SE TU CONOSCESSI IL DONO DI DIO
Gesù e la Samaritana
PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA
OPERA DON GUANELLA – BARI
Ritiro di Avvento
Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di
Dio e chi è co lui che ti dice: “Dammi da
bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti
avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10).
Gesù sembra servirsi di un gioco di parole: «Se tu
conoscessi il dono di Dio». Questa esclamazione
appare anche un po’ ingenua e
ancor di più ciò che aggiunge su bito
dopo. «Se tu sapessi cosa Dio vuole darti, se tu
sa pessi chi sono io che ti chiedo da bere, scommetto che non sarei io a chiedertela, ma
saresti tu stessa a chieder mi
quest’acqua viva!».
Ancora una volta, l’evangelista
Giovanni sottolinea l’incapacità
dell’interlocutore, in questo caso la Samaritana, di
entrare immediatamente
nella profondità del messaggio che Gesù lancia: «Non sei tu
che puoi dare acqua da bere a me, non
sei in grado di offrirmi acqua da
bere, ma sono io che posso darti l’acqua
viva».
«Se tu conoscessi» esprime quasi la giustificazione da parte di Gesù nei confronti della Samaritana. Gesù ri conosce che questa donna è impossibilitata a compren dere che cosa le sta offrendo,
forse per la sua esperienza di vita, per il suo passato, per il contesto in cui vive, per l’essere appartenente ad un popolo che
effettivamente, nella professione di fede, vive la dimensione dell’eresia.
Gesù non condanna questa donna dicendole: «Non hai capito niente». Potremmo dire che nei suoi confronti si mette in un atteggiamento di scusa,
quasi la giustifica: «Se tu conoscessi, se tu potessi conoscere...
La tua pro fessione di fede, la tua
esperienza di vita ti portano ad una
conoscenza limitata che ti preclude
orizzonti più va sti. Se tu avessi la
possibilità di aprirti ad orizzonti più
ampi, comprenderesti la
verità nella sua portata reale».
Gli esegeti hanno cercato di capire a che cosa po tesse riferirsi Gesù quando parlava del «dono di Dio», perché è un’espressione piuttosto generica. Quale è questo dono di Dio che la Samaritana non conosce?
Probabilmente, la Parola di Dio; infatti i
samaritani considerano della Bibbia solo i primi
cinque libri di Mosè, il Pentateuco, tutto il
resto non conta, soprattut to i Profeti.
Pertanto, Gesù poteva riferirsi alla verità della Parola di Dio, al dono dello Spirito Santo e que sto
potrebbe aver senso se riferito a quanto dice dopo, l’acqua viva.
Tutto sommato, a noi non interessa tanto sapere in che cosa consiste il dono di Dio,
quanto piuttosto rico noscere che l’atteggiamento proprio del
credente nei confronti di Dio deve essere quello di colui che si sen te
destinatario di un dono fatto da una persona che lo ma.
Un Dio “giudice” che valuta il mio operato o un Dio “legislatore”, che dà disposizioni per la mia con dotta, sarà
sempre un Dio “lontano”, un Dio del rito e del sacrificio.
Invece, la dimensione nella quale Gesù vuole far entrare la Samaritana, e noi con la Samaritana, e pro prio quella di un Dio
che si rivela come Padre. Facen dolo conoscere agli
apostoli, Gesù ha insegnato loro la
preghiera del Padre Nostro, che, se ci
pensiamo, ci mette nella dimensione di destinatari
del dono di Dio Padre. Ecco, la fede della
Samaritana non è questa.
Affermando: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”», Gesù fa ri ferimento alla rivelazione di se
stesso come il Messia e sarà più esplicito al termine del dialogo con la Sama ritana.
Nei nostri confronti Gesù si mette
nell’atteggiamento di colui che ha bisogno, della persona che ha
se te e chiede da bere, del povero che
ha bisogno della nostra acqua. C’è un altro momento in cui Gesù chiede da bere
ed è il momento della croce, quando al termi ne della sua
esistenza, dice ancora una volta:
«Ho se te!».
E se il Vangelo riferisce questa frase di Gesù, non è per sottolineare semplicemente la
sofferenza fisica ar rivata al punto massimo da far sentire il bisogno di chiedere ai suoi
crocifissori dell’acqua. Non è certo questo il significato!
Questa espressione di Gesù è sempre stata inter pretata come «Ho sete di fare la volontà del Signore», «Ho sete di anime», «Ho sete di amore». Nella cappel
la, accanto al crocifisso, la Beata Madre Teresa di Calcutta vole va questa frase di Gesù «Ho sete», per
evocare la sete di fare la volontà di Dio nel riconoscere il Cristo nei più poveri dei poveri che deve
caratterizzare l’agire delle Missionarie della Carità.
È per questo che nel Vangelo è riferita questa espressione di Gesù, strettamente collegata con la richiesta al pozzo di Sicar: «Dam mi da bere».
È una sete che va al di là del bisogno fisiologico da parte di Gesù, è sete di entrare nella vita della Samaritana, come nella vita di ogni uomo, di ogni
donna, per dare l’acqua vera. Infatti, «se tu stessa gliene
avessi chiesto, egli ti avrebbe dato acqua viva».
Colui che non aveva nulla per attingere a questo pozzo, addirittura le avrebbe dato acqua viva. Allora è chiaro che la richie
sta di Gesù parte dalla necessità materiale, ma si eleva ad una dimensione soprannaturale.
E quale può essere per noi
oggi il significato di
questo versetto? Nella
nostra meditazione personale
possiamo por ci varie domande.
Nel mio rapporto di fede mi sento veramente il
destinatario del dono che è Gesù, di Colui che si fa
dono, della vita, di se stesso giorno per giorno? L’ha fatto nel momento della mia nascita, lo fa continuamente, lo fa rà nel momento in cui mi
chiamerà alla vita eterna. Il rapporto che io vivo con
Dio è di questo tipo?
Conosco veramente Dio come colui che dona? Sento che lui ha sete di me, cioè non mi affida al caso, ma mi insegue attraverso le vicende della
vita, attraver so il mio vissuto?
Quello che sto vivendo rientra o
per lo meno riesco a leggerlo come
l’inseguirmi di Dio, un Dio che mi
chiede continuamente:
«Dammi da bere!» per entrare in me e darmi l’acqua viva,
quell’acqua vi va che è il significato pieno
dell’esistenza?
Il significato pieno dell’esistenza si può avere solo quando la creatura si riconosce in un rapporto armoni co e autentico con il suo
Creatore. Fin quando non rie sce a trovare questa armonia con il suo Creatore, cerca altra
acqua, si ferma ad altri pozzi, non vive in sé que sto rapporto con l’acqua viva e non
diventa, a sua vol ta, sorgente d’acqua viva.
Possiamo anche chiederci quale è la conoscenza che io ho di Dio e quale è il rapporto che lo
ho con Lui? Mi sento inseguito da Lui e, soprattutto, la mia vita di fede
mi dà la dimensione della
gioia che in questo caso viene
espressa dall’acqua viva?
Se la nostra esperienza di
fede non è l’esperienza dell’assetato, che rapportandosi a Dio trova la gioia della sorgente dell’acqua fresca, dell’acqua viva, allora siamo ancora lontani dalla fede. Siamo un po’ come la Samaritana, che chiede a Gesù dell’acqua, ma non sa ancora cosa significhi attingere alla sorgente d’acqua viva.
La nostra esperienza di
fede è l’esperienza
dell’as setato, che ha
trovato la fonte di
acqua fresca per il suo cammino?
Ci sentiamo destinatari di un dono, del dono della vita, dell’amicizia reciproca, di fare un passo avanti nel nostro cammino di fede?
Ripetiamo a noi stessi: «Se tu
conoscessi il dono», per poterlo scoprire
presente nelle esperienze
ordinarie della giornata, attraverso la vita quotidiana, nelle piccole cose di ogni giorno, che non saranno mai né scontate né banali.
Nel colloquio con la Samaritana, Gesù stesso si of fre per essere riconosciuto come dono. Egli è il Figlio di Dio donato agli uomini. E Gesù, donato dal Padre, a
sua volta si dona.
Mentre per i giudei, il dono di Dio è la legge di
Mosé, per Giovanni, il dono
di Dio per eccellenza è Gesù. È lui la
sorgente da cui proviene l’acqua di vita. Il Cri sto che dà l’acqua benefica che
spegne la sete, è imma gine
eloquente della salvezza finale.
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