente complete
Incomplete
Primo addestramento
alla terapia
Anno …………….
Presenza di altre patologie SI NO
Diabete
Ipertensione arteriosa
Depressione
Ansia
Altro
……………………
4.a Ha avuto la necessità di richiedere altre informazioni
rispetto a quelle che Le erano già state fornite?
SI NO
4.b Se sì, con che modalità
Le sono state fornite?
Incontri organizzati SI NO
Scambi telefonici SI NO
Visita di controllo SI NO
5. Quale è stato il mezzo
utilizzato per
trasmetterLe le
informazioni?
Verbale SI NO
Materiale scritto SI NO
Dimostrazione pratica SI NO
Materiale illustrativo SI NO
Altro (specificare)
6.a Le informazioni trasmesse sono state fornite in maniera
comprensibile? SI NO
6.b Se no, per quale
motivo?
Linguaggio troppo tecnico SI NO
Velocità nella spiegazione SI NO
Tempo impiegato troppo breve SI NO
Altro (specificare)
7. Le è stato possibile, qualora ce ne fosse stato il bisogno,
comunicare telefonicamente con il reparto? SI NO
8. Le è stato possibile
comunicare agevolmente
con il personale?
Sono stato ascoltato
SI NO
Il rapporto era basato
sull’empatia
SI NO
Mi è stata data l’opportunità di
esprimermi in modo completo
SI NO
Sono state sottovalutate le mie
richieste/esigenze
SI NO
L’infermiere è riuscito a
chiarificare i punti di incertezza
SI NO
9. Riguardo al momento di
addestramento alla
terapia, l’infermiere è
riuscito a creare un
ambiente e una
situazione adeguati?
L’infermiere è riuscito a
mettermi a mio agio
SI NO
È stata garantita la privacy SI NO
È stato fornito un luogo
adeguato per l’incontro
SI NO
L’ambiente era spesso affollato SI NO
Vi sono state interruzioni/
distrazioni
SI NO
10.a Conosce quali effetti collaterali può provocare la terapia
immunomodulante?
SI NO
10.b Se sì, quali fra le
seguenti voci sono
tipici della terapia?
Sindrome influenzale SI NO
Fatica SI NO
Reazioni cutanee al sito di
iniezione
SI NO
Insonnia SI NO
Depressione SI NO
11. Su quali ambiti
dell’addestramento ha
avuto necessità/ritiene
necessario ricevere
maggiori informazioni?
Utilizzo dei presidi SI NO
Gestione sindrome influenzale
(farmaci, dieta..)
SI NO
Consigli su vaccinazioni (stagionali, di viaggio..)
SI NO
Consigli su sintomi cronici
(fatica, insonnia..)
SI NO
Riconoscimento sintomi di
ricaduta della malattia
SI NO
Modalità di iniezione della terapia
SI NO
Altro (specificare)
12. Scelga fra le seguenti
voci quelle
corrispondenti alle Sue
abitudini rispetto alla
modalità di
somministrazione della
terapia e alla gestione
dell’auto iniezione.
Vengo aiutato spesso durante la
somministrazione della terapia
(famigliare, amico..)
SI NO
Prima dell’auto iniezione sono
solito fare esercizi di
rilassamento (respirazione
profonda, rilassamento
muscoli..)
SI
NO
La terapia, a volte, influisce
sulla mia attività lavorativa
SI NO
Prima dell’auto iniezione,
scelgo un orario e un posto
comodo
SI NO
Prima dell’iniezione, mi lavo le
mani e disinfetto bene la cute
SI NO
Eseguo sempre il giro di
rotazione dei punti di iniezione
SI NO
Se in qualche zona di iniezione
permane un’irritazione, consulto
sempre l’infermiere
SI NO
Grazie per la vostra collaborazione
Mi è capitato di pensare più
volte che il trattamento non
fosse efficace
SI NO
UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI UDINE
FACOLTÁ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di laurea in Infermieristica – Sede di Udine
Dati del paziente SESSO: M F
Modalità intervento educativo: COLLOQUIO DIRETTO
CONTATTO TELEFONICO
Intervento
tempo 5’ 10’ 15’ 20’ 25’ 30’ 35’ 40’ 45’ 50’ 55’ 1h 1.05 1.10 1.15 1.20 1.25 1.30 1.35 1.40 1.45 1.50 1.55 2h 2.05 2.10 2.15 2.20 2.25 2.30
Addestramento a terapia nuovo paziente/care giver
Addestramento a nuova terapia paziente noto o care
giver
Controllo ad un mese da inizio terapia,
completamento addestramento
Controllo lesioni cutanee, prescrizione Controllo corretto utilizzo presidi (da tarare
profondità, o non funzionanti) o loro sostituz,
Gestione sindrome influenzale (farmaci, dieta…) Consigli su vaccinazioni (stagionali, di viaggio..) Consigli su sintomi cronici (fatica, insonnia) Educazione a riconoscimento sintomi di ricaduta Educazione ad autogestione dei controlli clinici ed
accertamenti
Rilascio documentazione (piano terapeutico,
documenti viaggio)
Pianificazione attività di vita in relazione alla terapia
(viaggi, cambi orari etc)
Programmazione ambulatorio (appuntamenti) Altro (specificare)
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