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INDICE:
INTRODUZIONE ………………………………………………………………………. 4
CAPITOLO I: DALL’ ACCAPARRAMENTO DELLE TERRE AL SEQUESTRO
DEL DIRITTO A PRODURRE
1. Il controllo della terra …………………………………………………………………... 7
2. Il fenomeno del land grabbing ………………………………………………………… 9
2.1. Gli attori coinvolti …………………………………………………………... 13
2.2. I fenomeni legati al controllo della terra ……………………………………. 17
2.3. I drivers …………………………………………………………………...… 18
3. I nuovi tipi di contratto …….……………………………….…………………………. 20
4. Le caratteristiche generali del land grabbing ……………………………………….… 23
5. Le trasformazioni nell’uso della terra e delle biomasse ………………………………. 23
6. I cambiamenti nelle relazioni di proprietà della terra …………………………………. 32
7. La proposta di Borras e Franco: un approccio empirico ……………………………… 40
8. Ulteriori variabili rilevanti nello studio dei casi ………………………………………. 42
8.1. L’utilizzo di mezzi violenti …………………………………………………. 43
8.2. Le conseguenze sul mercato del lavoro ……………………………………. 44
8.3. L’impatto sulla questione di genere ………………………………………. 47
CAPITOLO II: ALTRI FENOMENI DELL’ACCAPARRAMENTO DELLE
RISORSE NATURALI: IL WATER GRABBING
1. L’attuale situazione delle risorse idriche …………………………………………….... 53
2. L’accaparramento delle risorse idriche: il water grabbing …………………………… 56
3. I diritti che regolano l’accesso alle risorse idriche nelle legislazioni nazionali ………. 57
4. Il water grabbing e la crisi alimentare ………………………………………………... 63
2
5. Il water grabbing e la crisi energetica …...……………………………………………. 69
6. Le conseguenze dei fenomeni di accaparramento delle risorse idriche sulla questione di
genere ……………………………………………………………………………………. 73
7. Il diritto all’acqua nella legislazione internazionale ………………………………….. 75
7.1. Il diritto umano all’acqua: elementi e obblighi per gli Stati ………………... 77
7.2. Gli obblighi extra- territoriali ……………………………………………….. 78
7.3. Le priorità nell’allocazione delle risorse idriche ……………………………. 80
8. L’acqua nel panorama politico internazionale ………………………………………... 84
8.1. L’agenda neoliberale ………………………………………………………... 85
8.2. Integrated Water Resources Management ………………………………….. 88
8.3. L’approccio basato sui diritti umani ……………………………………….... 91
8.4. L’approccio olistico …………………………………………………………. 95
CAPITOLO III: LA GOVERNANCE INTERNAZIONALE: REGOLAZIONE DEI
FENOMENI DI ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE
1. L’emersione del fenomeno …………………………………………………………..... 97
2. L’approccio Win- Win ……………………………………………………………….... 99
3. I principi di investimento responsabile (RAI Principles) ……………………………. 101
4. Le Linee Guida volontarie sulla gestione responsabile della terra, dei territori di pesca
e delle foreste …………………………………..……………………………………….. 103
4.1. Il processo decisionale ………………………………………………...…… 104
4.2. La struttura …………………………………………………………………. 106
4.3. Aspetti positivi ……………………………………………………………... 110
4.4. Aspetti negativi …………………………………………………………….. 114
4.5. I problema dell’accaparramento delle risorse idriche nelle linee guida …… 116
5. L’approccio scientifico ………………………………………………………………. 118
3
5.1. Le variabili rilevanti ……………………………………………………….. 121
5.2. Le tecniche di raccolta dei dati …………………………………………….. 122
5.3. I dati aggregati …………………………………………………………...… 124
6. I movimenti sociali come protagonisti nell’elaborazione del diritto e della disciplina
accademica sul tema ……………………………………………………………………. 126
CONCLUSIONI …………………………………………………………………….… 129
BIBLIOGRAFIA ……………………………………………………………………… 132
SITOGRAFIA ………………………………………………………………………..... 137
4
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni, in particolare nel biennio 2007- 2008, il convergere di crisi alimentari,
ecologiche, energetiche e economiche a carattere globale ha portato la questione del
controllo della terra e delle altre risorse naturali al centro dell’attenzione internazionale.
Spinti dalle necessità presenti e future che queste dinamiche globali impongono, i
fenomeni di accaparramento delle risorse stanno velocemente assumendo dimensioni e
modalità nuove che vedono al centro interessi che quindi, solo in parte, rispecchiano quelli
in gioco nei conflitti sulle terre dei periodi precedenti. Dal 2008, anno in cui è stato coniato
il termine land grabbing, ad oggi sono emerse migliaia di transazioni commerciali sulle
risorse naturali su larga scala, al punto che la FAO ha definito il fenomeno come una
nuova forma di colonialismo.
Il fenomeno si è situato ben presto al centro del dibattito internazionale in tema di
sviluppo. Si è, quindi, cercato di distinguere i fenomeni di accaparramento delle risorse
dagli investimenti in agricoltura, in modo tale da individuare e, per quanto possibile,
regolare quelle transazioni sulla terra e sulle altre risorse naturali che minano la sicurezza
alimentare di un Paese. Si sono identificati nei Paesi con ingenti dotazioni di capitali, ma
poveri di risorse naturali (come i Paesi del Golfo) i principali investitori alla ricerca di terre
fertili da acquistare o prendere in affitto per lunghi periodi, in aree geografiche
sottosviluppate (come l’Africa Sub- Sahariana e l’America Latina) per la coltivazione di
colture dedite soprattutto alla produzione di bio-carburanti o per l’esportazione, in cambio
di infrastrutture, tecnologia e capitali.
Questo elaborato si propone di mostrare come una simile stilizzazione del land grabbing,
per quanto utile e in molti casi fedele alla realtà, tenda a celare fenomeni di
accaparramento delle risorse naturali che si discostano da questo idealtipo, ma non meno
pericolosi. Ad un’analisi più attenta, infatti, si vede come gli attori in gioco siano molto più
numerosi e legati da relazioni complesse, come ogni area geografica del mondo si trovi
coinvolta, come spesso gli interessi in queste transazioni vadano oltre il controllo della
terra e coinvolgano anche altri elementi, come ad esempio il controllo delle risorse idriche.
Si nota, inoltre, come nuove forme di acquisizione del controllo sulla terra abbiano
affiancato la mera acquisizione o i contratti di affitto di lungo periodo, in modo da poter
aggirare quelle barriere legali esistenti o sorte a seguito dell’emersione di questo
fenomeno. Questo dimostra come gli strumenti di regolazione e di governance nazionali e
internazionali, per quanto necessari, non siano sufficienti a garantire una distinzione chiara
5
tra quali siano gli investimenti in agricoltura da incoraggiare e quali le pratiche di
accaparramento e sfruttamento da bandire.
Il primo capitolo offre una panoramica del fenomeno del land grabbing, mettendone in
luce le principali caratteristiche che lo distinguono dai processi di accaparramento delle
terre che ritroviamo in ogni altro periodo storico. Tali differenze riguardano principalmente
gli attori in gioco e gli interessi che li spingono. Nonostante quello del land grabbing sia
un fenomeno emerso in un periodo relativamente recente, ha velocemente sviluppato una
serie di modalità di acquisizione del controllo della terra per ovviare agli ostacoli legali che
sono presenti o sorti nei vari contesti. Per questa ragione alle acquisizioni e ai contratti di
affitto di lungo periodo oggi vanno aggiunti fenomeni di accaparramento meno evidenti,
ma non meno determinanti nel quadro della sicurezza alimentare di un Paese. Questi
fenomeni avvengono seguendo principalmente due modalità: i cambiamenti dell’uso delle
terre e delle biomasse e quelli relativi alle relazioni di proprietà. Si riporta un approccio
empirico proposto da Borras e Franco che mette in luce come, in base alle due variabili
sopra presentate, gli interventi sulla terra che mirano a raggiungere o consolidare la
sicurezza alimentare non sempre siano sostenibili dal punto di vista ambientale e viceversa.
Questo mostra come spesso crisi alimentare e crisi ecologica richiedano interventi
conflittuali e, quindi, uno studio su a quale dei due aspetti sia necessario dare la priorità in
un certo caso specifico. A chiudere il primo capitolo è la presentazione di altre tre variabili
rilevanti nello studio dei fenomeni di accaparramento delle risorse: l’utilizzo di mezzi
violenti, la questione di genere e l’impatto sul mercato del lavoro.
La stesura del secondo capitolo è avvenuta nel periodo che ho trascorso presso la sede di
FIAN International ad Heidelberg per fare ricerca tesi, dove ho collaborato alla stesura di
un documento interno sul tema del water grabbing. I casi di studio riportati sono quindi
frutto diretto delle ricerche sul campo condotte da FIAN e l’approccio focalizzato sulla
questione dei diritti umani tende a ricalcare non solo quello di questa organizzazione, ma
in generale quello adottato dai movimenti della società civile. Dopo una panoramica sulla
situazione delle risorse idriche mondiali e una presentazione del fenomeno del water
grabbing così come è emerso negli ultimi anni, vengono illustrati gli strumenti legali atti a
garantire l’accesso alle risorse idriche nei vari Paesi del mondo, focalizzandosi sul diverso
grado di certezza che questi assicurano. Vengono poi analizzate le interrelazioni esistenti
tra i fenomeni di accaparramento delle risorse idriche e tre questioni determinanti a livello
locale e nazionale come la crisi alimentare, la crisi energetica e la questione di genere.
Viene quindi presentato il diritto umano all’acqua nei suoi elementi costituenti, negli
6
obblighi che implica per gli Stati sia internamente che a livello extra territoriale e nelle
priorità nell’allocazione delle risorse idriche che suggerisce. Conclude il capitolo una
panoramica degli approcci politici adottati a livello internazionale nella gestione delle
risorse idriche: l’approccio neoliberista, l’Integrated Water Resources Management,
l’approccio basato sui diritti umani e quello olistico.
Dopo un breve excursus volto a mettere in luce quali attori sociali hanno per primi
focalizzato la loro attenzione sui fenomeni di accaparramento delle risorse idriche, si
presentano i due approcci principali che si confrontano nel dibattito internazionale,
l’approccio detto Win- Win e quello basato sui diritti umani, con i documenti che hanno
promosso, i Principi di Investimento Responsabile (RAI Principles) e le Linee Guida
volontarie sulla gestione responsabile della terra, dei territori di pesca e delle foreste.
Avendo avuto l’opportunità di partecipare a due dei tre rounds negoziali come osservatrice
a fianco del gruppo che riunisce le organizzazioni della società civile, nel capitolo analizzo
in dettaglio la struttura delle Linee Guida, il processo decisionale che ha portato alla sua
adozione e le considerazioni emerse dagli esponenti dei movimenti. Mi concentro in
seguito sul ruolo che i movimenti e le organizzazioni della società civile hanno avuto sia
nel far emergere e conoscere all’opinione pubblica questo fenomeno sia nel promuovere la
stesura di documenti legali volti a contrastarlo. Si vede come l’analisi del fenomeno si
distacchi da un dibattito ideologico e si ancori invece su uno studio scientifico dei singoli
casi, basandosi su una metodologia qualitativa e su tecniche cosiddette di facts finding. Si
conclude il capitolo con una riflessione sull’importanza dei movimenti e delle
organizzazioni della società civile come base del diritto e della disciplina accademica sulla
questione dell’accaparramento delle risorse.
L’elaborato si conclude con una breve presentazione del programma proposto lo scorso
Ottobre presso la FAO per l’implementazione delle Linee Guida volontarie sulla gestione
responsabile della terra, dei territori di pesca e delle foreste. In questo quadro si accenna
alla questione del monitoraggio, questione in cui la FAO collabora con le organizzazioni
della società civile per approntare nuovi strumenti e indicatori. Considerata l’urgenza e la
diffusione capillare del fenomeno, implementazione, monitoraggio e valutazione sono gli
aspetti su cui, ci auguriamo, si concentri l’attenzione della governance sia a livello
nazionale sia internazionale.
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CAPITOLO I
DALL’ ACCAPARRAMENTO DELLE TERRE AL SEQUESTRO DEL DIRITTO A
PRODURRE
1. IL CONTROLLO DELLA TERRA
Le questioni relative alla terra, al suo possesso e al suo controllo, sono storicamente
sempre state centrali per le scienze sociali, giuridiche ed economiche ed hanno sempre
posto di fronte a questioni di tipo etico. Per controllo della terra si intende quell’insieme di
pratiche che stabiliscono e consolidano forme di accesso, rivendicazioni e esclusione da
essa in un determinato periodo di tempo.1 Autori dello stampo di Marx, Lenin e Polanyi,
tanto per citare tre degli autori classici più influenti, hanno posto il controllo della terra
come un punto centrale nello studio, rispettivamente, dell’accumulazione primitiva come
base per la nascita del capitalismo, della divisione della società in classi e delle difese
protezioniste che la società mette in atto agli albori dell’economia di mercato.
Lo studioso ungherese, infatti, fa una panoramica della creazione del mercato della terra di
stampo capitalistico, di come questo si basa sull’errata considerazione di questa alla
stregua di una merce (la definisce, infatti, una “merce fittizia”) e come questa
liberalizzazione sia una, se non la, molla che determina la comparsa delle prime forme di
autodifesa della società e poi di un sistema protezionistico, dalla Rivoluzione Industriale e
dalla nascita del sistema capitalistico, evidente nel momento storico della compilazione
della sua opera principale. Senza pretendere di riprendere qui la sua teoria della “grande
trasformazione”, vale la pena ricordare come questo autore veda il controllo della terra e la
sua libera compravendita come il punto di avvio di una serie di provvedimenti e di leggi
protezionistiche che vanno ad interessare diversi ambiti: le tariffe doganali sui beni
agricoli, necessarie per evitare il dumping fatto dai prodotti provenienti dalle colonie,
determinano, infatti, un rincaro dei prezzi tale da richiedere misure di protezione del lavoro
e queste, a loro volta, una politica in favore degli imprenditori che si concretizza da un lato
in tariffe doganali anche sui prodotti manifatturieri, che permetteranno l’instaurarsi di
monopoli, dall’altro di politiche monetarie che de-liberalizzano il mercato finanziario
domestico, dando così un ancor maggior rilievo al mercato finanziario internazionale. 2
1 Peluso, N.L. e Lund C., 2011 “New Frontiers of Land Control: Introduction”, The Journal of Peasant
Studies, 38(4): 667-681
2 Polanyi, K. 1944 “La grande trasformazione: le origini politiche e economiche del nostro tempo.” Boston,
MA: Beacon Press
8
Il colonialismo e la nascita degli Stati nazionali sono processi fondati sul controllo della
terra. Fenomeni come la privatizzazione, l’espropriazione, l’alienazione dei diritti di
proprietà sono stati il fondamento di dinamiche di accumulazione di ricchezze, di
imposizione e mantenimento del potere di un gruppo sociale o di un Paese sull’altro. Nei
diversi periodi storici il controllo della terra è stato, sempre con modalità e fenomeni
diversi, la base su cui si innestava un certo sistema sociale ed economico determinando
mutamenti nel territorio. Dinamiche come l’urbanizzazione, le migrazioni dalle campagne,
il passaggio da un tipo di agricoltura estensiva di tipo tradizionale a una intensiva di
stampo capitalistico, le riforme che i vari Paesi hanno apportato al sistema agrario e
fondiario hanno determinato in ogni contesto una certa situazione economica, sociale ed
ecologica. Basti pensare a quanto il tipo di sistema fondiario prevalente influenzi quello
produttivo e quindi la sfera del lavoro, la quale è l’elemento cardine della divisione
marxiana, ma non solo, della società in classi sociali. Altra sfera determinata dal controllo,
in questo caso statale, della terra è quella attinente alla tassazione e al governo del territorio
da parte della sfera pubblica, che implica, ovviamente la questione della legittimità del
controllo territoriale di uno Stato al di fuori dei propri confini, e più in quindi del
colonialismo. La pluralità delle dinamiche legate al controllo della terra rispecchia quella
degli attori in gioco e dei loro interessi, di modo che le situazioni che si riscontrano non
possono essere lette come il diretto risultato di un singolo fenomeno, ma piuttosto come
l’effetto di forze che possono tanto combinarsi quanto essere in competizione.
Tutti questi fenomeni si basano sul controllo della terra, il quale ha assunto nei vari periodi
storici configurazioni particolari, ma che oggi e legato ad una dimensione globale. Lo
scopo di questo capitolo è di ripercorrere, all’indomani delle discussioni sulle Linee Guida
sulla terra, gli aspetti salienti del dibattito più che mai attuale su quale sia la particolare
configurazione che ha assunto oggi il controllo sulla terra, quali peculiarità si riscontrano,
chi siano i principali attori coinvolti e quali ideologie e interessi portino avanti. Per quanto
tutti questi elementi abbiano assunto aspetti divergenti rispetto al passato, determinando
conseguenze e traiettorie originali, resta comune ad ogni periodo storico la fondamentale
importanza che il controllo della terra ha sia nel determinare la sopravvivenza di gran parte
della popolazione sia nel determinare la struttura gerarchica mondiale. Scienza e tecnologia
non hanno messo in secondo piano la competizione per l’accesso alla terra come mezzo di
dominio.
9
2. IL FENOMENO DEL LAND GRABBING
Negli ultimi anni, in particolar modo a partire dal biennio 2007-2008, si è cominciato a
parlare di “land grabbing” (o “accaparramento delle terre”), termine coniato
dall’organizzazione non governativa internazionale GRAIN, con il quale, inizialmente,
viene indicata una pratica di acquisizione o affitto su larga scala di terre nei Paesi in via di
sviluppo da parte di compagnie nazionali o multinazionali, governi o individui. Tale
pratica è stata molto comune per tutta la storia dell’umanità, ma ha acquisito dimensioni e
modalità nuove e inquietanti proprio in seguito alla crisi dei prezzi agricoli nel 2007 e
2008, la quale ha sia messo in evidenza il tema della sicurezza alimentare nei Paesi
sviluppati, sia aperto opportunità di investimenti e speculazioni. In questo senso, questo
fenomeno è la diretta conseguenza della globalizzazione del commercio e della produzione
che, grazie anche alla liberalizzazione del mercato finanziario e allo sviluppo dei trasporti,
ha, dapprima, interessato soprattutto beni industriali ma che ha inevitabilmente coinvolto il
settore agricolo.
Inizialmente questi due aspetti, sicurezza alimentare e opportunità finanziarie, non
venivano presentati come antitetici, ma anzi si credeva fermamente che gli investimenti in
agricoltura da parte di investitori stranieri nei Paesi in via di sviluppo ne avrebbero
promosso lo sviluppo agricolo: tale approccio, detto “Win-Win”, nonostante le durissime
critiche ricevute da più parti per i devastanti effetti sulle comunità locali, è ancora
sostenuto da numerosi attori coinvolti. Infatti, questo termine, inizialmente coniato dai
movimenti della società civile che si oppongono a questo tipo di transazione, è stato fatto
proprio anche da istituzioni internazionali e governi che lo utilizzano come sinonimo di
investimenti in agricoltura su larga scala, depoliticizzando così il concetto e sostenendo
l’idea secondo la quale l’accaparramento di tali terre nei Paesi in via di sviluppo e la loro
conversione ad un tipo di agricoltura intensiva di tipo capitalistico costituirebbe la molla
per innescare lo sviluppo agricolo, oltre che una soluzione alla fame che, essendo ancora
dipinta come una questione di scarsità di cibo verrebbe risolta attraverso un aumento della
produzione3.
Questo approccio di tipo “etico” al problema ha richiesto che questo tipo di modello di
sviluppo fosse disciplinato da codici di condotta riconosciuti a livello internazionale:
questo atteggiamento è emerso nelle compagnie nazionali e soprattutto multinazionali in
3 Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
10
risposta alle critiche crescenti provenienti dai movimenti della società civile e
dall’opinione pubblica. Principi di responsabilità sociale sono stati inseriti nell’agenda e
nelle costituzioni di queste corporations e questo trend non poteva non essere seguito da
quelle istituzioni sovranazionali che hanno come obiettivo principale lo sviluppo
sostenibile dei Paesi in via di sviluppo. Riguardo alla questione del land grabbing, la prima
mossa è venuta dalla Banca Mondiale, che nel 2010 ha prodotto i “Principle of
Responsible Agricultural Investiments”, o “RAI Principles”. La Banca Mondiale
intenderebbe, con questi principi, creare un sistema di governance che sfrutti il suo potere
allo scopo di persuadere gli attori coinvolti in transazioni commerciali sulla terra a basarsi
su presupposti etici ai quali dovrebbero aderire volontariamente e la cui implementazione
sarebbe, in ogni caso, basata sull’autoregolazione di tali attori, in modo da limitare il più
possibile l’intervento dei governi nella società, permettendo una più efficiente
autoregolazione. I principi del RAI sono stati contestati dai movimenti della società civile e
dal CFS (Committee on Food Security) che ha spinto per l’adozione delle Voluntary
Guideline son the Responsible Governance of Tenure of Land, Fisheries and Forests in the
Context of National Food Security4.
Per definizione il termine “land grabbing” si riferisce al boom di transazioni commerciali
che hanno come oggetto la terra e che riguardano specialmente la produzione di beni
agricoli per il consumo umano, animale o per la produzione di biocarburante per
l’esportazione, oltre che per l’approvvigionamento di legna e l’estrazione di minerali.
Tuttavia questa definizione si dimostra non solo riduttiva ma anche ambigua nel
comprendere le nuove modalità assunte da questo fenomeno. Mettere l’accento sulle
transazioni commerciali, cioè su acquisizioni e contratti di affitto, nasconde, infatti, i
cambiamenti nell’uso della terra e nelle relazioni di proprietà.5 Inoltre, nell’immaginario
collettivo, questo tipo di fenomeno vede una netta divisione tra i Paesi sviluppati, che
attraverso i loro governi o le loro corporations, si accaparrano le terre dei Paesi in via di
sviluppo, depredando così le comunità rurali e le popolazioni indigene non solo della loro
principale fonte di sostentamento, ma anche dei beni collettivi, come ad esempio le risorse
idriche, che su questi terreni sorgevano, oltre che rovinando l’ambiente con pratiche
distruttive e inquinanti. Non si vuole qui negare l’entità e la rilevanza di questo tipo di
pratiche, ma evidenziare come in questo modo non vengano tenute in considerazione
4 Per un’analisi più approfondita di questi due documenti si rimanda al terzo capitolo di questo elaborato.
5 Borras Saturnino M, Jr, Franco Jennifer C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian
Change: A Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59
11
pratiche altrettanto dannose. Infatti, fenomeni di accaparramento delle risorse naturali
vedono come target di investimento tanto le terre situate nelle zone più povere quanto in
quelle più ricche del mondo e come investitori compagnie pubbliche e private di tutto il
mondo.
L’approccio prevalente all’analisi dell’accaparramento delle terre ha le sue radici nella
letteratura classica, che prende come punto di partenza il movimento di recinzioni delle
terre demaniali nell’Inghilterra del XVI e XVII secolo e mostra come questo provochi una
differenziazione tra le classi sociali nella campagna e un contro movimento
protezionistico6. Gli autori classici mettono, però, mettono l’accento sull’acquisizione o
l’affitto di terre, e in questo senso la visione che oggi si ha del land grabbing può essere
fatta derivare dalla continuità con questo tipo di approccio. Lo scopo di questo capitolo è
quello di mettere in luce come nuove forme di acquisizione del controllo sulle risorse
naturali siano emerse, spostando l’ottica dall’accaparramento di terre al sequestro del
diritto a produrre7.
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dalla convergenza di crisi mondiali in ambito
finanziario, ecologico, energetico e alimentare, che ha portato a una corsa
all’accaparramento di terre, soprattutto di quelle collocate nei Paesi in via di sviluppo e
percepite come sottoutilizzate e marginali. Questi terreni sono stati etichettati come
“reserve agricultural land” e sono stati posti al centro delle nuove politiche di sviluppo
delle istituzioni sovranazionali, il cui intento era l’utilizzo di questi per la produzione di
cibo, foraggio e biocarburanti (food-feed-fuel) per combattere la crisi alimentare ed
energetica, trovando alternative petrolio, il cui costo è costantemente crescente. Le grandi
compagnie dei maggiori settori coinvolti si sono mobilitate per l’acquisto di grandi
appezzamenti di terra nei Paesi in via di sviluppo: l’andamento iniziale del fenomeno,
quello più studiato a livello accademico e conosciuto dall’opinione pubblica, è
l’acquisizione da parte di aziende private di Paesi ad alta densità di capitale ma poveri di
risorse, di terre in zone con pochi capitali ma ricchi di risorse. L’andamento è stato presto
seguito dai governi nazionali che, di fronte alle crisi del 2007 e 2008, hanno seguito
l’esempio delle imprese per garantirsi la sicurezza alimentare e l’approvvigionamento
energetico per il futuro. Nonostante sia una tendenza storicamente sempre presente nella
storia dell’umanità, questa è una nuova fase dell’accaparramento delle terre da parte di
6 Polanyi, K, 1944 “La grande trasformazione: le origini politiche e economiche del nostro tempo.” Boston,
MA: Beacon Press.
7 http://www.europafrica.info/it/news/terra-nuova-e-crocevia-denunciano-il-land-grabbing-uccide-il-diritto-a-
produrre-cibo-delle-popolazioni-locali
12
Paesi del Nord del mondo ai danni dei Paesi del Sud del mondo: per la prima volta la
spinta di questo nuovo colonialismo8 è la sicurezza alimentare ed energetica della propria
popolazione nel futuro. Sia che l’investitore sia una compagnia multinazionale, sia che sia
il governo di un Paese sviluppato, nella maggior parte dei casi il partner della transazione è
il governo nazionale del Paese target, che in alcuni casi non solo accattano la transazione
ma cercano attivamente di attrarre questi investitori. 9
La grande espansione di questo tipo di investimenti è stata portata all’attenzione
dell’opinione pubblica da numerosi movimenti della società civile che si occupano di
questioni agrarie e ambientali oltre che del rispetto dei diritti umani. Il primo documento
che ha portato alla luce il drammatico incremento di espropriazione delle terre per la
produzione di biocarburante e di generi alimentari per l’esportazione è stato redatto nel
2008 dall’ONG GRAIN, presto seguita da FIAN (FoodFirst Information and Action
Network), IFPRI (International Food Policy Research Institute) e IIED (International
Institute for Environment and Development) i cui rapporti hanno messo in evidenza la
particolare entità che il fenomeno ha assunto in Africa. Nel 2011 Visser e Spoor
pubblicano un documento sul fenomeno in Europa Centrale e negli ex Paesi Sovietici,
mostrando così come la questione non sia limitata al continente africano.
La questione acquisisce sempre maggiore importanza, diventando nel giro di pochi anni
all’ordine del giorno nell’agenda delle istituzioni sovranazionali, tanto da spingere Olivier
De Shutter, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione, a
dichiarare che questo genere di transazione economiche minano la sicurezza alimentare dei
Paesi in cui avvengono tali investimenti, rendendoli dipendente dal mercato internazionale
per l’approvvigionamento di cibo, confutando così l’approccio che vedeva questo tipo di
investimenti come la soluzione alla fame: se è vero che si registra un aumento di
produzione di cibo, è vero anche che questi beni alimentari sono prodotti per
l’esportazione. La crisi del 2007-2008 ha, infatti, colpito maggiormente le regioni non
autosufficienti nel settore alimentare, più dipendenti dal mercato internazionale e, quindi,
più soggette alla volatilità dei prezzi e la risposta a questa minaccia è stata
l´accaparramento di terre per limitare tale dipendenza.
8 Paoloni, L. 2012 “Land Grabbing e beni comuni” in “Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni
comuni” a cura di Marella, M.R., Ombre Corte
9 Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A
Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59
13
2.1 GLI ATTORI COINVOLTI
Nuovi attori si impongono come protagonisti all’interno di questi processi: grandi
corporations e organismi statali stranieri o domestici entrano nella competizione per il
controllo della terra, cercando, e spesso ottenendo, la collaborazione con le élite locali.
Questi nuovi attori, a differenza dei precedenti, si collocano a una notevole distanza dalle
popolazioni rurali, rendendo così le rivendicazione dei contadini meno efficaci e
facilmente ignorabili. Inoltre, hanno posto le basi della loro posizione all’ombra delle
politiche di aggiustamento strutturale e delle politiche liberiste (tra gli anni ’70 , ’80 e ’90),
quando le politiche pubbliche hanno spinto per l’instaurazione di un simile modello
economico, a prescindere dallo stampo capitalistico, comunista o socialista che lo Stato
avesse. In questi anni, inoltre, si delinea la polarizzazione tra questi grandi attori interessati
all’accumulazione della terra e i piccoli produttori, che tentano di resistere a questo
fenomeno.
Entrambi i gruppi cristallizzano la propria posizione, raggruppandosi rispettivamente in
movimenti conservatori e organizzazioni contadine, di cui Via Campesina e il movimento
Zapatista sono i due esempi tra i più noti di quest’ultima categoria. Fin dall’inizio, queste
associazioni hanno messo in primo piano il legame stretto tra il controllo della terra e la
questione dei diritti umani. Questi movimenti emergono in contesti dove una struttura
organizzativa era spesso insospettabile e, per la maggior parte, portano avanti un approccio
di tipo riformista, e non anti-sistemico, nei confronti del governo: anche questo può essere
considerato come un punto di discontinuità rispetto all´atteggiamento che spesso si
riscontrava nel passato in questo genere di movimenti, e di cui peraltro vengono spesso
ancora accusati. Per quanto concerne il macro contesto in cui questi fenomeni hanno luogo
e in cui, quindi, questi movimenti si trovano a presentare le loro rivendicazioni, c’è un
passaggio da un sistema internazionale basato su un rapporto di tipo politico e diplomatico
tra i avari Stati ad uno in cui il commercio e, soprattutto, la finanza sono i canali
privilegiati di tali relazioni. Questo nuovo canale diviene prevalente tanto nelle relazioni
tra le aziende, quanto tra le istituzioni e gli individui.
Si comprende, quindi, come nei casi in cui lo Stato stesso è un attore coinvolto in
dinamiche di accaparramento o cessione del controllo della terra, si crea un conflitto di
interessi: l’ente preposto a fare da regolatore e controllore delle transazioni economiche
connesse alla terra si trova ad esservi coinvolto come parte portatrice di interessi, spesso
14
intrattenendo stretti legami e subendo la pressione di compagnie multinazionali10
. In molti
casi, come in quello dell’Arabia Saudita, le aziende private che stipulano accordi
commerciali riguardanti la terra di Paesi terzi lo fanno in realtà per conto dello Stato11
.
Oltre ai casi in cui lo Stato ricopre il ruolo di investitore, vi sono molti casi, specialmente
nei Paesi in via di sviluppo, in cui si trova ad incoraggiare e promuovere incentivi per
attrarre investimenti. Si tende ad accusare questo atteggiamento di essere motivato
esclusivamente da brama di potere e ricchezza personali da parte di singoli funzionari delle
amministrazioni centrali e locali. Tuttavia il tentativo di attrarre investimenti è spesso
spinto dal bisogno di finanziare il settore agricolo. Infatti, a seguito delle politiche di
aggiustamento strutturale, molti Paesi in via di sviluppo si sono trovati a dover tagliare la
spesa pubblica, come requisito vincolante per l´ottenimento di prestiti. Incidentalmente, si
deve tenere presente che mentre i Paesi del Sud hanno tagliato la spesa pubblica in
agricoltura, i Paesi del Nord hanno continuato e continuano a concedere grosse
sovvenzioni pubbliche a favore dell´agricoltura, riuscendo così a mantenere i costi delle
merci così bassi che quando queste vengono esportate nei Paesi in via di sviluppo fanno
dumping sui prodotti locali, con inevitabile peggioramento della situazione agricola
interna.
Si cercano così capitali che permettano di innescare dinamiche di sviluppo agricolo,
sperando poi nella sua diffusione 12
. Inoltre gli investitori, soprattutto nei casi in cui la
produzione sia destinata all’esportazione, promettono investimenti nella costruzione di
infrastrutture, come strade, ponti, ecc., necessari per il trasporto delle merci o per un
migliore sfruttamento delle risorse, come la costruzione di una rete idrica o elettrica. In
altri casi, pur se meno frequenti, gli investitori avranno interesse nell’istituzione di altri
servizi che possano essere utili sia alla loro attività sia alla popolazione locale, come scuole
che aumentino il capitale culturale locale, ospedali, ecc.. Si comprende quindi che i
governi di fronte a queste prospettive tendano a cercare di accaparrarsi gli investimenti
offrendo condizioni vantaggiose e si creano così situazioni di concorrenza tra i diversi
Paesi per accaparrarsi un certo investimento.
10
Peluso, N.L. e Lund C., 2011 “New Frontiers of Land Control: Introduction”, The Journal of Peasant
Studies, 38(4): 667-681
11
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
12
Li, T.M., 2011. ‘Forum on Global Land Grabbing: Centering Labor in the Land Grab Debate’. Journal of
Peasant Studies, 38 (2): 281–98
15
Va inoltre tenuto in considerazione che le amministrazioni centrali dei Paesi in via di
sviluppo per varie ragioni, tra cui la recente indipendenza e un generale maggior focus
sulle popolazioni urbane (urban bias), hanno pochissime conoscenze sulle comunità rurali,
sul loro effettivo numero e, soprattutto, sul tipo di diritti e proprietà che queste hanno sulla
terra, che si sono stabilite in lunghi tempi per consuetudine e spesso, quindi, calpestano
diritti di cui non sono a conoscenza. Con questo non si vuole certo giustificare la svendita
che i governi fanno delle terre necessarie per la sopravvivenza della loro popolazione, ma
solo mostrare tutte le sfaccettature della posizione in cui spesso si trovano i decisori13
.
Anche, tuttavia, nei casi in cui lo Stato sia a conoscenza delle relazioni di controllo e
proprietà consuetudinarie concernenti la terra, può non tenerne conto, mettendo l’interesse
“pubblico” sopra ad ogni altro. In generale, inoltre, nei casi in cui a portare avanti la
negoziazione con l’investitore sia l’amministrazione nazionale, la prospettiva e gli interessi
delle popolazioni rurali avranno scarse possibilità di essere tenuti in considerazione,
collocandosi a un livello troppo lontano.
Quando la trattativa con gli investitori, siano essi nazionali o esteri, è portata a termine da
gruppi dominanti, come élite urbane o di altri esponenti di classi sociali privilegiate la
discussione si colloca ad un livello a cui gli esponenti delle comunità rurali interessate
dalla transazione non possono accedere e i loro interessi non vengono quindi tenuti in
considerazione. Diverso è il caso quando si tratta di un’élite rurale o comunque locale, che
può avere qualche interesse nel mantenere la propria influenza sulla popolazione e questo
può far sì che si cerchino accordi che, almeno in certi aspetti, salvaguardino gli interessi
dei piccoli produttori.
In certi casi, specialmente in Sud America, le negoziazioni avvengono a livello individuale
con proprietari che sono in possesso di appezzamenti di terreni di piccola- media scala. Un
ultimo caso è rappresentato dalle trattative che vedono come controparte le organizzazioni
locali dei contadini: questo scenario è stato valutato positivamente soprattutto da agenzie
dello sviluppo, come la FAO. Si deve, però, tenere in considerazione che queste
organizzazioni tenderanno, a loro volta, a non tenere conto delle eventuali discriminazioni
di genere, età, etnia e religione esistenti all’interno delle comunità. Questi ultimi due tipi di
trattative, quello con le organizzazioni contadine e quello individuale, sono condotte
specialmente quando si vogliano concludere i contract farming. Seguendo la FAO,
definiamo i contract farming come un accordo sulla produzione agricola che coinvolge uno
13
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
16
o più contadini e un compratore, dove si stabiliscono termini e condizioni. Nella forma più
frequente, si stabilisce che una certa quantità di prodotto, che deve rispondere a un certo
standard di qualità, sarà consegnata dal contadino al compratore entro una certa data, e
questi in cambio si impegna a fare tale acquisto e a fornire determinati input produttivi14
.
Si deve considerare che, come la collocazione di questi attori influisce sulla possibilità di
portare avanti gli interessi delle comunità rurali, allo stesso modo essa determinerà anche
il grado di influenza che questi avranno di coinvolgerle e di convincerle. Per questa
ragione il semplice fatto che la trattativa sia condotta da un attore che si colloca vicino alle
popolazioni coinvolte non implica questa che la trattativa si svolgerà tenendo conto delle
loro richieste e in accordo con le loro necessità. Altro elemento fondamentale è il diverso
accesso che questi vari attori hanno alle informazioni: in generale, le amministrazioni
centrali hanno un’idea più chiara delle implicazioni delle transazioni finanziarie e sono in
grado di imporsi in maniera più decisiva nelle contrattazioni, mentre spesso, quando queste
sono gestiste a livello locale, si svolgono pochissimi incontri nei quali l’asimmetria delle
informazioni comporta uno squilibrio di forza contrattuale e, in generale, una mancanza di
trasparenza15
.
Oltre alle due parti che negoziano i termini delle transazioni economiche, nei vari contesti
vi sono un certo numero di attori che, pur senza poter intervenire direttamente, possono
influenzare gli accordi e la loro implementazione. Come in ogni altra questione che
riguarda la sfera pubblica, il ruolo dei media come “cane da guardia” e come divulgatore e
formatore dell’opinione pubblica resta centrale, in quanto rendendole di pubblico dominio,
spingono queste trattative ad una maggiore trasparenza. Negli ultimi anni, specialmente a
seguito di accordi di dimensioni macroscopiche, come quello tra il governo del
Madagascar e la compagnia Sud Coreana Daewoo, che hanno avuto risonanza mondiale, i
mezzi di comunicazione si stanno sempre più interessando al fenomeno del land grabbing
e, allo stesso tempo, a questo tema si è sempre più interessata anche l’opinione pubblica.
L´importanza del ruolo dei media nel promuovere una maggiore trasparenza è stato
evidente nel caso malgascio che, infatti, fu reso noto dal Financial Times e
successivamente ripreso e approfondito dalla stampa di tutto il mondo, provocando una
sollevazione popolare con conseguente caduta del governo malgascio e il naufragio delle
trattative, oltre ad un certo imbarazzo del governo sudcoreano.
14
http://www.fao.org/ag/ags/contract-farming/faq/en/
15
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
17
Un’importante funzione di lobby può essere svolta anche dalle organizzazioni contadine,
ovviamente nel caso in cui esse siano presenti, abbiano un certo potere e non siano
direttamente coinvolte nelle negoziazioni. Queste possono essere appoggiate dalle
organizzazioni non governative, che possono fornire loro strumenti organizzativi,
informazioni e creare contatti con i media. Anche se non hanno un potere legittimo di
influenzare le parti coinvolte, hanno comunque la possibilità di denunciare le violazioni,
ruolo svolto anche dalle più potenti, ma spesso troppo distanti, agenzie multilaterali16
.
2.2 I FENOMENI LEGATI AL CONTROLLO DELLA TERRA
Oltre alla sfera degli attori, anche quella relativa ai fenomeni storicamente legati al
controllo della terra ha assunto configurazioni peculiari e distinte rispetto al passato. Lo
scopo di questo capitolo consiste proprio nel descrivere come queste traiettorie si
presentano oggi e quali nuovi fenomeni siano sorti da esse. I tre fenomeni principali legati
da sempre al controllo della terra, la privatizzazione, le recinzioni e le diverse forme di
accumulazione primitiva, danno oggi vita a dinamiche nuove. Quello dell’accumulazione
primitiva è un concetto centrale nella filosofia marxiana, e indica la separazione del
produttore dal mezzo di produzione, in questo caso l’espulsione dei contadini dalla terra,
che egli ravvisa come il processo storico che ha determinato le condizioni fondamentali
della produzione capitalistica.
Kelly17
mostra come anche pratiche di conservazione del territorio attraverso l’istituzione
di parchi nazionali siano una forma di accumulazione primitiva in quanto separano i
piccoli produttori dai loro mezzi di produzione. Inoltre, sottraendo questi territori al
mercato, queste pratiche in molti casi essi danno comunque benefici ai privati e
all’espansione del controllo e della produzione capitalistica: nonostante questi parchi siano
sorti con l’intento di preservare il patrimonio naturale, in molti casi nel lungo periodo si
assiste a fenomeni di mercificazione, oltre al fatto che la definizione di queste terre come
pubbliche e la loro recinzione implica la sottrazione di queste ai piccoli produttori e ai loro
figli 18
. Il caso riguardante la comunità Sonaha che verrà presentato nel prossimo capitolo
e´un esempio chiaro di questi processi: l´istituzione del Bardia National Park risulta in una
grave limitazione alle attività che questa popolazione ha svolto tradizionalmente,
16
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
17
Kelly, A.B. 2011 “Conservation practice as primitive accumulation”, Journal of Peasant Studies, 38(4),
683-701
18
ibidem
18
minandone la sicurezza alimentare e la stessa sopravvivenza. Si parla in questi casi di
territorializzazione. Anche questi processi rientrano, quindi, all’interno del controllo della
terra, insieme ai fenomeni di privatizzazione che hanno assunto oggi una dimensione tale
da far parlare di una nuova ondata di recinzioni.
Si vuole in questa sede sottolineare come le recinzioni di terre, pubbliche o private che
siano, implicano la creazione di confini, trasformando coloro che tradizionalmente hanno
sempre occupato quelle terre in occupanti abusivi. Vedremo tuttavia come le nuove
“recinzioni” abbiano superato in molti casi l’azione fisica e assunto modalità sofisticate ed
eleganti con i quali avviene l’appropriazione del controllo. Vedremo anche come questi
fenomeni implichino una trasformazione dei rapporti di proprietà e come questa comporti
la necessità di una classificazione ufficiale, che sancisce legalmente i vincitori della
competizione per il controllo della terra. Una pratica di burocratizzazione che non si limita
al possesso privato ma che viene estesa anche alle terre pubbliche: nel momento in cui
vengono definite tali si avvia una pianificazione e un´amministrazione nuova di queste
terre che impatta sulla vita e sulla sopravvivenza delle popolazioni che hanno sempre
abitato e coltivato quelle terre. Questi cambiamenti nella proprietà avvengono per lo più
senza coinvolgere in questo processo le comunità locali e i popoli indigeni storicamente
presenti sul territorio e che spesso sono quelli che, a prescindere da nozioni tecniche e
specialistiche, hanno una maggiore conoscenza del territorio data da un rapporto durato
secoli. Si vede, quindi, come una definizione chiara dei confini e dei diritti di proprietà non
sempre sia vantaggiosa per le comunità. Si deve inoltre considerare che spesso, come
vedremo più avanti, la definizione formale dei diritti di proprietà della terra non implica il
loro reale controllo.
2.3..I DRIVERS
Le motivazioni che spingono gli investitori, siano essi pubblici o privati, rispecchiano in
parte quelle che muovevano gli investitori durante il periodo del colonialismo, ma si
riscontrano anche nuovi incentivi. Da una parte, infatti, si riscontra come molti dei
fenomeni che abbiamo citato sopra siano mossi da obiettivi che riscontriamo anche nel
periodo coloniale: l’imposizione delle tasse su un certo territorio da parte dello Stato,
l’aumento della produzione di beni alimentari per garantire un surplus alla crescente
popolazione urbana impiegata in settori non agricoli, la coltivazione di prodotti esotici per
l’esportazione, la necessità di maggiori quantità di alimenti per far fronte alla crescita
demografica.
19
Dall’altra parte, molti dei drivers di queste nuove ondate di accaparramento delle terre
sono del tutto inediti. Come abbiamo detto, uno degli obiettivi primari è far fronte alla crisi
alimentare e all’aumento dei prezzi dei beni agricoli, che nel biennio 2007- 2008 hanno
toccato records mai raggiunti prima. In quest’occasione la crisi ha innescato un timore per
la sicurezza alimentare futura, e questo spiega perché come primi investitori siano emersi
gli Stati del Golfo e piccoli Paesi asiatici, che hanno a disposizione ingenti capitali ma
poca terra coltivabile la quale, in seguito a fenomeni connessi alla crisi ambientale, andrà
riducendosi. Questi, infatti, dipendendo in larga parte da esportazioni, sono particolarmente
soggetti alla volatilità dei prezzi nel breve periodo, e temono più di altri le previsioni di un
costante aumento dei prezzi nel lungo periodo19
. Questo sarà causato sia da un aumento
della domanda, non solo per l’aumento della popolazione mondiale ma anche per il
cambiamento di abitudini alimentari dei Paesi in transizione la cui dieta si allinea a quella
occidentale, sia da una stagnazione o riduzione dell’offerta, la cui causa principale può
essere rintracciata nella crisi ambientale. In questo senso, l’accaparramento di terre mira ad
una produzione diretta a rifornire di beni alimentari principalmente il Paese investitore,
oltre che delle risorse presenti su quelle terre, prima fra tutte l’acqua20
.
Inoltre, l’accaparramento di terre oggi non è più legato esclusivamente alla produzione
agricola di beni alimentari: è piuttosto quella di biomasse per l’allevamento e, soprattutto,
per i biocarburanti ad aver avuto un’impennata, alla quale è seguita quella dei prezzi21
.
L’aumento del costo del petrolio ha spinto ad intensificare la coltivazione di mais, jatropha
e altre biomasse per la produzione di biocarburanti. In una prima fase questi sembravano
essere la soluzione perfetta non solo per liberare le società dalla dipendenza dal petrolio,
ma anche per ridurre i danni provocati dall’inquinamento. Oggi è chiaro come non solo, a
conti fatti, l’impatto sull’ambiente non si discosta da quello dei carburanti fossili, ma
comporta l’aggravante di sottrarre terreni alla produzione agricola, e lo stesso vale per le
altre risorse in essi presenti, come quelle idriche. Senza addentrarci troppo nella questione,
19
“The State of Food Insecurity in the World” FAO 2011; CFS 37 2011 “ Food Price Volatility:
Recommendation from Civil Society”
http://www.csm4cfs.org/files/Pagine/11/cso_37_messages_on_fpv_en.pdf
20
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
21
“Price volatility and food security: A report by the High Level Panel of Expert” 2011
http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/hlpe/hlpe_documents/HLPE-price-volatility-and-food-security-
report-July-2011.pdf
20
questi accenni bastano a comprendere come la produzione di biocarburanti mini la
sicurezza alimentare delle popolazioni rurali22
.
Un altro elemento che ha acquisito importanza nel contesto dei fenomeni di
accaparramento di terre è la speculazione finanziaria: la trasformazione della terra e dei
suoi prodotti in commodity finanziarie. Anche in questo caso il fenomeno è direttamente
legato alla crisi finanziaria, che è una parte non trascurabile della crisi economica degli
ultimi anni, la quale ha spinto a cercare oggetti d’investimento più sicuri. Una delle
modalità con cui questo genere si speculazione finanziaria avviene è l´acquisizione da
parte degli investitori di aree la cui estensione è decisamente maggiore di quella che viene
effettivamente votata alla produzione. In questi casi i fenomeni di espropriazione e perdita
del controllo delle terre ai danni dei piccoli produttori rurali sono aggravati dal fatto che a
questo non corrispondo neppure opportunità lavorative, investimenti in infrastrutture o
altre conseguenze di cui potrebbero, in ultima istanza godere23
.
3. I NUOVI TIPI DI CONTRATTO
Uno degli aspetti peculiari del nuovo accaparramento delle terre riguarda la proliferazione
di tipologie di contratto nuove che si affiancano a quelle classiche di compravendita e di
affitto. In generale, nell´ultimo periodo si assiste ad una diminuzione delle transazioni di
acquisto vero e proprio della terra: una delle ragioni è rappresentata dalle leggi che molti
Paesi hanno stabilito per limitare la vendita di terre domestiche a stranieri. Un metodo
escogitato da molte compagnie per ottenere il diritto di proprietà su una terra in questi casi
consiste nella creazione di una partnership con una compagnia domestica o dell’istituzione
di una compagnia ex novo in quella nazione: in entrambi i casi, l’investitore risulterà
domestico e non si avranno quindi ostacoli alla compravendita. Al momento dell’acquisto,
spesso le compagnie forniscono immediatamente una grande somma di denaro: la
popolazione, che non ha avuto il tempo di organizzare una struttura di salvaguardie per
utilizzare tali risorse in modo da minimizzare gli effetti negativi dell’acquisto e a favore
della comunità, si ritrova con questa ingente somma senza sapere come spenderla nel modo
adeguato.
22
“The State of Food and agriculture in 2008. Biofuels: prospects, risks and opportunities” FAO 2008
23
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
21
Per l’analisi dei tipi di contratti ci rifaremo alla classificazione proposta da Cotula24
, che
distingue tre tipologie: i contratti di concessione, gli accordi di condivisione della
produzione e i joint venture. Nel primo caso, le negoziazioni sono generalmente condotte
dai governi dei Paesi in cui si trovano i terreni in questione, che contrattano con gli
investitori la cessione, per un determinato periodo di tempo, dei diritti di utilizzo delle terre
e dello sfruttamento delle risorse in esse presenti, in cambio di pagamenti in denaro, tasse o
di una percentuale dei proventi ricavati. Nel caso dei contratti di cessione, essendo discussi
a livello centrale, le problematiche e gli interessi delle comunità locali vengono spesso
ignorati: possono così perdere non solo l’accesso alla terra, spesso la loro unica fonte di
sostentamento, ma anche la loro casa, che in molti casi si trova ubicata nell’area svenduta.
Nei casi in cui il controllo della terra e il diritto di abitazione in quell’appezzamento non
fossero registrati ufficialmente, i poveri rurali rischiano di non ricevere nessun tipo di
compensazione.
Anche negli accordi di production sharing la negoziazione di svolge tra gli investitori e
l´amministrazione centrale: i primi forniscono capitali e tecnologia, la seconda la terra e la
produzione che ne risulta viene suddivisa tra le parti. In questo caso, quindi, si ha una
centralizzazione dei prodotti, la loro suddivisione e la successiva ricompensa delle
popolazioni rurali da parte dello Stato, la quale viene calcolata in base al prezzo di mercato
del bene prodotto, e non in base al lavoro. Questo tipo di contratti è particolarmente
frequente nei casi in cui la coltivazione abbia un alto valore, come ad esempio nel caso
della coltivazione di biomasse per la produzione di biocarburante.
Il caso dei contratti joint venture in agricoltura prevede che le due parti si associno in un
iniziativa imprenditoriale comune. In questo caso gli investitori si legano, a seconda delle
circostanze, ad una delle controparti del Paese ospite (Stato centrale, élite locali,
organizzazioni contadine, singoli individui)25
. Questa impresa può essere formalmente
registrata o meno e di solito si concretizza nei cosiddetti contract farming, che abbiamo
definito come un accordo sulla produzione agricola che coinvolge uno o più contadini e un
compratore, dove si stabilisce che una certa quantità di prodotto, che deve rispondere a un
certo standard di qualità, sarà consegnata dal contadino al compratore entro una certa data,
24
Cotula, L. 2010 “Investments Contracts and Sustainable Development: How to Make Contracts for Fairer
and More Sustainable Natural Resouces Investments” London: Design
25 Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
22
e questi in cambio si impegna a fare tale acquisto e a fornire determinati input produttivi26
.
La remunerazione avviene in denaro, calcolato in base al prezzo di mercato del bene
prodotto, o lasciando una certa percentuale del raccolto all’agricoltore.
La logica su cui si basa questo tipo di contratti è uno scambio di cui si avvantaggiano
entrambe le parti: gli investitori forniscono capitali e tecnologia, sottoforma di competenza
tecnica, sementi geneticamente selezionati, fertilizzanti e macchinari, ma anche un più
facile accesso al mercato; i produttori la loro terra, con le risorse in essa contenute, e la
loro manodopera. Se da un lato questo tipo di contratti sembrano essere quelli che
assicurano maggiori garanzie per i piccoli produttori poiché la terra resta nelle loro mani,
d’altra parte è necessario vedere in ogni singolo caso quanto l’accesso alle informazioni e
la capacità contrattuale delle parti siano simmetrici. I termini previsti nel contratto possono
obbligare alla conversione di tutte le terre a disposizione del contadino a una monocultura,
che lo rende più dipendente dal mercato e più vulnerabile ad eventuali calamità naturali,
oltre a costringere tutta la famiglia a massacranti orari lavorativi per rispettare le scadenze
previste, con i connessi rischi di sfruttamento del lavoro minorile27
.
Un elemento fondamentale riguarda la durata dei contratti: in molti casi, infatti, questi
coprono un lungo arco temporale ed è necessario quindi che vengano tenuti in
considerazioni anche effetti di lungo periodo. Per quanto riguarda i contratti di affitto, ad
esempio, in questo caso è necessario distinguere quelli di breve o media durata, che vanno
dai 15 ai 20 anni, da quelli di lunga durata, che variano tra 50 e 99 anni. Non sempre
investimenti di lungo periodo hanno conseguenze solamente negative sul territorio: spesso,
infatti le compagnie che hanno investito in una certa area fanno investimenti in beni di
pubblica utilità, come mezzi di comunicazione e altre grandi opere, che sono necessarie a
rendere il loro investimento produttivo, ma delle cui conseguenze positive godono anche le
comunità locali.
Spesso, come abbiamo accennato sopra, gli investitori al momento della stipula del
contratto promettono compensazioni e investimenti in beni pubblici a favore del Paese o
della comunità locale, però, mancano gli strumenti per verificare se queste promesse
vengono mantenute e per valutarne l’aderenza a quanto prospettato. In generale, la
questione di analisi, monitoraggio e valutazione è di particolare importanza sia per
comprendere gli investimenti in agricoltura in tutte le loro conseguenze, sia per considerare
26
http://www.fao.org/ag/ags/contract-farming/faq/en/
27
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
23
gli effetti che su questi hanno i codici di condotta, come le Voluntary Guidelines on the
Responsible Governance of Tenure of Land, Fisheries and Forests in the Context of
National Food Security28
e i Principle of Responsible Agricultural Investiments that
Respect Rights, Livelihoods and Resources29
. Senza strumenti appropriati, infatti,
l’implementazione di queste direttive internazionali rischia di essere meramente formale.
Parallelamente, è necessario che le popolazioni coinvolte siano a conoscenza dei loro diritti
e dei canali, che in molti casi nei Paesi in via di sviluppo devono essere stabiliti, attraverso
i quali possono denunciarne l’eventuale violazione.
4. LE CARATTERISTICHE GENERALI DEL LAND GRABBING
Le caratteristiche principali che questo fenomeno ha assunto sono:
- Il cambiamento di utilizzo delle terre: dall’impiego di terre per la produzione
alimentare per la sussistenza, il consumo locale o domestico al loro utilizzo per la
produzione di beni per l’esportazione o per l’accaparramento di larghe fette del
mercato interno su base di controllo esclusivo.
- La conversione di foreste in terreni per la produzione di cibo, foraggio o
biocarburanti per esportazione, approvvigionamento di legname o estrazione di
minerali.
- Un forte carattere multinazionale, come si evince dai dati raccolti da GRAIN, che
mettono in evidenza molte delle transazioni in corso30
- Il coinvolgimento di transazioni finanziarie che hanno mero valore speculativo, le
quali spesso non sono trasparenti, non prevedono la consultazione di tutti gli attori
coinvolti e sono portate a termine con la corruzione dei governi nazionali e delle
amministrazioni locali.
- Nei casi in cui la proprietà della terra da parte della comunità rurale era sancita da
diritti consuetudinari e non da diritti di proprietà formalizzati si assiste ad un vero e
proprio esproprio contro il quale la comunità non può protestare.
5. LE TRASFORMAZIONI NELL’USO DELLA TERRA E DELLE BIOMASSE
Alle caratteristiche sopra citate, pur sempre attuali, si sono aggiunti negli ultimi anni nuovi
elementi, che hanno richiesto una ridefinizione degli strumenti di analisi. Per prima cosa si
28
http://www.fao.org/docrep/016/i2801e/i2801e.pdf
29
http://siteresources.worldbank.org/INTARD/214574-1111138388661/22453321/Principles_Extended.pdf
30
http://www.grain.org/article/entries/4479-grain-releases-data-set-with-over-400-global-land-grabs
24
nota come la nozione di “cambiamento nell’uso della terra” sia vaga e unidirezionale, cioè
colga solo la conversione delle terre votate alla produzione domestica di cibo verso la
produzione di generi alimentari e biocarburante per l’esportazione. In realtà oggi tali
conversioni avvengono in più direzioni. Come mostrano Borras e Franco31
, oggi si hanno
quattro tipi principali di conversione nell’uso delle terre, ognuna con delle variazioni, di
cui è necessario tenere conto per cogliere la complessità del fenomeno.
Il primo tipo di conversione messo in luce dai due autori e denominato tipo A vede terre
rimanere votate alla produzione di generi alimentari ma mutare la finalità di tale
produzione; ne consegue che non sempre questo cambiamento viene colto ufficialmente.
Le varianti che questo tipo presenta sono:
- A1: da produzione di cibo per il consumo a produzione per lo scambio domestico.
Questo processo prende il nome di “mercificazione” della produzione di generi
alimentari ed è uno dei cambiamenti più frequenti che si registrano storicamente nel
passaggio a sistemi agrari di tipo capitalista, che prevedono l’espropriazione di
terre, la produzione di surplus attraverso un tipo di agricoltura intensiva, la vendita
di parte del raccolto sul mercato in cambio di denaro.
- A2: da produzione per il consumo e/o per lo scambio a produzione per
l’esportazione. Si intende in questo caso sia la produzione di cibo che di foraggio e
si tratta in questo caso di una delle più note e criticate modalità di “land grab”.
Anche questa conversione non è nuova, tuttavia presenta delle peculiarità che la
differenziano dalle modalità con cui è avvenuta storicamente. Prima di tutto sono
subentrati Paesi asiatici investitori che si affiancano a quelli tradizionali, soprattutto
i Paesi del Golfo, la Cina, l’India, la Corea del Sud e il Giappone, spinti soprattutto
dai timori sulla sicurezza alimentare scatenati dalla crisi dei prezzi del 2007-08.
Inoltre questo tipo di accaparramento di terre avviene tramite acquisizioni, contratti
di affitto di lunga durata (fino a 99 anni in alcuni casi) e attraverso accordi stipulati
con i piccoli produttori. Infine, questo tipo di conversione avviene oggi a un ritmo
mai raggiunto nel passato.
- A3: dalla produzione per l’esportazione, la monocultura e per l’industria alla
produzione per il consumo, lo scambio domestico e la diversificazione di colture su 31
Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A
Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59
25
piccola scala. Questa conversione è di solito diretta da una politica redistributiva
attuata dal governo nazionale, che coinvolge espropriazione di terre e la loro
distribuzione ai contadini senza terra.
Il tipo B vede una conversione dei terreni dalla produzione di cibo alla produzione di
biocarburanti: questa tipologia richiama la nota critica fatta dalla società civile alle
multinazionali, che tolgono terre per sfamare le popolazione dei Paesi in via di sviluppo
per rifornire di energia i Paesi sviluppati. Non si vuole certo sminuire la drammaticità di
questa pratica, che è risultata essere molto estesa visto che le ricerche mostrano che la
maggior parte delle transazioni commerciali sulla terra hanno come scopo la produzione di
biocarburante o di prodotti industriali. A un esame più attento, tuttavia, si vede che questa
conversione presenta le seguenti varianti:
- B1: dalla produzione di cibo per il consumo e lo scambio domestico o per
l’esportazione alla produzione di biocarburanti per l’esportazione. Questa è la
modalità ferocemente criticata non solo dall’opinione pubblica, ma anche dalle
principali agenzie per lo sviluppo e molte istituzioni internazionali o
sovranazionali, come ad esempio l’Unione Europea, che affronta oggi un dibattito
sul cosiddetto ILUC, cioè sugli impatti indiretti provocati dalla conversione delle
terre alla produzione di biocarburanti. Le transazioni connesse a questa conversione
sono di solito fatte dalle compagnie operanti nei settori industriali coinvolti, vista
anche la necessità di ingenti capitali per questo tipo di investimento. Questa
conversione comporta l’instaurarsi di una monocultura di canne da zucchero, mais,
soia o jatropha su larga scala e la costruzione di infrastrutture idonee. Nei paesi in
cui inizia la produzione di biocarburanti la conversione dei terreni avviene ad un
ritmo piuttosto rapido. Questo tipo di trasformazione della produzione risulta
difficile da cogliere e da monitorare. Infatti, nonostante siano noti casi singoli di
accordi di questo tipo andati in fumo per l’opposizione della società civile come
accaduto nelle Filippine e in Madagascar, lo sono molto meno l’estensione del
fenomeno e le varie negoziazioni in corso. Il ruolo dei governi locali e nazionali in
questo tipo di conversione sembra fondamentale per il convincimento delle
popolazioni rurali, sia che avvenga con la forza e l’inganno o con la promessa di un
maggiore benessere.
- B2a: dalla produzione di cibo per il consumo e lo scambio domestico o per
l’esportazione alla produzione di biocarburanti per l’uso locale e lo scambio
domestico sotto il controllo delle aziende, a prescindere dal fatto che queste aziende
26
siano nazionali o straniere. Questo caso non può essere accomunato al precedente
in quanto tale produzione può essere finalizzata, e in molti casi lo è, alla produzione
di elettricità per il Paese e può rappresentare un modo per raggiungere
l’autosufficienza energetica.
- B2b: dalla produzione di cibo per il consumo e lo scambio domestico o per
l’esportazione alla produzione di biocarburanti per l’uso locale e lo scambio
domestico senza il controllo delle aziende. Questo tipo di conversione è votata alla
produzione di energia per l’uso locale e quindi non solo non è criticata, ma è anche
sperimentata e incoraggiata dalle organizzazioni della società civile, che cercano di
raggiungere l’autosufficienza energetica a livello locale, alternando la coltivazione
di biomasse per la produzione di biocarburante e per quella di generi alimentari. Si
comprende quindi l’importanza di fare distinzioni all’interno di questa categoria:
se, infatti, la critica nei confronti della conversione delle terre per la produzione di
biocarburanti per l’esportazione (B1) sia ormai sostenuta da più parti, è necessario
distinguerla da quella per l’uso domestico e, ancor più, locale, se questa non viene
anteposta alla produzione di cibo e assicura maggiore autosufficienza alle comunità
locali. Quest’ultimo tipo è oggi incentivato dalle istituzioni internazionali, come ad
esempio dalla Banca Mondiale.
Il terzo tipo, identificato con la lettera C, vede la conversione di terreni non votati alla
produzione di generi alimentari all’instaurazione di tale produzione. Questa trasformazione
assume le seguenti varianti:
- C1: da zone boschive a terre usate per la produzione di cibo per il consumo e lo
scambio domestico: è questo uno dei casi più frequenti in assoluto, usato da tutte le
comunità per ampliare le terre per la coltivazione e aumentare così la produzione.
- C2: da zone boschive a terre usate per la produzione di cibo per l’esportazione, che
richiama la nota critica seconda la quale si provoca la deforestazione di quelle zone
per permettere il consumo eccessivo fatto in altri Paesi. Non si tratta, in questo
caso, di un fenomeno nuovo poiché le sue origini risalgono al colonialismo, ma l’
aumento registrato negli ultimi anni è dovuto soprattutto dall’espansione della
domanda di carne a basso costo: è noto come la crescita della domanda di carne in
Cina si direttamente collegata alla deforestazione in Sud America per la produzione
di soia come foraggio. È uno dei fenomeni connessi al land grabbing con il più
27
rapido ritmo di conversione di terre, cosa che lo rende tra i più noti e criticati
dall’opinione pubblica.
- C3: da zone marginali e incolte a terre per la produzione di cibo per il consumo e lo
scambio domestico. Come nella tipologia C1, questo è un caso molto comune e
usato storicamente da tutte le comunità umane per ampliare la produzione.
- C4: da zone marginali e incolte alla produzione di cibo per l’esportazione. Un
esempio classico di questo tipo di conversione è la trasformazione di zone paludose
in zone per l’acquacoltura intensiva per l’esportazione. Il ritmo di trasformazione di
queste zone e le finalità accomunano questa tipologia alle altrettanto criticate A2,
B1 e C2, tuttavia in questo caso non comportando un disboscamento né sottraendo
terreni agricoli usati per la produzione di cibo, è un processo meno controverso.
Il tipo D, infine, indica la trasformazione delle zone boschive o considerate marginali e
incolte in terre dedite alla produzione di biocarburante, secondo le seguenti modalità:
- D1: da zone boschive a terre per la produzione di biocarburante per l’uso e lo
scambio domestico: in questo caso di solito la produzione di biocarburante è su
piccola scala, usato come energia alternativa nella comunità locale. Spesso queste
conversioni vengono stimolate dai governi locali, dalle organizzazioni dei contadini
e dalle organizzazioni non governative con lo scopo di rendere la comunità
autosufficiente dal punto di vista energetico.
- D2: da zone boschive a terre per la produzione di biocarburante per l’esportazione:
siamo, anche in questo caso, di fronte ad uno dei temi più ricorrenti nella critica al
land grabbing, portati alla ribalta da casi di deforestazione massiccia, come
accaduto nella Foresta Amazzonica in Brasile e in Indonesia. Il ritmo di queste
trasformazioni è molto rapido e spesso sono guidate da compagnie multinazionali,
con l’appoggio delle élite locali, che si accentrano gli enormi profitti provenienti da
questa produzione.
- D3: da terre marginali e incolte alla produzione di biocarburante per l’uso e lo
scambio domestico: è un caso molto simile al D1, spesso incentivato dalle
organizzazioni non governative locali o straniere, in certi casi sotto la guida di
aziende nazionali o estere. Anche istituzioni sovranazionali come la Banca
28
Mondiale, incentivano questo tipo di conversione, vedendo nelle zone marginali e
incolte una delle risorse principali per i Paesi del Sud del mondo per innescare
dinamiche di sviluppo. Non si deve però sottovalutare l’importanza che zone
considerate come incolte e marginali possono avere nell’ecosistema mondiale,
come mettono oggi in evidenza i movimenti per la difesa dell’ambiente.
- D4: da terre marginali e incolte alla produzione di biocarburante per l’esportazione:
anche in questo caso le agenzie per lo sviluppo intravedono in queste conversioni
una molla per creare un commercio di biocarburanti vantaggioso per questi Paesi
senza la deforestazione o la limitazione dei terreni votati all’agricoltura. Non si
considera, tuttavia, che per gli ingenti capitali necessari per questa produzione i
maggiori investitori siano di solito compagnie straniere e multinazionali e non
nazionali, e in questo modo la ricchezza prodotta si accentra nelle mani di
investitori esteri. Inoltre, le terre che le agenzie internazionali classificano come
incolte o marginali in molti casi non lo sono: i rilevamenti ufficiali non tengono,
infatti, conto che spesso questi terreni sono dediti a tipi di agricoltura tradizionali,
come ad esempio la coltura itinerante, sono usate dagli allevatori che praticano la
pastorizia transumante o sono zone che non sono state convertite per ragioni
politiche, simboliche o ecologiche. Tutto ciò non viene censito dalle autorità
nazionali come terra in uso da parte delle comunità e, di conseguenza, viene
venduta alle compagnie che si basano sui dati ufficiali. Da questa prospettiva, si
comprende l’importanza che oggi i movimenti della società civile danno alla
classificazione statuale delle terre, che è un argomento molto dibattuto nelle
negoziazione sulle Linee Guida sulla terra, comprendendo l’importanza di
salvaguardare i diritti consuetudinari delle popolazione e di considerare tutti gli
utilizzi che vengono fatti dei terreni.
Questa classificazione proposta da Borras e Franco32
permette di vedere che la concezione
comunemente diffusa di land grabbing come di un fenomeno di acquisto, o al limite di
affitto, di terre su larga scala di non permetta di cogliere le varie situazioni che interessano
oggi la questione del controllo della terra. Tale concezione, infatti, si concentra sulla
proprietà della terra, non indagandone invece la dimensione dell´uso e del controllo
effettivo. Inoltre, il concetto di proprietà privata e individuale della terra non è universale:
32
Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A
Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59
29
in molti altri Paesi il sistema di proprietà è di tipo collettivo e/o consuetudinario, in altri
Stati ancora si hanno combinazioni tra queste tipologie. Il tipo di agricoltura, allo stesso
modo, varia tra il metodo tradizionale estensivo ad alto tasso di forza lavoro e basso di
capitale, alla produzione intensiva e meccanizzata, che richiede ingenti investimenti ma,
avvalendosi di macchinari, non necessita di molta forza lavoro. Tutto questo complesso
sistema, a sua volta, determina la struttura sociale della comunità, il suo stile di vita e la
sua organizzazione politica. Le analisi e le categorizzazioni fatte dai censimenti statali non
riescono a cogliere queste realtà ma, anzi, sollecitano una standardizzazione a un modello
nazionale, se non internazionale, si classificazione.
Nelle società in cui il possesso della terra è collettivo e consuetudinario, questo tipo di
proprietà non è registrato a livello di catasto ufficiale e questo nasconde numerosi casi si
espropriazione delle terre, oltre a fenomeni di concentrazione della proprietà delle terre e
spostamenti di popolazioni da terre che ufficialmente risultavano disabitate. Senza tenere
conto di questi processi il land grabbing non può essere compreso in tutte le modalità che
il fenomeno ha assunto oggi. D’altra parte, la classificazione riportata sopra permette anche
di evitare di etichettare come fenomeni di accaparramento di terre modalità di conversione
delle terre che sono organizzate dalle stesse comunità per perseguire le proprie finalità,
soprattutto a livello locale e nazionale. Quello che viene messo in evidenza è il legame
stretto che esiste tra i processi di concentrazione ed i cambiamenti che si producono nelle
destinazioni d’uso del suolo e nei sistemi agrari locali
La discussione nata intorno al tema del land grabbing, inoltre, ha sempre identificato una
contrapposizione tra gli investitori e i poveri rurali, senza tenere conto delle distinzioni di
classe, genere e tipo di attività svolta. Questa categoria contiene piccoli produttori agricoli,
braccianti agricoli senza terra, popoli indigeni, pastori e piccoli pescatori che praticano la
pesca artigianale; tutti questi gruppi sociali, a loro volta distinti in base al genere, hanno
interessi e istanze diverse e vengono coinvolti nei fenomeni di land grabbing e di
conversione dell’uso della terra in modo di verso. Dall’altra parte, all’interno della
categoria degli investitori si rintracciano grandi proprietari terrieri, ricchi agricoltori,
società o privati che concedono prestiti, commercianti e operatori di borsa. Non è possibile
comprendere appieno le conseguenze dei vari fenomeni di accaparramento delle terre o del
“sequestro del diritto a produrre”33
senza tenere conto di questi fenomeni.
33
http://www.europafrica.info/it/news/terra-nuova-e-crocevia-denunciano-il-land-grabbing-uccide-il-diritto-
a-produrre-cibo-delle-popolazioni-locali
30
Come abbiamo visto, questa classificazione permette di distinguere i processi di
trasformazione che hanno effetti dannosi sulle comunità rurali da quelli che, invece, sono
necessari e apportano miglioramenti alla comunità. Un classico tipo di conversione
dell’uso della terra si ha quando si smantella la produzione monoculturale votata
all’industria e all’esportazione impiantata da aziende nazionali e, più frequentemente,
internazionali, che richiedono vasti appezzamenti di terreno ma, avvalendosi di
macchinari, poca forza lavoro; a favore della coltivazione di una pluralità di prodotti,
necessari alla comunità. Non sempre è facile rintracciare la presenza di una produzione
monoculturale votata all’industria: in alcuni casi, infatti, anziché acquisire grandi
appezzamenti di terreni (scatenando così le critiche degli attivisti che si battono contro il
land grabbing e per il diritto al cibo), le compagnie multinazionali stipulano contratti con i
singoli piccoli produttori, con lo stesso risultato di votare un’intera regione alla
monocultura. L’esempio più illustrativo di questo processo è rappresentato dal caso della
produzione di olio di palma in Indonesia. Non sempre, quindi, i fenomeni di land grabbing
sono accompagnati dall’espropriazione delle terre ai danni dei contadini e questo rende il
fenomeno meno visibile e, per ciò, sottostimato.
Le organizzazioni che si occupano della questione hanno sempre dato per scontato che,
essendo i primi a subirne gli effetti negativi, le popolazioni rurali fossero le prime ad
opporsi attivamente ai fenomeni di accaparramento delle terre. Anche in questo caso non si
possono comprendere appieno le varie conseguenze di tale fenomeno senza disaggregare il
concetto di “poveri rurali” nelle varie classi sociali che lo compongono. In realtà, di fronte
ai casi concreti che si sono presentati nelle varie regioni, si vede come ognuno dei gruppi
sociali coinvolti avesse degli interessi diversi, agisse in modo differente a seconda che
avesse dato vita a organizzazioni che la rappresentano o meno, si basasse su presupposti
ideologici di un certo tipo o non ne avesse affatto34
. La comunità locale non sempre può
essere considerata come un’unità di base a cui fare riferimento dandone per scontata
l’omogeneità di interessi: come in ogni aggregato sociale, si riscontrano infatti strati sociali
più ricchi, funzionari amministrativi facilmente corrompibili, élite locali/nazionali, che
portano avanti interessi privati in netto contrasto con quelli delle fasce più povere delle
comunità, sotto la bandiera degli “interessi locali. Un esempio classico di quest’ultimo
punto è rappresentato dalla contrapposizione che talvolta si crea tra gli interessi economici
dei piccoli produttori agricoli e le istanze dei movimenti ecologisti.
34
Borras, S. Jr, P. McMichael and I. Scoones, 2010. ‘The Politics of Biofuels, Land and Agrarian Change:
An Editorial Introduction’. Journal of Peasant Studies, 37 (4): 575–92.
31
La tipologia A mostra che spesso la conversione delle terre non riguarda il tipo di
produzione, ma il tipo di coltura: questo cambiamento spesso non viene registrato dalle
statistiche. Tra l’altro, questa conversione fantasma riguarda anche la tipologia B: infatti la
produzione di biocarburante comporta la coltivazione di biomasse, che può essere
registrata come produzione di cibo. In alcuni casi, addirittura, non cambia neppure il tipo
di biomassa prodotto, ma solo l’uso che se ne fa: gli esempi vanno dalla produzione di
mais negli Stati Uniti, che da essere usato come foraggio viene trasformato in etanolo, alla
produzione di soia in Argentina, di canne da zucchero in Sud Africa e nelle Filippine, oltre
che nel già citato caso dell’olio di palma in Indonesia e Malesia35
. L’estensione di questo
tipo di conversione nell’uso che si fa di questo tipo di prodotti agricoli non deve essere
sottovalutata: il cambiamento nell’uso del mais statunitense a favore della produzione di
etanolo è stato una delle cause dell’impennata dei prezzi di questa biomassa, che si è
diffusa a livello mondiale e a prescindere dall’utilizzo che ne viene fatto, anche alimentare,
quindi e minando così la sicurezza alimentare del Paese produttore in primis, ma in casi di
proporzioni enormi, con ripercussioni su tutto il pianeta.
La classica critica mossa al land grabbing si focalizza sull’accaparramento delle terre a
livello transnazionale, concentrandosi specialmente sugli investitori, che sono emersi solo
negli ultimi anni, cioè i Paesi del Golfo, la Cina e la Corea del Sud. Questa focalizzazione
tende a nascondere non solo le pratiche di espropriazione delle terre o di conversione a
livello nazionale sia in questi che in altri Paesi, ma mette in secondo piano molti investitori
nazionali e transnazionali del Sud del mondo: Brasile, Sud Africa, Filippine, India, Malesia
e Cambogia sono solo alcuni esempi di Paesi che stanno portando avanti negoziazioni di
grande rilievo, che non sollevano la stessa indignazione, ma non per questo hanno
conseguenze meno distruttive. In questi casi, spesso, gli investimenti transnazionali si
muovono a livello regionale: le compagnie brasiliane guardano perlopiù all’America
Latina, gli investimenti di Cambogia e Vietnam tendono a rimanere all’interno della
penisola indocinese, il Sud Africa si accaparra terre specialmente in Africa. Il caso
dell’India è molto particolare: si tratta di un tipo di land grabbing che potremmo definire
“interno” ma che, a differenza di ciò che accade in altri Paesi, non ha come scopo
principale la messa a coltura intensiva delle terre ma piuttosto l’estrazione di minerali e la
costruzione di infrastrutture e di immobili. Il focus sui land grabber emergenti non deve,
però, nascondere i processi messi in atto da quelli tradizionali, Nord America e Europa
35
Si parla in questo caso di flex- crops, cioè di colture utilizzabili sia come alimento per gli esseri umani, sia
come foraggio per gli animali, sia nella produzione di biocarburanti o in quella industriale.
32
restano sempre in testa36
. L’elemento fondamentale, sottolineato da Borras e Franco37
, di
cui si deve tenere conto è il processo di cambiamento dei sistemi agrari in atto e l’emergere
di sistemi agrari e energetici globali.
Le ricerche condotte fino ad oggi si concentrano sullo studio delle dinamiche economiche
connesse al cambiamento di uso della terra e delle risorse agricole, ma poco si sa ancora
dei cambiamenti sociali e politici che questi fenomeni comportano sulle società coinvolte. I
governi nazionali dei Paesi in via di sviluppo in cui il sistema di proprietà delle terre è
collettivo e si basa su diritti consuetudinari stanno dando vita a ondate di recinzioni, con la
prospettiva non solo di estendere il dominio nazionale su quei territori e di sottoporli così a
tassazione, ma anche di creare opportunità e attrattive per gli investimenti provenienti da
compagnie straniere. L’argomentazione con la quale le amministrazioni centrali motivano
questo tipo di pratiche si basa sulla definizione di queste terre come marginali e
sottoutilizzate, quindi sprecate, a fronte delle necessità del Paese di aumentare la
produzione di beni alimentari e di rendersi autosufficiente dal punto di vista energetico.
I fattori finora indicati mostrano come la definizione onnicomprensiva di land grabbing,
portata avanti dalle istituzioni mainstream, sia limitante non riesca a cogliere la varietà di
modi in cui questo fenomeno oggi si riscontra nelle varie realtà, che devono essere quindi
studiate con ricerche empiriche in grado di cogliere appieno il processo e le sue
conseguenze sotto ogni punto di vista: ecologico, economico, sociale, politico. La
definizione data ai fenomeni, infatti, non è neutra ma, soprattutto in questo caso,
comprende gli interessi politici e economici e le visioni ideologiche di coloro che le
formulano.
6. I CAMBIAMENTI NELLE RELAZIONI DI PROPRIETA’ DELLA TERRA
Come tutti i fenomeni economici, il land grabbing comporta cambiamenti strutturali, non
solo sulla struttura fondiaria di un paese, ma anche a livello politico, non essendo queste
sfere fondamentali della vita delle nazioni nettamente scindibili, come invece la teoria
liberista pretende38
. Le dinamiche politiche e i mutamenti che questo fenomeno comporta
vanno in due direzioni. Da una parte si hanno le élite locali e le classi sociali dominanti che
36
http://www.europafrica.info/it/
37
Borras, S. M. Jr e Franco, J. C. “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A
Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, Vol. 12, No. 1, January 2012, pp. 34-59 38
Polanyi, K, 1944 “La grande trasformazione: le origini politiche e economiche del nostro tempo.” Bosto,
MA: Beacon Press.
33
possiedono il controllo delle terre e delle risorse presenti su di esse che cercano di
consolidare e di estendere questa loro proprietà per vendere o cedere in affitto questi
terreni agli investitori o, altrimenti, per entrare loro stessi a far parte di sistemi agro-
industriali complessi dediti alla produzione di biomasse per la produzione di cibo e/o di
biocarburanti. Spesso l’estensione della proprietà viene fatta con l’acquisto o con contratti
di affitto di terre precedentemente coltivate da piccoli produttori. In questo caso, quindi, il
sistema di suddivisione delle terre si basava sulla proprietà privata e il fenomeno
prevalente è quello della scomparsa delle piccole unità a favore dell’ accentramento delle
terre nelle mani dei grandi proprietari terrieri, che costituiscono quindi grandi
appezzamenti privati. Esempi di questo tipo di fenomeno si riscontrano in Argentina,
Brasile Colombia Bolivia e Indonesia, oltre che in molte zone dell’Africa.
D’altra parte, in altri Paesi, il sistema di proprietà della terra non si basa solamente su
diritti di proprietà privata, ma su diritti di tipo collettivo e consuetudinario, non registrate
nelle classificazioni e nei catasti ufficiali. In molti casi questi territori sono etichettati dalle
amministrazioni come “pubblici” o “non privati”, sono spesso considerati disabitati e non
utilizzati per la produzione, quindi marginali e non sfruttati. Questo, al contrario di ciò che
si ritiene comunemente, riguarda enormi appezzamenti di terreno: la maggior parte delle
terre in Africa non è detenuta da singoli ma dalla comunità e questa proprietà è sancita,
perlopiù, dalla consuetudine; il 70% del territorio indonesiano è registrato come “terreni
forestali statali”39
nonostante su gran parte di questo esistano dei sistemi di produzione
agricola tradizionali; nelle Filippine più di due terzi del territorio agricolo nazionale è
etichettato formalmente come “non privato” e lo Stato sta svolgendo negoziati per trarne
profitti. Le istituzioni sovranazionali avallano la politica di questi governi: nel 2010 la
Banca Mondiale ha dichiarato che sulla Terra ci sono in totale tra i 445 milioni e i 1,7
miliardi di terre non coltivate, marginali, sottoutilizzate e quindi disponibili40
.
In entrambi i casi sopra citati, il risultato è consistito in massicce concentrazioni di terreni,
accentramenti di proprietà e espropriazione delle terre ai danni dei piccoli produttori e a
favore di una più efficiente amministrazione delle terre, sul modello occidentale, oltre che
di uno sviluppo di stampo capitalistico, percepito, paradossalmente, come necessario
specialmente per difendersi dalle crisi alimentare, energetica, ecologica e finanziaria che
hanno colpito, con grado e modalità diversa, tutti i Paesi del mondo negli ultimi anni. 39
Peluso, N.L. e Lund C., 2011 “New Frontiers of Land Control: Introduction”, The Journal of Peasant
Studies, 38(4): 667-681
40
Deininger, Klaus W., 2011”Rising global interest in farmland : can it yield sustainable and equitable
benefits?” World Bank
34
Come abbiamo visto, la critica classica al land grabbing si concentra soprattutto sulla
critica all’espropriazione di terre ma questo, per quanto non si debba sottovalutare
l’estensione e la drammaticità di questo fenomeno, non coglie i cambiamenti di relazioni di
proprietà della terra in atto. In alcuni casi l’esito di questo cambiamento è comunque
l’espropriazione ma, in altri casi le conseguenze variano. Sono quindi necessari studi
empirici41
che in ogni singolo caso mettano in luce le relazioni di proprietà esistenti, ma
soprattutto evidenzino come in certi casi avere la proprietà di una terra non corrisponde
automaticamente ad averne l’effettivo controllo. Quindi, quando si va ad analizzare il
cambiamento delle relazioni di proprietà su una terra, si devono individuare gli attori che
detengono il controllo effettivo su quelle terre e sulla ricchezza prodotta; si vede quindi che
in alcuni casi può esistere una discrepanza tra la proprietà e il potere.
Con controllo effettivo si intende, infatti, il potere decisionale sul tipo di coltura che si
desidera produrre, sul tipo di sistema agricolo che si intende utilizzare, sul ritmo della
produzione, sull’utilizzo del surplus, ecc. Si comprende, quindi, che questo controllo
effettivo in molti casi è del tutto indipendente dalla definizione che di quelle terre viene
fatta ufficialmente e dalla relazione di proprietà formalmente riconosciuta. Un approccio
empirico permette di cogliere chi sono i reali detentori del controllo sulla produzione e di
cogliere le divisioni di classe che si instaurano. Questa discrepanza tra diritti di proprietà e
controllo effettivo sulla produzione può essere legittimata da apposite politiche, come può
invece risultare dall’assenza di queste. Le politiche sulla terra, come le altre, sono
influenzate dalla struttura di potere interna a una società e tendono quindi a rispecchiare gli
interessi delle classi dominanti e dei dirigenti statali. Il modo in cui, poi, tali disposizioni
vengono interpretate e implementate non è mai neutrale, ma è sempre condizionato dagli
attori nazionali e locali ad esso preposti, creando anche varianze a livello territoriale, oltre
che cambiamenti a livello temporale, nell’applicazione di tali politiche. Inoltre
configurazioni politiche, sociali, culturali ed economiche che nei vari momenti storici si
affermano tendono a loro volta a modellare l’interpretazione e i metodi di implementazione
delle leggi.
Tali relazioni sociali legate alla terra sono dinamiche e mutevoli, e nel pianificare e
implementare un progetto di sviluppo è necessario tenere conto dei mutamenti che esse
subiscono sia in relazione ad esso sia indipendentemente e tanto durante la sua attuazione
quanto al termine di essa. Si crea in questo modo un’ulteriore divario tra le definizione del
41
Si rimanda al terzo capitolo per una panoramica delle tecniche di ricerca maggiormente utilizzate nello
studio dei casi.
35
sistema di proprietà presente nei documenti ufficiali e quella realmente esistente sul
territorio, anche perché in molti casi le trasformazioni subite dalle relazioni sociali
connesse al sistema fondiario non determinano cambiamenti veri e propri nel sistema di
proprietà a livello effettivo o comunque non tali da richiedere un aggiornamento delle
classificazioni operate dall’amministrazione .
Le politiche e le classificazioni fatte dagli Stati, così come le riforme sulla terra e il sistema
di diritti di proprietà, sono al centro della lotta politica tra classi sociali mosse da interessi e
ideologie diverse. Da una parte gli Stati e molte organizzazioni internazionali spingono per
l’adozione universale di categorie di proprietà standardizzate che vengono presentate come
puramente pragmatiche e politicamente neutre, ma che in realtà hanno come scopo la
tassazione di quelle terre e, in molti casi, il loro uso come mezzo di transazione finanziaria,
oltre che come attrazione per gli investitori stranieri. Questi, infatti, sono talvolta restii a
investire in Paesi in cui non esistano chiari documenti ufficiali che attestino il sistema
fondiario e chiare delimitazioni delle proprietà, sollecitando quindi questi Paesi
all’adozione di classificazioni standardizzate, pensate originariamente per essere
implementate in altri contesti in cui le relazioni sociali legate alle proprietà sono strutturate
in maniera completamente differente. Per questo nelle discussioni sulla stesura delle Linee
Guida sulla terra abbiamo assistito a un acceso dibattito, portato avanti soprattutto dai
movimenti della società civile che chiedono una particolare attenzione delle
amministrazioni centrali nella classificazione dei rapporti di proprietà inerenti alla terra.
Abbiamo parlato finora di come le politiche pubbliche influenzino le relazioni di proprietà
della terra e ne determinino i cambiamenti. Per comprendere meglio questo fenomeno
partiremo dalla tipologia proposta da Borras e Franco42
, che distinguono quattro di tipi di
politiche che determinano modifiche nei rapporti di proprietà.
Il primo tipo, identificato con la lettera A, è la redistribuzione, cioè la ripartizione di terre,
e del potere e delle ricchezze a esse connesso, che erano sotto il controllo monopolistico
dello Stato o di privati in favore delle classi rurali sprovviste di terra. Tale politica può
presentarsi in diverse varianti: se il caso classico, che viene subito in mente quando si parla
di redistribuzione, è la suddivisione di enormi appezzamenti di terreno privati in mano a
latifondisti e la loro assegnazione a piccoli produttori, in realtà sotto questa tipologia
ricadono anche altri provvedimenti come la restituzione delle terre, contratti di locazione,
riforme del sistema fondiario, dell’amministrazione o del sistema del lavoro e
42
Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A
Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59
36
riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni. Queste politiche possono essere applicate sia
alle terre che ricadono sotto il controllo statale sia a quelle appartenenti a privati e per
comprenderne appieno gli effetti sono necessarie ricerche empiriche che in ogni specifico
caso mettano in luce l’entità del potere e della ricchezza ridistribuita, oltre ad identificare
le classi sociali coinvolte in questo processo e come questo modifichi la struttura sociale.
Con B si intende un tipo di politica che prende il nome di distribuzione: come nel caso
precedente si tratta di una suddivisione di grandi appezzamenti di terre prima appartenenti
allo Stato o a privati che vengono spartite tra le classi rurali senza terra. Ciò che distingue
questa politica dalla redistribuzione è che in questo caso se l’espropriazione viene fatta ai
danno dei privati, lo Stato si impegna ad un risarcimento e si tratta quindi di una politica
meno radicale, che non prevede la confisca di terre di una classe sociale a favore di
un’altra e che è spesso quindi stata preferita alla redistribuzione. Una tipica modalità con
cui questa politica si afferma è il riconoscimento di diritti consuetudinari delle comunità
rurali che tradizionalmente lavorano e vivono su terre che sono registrate ufficialmente
come pubbliche: in questo modo si assicura a queste comunità il controllo su queste terre,
che prima era reso insicuro dall’assenza di una documentazione formale che lo attestasse.
Nel continente africano si posso rintracciare numerosi tipi di politiche di questo che
ricadono in questa categoria.
Il terzo tipo citato dagli autori viene definito non (re)distributivo: si è di fronte, in questo
caso, a direttive che sanciscono lo status quo e che fanno permanere le disuguaglianze
sociali e di proprietà della terra. Non sempre questa situazione si afferma attraverso una
specifica politica volta alla conferma e alla conservazione dello status quo, in molti casi è
la semplice assenza di una politica di riforma del sistema fondiario a creare questa
situazione, mentre in altri casi ancora è determinata dalla mancata implementazione di
politiche di riforma fondiaria che, da un lato restano stagnanti e non vengono quindi
applicate, dall’altro la loro stessa esistenza limita la possibilità di discussione su una nuova
riforma. Tale mancata applicazione non sempre dipende dalla volontà
dell’amministrazione centrale, anzi spesso è causata dall’opposizione che essa trova nella
società.
L’ultimo caso, identificato con la lettera D, è detto (ri)concentrazione e indica i fenomeni
di accentramento della proprietà nelle mani di un esiguo numero di privati, siano essi élite
locali dominanti, capitalisti, compagnie commerciali o finanziarie, classi sociali
privilegiate, funzionari statali o, semplicemente, lo Stato. Tale fenomeno può riguardare
37
tanto terreni privati quanto pubblici e non sempre è il risultato di una concentrazione di
proprietà, ma può anche presentarsi come un accentramento di controllo sulla terra senza
determinare cambiamenti nel sistema fondiario ufficialmente riconosciuto.
Questa tipologia mostra come, quando si parla di land grabbing, sia necessario precisare
quali sono le politiche che sottendono questo tipo di fenomeno e come le relazioni di
proprietà e di controllo sulla terra ne vengano influenzate. Come si vede, infatti, non tutti i
fenomeni di espropriazione delle terre sono ai danni delle classi rurali e una distinzione è
necessaria per comprendere, in ogni caso, quali sono le classi che si avvantaggiano di
queste politiche e quali sono invece i gruppi che subiscono l’espropriazione. In generale,
le ricerche mostrano come nella storia ci sia stato un passaggio da un momento in cui le
politiche prevalenti erano quelle che abbiamo indicato con le lettere A e B, già prima della
recente ondata di accaparramento delle terre, si nota un tendenza che accentua i fenomeni
di concentrazione e di non-redistribuzione.
L’utilizzo di questa distinzione aiuta quindi nella ricerca empirica a comprendere di fronte
a che tipo di fenomeno ci troviamo, permette di cogliere la varietà degli attori coinvolti, i
loro interessi e quindi di comprenderne le conseguenza. Da tenere in considerazione
quando ci si trova di fronte a questo tipo di disposizioni sono le precedenti politiche sulla
terra che erano state attuate: se, ad esempio, le politiche di redistribuzione sono state
precedute da politiche di concentrazione della proprietà, ecc. Questo approccio cronologico
permette di cogliere meglio come un certo sistema fondiario e sociale si sia formato e
come si sia eventualmente modificata l’agenda dei governi, favorendo o impedendo gli
investimenti da parte di grandi corporation e fenomeni di accaparramento delle terre.
Inoltre, come abbiamo già accennato, questa tipologia aiuta a fare distinzioni sulla natura
delle espropriazione delle terre (come abbiamo visto, non sempre queste vanno a discapito
dei poveri rurali) anche analizzandone le conseguenze. Uno studio sulle direttive dei
governi connesse all’espropriazione delle terre del tipo indicato con la lettera D mostra
come in molti casi queste disposizioni sono affiancate da politiche di resettlement, cioè di
dislocazione delle popolazioni che abitavano le terre espropriate in altri territori. La storia
di molti Paesi africani successiva alla decolonizzazione mostra la drammaticità di questo
tipo di direttive, non solo per il dover abbandonare la propria casa e per le modalità di
attuazione ma anche perché in molti casi queste popolazioni vengono dislocate in terre
sotto utilizzate in quanto hanno caratteristiche che le rendono non adatte ad una vasta
concentrazione demografica: fragilità dell’ecosistema, scarsa produttività dei suoli, ecc. Il
38
caso dell’Etiopia è emblematico della drammaticità di queste politiche di re-insediamento e
villagizzazione imposte dal governo con la finalità di aumentare la produzione e
causandone, invece, un tragico crollo e una feroce carestia43
.
Tuttavia sarebbe riduttivo vedere i trasferimenti di popolazioni come una spia per
identificare i fenomeni di land grabbing. Infatti, in certi casi, i fenomeni di concentrazione
e accaparramento delle terre non comportano l’espulsione delle popolazioni: sono le
situazioni in cui la produzione intensiva progettata dagli investitori prevede non solo
grandi appezzamenti di terra ma anche una consistente forza lavoro e in questo caso i
contadini vengono indotti a stipulare con queste compagnie contratti di lavoro o di affitto
delle terre. In questo caso, quindi, pur restando sulla terra e mantenendo il lavoro agricolo,
i contadini perdono quello che abbiamo precedentemente chiamato controllo effettivo sulla
produzione. I capitalisti, a loro volta, ottengono forza lavoro ed evitano le critiche che
provengono dalla società civile a seguito della dislocazione delle popolazioni. Ciò che di
volta in volta è necessario studiare è l’accettazione di questi contratti da parte dei contadini
e se essa venga o meno ottenuta con metodi coercitivi più o meno espliciti44
. In questi casi
acquisiscono particolare importanza la natura del capitale investito, il contesto sociale e
politico e l’eventuale presenza di organizzazioni dei contadini che gestiscono le
negoziazioni dei contratti e delle condizioni di lavoro.
All’interno delle categorie presentate risulta più facile lo studio delle politiche dai vari
gruppi sociali come risultato delle lotte che questi portano avanti, oltre che delle richieste
che identificano le loro istanze. Le lotte politiche e sociali sono sempre non solo contro un
certo fenomeno ma anche a favore dell’instaurarsi di un altro tipo di processo, di cui il
gruppo interessato beneficerebbe. La lotta contro l’espropriazione delle terre ai danni dei
piccoli produttori (tipo D) diventa anche una battaglia per la (re)distribuzione di queste a
loro favore (tipo A). Si tratta così di lotte composte da due movimenti contemporanei,
attuata su più fronti e senza tener conto dei quali molte azioni, sia che queste siano
organizzate dai movimenti sociali sia che siano spontanee, non potrebbero essere del tutto
comprese. Allo stesso modo, le polemiche e il dibattito sollevato negli ultimi anni sul
fenomeno del land grabbing, ha portato la corrente mainstream, adottata non solo dai
governi ma anche dalle agenzie internazionali per lo sviluppo, a concentrarsi quasi
43
Palmieri, P.2000 “L’ultimo socialismo africano. Il trasferimento forzato delle popolazioni sotto il regime di
Menghistu. Una ricerca antropologica”, Guerini e Associati; Sivini, G. 2006 “La resistenza dei vinti: percorsi
nell’Africa contadina”, Feltrinelli- Milano
44
Du Toit, A. 2005 “Forgotten by the Highway: Globalization, Adverse Incorporation and Chronic Poverty
in a Commercial Farming Distric” Centre for Social Science Research, UCT
39
esclusivamente sulla necessità di riforme fondiarie di tipo distributivo e redistributivo,
mettendo così in secondo piano la lotta contro la concentrazione e mostrando così solo una
faccia del problema.
Queste considerazioni fanno comprendere come il riconoscimento richiesto dai movimenti
sociali di formalizzati diritti di proprietà, siano essi individuali, collettivi o comunitari,
come strumento per la protezione del possesso e dell’accesso dei contadini alla terra, sia
riduttivo e assolutamente non sufficiente a proteggere questi diritti. Non solo perché, come
abbiamo visto, in molti casi a modificarsi non è il possesso vero e proprio della terra ma il
controllo sulla produzione; in secondo luogo perché sono numerosi gli esempi in cui tali
diritti di proprietà sono semplicemente stati ignorati. In alcuni casi, addirittura, la richiesta
di questa formalizzazione dei diritti di proprietà risulta controproducente, legandosi e
avallando il tentativo delle amministrazioni centrali di creare una classificazione
standardizzata del sistema fondiario nazionale di cui abbiamo già visto le conseguenza
negative in termini di privatizzazione dei suoli pubblici e di efficiente riallocazione dei
diritti di proprietà su di essa, ai fini di creare attrattive per i capitali stranieri e per
l’attuazione di una riforma agraria di stampo capitalista e volta quindi alla produzione per
un mercato che il più delle volte è quello internazionale.
Infatti, nei dibattiti per la stesura di codici di condotta per gli investimenti sulla terra,
come nei “RAI Principles”, dove la negoziazione è avvenuta tra attori favorevoli
direttamente coinvolti nelle transazioni risultanti in fenomeni di land grabbing (compagnie
multinazionali e domestiche, governi nazionali, ecc.) la questione della necessità
universale di un sistema fondiario che sancisca determinati diritti di proprietà è stata
centrale. Questi principi di “investimento responsabile” vedono nella classificazione un
elemento fondamentale per la più efficiente amministrazione delle terre. Tutto ciò
favorisce e legittima politiche non-redistributive e di concentrazione della proprietà (tipi C
e D) e scoraggia la distribuzione di terre in nome di una maggiore efficienza e produttività.
Le compagnie multinazionali si avvantaggiano di questi principi che hanno come scopo
principale quello di ottenere un mercato della terra libero, trasparente e in cui si possano
svolgere velocemente le transazioni economiche minimizzando i costi. Gli Stati nazionali,
dal canto loro, usano questa classificazione per estendere il loro potere e il sistema di
tassazione, oltre che per attrarre capitali. Si comprende quindi perché la negoziazione tra
questi due attori sociali sui principi per gli investimenti responsabili non possa portare alla
protezione delle classi rurali.
40
La Banca Mondiale ha proposto che le negoziazioni sulla terra avvengano a livello locale,
affermando che in questo modo la posizione dei contadini risulta più rilevante, ma in realtà
in molti casi accade esattamente il contrario: infatti, è proprio a livello locale che il potere
delle élite dominanti è più pervasivo e che i movimenti della società civile che difendono i
diritti dei contadini sono più deboli; per non parlare delle amministrazioni locali, i cui
funzionari risultano spesso facilmente corrompibili.
Sulla scia del dibattito promosso dai movimenti sociali e diffuso tra l’opinione pubblica,
anche numerose istituzioni internazionali, sovranazionali e multilaterali hanno avanzato
critiche nei confronti di quelli che chiamano “investimenti sulla terra su larga scala” da
parte delle multinazionali e dei governi e che vanno a discapito delle popolazioni rurali:
Banca Mondiale, FAO, IFAD, Unione Europea. Tuttavia, nell’insistenza portata avanti da
queste istituzioni sulla necessità di una definizione ufficiale dei diritti di proprietà
universalmente riconosciuta si vede come favoriscano proprio le posizioni di quegli attori
che affermano invece di combattere. Un’altra contraddizione tra la versione ufficiale
portata avanti da questi istituzioni e la loro effettiva linea d’azione si vede nella mancata
attuazione di politiche che limitino la concentrazione e l’accaparramento delle terre non
solo nei confronti dei Paesi stranieri ma anche all’interno dei propri confini, come nel caso
dell’UE e delle sue Linee Guida sulla terra del 200445
.
7. LA PROPOSTA DI BORRAS E FRANCO: UN APPROCCIO EMPIRICO
Quanto detto finora indica che nello studio empirico dei singoli casi devono essere tenuti in
considerazione non tanto il pacchetto di diritti che formalmente sono garantiti ai poveri
rurali, quanto il potere effettivo che essi hanno sulla terra e sulle risorse su essa presenti.
Le due tipologie proposte da Borras e Franco46
concernenti la conversione della
produzione o della finalità di essa e la trasformazione dei rapporti di proprietà sulla terra
sono due utili strumenti di analisi, che possono essere interrelati per analizzare il problema
del land grabbing e, più in generale la questione della terra, la quale oggi si concretizza
oggi a livello aggregato in due tematiche centrali: la sicurezza alimentare mondiale, cioè la
capacità del sistema-Terra di produrre in futuro una quantità di cibo sufficiente a sfamare
la popolazione umana, e la questione ecologica, soprattutto nella dimensione del
45
EU Land policy Guidelines: Guidelines for Support to Land Policy design and Land Policy Reform
Processes in developing Countries
http://ec.europa.eu/development/icenter/repository/EU_Land_Guidelines_Final_12_2004_en.pdf
46
Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A
Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change,. 12(1): 34-59
41
cambiamento climatico. L’urgenza di queste due questioni, tra loro strettamente interrelate,
porta anche ad un nuovo sodalizio tra i movimenti sociali impegnati nell’ambito della
giustizia agraria e quelli ecologisti. In questo modo, nell’analizzare una certa situazione in
cui si riscontrano fenomeni di cambiamento riguardanti la terra, si applicano tre diverse
dimensioni: la conversione riguardante la produzione, studiando se il risultato di questo ha
un impatto dal punto di vista ambientale e/o della sicurezza alimentare e la trasformazione
dei rapporti di proprietà.
La contraddizione che può venire a crearsi tra queste variabili può rendere difficile la scelta
su quale aspetto privilegiare. Prendiamo, ad esempio, il caso in cui una trasformazione nel
tipo di produzione o nell’uso che si fa di una certa biomassa possa sia garantire o
migliorare la sicurezza alimentare sia risultare non dannosa, se non positiva, per l’ambiente
ma, allo stesso tempo la sua attuazione richieda un cambiamento dei rapporti di proprietà
tale da favorire le élite dominanti e gli interessi commerciali e di indebolire la situazione
socio-economica dei poveri rurali. Viceversa, può darsi il caso che ci si trovi davanti a
politiche redistributive che privilegiano i contadini senza terra, ma questa provoca
conversioni a livello produttivo tali da ridurre la produzione, minando così la sicurezza
alimentare. Questi sono solo due delle molteplici scenari possibili in cui il privilegiare un
certo aspetto (la giustizia sociale, la sicurezza alimentare o la preservazione ambientale)
può causare danni agli altri due. Casi come questi sono tutt’altro che infrequenti e la scelta
non può che ricadere sulla strategia che mitiga il problema più impellente in quel dato
contesto, sia esso la scarsità di cibo o il forte degrado ambientale. Queste misure atte a
risolvere situazioni nel breve periodo vengono però scontate nel lungo periodo: dare, ad
esempio, la prevalenza alla produzione di cibo a discapito della preservazione
dell´ambiente mina produttività della terra e delle altre risorse naturali, inficiando la
possibilità di produrre alimenti nel lungo periodo.
La base comune, sulla quale tutti i movimenti sociali sono d’accordo e uniti, è la lotta al
più drammatico di questi scenari: il caso in cui le trasformazioni agrarie in corso
privilegino le classi dominanti o le grandi compagnie multinazionali, arrechino danni
all’ambiente e, allo stesso tempo minino la sicurezza alimentare. Parallelamente, i vari
movimenti concordano nel sostenere politiche redistributive che comportino una
trasformazione a livello della produzione tale da avere un impatto positivo sia sulla
sicurezza alimentare, sia sull’ambiente. Questa proposta, sostenuta specialmente dai
movimenti detti “agro-ecologisti”, combina sovranità alimentare, energetica e giustizia
sociale è un idealtipo al quale tendono tutte le proposte dei movimenti sociali sia a livello
42
locale che a quello globale. Tra questi due poli si trovano numerosi casi in cui uno di questi
aspetti viene compromesso a favore di un altro, creando così contestazioni e critiche di
parti sociali diverse e variamente coinvolte. La tabella sotto riportata è stata elaborata de
Borras e Franco47
e mostra tutti i possibili scenari sopra elencati.
TIPO CAMBIAMENTO RELAZIONI
DI PROPRIETÀ
SICUREZZA
ALIMENTARE
QUESTIONE
AMBIENTALE
A (Re) distribuzione Si Si
B (Re) distribuzione Si No
C (Re) distribuzione No Si
D (Re) distribuzione No No
E Non-distribuzione/
concentrazione
Si Si
F Non-distribuzione/
concentrazione
Si No
G Non-distribuzione/
concentrazione
No Si
H Non-distribuzione/
concentrazione
No No
8. ULTERIORI VARIABILI RILEVANTI NELLO STUDIO DEI CASI
Il modello empirico sopra presentato permette di cogliere sia i cambiamenti effettivi
nell’utilizzo delle terre sia, almeno in parte, le loro conseguenze sociali. Premettendo che
le variabili rilevanti per la comprensione dei mutamenti sociali nei singoli contesti sono
molte numerose e spesso strettamente legate ad una certa situazione specifica, ci
soffermiamo adesso sull’analisi di tre aspetti che riteniamo debbano essere sempre presi in
considerazione nell’analisi empirica dei casi di studio, senza alcuna pretesa di esaustività.
Tali variabili sono: l’uso della violenza nell’implementazione delle politiche e delle
decisioni legate al controllo della terra, l’influenza di queste sul mercato del lavoro,
l’impatto sulla questione di genere. La scelta di queste variabili è legata all’intento di
vedere come questi fenomeni impattino sull’organizzazione sociale, politica e culturale di
queste comunità.
47
Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A
Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change, 12(1): 34-59
43
8.1. L’UTILIZZO DI MEZZI VIOLENTI
La legittimità delle politiche messe in atto è direttamente proporzionale a quella dei
governi che le decidono e implementano e da questo dipendono quindi le modalità di
attuazione. Abbiamo visto come il fenomeno del land grabbing, sia domestico sia
transfrontaliero, sia universale e si riscontri tanto nei Paesi del Nord quanto in quelli del
Sud del mondo. Per quanto riguarda specialmente l’accaparramento delle terre interno, la
struttura politica nazionale acquisisce una grande importanza e determina differenziazioni
nelle modalità di esecuzione delle direttive, anche se spesso non nei risultati. In molti Paesi
governati da regimi non democratici, i governi non hanno bisogno di strattagemmi eleganti
per perseguire i propri fini, ma fanno ricorso alla forza e all’occupazione militare,
giustificando questa pratica con la necessità di politiche di sviluppo per il Paese ma,
intanto, preparando il terreno per investitori stranieri che producono per l’esportazione o
per assicurare al proprio Paese la sicurezza alimentare in futuro. L’utilizzo delle forze
militari per questi fini è particolarmente evidente in quei Paesi che sono stati recentemente
scenari di guerra e conflitti armati di vario tipo e che quindi non hanno ancora completato
la smilitarizzazione del loro territorio48
.
Che sia esplicita o che sia solo una minaccia inquietante, la violenza è raramente estranea
ai processi di definizione e cambiamento di proprietà. E’necessario distinguere nei vari
casi se la violenza si palesa come effettiva o solo come una minaccia potenziale e qual è il
suo scopo, rifacendoci alla distinzione di Walter Benjamin tra “law-making violence” e
“law-preserving violence”. Nel primo caso siamo di fronte ad una forza di tipo
rivoluzionario, che impone nuove regole sulla società e si manifesta in modo improvviso
ed arbitrario nella società, mentre il secondo è un tipo di violenza più sottile e meno
esplicita, volta al mantenimento dello status quo49
. Pur con le modalità diverse con cui si
presentano, entrambi sono l’estensione pratica di atti politica, sia che venga attuata da
istituzioni legittime sia che lo sia da un braccio armato. Se rispetto al passato, dunque,
nella competizione per il controllo della terra si assiste all’utilizzo di nuove tecnologie e di
mezzi di governance sofisticati ed eleganti, questo non significa che questi siano meno
violenti.
48
Peluso, N.L. e Lund C.2011, “New Frontiers of Land Control: Introduction”, The Journal of Peasant
Studies,38(4): 667-681
49
Benjamin, W. 1978 “Critique of Violence” in “Reflections Essays aphorisms Autobiographical Writings”,
14(3): 277-300
44
7.2. LE CONSEGUENZE SUL MERCATO DEL LAVORO
Uno degli ambiti molto influenzati dalle transazioni economiche riguardanti la terra è
quello dell’impiego. L’approccio Win-Win, sostenuto in modo particolare dalla Banca
Mondiale, vede nell’agricoltura su larga scala un mezzo per la creazione di posti di lavoro
che, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, porterebbero ad una diminuzione della povertà
e ad innescare dinamiche di sviluppo attraverso tre meccanismi: creando offerta di lavoro
per i braccianti senza terra, nuove opportunità contrattuali per i piccoli coltivatori e nuove
transazioni commerciali di acquisto o affitto delle terre50
. La strategia sembra semplice: si
prendono le terre marginali e sottoutilizzate dei Paesi del Sud del mondo con scarsa densità
di popolazione, si progettano sistemi di produzione e sementi adatte all’area in questione,
si finanzia il tutto e il gioco è fatto. Siamo ancora di fronte all’approccio classico, e
lungamente criticato ma non ancora scomparso, della ricetta dello sviluppo basata
sull’immissione di capitali e tecnologia. Ricetta che nell’ambito della produzione di cibo
appare come ancora più efficace: non solo si innescano dinamiche di sviluppo e si
provvede alla sicurezza alimentare del Paese ma, nel lungo periodo, questo aumento di
produzione diventa una garanzia per le riserve di cibo mondiali.
Tra l’altro, si afferma che tali effetti benefici a livello mondiale non saranno ottenuti sulle
spalle delle comunità locali, le quali non verranno trasferite ma saranno inserite nel
processo produttivo, riducendone così la povertà. Non volendo in questa sede soffermarsi
sui possibili dubbi che questo ottimismo sulla soluzione del problema alimentare globale
potrebbe far sorgere, sulla scia delle critiche avanzate da Tania Li51
, ci limitiamo a mettere
in discussione l’impatto positivo sulla sfera del lavoro.
Anche senza considerare i pur numerosi, casi di investimenti sulla terra a solo scopo
speculativo, si vede come in realtà le transazioni economiche su larga scala connesse
all’agricoltura non determinino gli straordinari aumenti di offerta di lavoro che la Banca
Mondiale sembra supporre. Infatti, il tipo di produzione proposta è quella intensiva di
stampo capitalistico che prevede un alto tasso di capitali investiti a fronte di un basso tasso
di forza lavoro, che viene sostituita per lo più da macchinari e tecnologie52
. Nel sistema
50
Deininger, K., D. Byerlee, J. Lindsay, A. Norton, H. Selod, and M. Stickler. 2011 “Rising global interest in
farmland: can it yield sustainable and equitable benefits?” Washington, DC: The World Bank
51
Li, T.M., 2011. ‘Forum on Global Land Grabbing: Centering Labor in the Land Grab Debate’. Journal of
Peasant Studies, 38 (2): 281–98
52 Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
45
capitalista gli investimenti sono diretti a quel tipo di produzione che minimizza i costi e
massimizza i profitti, per cui sembra improbabile che gli investitori si dirigano verso
produzioni che massimizzino l’offerta di lavoro. Questa considerazione dovrebbe essere
già sufficiente a comprendere l’assurdità di identificare nelle transazioni commerciali sulla
terra portate avanti dal settore privato la molla che innesca dinamiche che mirino alla
riduzione della povertà. Si sa, infatti, che la miseria della popolazione locale non solo non
è un problema degli investitori ma, anzi, è una condizione che massimizza il loro
interesse.
Anche nella scelta delle colture si rintraccia la tendenza a scegliere produzioni adatte alla
meccanizzazione, come il grano e la soia. Di fronte a questa possibile obiezione, il
rapporto sottolinea come nei casi in cui la produzione non richieda forza lavoro, potrà
comunque determinare la nascita di industrie di trasformazione, non tenendo conto che se
questo è uno scenario probabile e frequente nei Paesi sviluppati, è assai improbabile che si
verifichi in Paesi lontani da un take off industriale. Oltre il fatto che alcune di queste
biomasse, come nel caso della soia prodotta in Brasile perlopiù come il foraggio per gli
animali, non richiedono industrie di trasformazione.
Su questa linea si confuta un altro meccanismo positivo descritto dalla Banca Mondiale.
Per attrarre gli investimenti, il costo della terra e del suo affitto viene mantenuto basso e lo
stesso vale anche per la poca manodopera necessaria, mentre nei Paesi in cui il costo della
terra non è conveniente, le società stipulano direttamente contratti con i piccoli produttori.
Inoltre, l’interesse delle società nell’investire sulla terra è determinato dalla possibilità di
terra definita libera e quando questa non lo è semplicemente gli investitori tendono a
spostare altrove la loro attenzione53
.
La composizione della forza lavoro è un altro elemento da tenere in considerazione,
specialmente per quanto riguarda l’impiego della popolazione femminile. Mentre in certi
casi si ha una completa esclusione delle donne dal lavoro agricolo, in altri esse sono
impiegate in certe specifiche mansioni per le quali vengono percepite come più idonee.
Spesso si tratta delle posizioni lavorative meno qualificate e, di conseguenza, meno
remunerate. Altra circostanza frequente è che le madri sono costrette a portare con sé i
53
Li, T.M., 2011. ‘Forum on Global Land Grabbing: Centering Labor in the Land Grab Debate’. Journal of
Peasant Studies, 38 (2): 281–98
46
bambini a lavoro, in quanto non esistono istituzioni a cui affidarli: si crea così una
situazione che sfocia frequentemente in lavoro minorile54
.
Un altro fenomeno interessante riguardante la composizione della forza lavoro impiegata è
che questa, in alcuni casi, è per lo più immigrata anziché autoctona. La giustificazione che
viene fornita ufficialmente dagli imprenditori è che, dato che si tratta di regioni marginali e
poco popolate, per soddisfare la necessità di manodopera è necessario importare lavoratori;
quella che si da ufficiosamente è la presunta pigrizia delle popolazioni autoctone,
rinforzando così questo pregiudizio. Ciò che però non viene mai preso in considerazione è
il rifiuto delle comunità locali espropriate di essere inquadrate in queste piantagioni su
larga scala, specialmente se hanno ancora accesso a piccoli appezzamenti in prossimità e
che sono sufficienti per la sussistenza. Questo è sicuramente un indice che questo tipo di
contratti comporta condizioni negative per i lavoratori: gli abusi che i lavoratori possono
subire con questo tipo di contratti sono stati denunciati anche dal Rapporteur De Shutter 55
.
Ci sono casi in cui l’importazione di forza lavoro non risulti conveniente per gli
imprenditori, cioè quando la piantagione è situata in una regione che gode di abbondante
forza lavoro. In questi casi la manodopera è molto economica e facilmente disciplinabile.
Si tratta, però, di impieghi nelle posizioni meno qualificate e quindi meno remunerati:
dirigenti e quadri intermedi sono spesso provenienti dal Paese investitore, da un Paese
terzo con un capitale economico maggiore che si trova nella regione in cui avviene
l’investimento o, nel migliore dei casi, viene scelto tra le classi dirigenti del Paese in
questione56
.
Un altro meccanismo che il rapporto indica come potenzialmente positivo per la riduzione
della povertà consiste nei contract farming, che come abbiamo visto sono contratti che gli
investitori fanno con i piccoli produttori, ai quali verrebbero garantiti capitali e tecnologie
senza perdere il possesso della terra. Seguendo il credo liberista, queste transazioni
commerciali avvengono tra i privati senza nessuna interferenza dello Stato, nell’ambito di
un mercato concorrenziale, dando per scontato che le due parti abbiano posizioni di potere
e informazioni in equilibrio. Questa situazione è in realtà un idealtipo che non si riscontra
mai nei mercati, ed è quindi ancora meno probabile che si realizzi quando lo scambio
54
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
55
http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=9426&LangID=E
56
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1) 49- 79
47
economico avviene tra società commerciali multinazionali e piccoli produttori rurali dei
Paesi in via di sviluppo.
Per i casi in cui la riduzione della domanda di lavoro risulta inevitabile la Banca Mondiale
raccomanda l’investimento pubblico nell’istruzione, in modo da dare la possibilità ai
lavoratori in surplus di urbanizzarsi e di trovare un’occupazione nel settore dei servizi.
Sembra, però, abbastanza paradossale che uno Stato che non ha la possibilità di finanziare
il proprio settore agricolo possa aumentare la spesa pubblica nel settore dell’educazione e
che abbia al suo interno una tale richiesta di forza lavoro nel terziario. Uno degli effetti
della penetrazione della cultura occidentale in questi Paesi è stato quello di rendere
desiderabile il passaggio da un’economia prevalentemente basato sul settore agricolo ad
una incentrata sui servizi. Tuttavia, in assenza di un sistema di welfare, l’opportunità per i
giovani di migrare verso i centri urbani alla ricerca di lavoro si fonda sulla famiglia che
resta a coltivare la terra al villaggio, dove resta la aperta la possibilità di tornare e
reinserirsi in caso di insuccesso. La terra resta quindi il nucleo su cui si basa la
sopravvivenza e questo mostra come l’espropriazione di queste famiglie toglie anche la
possibilità ai giovani che non trovano occupazione in altri settori di reinserirsi, innescando
quella dinamica di disgregazione sociale già identificata da Polanyi nell’Inghilterra del
1800.
7.3. L’IMPATTO SULLA QUESTIONE DI GENERE
Nell’analizzare le conseguenze sociali che le comunità subiscono in relazione alle
transazioni economiche concernenti la terra, la questione di genere è significativa in quanto
le donne hanno ruoli e mansioni tipicamente differenti nelle pratiche agricole e di
produzione di cibo rispetto agli uomini, oltre a diritti e opportunità diverse, che si
modificano drasticamente in seguito all’intervento esterno di investitori. In molti casi, le
donne rurali non hanno la garanzia un accesso sicuro alle terre e agli input agricoli e gli
investimenti su larga scala non fanno che peggiorare questa situazione, con un ricaduta
anche a livello sociale e intergenerazionale, con il risultato che, invece che verso
l’emancipazione, il ruolo della donna in queste comunità viene ancor più marginalizzato.
Nonostante ciò, il ruolo delle donne come produttrici di cibo per la famiglia è stato messo
spesso in evidenza e numerosi studi dimostrano che dare loro un maggior accesso agli
input produttivi, come terra, sementi e capitali, può avere un risolto positivo su tutta la
famiglia, specialmente sulla salute dei bambini e può risultare in una diminuzione della
povertà a livello aggregato.
48
Si comprende quindi l’importanza di prendere in considerazione nei vari casi di studio le
conseguenze che le transazioni economiche hanno sull’accesso delle donne alla terra e
sulla discriminazione di genere. A tal proposito, per prima cosa in ogni contesto è
necessario comprendere come sono distribuiti i diritti di controllo della terra e, in generale,
di decisione all’interno della comunità non solo in base al genere, ma anche in base all’età,
all’etnia di appartenenza, allo status civile, ecc. Infatti, queste variabili sono tra loro
strettamente collegate e determinano un certa struttura di potere, in cui le donne si trovano
spesso in posizioni diverse. In questo senso, ha un certa rilevanza se i diritti loro
riconosciuti sono riconosciuti legalmente o sono di tipo consuetudinario, anche se, come
abbiamo visto, il riconoscimento legale non implica automaticamente la possibilità di far
valere certi diritti, specialmente perché in molti casi le donne non hanno accesso alle
informazioni necessarie su cosa è loro riconosciuto e come possono far sì che venga
rispettato. Così, se da una parte spesso nei sistemi che si basano sul diritto consuetudinario
spesso l’accesso alla terra della donna è garantito dalla relazione con un uomo (che sia
marito, padre, fratello, ecc.), dall’altra si riscontra che in molti casi il passaggio al sistema
statutario non solo non implica il rispetto di quanto sancito, restando in molti casi poi il
sistema consuetudinario quello effettivamente in vigore, ma spesso comporta un’ulteriore
emarginazione femminile. In questi casi, infatti, la privatizzazione delle terre comporta la
loro assegnazione a coloro che possano dimostrarne il possesso consuetudinario e questo è
spesso impossibile per le donne.
Nello studio della struttura sociale, va anche identificato il ruolo che assume la donna nelle
attività agricole: è stato studiato, ad esempio, che in molte regioni dell’Africa Sub-
Sahariana mentre gli uomini producono le colture per il mercato, le donne si occupano
dell’agricoltura di sussistenza per il nutrimento della famiglia. Questo da una parte mette in
luce quanto l’attività agricola femminile sia importante nel permettere la produzione
maschile di surplus per ottenere denaro, dall’altra mostra che però questo denaro tende ad
accentrarsi nelle mani degli uomini. È stato anche messo in luce che con il disgregarsi
dell’agricoltura di sussistenza questa suddivisione verrà a cadere, ma probabilmente senza
un’effettiva rivalutazione del ruolo sociale della donna57
.
Un altro ruolo spesso femminile è quello legato all’utilizzo di terre comuni per la
farmacopea, l’allevamento di bestiame, la raccolta di legna e l’approvvigionamento di
acqua. Spesso queste attività si svolgono su quelle terre che vengono definite dagli
57
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
49
investitori e dai promotori dello sviluppo mainstream come marginali e sottoutilizzate,
mentre svolgono un ruolo importantissimo per il sostentamento della famiglia. Lo stesso
vale nei casi in cui queste terre comuni abbiano una certa valenza ideologico- religiosa:
spesso le donne hanno un ruolo importante nel preservare le tradizioni.
Uno alt elemento da tenere in considerazione è la provenienza dell’investitore e la sua
cultura di appartenenza, che influenzeranno la sua tendenza a tenere o meno in
considerazione i possibili impatti che la transazione economica ha sulle donne da essa
interessate, aprendo o meno anche al genere femminile le opportunità di lavoro nella
coltivazione. Un esempio ovvio di questo si ha nei casi in cui gli investimenti provengano
da quei Paesi islamici nei quali non viene riconosciuto un ruolo attivo nella produzione alla
donna: in questi casi sembra inevitabile l’esacerbazione dell’emarginazione femminile.
Durante le negoziazioni, la difesa della questione di genere avrà maggiori o minori
possibilità di emergere e di essere efficace anche a seconda di chi sia la controparte a
scendere a patti con gli investitori.
La questione della discriminazione di genere emerge anche nei casi in cui la vendita o
l’affitto di terre comporti un resettlement, i quali sono solitamente organizzati dallo Stato
centrale, che sposta le popolazioni autoctone in altre aree, ritenute sotto popolate,
distribuendo ad ogni famiglia un certo appezzamento di terreno. Spesso il diritto di
proprietà su questo terreno viene dato al capofamiglia, senza tenere in considerazione quali
fossero le relazioni di proprietà tradizionali in quella comunità, non garantendo così alle
donne una proprietà personale. Inoltre, spesso la ricollocazione delle famiglie non tiene
conto della provenienza dei vari nuclei domestici, sfaldando reti sociali che spesso nei
Paesi in via di sviluppo sostituiscono i sistemi di welfare. Questo va a discapito soprattutto
delle donne: si pensi, ad esempio, come la possibilità lasciare i bambini ai vicini per andare
a lavoro, o all’aiuto nelle faccende domestiche nei periodi di malattia siano centrali in
queste strutture sociali e, allo stesso tempo, siano legati a rapporti di fiducia e reciprocità.
La questione di genere tende a essere vista come una problematica a sé stante e a non
essere ricompresa come un elemento fondamentale nelle questioni relative alla terra, per
questo le agenzie dello sviluppo non hanno finora preso in considerazione questa variabile
nella pianificazione di politiche e interventi in agricoltura58
. Tale tema, quindi, ha avuto
58
Lo stesso vale anche per l’allevamento e la pesca.
50
una risonanza minore in letteratura ed è emerso solo molto recentemente all’interno del
dibattito delle agenzie internazionali dello sviluppo59
.
Al contrario, nei maggiori movimenti della società civile che si occupano di tali questioni è
stato messo in luce fin da subito come il possesso e il controllo della terra devono essere
garantiti a entrambi i sessi e che questo deve essere sempre esplicitato. Via Campesina, un
network che fin dalla sua costituzione ha avuto lo scopo dichiarato di riunire ed articolare
le richieste e i problemi dei diversi gruppi sociali connessi all’agricoltura e alla terra
opponendo all’approccio neoliberista il principio della sovranità alimentare, ha messo
sempre in rilievo l’importanza della questione di genere. All’interno di questa
organizzazione sono sempre state presenti, fin dalla sua costituzione, molte donne delle
comunità rurali che hanno lottato per inserire nella lotta per la terra anche la questione di
genere60
.
La tematica è emersa per la prima volta a livello internazionale, però, solo nel 2002
all’interno del GCAR (Global Campaign for Agrarian Reform), promosso da la Via
Campesina e FIAN (FoodFirst Information and Action Network), con la ricerca sulla
condizione delle donne appartenenti alle popolazioni rurali e indigene in Bolivia e al loro
accesso alla terra61
. Nel 2003 in questo Paese il GCAR ha promosso un primo seminario a
Cochabamba, “Riforma agraria e genere”, all’interno del quale sono emerse molte
questioni inedite relative a questo tema. Per prima cosa, ci si è concentrati su come in
molti Paesi manchino ancora disposizioni e politiche che assicurino alle donne la proprietà
della terra, ma si è sottolineato come in realtà il riconoscimento legale sia solo un primo
step e non implichi l’effettivo accesso e controllo della terra da parte delle donne,
prevalendo elementi amministrativi, culturali, ecc. che a livello pratico rendono tali
riconoscimenti inefficaci. Su questo punto sono emerse conclusioni inaspettate: si è visto
come politiche volte alla non discriminazione di genere fossero non solo sorte da un
quadro ideologico neoliberista, ma tendessero anche a rafforzarlo, connettendo i diritti
delle donne con il diritto di proprietà individuale (in questo caso delle donne), mettendo
59
Behrman, J., Meinzen- Dick, R. e Quisumbing A. 2012 “The Gender Implications of Large-Scale Land
deals” in Journal of Peasant Studies, 39(1): 49- 79
60 A riguardo si nota, ad esempio che ogni centro regionale o nazionale de la Via Campesina ha un numero
uguale di rappresentanti per entrambi i sessi e questo ha spinto le organizzazioni rurali che fanno parte di
questo network ad interessarsi alla questione di genere e a fare altrettanto.
61
Monsalve, S. 2006 “Gender and Land” in “Promised Land: Competing Vision of Agrarian Reform” a cura
di Rosset, P., Patel, R. e Courville, M., Oakland CA: Food First Book
51
quest’ultimo in contrasto con i diritti consuetudinari e comunitari presenti in molte regioni,
specialmente tra le comunità rurali dell’Africa Sub-Sahariana e tra i popoli indigeni
dell’America Latina, i quali non hanno mai chiesto diritti individuali sulla terra. In questo
senso Sofia Monsalve parla della strumentalizzazione dei diritti delle donne sulla terra
come di un cavallo di Troia del neoliberismo62
.
L’approccio formulato durante il seminario di Cochabamba in risposta a questo tema si
basa sulla promozione della proprietà collettiva come sfida all’individualismo neoliberista,
retta da diritti consuetudinari ma rivisti e aggiornati a fronte delle nuove tematiche emerse,
tra cui, appunto, quelle connesse alla discriminazione di genere. Viene, tuttavia,
riconosciuto che questo tipo di soluzione non solo non è di facile applicazione, ma neppure
adatta ad ogni contesto e ci si riserva quindi, come per altre variabili, di studiare in ogni
singolo caso la soluzione più adeguata piuttosto che legarsi ciecamente ad una sola strada,
mantenendo però il legame tra i diritti di accesso alla terra delle donne e la difesa dei
piccoli produttori e dei contadini senza terra. Un altro punto importante stabilito in questo
seminario riguarda la rivalutazione dell’identità rurale anche dal punto di vista culturale e
simbolico tradizionale, dimensione all’interno della quale la donna acquista sempre, nelle
diverse culture, una posizione importantissima nel gestire il rapporto con la natura. Si
propone, quindi, un’alternativa non solo al modello economico neoliberista ma anche alla
cultura occidentale che esso veicola. In questo senso, la Dichiarazione di Cochabamba
promuove un ritorno a elementi tradizionali reinventandoli e adattandoli alle nuove sfide,
tra cui quella delle pari opportunità di genere, in ogni sfera sociale.
La questione delle pari opportunità di accesso alla terra è stata fatta rientrare dai movimenti
sociali come fondamentale per il rispetto dei diritti umani, che stanno alla base del loro
approccio nella lotta contro il land grabbing e per la sovranità alimentare. Si sottolinea,
però, come questi diritti siano da espandere, articolare e implementare. Infatti, nella
questione di genere, come anche in altre, l’universalità dei diritti umani ha fatto sfumare la
necessità di una maggiore protezione a favore di categorie marginalizzate. Tuttavia è
importante il riferimento all’umanità come fondamento di questo diritto: come suggerito
durante il seminario di Cochabamba, in ogni caso in cui sia in questione l’accesso o la
proprietà della terra di una donna, la soluzione deve essere trovata rispondendo alla
semplice domanda “se in questa situazione ci fosse un uomo come ci comporteremmo?”.
62
Monsalve, S. 2006 “Gender and Land” in “Promised Land: Competing Vision of Agrarian Reform” a cura
di Rosset, P., Patel, R. e Courville, M., Oakland CA: Food First Book
52
Inoltre, essendo il riconoscimento dei diritti umani un atto formale, una loro violazione
permette di ricorrere alla giustizia per assicurarsi la protezione e quindi, in questo caso,
l’accesso alla terra. Infine, essendo tutti i diritti umani tra loro connessi e interdipendenti,
trattando la questione dell’accesso delle donne alla terra da questo punto di vita permette di
inserirvi anche altre questioni fondamentali, come ad esempio quella relativa all’istruzione
o ai diritti politici e sociali. Gli obiettivi che il GCAR si pone oggi riguardo alla questione
di genere riguardano l’implementazione di strumenti che permettano la denuncia e il
ricorso alla giustizia nei casi in cui i diritti all’accesso alla terra non vengano rispettati,
incontri per informare i vari gruppi rurali su quali sono i loro diritti, come farli valere e
come costituirsi in associazioni che possano fare pressione sulle amministrazioni locali e
nazionali per garantire i loro interessi.
53
CAPITOLO 2
ALTRI FENOMENI DI ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE:NATURALI. IL
WATER GRABBING
1. L’ATTUALE SITUAZIONE DELLE RISORSE IDRICHE
Sono circa un miliardo le persone che oggi non hanno accesso all'acqua potabile. L´acqua è
una risorsa essenziale per tutte le attività umane e l´accesso a risorse idriche non
contaminate costituisce un prerequisito per la salute. Per la mera sopravvivenza il corpo
umano necessita di una quantità di acqua che varia tra i 3 e i 5 litri al giorno, senza i quali,
tra le altre cose, non riesce ad assorbire il cibo ingerito, portando così alla malnutrizione.
Inoltre, il mancato accesso a risorse idriche pulite è frequentemente causa di infezioni e
epidemie. Il consumo globale di acqua è sestuplicato dal 1900 al 1995, ad un ritmo due
volte più veloce di quello dell'aumento della popolazione mondiale: se questo trend
continuerà, quasi la metà della popolazione nel 2025 vivrà una situazione di insicurezza
nell'accesso alle risorse idriche. Considerati questi dati, tra gli Obiettivi del Millennio è
stato inserito il proposito di dimezzare il numero di persone che non ha accesso all´ acqua
potabile entro il 2015. Se questo da una parte comporta un sostanziale aumento degli
investimenti in questo settore, dall'altra implica anche una revisione della sua gestione. Un
simile intento non comporta solamente fattori di ordine tecnico e geografico, ma richiede
l´analisi di una serie di elementi legali e sociali63
. A livello internazionale, il dibattito verte
principalmente sulla questione se tale scopo può essere raggiunto più facilmente ed
efficacemente dallo Stato o dalle compagnie private. La nuova attenzione che sia le
agenzie internazionali sia le organizzazioni della società civile stanno prestando a questa
tematica è un segno che, dopo essere stata ignorata per decenni, l´acqua è tornata al centro
della scena64
.
Tutti i fenomeni globali ai quali stiamo assistendo coinvolgono l´accesso alle risorse
idriche e il loro utilizzo. Infatti, l´acqua è un elemento chiave in molte attività umane: non
solo necessaria per la sopravvivenza umana, ma anche per l´igiene e l´uso domestico, per
l´agricoltura, per la produzione industriale e quella energetica, per l´allevamento, ecc.. Se
63
Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for
agriculture IIED
64
Cotula, L 2006 “Tackling the land/water rights interface through a human rights lens: Lessons from a study
on the tenure challenges of improving access to water for agriculture in the Sahel” IIED
54
da una parte si registra un drammatico calo nelle riserve mondiali, specialmente nelle
regioni aride e semi-aride, dall'altra parte l´acqua è un elemento fondamentale
nell'affrontare crisi globali come quella alimentare, ambientale ed energetica. Dato il tasso
attuale di crescita della popolazione, la FAO stima che la produzione agricola dovrà
aumentare del 70%. Per di più, stiamo assistendo a una diffusione di un modello di vita che
implica un maggiore consumo di acqua: un esempio lampante è dato dall'aumento nel
consumo di carne nei cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e nei paesi a media
reddito (MICs). Altri elementi da tenere in considerazione sono la sviluppo del settore
industriale e minerario, oltre che la conversione all'agricoltura meccanizzata nei Paesi in
via di sviluppo. La situazione è ulteriormente peggiorata dal cambiamento climatico,
causato in gran parte da attività umane, che porta a condizioni meteorologiche estreme,
come alluvioni e siccità, che rendono più difficile il perseguimento di un´agricoltura basata
sull'acqua piovana. Anche il processo di urbanizzazione, infine, ha un forte impatto sulla
riduzione delle riserve idriche: prima di tutto perché le città sorgono generalmente in
prossimità corsi d´acqua o in riva al mare, secondariamente in quanto la crescente
popolazione urbana mettere sotto pressione il sistema di distribuzione di acqua corrente. In
molti casi, infatti, gli slums che circondano le nuove metropoli dei Paesi in via di sviluppo
sono totalmente sprovviste di acqua corrente e, di conseguenza, di servizi sanitari.
E´quindi fondamentale identificare dei criteri per stabilire un ordine di priorità
nell'allocazione e nell'uso delle risorse idriche, sia a livello nazionale che internazionale. Ci
sono, infatti, numerosi conflitti connessi all'accesso all'acqua, sia a livello nazionale che,
soprattutto, a livello locale e probabilmente aumenteranno con il diminuire delle risorse
idriche disponibili. Questa tendenza è evidente soprattutto in quei paesi che stanno
subendo e hanno recentemente subito un conflitto armato sul loro territorio. Spesso gli
Stati non hanno implementato strumenti né creato istituzioni ad hoc per la risoluzione di
tali conflitti e in questo modo le élite locali o straniere hanno maggiori possibilità di
ottenere quello che vogliono, mentre le comunità rurali non riescono a far sentire la loro
voce e a far valere i loro diritti. In questo senso, risulta evidente come stabilire dei criteri
di priorità non sia sufficiente: occorre anche creare delle istituzioni che possano non solo
far rispettare effettivamente questi criteri e risolvere i conflitti, ma anche adattare le
disposizioni nazionali allo specifico contesto locale. Per stabilire tali criteri è, prima di
tutto, necessaria un´analisi delle riserve idriche a disposizione sia a livello locale, sia
nazionale sia globale.
55
Nonostante la questione dell'utilizzo e della gestione delle risorse idriche sia spesso
presentata come puramente tecnica e, quindi, politicamente neutrale, le politiche che ne
regolano l´accesso e la distribuzione sono sempre basate su specifiche ideologie politiche65
.
Nel dibattito corrente si confrontano da una parte le agenzie internazionali e multilaterali
che propongono politiche basate sul neo- liberismo e le organizzazioni della società civile
che invece supportano sistemi alternativi e criteri di priorità che mettono al centro la
dignità e i diritti umani.
Durante il periodo di ricerca che ho svolto presso FIAN (FoodFirst Information and Action
Network), un´organizzazione internazionale che si occupa di violazioni dei diritti umani e
della promozione in particolar modo del diritto al cibo, ho avuto l´occasione di analizzare i
circa cento casi relativi alla violazione del diritto all'acqua di cui l´organizzazione si è
occupata nel corso degli anni. Questi casi possono essere classificati in tre categorie
principali.
Un primo gruppo riguarda i casi in cui l´accesso alle risorse idriche è stato interrotto o
negato: si hanno numerosi casi di negazione dei diritti tradizionali e consuetudinari,
particolarmente grave per i gruppi nomadi. In molti casi l´uso eccessivo di risorse scarse da
parte di certi utenti limita o nega l´accesso ad altri. Molti conflitti sorgono a seguito della
privatizzazione delle risorse idriche o del sistema di distribuzione. Rientrano in questo
primo gruppo anche i casi che riguardano la perdita dell´accesso a sistemi di irrigazione o
di distribuzione di acqua per uso domestico e la loro distruzione.
Un secondo gruppo riguarda la distruzione delle risorse idriche dovuta al loro
inquinamento e alla contaminazione. In molti casi questo è il risultato dell´estrazione di
petrolio o della fuoriuscita di cianuro dagli impianti estrattivi nelle miniere, che causano la
distruzione delle riserve di acqua per lungo tempo. Anche l´utilizzo di pesticidi e di
componenti chimici in agricoltura causa l´inquinamento delle risorse idriche: un caso
eclatante è sicuramente rappresentato dal spargimento aereo dei fungicidi nelle piantagioni
di banane nelle Filippine.
Un´ultima categoria include quei casi in cui il cambiamento nelle risorse idriche è una
diretta conseguenza di programmi di sviluppo o di altri interventi su larga scala che
modificano l´ambiente, come nel caso della costruzione di dighe o delle attività minerarie,
che causano deviazioni dei corsi d´acqua e cambiamenti nel loro regime. Progetti
65
Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and
Identity”, Earthscan
56
infrastrutturali come l´impianto di sistemi d´irrigazione, drenaggio, generazione di energia
idroelettrica, costruzione di vie di comunicazione sono spesso presentati come risposte
meramente tecniche a problemi di ordine pratico, nascondendo così i concetti politici e
l´idea della relazione tra uomo e natura che li sottendono. Risposte alternative a questi
problemi, infatti, non sono solo possibili ma la loro concreta applicazione può essere
spesso rintracciata nelle tecniche e negli approcci usati storicamente dalle popolazioni
indigene e dalle comunità locali.
2. L’ ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE IDRICHE: IL WATER GRABBING
Recentemente si è molto discusso sul fenomeno dell´acquisizione di terre su larga scala,
mentre scarsa attenzione è stata prestata all´impatto che questi fenomeni hanno sulle
risorse idriche. Tuttavia, l´acqua non solo gioca un ruolo cruciale nella odierna corsa all´
accaparramento delle terre, ma in molti casi ne rappresenta il driver principale. Come
abbiamo visto, del fenomeno del land grabbing non è stata data una definizione univoca,
nonostante questo concetto appaia spesso nei media e nei dibattiti. Una possibile
definizione di questo fenomeno lo vede come l´accaparramento del controllo di risorse
naturali, tra cui l´acqua, con o senza un passaggio di proprietà. In questo senso, con il
concetto di water grabbing facciamo riferimento a “ situazioni dove attori potenti sono in
grado di prendere il controllo o di deviare risorse idriche e bacini idrografici a proprio
beneficio, deprivandone le comunità locali la cui sopravvivenza spesso dipende da queste
risorse e dall´ ecosistema connesso” 66
. Si fa quindi riferimento alla trasformazione
dell´acqua in un bene economico, in una commodity: si comprende quindi come questa
idea, tutt´altro che politicamente oggettiva, coinvolge una specifica idea di proprietà e
controllo dell´uomo sulla natura.
La questione relativa alle risorse idriche nelle transazioni commerciali sulla terra è spesso
nascosta e in molti casi non è neppure menzionata nel contratto. Esiste, tuttavia, una stretta
connessione tra le transazioni che riguardano la terra e il controllo sulle risorse idriche che
vi si trovano e che giocano un ruolo fondamentale non solo nei casi in cui la terra verrà
destinata alla produzione agricola, ma anche nei casi in cui vi sorgeranno industrie, miniere
o infrastrutture .
La complessità stessa del sistema idrografico rappresenta un motivo per il quale è così
difficile cogliere le conseguenze che queste attività hanno sulle risorse idriche: queste
infatti possono essere sia dirette che indirette, le interazioni esistenti tra le acque 66
Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI
57
superficiali e sotterranee sono nascoste e difficili da rintracciare. La fluidità stessa
dell'acqua, che scorre da una regione all'altra e la cui quantità varia nel tempo e nello
spazio, rende difficile stabilire una precisa relazione causa- effetto tra le attività che si
svolgono in una certa area e le sue conseguenze sulle risorse idriche, che possono anche
essere rintracciate in zone molto distanti67
.
Come nel caso del land grabbing, anche il water grabbing non e´ un fenomeno nuovo, ma
ha acquistato dimensioni crescenti e inquietanti a partire dal 2007- 2008, come risposta al
sorgere di diverse crisi globali. L´acquisizione o la cessione in affitto della terra per la
produzione di beni destinati all´esportazione costituisce allo stesso tempo un caso di land e
di water grabbing. Infatti, a prescindere dal tipo di produzione a cui quel terreno sarà
destinato (agricoltura, allevamento, industria, attività estrattive, produzione di fonti di
energia), l´acqua rappresenta sempre un elemento centrale e questo spiega perché gli
investimenti tendono a concentrarsi in aree ricche di risorse idriche.
Essendo un fattore centrale nella produzione, l´acqua può essere esportata quando
e´utilizzata estensivamente nella produzione di beni destinati all'esportazione, creando un
sistema di “virtual water” 68
. Con questo temine facciamo riferimento, appunto, all'acqua
che è stata necessaria per la produzione di tale bene. Questa associazione tra il bene
prodotto e l´input che è stato necessario a produrlo rimanda sia alla teoria del vantaggio
comparato di Ricardo che a quella della formazione del prezzo di Marx. Questo concetto
mette in relazione i produttori ai consumatori, che si trovano spesso molto distanti tra di
loro.
3. I DIRITTI CHE REGOLANO L’ ACCESSO ALLE RISORSE IDRICHE NELLE
LEGISLAZIONI NAZIONALI
Per comprendere come il fenomeno del water grabbing si manifesta nei diversi contesti è
necessario, prima di tutto, tenere in considerazione le diverse tipologie di strumenti che i
governi utilizzano per abilitare legalmente individui o gruppi di persone ad utilizzare le
risorse idriche. Senza la pretesa di essere esaustivi, elenchiamo di seguito i principali
strumenti legislativi utilizzati per la concessione dei diritti all'accesso alle risorse idriche,
67
Mehta, L.; Veldwisch, G.J. and Franco, J. 2012. „Introduction to the Special Issue: Water grabbing? Focus
on the (re)appropriation of finite water resources.” Water Alternatives 5(2): 193-207
68Allan, J. A., 1998 “Virtual Water: A Strategic Resource Global Solutions to Regional Deficits” Ground
Water Volume 36, Issue 4, pages 545–546
58
definiti come “diritti legali per l´estrazione e/o l´uso delle risorse idriche, sia superficiali
sia sotterranee” 69
- Diritto di proprietà: l´acqua viene considerata come un bene al pari degli altri
- Concessioni: riconoscimento ufficiale del diritto di utilizzo dell'acqua
- Licenza: contratto che lo Stato ha il potere di concedere, modificare o revocare
- Permesso: implica solitamente una minore quantità di acqua
- Autorizzazione: è emessa ad hoc per lo svolgimento di specifiche attività
temporanee
- Registrazione: riguarda per lo più i popoli indigeni e le comunità rurali
Questi strumenti implicano un diverso grado di sicurezza nell'accesso alle risorse idriche,
tuttavia questo dipende anche dallo status socio-economico dell'utente, dalle sue
competenze e dall' accesso alle informazioni necessarie. In certi casi, questi diritti legali
concedono a individui o a compagnie di sviluppare il sistema infrastrutturale e di
diffusione dell'acqua in una certa area, secondo precisi schemi contrattuali.
Come accade per i diritti sulla terra, anche quelli che regolano l´accesso all'acqua possono
anche non essere registrati ufficialmente, come nel caso dei diritti consuetudinari, definiti
come “regole che trovano la loro legittimazione nella tradizione” 70
,e che quindi possono
cambiare da un luogo all´altro, presentando diversi livelli di coerenza interna. Spesso i
diritti consuetudinari sono collettivi e quindi attribuiscono la proprietà al gruppo nel suo
insieme, che poi stabilisce autonomamente i principi di gestione attraverso i propri processi
decisionali. In molti casi non esiste una distinzione netta tra i diritti consuetudinari e quelli
ufficiali, creando un sistema di regolazione ibrido detto “pluralismo legale” 71
. In questa
situazione, la sicurezza dei diritti ne risulta indebolita in quanto tutti gli stakeholders, che
possono essere investitori, piccoli produttori agricoli, donne, migranti, grandi compagnie,
reclamano i propri diritti basandosi sui propri interessi e sollevano così conflitti tra le varie
parti coinvolte: si crea così una situazione che Cotula ha definito “shopping forum”72
. Che
siano ufficiali o consuetudinari, la loro attribuzione e regolazione è sempre strettamente
69
Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for
agriculture IIED
70
Cotula, L 2006 “Tackling the land/water rights interface through a human rights lens: Lessons from a study
on the tenure challenges of improving access to water for agriculture in the Sahel” IIED
71
Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for
agriculture IIED
72
ibidem
59
legata al contesto sociale, economico, politico e culturale e tenderanno a riflettere le
relazioni di potere esistenti. In questo contesto, i progetti di sviluppo che coinvolgono gli
impianti idrici e le infrastrutture connesse tendono a influenzare queste relazioni di potere,
rafforzando una o più delle parti coinvolte condividendone gli interessi.
Un´altra questione da tenere in considerazione per comprendere in che modo la
legislazione nazionale tenda ad inasprire e influenzare i conflitti e le relazioni di potere tra
i vari individui e gruppi sociali è quella relativa alle diverse competenze tecniche e legali
che le varie parti possiedono. In Cile, ad esempio, per ottenere il diritto ufficiale all'acqua è
necessario affrontare una serie di pratiche burocratiche che richiedono competenze
tecniche e legali, e inoltre il Water Code che le regola risulta estremamente difficile da
comprendere73
. In altri Paesi la regolazione delle risorse idriche si scontra con quella di
altri settori economici: in questi casi, gruppi sociali marginalizzati e vulnerabili, come i
piccoli produttori agricoli o i popoli indigeni, si scontrano con grandi imprese, che hanno
maggiori competenze dal punto di vista tecnico e giuridico, oltre ad una maggiore
sicurezza e abitudine nel trattare questioni di ordine amministrativo e burocratico. Il caso
del Perù può essere considerato esemplificativo di questa situazione.
Il governo Peruviano ha affermato che “il Perù è un Paese minerario”, esprimendo così
l´intenzione dell'amministrazione nazionale di promuovere questo settore attraendo
investimenti privati e, soprattutto, stranieri. Yanacocha è stata una delle prime miniere in
Perù e la sua produzione ha contribuito a rendere il Paese uno dei maggiori produttori.
Questo ha avuto un effetto positivo sulla bilancia commerciale e per le tasche di un ristretto
numero di investitori coinvolti, mentre l´impatto ambientale e quello socio-economico
sulla popolazione non è mai stato preso in considerazione. Le attività estrattive implicano
l´appropriazione di risorse naturali, specialmente di terra e acqua. Le miniere, infatti, non
solo richiedono enormi quantità di acqua per lo svolgimento delle varie attività, ma
modificano anche il regime idrografico, sia dal punto di vista della portata che della qualità,
considerato l´effetto inquinante. Questi cambiamenti in termini di quantità e di qualità dei
bacini acquiferi sono una forma di water grabbing. Dal momento che spesso queste
transazioni non implicano acquisizioni di terra su larga scala, questi casi sono più difficili
da rintracciare. Tuttavia, il fatto che non comportino trasferimenti di proprietà di grandi
appezzamenti di terra non significa che le loro conseguenze siano meno drammatiche per
73
Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and
Identity”, Earthscan
60
comunità locali coinvolte, che si trovano a scontrarsi con imprese minerarie nazionali o
internazionali di gigantesche dimensioni.
Per avere accesso alle risorse idriche, le compagnie minerarie hanno offerto ricompense
alle comunità locali, nonostante la Peruvian Water Law del 2009 proibisce la
compravendita dei diritti sull'acqua. Spesso, queste ricompense sono molto maggiori dei
normali guadagni delle famiglie delle zone rurali, che sono quindi molto tentate di
accettare. In questo modo, però, le compagnie minerarie si appropriano del sistema di
gestione dell'acqua e delle risorse idriche della zona. I cambiamenti sia nel regime
idrografico sia nella proprietà dei diritti relativi all'accesso alle risorse acquifere non sono
solo un problema del presente ma si ripercuotono anche sulle future generazioni74
.
Essendo una miniera d´oro, Yanacocha utilizza enormi quantità di acqua, oltre al cianuro,
che in casi di fuoriuscita contamina le risorse idriche e mette a rischio la salute degli
abitanti della zona. Essendo collocata alla fonte di numerosi fiumi e corsi d´acqua che
attraversano la regione, le conseguenze si ripercuotono su numerose e diverse comunità.
Queste popolazioni sono perlopiù rurali. Il rapporto di FIAN rivela che le attività
inquinanti vanno avanti da molti anni, con la connivenza sia dei vertici della compagnia sia
del governo peruviano. La contaminazione dell'acqua ha pericolosamente minacciato la
salute e la stessa sopravvivenza delle comunità che vivono in prossimità della miniera.
Inizialmente la miniera veniva presentata come un esempio di un nuovo tipo di attività
estrattive che non mettevano in pericolo l´ambiente, affermando che la sensibilità
ambientale è al cuore del progetto e delle operazioni della miniera. In breve tempo, tuttavia,
le comunità locali hanno iniziato a denunciare il crescente impatto ambientale della
miniera sull'ambiente e sulla loro vita. Molte persone oggi non hanno accesso ad acqua
potabile per uso personale e domestico, né per irrigare i campi, né per abbeverare i propri
animali. Inoltre, la notevole riduzione nella quantità di acqua che scorre nelle varie regioni
rende impossibile il suo utilizzo per l´irrigazione dei campi, determinando una riduzione
del raccolto che mette a dura prova la sopravvivenza dei piccoli produttori, per i quali
anche una piccola riduzione della produzione risulta fatalmente nella malnutrizione e
nell'inasprimento della miseria. La riduzione sia della quantità che della qualità dei corsi
d´acqua ha anche determinato la scomparsa di numerose specie acquatiche, che
integravano la povera alimentazione locale.
74
Sosa, M. and Zwarteveen, M. 2012. “Exploring the politics of water grabbing: The case of large mining
operations in the Peruvian Andes.” Water Alternatives 5(2): 360-375
61
La posizione delle comunità locali è stata inoltre indebolita dalle politiche liberiste che
hanno smantellato quelle istituzioni il cui compito era proprio quello di fornire assistenza
tecnica e organizzativa nella gestione delle risorse idriche, creando un ponte tra il livello
locale e quello nazionale. Un altro elemento che deve essere tenuto in considerazione è la
debolezza, oltre all'arbitrarietà, con cui viene amministrato il potere giudiziario in molti
paesi, in cui peraltro la legislazione è perlopiù diretta al riconoscimento legale dei diritti
sull'acqua, ma che non fornisce strumenti per il monitoraggio e la verifica
dell'implementazione delle politiche. Numerosi sono i casi studiati da FIAN in cui, a
seguito di un conflitto tra una grande compagnia e la comunità locale, la sentenza emessa a
favore di quest'ultima non è stata applicata. Ci sono anche numerosi casi in cui una delle
parti è rimasta impunita nonostante il comportamento illegale messo in atto, in certi casi
con la connivenza delle forze dell’ordine.
A San Isidro, in Messico, 300 famiglie non hanno accesso a sufficienti risorse produttive.
Nel 1992 la compagnia Nutrilite, che fa parte della multinazionale Amway, ha preso
possesso illegalmente di 280 ettari di terra comune (ejido), dove ha stabilito un agri-
business non solo usando i pozzi e la diga presenti sulle terre, ma anche scavando tre nuovi
pozzi, che quindi portano via molta dell'acqua destinata prima alle comunità della zona,
mettendo così seriamente a rischio la loro possibilità di produrre cibo e quindi di
sopravvivenza. Nel 1993 la corte ha stabilito che il ejido doveva essere ridato ai contadini.
Da quel momento la compagnia, con l´aiuto delle comunità locali, ha cercato di costringere
i contadini ad abbandonare le loro richieste sulla terra, mettendoli sotto pressione,
complottando per creare divisioni interne e avvalendosi anche della violenza fisica. Il
leader dei contadini Gerardo Avalos Lemus è stato ucciso e questo crimine è rimasto
impunito, nonostante le manifestazioni dei contadini organizzate a Guadalajara. Inoltre, ci
sono state numerose assemblee per fare violenza psicologica sui contadini durante le quali,
con l'aiuto delle amministrazioni locali, si è tentato di dividere il movimento dei contadini,
o convincendo alcuni di questi abbandonare la terra bloccando le risorse idriche di El
Petacal. Anche in questo caso, alla deviazione illegale del corso d´acqua non è seguito
nessun provvedimento legale.
Anni dopo la sentenza del 1993 i contadini non avevano ancora riacquisito il controllo
sulle terre e sull'acqua. La situazione è sempre più difficile in quanto i contadini potrebbero
essere costretti a lasciare le loro case per evitare la fame se le terre non verranno restituite
loro. Vista la mancata attuazione delle sentenze nazionali, i contadini si sono adesso rivolti
alla comunità internazionale per far valere i loro diritti. Oltre alla restituzione delle terre
62
comuni illegalmente sottratte loro, chiedono di poter avere di nuovo accesso alle risorse
idriche per i loro campi dediti alla coltivazione di verdure, che richiedono quindi sistemi di
irrigazione. Nel villaggio di El Petacal, l´acqua non solo non è sufficiente per l´ agricoltura
e l´allevamento, ma persino per l´uso domestico dei suoi circa 300 abitanti.
Il caso sopra narrato è esemplificativo della relazione esistente tra la possibilità di godere
effettivamente dei propri diritti sull'acqua e lo status socio- economico di appartenenza. Le
persone, le compagnie e i gruppi sociali che hanno un maggiore potere sociale, economico
e/o politico hanno una maggiore garanzia e sicurezza dei propri diritti sui fattori produttivi,
seguiti dalle comunità rurali e dai popoli indigeni riconosciuti come tali. I popoli indigeni
hanno di solito una gestione e un utilizzo delle risorse naturali di tipo collettivo e, infatti,
nel formalizzare ufficialmente i loro diritti consuetudinari la questione più spinosa,
specialmente nella regione delle Ande75
, è decidere se questi diritti debbano essere
individuali o collettivi e in quest'ultimo caso come debba considerarsi l´ estensione di tale
collettività. Le persone e i gruppi marginali dal punto di vista del potere economico,
sociale e politico sono quelli che vivono una situazione di maggiore insicurezza dei diritti
sull'acqua e sulla terra.
Un esempio di come il mancato riconoscimento di una popolazione come indigena possa
produrre una situazione di insicurezza nell’accesso alle risorse è rappresentato dal caso che
riguarda i Sonaha, in Nepal. La maggior parte delle comunità Sonaha vivono nella regione
più occidentale del Nepal, specialmente nei distretti di Kailali, Kanchanpur e Bardia e sono
una delle nazionalità indigene più trascurate e marginalizzate in quanto si trovano a subire
una doppia marginalizzazione, sia dallo Stato che dal NEFIN (Nepal Federation of
Indigenous Nationalities), un´organizzazione riconosciuta dal Governo nepalese che
riunisce 59 nazionalità indigene. Questa organizzazione non ha però riconosciuto tutti i
popoli indigeni presenti sul territorio nepalese come tali, creando un ulteriore livello di
discriminazione dal momento che le comunità riconosciute godono di alcuni strumenti di
cui, quindi, i Sonaha sono stati privati. Con una popolazione molto scarsa e un livello
socio-economico e culturale molto basso, la comunità è stata gradualmente deprivata di
molti suoi membri, che sono migrati in cerca di opportunità di lavoro e istruzione. I
membri che rimangono sui territori tradizionali nel distretto di Bardia si dedicano
principalmente alla pesca artigianale e alla raccolta di polvere d´oro, entrambe le attività
sono legate all'accesso al fiume.
75
Boelens, R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and
Identity”, Earthscan
63
La comunità sta fronteggiando problemi alimentari a seguito delle restrizioni imposte dalle
autorità del Bardia National Park che non autorizzano i nativi di quei territori a svolgere le
loro attività tradizionali che consentono loro la sopravvivenza da generazioni. Il Bardia
National Park (BNP) e´ stato istituito nel 1975 incorporando la foresta circostante dovevo
viveva la comunità, bandendo le attività che questa svolgeva per sopravvivere e
limitandone il movimento nella giungla, inasprendo così la loro situazione di
marginalizzazione. Il regolamento del parco, infatti, ha limitato il loro accesso alle risorse
e specialmente al fiume, stabilendo condizioni molto restrittive per l´accesso al fiume
Geruwa e rilasciando licenze di pesca che permettono di pescare soltanto dalle 13 alle 16
di pomeriggio, quindi per tre ore soltanto al giorno. Restrizioni sono state imposte anche
alla raccolta d´oro, un´attività tradizionalmente svolta dalle donne Sonaha sul fiume
Karnali. Questo crea una situazione di ulteriore discriminazione nei confronti delle donne
della comunità, la cui attività e´stata fortemente limitata. La maggior parte dei Sonaha non
ha terre e quindi vivono ogni giorno dei frutti della pesca della giornata. Con le loro
occupazioni tradizionali, anche la loro identità viene minacciata dai processi legati allo
sviluppo socio- economico e politico della regione.
4. IL WATER GRABBING E LA CRISI ALIMENTARE
L´acqua e la terra sono elementi fortemente interrelati: come è stato affermato “ è molto
difficile, se non impossibile accaparrarsi le risorse idriche senza accaparrarsi la terra”76
.
Prima di tutto, entrambi sono elementi essenziali per l´agricoltura. Mentre i dibattiti politici
si concentrano sull'uso domestico che si fa dell'acqua, scarsa attenzione viene invece data
all'utilizzo nella produzione agricola, nonostante questa utilizzi il 70% delle risorse idriche
globali disponibili. Inoltre, l´acqua è indispensabile per aumentare la produzione di cibo
per far fronte all'aumento della popolazione, a tale scopo è necessario un miglioramento
dei sistemi di irrigazione soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Si vede quindi come
l´accesso all'acqua sia un elemento imprescindibile per il godimento del diritto al cibo e per
questo è necessario che nell'approcciare la questione del diritto all'acqua nei vari contesti si
tenga presente la relazione che questi hanno con il sistema di proprietà della terra. È
evidente, quindi, che il concetto di sicurezza alimentare incorpora quello di sicurezza
nell'accesso alle risorse idriche.
Dato il tasso di crescita della popolazione, stiamo assistendo ad un aumento dei conflitti
legati all'accesso all'acqua potabile. La presenza di sorgenti, di corsi d´acqua o di
76
Mehta, L.; Veldwisch, G.J. and Franco, J. 2012. „Introduction to the Special Issue: Water grabbing? Focus
on the (re)appropriation of finite water resources.” Water Alternatives 5(2): 193-207
64
infrastrutture e servizi connessi fa aumentare il valore della terra su cui si trovano e fa
quindi inasprire i conflitti per la proprietà della terra. Nel contesto dell'attuale land
grabbing, le terre maggiormente interessate dal fenomeno sono quelle che coinvolgono
sistemi di irrigazione, dando così un maggiore valore a quelle terre e un maggiore potere a
chi le possiede. Si comprende quindi che molte terre nei Paesi in via di sviluppo, e in
particolare nell'Africa Sub Sahariana, hanno uno scarso valore in quanto sono perlopiù
sprovviste di sistemi di irrigazione e basano la loro agricoltura sulle piogge, sempre più
scarse e imprevedibili a causa del cambiamento climatico. 77
Tutto ciò mette in luce la
necessità di investire nel settore idrico, la questione principale sembra essere chi debba fare
tali investimenti e quale tipo di sviluppo questi debbano promuovere.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, uno dei maggiori driver della corsa
all'accaparramento delle terre negli ultimi anni è stato il picco raggiunto dai prezzi dei
generi alimentari nel biennio 2007- 2008. La volatilità dei prezzi ha spinto, infatti, molti
Stati che sono dipendenti dal mercato internazionale per l´approvvigionamento interno di
cibo alla ricerca di terre e risorse naturali per assicurarsi la produzione in futuro. La corsa
all'accaparramento di terre fatta dagli Stati del Golfo ne è il più famoso e chiaro esempio:
si tratta infatti di Paesi ricchi di terra ma poveri di risorse idriche e l´acqua gioca
sicuramente un ruolo centrale nella loro scelta delle terre sulle quali investire, visto che si
prevede che le loro riserve rinnovabili si esauriranno entro i prossimi trenta anni e che
quindi saranno costretti a fermare la loro produzione agricola. Per far fronte a queste
previsioni senza diventare del tutto dipendenti dal mercato internazionale i loro
investimenti sono diretti perlopiù a terre ricche di risorse idriche, in grado di assicurare
loro l´accesso all'acqua e la possibilità di coltivare78
.
Tra i tipi di coltura più popolari negli ultimi anni ci sono i cosiddetti “flex- crops”, cioè
colture che possono avere diversi utilizzi: come cibo, come foraggio per gli animali, per la
produzione di biocarburanti, per l´utilizzo industriale. Fanno parte di questa categoria la
soia, la canna da zucchero, l´olio di palma. Queste colture che hanno tutte bisogno di
ingenti quantità di acqua e che inoltre hanno un impatto negativo sui bacini idrografici.
Nonostante ciò la coltivazione di questi prodotti è in crescita e nella maggior parte dei casi
vengono coltivati su enormi estensioni, dando luogo a vere e proprie monoculture in certe
zone. E´stato calcolato che la produzione monoculturale consuma 10 volte più acqua di un
77
Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for
agriculture IIED
78
Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI
65
sistema di produzione agricola fondato sulla bio diversità: questo confuta l´idea, molto
diffusa e propagandata negli scorsi anni, che la monocultura è un tipo di coltivazione più
efficiente e che si avvale di un numero minore di risorse.
Un esempio degli effetti disastrosi sull'ambiente e, in particolare, sulle risorse idriche della
produzione mono culturale è rappresentato dal caso della produzione di eucalipto di Basile
nella regione di Espirito Santo, su cui FIAN ha lavorato per proteggere i diritti delle
comunità locali minacciate dalle attività della compagnia Aracruz Celulose, leader
mondiale nella produzione di cellulosa di eucalipto. Aracruz Celulose, infatti, produce il 31%
della cellulosa ricavata dall'eucalipto a livello mondiale, occupandosi anche della
produzione di prodotti derivati come di fazzoletti e altri prodotti di carta.
Questa compagnia ha espropriato numerosi terreni per impiantare una produzione
monoculturale di eucalipto, impattando negativamente sulla produzione agricola della
popolazione locale, limitandone l´accesso alla terra e quindi la possibilità di produrre cibo.
Si ha quindi una situazione di forte concentrazione delle terre: l´area era precedentemente
coperta da una folta foresta pluviale, mentre adesso 40000 sono dedicati alla produzione di
eucalipto. La popolazione locale è composta da contadini afro- brasiliani e da comunità
indigene Tupinikim e Guarani. Per espandere la produzione, la compagnia, insieme ad altre
che sono sorte nella regione, continua ad espropriare terreni, cacciando i contadini dalle
loro terre.
Per di più, per soddisfare l´ingente domanda di acqua che questa coltivazione e che la
produzione di cellulosa richiedono, la compagnia ha fatto delle deviazioni nei corsi
d´acqua modificando così il regime idrografico sia dal punto di vista quantitativo, che
qualitativo, causando inondazione dei campi e la moria di numerose specie ittiche. Infatti,
non solo le dighe modificano la portata dei corsi d´acqua, ma in più i prodotti chimici
utilizzati per la produzione industriale inquinano i fiumi, minacciando così non solo la
produzione agricola ma anche la possibilità di pescare e di utilizzare l´acqua per fini
personali e domestici. Per rifornire di acqua l´impianto industriale, la compagnia ha
costruito una serie di dighe sui corsi d´acqua, i quali sono in molti casi divenuti di uso
esclusivo della compagnia. Negli anni la produzione e´andata aumentando, e così l'utilizzo
di acqua: secondo i calcoli attuali, la quantità di acqua consumata dall'impianto Aracruz
Celulose Riacho che si occupa della lavorazione della materia prima si aggira intorno a
250000 m3 di acqua al giorno, che equivale al consumo giornaliero di una città di 2 milioni
e mezzo di abitanti.
66
Di fronte a questa situazione ci sono stati moti di proteste contro la compagnia,
specialmente da parte delle popolazioni indigene, i cui leaders sono stati dipinti dalla
Aracruz Celulose come criminali. Stessa sorte e´ toccata a quattro membri di Alert Against
the Green Desert Network, che sono stati citati in giudizio dalla compagnia per aver
supportato la causa delle comunità locali.
Si vede anche in questo caso come sia forte il legame tra la terra e l´acqua e, di
conseguenza, tra i processi di accaparramento di queste due fondamentali risorse: ogni
fenomeno di land grabbing comporta sempre anche un water grabbing79
. La lotta contro i
fenomeni di accaparramento dell'una e dell'altra vedono coinvolti gli stessi stakeholders, le
stesse problematiche e la proposta delle stesse soluzioni: politiche neoliberiste da una parte,
una riforma agraria che punti ad assicurare la sovranità alimentare e idrica dall'altra80
. Da
una parte è importante separare questi due elementi per ottenere, a livello legislativo una
maggiore attenzione sull'importanza di garantire i diritti su entrambe le risorse e per
portare avanti analisi dettagliate sui fenomeni che le coinvolgono. Il riconoscimento dei
diritti su una certa risorsa è sempre proporzionale al potere dell'istituzione che li supporta e
dal tipo di risorsa di cui si tratta: nel caso dell'acqua, la sua stessa natura fluida rende più
difficile una definizione dei diritti di proprietà. Quindi, dall'altra parte, è necessario tenere
presente che acqua e terre sono profondamente connesse e creare un quadro legislativo che
le regoli in maniera unitaria. Dal punto di vista delle istituzioni, è importante che queste
siano raccordate e collaborino con quelle che si occupano di altre risorse connesse, in
modo da creare una quadro legislativo chiaro.
L´importanza di questo punto si comprende bene analizzando il caso del Ghana, un Paese
in cui invece queste due amministrazioni sono completamente separate. Tali
amministrazioni comprendono tipi di proprietà sia pubblica, sia privata, sia collettiva,
creando un sistema di proprietà multiplo che coinvolge diverse istituzioni e politiche che
creano un quadro legislativo molto complesso che lascia spazio a investimenti su larga
scala, tra l´altro attratti anche da politiche ad hoc del governo ghanese che ricerca
investimenti esteri per lo sviluppo del Paese81
. Tutto ciò spiega perché il Ghana è stato
recentemente coinvolto in una serie di acquisizioni di terreni che ha messo in luce come
79
http://www.grain.org/article/entries/4516-squeezing-africa-dry-behind-every-land-grab-is-a-water-grab
80
Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI
81Williams, T.O., Gyampoh, B.; Kizito, F. and Namara, R. 2012. “Water implications of large-scale land
acquisitions in Ghana” Water Alternatives 5(2): 243-265
67
avere un´amministrazione separata delle terre e delle risorse idriche possa creare una
situazione legislativa confusa che facilita i processi di accaparramento.
I diritti terrieri in Ghana sono per il 20% pubblici e per l´80% concessi a privati. La
maggior parte delle terre private si basa su diritti collettivi e/o consuetudinari. Le questioni
relative alla terra sono gestite da diverse istituzioni, che affrontano la questione delle
acquisizioni di terra da punti di vista diversi. Una di queste è la Environmental Protection
Agency (EPA) che, tra le altre cose, rilascia permessi e controlla che le attività seguano i
criteri stabiliti nei Environmental Impact Assessments (EIAs).
Per quanto riguarda i diritti sulle risorse idriche, questi fino al 1996 erano di tipo
consuetudinario, considerati legati alla terra e quindi rispondevano al gruppo che li
deteneva collettivamente (skin, stool o comunità). I diritti sull´acqua erano quindi
strettamente connessi sia alla proprietà della terra che alle relazioni sociali. Nel 1996 il
Water Resource Commission Act ha smantellato il sistema di diritti consuetudinario,
affidando alla Stato la proprietà e la gestione delle risorse idriche: di conseguenza, dato che
i diritti validi fino a quel momento non lo erano più, e i contadini dovevano chiedere
permessi per ottenere l´accesso all´acqua. Tuttavia, la maggioranza dei contadini ghanesi
non era a conoscenza del cambiamento legislativo e ha quindi continuato ad agire come ha
sempre fatto. La gestione è stata affidata a due istituzioni separate: la Water Resource
Commission, che si occupa di fornire i servizi e di rilasciare i permessi, e l´EPA che si
occupa dell´impatto ambientale. La mancata complementarietà e coordinazione di queste
due istituzioni rende le procedure più oscure e, parallelamente, più facili da evitare82
.
La National Water Policy del 2007 ha stabilito che la gestione delle risorse idriche deve
promuovere l´accesso equo alle risorse e la sicurezza alimentare e a seguito di questa
semplice affermazione la Banca Mondiale ha stanziato finanziamenti per il settore idrico
ghanese. Normalmente i prestiti delle istituzioni finanziarie internazionali sono vincolati
alla privatizzazione del settore e quindi era stata accolta positivamente dalle organizzazioni
della società civile la notizia che il Ghana aveva affermato di non poter procedere alla
privatizzazione del settore. Tuttavia, il governo ha creato il “Management Service
Contract”, uno strumento che trasferisce la gestione e il controllo di beni pubblici a attori
privati, che operano su principi di profitto e di copertura dei costi. Si vede che questo è
82
Williams, T.O., Gyampoh, B.; Kizito, F. and Namara, R. 2012. “Water implications of large-scale land
acquisitions in Ghana” Water Alternatives 5(2): 243-265
68
solo un altro nome per la privatizzazione, anche perché una clausola da la possibilità al
governo dopo due anni di questo contratto di cedere la locazione al privato in questione83
.
Migliaia di persone in queste regioni subiscono le conseguenze dell'espansione delle
attività minerarie che minacciano il loro diritto al cibo. Il minerale prevalentemente estratto
è l’oro, che richiede un tipo di attività estrattiva che ha un drammatico impatto sulle risorse
idriche, dal momento che utilizza enormi quantitativi di acqua per tutto il processo, oltre al
cianuro che contamina i bacini idrografici mettendo rischio non solo la produzione agricola
ma anche la salute delle comunità locali. Inoltre, l´inquinamento delle acqua comporta
anche la moria delle specie ittiche, rendendo impossibile la pesca. Numerose fuoriuscite di
cianuro sono infatti state denunciate, con conseguente contaminazione dei fiumi e dei
campi che utilizzano questi corsi d´acqua per l´irrigazione: questo mette a rischio non solo
la sicurezza alimentare presente ma anche delle future generazioni.
Nonostante tutto ciò, il governo ha stabilito incentivi per sviluppare il settore minerario e
per attrarre investimenti privati, concedendo terreni che erano precedentemente dediti alla
produzione agricola e all'allevamento. Circa il 30% della superficie del Paese è previsto
essere concesso per l´estrazione di oro, con le conseguenti e prevedibili violazioni dei
diritti umani delle popolazioni locali. I contadini e gli allevatori coinvolti spesso non ne
venivano neppure informati e non avevano quindi molte possibilità di far valere i loro
diritti. Da parte loro, le compagnie fanno pressione sulle comunità perché abbandonino le
terre, anche fermando l´approvvigionamento di acqua e di elettricità.
Sulla questione, FIAN ha lavorato su due casi nella regione di Ashanti e Brong- Ahafo,
zone sub- umide e semi- aride, dove il legame tra acqua e terra è centrale per la produzione
agricola locale. In questi due casi l´amministrazione separata della terra e dell'acqua ha
lasciato spazio alle compagnie minerarie di accaparrarsi la terra e quindi anche l´acqua. Il
primo caso riguarda il progetto Ahafo della Newmont Ghana Gold Limited, approvato e
finanziato dal International Finance Corporation (IFC), membro del Gruppo Banca
Mondiale, che ha affermato “il Ghana ha una lunga storia di attività minerarie e
sfortunatamente in alcuni casi queste hanno avuto un impatto negativo sulle comunità
locali. Ci aspettiamo che questo progetto diventi un modello da seguire per le altre
compagnie minerarie sotto vari punti di vista, tra cui la partecipazione di tutti gli attori
coinvolti ai processi decisionali, che deve diventare uno standard di riferimento per il
83
Fian SISI on Ghana Water Sector and FIAN Water Campaign Ghana
69
futuro” 84
. Secondo il Resettlement Action Plan (RAP), per questa prima fase del progetto
sarà necessario il trasferimento di quasi 10000 persone, numero che raddoppierà con
l´attuazione se la seconda fase del progetto sarà messa in atto.
L´impatto di queste attività sulle risorse idriche è enorme sia dal punto di vista quantitativo
che qualitativo, con l´inquinamento dell'acqua sia superficiale che sotterranea. Numerose
attività minacceranno l´accesso all'acqua potabile: il fiume Subri verrà deviato e sbarrato
per la costruzione di una diga, dopo la quale non scorrerà più acqua e il fiume Tano, che è
il più grande che alimenta tutti gli altri corsi d´acqua, perderà molta della sua portata in
quanto verranno poste delle pompe per l´estrazione di acqua sia superficiale che
sotterranea. Ci saranno quindi delle modifiche importanti nel regime idrografico. Il fiume
Awonso, le cui acque vengono usate dalle comunità locali per uso domestico, risulterà
molto inquinato.
5. IL WATER GRABBING E LA CRISI ENERGETICA
Il water grabbing è legato anche al picco raggiunto dal prezzo del petrolio nel biennio
2007-08, che ha fatto espandere la produzione di biocarburanti, e quindi delle relative
colture, specialmente per la produzione industriale. molte critiche sono state avanzate
all'utilizzo di biocarburanti e alla loto produzione per confutare l´idea erronea che queste
fonti energetiche siamo “environmental- friendly”. Come abbiamo accennato prima
parlando dei “flex- crops”, la coltivazione di colture per produrre biocarburanti ha un
impatto molto incisivo sulle risorse idriche, sia dal punto di vista della qualità, in quanto
per crescere hanno bisogno di componenti chimici, sia dal punto di vista della quantità di
acqua che necessitano. Infatti, ingenti risorse idriche sono necessarie per queste
coltivazioni e per tutto il ciclo produttivo: si calcola che per produrre 1 litro di etanolo
siano necessari 7000 litri di acqua85
.
Un altro modo in cui le riserve di acqua sono state utilizzate per far fronte alla crisi
energetica è la produzione di energia idroelettrica. Questa attività può dar luogo a
fenomeni di water grabbing in quanto comporta il sequestro dei diritti sull'acqua e la
deviazione dei corsi d´acqua in favore di investitori contro gli interessi delle comunità
locali. Infatti, il fatto che l´energia idroelettrica, al contrario dei biocarburanti, non
84
Williams, T.O., Gyampoh, B.; Kizito, F. and Namara, R. 2012. “Water implications of large-scale land
acquisitions in Ghana” Water Alternatives 5(2): 243-265
85
Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI
70
comporti un effettivo consumo di acqua non significa che non impatti sul sistema idrico, in
quanto crea deviazioni che minacciano l´accessibilità e la disponibilità di acqua.
Analizzandoli più approfonditamente, si scopre che ci sono molti parallelismi tra la
produzione di biocarburanti e quella di energia idroelettrica. In entrambi i casi,
l´implementazione viene presentata come una strategia “win- win” per risolvere la crisi
energetica utilizzando energie pulite e rinnovabili: si combattono la dipendenza energetica
dai combustibili fossili e il cambiamento climatico allo stesso tempo. Questa
argomentazione sembra avere un grosso successo nelle agenzie multilaterali, che
supportano e finanziano questi progetti. Inoltre, come si dichiara che le colture per i
biocarburanti sono coltivate in terre marginali e sottoutilizzate, allo stesso modo la
produzione di energia idroelettrica sfrutta l´acqua che scorre “inutilmente” attraverso le
varie regioni. In entrambi i casi, poi, si crea un´alleanza tra le compagnie private, spesso
straniere, che investono e le elite locali, creando una situazione in cui le comunità locali
hanno poche possibilità di riuscire a far sentire la loro voce.
A livello locale, questi investimenti tendono a privilegiare alcune classi sociali, creando
posti di lavoro per chi ha un certo livello di istruzione e quindi ha una status socio-
economico medio, mentre minaccia la stessa sopravvivenza delle classi più povere. Se si
considera che, per di più, per indebolire l´opposizione, le compagnie promettono
compensazioni in termini di opportunità di lavoro e di infrastrutture si comprende come
questo crei divisioni interne nelle comunità, e quindi nell'opposizione a questi progetti,
oltre a esacerbare le differenze di potere esistenti86
. La Turchia rappresenta un caso
esemplare di come la generazione di energia idroelettrica possa impattare sulle comunità
locali.
Nel 2001 la Turchia ha approvato il Turkish Electricity Market Act, una riforma
neoliberista che da la possibilità ai privati di prendere in locazione un fiume per 49 anni
per la produzione di energia idroelettrica. Dato che questa legge implica il sequestro dei
diritti sulle risorse idriche e la loro ridefinizione per legalizzarne la privatizzazione,
l´appropriazione di risorse idriche su larga scala e la deviazione di corsi d´acqua a favore di
investitori privati, apre al water grabbing. Questa politica ha sollevato numerose critiche e
l´opposizione dell'opinione pubblica e delle comunità coinvolte, che temono che il lungo
periodo di locazione crei anche problemi di responsabilità nei confronti delle future
generazioni. Mentre fino a quel momento, infatti, gli investimenti in energia idroelettrica
86
Islar, M. 2012. “Privatised hydropower development in Turkey: A case of water grabbing?” Water
Alternatives 5(2): 376-391
71
erano stati fatti dallo Stato, adesso la responsabilità è in mano agli investitori privati, che
però non sono sottoposti agli stessi vincoli del settore pubblico.
Dal punto di vista strettamente legale, la legislazione turca non riconosce diritti di proprietà
ma solo di uso sull'acqua e enumera una serie di attività che sono riconosciute come idonee
per l´ottenimento di tali concessioni: irrigazione per l´agricoltura, generazione di energia
idroelettrica, produzione industriale, ecc.. Anche se non viene stabilito un criterio di
priorità tra queste attività, in pratica si tende a privilegiare la produzione di energia
idroelettrica .
Il fatto che la concessione del diritto di uso sia vincolata all'efficacia dell'attività alla quale
verrà destinata mostra chiaramente la matrice neoliberista di questo tipo di legislazione e
dell'introduzione di concetti di economia di mercato nella gestione di un settore pubblico.
Questa svolta neoliberista in Turchia è legata, come in molti altri Paesi, alle politiche di
aggiustamento strutturale, che mostrano quindi come la missione idroelettrica intrapresa
dalla Turchia non sia solo una strategia legata al livello nazionale, ma anche a quello
regionale e internazionale. La Turchia intende questa strategia come un modo per evitare la
dipendenza energetica, rifornire e sviluppare il crescente settore industriale e allo stesso
tempo utilizzare forme di energia rinnovabili, particolarmente apprezzate in seno
all'Unione Europea. Queste politiche sono state supportate soprattutto dalla Banca
Mondiale, che attraverso le sue istituzioni finanziarie, ha finanziato l´iniziativa e ha firmato
con il governo turco il Private Sector Renewable Energy and Energy Efficiency Program,
che apre a investimenti sia privati che da parte delle agenzie multilaterali. In teoria, questo
programma prevede il finanziamento di tutte le forme di energia rinnovabile, quindi anche
solare, eolico, ecc., ma in pratica tutti gli investimenti sono concentrati nel settore
idroelettrico. Infatti, il governo turco ha esplicitamente dichiarato non solo di voler
privilegiare questo settore, ma anche gli investimenti fatti da compagnie straniere per la
loro maggiore competenza tecnica.
Le comunità locali interessate si oppongono a questo genere di politica e ai progetti locali
che ne scaturiscono. La forma di opposizione più eclatante è stata la “Grande Marcia
dell'Anatolia”, una marcia di 40 giorni attraverso i villaggi interessati fino alle porte di
Ankara, dove i manifestanti non sono stati fatti entrare, per chiedere al governo un
ripensamento sulle politiche di gestione delle risorse idriche e delle altre risorse naturali87
.
87
Islar, M. 2012. “Privatised hydropower development in Turkey: A case of water grabbing?” Water
Alternatives 5(2): 376-391
72
Uno dei progetti più discussi, di cui si è occupato anche FIAN e quello relativo alla
costruzione della diga Ilisu. Nel 1997 il governo turco ha lanciato un consorzio
internazionale per la costruzione della diga Ilisu sul fiume Tigri per la generazione di
energia idroelettrica, nel quadro del progetto per lo sviluppo delle regioni sudorientali del
Paese (GAP88
). Tale progetto è apparso fin dall'inizio come controverso, visto il forte
impatto dal punto si vita ambientale, economico e sociale che questo comporta non solo
per le comunità locali ma anche per le popolazione limitrofa di Siria e Iraq. Le
conseguenze previste includevano riduzione del flusso idrico, perdita di terreni, danni alla
salute delle persone e degli animali, danni ambientali, distruzione di abitazioni e problemi
dal punto di vista culturale. Il numero di persone coinvolto sarebbe variato tra 55000 e
78000, perlopiù individui appartenenti alla minoranza curda, circa 11000 persone
sarebbero state cacciate dalle loro terre e la città di Hasankeyf, che rappresenta un
importante centro culturale per la popolazione curda oltre che per altri gruppi etnici,
sarebbe sparita a seguito dell'allagamento della regione. Non tenendo in considerazione
tutti questi aspetti, il primo EIA (Environmental Impact Assessment), è stato fortemente
criticato: non veniva infatti tenuto dovuto conto di tutti le conseguenza dal punto di vista
economico, sociale, culturale, politico e ambientale, e inoltre non prevedeva adeguate
compensazioni e progetti di ricollocamento delle famiglie dislocate.
La forte opposizione della società civile convinse quindi il gruppo di investitori
originalmente formatosi, comprendente anche la società ingegneristica inglese Balfour
Beatty e la compagnie di costruzione svedese Skanska, a ritirasi dal progetto. Anche la
Banca Mondiale alcuni anni prima si era rifiutata di finanziare il progetto, ritenendo che
avesse un impatto troppo negativo dal punto di vista culturale. Nel 2005 il governo turco
ha rivisto il progetto e rilanciato il consorzio internazionale sotto la leadership di VA Tech
Hydraulic, una compagnia privata con base in Austria e sussidiaria del Siemens Power
Transmission and Distribution Group, con base in Germania. Il consorzio ha pubblicato un
nuovo EIA lo stesso anno, insieme ad un piano per il re-insediamento delle persone
dislocate, per cercare di evitare le critiche subite dal progetto precedente. Tuttavia, questo
nuovo EIA non affronta molte delle questioni e delle critiche che erano state mosse al
88
Il GAP e´un progetto integrato multi settoriale che punta allo sviluppo socioeconomico delle regioni
sudorientali dell'Anatolia, regione che comprende i due fiumi, il Tigri e l´Eufrate che delimitavano la storica
Mesopotamia. Oltre alla costruzione di dighe per la produzione di energia idroelettrica, negli anni Novanta il
progetto GAP era stato pensato come comprendente anche progetti di stampo sociale (istruzione, sanità,
abitazioni, trasporti, promozione del turismo e industria) che avrebbero dovuto riguardare sia le aree urbane
che quelle rurali. Per il momento tuttavia, del progetto hanno beneficiato soprattutto gli specialisti
provenienti dalle regioni occidentali, che vi hanno trovato occasioni di lavoro.
73
precedente EIA e il piano di re-insediamento sembra avere un impatto ambientale perfino
maggiore di quello precedente. Inoltre esperienze precedenti di costruzione di dighe in
Turchia hanno dimostrato che il processo di attribuzione delle compensazioni è molto
lungo e che non sempre queste hanno effettivamente luogo in maniera adeguata. Quindi,
nonostante il piano di re-insediamento sia dichiarato essere in conformità´ con gli standard
previsti dalla banca Mondiale e dall'OECD, secondo molti rapporti questo piano resta
inadeguato e molti errori del piano precedente sono stati ripetuti. Ad esempio, anche in
questo caso la popolazione non è stata informata in maniera chiara e completa e non ha
potuto prendere parte ai processi decisionali.
Oltre all'impatto sulla popolazione locale, si dovrebbe prestare attenzione anche all'impatto
sui Paesi confinanti, in quanto la costruzione di questa diga implica la minaccia anche al
diritto all'acqua delle popolazioni che si trovano nelle regioni vicine al confine turco.
Questa è una chiara violazione dei principi di responsabilità transfrontaliera, stabilita anche
negli ETO´s Principi di Maastricht.
6. L’E CONSEGUENZE DEI FENOMENI DI ACCAPARRAMENTO DELLE
RISORTSE IDRICHE SULLA QUESTIONE DI GENERE
Uomini e donne non sono ugualmente colpiti dalle acquisizioni di terra su larga scala e dai
progetti di sviluppo che coinvolgono le risorse idriche, nonostante questi vengano
presentati come meramente tecnici e si avvalgano della vaga unità di misura della famiglia,
considerata omogenea. Non si tiene quindi in considerazione la differenza in termini di
potere socio- economico e politiche che hanno le donne nelle comunità, limitando così
ulteriormente l´analisi del reale impatto di questi progetti sulle comunità.
Il sistema di proprietà delle risorse naturali è alla base di una specifica organizzazione
produttiva che plasma anche l´identità, la cultura e le relazioni sociali all'interno di una
comunità. Le implicazioni di genere non sono sempre dirette e visibili, spesso possono
essere difficili da rintracciare ed emergere solo dopo un certo periodo di tempo. La
gestione delle risorse idriche ha un impatto sulle donne nelle comunità in cui il ruolo della
donna è marginale rispetto a quello dell'uomo, cosa che si riscontra nella maggior parte dei
casi. Infatti, in molte comunità rurali la donna svolge ruoli che vengono ritenuti di
importanza inferiore rispetto a quelli svolti dagli uomini, come prendersi cura dei bambini,
badare alla casa, o svolgere attività economiche complementari.
74
I progetti che riguardano la costruzione di grandi infrastrutture come le dighe, molto
popolari specialmente in India e in Nepal, hanno un forte impatto sociale, specialmente in
società caratterizzate da una netta differenziazione sociale, come accade appunto nei Paesi
sopra menzionati. Il successo di questi progetti viene valutato in termini di crescita
economica, ma di solito non si tiene in considerazione il fatto che questa nuova ricchezza
e il potere che ne deriva non vengono redistribuiti equamente tra tutti i componenti della
comunità. In questo modo, il risultato principale è proprio l´inasprimento delle differenze
sociali preesistenti, che non migliora di certo la posizione femminile.
Il caso della comunità Sonaha presentato sopra è un chiaro esempio di come uno stesso
progetto abbia un impatto negativo diverso sulle donne rispetto agli uomini, dal momento
che erano dediti ad attività diverse ma entrambe collegate al fiume. Anche le inondazioni,
siano queste naturali o conseguenza dell'azione umana, hanno un diverso impatto sulle
donne, in quanto gli uomini sono costretti a emigrare alla ricerca di un lavoro mentre le
donne restano a casa ad occuparsi della famiglia, della ricostruzione delle case distrutte,
del recupero dei campi. Inoltre, le donne sono spesso colpite maggiormente nei casi in cui
le fonti di acqua siano lontane dalle abitazioni, in quanto di solito la raccolta di acqua per
uso domestico è un compito femminile89
.
La cospicua popolazione di 10000 abitanti di Jaibheem Nagar (JBN), nello stato di Tamil
Nadu in India è costretta a vivere in condizioni difficoltose a causa del mancato accesso a
risorse idriche. Le donne e le giovani ragazze devono camminare per 3-4 km ogni giorno
per prendere l´acqua per la famiglia. Nella zona c´è un forte conflitto per l´accesso alle
risorse idriche e dato che gli uomini passano la maggior parte del loro tempo a lavoro, il
peso della raccolta dell'acqua grava completamente sulle spalle delle donne. Tra l´altro, le
analisi di un campione di acqua hanno mostrato quantità eccessive di solidi disciolti (TDS:
Total Dissolved Solids). Questo ha costretto gli abitanti ad abbandonare le pompe vicine
alle case e a cercare l´acqua affrontando lunghi percorsi. Ben novanta famiglie sono state
costrette ad abbandonare le loro case alla ricerca di fonti di acqua potabile vicina. Una
signora anziana è stata ferita da colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia mentre
protestava contro la mancanza di risorse idriche. Inoltre la mancanza di acqua potabile ha
creato una serie di problemi di salute di cui le donne sono le prime a soffrire, oltre a
problemi ginecologici.
89
Lahiri-Dutt, K. 2012. “Large dams and changes in an agrarian society: Gendering the impacts of Damodar
Valley Corporation in eastern India.” Water Alternatives 5(2): 529-542
75
In altri casi l´impatto sulla questione di genere è meno evidente e più difficile da
comprendere: in alcuni casi, ad esempio, la vicinanza alle fonti di acqua svolge un ruolo
nel determinare le regole matrimoniali.
7. IL DIRITTO ALL´ACQUA NELLA LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE
Il 28 luglio 2010 l´Assemblea generale delle nazioni Unite ha approvato la Risoluzione
64/292 che riconosce esplicitamente il diritto all´acqua e alla sanità, successivamente
ratificato in una risoluzione del Consiglio dei Diritti Umani90
. Prima di questa data, il
diritto all´acqua non era menzionato esplicitamente né nella Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani, né nella Convenzione ONU sui Diritti Civili e Politici né in quella sui Diritti
Economici, Sociali e Culturali (ICESCR). Nonostante ciò, tale diritto era considerato un
componente del diritto ad un adeguato standard di vita riconosciuto nell´art 25 della
Dichiarazione universale dei Diritti Umani e nell´art 11 dell´ICESCR. Anche se non è
menzionato esplicitamente tra i componenti elencati di questo diritti, l´utilizzo del termine
“including” prima di tale lista apre a possibilità interpretative più ampie e il Comitato delle
Nazioni Unite sui Diritti Economici, Sociali e Culturali nel 2002 ha stabilito che il diritto
all´acqua doveva essere considerato un componente del diritto ad un adeguato standard di
vita.
Il sopra citato Comitato ha riconosciuto il diritto all´acqua nel suo Commento Generale
No. 15 (GC 15) 91
del 2010, dove viene collegato al diritto al più alto standard di vita
possibile (art 12 ICESCR). Il riferimento alle convenzioni ONU è molto importante in
quanto sono vincolanti dal punto di vista legale nei confronti degli Stati che le
sottoscrivono. Nel GC15, il Comitato collega il diritto all´acqua anche ad altri diritti, tra
cui il diritto alla salute, sia personale sia ambientale che influenza il benessere umano, e al
diritto ad un cibo adeguato, menzionato nell´ICESCR, in quanto l´acqua è un elemento
chiave in tutte le attività produttive connesse alla produzione di cibo, come l´agricoltura, la
pesca e l´allevamento. La Convenzione sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, inoltre,
promuove metodi di produzione che utilizzino nel modo più efficiente possibile le risorse
produttive, tra cui l´acqua.
Il diritto all´acqua è menzionato nella Convenzione sui Diritti del Fanciullo (art 20, 26, 29,
46), nelle quattro Convenzioni di Ginevra e nei due Protocolli Addizionali (Protocollo I art
54 e Protocollo II art 24), nel Commento Generale del Comitato sui Diritti Economici,
90
http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/RES/64/292
91 http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/0/a5458d1d1bbd713fc1256cc400389e94/$FILE/G0340229.pdf
76
Sociali e Culturali No. 12 e nelle “Linee guida volontarie per supportare la progressiva
realizzazione del diritto ad un cibo adeguato nel contesto della sicurezza alimentare
nazionale”92
(VG RtF) adottate nel 2004 dalla FAO. Nelle VGRtF si afferma che le risorse
naturali dovrebbero essere disponibili e utilizzate in modo sostenibile. La questione
dell´acqua si trova nella linea guida 8, che tratta l´accesso alle risorse e ai beni: si chiede
agli Stati di rispettare e proteggere l´accesso e l´utilizzo dei fattori produttivi, come la terra,
l´acqua, il bestiame e le risorse ittiche, secondo principi di non discriminazione e di
mettere in atto strategie che li rendano equi e sostenibili, ad esempio attraverso riforme del
sistema fondiario. Nella stessa linea guida si fa riferimento all´accesso e all´uso sicuro e
sostenibile delle risorse idriche, promuovendo specialmente i sistemi agricoli che
preservano l´ecosistema. Il diritto all´acqua è anche menzionato nella Convenzione
sull´Eliminazione di tutte le forme di Discriminazione delle Donne (CEDAW) nell´art
14(2), che raccomanda allo Stato di favorire pari opportunità nell´accesso e controllo delle
risorse idriche e di tenere in considerazione il particolare ruolo delle donne in relazione
all´acqua, specialmente delle donne che vivono in zone rurali.
La maggiore differenza tra il GC15 e la Risoluzione ONU è che quest´ultima collega il
diritto all´acqua al diritto alla sanità. Infatti, si stima che l´80% delle malattie a livello
mondiale siano legate all´acqua: l´Organizzazione Mondiale della Sanità fa una distinzione
tra malattie trasmesse tramite l´acqua (water-borne diseases) e malattie causate dalla
mancanza di sufficienti quantità di acqua (water-washed diseases). Catarina
d´Albuquerque, Relatore Speciale sul Diritto all´Acqua e alla Sanità, afferma che anche se
questi il diritto all’acqua e quello alla sanità sono strettamente collegati, devono essere
considerati separatamente in quanto sono solitamente gestiti da due diversi settori e
istituzioni a livello nazionale. Questo significa che le politiche che i governi attuano nella
realizzazione di questi diritti sono separate93
.
Anche se era connesso ad altri diritti umani, prima del 2010 il diritto all´acqua non era
considerato come fondamentale e universale e non era collegato direttamente al concetto di
dignità umana. La Risoluzione del 28 luglio sul diritto all´acqua è stata promossa e
fortemente sostenuta dal governo Boliviano, che ha enfatizzato la connessione tra la
povertà e il mancato accesso alle risorse naturali, specialmente all´acqua, che gioca un
92
“Voluntary Guidelines to support the progressive realization of the right to adequate food in the context of
national food security”
93
Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for
agriculture IIED
77
ruolo fondamentale sia per la produzione di cibo che per la salute umana94
. La Risoluzione
è passata con 122 stati a favore, 41 astensioni e nessun voto contrario95
e non è vincolante
dal punto di vista legale per gli stati che la sottoscrivono.
7.1. IL DIRITTO UMANO ALL´ACQUA: ELEMENTI E OBBLIGHI PER GLI STATI
Il Commento generale No. 15 elenca tre elementi principali che compongono il diritto
all´acqua e la cui completa realizzazione è considerata un prerequisito per il godimento di
un adeguato standard di dignità umana:
1. Disponibilità: le risorse idriche devono essere sufficienti e continue sia per l´uso
personale che per quello domestico, quindi sia per bere, per l´igiene personale e
della casa, per la pulizia dei vestiti. Per stabilire le quantità minime che devono
essere garantite, si fa riferimento alle Linee guida stilate dall´Organizzazione
Mondiale della Sanità, che raccomandano un minimo compreso tra i 20 e i 40 litri
a persona al giorno , ma prevedono quantità minime superiori in particolari zone e
per certi gruppi sociali in relazione al clima, alle condizioni di salute e alle attività
lavorative96
.
2. Qualità: l´acqua deve essere libera da “microrganismi, sostanze chimiche e
radiologiche che costituiscono una minaccia alla salute delle persone”97
.L´acqua
deve inoltre essere accettabile dal punto di vista dell´odore, del colore e del gusto.
Anche in questo caso, per stabilire tali criteri si fa riferimento alle Linee guida
dell´OMS.
3. Accessibilità: questo elemento è composto da quattro dimensioni:
a) Accessibilità fisica: si riferisce alla vicinanza delle fonti d´acqua e dei relativi
servizi alle abitazioni, ai posti di lavoro e di studio, e al fatto che la sicurezza
personale non deve essere messa in pericolo durante tale accesso.
b) Accessibilità economica: i prezzi di acqua e relativi servizi devono essere tali
da poter essere pagati da chiunque
94
Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and
Identity”, Earthscan
95 http://www.un.org/News/Press/docs/2010/ga10967.doc.htm
96
http://www.who.int/water_sanitation_health/diseases/WSH03.02.pdf
97
http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/0/a5458d1d1bbd713fc1256cc400389e94/$FILE/G0340229.pdf
78
c) Non discriminazione: le risorse idriche e i relativi servizi devono essere
amministrati in accordo con principi non discriminatori
d) Accessibilità delle informazioni: si riferisce alla possibilità di raccogliere e
ottenere informazioni sui servizi idrici e su tutte le questioni collegate.
Gli obblighi che vengono imposti agli Stati in relazioni a questi diritti sono tre:
- L´obbligo di rispettare, che implica che gli Stati non devono interferire con il
godimento del diritto all´acqua e con i metodi esistenti di allocazione delle risorse
idriche, come nel caso dei diritti consuetudinari e dei sistemi tradizionali. Sono
considerate violazioni di questo obbligo azioni come l´interruzione, la deviazione e
l´inquinamento dei corsi d´acqua da parte dell´amministrazione pubblica.
- L´obbligo di rispettare, che comporta la protezione dello Stato contro terzi, la cui
interferenza rappresenta una minaccia al godimento del diritto all´acqua. Questi attori
terzi possono essere sia pubblici che privati, individui, gruppi o aziende. Questo
obbligo ha un particolare rilievo nei paesi in cui la gestione del servizio idrico è in
mano a privati.
- L´obbligo di adempiere, che implica che lo Stato è tenuto ad applicare politiche e
strategie per la realizzazione del diritto all´acqua. Gli stati devono quindi implementare
a livello nazionale politiche relative alla gestione del sistema idrico stabilite con
processi decisionali trasparenti e partecipativi in cui si stabiliscono criteri di priorità,
promuovendo anche strategie ad hoc per la protezione di gruppi vulnerabili.
7.2. GLI OBBLIGHI EXTRA TERRITORIALI
Nell´attuale contesto di espansione dei fenomeni di globalizzazione, è importante tenere in
considerazione le questioni extra territoriali che possono emergere come conseguenza degli
investimenti internazionali, della cooperazione internazionale per lo sviluppo o di attività
nelle aree di confine. Se si considera che 261 fiumi scorrono in due o più Paesi diversi e
che il 60% delle riserve mondiali di acqua dolce sono collocate in bacini internazionali,
dove vive il 40% della popolazione mondiale, si comprende la ragione per la quale le
questioni transfrontaliere sono un fattore centrale da tenere in considerazione nella
gestione delle risorse idriche. L´inquinamento dei fiumi, la costruzione di dighe e
79
l´esaurimento delle acque sotterranee può avere un impatto negativo su diversi Paesi e non
solo su quello responsabile di tali azioni. Questo mette in evidenza la necessità di una
governance internazionale98
. Come vedremo, l´Integrated Water Resource Management
(IWRM) è stato proposto proprio con la finalità di promuovere la collaborazione tra gli
Stati nella gestione delle risorse idriche e nell´affrontare la crisi idrica globale. La difficoltà
maggiore che incontra questo approccio è data dal fatto che presuppone una visione
comune della questione.
Gli Stati non dovrebbero intraprendere attività che minaccino la possibilità di altre nazioni
di realizzare il diritto all´acqua per i propri cittadini. Il Commento generale No. 8 del
Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Economici, Sociali e Culturali afferma che gli
stati dovrebbero evitare di imporre embarghi connessi al cibo e all´acqua. Gli obblighi
extra territoriali non sono applicabili solo agli Stati ma anche ai privati cittadini e alle
compagnie. Nel paragrafo 33 del GC15 e nel GC12 si afferma che se le attività di
un´azienda hanno ripercussione su una persona di una nazione diversa da quella in cui tale
azienda ha sede, la vittima ha il diritto di chiedere un risarcimento al Paese dove si trova
l´azienda.
Quando è possibile, gli stati dovrebbero anche aiutarsi tra di loro nella realizzazione del
diritto all´acqua attraverso l´assistenza tecnica e finanziaria, e sono responsabili per le
eventuali violazioni commesse nell´ambito della cooperazione internazionale. Il
documento afferma che sia nelle situazioni ordinarie che in quelle di emergenza, sia lo
Stato ad avere il ruolo principale nella protezione dei diritti umani e nel garantire
assistenza, e non le organizzazioni internazionali, il cui intervento deve essere in accordo
con le strategie promosse dall´amministrazione centrale.
Riassumendo, gli obblighi in relazione alle questioni extra territoriali sono:
1. Gli Stati devono accertarsi che le loro attività non danneggino altri Paesi
2. Gli stati devono controllare che gli attori privati sotto la loro giurisdizione
non danneggino altri Paesi
3. Gli Stati devono aiutarsi a vicenda nella progressiva realizzazione del diritto
all´acqua e al cibo
98
Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI
80
Nel settembre del 2011 un gruppo composto da 40 giuristi di tutto il mondo esperti in
diritto internazionale e nella legislazione relativa ai diritti umani, ha approvato i Principi di
Maastricht sugli Obblighi Extra-Territoriali degli Stati nell´ambito dei Diritti Economici,
Sociali e Culturali con lo scopo di chiarire quali sono gli obblighi internazionali che gli
Stati hanno nei confronti degli altri nell´ambito dei diritti umani. Insieme agli obblighi di
rispettare, proteggere e adempiere, visti sopra, viene menzionato l´obbligo a cooperare e a
fornire compensazioni per le violazioni commesse99
. Anche se questo documento non è
stato firmato dai governi nazionale, si ritiene valido in quanto, si è affermato che la
legislazione attinente ai diritti umani è superiore a quella nazionale100
.
7.3. LE PRIORITA´ NELL´ALLOCAZIONE DELLE RISORSE IDRICHE
L´accesso alle risorse idriche è fondamentale per il godimento di un certo numero di diritti
umani e per svolgere diverse attività, come bere, cucinare, produrre cibo, per pratiche
culturali, ecc.. La varietà di funzione che l´acqua svolge implica la necessità di stabilire
criteri di priorità, specialmente nelle regioni in cui le risorse idriche sono scarse. Questo
implica una pianificazione che coinvolga un´analisi delle risorse disponibili, la quantità di
popolazione coinvolta e le attività che richiedono l´accesso all´acqua.
Nel General Comment No. 15 si afferma che la priorità nell´allocazione di acqua deve
essere data prima di tutto all´uso personale e domestico, il che implica per lo Stato
l´obbligo di implementare sistemi di distribuzione che assicurino a tutti l´accesso all´acqua.
Una volta soddisfatta questa priorità, il GC15 dichiara che l´allocazione di acqua deve
essere disposta in modo da contribuire alla realizzazione del livello minimo di altri diritti
umani; questo significa che l´accesso all´acqua viene direttamente collegato al diritto al
cibo e alla sanità. L´acqua è, infatti, necessaria per evitare malattie gravi, come per la
produzione di cibo. Successivamente la priorità nell´allocazione di risorse idriche è
collegata ai disastri, siano essi naturali o causati dall´uomo: in entrambi i casi, l´accesso
all´acqua deve essere assicurato immediatamente per evitare situazioni di insicurezza
alimentare e di diffusione di malattie; assicurandosi in modo particolare che i gruppi più
vulnerabili non ne vengano esclusi. Poi, sempre in ordine di priorità, viene menzionata
l´agricoltura, mettendo l´accento sull´importanza di assicurare un accesso paritario a tutti i
gruppi sociali e di promuovere metodi di produzione più sostenibili che richiedono un
minore utilizzo di risorse naturali.
99
http://www.fian-ch.org/wp-content/uploads/ETO-Consortium-mission-and-vision.pdf 100
ibidem
81
Dato che l´articolo 1 paragrafo 2 dell´ICESCR afferma che nessuno deve essere deprivato
dei propri mezzi di sussistenza, la priorità nell´allocazione di acqua per l´agricoltura deve
essere accordata a coloro che dipendono da questa attività per sopravvivere. Mentre
nell´ICESCR era un concetto solo accennato, l´importanza della sostenibilità è cresciuta
notevolmente nel tempo e in risposta alla crisi ambientale e al cambiamento climatico, e
anche il Comitato ONU per i Diritti Economici, Sociali e Culturali ha messo in luce questo
aspetto. Infatti, il 70% delle risorse globali di acqua viene utilizzato per la coltivazione,
mentre il 23% è dedicato al settore industriale e l´8% al consumo personale: da qui la
necessità di trovare metodi di produzione di cibo che utilizzino la minor quantità di acqua
possibile. Nella linea guida 8.13 delle Linee guida volontarie per il diritto al cibo, si
afferma che questi metodi di produzione sostenibili devono essere promossi e sostenuti
dalle politiche statali.
Riassumendo, la lista di priorità raccomandate dal GN15 è la seguente:
1. Accesso all´acqua per uso personale e domestico
2. Accesso all´acqua per garantire la realizzazione del livello minimo essenziale dei
diritti umani
3. Accesso all´acqua nelle situazioni di soccorso a seguito di disastri
4. Accesso all´acqua per l´agricoltura per i contadini svantaggiati e marginalizzati
5. Accesso all´acqua per l´implementazione di metodi agricoli sostenibili
6. Accesso all´acqua per implementare strategie nazionali per realizzare il diritto
all´acqua e al cibo per i gruppi più vulnerabili (attraverso politiche pianificate e
approvate con processi decisionali trasparenti e partecipativi).
In quanto a qualità dell´acqua, l´India è al 120° posto su 122 Paesi del mondo, mentre in
termini di disponibilità è al 133° posto su 180. Viste le previsioni di aumento della
popolazione, pari a 15 milioni ogni anno, uno dei maggiori problemi consiste proprio nella
conservazione e nell´equa distribuzione di acqua. Almeno 200 milioni di indiani non hanno
accesso a risorse idriche sicure, in quanto circa il 90% di queste a livello nazionale
vengono inquinate con scarichi domestici e industriali, o con pesticidi e fertilizzanti. Circa
1,5 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni muoiono ogni anno per malattie
trasmesse tramite l´acqua (water- borne diseases).
Negli ultimi anni, il mancato accesso a risorse idriche ha messo a dura prova le regioni
soggette alla siccità e il problema è particolarmente grave per l´agricoltura. In India, l´80%
delle risorse idriche viene utilizzato per la produzione agricola, che secondo le stime FAO
82
dovrà aumentare in relazione alla crescita della popolazione, che richiederà il 60% di cibo
in più nei prossimi 30 anni. Per ottenere questo aumento, si assume che l´agricoltura
continuerà ad essere di tipo intensivo. L´agricoltura indiana si avvale per il 60% circa di
acque sotterranee per l´irrigazione: il rischio di una riduzione di queste risorse è molto
grave, visto che comporta un abbassamento del livello delle acque. In molte zone
dell´India, l´estrazione di acque sotterranee ha un ritmo due volte più veloce di quello
necessario al ciclo dell´acqua per rinnovarsi, causando una riduzione che varia tra uno e tre
metri ogni anno nel livello dei bacini. Ad aggravare ulteriormente la situazione è stato
inoltre il passaggio dalla coltivazione di prodotti tradizionali che incidevano poco sulle
risorse idriche nazionali, come il miglio, a colture che richiedono grandi quantità di acqua,
come la canna da zucchero e il riso. Mentre da una parte una gestione dei metodi agricoli
in funzione della scarsità delle risorse idriche è necessaria, anche una revisione della
produzione industriale, sembra d´altro canto, centrale. Anche l´industria causa una forte
riduzione delle acque sotterranee, incidendo negativamente sulle aree agricole.
Nel 2002 è stata varata una politica nazionale (Indian National Water Policy) il cui
obiettivo è formulare strategie e politiche per un utilizzo ottimale dell´acqua per tutte le
attività coinvolte (uso domestico, agricoltura, energia idroelettrica, ecc.). Le priorità per
l´allocazione delle risorse idriche elencate in questa politica sono le seguenti:
1. Acqua per uso personale
2. Irrigazione
3. Energia idroelettrica
4. Ecologia
5. Industrie agricole e non
6. Navigazione ed altri usi
Nonostante questo, grandi quantità di acqua vengono consumate dal settore industriale. La
preferenza che, nei fatti, viene accordata al settore industriale depriva i cittadini delle aree
urbane dell´accesso all´acqua per uso personale e domestico, oltre che i contadini dei loro
mezzi di sussistenza. Il governo indiano ha basato lo sviluppo del Paese sul settore
industriale e ha quindi varato numerosi progetti infrastrutturali per favorirlo, tra cui la
costruzione di numerose dighe. All´inizio, l´obiettivo principale di tali costruzioni era
previsto fosse l´irrigazione dei campi, ma adesso sono sfruttate principalmente dal settore
industriale in grande espansione, determinando quindi un ribaltamento delle priorità. Per
giustificare questa preferenza, in contrasto con la legge nazionale, sono state varate una
83
serie di politiche settoriali ad hoc, che coprono processi di water grabbing, mettendo
quindi in evidenza la connivenza tra il settore industriale e la pubblica amministrazione.
Una tale priorità può essere considerata una diretta conseguenza delle politiche di
aggiustamento strutturale adottate nel 1991 che si basavano principalmente su tre principi:
liberalizzazione, privatizzazione e globalizzazione (LPG). Queste riforme hanno spianato
la strada agli investimenti domestici ed internazionali, che si sono accaparrati le risorse
naturali del Paese, specialmente acqua e terra. Le riforme basate su LPG si sono estese a
diversi settori economici, a partire da quello energetico; lo step successivo è stato la
creazione delle Zone Economiche Speciali (Special Economic Zones, SEZ), allo scopo di
attrarre investimenti per la produzione industriale orientata all´export con misure come
incentivi e deregolazione. Le riforme hanno toccato a questo punto anche il settore idrico,
promosse e finanziate dalle agenzie multilaterali come la Banca Mondiale e l´Asian
Development Bank, basate sull´idea neoliberista che l´acqua debba essere allocata in base
alla produttività dei vari settori, cioè in base a quale di questi produce un valore economico
maggiore. La contraddizione tra il principio di “equità” e quello di “efficienza economica”
nell´allocazione delle risorse idriche, entrambi menzionati nelle politiche, creano un
quadro legislativo confuso. Resta da capire se questa confusione è data dalla mancata
riflessione e analisi del problema o se sia stata creata volontariamente; in ogni caso ad
avvantaggiarsene sono soprattutto le industrie101
.
I casi su ci ha lavorato FIAN nelle località di Plachimada e Chhattisgarh sono esempi di
situazioni in cui, mentre le politiche nazionali accordano la priorità all´agricoltura, le
amministrazioni privilegiano di fatto il settore industriale. Nello Stato di Chhattisgarh il
rapido ritmo di industrializzazione mina la sopravvivenza, la salute e i mezzi minimi di
sostentamento della popolazione locale. Nella corsa per la vendita di 29000 acri di terra per
la produzione industriale firmando centinaia di licenze a industrie, negli ultimi tempi
soprattutto straniere, il governo ha mostrato totale indifferenza nei confronti della
maggioranza della popolazione autoctona, che da secoli vive e conserva le risorse boschive
del Paese. La InduAgro Industry a Mahapalli, Kotmar, ha bloccato i canali tagliando così
l´accesso all´acqua a 13 villaggi, che si sono trovati quindi in gravi difficoltà. Questa e le
altre industrie collocate nella zone hanno contaminato e inquinato le risorse idriche
gravemente, hanno richiesto l´innalzamento della diga Sopnai, e provocano un consumo di
acqua tale da aver fatto scendere il livello delle acque sotterranee: tutto questo senza
101
Wagle, S.; Warghade, S. and Sathe, M. 2012. “Exploiting policy obscurity for legalising water grabbing
in the era of economic reform: The case of Maharashtra, India.” Water Alternatives 5(2): 412-430
84
prevedere forme di compensazione per la popolazione locale che si è trovata ad essere
deprivata dei propri mezzi di sostentamento.
Plachimada è situata nel distretto di Palakkad (Kerala). Il livello delle acque sotterranee di
questa zone di si è drasticamente ridotto da quando, nel 1998-99, vi è stato costruito un
impianto industriale della Coca- Cola. Questo impianto industriale produce 85 camion di
bibite ogni giorno e per coprire il fabbisogno idrico per una tale produzione la compagnia
ha scavato 60/65 pozzi sui terreni in locazione, estraendo 1500000 litri di acqua sotterranea
al giorno. Un´estrazione del genere ha portato alla rapida riduzione delle acque sotterranee
delle zone circostanti e l´esaurimento dei pozzi ha comportato drammatiche conseguenze
per la popolazione locale. I contadini, che producono principalmente riso, si sono ritrovati
senza risorse idriche per irrigare i campi, con conseguente riduzione del raccolto. In più, le
acque sotterranee ne sono risultate seriamente contaminate, con aumento della salinità e
della durezza. Le analisi compiute hanno trovato alti livelli di calcio, che hanno reso
l´acqua inadeguata sia per uso personale sia per l´irrigazione. Oltre ai contadini, vittime
della contaminazione dell´acqua e della conseguente riduzione del raccolto sono stai anche
circa 1000 famiglie indigene senza terra che lavoravano come salariate nella produzione
agricola. Le proteste che sono sorte contro l´azienda sono terminate con decine di arresti da
parte della polizia.
Questo caso è emblematico della tendenza ad accordare la priorità al settore industriale e
delle sue conseguenze. L´assenza di leggi che regolino l´estrazione di acqua dal sottosuolo
ha come risultato la privatizzazione di interi bacini anche senza che la compagnia detenga
la proprietà di grandi appezzamenti di terreno. Se questi sono gli effetti causati da un
singolo impianto in un´area delimitata, si comprende facilmente cosa accadrebbe se l´India
accettasse le riforme di liberalizzazione e privatizzazione promosse nel contesto del GATS
(General Agreement on Trade in Services).
8. L’ACQUA NEL PANORAMA POLITICO INTERNAZIONALE
Le politiche riguardanti l’acqua sono spesso presentate come oggettive dal punto di vista
politico e sono discusse in termini tecnici e neutrali, concentrandosi sulle misure
amministrative, legali e istituzionali che sembrano assicurare una maggiore efficienza. Le
politiche e le riforme del settore idrico hanno invece un profondo significato politico, oltre
che conseguenze sociali tutt’altro che neutrali102
. Esistono tre paradigmi nella governance
102
Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and
Identity”, Earthscan
85
dell’ acqua: la cosiddetta missione idraulica, la missione neoliberista e un approccio che
prende il nome di Integrated Water Resources Managment (IWRM). Quest’ultimo si
riferisce ad un approccio proposto delle agenzie internazionali multilaterali che ha subito
vari cambiamenti nel corso degli anni e che verrà analizzato in seguito. La missione
idraulica si riferisce alla visione politica che concepisce la gestione del settore idrico come
un compito prettamente statale, è caratterizzata da un approccio basato su concetti tecnici e
burocratici e sulla costruzione e gestione di infrastrutture. A questo approccio si oppone la
cosiddetta missione neoliberista, fondata su i concetti di individuo e di mercato. Mentre il
liberismo era un’ideologia il cui obiettivo era la negoziazione tra Stato e mercato, che
erano viste come de sfere collegate ma separate, il neoliberismo promuove un tipo di
relazioni più flessibile, sfumando i contorni di entrambe. La distinzione tra pubblico e
privato diventa così meno netta, attraverso una cooperazione che spesso si traduce in
concessioni di settori pubblici in mano ai privati o, in altre parole, alla privatizzazione. La
missione idraulica e quella neoliberista tendono a coesistere, almeno in una prima fase103
.
8.1. L’AGENDA NEOLIBERISTA
Le politiche sull’acqua sono parte dell’agenda e dell’utopia neoliberista, anche se queste
vengono di solito difese con argomentazioni tecniche anziché ideologiche o politiche. Le
agenzie che si occupano di sviluppo presentano le politiche di stampo neoliberista come
l’unica strada per evitare l’imminente crisi idrica e non come parte di un progetto politico
più ampio. Infatti, l’immagine di un’imminente crisi data dalla scarsità delle risorse idriche
è scioccante, in quanto minaccia non solo lo sviluppo ma la stessa esistenza umana: è uno
scenario che permette e richiede misure forti. Queste misure, per di più, si basano su
concetti apparentemente scientifici e insindacabili come scelta razionale del consumatore,
migliore allocazione, efficienza, diritti di proprietà, processo decisionali decentralizzato,
mercato. L’acqua viene quindi trattata come ogni altro bene, come seguisse le leggi
economiche e scientifiche che le vengono applicate.
Al cuore di questo approccio c’è il concetto di diritti di proprietà: diritti individuali di
proprietà sono presentati come la soluzione per ridurre gli sprechi, responsabilizzare i
consumatori e assicurare l’accesso alle risorse. Per la realizzazione di questo scenario, è
necessaria la cancellazione di tutti i sistemi consuetudinari e tradizionali che sono stati in
vigore fino a quel momento. Questo non sempre avviene con un’azione radicale, ma spesso
si trattano questi sistemi come retaggi del passato, anomalie, che scompaiono nel tempo o
103
Islar, M. 2012. “Privatised hydropower development in Turkey: A case of water grabbing?” Water
Alternatives 5(2): 376-391
86
diventano gradualmente illegali104
. La privatizzazione implica sempre un processo di
esproprio. Nel caso dell’acqua, si tratta spesso di un esproprio di diritti acquisiti a livello
locale attraverso il proprio impegno nella costituzione di un sistema idrico, ad esempio
attraverso la costruzione di infrastrutture: questo sistema viene presentato come irrazionale
e spazzato via. Essendo basata sul concetto di individuo e dei suoi diritti, l’ideologia
neoliberista punta sempre allo smantellamento dei sistemi comunitari e collettivi, puntando
a trattare ognuno come un consumatore che solo in questa veste ha la possibilità di vedere
tutti i suoi diritti riconosciuti e può così evitare ingiustizie e marginalizzazioni grazie
all’imparzialità del mercato. Le politiche neoliberiste puntano infatti a sostituire i diritti
sull’acqua di tipo collettivo e consuetudinario con diritti individuali di proprietà,
presentandoli come più certi. Questo concetto non tiene in considerazione che diversi attori
hanno un grado di potere diverso all’interno della società e che questo poi si riflette nella
reale possibilità di assicurasi e godere di certi diritti105.
Nelle applicazioni concrete di
queste concetto, spesso questo principio democratico tende a nascondere la creazione di
trusts e monopoli che, trattando l’acqua come un qualsiasi altro bene economico, iniziano a
specularci su. A questa visione, i popoli indigeni e le comunità rurali continuano ad
opporsi, proponendo approcci alternativi che valorizzano, realmente, il concetto di
uguaglianza e di diritto106
.
La privatizzazione dell’acqua non è un fenomeno nuovo, ma ha acquisito nuove ed
inquietanti dimensioni negli ultimi anni, erodendo i diritti consuetudinari, come quelli
tradizionalmente posseduti dai popoli indigeni. L’ondata di privatizzazioni del settore
idrico ha avuto il suo apice negli anno Novanta ed ha interessato sia i Paesi in via di
sviluppo che i Paesi sviluppati. Queste privatizzazioni sono state fortemente sostenute dalla
Banca Mondiale e da altre agenzie multilaterali il cui obiettivo era l’apertura dei mercati
dei Paesi in via di sviluppo, e concentrandosi quindi soprattutto su quei Paesi caratterizzati
da un forte ruolo dello Stato in economia, come nel caso delle nazioni dell’America Latina
o di quelle dell’Europa Centro-orientale. A questi Paesi la privatizzazione è presentata
come priva di alternative.
104
Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and
Identity”, Earthscan
105
Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI
106
Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and
Identity”, Earthscan
87
L’esempio più eclatante di introduzione dei concetti di libero mercato nella gestione delle
risorse idriche è rappresentato dal Cile di Pinochet e dalle sue politiche di stampo
fortemente neoliberista. In Cile, infatti, la privatizzazione dei diritti sull’acqua, che ha
comportato la completa eliminazione dei diritti consuetudinari etichettati come “diritti
inutilizzati”, è presentata come la strada migliore per la più efficiente allocazione delle
risorse. Una politica così estrema, tuttavia, richiede un forte intervento statale, esattamente
ciò che l’ideologia neoliberista afferma di combattere. Durante gli anni delle politiche di
aggiustamento strutturale i Paesi latino-americani hanno tagliato la spesa pubblica,
seguendo l’esempio cileno nel settore idrico dal momento che questo risultò essere una
delle voci più dispendiose per il budget statale. Le nazioni coinvolte nelle politiche di
aggiustamento strutturale si sono così trovate davanti al dilemma se attuare tali
privatizzazioni, incorrendo in rivolte popolari, o rifiutarle, rinunciando così ai preziosi
prestiti delle Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale107
.
Per quanto riguarda invece i Paesi del Nord del mondo, l’esempio più noto e radicale è
rappresentato dal Regno Unito che nel 1989, sotto il governo di Margaret Thatcher, decise
di privatizzare interamente il settore idrico. Una così estrema soluzione è stata raramente
seguita da altri Paesi, che hanno perlopiù optato per misure meno drastiche, come
concessioni, contratti di locazione o di gestione108
. Tuttavia, l’esperimento della
privatizzazione si è dimostrato deludente e ha creato più problemi di quanti ne abbia
risolti109
e per questa ragione in alcuni casi, dopo un periodo di controllo privato, il settore
idrico è tornato nelle mani dell’amministrazione pubblica. La decisione presa dal Comune
di Parigi di riprendersi la gestione del sistema idrico è un segnale evidente di questo
fallimento. Parigi non solo ha avuto per lungo tempo una gestione privata del settore, ma è
anche il quartier generale delle due compagnie multinazionali del settore più grandi del
mondo, Suez e Veolia110
. Nei Paesi in via di sviluppo la privatizzazione non porta alla
tanto sbandierata efficienza: Manila e Jakarta ne sono gli esempi più evidenti, in quanto in
queste due città la gestione privata ha causato più sprechi di quanto facesse quella
pubblica. Inoltre, l’esperimento rivela che la privatizzazione non si rivela conveniente
107
Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and
Identity”, Earthscan
108
Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water:
achievements. Struggles and visions from around the world”
109
Franco, J. and Kay, S. 2012 “ The global water land grab: a primer” TNI
110
George, S., Nhlapo, M. and Waldorff, P. 2011 “The politics of achieving the Right to Water”
http://www.tni.org/article/politics-achieving-right-water
88
neppure per le stesse compagnie, in quanto implica l’investimento di enormi capitali,
quindi alti rischi, senza i guadagni previsti. Per questo le maggiori compagnie hanno
iniziato e ritirare i propri investimenti dai Paesi in via di Sviluppo, nonostante le garanzie e
gli incentivi offerti dalla Banca Mondiale111
.
8.2. INTEGRATED WATER RESORCES MANAGEMENT
Nel 2002, durante il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (World Summit on
Sustainable Development) la Global Water Partnership ha presentato l’Integrated Water
Resources Management (IWRM) come “un processo che promuove lo sviluppo e la
gestione coordinata di acqua, terra e alter risorse a queste connesse per massimizzare la
risultante economica e il benessere sociale in quadro di equità, senza compromettere la
sostenibilità di ecosistemi vitali” 112
. Questo approccio mette l’accento sui processi di
governance basati sulla partecipazione pubblica, anche se è questo concetto di
partecipazione proposto dalla Banca Mondiale e dalle altre agenzie multilaterali sembra
piuttosto “uno strumento per spianare la strada alla privatizzazione e alla
commercializzazione”113
, e non implica l’implementazione di reali meccanismi di controllo
democratico e di coinvolgimento della popolazione. In questo senso, il concetto di
partecipazione diventa un meccanismo per approvare qualsiasi tipo di provvedimento
senza correre il rischio che questo sia definito non democratico, piuttosto che uno
strumento di emancipazione.
L’IWRM è stato presentato per la prima volta nel 1977 durante la Conferenza delle
Nazioni Unite sull’Acqua a Mar del Plata, in Argentina. Questa conferenza aveva
l’obiettivo di attestare quale fosse lo stato delle risorse idriche globali con lo scopo di
approntare un sistema gestionale che potesse permetterne un’allocazione più efficiente in
futuro. Durante questo primo incontro il tema delle questioni transfrontaliere non fu
neppure preso in considerazione. Per tutti gli anni Ottanta la questione scomparve
completamente dall’agenda politica internazionale e il successivo incontro sul tema fu la
Conferenza Internazionale su l’Acqua e l’Ambiente tenutasi nel 1992 a Dublino. Lo scopo
previsto di questa conferenza era quello di affrontare la questione della sostenibilità
111
Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water:
achievements. Struggles and visions from around the world”
112 Mizanur Rahaman, M and Varis, O. 2005 “Integrated water resources management: evolution, prospects
and future challenges” http://sspp.proquest.com/static_content/vol1iss1/0407-03.rahaman-print.html 113
Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water:
achievements. Struggles and visions from around the world”
89
nell’uso delle risorse idriche; invece, accanto ad alcuni punti come quello della
partecipazione ai processi decisionali e un particolare focus sul ruolo della donne in
connessione all’utilizzo domestico, l’affermazione più forte che emerse da quell’incontro
fu che per una maggiore efficienza l’acqua andava trattata come una qualunque altra
merce. Questa idea fu fortemente criticata dai Paesi in via di sviluppo, poiché questo
concetto non prende in considerazione la questione della povertà e dell’ineguaglianza
sociale. Dalla Conferenza di Dublino del 1992 l’acqua è stata presentata come separata
dalla terra e i due settori trattati con politiche distinte.
Il primo Forum Mondiale sull’Acqua si è tenuto nel 1997 a Marrakesh e in questa
occasione fu stabilito che tale forum si sarebbe tenuto ogni tre anni. Questo evento riunisce
rappresentanti dei governi, esperti in gestione delle risorse idriche e agenzie per lo
sviluppo. A Marrekesh fu promosso un approccio alla crisi idrica di tipo regionale e
settoriale, per meglio coglierne gli elementi componenti. Il secondo Forum Mondiale si è
tenuto a L’Aia nel 2000, dove è stata approntata una visione globale che mette al centro il
comportamento individuale, concentrandosi sugli aspetti tecnici e sugli strumenti finanziari
e tralasciando il contesto sociale. In questa sede fu introdotta la proposta di affiancare la
privatizzazione con partnership tra settore pubblico e privati (PPP). Anche in questa sede
fu messo l’accento sulla questione della partecipazione ai processi decisionali, segno
evidente del ruolo che questa affermazione ha nel farli apparire come democratici. Mentre
a Marrakesh le affermazioni erano perlopiù rimaste tali, a L’Aia fu deciso di dare una
svolta pratica e fu creata la Global Water Partnership, concepita come uno strumento di
implementazione dell’IWRM114
. La privatizzazione del settore idrico viene presentata in
questa sede come inevitabile in quanto priva di alternative115
.
In linea con questa volontà di trasformare i concetti espressi in pratica, durante la
Conferenza sulle Acque Dolci tenutasi a Bonn nel 2001 furono fatte raccomandazione per
la promozione degli investimenti e della decentralizzazione. Lo stesso anno, al Doha
Round l’Organizzazione Mondiale del Commercio ha affermato che l’acqua, come le altre
risorse naturali e come i servizi, fa parte di quelle merci di cui è necessario abbattere le
barriere tariffarie e non. La stessa dichiarazione si ritrova anche nel North Free Trade
Agreement.
114
Mizanur Rahaman, M and Varis, O. 2005 “Integrated water resources management: evolution, prospects
and future challenges” http://sspp.proquest.com/static_content/vol1iss1/0407-03.rahaman-print.html
115 Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water: achievements.
Struggles and visions from around the world”
90
Nel 2002, durante il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile a Johannesburg,
l’IWRM era in cima all’agenda internazionale e nel 2003 a Kyoto, durante il terzo Forum
Mondiale questo approccio era presentato come la strada per il raggiungimento del relativo
Obiettivo del Millennio: dimezzare il numero di persone che non hanno accesso all’acqua
pulita e potabile. Da quel momento l’IWRM è rimasto ancorato agli stessi principi cardine:
privatizzazione e partnership pubblico-privato come strumenti per affrontare la gestione
delle risorse idriche nei Paesi in via di sviluppo, senza tenere in considerazione che nella
maggior parte dei Paesi sviluppati, specialmente in Europa, la gestione del sistema idrico è
sempre stata e continua ad essere amministrata dallo Stato; l’idea che l’acqua si una bene
economico, il che comporta che si applichino regole economiche alla sua gestione;
l’affermazione, senza peraltro nessuna effettiva implementazione, della necessità di
un’arena per discutere e risolvere i conflitti che interessano le questioni tra due Paesi, come
ad esempio nelle questioni transfrontaliere.
Nel 2003, durante il Forum Mondiale a Kyoto, è stato presentato il rapporto del Panel
Camdessus, che prende il nome dal suo Presidente, Michel Camdessus, precedente
Direttore del Fondo Monetario Internazionale116
. Con questo rapporto si è lanciato il
programma “Finanziare l’Acqua per Tutti”, che promuove gli investimenti privati e a
partecipazione sia pubblica che privata, lo sviluppo dell’energia idroelettrica, e il ruolo
della Banca Mondiale, delle banche di sviluppo regionali e della Banca Europea di
Investimenti nel finanziare i servizi e le infrastrutture per il miglioramento del settore
idrico. Suggerisce inoltre l’utilizzo dei fondi pubblici come garanzia per attrarre gli
investimenti, visti i rischi connessi soprattutto a eventuali svalutazioni di moneta. Si
raccomanda infine, di dare la possibilità agli investitori di negoziare direttamente con le
amministrazioni locali, saltando il livello nazionale: questo, è evidente, rischia di rendere
le transazioni meno trasparenti. La composizione di questo Panel, soprattutto per la
presenza di esponenti di TNC, è stata fortemente criticata117
.
Il quarto Forum Mondiale sull’Acqua si è tenuto a Città del Messico nel 2006 e si è
concentrato sul livello locale, vedendovi la migliore dimensione per la progettazione e
l’implementazione delle politiche di gestione dell’acqua, ma promuovendo un approccio
116
http://www.worldwatercouncil.org/fileadmin/wwc/Library/Publications_and_reports/CamdessusSummar
y.pdf 117
Mizanur Rahaman, M and Varis, O. 2005 “Integrated water resources management: evolution, prospects
and future challenges” http://sspp.proquest.com/static_content/vol1iss1/0407-03.rahaman-print.html
91
frammentato e non olistico118
. Il risultato di questo forum è stata una dichiarazione
ministeriale non vincolante dal punto di vista legale, che inoltre escludeva tematiche
importanti come la gestione dei bacini idrografici nelle aree di confine da due o più Stati,
la connessione tra acqua e agricoltura, l’impatto sulla pesca, come affrontare le questione
della crisi ambientale e del cambiamento climatico. Si passa così da una visione globale ad
una frammentata. Nel 2009 il Forum Mondiale si è tenuto a Istanbul: il luogo non è
casuale, visto che in quell’occasione la Turchia ha presentato le sue nuove politiche sulla
produzione di energia idroelettrica e sulla concessione in locazione dei fiumi, presentate
prima119
. La dichiarazione finale di questo forum definisce l’acqua come un bisogno la cui
soddisfazione è legata al pagamento del servizio. Viene quindi riaffermato un approccio
basato sul profitto, che vede l’acqua come una merce qualsiasi120
.
L’ultimo Forum Mondiale si è tenuto a Marsiglia lo scorso marzo ed ha rappresentato un
passo indietro nella strada verso il riconoscimento del diritto all’acqua come un diritto
umano. Infatti, nonostante nel 2010 stia stata approvata la Risoluzione delle Nazioni Unite
64/292, la dichiarazione finale del forum non prende in considerazione questo impegno
internazionale e prevede la possibilità per ogni Paese di determinare le strategie per
implementare e attuare le obbligazioni previste per il rispetto del diritto all’acqua. In
questo modo, viene negata la possibilità di intraprendere azioni per vedere i propri diritti
riconosciuti. Le organizzazioni della società civile e Catarina d’Albuquerque, Relatore
Speciale sul diritto all’acqua, si oppongono fortemente a questa dichiarazione affermando
che “le conclusioni del Forum Mondiale sull’Acqua potrebbe diventare soluzioni basate su
i falsi presupposti”121
. Tale opposizione non è stata presa in considerazione e neppure
quella del delegato boliviano, il cui microfono ha avuto sospetti problemi tecnici durante la
discussione.
8.3. L’APPROCCIO BASATO SUI DIRITTI UMANI
Le organizzazioni della società civile coinvolte nel tema del water grabbing propongono n
approccio alla questione centrato sul riconoscimento e il rispetto dei diritti umani,
concentrandosi sul diritto all’acqua non solo in quanto tale ma anche come precondizione
118
http://userpage.fu-berlin.de/ffu/akumwelt/bc2006/papers/Rahaman_Varis.pdf
119
Loewe, J. 2010, “Water Ablaze; the contamination and commercial exploitation of a rare and vital
resource” Verlag NWWP, Stuttgart
120
http://www.sesamoitalia.it/wp-content/uploads/2009/04/notaworlswaterforu.pdf
121
http://www.trust.org/alertnet/blogs/alertnet-news-blog/world-water-forum-muddied-by-controversies/
92
del godimento di altri diritti ad esso connessi122
. Il loro punto di partenza è la presa di
coscienza del fallimento della privatizzazione come mezzo per la distribuzione di acqua a
tutti a prezzi accessibili e dell’inefficienza dei poteri pubblici di garantire il servizio senza
incorrere in sprechi. La privatizzazione ha fallito anche in quanto non si è dimostrata in
grado di implementare i processi decisionali democratici, trasparenti e partecipativi che
sbandierava. Infatti, non è stato implementato nessun mezzo per verificare la responsabilità
e l’affidabilità di queste gestioni private. La scarsa democraticità di questi processi è anche
dimostrata dal fatto che spesso queste privatizzazioni avvenivano sotto la guida di governi
autoritari, come nelle Filippine di Suharto o in Sud Africa durante il periodo
dell’apartheid123
.
Il Forum Mondiale del 2003 in Giappone ha rappresentato un momento importante
nell’organizzazione di un’opposizione all’ideologia mainstream nella gestione delle risorse
idriche promossa dal World Water Council, che raccomanda soprattutto PPPs. Questo è
indicativo della visione delle agenzie multilaterali per lo sviluppo, che supportano il ritiro
dello Stato. Le organizzazioni della società civile promuovono, invece, un’espansione del
controllo pubblico nella gestione delle risorse idriche e alternative alla privatizzazione
basate su esperienze positive concrete. L’anno seguente in India, durante il World Social
Forum, è stato lanciato il sito web www.waterjustice.org, un forum per condurre un
dibattito internazionale sul diritto all’acqua124
.
Nella Dichiarazione di Nyeleni, risultato del Forum per la Sovranità Alimentare del 2007,
si afferma che l’accesso alle risorse naturali, tra cui l’acqua, è fondamentale per la
realizzazione della sovranità alimentare. Si afferma, inoltre, che l’acqua deve essere
considerata un bene comune e non una commodity, e quindi gestita dal settore pubblico.
Infine, si afferma che il diritto all’acqua fa parte dei diritti umani, in quanto fondamentale
per la vita e per il godimento di altri diritti.
Durante il Forum Mondiale Alternativo sull’Acqua (FAME) a marzo, è stata proposta una
carta che afferma che “l’acqua dovrebbe essere considerata un bene comune a tutta
l’umanità. L’acqua è vitale per tutte le forme di vita e non è una commodity125
e
122
Cotula, L. 2006 “Land and water rights in the Sahel: tenure challenges of improving water access for
agriculture IIED
123
Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water: achievements.
Struggles and visions from around the world”
124
Ibidem
125
http://www.fame2012.org/en/about/charter/
93
raccomanda la gestione pubblica del sistema idrico. Si promuovono inoltre tecniche
alternative, come il riciclaggio delle acque reflue e il recupero delle acque piovane. Il
fallimento dell’esperimento della privatizzazione e l’inefficienza del settore pubblico nella
gestione del sistema idrico nei Paesi in via di sviluppo spinge a cercare nuove soluzioni
che possano migliorare l’efficacia del sistema senza deprivare le persone del diritto
all’acqua126
.
Tra le alternative proposte che si oppongono sia alla privatizzazione sia alle partnership
pubblico-privato, il Transnational Institute (TNI) insieme ad altre organizzazioni della
società civile promuove l’idea di partnership pubblico-pubblico (PuP). Questa idea si basa
sulla semplice considerazione che il 90% del sistema idrico mondiale è amministrato dal
settore pubblico dei vari Paesi e che tra questi sia possibile trovare i migliori esempi e le
istituzioni più efficienti. Si hanno già, inoltre, esempi di fruttuose collaborazioni tra le
varie istituzioni pubbliche che si occupano del settore. Questa idea è stata supportata
anche dal precedente Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan attraverso la creazione del
Global Water Operator Partnerships Alliance (GWOPA) e dal Segretario Generale
dell’Advisory Board delle Nazioni Unite, che ha sviluppato un’iniziativa che prende il
nome di Wate Operator Partnerships o WOPs.
Nel marzo del 2011 a Cape Town si è tenuto il primo Congresso del GWOPA. Questo tipo
di partnerships pubblico-pubblico sono state anche sostenute dalla Banca Monsiale e da
altre banche regionali di sviluppo, in particolare dall’ Asia Development Bank e dall’ Inter-
American Development Bank, che stanno finanziando molti dei progetti sviluppati. Dal
momento che queste agenzie hanno sempre spinto per la privatizzazione, è necessario
assicurarsi che queste WOPs non “diventino un altro strumento commerciale” 127
.
L’approccio che promuove la gestione pubblica del servizio idrico evidenzia il legame
esistente tra giustizia sociale, processi decisionali democratici e diritto all’acqua; è
condiviso dalle organizzazioni della società civile di tutto il mondo e ci sono numerosi
esempi di successo della sua messa in pratica a livello locale128
. Queste esperienze positive
hanno il doppio merito di migliorare il servizio in termini di efficienza e di sollevare la
126
Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water: achievements.
Struggles and visions from around the world”
127 George, S., Nhlapo, M. and Waldorff, P. 2011 “The politics of achieving the Right to Water”
http://www.tni.org/article/politics-achieving-right-water 128
Transnational Institute and Corporate Europe Observatory, 2005 “Reclaiming public water: achievements.
Struggles and visions from around the world”
94
questione tra la popolazione, che diventa così cosciente dei propri diritti e si organizza per
difenderli.
Via Campesina, una delle organizzazioni più impegnate in questo dibattito, mette l’accento
sul ciclo dell’acqua e sul diritto “dell’acqua” come prerequisito per il diritto “sull’acqua”: è
quindi necessario promuove un uso sostenibile delle risorse idriche per garantirne la
disponibilità e quindi l’accesso a tutti. In linea con questa idea, propone i seguenti criteri di
priorità nell’allocazione129
:
- Mantenimento sostenibile degli ecosistemi terrestri e marini
- Utilizzo per uso personale, domestico, igienico e per la sopravvivenza alimentare
- Produzione di cibo per il consumo locale nel rispetto dei principi della sovranità
alimentare per piccoli e medi produttori
- Servizi pubblici, come giardini e fontane
- Artigianato e commercio
- Agribusiness, produzione industriale, turismo, pesca industriale
- Produzione di energia idroelettrica
La classificazione sopra presentata dà, evidentemente, la priorità al consumo personale e
all’ agricoltura. Via Campesina chiede inoltre analisi delle riserve di acqua e delle attività
che ne fanno uso, per ridurre gli sprechi ed aumentare l’efficienza della gestione.
Basandosi sull’evidenza che le riserve di acqua non possono essere aumentate e che quindi
è necessario che siano le attività umane ad adattarvisi e non il contrario, devono essere
promosse pratiche di risparmio in ogni attività: dall’uso domestico, all’agricoltura,
all’industria. Questo significa anche promuovere un tipo di agricoltura ecologica, basata
sulla bio diversità, che risulta meno inquinante, per il minor uso di pesticidi, e richiede
meno acqua dell’agricoltura industriale.
L’approccio basato sui diritti umani prende in considerazione non soltanto i diritti
individuali, ma anche quelli collettivi e consuetudinari, afferma che l’intera comunità
interessata da un certo provvedimento debba avere il diritto di prendere parte ai processi
decisionali, che devono essere pubblici e fondati sul principio della trasparenza. Propone
una distinzione tra l’acqua intesa come una risorsa pubblica fondamentale che deve essere
garantita a tutti per un adeguato standard di vita e l’acqua come input produttivo nel settore
129
“The issue of water is inseparable from Food Sovereignty” Coordination Europeenne Via Campesina,
2012
95
industriale e nell’agricoltura meccanizzata, il cui uso deve essere regolato e sottoposto a
controlli e restrizioni. Chiede infine la creazione di istituzioni alle quali i cittadini possano
rivolgersi per vedersi riconoscere i propri diritti e dove richiedere le dovute
compensazioni.
Per riassumere, l’ approccio basato sui diritti umani da allo Stato un ruolo centrale nella
regolazione del sistema e dei servizi idrici, in opposizione all’ideologia neoliberista che
vuole dare questo compito al mercato. Le organizzazioni della società civile promuovono
inoltre pratiche di utilizzo dell’acqua e di agricoltura sostenibile, l’implementazione delle
quali non richiede nuove strategie e nuovi strumenti: i sistemi tradizionali sono spesso i più
efficienti e richiedono minore utilizzo di risorse, in quanto rappresentano l’adattamento
dell’uomo a quel preciso contesto130
.
8.4. L’APPROCCIO OLISTICO
L’idea che la natura abbia dei diritti che l’acqua vada tenuta in considerazione in tutto il
suo ciclo non è nuova ma si trova alla base dell’approccio olistico, una visione condivisa
dai popoli indigeni di tutto il mondo, che considerano la natura come un tutto e rifiutano la
frammentazione nella gestione delle risorse naturali promossa dalle politiche neoliberiste.
La mercificazione delle risorse naturali e la loro concezione come entità separate fa parte
dell’idea occidentale della natura e ne influenza le politiche che le nazioni del Nord del
mondo promuovono si internamente sia, soprattutto, esternamente, nei confronti dei Paesi
del Sud del mondo. Anche se la visione olistica è la più antica e ancora presente nella
cultura di tanti popoli, gli Stati sembrano aver dimenticato questo concetto per secoli e
adesso ne pagano le conseguenze. Il numero si parallelismi che si vede oggi nei fenomeni
di water e land grabbing che abbiamo visto sembra volercelo ricordare.
Riappropriarsi di questa visione della natura come di una totalità sembra oggi l’unica
strada per uno sviluppo sostenibile e per far fronte alle drammatiche crisi globali che
stiamo affrontando131
. Tuttavia, le politiche nazionali e internazionali continuano a vedere
terra e acqua come due elementi separati e quindi a trattarli con strategie diverse. Le
conseguenze negative di questo tipo di amministrazione separata possono essere
rintracciate nel caso del Ghana che abbiamo riportato sopra. La terra è, infatti,
130
Boelens,R., Getches, D., and Guevara- Gil, A. 2010 “Out of mainstream: Water Rights, Politics and
Identity”, Earthscan
131 Falkenmark, M. 1997 “Society's interaction with the water cycle: a conceptual framework for a more
holistic approach” in Hydrological Science -Journal- des Sciences Hydrologique 42(4): 451- 465
96
intrinsecamente legata all’acqua e non solo perché ha bisogno di questa per essere
produttiva ma anche perché le attività ad essa legate impattano sui bacini e i sistemi
idrografici. Un approccio olistico non si limita a considerare tutte le risorse naturali come
componenti di una tutto, ma guarda anche ai processi nella loro totalità e nel tempo. Nel
caso dell’acqua, data anche la sua natura fluida, è importante tenere in considerazione tutto
il ciclo; nonostante ciò, raramente coloro che sono chiamati ad amministrarla hanno questa
conoscenza e consapevolezza.
Si considerano quattro funzioni principali dell’acqua: quella relativa alla salute, che
coinvolge l’uso personale e domestico; come habitat per gli ecosistemi acquatici; come
trasportatore di sostanze e materiali sospesi o disciolti; quella produttiva. L’acqua usata per
la produzione di cibo viene definita “verde”, quella che viene invece dedicata all’uso
domestico prende il nome di acqua “blu”. Come abbiamo visto, la molteplicità degli
utilizzi e delle funzioni delle risorse idriche crea competizione e conflitti per stabilire a
quale di queste debba essere accordata la priorità132
. In questo senso, l’acqua viene
frammentata nei diversi settori, in ognuno dei quali si hanno diversi attori interessati e
diversi conflitti, e si pensa che non vi sia nessun collegamento tra queste diverse funzioni.
Se tuttavia si prende in considerazione il ciclo dell’acqua nella sua totalità si colgono le
cause e le conseguenze delle diverse situazioni e attività: ad esempio l’inquinamento dei
fiumi provocato dalla produzione industriale o dall’agricoltura meccanizzata impatta sulla
salute umana e degli ecosistemi anche a lunghe distanza data la sua funzione di trasporto di
sostanze, e incide infine sulla produzione di cibo. Questi conseguenze, che sono sia di
breve che di lungo periodo, possono essere compresi solo considerando l’acqua nel suo
ciclo totale. L’approccio olistico ha, infatti, anche il pregio di prendere in considerazione
non solo le conseguenze sul presente ma anche sulle future generazioni133
.
132
Falkenmark, M. 1997 “Society's interaction with the water cycle: a conceptual framework for a more
holistic approach” in Hydrological Science -Journal- des Sciences Hydrologique 42(4): 451- 465
133
Ibidem
97
CAPITOLO 3
LA GOVERNANCE INTERNAZIONALE: REGOLAZIONE DEI FENOMENI DI
ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE
1. L’ EMERSIONE DEL FENOMENO
Il tema del land grabbing e delle transazioni economiche relative alla terra emerge
prepotentemente nel 2008, quando il Financial Times denuncia i termini delle trattative in
corso tra il governo malgascio e la Daewoo, che operava per conto della Corea del Sud, per
il controllo di 1,3 milioni di ettari, pari al 40% della terra arabile nazionale, per un periodo
di 99 anni e in cambio creazione di posti di lavoro e investimenti in infrastrutture a favore
della popolazione134
. Si rintracciano in questo caso eclatante alcuni degli elementi
fondamentali e ricorrenti che abbiamo tracciato nel primo capitolo: l’accaparramento delle
terre in reazione alla crisi alimentare del biennio 2007-2008 da parte di un Paese ad alta
intensità di capitale ma povero di terra e quindi di risorse alimentari, che teme per la sua
sicurezza alimentare futura, essendo quasi totalmente dipendente dalle importazioni, ai
danni di un Paese in via di sviluppo con un contratto a lungo termine, del quale, quindi, è
difficile prevedere le conseguenze nel lungo periodo, in cambio di input allo sviluppo,
come lavoro e infrastrutture. La notizia fa il giro del mondo, portando non solo al blocco
delle trattative e alla caduta del governo del Madagascar, ma puntando i riflettori su questo
fenomeno, di cui il caso malgascio è solo uno degli esempi più eclatanti. La stampa inizia a
portare a galla le transazioni economiche riguardanti la terra, che si erano moltiplicate in
Africa nell’ultimo periodo e, sempre nel 2008, esce il primo rapporto di GRAIN135
in cui si
introduce per la prima volta il termine “land grabbing” e si iniziano le prime stime, e
denuncie, del fenomeno.
Questo può essere considerato il punto di partenza della riflessione delle agenzie
multilaterali per lo sviluppo e, in generale, dei luoghi di governance nazionale e
internazionale sulla questione, tanto da essere in cima all’agenda del G8 che si svolge nella
primavera successiva a Roma, durante il quale le maggiori organizzazioni contadine
africane, EAFF (Federazione delle Organizzazioni Contadine dell’Africa Orientale),
PROPAC (Piattaforma Regionale delle Organizzazioni Contadine dell’Africa Centrale),
134
Oliver, C., Jung-a S., Burgis, T. “Daewoo to cultivate Madagascar land for free” in Financial Times, 19
Novembre 2008
135
GRAIN 2008 “Seized! The 2008 land grab for food and financial security” GRAIN Brefing, Barcelona:
Genetic Resources Action International
98
ROPPA (Rete delle Organizzazioni Contadine e dei Produttori Agricoli dell’Africa
Occidentale) e UMAGRI (Unione Magrebine di Agricoltori), hanno presentato una
Dichiarazione Comune sullo stato dell’agricoltura del continente. Tale Dichiarazione
denuncia in modo chiaro ed esplicito le difficoltà africane e i fenomeni che, se non le
hanno causate, le hanno sicuramente esacerbate e afferma la necessità di mettere al centro
delle politiche e delle transazioni economiche i piccoli produttori, garantendone la
partecipazione nelle questioni che riguardano la loro sopravvivenza. Di una certa rilevanza
anche la richiesta che ad occuparsi della questione a livello di governance internazionale
siano le agenzie multilaterali che si occupano di sviluppo agricolo presenti a Roma136
.
Si vede come, inevitabilmente, fin dal principio Roma diventa il luogo delle negoziazioni e
della governance internazionale sul tema del controllo della terra. Esce il primo studio
commissionato da FAO e IFAD allo IIED (International Institute for Environment and
Development) che presenta le due visioni della questione del land grabbing che da quel
momento in poi si fronteggeranno nelle negoziazioni sui codici di condotta: l’approccio
Win Win, che presenta il fenomeno come una’opportunità di arricchimento e sviluppo per
entrambe le parti, e quello che vede l’accaparramento del controllo delle terre come un
fattore di rischio per la sicurezza alimentare delle popolazioni, e quindi una questione
relativa ai diritti umani137
.
L’ancoramento del diritto al cibo ai diritti umani come fondamento su cui basare gli
investimenti in agricoltura viene indicato anche dal Relatore Speciale per il Diritto al Cibo
delle Nazioni Unite Olivier De Shutter. Il Rapporteur, infatti, non esclude le conseguenze
positive che queste transazioni economiche possono avere sulle condizioni di vita delle
nazioni e delle comunità coinvolte, ma rifiuta l’approccio Win- Win138
e propone principi e
misure per garantire la trasparenza e la partecipazione effettiva di tutte le parti coinvolte
alle trattative139
. Iniziano così, da varie parti, le proposte per la creazione di codici di
condotta che regolino gli investimenti in agricoltura.
136
EAFF, PROPAC, ROPPA, UMAGRI 2009 “The Farmers’ Organisations of Africa Address the G8”
137
Cotula, L., Vermeulen, S., Leonard, R. e Keeley, J. 2009 “Land grab or development opportunità?
Agricultural investmentsand international land deals in Africa”, IIED/ FAO/ IFAD, London/ Rome
138
Borras, S.M.Jr e Franco J.C., 2010 “From Threat to Opportunity? Problems with the Idea of a “Code of
Conduct” for Land Grabbing”, Yale Human Rights and Development Law Journal, 13 (2): 507-23
139
De Shutter, O. 2009 “ The UN Special Rapporteur to Food recommends principles and measures ti
discipline land grabbing” Press Release
99
2. L’APPROCCIO WIN- WIN
La pervasività e la diffusione del land grabbing fanno apparire questo fenomeno come
difficilmente debellabile: su questa base le agenzie internazionali stanno proponendo di
trovare un modo in cui questo fenomeno possa essere incanalato positivamente per la
promozione di investimenti in agricoltura. Per questo le Linee guida che verranno
presentate in seguito, così come gli altri strumenti di regolazione delle transazioni
riguardanti la terra hanno come obiettivo principale la definizione dei criteri che
permettano di distinguere i fenomeni di accaparramento delle terre dagli investimenti in
agricoltura, in modo tale da definire regole che scoraggino i primi incentivando invece i
secondi. Questa posizione è sostenuta tanto dalle agenzie multilaterali, che continuano a
vedere negli investimenti diretti esteri la molla per lo sviluppo del settore agricolo nei
Paesi in via di sviluppo, sia dai governi nazionali, che competono per accaparrarseli140
.
Tale approccio, che vede negli investimenti su larga scala una strategia vantaggiosa sia per
il Paese oggetto dell’investimento che per l’investitore prende il nome di Win- Win.
Seguendo l’approccio Win Win, gli effetti negativi che la partnership tra investitori
stranieri e governi locali e nazionali ha sulle popolazioni sarebbero da ascriversi a
deficienze tecniche e alla mancanza di un’adeguata amministrazione politica del territorio.
Le soluzioni a questo tipo di problematica emergerebbero con il tempo, grazie allo
sviluppo innescato da questi investimenti e all’influenza dell’ideologia che li supporta141
.
Nel frattempo, la stesura e l’implementazione di codici di condotta internazionali
avrebbero il compito di difendere i diritti delle comunità coinvolte, definendo dei principi
di responsabilità da seguire: i RAI Principles, che verranno presentati in seguito, avrebbero
appunto tale scopo. Questo tipo di codici di condotta, tuttavia, non solo non contengono
quelle garanzie sociali ed economiche necessarie alla sopravvivenza dei poveri rurali, ma
vengono anche decisi e concessi “dall’alto” e non ottenuti con quelle lotte politiche di
classe che sono solitamente la miglior garanzia per l’attuazione e il mantenimento nel
tempo di questi principi. Il rapporto della Banca Mondiale142
sui meccanismi di riduzione
della povertà attraverso la creazione di posti di lavoro e contratti con i piccoli produttori,
140
http://www.grain.org/article/entries/4564-responsible-farmland-investing-current-efforts-to-regulate-land-
grabs-will-make-things-worse 141
Borras, S.M.Jr e Franco J.C., 2010 “From Threat to Opportunity? Problems with the Idea of a “Code of
Conduct” for Land Grabbing”, Yale Human Rights and Development Law Journal, 13 (2): 507-23
142
Deininger, K., D. Byerlee, J. Lindsay, A. Norton, H. Selod, and M. Stickler. 2011. Rising global interest
in farmland: can it yield sustainable and equitable benefits? Washington, DC: The World Bank
100
fortemente criticato da Tania Li143
che abbiamo presentato nel primo capitolo è un classico
esempio di questo tipo di approccio. Anche in questo caso, infatti, il capitale viene
presentato come la molla per innescare dinamiche di sviluppo e si raccomanda quindi ai
governi dei Paesi in via di sviluppo di creare un contesto legale e trasparente dei diritti di
proprietà, tale da attrarre investimenti da parte delle società del Nord del mondo.
L’assunto su cui poggia questo tipo di approccio è, ancora, la visione unidirezionale dello
sviluppo, che inevitabilmente porterà i Paesi del Sud del mondo a seguire le orme già
tracciate dai Paesi sviluppati anche in agricoltura, portando alla trasformazione della
produzione agricola da estensiva a intensiva, la proprietà della terra da frammentata e
amministrata da una moltitudine di piccoli produttori a accentrata nelle mani di un ristretto
gruppo di imprenditori. Il surplus di forza lavoro che ne sortirebbe sarebbe dapprima
impiegato in agricoltura come lavoratori dipendenti e in seguito, una volta iniziato il take
off industriale, andrebbe a costituire la classe operaia, e quindi successivamente la classe
media. Le classifiche che le agenzie internazionali stilano per identificare il grado di
progresso raggiunto dai vari Paesi non fanno altro che posizionarli ad un certo livello in un
percorso per il raggiungimento dello sviluppo, implicitamente considerato unico e
universale, al culmine del quale si trovano i Paesi sviluppati. Vista l’inevitabilità e la
desiderabilità di questo avanzamento, perché non affrettarlo con l’aiuto di coloro che
hanno già compiuto questa trasformazione, che si concretizza nella ormai classica ricetta di
iniezione di capitale e tecnologia?
Oltre alla critica di etnocentrismo che sorge da questa proposta, gli oppositori hanno messo
in luce il ripetuto fallimento di questa ricetta per tutto il periodo in cui essa è stata applicata
nei più svariati contesti. Inoltre anche ammesso, e non concesso, che questo tipo di
sviluppo sia auspicabile, sorgono dei dubbi sull’opportunità di accelerare questo processo.
Come messo in luce già da Polanyi144
, quando ci si trova di fronte a cambiamenti
economici strutturali cioè che conta non è solo il ritmo del progresso, ma anche quello di
adattamento delle popolazioni ad esso sottoposte. Egli mostra, infatti, come mentre nei
Paesi del Nord del mondo l’autodifesa della società, sottoforma di norme protezionistiche
volute da quelle classi che subivano gli effetti negativi delle trasformazioni sociali, ha
svolto un ruolo importantissimo nel rallentare il ritmo del progresso, dando la possibilità
143
Li, T.M., 2011. ‘Forum on Global Land Grabbing: Centering Labor in the Land Grab Debate’. Journal of
Peasant Studies, 38 (2): 281–98
144 Polanyi, K. 1944 “La grande trasformazione: le origini politiche e economiche del nostro tempo.” Boston,
MA, Beacon Press.
101
alle popolazioni di adattarvisi. Questo rallentamento, per carenze politico-sociali locali ma
soprattutto per imposizioni esterne, non è stato permesso alle colonie. Nonostante la
decolonizzazione, i rapporti che attualmente intercorrono tra i Paesi del Nord e quelli del
Sud del mondo non sembrano poi tanto diversi: si sono creati governi nazionali nelle ex
colonie che accettano i consigli tecnici, anziché obbedire a imposizioni della madrepatria.
3. I PRINCIPI DI INVESTIMENTO RESPONSABILE (RAI PRINCIPLES)
Dicevamo che uno degli obiettivi nella regolazione dei fenomeni di accaparramento delle
risorse è stabilire dei principi che permettano di distinguerli dagli investimenti in
agricoltura. Il primo tentativo di definizione di tali criteri è emerso nel 2009, a seguito
della massiccia espansione degli investimenti in agricoltura su larga scala, dalla Banca
Mondiale, che ha stilato una lista di sette principi (Responsible Agricultural Investments
Principles, o semplicemente RAI Principles) il cui scopo è, appunto, discriminare gli
investimenti che hanno un impatto positivo sul settore agricolo del Paese ricevente dai
fenomeni di accaparramento di risorse. Riportiamo di seguito la tali principi145
:
1. Rispetto dei diritti sulla terra e sulle risorse: i diritti esistenti sulla terra e sulle risorse
naturali devono essere riconosciuti e rispettati.
2. Assicurare la sicurezza alimentare: gli investimenti non devono minare la sicurezza
alimentare ma, al contrario, devono rinforzarla
3. Assicurare trasparenza, buona governance e un ambiente corretto e favorevole: i
processi per l’accesso alla terra e alle altre risorse e i relativi investimenti devono svolgersi
in modo trasparente, essere monitorati e svolti da attori che possano assicurare la propria
responsabilità (accountability) in un ambiente regolato da norme legali.
4. Consultazione e partecipazione: tutti gli attori coinvolti devono essere consultati e le
decisioni prese in tali processi consultivi devono essere registrate e messe in pratica.
5. Investimenti agrari responsabili: gli investitori devono assicurare che i progetti rispettino
la legge, riflettano una logica di best-practice del settore, siano economicamente fattibili e
risultino in una creazione di ricchezza durevole e condivisa.
145
http://www.responsibleagroinvestment.org/rai/node/256
102
6. Sostenibilità sociale: gli investimenti devono generare impatti socialmente desiderabili e
redistribuzione di ricchezza, e non esacerbare la vulnerabilità di determinati gruppi sociali.
7. Sostenibilità ambientale: gli impatti ambientale dei progetti devono essere
adeguatamente quantificati e devono essere intraprese misure che incoraggino un uso
sostenibile delle risorse e allo stesso tempo minimizzino il rischio o l’entità degli impatti
negativi, mitigandoli.
Questo primo codice di comportamento fu appoggiato anche da altre istituzioni
internazionali come la FAO, l’ IFAD e l’UNCTAD, mentre la società civile e i movimenti
di difesa dei piccoli produttori vi si opposero. Una delle critiche avanzate ai principi
proposti dalla Banca Mondiale è che proprio questa istituzione è spesso direttamente
coinvolta nelle transazioni internazionali riguardanti la terra e per questo la sua posizione
non può essere considerata imparziale. Tali movimenti sociali si sono uniti nel Civil
Society Mechanism ed hanno promosso la redazione e l’implementazione delle Linee
Guida sulla terra.
In entrambi questi strumenti (i Principi sugli Investimenti Responsabili in Agricoltura
sopra elencati e le Linee Guida che approfondiremo meglio in seguito) il principale
problema risiede proprio nella sua volontarietà, che fa sorgere dubbi sull’effettiva
implementazione che ne faranno i governi. Inoltre tendono a ricalcare una visione degli
investimenti in agricoltura come basati sul profitto, garantendo quindi una scarsa
protezione contro l’accaparramento di risorse naturali, specialmente se questo non avviene
attraverso vere e proprie acquisizioni di terre su larga scala, ma attraverso quei
cambiamenti nelle relazioni di proprietà e nell’uso della terra e delle biomasse che nel
primo capitolo abbiamo ricondotto al concetto di “sequestro del diritto a produrre”. Sono
quindi state stabilite delle nuove consultazioni in seno al CFS per stabilire nuovi principi
per l’investimento responsabile (questa volta indicati con la sigla “rai” in minuscolo),
iniziate a Novembre e che si prevede avranno definitiva approvazione il prossimo Ottobre.
A differenza di quanto accaduto nella prima definizione di questi principi da parte della
Banca Mondiale, in questo caso i movimenti della società civile che hanno proposto tali
negoziazioni parteciperanno attivamente al processo di negoziazione focalizzando la
discussione sugli investimenti a favore dei piccoli produttori di cibo146
.
146
http://www.grain.org/article/entries/4564-responsible-farmland-investing-current-efforts-to-regulate-land-
grabs-will-make-things-worse
103
Come per i codici di condotta atti a regolare altri settori economici, la definizione di
principi di responsabilità sociale è controversa in quanto fa riferimento a visioni etiche
dell’economia non universalmente condivise, che tendono ad essere definite, e quindi
omogenee, all’interno di una singola impresa, ma differiscono enormemente da una
all’altra147
. Per tale ragione non solo la ratifica di questi codici di condotta è volontaria, ma
si lasciano anche gli attori liberi nell’applicazione di tali strumenti. Si comprende quindi
come principi di investimento volontari e liberamente applicati non apportino effettive
modifiche al comportamento delle imprese. Allo stesso tempo questi codici di condotta
sembra dare legittimità alle transazioni commerciali sulle risorse naturali degli attori che li
ratificano. I movimenti della società civile, con GRAIN in testa, criticano l’idea che sia
possibile direzionare questo fenomeno affinché sostenga e promuova lo sviluppo
dell’agricoltura e il benessere delle comunità coinvolta e che per questo si dovrebbe
procedere non alla sua regolazione, ma bensì alla sua totale delegittimazione, mettendolo
quindi fuori legge, come è stato , ad esempio, per la tortura e la schiavitù148
.
Come abbiamo accennato nel primo capitolo, oltre che dalle istituzioni finanziarie
internazionali, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e le varie
Banche regionali di sviluppo, l’approccio win- win è stato fatto proprio anche da numerosi
Paesi in via di sviluppo che, rifiutando l’accezione di accaparramento, mettono l’accento
sulla necessità di incentivare queste pratiche per favorire l’afflusso di moneta straniera149
.
4. LE LINEE GUIDA VOLONTARIE SULLA GESTIONE RESPONSABILE DELLA
TERRA, DEI TERRITORI DI PESCA E DELLE FORESTE150
All’approccio definito Win- Win adottato dalle agenzie multilaterali dello sviluppo, basato
su una matrice neoliberista che condanna l’intervento e la regolazione statale, si oppone un
approccio basato sui diritti umani, che abbiamo introdotto nel capitolo precedente riguardo
147
Hill Charles, W.L. 2012. “International Business. Economia e strategia internazionali: l’impresa nei
mercati globali”, Hoepli
148
http://www.grain.org/article/entries/4564-responsible-farmland-investing-current-efforts-to-regulate-land-
grabs-will-make-things-worse 149
Paoloni, L. 2012 “Land Grabbing e beni comuni” in “Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni
comuni” a cura di Marella, M.R., Ombre Corte
150 Le considerazioni sulle Linee Guida si basano, oltre che sulle stesse e sulla poca letteratura esistente al
momento, sull’ esperienza di osservazione personale che la sottoscritta ha avuto modo di effettuare nei
rounds negoziali di Ottobre 2011 e Marzo 2012. Essendo stata accreditata come osservatrice del gruppo
rappresentante le organizzazioni delle società civile (CSO), ho avuto modo anche di partecipare alle riunioni
di tale gruppo, consolidando le mie conoscenze sul tipo di approccio al tema dell’accaparramento delle
risorse naturali.
104
al dibattito in corso sulla questione della gestione delle risorse idriche. L’approccio basato
sui diritti umani, supportato dai movimenti della società civile, parte dalla considerazione
che l’accesso all’acqua, al cibo e alle risorse necessarie alla sopravvivenza siano diritti
umani, e come tali inalienabili151
.
A fronte dell’estensione e della gravità del fenomeno di accaparramento delle terra e delle
altre risorse naturali vitali per la sopravvivenza di milioni di persone in tutto il mondo e
dello scarso, se non nullo, freno posto ad essi dai principi di investimento responsabile
sopra esposti, con una forte mobilitazione da parte della società civile è stato messo in
moto un percorso per la stesura di un documento con lo scopo di limitare, più che regolare,
quanto più possibile tali fenomeni.
4.1. IL PROCESSO DECISIONALE
Lo scorso 9 Marzo si sono conclusi i negoziati FAO per la compilazione delle Linee guida
volontarie per una governance responsabile dei regimi di proprietà applicabili alla terra,
alla pesca e alle foreste (Voluntary Guidelines on the Responsible Governance of Tenure
of Land, Fisheries and Forests in the Context of National Food Security), ratificate l´11
Maggio successivo durante una sessione speciale del Commissione per la Sicurezza
Alimentare Mondiale (CFS) da 125 Paesi152
. Questo documento è inteso come un
framework contenente i principi fondamentali a cui i governi e gli attori privati possono
attenersi nell´amministrare le questioni relative ai diritti di proprietà sulla terra e sulle
risorse ittiche e forestali, nell´ottica della difesa degli interessi delle popolazione e della
promozione della sicurezza alimentare e dello sviluppo rurale153
.
I processi consultivi sono durati tre anni e sono stati, in una prima fase di carattere
regionale. Questi processi consultivi regionali hanno avuto luogo in Brasile, Burkina Faso,
Etiopia, Giordania, Namibia, Panama, Romania, Federazione Russa, Samoa e Vietnam,
hanno visto coinvolte 700 persone provenienti da 113 nazioni rappresentati del settore
pubblico e privato, della società civile e esperti. Il CSM ha tenuto inoltre quattro
consultazioni in Mali, Malesia, Italia e Brasile, con la partecipazione di circa 200 persone
151
Borras, S.M.Jr e Franco J.C., 2010 “From Threat to Opportunity? Problems with the Idea of a “Code of
Conduct” for Land Grabbing”, Yale Human Rights and Development Law Journal, 13 (2): 507-23
152
TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
153
http://www.fao.org/news/story/it/item/128907/icode/
105
provenienti da 70 Paesi. Anche il settore privato ha tenuto una propria consultazione, alla
quale hanno preso parte 70 persone di 21 Stati. Questo mostra l´inclusività e l’ampia
partecipazione ai processi consultivi. Le negoziazioni si sono tenute alla sede centrale della
FAO in tre rounds: il primo tra giugno e luglio 2011, il secondo a ottobre 2001 e il terzo e
conclusivo a marzo 2012.
Le negoziazioni hanno visto tra i partecipanti non solo i governi dei Paesi membri della
FAO, ma anche organizzazioni della società civile, agenzie internazionali e ONU e
rappresentanti del settore privato. I Paesi si sono presentati in 6 raggruppamenti regionali:
Africa, Asia, America latina, Nord America, Unione Europea e Medio Oriente. Le
organizzazioni della società civile (CSOs) hanno partecipato collettivamente alle
negoziazioni riunite nel CSM (Civil Society Mechanism), un meccanismo nato allo scopo
di facilitare il dialogo e la coordinazione delle varie organizzazioni della società civile allo
scopo di influenzare la governance nazionale, regionale e internazionale su agricoltura e
sicurezza alimentare154
. L´inclusione di una tale varietà di attori sociali nei processi
decisionali è stata una novità e ha determinato un precedente per le future negoziazioni
internazionali in tema di agricoltura e sicurezza alimentare155
. Infatti, questa è stata la
prima volta che 3 portavoce dei movimenti e delle organizzazioni della società civile
hanno avuto modo di esporre le proprie proposte e argomentazioni all`Assemblea plenaria
della FAO.
Le Linee Guida sono state una prima risposta istituzionale al crescente fenomeno di
acquisizioni di terre su larga scala, in quanto non esisteva fino a quel momento nessun
documento che regolasse la questione della proprietà fondiaria a livello internazionale dal
punto di vista dei diritti umani156
. Questo strumento integra, inoltre, le disposizioni legali
internazionali per la protezione dei diritti umani con la legislazione sull´ambiente, sfere
che fino a quel momento erano sempre state tenute separate. Infatti, se si esclude il
riconoscimento del diritto alla terra e alle risorse naturali garantito ai popoli indigeni, non
si rintracciano tra gli strumenti internazionali le stesse garanzie a favore dei produttori su
piccola scala, siano essi contadini, pastori o pescatori157
. Le Linee Guida hanno, quindi il
154
http://www.csm4cfs.org/about_us-2/what_is_the_csm-1/
155
Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-
gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve
156
http://landportal.info/sites/default/files/actionaid_voluntaryguidelines_guide.pdf
157
Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-
gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve
106
merito di mettere in primo piano nelle questioni relative alla terra e alle risorse naturali, il
ruolo di determinati gruppi sociali: le donne, i popoli indigeni, i contadini, i pescatori
artigianali, i pastori158
.
Le Linee Guida non sono vincolanti dal punto di vista legale e sono soggette alla legge
dello Stato che le adotta, tra l´altro volontariamente. Dal momento che in moltissimi casi lo
Stato figura come attore coinvolto direttamente nella transazione, si comprende come
questo rappresenti un notevole limite all´implementazione effettiva. La forza di questo
strumento risiede nell´inclusività del processo decisionale che ne è stato alla base e, quindi,
nel largo consenso sul documento finale.
4.2. LA STRUTTURA
Le Linee Guida sono composte da 7 sezioni e da un totale di 26 capitoli, secondo la
seguente struttura:
Prefazione
1) Introduzione: in questa prima parte si afferma che l’obiettivo principale consiste nel
fornire strumenti per una governance della terra, delle risorse ittiche e delle foreste che
miri alla sicurezza alimentare, tenendo in considerazione le necessità e le istanze dei
gruppi marginalizzati. Legando questo testo alla Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani e alla Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni, non solo si ancora questo
documento ad una legislazione basata sui diritti umani, ma lo si rende anche rilevante
dal punto di vista legale sia a livello internazionale che nazionale, a dispetto
dell’esplicita volontarietà della sua adozione159
. Questa prima parte è divisa in due
capitoli:
1. Obiettivi
2. Natura e scopo
2) Questioni generali: oltre a ribadire l’approccio centrato sui diritti umani, in questa
seconda parte si affermano i principi fondamentali e di implementazione, come quello
di equità, di non discriminazione, di dignità umana, di parità rispetto al genere, ecc..
Viene, inoltre, promosso un tipo di approccio olistico per la gestione delle risorse 158
http://www.croceviaterra.it/index.php/home/22-in-evidenza/91-11-maggio-approvate-le-linee-guida-
volontarie-sulla-terra
159 TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
107
naturali. In questa parte, inoltre, si stabiliscono i doveri dello Stato e degli attori non
statali a rispettare, proteggere e implementare (protect, respect and fulfill) i diritti
esistenti sulla terra, sia che siano riconosciuti legalmente sia se sono consuetudinari. Da
segnalare anche il riferimento alle obbligazioni extra territoriali (ETO o Maastricht
Principles), che riguardano non solo le amministrazioni pubbliche, ma anche attori
privati. Questi principi regolano non solo le questioni meramente transfrontaliere, ma
anche gli interventi di cooperazione internazionale e le azioni da parte di compagnie
multinazionali160
. Questa parte è suddivisa nei seguenti quattro capitoli.
3. Principi guida nella governance responsabile dei regimi di proprietà
3A. Principi generali
3B. Principi di implementazione
4. Diritti e responsabilità legati ai regimi di proprietà
5. Quadri politici, legali e organizzativi legati ai regimi di proprietà
6. Fornitura di servizi
3) Riconoscimento legale e allocazione dei diritti e doveri di proprietà: questa terza parte
è di fondamentale importanza in quanto tratta la questione dei diritti consuetudinari e
della proprietà informale. La tematica è particolarmente rilevante non solo per i popoli
indigeni, ma anche per le comunità agricole dei Paesi che non hanno sviluppato un
sistema catastale e che stanno oggi assistendo all’espropriazione di terre su cui hanno
risieduto e lavorato per generazioni. I pescatori artigianali e i pastori nomadi sono altre
due categorie particolarmente affette dalla questione dell’accesso, del controllo e della
salvaguardia dei commons. Questo termine, tradotto in italiano con “beni comuni”, si
distingue sia dai beni costituiti dalla sommatoria di beni privati, sia dai beni pubblici:
infatti, mentre in questi ultimi due casi prevale la componente individualistica, nel caso
dei beni comuni l’utilizzo non avviene né in concorrenza né a prescindere, ma insieme
agli altri161
. I capitoli che compongono questa parte sono:
7. Salvaguardie
8. Terre, risorse ittiche e foreste pubbliche
9. Popoli indigeni e altre comunità con sistemi di proprietà basati sul diritto
consuetudinario
10. Proprietà informale
160
Rimandiamo al capitolo precedente per una trattazione più approfondita dei principi di Maastricht.
161
Paoloni, L. 2012 “Land Grabbing e beni comuni” in “Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni
comuni” a cura di Marella, M.R., Ombre Corte
108
4) Trasferimenti e altri cambiamenti relativi ai diritti e ai doveri nei regimi di proprietà:
questa quarta sezione rappresenta il cuore delle Linee Guida ed è stata, infatti, la parte
più controversa, che ha fatto slittare l’approvazione a Marzo, mentre questa era stata
prevista a Ottobre, in occasione della 37esima
sessione del Comitato sulla Sicurezza
Alimentare (CFS). in questa sede, e specialmente nel dibattutissimo capitolo 12, si
cerca di delineare un insieme di Linee Guida per la definizione di cosa si intende per
investimenti responsabili in agricoltura. Difficile è stato il raggiungimento di un
accordo anche nei capitoli riguardanti le politiche redistributive e le forme di
compensazione a seguito di pratiche di esproprio, permesso solo per motivi di interesse
pubblico; concetto quest’ultimo per la cui definizione si rimanda alla legislazione
nazionale. Nonostante l’ancoramento alla questione dei diritti umani sia in questa parte
meno evidente, al punto che si indica nel mercato uno strumento valido per l’attuazione
di politiche redistributive, la lettura di questa sezione alla luce dell’obiettivo principale
di questo strumento, esposto nella prima parte, implica una protezione contro fenomeni
di concentrazione e di speculazione162
. Elenchiamo di seguito i capitoli costituenti
questa quarta parte del documento.
11. Mercati
12. Investimenti
13. Consolidamento della proprietà della terra e altre misure di aggiustamento
14. Restituzione
15. Riforme redistributive
16. Espropriazione e compensazione
5) Amministrazione dei regimi di proprietà: a partire dalla constatazione che fenomeni di
accaparramento delle terre e di altre risorse naturali possano verificarsi a causa di
lacune nella legislazione e nell’ amministrazione, in questa quinta sezione si delineano
dei principi guida per l’implementazione di un più efficace sistema catastale. Una
definizione chiara dei diritti di proprietà, come abbiamo visto nel primo capitolo, non
costituisce di per sé una garanzia per i piccoli produttori per ottenere un effettivo
controllo sulla terra. Tuttavia, questa appare indispensabile, per esempio, nelle
questioni transfrontaliere: si pensi, ad esempio, alla questione dei diritti sulle acque che
bagnano più di un Paese diverso, come visto nel secondo capitolo. Inoltre, si rintraccia
162
TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
109
in un sistema fiscale efficiente e basato su tasse equamente distribuite un mezzo per
limitare le transazioni economiche a fini prevalentemente o esclusivamente
speculativi163
. I capitoli che compongono questa parte sono:
17. Registrazione dei diritti di proprietà
18. Valutazione
19. Tassazione
20. Regolazione della pianificazione territoriale
21. Risoluzione dei conflitti relativi ai diritti di proprietà
22. Questioni transfrontaliere
6) Risposte al cambiamento climatico e alle emergenze: in questa sesta parte si affrontano
due delle questioni che nel primo capitolo abbiamo indicato con centrali: la crisi
ambientale e la presenza di conflitti sul territorio. Come abbiamo visto, cambiamento
climatico e sicurezza alimentare sono inestricabilmente intrecciati, ma mentre nel
lungo periodo il primo è sicuramente condizione necessaria per la seconda, nel breve e
medio periodo il legislatore può trovarsi di fronte al dilemma di quale dei due aspetti
privilegiare in un certo contesto. In generale, tuttavia, queste Linee Guida promuovono
l’adozione di pratiche sostenibili che prevengano e mitighino gli effetti del
cambiamento climatico. Di fondamentale importanza è anche la questione relativa ai
conflitti e alla gestione delle emergenze, siano esse conseguenza di eventi naturali o
dell’azione umana. I tre capitoli che compongono questa parte sono i seguenti:
23. Cambiamento climatico
24. Disastri naturali
25. Conflitti rispetto al possesso di terre, risorse ittiche e boschive
7) Promozione, implementazione, monitoraggio e valutazione: la volontarietà di questo
strumento di diritto internazionale ne costituisce il limite maggiore
nell’implementazione e per questo non è stato possibile prevedere un organismo
internazionale di monitoraggio. Questa funzione, infatti, viene rimessa direttamente ai
governi nazionali. Si riconosce, tuttavia, al CFS il ruolo di spazio di discussione e
confronto sulle esperienze intraprese dai vari Paesi, e al suo Segretariato quello di fare
rapporto sui progressi nell’implementazione e sull’impatto delle Linee Guida a livello
internazionale, mettendo in evidenza le strade che si sono rivelate più efficaci e
163
TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
110
positive164
. Per il monitoraggio a livello nazionale sarà necessario stabilire degli
standard e dei criteri per poter valutare lo stato di avanzamento nell’applicazione di
questo documento, oltre che per identificare i casi in cui i suoi principi non vengono
rispettati. Per quanto riguarda la promozione, essa si intende non solo a livello
internazionale, per un’adozione universale di questo documento, ma anche a livello
nazionale e locale, facendolo conoscere e adottare anche nella pratica a enti e
amministrazioni locali.
4.3. ASPETTI POSITIVI
“Ci sono milioni di persone, contadini, popoli indigeni, allevatori, pescatori, che
dipendono completamente dalle risorse naturali” afferma Olivier De Schutter “ma non
sono tutelati da alcuna norma giuridica. Le direttive offrono la possibilità di colmare
questo vuoto legislativo e di possono diventare uno strumento indispensabile nel dialogo
con i governi”165
. Questo è innanzitutto il merito delle Linee Guida volontarie: iniziare un
processo legislativo che assicuri sempre maggiore protezione e garanzie ai piccoli
produttori nell´accesso alla terra e alle altre risorse naturali.
I lunghi processi di negoziazione sono stati determinati soprattutto al disaccordo su
determinati paragrafi e capitoli, specialmente quelli contenuti nella sezione 4, sui quali lo
scontro tra governi e organizzazioni della società civile si è fatto più acceso. I punti su cui
il CSM è riuscito a imporre la propria voce sono soprattutto i seguenti166
:
- Si afferma che lo scopo delle Linee Guida risiede soprattutto nello sradicamento
della povertà, con particolare attenzione ai gruppi sociali marginalizzati, e
riferimento esplicito alla Dichiarazione dei diritti umani (par 1.1)
- Si rivolgono non solo agli Stati ma anche agli attori privati, riconoscendone la
responsabilità di agire nel rispetto dei diritti umani e dei vigenti diritti di proprietà,
affidando allo Stato il compito di vigilare che tali violazioni non vengano
commesse (par 3.2, lungamente dibattuto)
- Si elencano i seguenti principi da rispettare nei processi di implementazione:
dignità umana, non discriminazione, equità e giustizia, parità rispetto al genere (in
164
TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
165
http://www.europafrica.info/it/cfs/vg
166
Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-
gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve
111
tutto il testo ci sono vari riferimenti alla questione di genere167
), approccio olistico e
sostenibile, consultazione e partecipazione (con definizione di standard da
rispettare per assicurare una reale partecipazione degli attori coinvolti), ruolo della
legge, trasparenza, responsabilità, miglioramento continuo (par 3B)168
. Il
riferimento alla consultazione è particolarmente importante visto che, fino a quel
momento, la clausola del consenso preventivo, libero e informato (free, prior and
informed consent) era uno strumento garantito esclusivamente ai popoli indigeni169
.
- Nel capitolo 4 spicca innanzitutto, una definizione di “interesse pubblico” : nel par
4.3, infatti, si afferma che le misure intraprese dallo Stato per interesse pubblico
devono essere determinate dalla legge, avere come scopo la promozione del
benessere generale, che comprende anche la protezione dell´ambiente, e essere
coerenti con gli obblighi relativi al rispetto dei diritti umani assunti dallo Stato.
- Importante è anche il paragrafo successivo (4.4), che raccomanda il riconoscimento
dei diritti di proprietà non formalizzati e della personalità giuridica a tutti i cittadini,
in modo tale da fornire tutele contro gli sfratti e gli espropri. In questa linea, il par
4.8 raccomanda il rispetto dei diritti civili e politici di tutti coloro che difendono i
diritti umani, in questo caso i diritti dei piccoli produttori, mentre il par 4.9 assicura
loro accesso alla giustizia170
.
- Si promuove un approccio olistico alla terra e alla natura, mettendo l´accento sul
significato non solo economico e ambientale, ma anche culturale e sociale che i
regimi di proprietà incorporano, specialmente nei regimi consuetudinari e
tradizionali, spingendo quindi per un loro riconoscimento (par 5.3), anche quando
si trovino su terreni definiti come pubblici (par 8.2). Sulla stessa linea, si fa
particolare riferimento ai diritti dei popoli indigeni sulle terre ancestrali,
menzionando anche la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Popoli Indigeni, e al
riconoscimento della proprietà informale (cap 10)171
. Infatti, il riconoscimento dei
167
Nei paragrafi 4.6, 5.3, 5.4, 5.5, 21.1, 25.4, 25.5.
168
http://www.ecdpm-talkingpoints.org/european-report-on-development-2012-voluntrayy-guidelines-on-
governance-of-land/
169 TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
170
http://www.ecdpm-talkingpoints.org/european-report-on-development-2012-voluntrayy-guidelines-on-
governance-of-land/ 171
Ibidem
112
diritti consuetudinari sulla terra e l’introduzione di un intero capitolo che lo
sancisce ha rappresentato un’innovazione, oltre che una vittoria per i movimenti
della società civile.
- Una delle lacune maggiori di questo documento può essere rintracciata nel fatto che
sono applicabili solo a questioni relative alla proprietà della terra o delle altre
risorse naturali, e non al suo uso e alla sua gestione. Acquisisce così particolare
rilievo il riferimento ai diritti di raccolta (gathering rights), cioè di diritti secondari
che scaturiscono dal lavoro e non dalla proprietà (par 7.1).
- Abbiamo visto nei capitoli precedenti che le varie agenzie dello sviluppo che
promuovono l´ideologia neoliberista hanno spinto finora verso una frammentazione
delle risorse naturali e per un ritiro dello Stato a favore del mercato nella loro
gestione. Per questo assume particolare rilievo l´affermazione fatta nel par 8.3 che
la terra, le risorse ittiche e i boschi appartengono collettivamente al demanio e che
da questo devono essere gestiti in maniera collettiva.
- Come abbiamo accennato, la sezione 4 è stata sicuramente la più dibattuta,
specialmente i capitoli 11 e 12, sui quali i governi hanno imposto molte restrizioni
agli strumenti di regolazione proposti dal CSM. Sono stati riconosciuti la
protezione da parte dello Stato delle comunità coinvolte in fenomeni di
concentrazione e speculazione fondiaria e che la regolazione dei mercati relativi
alla proprietà della terra dovrebbe basarsi su principi di protezione sociale,
ambientale e culturale (par 11.2). Nel capitolo 11 ha un particolare rilievo anche il
riconoscimento del ruolo centrale svolto dei piccoli produttori nel contesto della
sicurezza alimentare nazionale e, quindi, per la stabilità sociale raccomandandone
di conseguenza allo Stato la protezione nelle transazioni economiche attinenti alla
terra (par 11.8) e il sostegno negli investimenti che questi piccoli produttori fanno
sulle loro terre (12.2).
- Nel paragrafo 12.4 sono delineati alcuni principi generali per gli investimenti
responsabili: il dovere di non nuocere, la salvaguardia contro l´espropriazione
illegittima e contro i danni ambientali e il dovere di rispettare i diritti umani. Si
elencano inoltre le finalità che tali investimenti dovrebbero perseguire:
sradicamento della povertà, sicurezza alimentare, uso sostenibile delle risorse,
supporto alle comunità rurali, contributo allo sviluppo rurale, protezione e
promozione dei sistemi locali di produzione, sostegno ad uno sviluppo economico e
sociale sostenibile, creazione di opportunità di lavoro, diversificazione dei mezzi di
sussistenza, benefici a tutti i gruppi sociali del Paese. Tutto questo, deve avvenire in
113
accordo con i principi legali nazionali e internazionali, con un particolare
riferimento alle convenzioni ILO (Organizzazione Mondiale del Lavoro). In
accordo con questi principi, gli Stati nell´investire all´estero devono tenere in
considerazione i diritti legittimi di proprietà e la promozione della sicurezza
alimentare: Sofia Monsalve172
fa notare a questo proposito che una tale condotta
implicherebbe una revisione di alcune politiche relative ai bio carburanti promosse
dagli stati Uniti e dall´Unione Europea, che hanno conseguenze negative sul
raggiungimento della sicurezza alimentare nei Paesi in cui avvengono gli
investimenti (par12.5). Sulla stessa linea, si scoraggiano quegli investimenti che
comportano un trasferimento di proprietà su larga scala nelle mani degli investitori.
- Sicuramente molto importante risulta anche il capitolo 15, attinente alle politiche
redistributive nelle zone caratterizzate da un´alta concentrazione di proprietà,
raccomandando allo Stato di creare una situazione che faciliti e sostenga il lavoro
dei beneficiari di tali riforme. Va menzionato anche il capitolo 16, che elenca
alcune direttive relative agli sfratti e alle espropriazioni.
- L´amministrazione della proprietà dovrebbe tenere conto dei sistemi locali e della
gestione sostenibile del territorio, con particolare riferimento alle due questioni che
nel primo capitolo abbiamo visto come fondamentali e, spesso, antitetiche: la
sicurezza alimentare e la protezione dell´ambiente (20.5).
- Importante anche il paragrafo 22.2 che nel promuovere una gestione e una
governance delle aree transfrontaliere cita esplicitamente i pastori migranti, che tra
i piccoli produttori sono la categoria che più di ogni altra ha sofferto della creazione
di confini rigidi tra gli Stati, che hanno bloccato l´accesso ai pascoli tradizionali.
- Particolarmente difficile è stato anche il conseguimento del consenso nelle
questioni relative al cambiamento climatico. Oltre ad affermare che
l´amministrazione della proprietà deve tenere in considerazione i rischi e le
conseguenze di questo fenomeno (par 20.5), si promuove anche la partecipazione
dei piccoli produttori ai processi di negoziazione per la definizione dei principi
giuda volti alla mitigazione del cambiamento climatico (par 23.3).
- Per quanto riguarda i conflitti armati, si fa riferimento ai Principi Pinheiro173
sulla
restituzione delle terre ai profughi e ad altre convenzioni internazionali sui diritti
umani (cap. 25).
172
Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-
gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve
173
United Nations Principles on Housing and Property Restitution for Refugees and Displaced Persons
114
- Infine, nella sezione finale relativa all´implementazione, si raccomanda agli Stati di
creare piattaforme con lo scopo di monitorare e valutare l´applicazione delle Linee
Guida nel contesto nazionale e le sue conseguente in termini di sicurezza
alimentare (par 26.2), mentre a livello sovranazionale tale compito viene affidato
alla Segreteria del CFS che, insieme ad un gruppo consultivo costituito ad hoc,
deve stilare rapporti relativi ai progressi nell´attuazione delle Linee Guida.
4.4. ASPETTI NEGATIVI
“Un primo essenziale passo è stato compiuto, ma è ancora molta la strada da fare prima
che siano pienamente riconosciuti e rispettati i diritti dei popoli sulla terra, i territori di
pesca e le foreste” hanno commentato gli esponenti delle organizzazioni della società
civile all´indomani dell´approvazione delle Linee guida volontarie174
. Il testo, infatti,
presenta numerose lacune, le quali possono essere in parte colmate attraverso la lettura e
l’applicazione di questo strumento in congiunzione ad altri strumenti di rilievo
internazionale175
, che in un primo momento erano stati esplicitamente elencati in un
Annesso finale per volere delle organizzazioni della società civile, ma che è stato poi
eliminato nell’ultima fase delle negoziazioni .
Uno dei lati negati maggiori che si riscontra è la formulazione stessa, che in molti casi
risulta molto vaga e generica176
, aprendo così la strada a interpretazioni diverse. Inoltre,
non viene data una priorità assoluta ai piccoli produttori, necessaria per assicurare un tipo
di agricoltura sostenibile. Riportiamo sotto i temi che sono stati esclusi dalle Linee guida e
che, secondo le organizzazioni della società civile, costituiscono delle vere e proprie
lacune177
.
- La questione che è stata segnalata prima di tutte le altre è quella dell´acqua178
: il
tema, infatti, è solo accennato nella Prefazione, dove si mette in evidenza il legame
174
http://www.croceviaterra.it/index.php/home/22-in-evidenza/91-11-maggio-approvate-le-linee-guida-
volontarie-sulla-terra 175
TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
176
http://www.ecdpm-talkingpoints.org/european-report-on-development-2012-voluntrayy-guidelines-on-
governance-of-land/ 177
Linee guida commento di Sofia Monsalve http://www.europafrica.info/it/cfs/linee-guida-volontaria-per-la-
gestione-responsabile-della-terra-intervista-a-sofia-monsalve
178
http://www.croceviaterra.it/index.php/home/22-in-evidenza/91-11-maggio-approvate-le-linee-guida-
volontarie-sulla-terra
115
tra una governance responsabile dei regimi di proprietà relativi alle terra, alla pesca
e alle foreste e l´accesso e la gestione delle altre risorse naturali, tra cui l´acqua e le
risorse minerali. Abbiamo visto nel capitolo precedente come, invece, terra e acqua
siano due risorse inseparabili e come i fenomeni di accaparramento dell´uno sono
spinti e incidono anche sull´altra. In questo capitolo, quindi, cercheremo di
immaginare come le Linee guida possano essere applicate ai fenomeni di water
grabbing.
- Altra questione di fondamentale importanza riguarda il fatto che questo documento
mira a preservare la proprietà della terra e non è applicabile a questioni relative
all´uso e alla manipolazione delle risorse naturali. La questione del controllo della
terra, invece, come abbiamo visto nel primo capitolo, oggi è strettamente legata
all´uso che se ne fa e con quale finalità. Le transazioni economiche che non
comportano un trasferimento di proprietà ma un cambiamento della produzione o
dell´uso di una determinata coltura non risultano quindi regolate da questo
documento.
- Anche per quanto riguarda i passaggi di proprietà, non sono stati messi i limiti,
fortemente voluti dal CSM, ammettendo così i fenomeni di accaparramento delle
terre, anche se alcune limitazioni sono state inserite nel capitolo 12, le quali
possono essere utilizzate per opporre resistenza al fenomeno.
- Per quanto si siano stabiliti degli standard per la partecipazione di tutti gli attori
coinvolti ai processi decisionali, non si è riusciti a estendere il principio del
consenso preventivo, libero e informato, che viene applicato alle popolazioni
indigene, alle altre comunità.
- Nel capitolo riguardante le politiche redistributive, si è ammesso il principio che
l´allocazione della terra sia stabilita in base ai meccanismi del mercato, facendo
così perdere alla riforma qualsiasi significato in termini di sviluppo sociale.
- La generalità e vaghezza delle formulazioni, abbiamo detto, aprirà a interpretazioni
diverse: in tutto il testo, non mancano riferimenti ai quali gli attori interessati
all´applicazione di meccanismi di mercato nel sistema fondiario possano fare
riferimento.
- Nonostante il riferimento ai Principi Pinheiro, non è stato fatto esplicito riferimento
alla possibilità di ritorno alle proprie terre per le popolazioni fuggite a causa della
guerra.
116
- Non è stato riconosciuto il principio di coerenza delle politiche, che il CSM aveva
promosso e raccomandato specialmente nei confronti del gruppo Africa179
.
- Infine, non si è dato vita ad un forte meccanismo di monitoraggio delle politiche e
delle azioni dei governi, delegando il compito, come abbiamo detto, alla Segreteria
del CFS coadiuvata da un gruppo consultivo.
4.5. IL PROBLEMA DELL’ACCAPARRAMENTO DELLE RISORSE IDRICHE
NELLE LINEE GUIDA
Come abbiamo accennato sopra, le organizzazioni della società civile lamentano l´assenza
di direttive relative alle risorse idriche180
come una delle lacune più gravi nel testo,
specialmente nel contesto della crescente presa di coscienza della rilevanza dell´acqua nei
processi di accaparramento delle terre. Inoltre, la questione delle risorse ittiche è
strettamente legata alla gestione dell´acqua, in quanto, come abbiamo visto nel capitolo
precedente, una semplice analisi del ciclo dell´acqua mostra come la gestione delle risorse
idriche possa impattare sui pesci e, di conseguenza, sulla sopravvivenza dei pescatori
artigianali. Infatti, come ha affermato Rehema Bavuma, rappresentante dell´Uganda del
World Forum of Fish Harvesters & Fish Workers (WFF), “ I pescatori artigianali non
godono degli stessi diritti che gli Stati nazionali garantiscono alla pesca intensiva. Questo
crea un vuoto legislativo che va a detrimento delle comunità locali e dei pescatori
artigianali”181
. Il ciclo dell´acqua permette anche di comprendere come ogni cambiamento
sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo sui regimi idrografici impatti seriamente
sulla produzione agricola.
Lo stretto legame tra acqua e terra è stato messo in evidenza dalla FAO, che vede nel
riconoscimento dei diritti di proprietà sulla terra la strada per assicurare ai piccoli
produttori l´accesso alle risorse. Nel discorso promosso dalla FAO la terra è l´elemento
centrale, il cui accesso e utilizzo viene visto come condizione necessaria per l´accesso
all´acqua, al cibo e alle risorse energetiche. Si afferma che in questo senso le Linee guida
avranno il ruolo di creare una base comune di accordo per procedere all´implementazione,
soprattutto a livello nazionale, di questo basilare principio. Si afferma, infatti, che questo
179
Brief On Civil Society Remarks And Recommendations To 2012 Fao Regional Conferences http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/ngo/pdf/Regional_Civil_Society_Consultations.pdf
180
http://www.ecdpm-talkingpoints.org/european-report-on-development-2012-voluntrayy-guidelines-on-
governance-of-land/ 181
http://www.cidse.org/content/articles/just-food/land-land-grabbing/fao-voluntary-guidelines-on-land-
approved.html
117
documento potrà promuovere politiche relative alla gestione delle risorse idriche che siano
impattino positivamente sulle fasce più povere della popolazione182
.
Come abbiamo accennato sopra, un riferimento esplicito all´acqua viene fatto soltanto
nella prefazione, quando si dichiara l’inestricabile connessione tra la gestione della terra
con le altre risorse naturali e che gli Stati, pur sempre all´interno dei quadri legislativi
nazionali, dovrebbero tenere in considerazione questo legame nell´implementazione delle
Linee guida183
. Si rimette, quindi, nelle mani delle leggi e dei sistemi fondiari nazionali, la
regolazione dell´accesso alle risorse idriche, legando così la questione dell´accesso
all´acqua alla proprietà, sia essa formalmente registrata o determinata dalla consuetudine,
della terra su cui tale risorsa si trova. Un implicito riferimento all´acqua può essere
riscontrato sempre nella Prefazione, quando si afferma che il cambiamento climatico e la
degradazione ambientale porteranno a sempre più numerosi conflitti per l´accesso alle
risorse. Infine, sempre nella Prefazione, si esplicita il legame tra queste Linee guida e gli
Obiettivi del Millennio, tra i quali figura quello di dimezzare il numero di persone che non
hanno accesso all´acqua entro il 2015: si suppone, quindi, che il rispetto di queste Linee
Guida promuova quei fenomeni che favoriscono il raggiungimento di questo scopo e
scoraggi quelli che, invece, hanno un impatto negativo sull´accesso all´acqua delle
popolazioni coinvolte.
Nell´elencare i principi generali a cui gli Stati devono attenersi, nel par 3.1.3 si include la
promozione di regimi fondiari che assicurino il completo godimento dei diritti di
proprietà, tra cui l´accesso ai servizi connessi: in questo senso, è facile vedere l´accesso
all´acqua e agli impianti di irrigazione come compresi. Si dichiara, inoltre, che anche gli
attori privati sono soggetti al rispetto di alcuni principi basilari, primo tra tutti quello dei
diritti umani, tra i quali, come abbiamo visto nel capitolo precedente, figura anche il diritto
all´acqua. Come nel GC 15, anche in questo documento si ribadisce che gli Stati sono
tenuti ad assicurasi che le imprese che hanno sede nel loro territorio nello svolgere
transazioni sulla terra non incorrano in violazioni dei diritti umani. Inoltre, il
riconoscimento della dignità come principio di implementazione mette, ancora una volta,
l´accento sull´importanza del rispetto dei diritti umani.
182
http://www.water-energy-food.org/documents/hottopicsessions/ht10/nexus_ht10_wehrmann.pdf
183
TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
118
5. L’APPROCCIO SCIENTIFICO
Come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, il fenomeno del land grabbing è emerso
non tramite una riflessione accademica, ma attraverso un’inchiesta giornalistica, la quale
ha poi dato il via ad una serie di ricerche svolte perlopiù da ONG e movimenti della società
civile. Allo stesso modo, la spinta per la creazione di standard e basi di diritto
internazionali per la regolazione del fenomeno di accaparramento dello risorse ha nei
movimenti della società civile l’organo propulsore. Le ricerche condotte presentano un
importante elemento di novità: ad un metodo prevalentemente teorico e ideologico che
aveva caratterizzato in passato i movimenti e le organizzazioni delle società civile si
sostituisce oggi una metodologia fortemente basata su un approccio empirico.
Tra gli anni ’50 e gli anni ’70 il dibattito tra i governi, le agenzie multilaterali e le
organizzazioni della società civile si basava prevalentemente sulle diverse teorie
macroeconomiche sostenute dai diversi attori, che proponevano concezioni divergenti dello
sviluppo. Da una parte le istituzioni internazionali di stampo liberista proponevano la
cosiddetta teoria della crescita, che sosteneva quella concezione unidirezionale dello
sviluppo che abbiamo presentato sopra e che prevedeva che i Paesi in via di sviluppo
avrebbero dovuto seguire il percorso tracciato e sperimentato dai Paesi sviluppati,
attraverso la transizione da una società prevalentemente rurale a una industriale per poi
approdare alla agognata fase di maturità, caratterizzata da elevati consumi di massa. Tale
teoria prevedeva, quindi, la convergenza di tutti i Paesi verso quel benessere economico
che era stato raggiunto dai Paesi del Nord del mondo184
.
Questa teoria, criticata da tanti punti di vista, non ultimo per l’impianto etnocentrico, è
stata attaccata dai movimenti sociali a partire da un dato empirico: analizzando i tassi di
crescita dei Paesi in via di sviluppo e dei Paesi sviluppati si riscontra spesso, invece della
teorizzata convergenza, una netta divergenza. Il divario, invece di assottigliarsi, sembra
espandersi sempre più. In linea con il clima ideologico del periodo (anni ’60- ’70), i
movimenti sociali e le organizzazioni della società civile oppongono a questo approccio un
impianto teorico di stampo marxista, la teoria della dipendenza. Tale teoria vede lo
sviluppo dei Paesi ricchi come strettamente connesso e dipendente dal sottosviluppo dei
Paesi poveri, negando quindi la possibilità per questi ultimi di una crescita economica
all’interno del contesto capitalistico e dei mercati internazionali, sempre più aperti e
184
Hill Charles, W.L. 2012. “International Business. Economia e strategia internazionali: l’impresa nei
mercati globali”, Hoepli
119
interconnessi185
. Senza addentrarci troppo nelle questioni teoriche attinenti a questi due
approcci, e tralasciando gli impianti teorici alternativi ad esse che vennero proposti, ci
interessa qui ricordare come fino a pochi decenni fa il confronto tra i governi, le agenzie
internazionali e i movimenti della società civile si giocasse su un piano prevalentemente
teorico e ideologico.
In linea con l’accento messo oggi sulla conoscenza, il dibattito attuale, al contrario,
prescinde, almeno formalmente, da un impianto ideologico, e si basa su casi di studio, dati
raccolti sul campo e statistiche. L’approccio empirico proposto da Borras e Franco186
per
l’analisi dei casi di studio di land use modification presentato nel primo capitolo è un
esempio di tale andamento. Nei capitoli precedenti abbiamo visto come l’opposizione ai
fenomeni di accaparramento delle risorse si basa sulla confutazione empirica delle
posizioni sostenute da chi vede ancora negli investimenti in agricoltura su larga scala una
strada per lo sviluppo. Dati empirici hanno dimostrato che i bio-carburanti non hanno un
impatto minore sull’ambiente dei combustibili fossili, che la produzione intensiva e
monoculturale richiede più risorse di quella tradizionale, che la privatizzazione della
gestione delle risorse idriche non ne ha aumentato l’efficienza, ecc.. Analisi scientifiche
hanno dimostrato come, al contrario di quanto sostenuto dalle agenzie di sviluppo per
decenni, i metodi tradizionali utilizzati dalle popolazioni locali siano i più adatti ai vari
contesti187
. Questo non significa, però, il rifiuto delle moderne tecnologie, laddove queste
possano avere un impatto positivo in termini di riduzione dei tempi di lavoro o
dell’inquinamento, ad esempio. Quello che si promuove, però, è un accesso più
democratico a questi strumenti e alle conoscenze indispensabili188
.
Basta consultare le pubblicazioni delle organizzazioni della società civile impegnate sul
tema per riscontrare l’impegno di nello studio sul campo dei singoli casi di studio e come
la (eventuale) enunciazione di principi generali ricavati attraverso un processo induttivo.
Anche nel caso delle agenzie dello sviluppo si riscontra una maggiore tendenza a
suffragare le proprie affermazioni con dati, prevalentemente di natura statistica. Si nota,
185
Hill Charles, W.L. 2012. “International Business. Economia e strategia internazionali: l’impresa nei
mercati globali”, Hoepli
186
Borras, S. M. Jr e Franco, J. C., 2012 “ Global Land Grabbing and Trajectories of Agrarian Change: A
Preliminary Analysis” in Journal of Agrarian Change,12( 1): 34-59
187
Pimbert, M. 2006 “Transforming knowledge and ways of knowing for food sovereignty and bio- cultural
diversity”, Paper for Conference on Endogenous Development and Bio-Cultural Diversity, the interplay of
worldviews, globalisation and locality in Geneva, Switzerland, IIED
188 Ibidem
120
tuttavia, una divergenza metodologica: mentre nel caso delle organizzazioni della società
civile si riscontra un metodo prevalentemente qualitativo, gli organi istituzionali sembrano
preferire un tipo di approccio quantitativo.
Al momento non esiste una metodologia condivisa da tutte le organizzazioni della società
civile nello studio sul campo dei casi di accaparramento delle risorse. Questo,
probabilmente, dipende proprio dalla ancora scarsa riflessione accademica sul tema, che
non è approdata ad un’analisi della metodologia di ricerca. Dall’altra parte, pur se vi sono
proposte per un approccio empirico condiviso come quella di Borras e Franco,
probabilmente non è un caso che proposte di stampo metodologico emergano proprio dal
Transnational Institute, che rappresenta una rete di ricercatori accademici, definiti “scholar
activists” che si impegnano nell’analisi critica dei fenomeni globali. Lo scopo esplicito di
questo istituto è infatti quello di “fornire un supporto intellettuale ai movimenti che
combattono per un mondo più democratico, equo e sostenibile”189
.
Nonostante le divergenze, analizzando nei diversi rapporti sui casi di studio le tecniche di
rilevamento e analisi dei dati, si riscontrano numerose analogie nelle metodologie utilizzate
dalle diverse organizzazioni. Come accennato sopra, l’analisi dei singoli casi di studio si
presta ad un metodo qualitativo, basato sulle tecniche di fact finding, utilizzate nel quadro
dell’analisi sistemica. L’analisi sistemica è un approccio analitico che facilita la
comprensione di realtà complesse focalizzandosi sulle interazioni tra gli elementi che
compongono il sistema e su quelle tra il sistema e l’ambiente. Questo approccio appare
oggi più consono allo studio di realtà complesse come le comunità rurali o gli ecosistemi
del modello riduzionista, largamente utilizzato fino a pochi anni fa nello studio dei casi. Il
riduzionismo è un tipo di approccio che suddivide un oggetto di studio in più elementi e
quindi li analizza separatamente, perdendo di vista il quadro generale. Le conseguenze
deludenti, quando non negative, della rivoluzione verde, mettono in evidenza come questo
tipo di approccio, che studia situazioni molto diverse da uno stesso limitato punto di vista,
si sia rivelato inadatto in questo campo. L’analisi sistemica, invece, con la sua
impostazione olistica e multi- disciplinare, riesce a cogliere in maniera più efficace nessi e
possibili conseguenze delle varie azioni190
.
189
http://www.tni.org/page/introduction 190
Pimbert, M. 2006 “Transforming knowledge and ways of knowing for food sovereignty and bio- cultural
diversity”, Paper for Conference on Endogenous Development and Bio-Cultural Diversity, the interplay of
worldviews, globalisation and locality in Geneva, Switzerland, IIED
121
L’utilità di questo approccio per la comprensione del contesto e per il processo decisionale
è stata riconosciuta anche a livello istituzionale: la FAO, specialmente l’High Level Panel
of Experts (HLPE), si avvalsa di queste tecniche di indagine in alcune ricerche sul campo e
ha fornito linee guida per l’utilizzo di questa metodologia, proponendone l’uso ad enti e
amministrazioni191
. La metodologia proposta dalla FAO risulta in linea con quella di cui si
avvalgono molte organizzazioni della società civile192
.
5.1. LE VARIABILI RILEVANTI
Nella prima fase della ricerca è fondamentale comprendere quali informazioni attinenti al
contesto devono essere rilevate per cogliere gli aspetti più importanti in una determinata
situazione: si tratta principalmente di dati demografici (quante persone vivono in una
determinata area, la densità, dati sui fenomeni migratori, quali gruppi sociali vengono
principalmente coinvolti nella transazione commerciale, ecc.); attinenti all’ambiente (quali
sono le risorse principali presenti sul territorio, le condizioni climatiche, ecc.); storici
(quali eventi hanno segnato la cultura, la politica e l’economia della comunità locale, quali
valori e figure hanno un peso maggiore nell’immaginario collettivo).
Si passa quindi all’analisi della comunità locale. Al centro dell’analisi sistemica, abbiamo
detto, c’è lo studio delle relazioni che intercorrono tra gli elementi; così diventa
fondamentale capire i rapporti di potere e di cooperazione tra i vari gruppi sociali: tra pari,
tra i sessi, tra generazioni diverse, tra vicini, tra persone con una diversa situazione
economica, ecc.. Come unità di misura, la FAO propone il nucleo domestico (household),
che in molti Paesi in via di sviluppo appare più significativo del singolo individuo e meno
vago del concetto di “famiglia”. Con gruppo domestico si intende un aggregato che
condivide lo spazio adibito alla preparazione del cibo e che riconosce uno stesso leader,
solitamente il capofamiglia. Lo studio delle relazioni di potere è necessario per
comprendere il grado di disuguaglianza economica e sociale all’interno della comunità e
permette quindi di capire come un certo cambiamento, che sia una politica o una
transazione economica, impatterà sulla struttura sociale.
Infine, particolare attenzione deve essere prestata alla sfera sociale, economica e politico-
amministrativa. Abbiamo visto nel primo capitolo l’importanza della studio delle relazioni
di proprietà sulla terra, le risorse naturali e gli altri mezzi di produzione del cibo. La sfera
191
http://www.fao.org/docrep/Q1085E/q1085e07.htm 192
Per la mia esperienza personale, mi riferisco in particolar modo alla metodologia utilizzata da FIAN, che
ho potuto apprendere attraverso lo studio di documenti interni durante il mio periodo di tirocinio.
122
economica è, però, anche influenzata dall’eventuale presenza, efficienza e inclusività di
servizi offerti dallo Stato (sanitari, d’istruzione, ecc.). dal punto di vista amministrativo, è
importante individuare quali siano i referenti e i canali formali e informali di
amministrazione del territorio e il livello di informazione e di partecipazione effettivo dei
cittadini ai processi decisionali193
. Ovviamente, l’approfondimento di certe informazioni va
valutato in base al contesto e all’obiettivo della ricerca.
5.2. LE TECNICHE DI RACCOLTA DEI DATI
Per la raccolta di dati si utilizzano le fonti scritte presenti e le tecniche di fact finding, che
comprendono l’intervista, il questionario, la registrazione video e/o audio e l’osservazione
partecipante194
. L’analisi secondaria, ossia lo studio delle fonti scritte disponibili,
rappresenta il primo irrinunciabile passo di ogni ricerca sociologica. In questo caso, tali
dati possono essere stati prodotti da tre tipi di fonti diverse. Prima di tutto, devono essere
analizzati i documenti ufficiali, prodotti dalle amministrazioni locali e centrali: censimenti,
regimi fiscali, catasti, ove presenti, sono la principale fonte di informazioni politico-
amministrative. In secondo luogo, rappresentano un’importante fonte di informazioni le
eventuali ricerche sociologiche, etnografiche e antropologiche condotte nell’area, che
permettono di attingere a dati riguardanti la struttura sociale. Questo tipo di informazioni
possono essere ricavate anche da storici e studiosi locali, organizzazioni, enti di ricerca e
università presenti sul luogo. Tali istituzioni possono fornire anche dati in merito alle
condizioni ambientali.
Le interviste in profondità vengono preferibilmente sottoposte a informatori privilegiati,
cioè a persone che, per le conoscenze di cui sono in possesso e per i contatti che hanno,
possono fornire informazioni dettagliate, specifiche e aggiornate, integrando le fonti
scritte, i cui dati possono risultare superati e che spesso, essendo state prodotte per altri
scopi, non contengono il grado di approfondimento necessario. Gli informatori privilegiati
possono appartenere alla comunità oggetto di studio, nel qual caso sono spesso i notabili
della zona, o essere esterni ad essa, come gli scienziati sociali che hanno già svolto
un’esperienza di ricerca presso quella comunità. In entrambi i casi, difficilmente le loro
opinioni possono essere considerate rappresentative di quelle della maggioranza dei
193
http://www.fao.org/docrep/Q1085E/q1085e07.htm 194
http://systemanalysisanddesign.blogspot.it/2008/11/fact-finding-techniques.html
123
componenti della comunità e vanno sempre, quindi, riscontrate attraverso altre fonti o
strumenti di ricerca195
.
Quando possibile, una delle fonti di raccolta di informazioni più valida è senza dubbio
l’osservazione partecipante, che attraverso l’immersione del ricercatore nella comunità per
un periodo relativamente lungo, gli permette di essere considerato quasi come un membro
di questa ed ha quindi maggiori possibilità di cogliere la prospettiva locale. È sicuramente
il metodo migliore per controllare la veridicità delle informazioni raccolte, oltre che per
raccogliere dati presso comunità che non sono state studiate in precedenza. Nei casi in cui
le attività svolte dal ricercatore possano risultare intrusive, si opta per un’osservazione non
partecipante, in cui non c’è un’immersione vera e propria nella comunità. Senza
addentrarci in dettaglio nei problemi metodologici che questo tipo di approccio comporta,
per quel che attiene le ricerche svolte dalle organizzazioni della società civile i maggiori
problemi riguardano senza dubbio i lunghi tempi e i costi elevati196
.
Seguendo una metodologia qualitativa, è consigliabile evitare di sottoporre interviste
strutturate ma di avere comunque una lista di argomenti da affrontare, in modo tale da
riuscire a ricavare le informazioni necessarie dando la maggiore libertà espressiva
all’intervistato. Un minimo di strutturazione delle interviste è, comunque, necessario, per
analizzarle da un punto di vista comparativo. Per la formulazione delle domande è
necessaria un’approfondita conoscenza del contesto, dal momento che queste dovranno
fare riferimento alla cultura locale per essere comprese dalla popolazione. È spesso
difficile riuscire ad intervistare un individuo singolarmente, senza che altri si aggiungano
alla conversazione: per questo, il ricercatore può prevedere fin dall’inizio un intervista di
gruppo. Se questo può creare problemi in termini di rappresentatività, spesso permette di
confrontare direttamente le informazioni fornite dai diversi membri, verificandole e
confutandole. È importante che le interviste e i questionari non rappresentino l’unico
metodo di raccolta dei dati, ma siano sempre affiancati dall’osservazione diretta dei
fenomeni oggetto di studio. In generale, in qualsiasi tipo di ricerca sociologica la
combinazioni più metodi di ricerca permette di ovviare, per quanto limitatamente, alle
distorsioni che le singole tecniche comportano.
195
http://www.fao.org/docrep/Q1085E/q1085e07.htm 196
Ibidem
124
5.3 I DATI AGGREGATI
Le organizzazioni non governative impegnate nella cooperazione internazionale si
avvalgono delle metodologie sopra descritte per raccogliere le informazioni sui singoli
contesti e per pianificare e implementare i loro progetti di intervento. Spesso, come nel
caso di FIAN, il loro aiuto viene sollecitato dalle organizzazioni contadine che, di fronte a
fenomeni di accaparramento delle loro risorse, si rivolgono a ONG di livello
internazionale. In base alla gravità della situazione, oltre ad una serie di questioni di ordine
tecnico, si decide che tipo di intervento mettere in atto. Una volta che un’organizzazione
sociale adotta un caso, quindi, conduce tutta una serie di ricerche, secondo modalità affini
a quelle descritte, per intervenire. In questo modo molte ONG si sono trovate in possesso
di un vastissimo numero di casi di accaparramento di risorse naturali e, grazie anche alla
promozione di forme di collaborazione sempre più strette tra le diverse organizzazioni, si è
dato vita a portali che raccolgono questi dati in forma aggregata. Oltre all’utilità tecnica,
queste piattaforme permettono di avere un’idea del fenomeno generale, sia dando la
possibilità di fare ricerche trasversali per capire, ad esempio, quali sono i Paesi o le zone
maggiormente interessate dal fenomeno del land grabbing o la provenienza dei principali
investitori, sia di avere una panoramica generale dell’estensione del fenomeno. Questi
portali, spesso corredati di immagini grafiche, permettono anche ai non addetti al mestiere
di farsi un’idea sulle proporzioni del fenomeno.
La prima raccolta dei casi di studio è stata fatta da GRAIN nel 2008, come annesso del loro
primo rapporto “Seized! The 2008 land grab for food and financial security” , che ha dato
l’avvio alla ricerca sul tema. Questo annesso consisteva in una mappatura che
comprendeva circa un centinaio di casi di acquisizioni o affitto di terre su larga scala
mettendo in luce il Paese investitore, il soggetto investitore, il Paese target, il tipo di
produzione prevista e i dettagli della transazione.
Figura 1 Esempio estratto dall’annesso al rapporto “Seized! The 2008 land grab for food and financial
security”
125
Seguendo questa linea, GRAIN ha in seguito dato vita al blog “Food crisis and the global
land grab” che è poi diventato il portale www.farmlandgrab.org, che viene aggiornato
quotidianamente. Anche se la gestione del portale viene fatta da GRAIN,
farmlandgrab.org è un progetto aperto, dove chiunque può rendere noti casi di
accaparramento di risorse e commentare quelli pubblicati. Lo scopo dichiarato di questo
portale è proprio quello di rendere nota l’estensione del fenomeno e le sue caratteristiche
principali. Rispetto alla prima mappatura del 2008, le informazioni ritenute rilevanti e
inserite nel portale sono aumentate, includendo anche il settore a cui appartiene il soggetto
investitore (finanza, settore energetico, edilizia, governi, agribusiness, industria, ecc.),
l’ammontare approssimativo dei capitali investiti e lo status della transazione (se, cioè, è
già stata conclusa o se le negoziazioni sono ancora in corso, oltre ai casi in cui si la
transazione è stata sospesa).
L’esempio di GRAIN è stato seguito da IFPRI (International Food Policy Research
Institute), istituzione facente parte del CGIAR (Consultative Group on International
Agricultural Research), che nel 2009 ha pubblicato il rapporto “Land Grabbing by Foreign
Investors in Developing Countries: Risks and Opportunities”197
allegandovi una tabella
che riassumeva gli investimenti su larga scala in agricoltura riportati dai mezzi di
comunicazione. In questo caso quindi, si opera una prima raccolta di dati da varie fonti,
specialmente locali, per avere una panoramica delle dimensioni del fenomeno.
Su questa linea nasce il portale landportal.info che raccoglie informazioni riguardanti la
terra da organizzazioni della società civile, istituzioni accademiche e governative nazionali
e internazionali. Al suo interno è stata creata un database, denominato Land Matrix198
, che
raccoglie i casi di accaparramento delle terre, che possono essere inserite dai vari utenti. I
dati inseriti vengono poi trasmessi alle autorità locali competenti, che hanno così la
possibilità di verificare le informazioni. Tramite un codice, viene indicata anche
l’affidabilità delle informazioni. Lo scopo principale è quello di promuovere una maggiore
trasparenza e responsabilità (accountability) nelle politiche e nelle transazioni economiche
riguardanti la terra. Un punto di questa piattaforma è dato dal fatto di comprendere anche
casi di modificazione dell’uso e nel controllo della terra senza che vi siano trasferimenti di
proprietà registrati ufficialmente: esiste, infatti, anche una sezione che registra i contract
197
Von Braun, J. and R. Meinzen-Dick. 2009 “Land Grabbing by Foreign Investors in Developing
Countries: Risks and Opportunities” IFPRI
198
http://landportal.info/landmatrix
126
farming, denunciati soprattutto dai singoli produttori coinvolti o dalle organizzazioni che li
rappresentano a livello locale. Un altro vantaggio consiste nella visualizzazione grafica che
permette sia di avere una panoramica generale esaustiva del fenomeno, sia di poter
analizzare dettagliatamente ogni singolo caso di studio. Attraverso tre interfacce grafiche
interattive si ha la possibilità di cogliere il fenomeno da punti di vista diversi.
6. I MOVIMENTI COME BASE DEL DIRITTO E DELLA DISCIPLINA
ACCADEMICA SUL TEMA
Le Linee Guida sulla terra approvato lo scorso Marzo possono essere considerate il più
recente risultato di decenni di lotte portate avanti da movimenti rappresentanti varie
categorie di produttori di cibo su piccola scala. Movimenti e associazioni che si fanno
portavoce delle istanze dei produttori agricoli senza terra, delle donne rurali, dei pastori
nomadi, dei pescatori artigianali, dei popoli indigeni e di atre categorie marginalizzate si
sono uniti nella richiesta di nuovi strumenti legislativi che si oppongano ai processi
dominanti di concentrazione della terra e promuovano, invece, un democratico accesso alla
terra e alle risorse naturali. Come affermano Borras e Franco nella loro analisi sullo scopo
e la futura implementazione delle Linee Guida199
, questo strumento nasce con l’obiettivo di
costituire una base di principi fondamentali su cui basare la legislazione nazionale attinente
alla regolazione delle questioni di controllo e proprietà delle terra e delle acque e delle
relative risorse. Come abbiamo visto, il merito di questo strumento consiste nel basarsi, a
sua volta, sui diritti umani, che vengono in questo modo a sottendere le norme relative alla
produzione di cibo: il diritto alla terra diventa, in questo modo, un diritto fondamentale e
inalienabile. Se si considera anche il legame che questo documento ha con la Dichiarazione
dei Diritti dei Popoli Indigeni, si comprende come, nonostante le critiche mosse sopra al
documento finale, l’apporto della società civile a uno strumento legislativo internazionale
può essere considerata senza precedenti.
I movimenti sociali non si sono limitati a promuovere la stesura di un simile documento
ma, come abbiamo visto, hanno attivamente preso parte ai processi consultivi e alle
negoziazioni secondo la spirito dell’ ICAARD200
. La legittimazione di questo documento
viene soprattutto da questa inclusività e si pensa all’applicazione di questo modello di
199
TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
200
International Conference on Agrarian Reform and Rural Development.
127
ampia partecipazione in tutti i processi consultivi in seno alle Nazioni Unite. La
partecipazione allargata, inoltre, dovrebbe diventare un modello anche a livello nazionale e
locale: al momento della stesura di leggi e di norme amministrative, organizzazioni della
società civile e rappresentanti le categorie di attori interessati dovrebbero prendere parte
alle discussioni.
Data l’esplicita volontarietà di questo strumento, appare compito delle organizzazioni della
società civile presenti sul territorio quello di promuoverle, controllarne la rigorosa
applicazione e di verificare gli impatti della sua implementazione a livello locale e
nazionale, nonostante ufficialmente questo sia riservato allo Stato e alle agenzie
multilaterali competenti, come FAO e IFAD201
. Allo stesso tempo, si comprende come nei
movimenti di rappresentanza dei piccoli produttori operanti a livello internazionale risieda
il compito di promuovere, estendere e rinforzare le Linee Guida, evitando che questo
documento, dopo l’entusiasmo iniziale, venga accantonato.
Le organizzazioni della società civile hanno avuto un ruolo di primo piano nella stesura di
questo documento e uno altrettanto significativo avranno nella sua implementazione. Per
questa ragione appare chiara l’importanza di promuovere e rinforzare i movimenti sociali
in quelle aree in cui questi abbiano scarsa esperienza e riconoscimento, o dove non
esistano affatto. Questo si riscontra principalmente nei Paesi in via di sviluppo i quali, più
degli altri, sono coinvolti in pratiche di accaparramento delle risorse naturali ai danni dei
piccoli produttori di cibo che ne minano gravemente la sicurezza alimentare. Formazioni e
scambi di esperienze per la costituzione di capacity-building dovrebbero essere
organizzate, prima di tutto, dallo Stato, ma nei casi in cui non si riscontri tale possibilità o
volontà, movimenti e organizzazioni con una maggiore esperienza e una posizione
consolidata a livello internazionale posso intervenire in via sostitutiva.
La mobilitazione civile e la creazione di organizzazioni tese alla promozione e alla difesa
della sovranità alimentare rappresentano una nuova via di democratizzazione. Il concetto di
diritto al cibo e di sovranità alimentare si legano ad un tipo attivo e partecipativo di
cittadinanza202
. Via Campesina, infatti, definisce la sovranità alimentare come “il diritto
201
TNI, FIAN, IGO, FDCL. 2012 “Guidelines to secure people access to land. Overview of the new
‘Voluntary Guidelines on the responsible governance of tenure of land, fisheries and forest in the context of
national food security’. The potential challenges of implementation” Hands off the Land Alliance
202
Pimbert, M. 2006 “Transforming knowledge and ways of knowing for food sovereignty and bio- cultural
diversity”, Paper for Conference on Endogenous Development and Bio-Cultural Diversity, the interplay of
worldviews, globalisation and locality in Geneva, Switzerland, IIED
128
delle persone a scegliere il cibo e il tipo di produzione agricola, a proteggere e regolare la
produzione agricola e il mercato domestico per il perseguimento di obiettivi di sviluppo
sostenibile, a determinare in che misura vogliano essere autosufficienti, a limitare il
dumping dei prodotti stranieri sul mercato interno e ad assicurare alle comunità locali che
fondano la propria sussistenza sulla pesca la priorità nell’accesso e nell’uso delle risorse
acquatiche”.203
203
www.viacampesina.org
129
CONCLUSIONI
Le Linee Guida volontarie sulla gestione responsabile delle terre, dei territori di pesca e
delle foreste, come abbiamo visto, sono il prodotto di uno sforzo congiunto dei movimenti
e delle organizzazioni della società civile per creare un quadro di direttive legali a livello
internazionale tale da inquadrare il tema dell’accaparramento delle risorse naturali e del
sequestro del diritto a produrre da due prospettive principali: la sicurezza alimentare e lo
sviluppo sostenibile. Il tentativo, quindi, è quello di fornire strumenti per contrastare tanto
la crisi alimentare quanto quella ambientale, che abbiamo visto richiedere spesso strategie
antitetiche. Dalla ratifica ad oggi, questo documento ha ricevuto un riconoscimento
internazionale, entrando anche nell’agenda di incontri come il G8 e il G20; tuttavia, il suo
reale valore dipenderà dalla sua effettiva implementazione.
Su questa linea, il 4 e 5 Ottobre si è tenuto presso la FAO un incontro tecnico
sull’implementazione delle Linee Guida. Durante tale incontro è stato proposto e approvato
un programma di implementazione204
di questo documento secondo i suoi principi cardine:
non discriminazione, equità, giustizia sociale, sostenibilità, approccio olistico alle risorse
naturali, partecipazione, trasparenza. Il programma mira soprattutto a creare dei quadri
legislativi nazionali che si occupino della gestione delle risorse naturali, con particolare
riguardo alla protezione delle categorie sociali più vulnerabili e marginalizzate. Questo
programma si compone di cinque aree tematiche principali: il supporto e l’assistenza da
parte della FAO a quei Paesi che ne facciano richiesta (support to countries), la
sensibilizzazione della popolazione sul tema e sui principi stabiliti nelle Linee Guida
(awareness raising), lo sviluppo di capacità e strumenti di assistenza (capacity
development), la creazione di strumenti di monitoraggio e valutazione (monitoring and
evaluation) , la promozione di collaborazioni (partnerships).
Tra i temi stabiliti all’interno dell’area di capacity development si trova anche la gestione
delle risorse idriche. Mentre, come abbiamo visto, all’interno del documento la questione
dell’acqua rappresenta una delle lacune principali, nella premessa si afferma che questa
potrà essere analizzata proprio in sede di implementazione. Il programma stabilisce anche
la possibilità di stanziare fondi per progetti sostenibili che mirino al rafforzamento della
sicurezza alimentare seguendo i principi delle Linee Guida elencati sopra. Tali fondi sono
di entità minore rispetto a quelli stanziati da altre istituzioni finanziarie multilaterali e
saranno quindi diretti a progetti di impatto perlopiù locale. Un organo, denominato
204
http://www.fao.org/fileadmin/user_upload/nr/land_tenure/pdf/October_4-
5_Meeting_Concept_Note__Updated_Final_Draft.pdf
130
Governance Body, è stato istituito con il compito di promuovere questo programma e di
costituire un canale tra la FAO e gli attori coinvolti nella sua implementazione. È stato,
inoltre, stabilito che a cadenza annuale verrà organizzato un forum per la discussione dei
progressi fatti nell’implementazione del programma e delle Linee Guida, oltre che per
stabilire nuove strategie, nel quadro di un approccio dinamico che miri ad un progresso
continuo e ad un adattamento ai fenomeni che emergono nel tempo.
Per quanto riguarda il settore monitoraggio e valutazione, la FAO sta lavorando a fianco
della società civile per approntare nuovi strumenti e indicatori che permettano di analizzare
le iniziative intraprese nei diversi contesti sulla base dei criteri e dei principi fondamentali
stabiliti nelle Linee Guida. Come messo in luce nel rapporto stilato da FIAN, monitorare
l’implementazione di un programma significa stabilire alcuni punti principali: l’oggetto di
studio, l’obiettivo dell’analisi, il soggetto che deve svolgere tale compito, a chi sono rivolte
tali informazioni, la metodologia da utilizzare e il livello territoriale (locale, nazionale,
regionale, mondiale) da prendere in considerazione. Tale monitoraggio viene applicato a
due aree principali: i sistemi di governance sulla terra e sulle altre risorse naturali e analisi
specifiche sulle risorse stesse. Questi due aspetti rimangono spesso molto separati: agenzie
specialistiche conducono analisi tecniche delle risorse naturali per un pubblico
essenzialmente di specialisti, mentre la questione delle politiche e della governance viene
dibattuta a livello locale, nazionale e internazionale. Seguendo l’approccio olistico che le
organizzazioni della società civile promuovono nell’affrontare le questioni relative alle
risorse naturali, si promuove una maggiore integrazione e collaborazione tra questi due
aspetti del monitoraggio.
In questo rapporto, inoltre, una particolare attenzione viene data alla questione della
metodologia utilizzata per la raccolta dati. Questo conferma quanto esposto nel terzo
capitolo, sull’importanza, oggi riconosciuta sia dalle organizzazioni della società civile, sia
dalle agenzie multilaterali sia dalle amministrazioni locali e nazionali, alla conoscenza
quanto più oggettiva e scientifica possibile del territorio e delle sue dinamiche. Si mette in
luce, inoltre, come le organizzazioni della società civile e i movimenti prediligano un
approccio di tipo qualitativo, mentre le istituzioni tendano a privilegiare dati statistici
raccolti con metodi quantitativi.
Nel primo capitolo abbiamo proposto una serie di variabili da tenere in considerazione
nello studio dei singoli casi, tra le quali l’eventuale utilizzo di mezzi violenti. Il rapporto
sulle tecniche di monitoraggio si concentra su questo aspetto, suggerendo una
131
classificazione del tipo di conflitto violento a partire dalla motivazione principale che ne è
alla base (accesso alla terra, alle risorse idriche, sulla questione del lavoro, ecc.) o dal
gruppo sociale coinvolto (lavoratori, popoli indigeni, contadini, pescatori, ecc.).
Il rapporto fa anche riferimento a quegli stessi portali presentati nelle pagine precedenti
che riportano i casi di accaparramento delle risorse naturali: queste piattaforme possono,
infatti, costituire un valido strumento per il monitoraggio dello stato di implementazione
delle Linee Guida. In generale, in questo rapporto le organizzazioni della società civile, più
che creare ex novo strumenti e tecniche di monitoraggio fanno riferimento agli esempi
positivi già esistenti, che spesso operano a livello locale e nazionale, mettendo in luce quali
aspetti risultano particolarmente efficaci. Lo stesso vale anche per la valutazione dei
sistemi di governance. Il monitoraggio, infatti, non riguarda soltanto le transazioni
economiche riguardanti le risorse naturali, ma anche le politiche attuate dai governi
centrali e dalla amministrazioni locali per applicare praticamente i principi delle Linee
Guida.
A partire, quindi, dalle tecniche e dagli indicatori utilizzati dalle istituzioni e dalle
organizzazioni della società civile competenti, si propongono alcuni principi e strumenti. si
mette, innanzitutto, l’accento sulla valutazione delle politiche e sulle conseguenze effettive
che i diversi sistemi di governance hanno sulla popolazione locale. Si dichiara
l’importanza di favorire la partecipazione degli attori coinvolti ai processi di monitoraggio,
oltre che di rendere i risultati di quest’ultimo pubblici, in modo da promuovere un dibattito
a livello locale e nazionale tale da informare tutti i cittadini sui loro diritti e sui
provvedimenti intrapresi dalle amministrazioni. Per quanto riguarda la metodologia, si
prediligono tecniche qualitative e lo studio di singoli casi, i quali verranno in un secondo
momento aggregati in modo da fornire un quadro generale completo. Dato che il
monitoraggio viene svolto principalmente da organizzazioni della società civile a livello
locale, è importante costruire reti e canali di comunicazioni che permettano di aggregare i
dati raccolti a livello nazionale, regionale e globale.
In linea con l’approccio basato sui diritti umani che abbiamo visto essere fortemente
sostenuto dalla organizzazioni della società civile, il rapporto raccomanda che il
monitoraggio e la valutazione delle politiche e delle transazioni concernenti la terra e le
altre risorse naturali tengano in considerazione non solo i principi espressi nelle Linee
Guida ma anche, e soprattutto, i diritti umani e gli obblighi che questi comportano.
132
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