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Anno IV - Giugno 2011.Chiuso in redazione il 30 maggio 2011.
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Francesco Martinelli p. 15Abbandonati gli studi di Giurisprudenza decide di vocarsi all’arte. Dirige la Scuola delle Arti della Comuni-cazione ed è attore e regista del Teatro delle Molliche. Si è diplomato attore e specializzato in regia lirica. Ha scritto numerosi testi teatrali tutti rappresentati. Da 12 anni si dedica alla pedagogia teatrale nelle Scuole. E’ maestro perché ha fede.
La corrispondenza p. 16
Lucia Lazzeri p. 07Musicronista o musicista cronica, pianista e cantante, di teatro simpatizzante, curiosa e stravagante. Pre-caria insegnante ed artista errante.. E’ diplomata in Pianoforte, Canto, Didattica generale e del Pianoforte, laureata in Pianoforte indirizzo maestro di sala e palcoscenico e Canto ramo concertistico. Ha vinto nume-rosi concorsi internazionali e nazionali ed eseguito in I assoluta brani inediti in Italia e all’estero. Collabora con Lucio Dosso con il quale si è costituita in duo Canto e Chitarra. Affianca all’attività concertistica quella didattica, insegnando canto e pianoforte nelle scuole di Carrara, Massa e La Spezia.
Alessandro De Benedittis p. 13Dopo aver conseguito la maturità classica è studente di Lingue e Letterature straniere presso l’università di Bari. Si dedica all’arte non per ambizione o per noia, ma perché crede che solo quando ama, l’uomo possa aspirare alla bellezza.
Michele Pinto p. 11Laureato in giurisprudenza con una tesi sulla liberta’ d’espressione e la censura cinematografica e opera da 10 anni nel campo delle produzioni multimediali. Ha insegnato didattica dell’immagine in decine di scuole, collaborando visivamente a teatro passando attraverso il genere documentaristico, la musicarte-rapia e l’attivita’ di videojoker in discoteca continua la sua originale sperimentazione artistica.
Gruppo Operativo
Alessandro De Benedittis, Danilo MacinaFrancesco Martinelli
Graziani Arti Grafiche S.r.l.S.P. 231 km. 31,600 - 70033 Corato (Ba)www.graziani.it
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In copertina:
Alessandra Mazzilli p. 12Studentessa di lingue e letteratura straniera. Curiosa osservatrice e appassionata di arte, si è talvolta messa alla prova anche nella musica e nella pittura. Ha provato a meglio definirsi ma in fin dei conti si è rivelata un’incognita anche per se stessa. E in fondo le piace così.
Dario Aggioli p. 04Nato a Roma il 19 dicembre 1977, è laureato in Arti e Scienze dello Spettacolo. Allievo di Cathy Marchand, Enrique Vargas e Claudio De Maglio. Assistente in Italia e allievo di Jean-Paul Denizon, attore e aiuto-regista storico di Peter Brook. Dal 2000 è autore e regista del Teatro Forsennato che basa il proprio lavoro sull’improvvisazione su canovaccio. Ha ricevuto il “Premio Carola Fornasini per il Percorso Formativo” per il Laboratorio Teatrale Integrato presso l’Istituto D’arte Roma 2. Per le Edizioni Ubusettete, ha pubblica-to il libro di estetica teatrale Autore chi guarda - 500 domande sul teatro.
Chi Mente?Danilo Macina
Annika Strøhm p. 05Attrice e regista norvegese. Vive e lavora in Italia da 9 anni. Si è diplomata alla Nordic Theatre Academy del Prof. Jurij Alschitz e con lui ha lavorato in diversi spettacoli. Tra gli altri ha studiato/lavorato con J.P. Dénizon, A. Milenin, G. Borgia, G. Sneltvedt, T. Ludovico.Nel 2007 ha fondato l’associazione culturale Areté Ensemble insieme a Saba Salvemini.
Gino Moselli p. 08Il contributo poetico di un signore incontrato per caso.
Progetto grafico ed impaginazione
Danilo Macina
Massimo Betti Merlin e Lorena Senestro p. 01Era il 27 di dicembre, nel pieno del sopore natalizio, io stavo alla porta e Lorena andava in scena per la prima volta; vestiva i panni di diversi personaggi e introduceva numeri che non arrivavano mai perché, dei pochi artisti che avevano accettato di andare sul palco senza compenso, la gran parte erano ammalati. Sembrava un presagio negativo! Ma grazie al volantinaggio dei giorni precedenti e all’ingresso libero, assisteva un pubblico di 25 curiosi, perlopiù sconosciuti. Per noi era un successo e siamo andati avanti, nonostante tutto.
Valeria Ines Valentina Tamborra p. 10Allieva attrice della Scuola delle Arti della Comunicazione. Completati gli studi classici, è laureanda in Psicologia presso l’Università degli Studi di Bari. Appassionata di fotografia e grafica ha realizzato diverse mostre in cui, attraverso i propri lavori ha espresso fortemente la sua concezione programmatica di arte come atto intellettuale e concettuale che poco ha a che vedere con la spontaneità selvatica. Ogni sua pro-duzione creativa nasce dall’intento di sperimentare le linee di confine e le zone d’ombra della condizione umana in ogni sua estrema forma.
Alessia Vangi p. 09Laureata in lettere presso l’Università degli studi di Bari, curriculum “Cultura letteraria dell’età moderna e contemporanea”. Aspirazioni: fare del teatro il mio mestiere in qualunque forma o manifestazione: “ESSERCI”.
Emma Viviana Malerba p. 06Frequenta il secondo anno presso il Liceo Linguistico di Terlizzi. Fin troppo riflessiva, amante della danza, della scrittura e dei differenti usi e costumi del mondo, che vorrebbe visitare interamente. Ha sfiorato ap-pena la magia del teatro attraverso laboratori scolastici a scuola, ma vorrebbe avere il tempo di scrutare attentamente questo fantastico mondo.
Lavinia Capogna p. 04Frequenta l’ultimo anno del Liceo Scientifico. Crede nella Scienza priva di immediata concretezza. Spegne la luce per vedere le stelle.
Luana Lamparelli p. 02Dottoressa in Scienze dell’Educazione, Educatrice Professionale esperta in disturbi comportamentali e psichici. Opera sul territorio della provincia di Bari.
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Il confronto a spettacolo finito che all’ini-
zio ci spaventava perché memori della
logica ormai logora del forum, legato ad
un epoca e a una cultura che va rinnovata.
Invece è stato molto stimolante scoprire le
perplessità e le proposte del pubblico sul
nostro lavoro. Un’esperienza decisamente
educativa per i teatranti, perché ti obbliga
a riflettere sulla fruibilità dello spettacolo e
sull’importanza della comunicazione con
il pubblico. In quest’occasione Lorena ha
scoperto cose che non aveva mai raziona-
lizzato a proposito del suo percorso con
Leopardi: lo sguardo esterno di chi non ti
conosce è molto più acuto.
Davvero utile quindi, più di quanto potes-
simo immaginarci. Un modello di lavoro
vecchio ma assolutamente rinnovato in
questa formula.
Nel rituale del teatro il luogo ha un impor-
tanza oggi sottovalutata. Le sale teatrali di
una volta erano edifici decorati e dotati di
ampi spazi, arredati con una cura ricercata,
in certi casi ispirati al lusso, con foyer di
grande impatto per il pubblico. Oggi inve-
ce, che il teatro non è più in auge, dopo le
cosiddette cantine romane degli anni Set-
tanta, ci si imbatte sempre più in sale post
–industriali o luoghi intitolati all’essenziali-
tà e al risparmio e – perché no? – affacciati
direttamente sulla strada.
Niente di male, in Canada li chiamano
street-door theatre, me l’ha detto un cana-
dese. A volte si da un nome alle cose per
dare modo a tutti di riconoscerle. Credo
che Resistenze sia un’iniziativa avanzata
in questo senso, perché si preoccupa di
trovare un linguaggio nuovo e forme nuo-
ve per il teatro: nuove per questi tempi, ma
magari attinte dal passato, come il mece-
natismo, o il confronto tra artisti e pubblico
al termine dello spettacolo.
Incontro ogni giorno persone che venen-
do a trovarci a teatro scoprono il teatro
per la prima volta. Sembra incredibile, ma
è proprio così: la nostra compagnia, oltre
che agli spettacoli, lavora ormai da 6 anni
ad una stagione teatrale che si svolge in
una piccola sala di 50 posti, il Teatro della
Caduta, che - come il Teatro delle Molliche
- affaccia direttamente sulla strada.
Per coinvolgere un pubblico davvero nuo-
vo l’ingresso agli spettacoli è gratuito la
prima volta. A chi ritorna una seconda vol-
ta viene chiesto di sostenere l’attività con
un contributo di 12€ che poi gli garantisce
l’ingresso gratuito per l’intera stagione. An-
che la nostra attività quindi fa leva sul me-
cenatismo del pubblico a cui si affiancano
i finanziamenti pubblici di cui godiamo da
qualche anno a questa parte. Questa for-
mula ha permesso a centinaia di artisti di
incontrare un pubblico multiforme, dove
gli addetti ai lavori e i teatranti costituisco-
no solo una minima parte.
In Piemonte, fatta eccezione per la nostra
realtà, non conosciamo altre esperienze di
mecenatismo.
Oggi, per riconquistare un pubblico che
comprenda tutti e non solo gli addetti ai
lavori, il teatro deve ritornare ad essere un
rituale collettivo in cui le persone si iden-
tificano, condiviso - e parlo anche dell’in-
trattenimento. Deve riconciliare il pubblico
Massimo Betti MerlinLorena Senestro
Esperienza davvero insolita la visita
a Corato per la rassegna Resistenze.
Insolita perché chi pratica il teatro non si
aspetta un pubblico così motivato, così
attento, così curioso.
Insolita per la proposta organizzativa del
mecenatismo, innovativa anche se mutua-
ta dal passato; e strategica per il contesto
non facile della provincia.
Quello che abbiamo trovato a Corato in-
fatti è un pubblico attento, proprio perché
sceglie di partecipare. Un pubblico con un
ruolo attivo, che offre molto a chi si esibi-
sce. Un pubblico di facce davvero svariate
e composto da persone di tutte le età.
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più, numero meno.
Frequento l’ultimo anno di asilo.
Ci impediscono di giocare in giardino. È
pericoloso!
E ci rido su… L’aria che respiriamo è la stes-
sa, che ci troviamo su un prato o al centro
di una strada.
CI HANNO IMPEDITO, ma io già voglio sco-
prire il perché dei divieti.
Così, mentre mamme e maestre parlano,
io e la mia migliore amica sfidiamo quel
divieto. E forse anche la sorte.
Sgattaioliamo fuori, facciamo il perimetro
del giardino trattenendo il fiato. Senza re-
spirare!
Per vedere chi ce la fa di più.
*****
Ho dieci anni. Ho il sussidiario. Lo sfoglio.
Mi blocco.
I miei occhi si fissano su corpi deformati,
con pelli squamose. Corpi a tratti scintillan-
ti, per i continui cambi di direzione delle
cicatrici.
Mi soffermo e mi chiedo perché. Senza
capire.
Mi viene in mente solo quella sofferenza.
Mi battono in testa lo sgomento, la non-
rassegnazione, la rabbia, l’impotenza che
quelle persone devono aver provato, e che
forse ancora provano.
Deve essere stato uno Tzunami emotivo,
dentro di loro.
Un tonfo sordo eppure carico di urla per-
petue.
I loro occhi sono puntati nel vuoto.
Forse il vuoto che hanno dentro.
Leggo una didascalia, leggo un nome:
Chernobyl.
Luana Lamparelli
Ho cinque anni. Forse ne ho già com-
piuti sei.
Non ricordo.
Potrei perfezionare questo ricordo… Cher-
nobyl, come semplicemente chiamiamo
quel disastro, è stato nell’85 o nell’86?
Basterebbe poco per perfezionare il ricor-
do. Poco quanto un click. Ma non lo farò.
Che importanza ha una data, un insieme
di numeri che comunque non cambierà il
corso della storia?
Chernobyl è stato! È accaduto. Numero
con l’essenza dell’esperienza teatrale .
Come quella di Resistenze, servono nuovi
modelli di coinvolgimento del pubblico
che rinnovino il ruolo dell’esperienza tea-
trale per le persone. Soprattutto più intel-
ligenti del banale sistema dei biglietti che
chiede allo spettatore di pagare in anticipo
per gli spettacoli, come fossero l’erogazio-
ne di un servizio di intrattenimento. E que-
sto abitua anche i teatranti a pretendere di
fare dell’attività artistica – che dovrebbe
essere un’attività d’eccezione – un sempli-
ce mestiere.
Al Teatro della Caduta gli artisti recuperano
un compenso al termine dello spettacolo:
il pubblico sceglie quanto e come sostene-
re l’artista.
A conclusioni di questa esperienza possia-
mo dire che è meglio lavorare in provincia,
fuori dall’attenzione dei media e della cri-
tica, ma con un pubblico curioso, pronto
a dare un valore – positivo o negativo che
sia – al tuo lavoro.
D’altra parte chi ufficialmente ha conferito
alla critica l’importanza esagerata che ha
oggi? Chi ha deciso che il teatro per esiste-
re debba far notizia?
Sulla base di queste riflessione la nostra
speranza è che continuino a nascere
ovunque spazi di dimensioni ridotte, con
costi ridotti, dove il teatro è ridotto alla sua
essenza, dove l’attore e il pubblico posso-
no entrare in simbiosi, come al Teatro delle
Molliche.
L’augurio che il teatro torni ad essere
un’esperienza a misura d’uomo, in grado
di coinvolgere le persone fuori dalla logica
superficiale dell’intrattenimento, colto o
popolare che sia.
Non era questa forse la natura del teatro?
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*****
Ho ventisette anni. Sei mesi fa mi sono lau-
reata. Lavoro.
Come sempre, ma con un’ansia in meno.
E non devo più sentirmi in colpa quando
esco con i miei amici, passeggio per stra-
da, dormo di più… perdo tempo… rubo
tempo…
Ho un dolore alla pancia. Anzi no: al basso
ventre!
Controlli. Ecografia. Un medico molto gio-
vane, io sono l’ultima paziente. Vorrà fare
colpo?, vorrà fare esperienza?, vorrà essere
gentile? … Ci sta provando!
“Hai una milza perfetta! Da manuale! Non
ne ho mai vista una così!.. Visto come so
guardarti bene dentro, io?” dice, sornione.
L’apparecchio sale sempre di più su, scorre
sulla mia carne.
“Hai mai fatto l’ecografia alla tiroide?”
“No”
NO. ED È L’INIZIO DI ALTRE VISITE.
****
Ho trentuno anni.
Tre lavori, una casa, un’auto, una vita che
mi piace, e poco meno di mezza tiroide.
Ah, dimenticavo! Ho anche una cicatrice a
metà collo, e una compressa da prendere
ogni mattina.
IO SONO STATA FORTUNATA!
Ho pianto, mi sono dannata, ho combattu-
to contro le paure, preso treni, fatto aghia-
spirati, ascoltato medici, consolato dentro
di me le loro preoccupazioni.
Carcinoma. Temevano.
Nodulo benigno. Era. Ed era anche la mia
tiroide. Che funzionava benissimo!
Io, nonostante tutto, mi sento fortunata.
Io sono stata fortunata!
Niente chemio, niente radio, niente iodio.
Terapia.
Ma solo per riprendermi dallo choc.
La migliore terapia è la vita.
Dopo Chernobyl, i casi di tumore alla tiroi-
de hanno avuto un’impennata incredibile.
Sono una conseguenza di quell’esplosione.
Conosco gente che è morta, di tumore alla
tiroide.
Tanta gente dice: la togli e la sostituisci con
una pilloletta.
Una pilloletta…
A distanza di quasi trent’anni!
E intanto… centrali nucleari si sono costru-
ite e si vogliono costruire.
E intanto… centrali nucleari scoppiano.
****
Ho viaggiato. Ho cullato dentro di me quel
nodulo che tanto preoccupava i medici.
Come fosse un bambino. Ho perso la mia
tiroide. Ho combattuto. Ho affrontato un
intervento e mille momenti di sconforto.
Mille, che son niente rispetto a quanto
vivono altre persone. Che hanno vissuto
quelle delle foto.
Mi ha resa più forte, questa esperienza.
Mi ha resa capace di cose che mai avrei
immaginato.
Mi ha resa più forte, Chernobyl.
…
Dicono, alcuni filosofi e sociologi, che ogni
individuo ripercorra le tappe del percorso
di tutta l’umanità, nel corso della sua cre-
scita.
Ma davvero l’umanità ha bisogno di altre
centrali nucleari scoppiate, per poter cre-
scere?
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mondo! Com’è piccolo l’uomo, com’è im-
potente! Come può un pianeta così grande
ospitare uomini così piccoli? Ma viviamo
davvero tutti su uno stesso pianeta? Se
sì perché non condividiamo le risorse,
perché distruggiamo, perché ci odiamo,
perché parliamo di stranieri?
L’educazione ambientale, i progetti, le
attività, le iniziative, le associazioni sono
mirate alle singole nazioni che non sono
altro che pianeti in un pianeta. Siamo
grandi isole circondate dallo stesso mare
che raggiunge ogni piccola insenatura. Ma
siamo fatti della stessa sostanza di cui è
fatta la terra ed essa soffre per la mancanza
dell’unico ospite degno della sua grandez-
za: l’umanità.
Qui fa troppo caldo, il pianeta scotta un po’,
potreste abbassare la temperatura?
Qui c’è troppo gas, il pianeta ha la tosse,
potreste spegnere le macchine per un po’?
Qui non riusciamo a vedere bene le stelle,
dove sta andando il nostro pianeta? Potre-
ste ridurre la luce?
Si è liberi quando si ha la possibilità di
scegliere, si è uomini quando ci si sente
umanità. L’uomo è la fine del pianeta, gli
uomini sono la sua salvezza. Vedo una
sedicente comunità scientifica incapace di
farsi capire da tutti, un’informazione cata-
strofista e una politica negazionista. Siamo
lontani da un sistema di uomini in armonia
con il sistema Terra. Avviciniamoci gli uni
con gli altri per avvicinarci al pianeta.
Lavinia Capogna
Ci sono uomini che soffrono e vivono
su un pianeta che soffre. Se tutti
quanti soffrissimo, smetteremmo di farlo
perché condividendo la stessa sofferenza,
non ci sentiremmo soli. Allora non tutti
soffrono.
Ma viviamo tutti sullo stesso pianeta che
soffre. Riuscite a sentirlo? Riuscite a veder-
lo?
Come si fa a sentire un intero pianeta? E a
vederlo?
Di certo non possiamo fare il giro del
Dario Aggioli A chi parla il critico? Se lo domanda? Lo sa?
Si domanda a chi parla l’artista?
Interessa al critico, se l’artista si domanda a
chi vuole parlare?
A chi potrebbe parlare un critico? A chi
parla ora?
A che serve la critica se nessuno l’ascolta?
Se parlo di te senza conoscerti, ho diritto di
dire qualcosa?
Se parlo di te senza conoscerti, so quel che
dico?
Se parlo di te e ti dico che ne so più di te su
te, che dico?
Che domanda devo porti per capire chi
sei?
Se parlo di ciò che dici tu, io che domande
devo farti per capirti?
Mi interessa capirti, se devo parlare di te?
Mi interessa capirti, se voglio parlare di
quello che dici?
Mi interessa parlare di te o mi interessa
parlare di me parlando di te?
Sono io che guardo e poi dico che vedo,
quando parlo di te?
Sei tu che parli e io ti ascolto e poi riferisco?
Il critico gioca al telefono senza fili?
Cosa è la critica?
Cosa è un giudizio?
Il giudizio è personale? La critica lo è?
Qual è il ruolo della critica nei confronti
dell’artista?
Qual è il ruolo della critica nei confronti
dello spettatore?
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del lavoro così come è! Con i suoi scambi,
i suoi intrighi, i suoi giochi, i suoi paradossi
e finalmente mettere da parte tutta la mia
retorica, retorica che non fu mia, ma di
adolescente! Ogni giorno alzarmi e telefo-
nare, vendere, contattare, spedire, creare,
produrre, inventare, promuovere il mio
lavoro- quello che io faccio QUI IN QUESTI
ANNI DELLA MIA VITA! Vendere senza ver-
gogna! Sporcarmi le mani con piacere per
dare ciò che ho, ciò che sono! Mio padre
aveva ragione, fin dall’inizio!
E CON IL DENARO CREARE! CHE A QUESTO
IL DENARO FU FATTO! CREARE! Creare ciò
che di bello c’è in me! SI GRAZIE AL DENA-
RO! E con questo denaro coltivarmi come
si coltiva un campo per farlo crescere
rigoglioso per allargarlo, espanderlo con
i prodotti migliori che l’uomo ha inventa-
to! Creare, Produrre, Vendere, Coltivarsi e
Creare di nuovo! E con il denaro costruire
ancora e costruire la mia vita e il mondo
così come lo desidero! Mio padre aveva
ragione, fin dal principio!
Comprendere che se il mio prodotto non
vende è evidente che non piace (e forse
non piace a me per primo)! Cambiarlo e
riprovare! Il mondo, checchè se ne dica
vuole ciò che è Bello! E lo sa riconoscere!
Provare e riprovare fino a che so costruire
qualcosa che piace a me ed agli altri! Se
non piace comprendere che non sono gli
altri a essere fuori rotta, ma IO! Vivere il
lavoro come strumento per stare con gli
altri in pace, come strumento per dare ciò
che ho! Ciò che creo! Finalmente adulto in
mondo di adulti! Io attore, io produttore, io
creatore nella realtà delle cose!
Basta piagnistei di bimbi offesi! Basta
nascondersi dietro il gioco delle incom-
prensioni, delle accuse al mondo basso
e meschino. Basta puntare il dito su un
essere umano che fa di tutto per fare del
suo meglio. Basta lamentarsi. Basta giocare
agli offesi! Basta Vergognarsi della propria
incapacità scaricandola sugli altri e sulla
loro cattiveria. Basta fare i BAMBINI! Basta
denunciare - con qualsiasi scusa - un mon-
do che fa del suo meglio. BASTA!
E’ Tempo di rimboccarsi le mani e costruire
il mondo come lo sogniamo. Uscire allo
scoperto e lavorare. Lavorare come tutti.
Sudati, sporchi, con le mani sudice. BASTA
NASCONDERSI! E’ TEMPO DI COMINCIARE
A COSTRUIRE! E’ se non siamo sufficienti, se
non siamo capaci di farlo. AMMETTERLO E
NON PIU’ PUNTARE IL DITO SE NON SU SE
STESSI! ACCETTARE TUTTO E TUTTI! (Che
proprio noi per primi siamo i più difficili da
mandar giù) E’ ORA DI CAMBIARE! ORA DI
LAVORARE! RINGRAZIAMO IL LAVORO, IL
DENARO CHE CI DANNO LA POSSIBILITA’ DI
CAMBIARE TUTTO QUELLO CHE CI CIRCON-
DA! A PARTIRE DALLE NOSTRE VITE! BASTA
CON LE PIPPE! Lavorare per costruire assie-
me- con i mezzi che il mondo ci offre- la
realtà in cui amiamo vivere!
AL LAVORO!
La gioia del lavoro! Poter andare ogni
giorno al lavoro! Guadagnare i sol-
di per vivere e vivere bene! Dare la mia
mano d’opera a tutti così che tutti possano
servirsene! Lavorare! Costruire il proprio
mestiere. Costruirlo in modo tale che più
persone lo sentano necessario! Come il
pane, una casa, un mezzo per muoversi…
Condividere con quante più persone pos-
sibili i risultati del mio lavoro! Lavorare da
solo e con gli altri! Come se lavorassi con
me! Costruire una grande fabbrica di cose
belle che mi piacciono e che piacciono!
Prendere un bello stipendio e vendere le
mie opere, venderle a tutti! Ed avere così
tanti soldi da poterle regalare a chi non se
le può permettere! Finalmente lavorare per
vivere godendo! Mio padre aveva ragione,
fin dall’inizio!
Pensare all’interesse! Mio e di tutti! Incon-
trare quante più persone per poter dare
ciò che costruisco! Darlo in cambio di ciò
che hanno… Costruire una rete, una rete
di relazioni tra persone, per promuovere
ciò che produco…con il mio sudore, il mio
piacere, il mio amore! Giocare al gioco del
lavoro con il sorriso! Godere del mondo
Annika StrøhmSaba Salvemini
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poi ti fermi. Ti fermi sempre, prima o poi.
Tu ti fermi ma il tempo continua a correre,
la terra a girare. Il sangue circola nelle tue
vene come prima. Cos’è cambiato? Non lo
sai, ma vorresti rimanere fermo. Ti piace
stare fermo. Incroci le braccia e vedi la
gente muoversi, ridere, parlare, scherzare.
Sei seduto con i pop corn in mano e ti godi
lo spettacolo. E’ la tua vita, ma continua se-
condo ciò che fanno gli altri. Il tempo scor-
re… sei proprio sicuro di voler abbandona-
re questi secondi che passano osservando
una vita non tua, leggendo scritti non tuoi?
Almeno pensi, almeno i pensieri sono tuoi.
Decidi di alzarti. La coda di paglia è un po’
scomoda quando sei seduto. Che fai? Vor-
resti cambiare. Esci, incontri gente che ti
parla e tu l’ascolti, l’ascolti e le rispondi, e
fra botta e risposta crei un’amicizia. Sai che
con quella persona puoi parlare. Una cer-
tezza in più nella tua vita… Tic tac. Vorresti
di nuovo fermarti. Ritornare a pensare.
Pensare a cosa? Pensare non è una buona
medicina per il tempo che invecchia. Corri!
La terra grida! Vuole attirare la tua attenzio-
ne! Viaggi, scopri nuovi posti, nuove perso-
ne.. Ti dimentichi di pensare perché la tua
voglia di vivere e scoprire ha sopraffatto la
noia. Pensi perché ti annoi. Non affievolire
le tue emozioni, continua a correre, danza
col tempo! Sfidalo nella corsa! Solo se avrai
vinto potrai considerarti stanco.
Tic.
Tac.
Emma Viviana Malerba
Tic tac. Tic tac.
E’ l’irrefrenabile rumore del tempo
che passa, lo senti? Tic tac. Non ti dà fasti-
dio? Non credi che quel ticchettio possa
stordirti così tanto da renderti incapace
di svolgere qualsiasi altra azione? Potresti
diventarne schiavo. Schiavo del tempo. Tic
tac. Il tempo fugge, fugge e non si ferma
mai. Afferralo.
Stai sprecando minuti della tua vita a
leggere qualcosa che riguarda il tempo.
Potresti fare qualcosa di più utile in questo
momento, lo sai? Hai idea di cosa potresti
fare adesso? Guardati intorno. La tua pre-
senza è indispensabile? Se sei fermo in
silenzio, se non agisci, se sei inerte solo per
qualche minuto… qualcuno potrebbe mai
accorgersene? Eppure hai passato del tem-
po fermo, ma quell’organo sempre in azio-
ne, che fastidio. Il tuo cervello non si ferma
mai, ne sei cosciente? Vorresti non pensa-
re, ammettilo. Vorresti spegnere il cervello
e distenderti su di un bel prato verde, con
una canzone rilassante nelle orecchie.
E’ impossibile, lo sai anche tu. E allora? Ti
alzi in piedi, cammini avanti e indietro e
Il tempo - Francesca De Chirico
Piccola osservatrice e amante dell'arte, ha scoperto una nuova dimensione grazie al mondo del teatro e della fotografia. Ha frequentato i laboratori teatrali presso il Liceo Linguistico di Terlizzi. Riporta su carta ogni minima parte di questo mondo un po' troppo complicato attraverso l'arte del disegno, dote che ha sempre coltivato con passione.
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Quell’antico tronco d’albero che si vede
ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco,
morto, corroso e ormai quasi informe, te-
nuto su da un muricciolo dentro il quale
è stato murato acciocché non cada o non
possa farsene legna da ardere, si chiama
la quercia del Tasso perché, come avverte
una lapide, Torquato Tasso andava a seder-
visi sotto quand’essa era frondosa. Anche
a quei tempi la chiamavano così. Fin qui
niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono
le guide. Meno noto è che poco lungi da
essa, c’era, ai tempi del grande e infelice
poeta, un’altra quercia fra le cui radici abi-
tava uno di quegli animaletti del genere
dei plantigradi, detti tassi. Un caso. Ma a
cagione di esso si parlava della quercia del
Tasso con la “t” maiuscola e della quercia
del tasso con la “t” minuscola. In verità c’era
anche un tasso nella quercia del Tasso e
questo animaletto, per distinguerlo dall’al-
tro, lo chiamavano il tasso della quercia del
Tasso.[…] Poi c’era la guercia del Tasso: una
poverina con un occhio storto, che s’era de-
dicata al poeta e perciò era detta la guercia
del Tasso della quercia, per distinguerla da
un’altra guercia che s’era dedicata al Tasso
dell’olmo (perché c’era un grande anta-
gonismo fra i due). Ella andava a sedersi
sotto una quercia poco distante da quella
del suo principale e perciò detta la quercia
della guercia del Tasso; mentre quella del
Tasso era detta la quercia del Tasso della
guercia: qualche volta si vide anche la
guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso.
[…] Quanto al piccolo tasso di Bernardo,
questi lo volle con sé, quindi da allora
l’animaletto fu indicato da alcuni come il
tasso del Tasso del tasso barbasso, per di-
stinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; e
da altri come il tasso del tasso barbasso del
Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso
del Tasso. Il comune di Roma voleva che i
due poeti pagassero qualcosa per la sosta
delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile
stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del
tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso
del tasso barbasso del Tasso.
Anche nelle parole c’è una connotazione
musicale, che si ricollega ad un’esperienza
preverbale: il fonosimbolismo. La parola
jour ha una vocale scura (la u) mentre nuit
l’ha chiara (la i); il significato di quest’ul-
timo tuttavia ci rimanda all’ oscurità, alla
pace notturna. Nella pubblicità spesso si
gioca sul diverso significato che assume
un testo a seconda del contesto: La poesia
di G. Ungaretti Mattina che inizia con i versi:
m’illumino d’immenso è presente in tutti i
testi delle antologie, ma in un cartello pub-
blicitario diventa lo slogan per dei fari anti-
nebbia. Il testo è autonomo, ma il contesto
influenza molto. R. Queneau, sulle possibi-
lità retoriche della lingua francese (a mio
avviso particolarmente duttile e adatta
soprattutto per i giochi di parole, poiché
sono frequenti parole dallo stesso suono,
ma scritte diversamente e con diversi si-
gnificati) ci ha fatto addirittura un libro- ca-
polavoro, da cui ho estratto:Onomatopées.
I caratteri eloquenti, utilizzati dai disegna-
tori di fumetti, a seconda della loro posi-
zione nella pagina e della loro grandezza.
suggeriscono il modo di utilizzare i tratti
prosodici della voce. Una personale e re-
cente esperienza mi sottolinea la stretta
“La musica del linguaggio” è un saggio suddiviso in tre pubblicazioni che troverete su Pierrot rispettivamente suddivise in tre numeri. Questa è l’ultima pubblicazione dal titolo “La lingua delle parole”.
Alcuni esempi di giochi linguistici che
si possono esprimere con la voce,
vero e proprio strumento musicale, che
contiene in sé i tratti prosodici comuni
anche alla musica: altezza (seppur ridot-
ta rispetto alla voce cantata), intensità,
timbro, velocità, durata, modo di attacco.
Una maniera di usare le potenzialità della
lingua, in modo sottile e molto ironico gio-
cando sull’ambiguità del significato e sulla
similitudine fonica di parole uguali ma di
diverso significato è quello del racconto La
quercia del tasso di Achille Campanile:
Lucia Lazzeri
AnnoIV 06/2011
p.08 pierròt
Gino Moselli No ‘a ciorta che spisso è ‘a morte,
che fosse stata doce si era ‘e subbeto,
ma ‘a stò affruntanno a corpo ,a corpo,
è assaie amara,fratò,è ‘na tortura.
Pe’ me che amaie ‘a vita intensamente,
interresannome a tutto in ogni mumento,
scrutanno i grandi misteri della natura,
per esplorare il mondo e vincere ‘a paura.
Di una vecchiaia di dolore pregna,
che mi consuma ma non mi arrendo,
quando lenisce la malinconia mi prende,
pe’ ‘nu poco’e pace vò ai ricordi belli.
Vinco lo strazio di un fisico ormai in tilt,
mi godo la venerazione di chi ho attorno,
di chi è contento che sono ancora qui,
e m’incita a combattere ogni giorno.
Ma rassegnato alfine ,essa venga,
con nostalgia lascerò le cose care,
quelle che furono il mio diletto,
da me verso l’eterno saran’ dirette.
Ricordando mio fratello AntonioSperanza cchiù nun tengo pe’ ‘ sta vita,
‘iuta bbna ma alla fine m’ha tradito,
me mancano ‘e forza pe’ ‘sta malatia,
dura prova che m’ha mannato Ddio.
alleanza tra musica e parola. In occasione
di Entriamo nella casa della Musica per lo
spettacolo:“Filastrocche per suonare…
filastrocche per imitare…con il pianoforte!
ho avuto l’opportunità di verificare ancor
più che parola e musica sono sorelle. Le
filastrocche di Corinne Albaut mi hanno
consentito di utilizzare tutta la tavolozza
dei tratti intonativi che in questo caso sono
stati enfatizzati per consentire una mag-
gior comprensibilità del testo, non troppo
facile per i bambini di prima elementare ai
quali era rivolto. E ancora una volta i tratti
sovrasegmentali hanno veicolato un mes-
saggio semantico laddove la parola non
poteva arrivare. E’ venuta fuori una vera e
propria partitura vocale, con i tratti intona-
tivi e gli accenti tonici delle parole segnati
alla stessa stregua dei tratti prosodici. Nella
mia esperienza di insegnante, soprattutto
con gruppi numerosi, quali quelli di una
scolaresca, ho spesso notato quanto man-
chi una vera e propria “educazione” alla
voce. Dalla realtà sonora che ci circonda
provengono stimoli sonori sempre più
numerosi e pressanti: gli apparecchi per
ascoltare musica sempre più vicini agli or-
gani uditivi di un organismo in formazione
quale quello dei ragazzini e adolescenti.
Si tratta di una vera e propria saturazione
uditiva che si ripercuote anche a livello
vocale. I ragazzi in età scolare, soprattutto
adolescenti, in concomitanza con questo
delicato periodo della loro vita, abusano
della voce. La voce espressiva è un bel libro
di Carlo Delfrati che esamina la voce, le
sue potenzialità e come poterla utilizzarla
al meglio, facendo in qualche modo un
discorso estetico, utile per noi futuri inse-
gnanti di musica. Se è vero che la musica
può sviluppare ed affinare il gusto, quale
miglior strumento che quello che abbiamo
sempre con noi, cartina di tornasole dei
nostri stati d’animo? La voce parlata a livel-
lo didattico è strumento di comunicazione
tra il docente ed il discente, ma allo stesso
tempo veicola significati ed emozioni.
06/2011 AnnoIV
pierròt p.09
Adesso puntiamo su un altro mezzo di co-
municazione. Preso il nostro caffè, pagato il
conto, ci dirigiamo in un internet point, an-
siosi di sapere se il premier ne ha combinata
un’altra delle sue in un momento storico
così delicato e se davvero la minaccia del
nucleare sia un pericolo imminente.
L’internet point è un luogo strano. L’atmo-
sfera è surrealmente piatta. I soggetti che
puoi trovarvi sono vari. Li guardi concentrati
dinanzi ad un video di you tube, preoccupa-
ti per l’andamento imprevisto di una con-
versazione in chat, impegnati comunque in
un qualche attività che richiede un qualche
attenzione. Regna uno strano silenzio inter-
rotto dal rumore meccanico dei clic della
tastiera. Leggiamo le notizie, combattiamo
con i link automatici che automaticamente
si aprono appunto. Ma no vogliamo leggere
le notizie, non ci interessa se abbiamo la
possibilità di vincere un milione di euro ri-
spondendo a questa domanda :’ Chi è la mo-
glie di Totti?’ Che poi lo sappiamo che è Illary
Blasi ma poco me ce importa sinceramente.
Questa passeggiata e questa sosta in questo
luogo di triste silenzio stanno avendo effetti
imprevisti. Meglio tornare a casa, meglio
andare a pranzare che si sta aprendo anche
lo stomaco.
Nel percorso al contrario tutto si ripresenta
immutato. Anzi no. Al posto della zelante
testimone di Geova che voleva esortarmi
a leggere la Bibbia c’è un ragazzino. Può
avere al massimo quattordici o quindici
anni. Senza che l’abbia chiesto ci regala una
copia omaggio del giornale della mia città.
Molto gentile da parte sua però potrebbe
anche chiederci se ne abbimo bisogno,se
lo vogliamo. ’ Ma è gratis!’ sembrano sugge-
rirmi i suoi occhi innocenti. Cosa possiamo
voler di più? Non abbiamo voglia di far que-
stioni ma ci basta uno sguardo superficiale
per constatare che quel foglio di carta si
spaccia come informatore degli eventi del-
la nostra città, ma non è altro che un mini
cartellone pubblicitario pieghevole stra-
finanziato da sponsors appunto. E quante
foto e quante immagini!
Ma dove è finita la parola stampata?Quella
classica insomma? Ci poniamo queste stra-
ne domande nel tragitto verso casa.
Cari lettori anche questa passeggiata è
un’immagine della mia mente. Quanto è
suggestivo parlare per immagini. E’ quella
grande possibilità che il linguaggio umano
e la parola ci donano incondizionatamente.
Tutti possono parlare per immagini, espri-
mere il carattere poetico di una cosa della
realtà attraverso metafore e similitudini.
L’unico accorgimento è quello di saper sve-
lare i tranelli che l’immagine può causare
confondendo il lettore e deviandolo ineso-
rabilmente.
Il potere dell’immagine è indiscutibile oggi.
Ma quel che deriva è anche l’immagine del
potere. Il potere mediatico che sopprime
la parola e la scrittura. Un uso della parola
obiettivo accompagnato ad immagini vi-
vide ed etiche presuppone la necessità del
recupero della comunicazione vera, non
opaca o filtrata da chi gestisce, a proprio uso
e consumo, i media.
Sarà mai possibile il ritorno alla Parola?
Sarà auspicabile una passeggiata priva del
bombardamento quotidiano a cui siamo
sottoposti?
Basta fare una passeggiata per rendersi
conto del bombardamento di immagi-
ni nella società contemporanea. Chiusa la
porta di casa, dinanzi al portone, ci troviamo
di fronte, su un cartellone pubblicitario, una
bella ragazza in biancheria intima che con
il suo sguardo intrigante invita noi tutti a
guardarla estasiati. Vicino a lei c’è un sim-
patico omone dalle folte sopracciglia che ci
esorta a votare la causa del sì perché, grazie
a Dio, l’acqua è un bene comune.
Proseguendo la passeggiata per raggiun-
gere un qualsiasi luogo non è improbabile
che qualcuno ci consegni riviste religiose i
cui titoli sembrano ricordarci taluni slogan
pubblicitari-politici ma anche certi rimpro-
veri genitoriali. Frasi come ‘Svegliatevi il
regno dell’aldilà è vicino’ possono corredare
la nostra frenetica giornata. A questi poi
chiaramente si aggiungono la miriade di
carta pubblicitaria che in modalità differenti
ci viene imposta. Supponiamo che la pas-
seggiata prenda una svolta. Immaginiamo
di avere voglia di un caffè, di quelli piacevoli
che solo la tranquilla frenesia di un luogo di
aggregazione sociale come il bar può darti.
In alcuni bar si ha la possibilità di leggere i
quotidiani nazionali. Non si rimane indif-
ferenti al fatto che la dopo poche pagine,
ad intervalli ripetuti e regolari, ci sia una
profusione di immagini, pubblicitarie e non,
che quasi ci fanno dimenticare l’istanza pri-
maria del giornale stesso: leggere le notizie,
informarsi. Ma dove sono le informazioni
accidenti! Ci sono ma sono opache, non
circolano liberamente.
Alessia Vangi
AnnoIV 06/2011
p.10 pierròt
classico, allo stesso modo di cominciare a
scrivere... perché per scrivere ci vuole co-
raggio, perché la vita ti scorre nelle vene,
la respiri al posto dell’ossigeno e si riversa
sul foglio, nera, inevitabile, sporca, profana
come l’inchiostro e tu non puoi sfuggirle in
alcun modo.
La stessa vertigine che coglie l’attore pri-
ma di entrare in scena.
Bisogna avere coraggio per vivere e in sce-
na la vita si amplifica all’infinito, si estende
alla vita d’un’umanità la cui grandezza
comporta un peso inumano per un solo
uomo, un solo, semplice, uomo.
Bisogna essere sconfinati, enormi, bisogna
avere profondi vuoti ricolmi d’esistenza
in se stessi per poter contenere una tale
archeologia umana, una tale classicità
esistenziale per potersi ricolmare di un così
solenne, millenario, monumentale pensie-
ro, per poter sentire l’urgenza, la necessità
esistenziale di comunicare la propria uma-
nità all’umanità ch’è fuori di noi.
Recitare è donare se stessi, denudarsi
profondamente e donare tutta la propria
coscienza, donare le proprie miserie allo
stesso modo dell’eccellenza del proprio
intelletto con sfrontato pudore.
Bisogna saper AMARE per essere in grado
di donare autenticamente ed incondizio-
natamente. Bisogna essere un pò folli ed
un pò sovrumani per concepire una tal sor-
ta d’Amore incondizionato, un dono tale
che svuota la mente e, al contempo, però,
t’arricchisce l’esistenza d’una preziosità
immane, sconfinata, che trova spazio solo
in una mente che sa essere vuota e piena
insieme, come un bicchiere traboccante,
ma dal quale l’acqua non trabocca mai
nonostante si continui ripetutamente a
riempirlo.
Il paradosso della nostra esistenza è che
tante volte, nel corso degli anni, accettia-
mo la vita e ci lasciamo violentare da essa
senza tirarci indietro, senza preservare
nulla di noi stessi... semplicemente saltia-
mo nel vuoto... tante, innumerevoli volte:
in questa incondizionata accettazione
della vita ricade anche, tuttavia, la consa-
pevolezza di una conseguente, inevitabile
morte.
Molti pensano che per vivere sia neces-
sario morire un pò, tagliare via pezzi di
se stessi, per potersi adattare, per poter
andare avanti, fancedo propria la filosofia
del <<si muore un pò per poter vivere>>.
Ma, per me, la vita e la morte non è così
che stanno insieme, come se la vita fosse
sottomessa alla morte; esse fanno l’amo-
re insieme, l’una accanto all’altra in uno
scambievole rapporto d’amore a volte
docle, a volte violento, ma sempre per
mano esse corrono attraverso gli anni d’un
uomo. L’attore non uccide parte di sè per
vivere in scena, egli è vivo, è pienamente
ed incondizionatamente vivo, in scena
porta tutto il vuoto ricolmo d’esistenza
ch’è in lui, egli è vivo e morto insieme, così
come lo sono io che ora consumo le mie
dita su questo foglio... ho affrontato la ver-
tigine e con eroico coraggio ho cominciato
a scrivere, a vivere, ed ora, inevitabilmente,
muoio, perché non si può sfuggire mai alla
fine, allo stesso modo dell’inizio.
C’è un istante, che precede il momento
in cui la penna si posa sul foglio bian-
co e comincia a sporcarlo di pensieri, in
cui essi si affollano alla soglia della mente;
ciascuno reclama attenzione e importanza,
ciascuno vorrebbe essere quello con cui
cominciare a sporcare il foglio, ciascuno
urla le proprie ragioni... ed è proprio così
che accade che un solo istante comincia
ad espandersi indefinitamente fino ad
ore intere, è così che accade che la penna
rimane sospesa a meno di mezzo centime-
tro dal foglio come un funambolo sospeso
sull’abisso.
Quale cosa migliore, allora, per eludere
la vertigine causata dal salto nel vuoto
che è cominciare a scrivere, rompere il
silenzio, sporcare di nero il bianco, se non
cominciare a raccontare quanto è difficile
attraversare quel frammento di vita che si
interpone tra il nulla e la vita, tra il silenzio
ed il lirismo d’un’emozione, tra il bianco
verginale di un foglio ed il nero profano
dell’inchiostro, tra la terra sotto i piedi ed
un cieco salto nel vuoto.
Cominciare a scrivere è un salto nel vuo-
to e quel momento di sospensione della
penna a pochi millimetri dal foglio procura
vertigine. Quella è, per me, la vertigine
della vita perché imparare a vivere è un
processo lento e travagliato, ma COMIN-
CIARE a vivere davvero è degno d’un eroe
Valeria Tamborra
06/2011 AnnoIV
pierròt p.11
Michele Pinto
L’ALBERO DELLA VITA (1999)
AnnoIV 06/2011
p.12 pierròt
addosso a quarantanni e cercherai di stac-
cartelo male di dosso con uno psicologo”.
In realtà non ho mai messo in dubbio den-
tro di me la piacevolezza e l’utilità dell’atto
del pensare, ma pur potendo apparire
come la posizione più ovvia del mondo,
vedendo in realtà intorno a me esempi di
invito al riposo mentale frequentissimi e
diffusissimi, tanto da diventare proverbiali
ho provato a riflettere sulla riflessione stes-
sa, sperando di non apparire eccessiva-
mente retorica. Come avviene a volte nelle
dimostrazioni matematiche sono partita
dalla posizione opposta alla mia ovvero
all’idea che per assurdo fosse più utile non
pensare. Ma anche il non pensiero totale è
difficile! Quindi bisogna andare per gradi.
Situazione 1: un uomo si trova davanti a
una scelta importante, che lo tedia, il p e n
s i e r o di quella scelta lo mette in difficoltà,
lo stressa, gli toglie energie. Restando eter-
namente indeciso sceglie di cavarsi fuori di
quella situazione: decide di non pensarci.
Ed ecco la prima deduzione evidente: pen-
sare richiede energia, impegno e scelta.
La sua testa apparentemente libera allora
si fa posto per pensare a qualcos’altro. Ma
presto o tardi anche su quel qualcos’altro
nascerà un bivio, una situazione che richie-
derà una scelta. Ed ecco il secondo passag-
gio: la parte più difficile del pensiero è la
scelta. Mettiamo che scelga a caso perché
è necessario che scelga. Ed ecco il terzo
passaggio: la parte più difficile della scelta
è la coscienza nella scelta. Questa è una
situazione. Ma immaginiamo che invece
l’uomo abbia continuato a vedere un pen-
siero e ad evitarlo. Ecco quello che sarebbe
successo: il primo passaggio si sarebbe ri-
petuto all’infinito andando da un pensiero
più grande ad uno sempre più piccolo fino
a diventare invisibili. Ma il nostro cervello
è portato a non essere abituato a restare
vuoto, quindi si abbasserà la nostra qualità
di pensiero, ma il pensiero resterà e dun-
que la fatica del pensiero resterà. Dunque
l’impegno profuso nel pensare resta lo
stesso. Pensare è necessario perché ci sal-
va dal diventare progressivamente tanto
piccoli da scomparire. Pensare s a l v a. E
contemporaneamente quindi non pensare
è anche qualitativamente sconveniente.
Scusate la matematica, la noia e il rischio
grosso di cadere nella retorica, ma ho
tentato in questa maniera di essere com-
prensibile a molti. Evviva il pensiero, evviva
il voto, evviva la partecipazione. E ora sce-
gliete pure di girare questa noiosa pagina.
[ATTENZIONE, ATTENZIONE, ATTENZIONE.
Quello che state per leggere è ad alto ri-
schio di noia. Io vi ho avvisati.]
A breve tutti gli italiani saranno
chiamati al referendum. Sono una
giovane elettrice e pur non essendo que-
sto il primo referendum a cui partecipo,
essendo ancora una delle prime torno a
pormi delle domande. Wikipedia dice “La
parola referendum riprende il gerundio la-
tino del verbo refero, “riferisco””. “Riferire” e
non “dire” o “dichiarare”. Riferire fa pensare
a qualcosa che prevede un gesto prece-
dente, la comunicazione di una decisione
derivata da un pensare che c’è già stato. Il
referendum richiede di pensare e scegliere.
Scrivere un articolo per Pierròt richiede di
pensare e scegliere. A meno che uno non
faccia tutto a casaccio è ovvio, ma avrei
grossi dubbi sulla ragionevolezza di un
comportamento simile. Dubbi. “pensare
è giusto, pensare è necessario, pensare è
bello”; mi sono accorta che sembravano
frasi uscite fuori da uno di quei cartoni
animati ipnotico/dittatoriali per bambini,
di quelli che hanno la filosofia del “so che
a quest’età tutto quello che senti non te
lo stacchi più di dosso quindi prendi que-
sto e ficcatelo nella testa per il resto della
tua vita finché non ti ricorderai di averlo
Alessandra Mazzilli
06/2011 AnnoIV
pierròt p.13
In quest’epoca confusa e consumata,
anarchica e sanguinaria, nauseante e mi-
sera, sento nell’aria il suono di un immenso
sbadiglio, il sordo suono di un noia che
impera nella vita quotidiana, quella fatta
dalle ore della giornata, quella che pensia-
mo più banale. Sento sulla mia pelle e sulla
pelle delle persone che incontro con cui
parlo o che semplicemente vedo esistere,
i segni profondi visibilissimi al mio sguardo
di un’educazione disastrosa per una nobile
crescita umana e intellettuale di questa
società. Segni, o meglio ferite, che oltre ad
avvertire dentro di me nel mio esistere in-
dividuale sento pulsare in modo doloroso
nell’esistere sociale.
Ciò che mi sembra di osservare è un asso-
luta involuzione dell’essere umano verso
una specie di forma primordiale di essere
che credo sia in effetti il concretizzarsi nel-
la vita del nulla esistenziale. Tante, troppe
volte mi è capitato di vedere non uomini
ma cadaveri viventi, esseri umani dimenti-
chi di essere umani, corpi denudati di ogni
virtù, nobiltà. Ma penso che questo vuoto
esistenziale, che credo colpisca buona
parte della società di cui faccio parte, e che
ha creato e crea uomini che vivono senza
mete precise, senza obbiettivi, passioni
vere, patite, senza vero dolore o gioia, nella
più totale incertezza di qualsiasi atto, gesto
emozione, anche quello più umano(una
specie di desolante dimenticanza del
vivere), sia da cercare nell’educazione di
una società imborghesita su quasi tutti i
livelli(materiale e spirituale) che negli anni
passati ha goduto di ricchezza e opulenza
e che nella ricchezza e nell’opulenza ha
posto i suoi valori più autentici, e che ha
cresciuto i propri figli, conseguentemente,
secondo la legge del vizio. Ed è questo che
io più di ogni altra cosa detesto e non sop-
porto: vedere e sentirmi parte di una larga
generazione di viziati.
Il vizio credo sia il male peggiore per ogni
società, il male che la può portare alla più
assoluta rovina da tutti i punti di vista (
sia etico e morale che prettamente fisico,
corporale) poiché esso perpetuandosi
nel tempo genera nell’essere umano un
fortissimo senso di disorientamento e di
alienazione rispetto a se stesso. Quando
fin dall’infanzia ogni capriccio è accon-
tentato senza troppo sforzo, un uomo col
passar del tempo perderà il senso del suo
reale volere, perdendo di vista se stesso e
il mondo. Quando è abituato ad ottenere
senza fatica, sia in senso materiale che in
quello psicologico, un uomo non è edu-
cato a dare l’effettivo valore alle cose alle
situazioni e soprattutto alle scelte, non si
relaziona con esse rispetto alle sue reali
esigenze, le quali si dimenticano, e che non
si ha più la possibilità di conoscere. Inoltre
un aspetto fondamentale dell’educazione
del vizio credo sia il fatto che essa stessa
si sia sviluppata nella sua massima forma
proprio nell’affermazione più assoluta del-
la società del consumismo.
Il consumismo è la negazione di qualsiasi
valore che ci rende umani, di qualsiasi
sincera aspirazione a un modo di vive-
re nobile, vero, autentico. Il mondo del
AlessandroDe Benedittis
AnnoIV 06/2011
p.14 pierròt
consumismo, dal quale diversi anni fa
alcuni grandi intellettuali ci hanno messo
in guardia e che hanno duramente criti-
cato come nuovo fascismo o nuovo tota-
litarismo, penso abbia incontrato quelle
necessità benpensanti e borghesi di edu-
care intere generazione allo stare bene,
sempre, rifiutando ogni tipo di sofferenza
o di disgrazia, come se fossero condizioni
di un male morale, secondo le regole del
capriccio e del vizio; e penso che questo
incontro abbia creato un circolo vizioso,
nel senso che l’una cosa abbia nutrito e
accresciuto l’altra a vicenda fino al punto
che vizio e consumismo abbiano consu-
mato, prosciugato anima e corpo di intere
generazioni che ora costituiscono questa
società. Il rimedio più efficace a questa
sensazione di vuoto e di noia profonda è
offerto dal mondo dell’emotività, la quale
è più facile a essere stimolata e sfruttata.
Al senso di vacuità esistenziale si cerca
si sfuggire cercando l’emotività (che è
più facile a essere stimolata e sfruttata),
ma non quella autentica, vissuta, ma un’
emotività placida e mediocre, come quella
offerta dai programmi televisivi, un’emoti-
vità adrenalinica e virtuale come quella dei
videogiochi ( coi quali i bambini e ragazzi
di oggi crescono) e poi c’è un’emotività
violenta e consumata che è quella di “sesso
droga e rock’n roll”, che non è slogan ma
è concretamente un sistema di valori ai
quali ci si ispira anche quotidianamente.
A ciò si aggiunge il sempre più dominante
e diffuso social – network, il quale presen-
tandosi sempre come qualcosa di nuovo e
irrinunciabile o come mezzo che ci aiuta
nei nostri problemi relazionali, sociali,
esistenziali ecc…, assorbe la vita dell’indi-
viduo facendo in modo che egli viva in una
società virtuale. Il che, attraverso la novità
dei sistemi di comunicazione che ad esso
sono propri e che dominano nella loro as-
soluta sterilità, sfruttando quella necessità
di emozione, di adrenalina, trasformano
persino l’emotività in una specie di formali-
tà sociale, e rendendo la vita una specie di
gioco divertente che alla vita strappa ogni
più alto valore. Ciò può solo, attraverso
un’azione che definisco corrosiva, portare
gli uomini a diventare automi in ogni sen-
so.
A tutto questo credo che possiamo tutta-
via ancora trovare rimedio, credo che pos-
siamo fuggire da un futuro che si presenta
come un presente sempre più buio. Che
avvenga per noia o per stanchezza, per
rabbia o per disperazione, forse avverrà
che troveremo la forza e rifiuteremo di
essere viziati e consumisti, automi e nulla
più, per riappropriarci di noi stessi, ed è
quello che io cerco ogni giorno di fare.
Tuttavia se questo non avviene, accadrà
invece, e non vi sono altre alternative, che
il nostro vuoto esistenziale troverà sfogo
solo nella violenza.
Sento che c’è carenza di vita
dentro l’uomo, oggi, al vizio assuefatto,
che è invisibile veleno; vinto
troverà la forza, la purezza, l’atto,
per voltarsi da prono a supino,
per poi elevarsi, come l’Uomo antico ha fatto,
e aver negli occhi una scintilla di divino?
06/2011 AnnoIV
pierròt p.15
Francesco Martinelli
credono nel riscatto con la cospirazione.
Non parlino i giovani che continuano ad
affollare come tante pecore i provini dei
reality, che non vogliono bambini pur de-
dicandosi ai bambini, che sono interpreti
della realtà “internandosi” insistentemen-
te, credono nell’amicizia ma si accoppiano
come pachidermi tramite i social network.
Non parlino i giovani che sprecano il loro
tempo a parlare ai vecchi. C’è lontano un
bagliore di luce che indica la strada della
speranza! Solo per i fanciulli vale la pena
vivere e morire. Tutte le volte che li guardo
negli occhi questi piccoli uomini, forte è la
voglia di dire: “non diventate porci tra i por-
ci, non lo fate”. Ma come posso parlare di
male, libidine, cupidigia, avarizia, ignavia,
cattiveria, prepotenza… ad un Angelo?
E voi quando sarete pronti? Cosa aspetta
l’esercito del bene a muoversi dai quattro
angoli del mondo e avanzare? Una spada
per mille serpenti. Il tempo passa e gli An-
geli cresceranno, e allora chi avrà parlato
loro e come l’ha fatto? Ho paura che i vostri
padri non vi guardino negli occhi e non vi
parlino del male. Ho paura delle madri che
vi accudiscono cullandovi con il seme della
discordia. Ho paura che i vostri insegnanti
siano mantidi religiose. Ho paura che chi vi
catechizzi non ha mai conosciuto Gesù. Ho
paura che chi vi fa giocare vi induca in ten-
tazione e vi renda stupidi e isterici come
lo è il beffardo giocatore. Ho paura che la
televisione vi trastulli in nequizie. Ho paura
che ciò che guardate sia troppo grigio. Ho
paura che il mare non vi parli e il cielo non
vi tocchi. Ho paura che le uniche stelle da
voi ammirate siano quelle dei biscotti. Ho
paura che il teatro, la danza, la musica, lo
sport vi anestetizzino. E allora quando
tutto questo sarà compiuto aprirete i vostri
forzieri di catene e metalli ed inizierete a
distruggere. Distruggerete senza memoria
di amore. Anche Lucifero era Angelo, il
più bello, ma poi è diventato il mittente di
ogni nefandezza. Una farfalla un giorno mi
raccontò che non basta volare per essere
farfalla, anche le mosche e i pipistrelli e gli
avvoltoi volano eppure il sole non fa splen-
dere i loro colori. Non si vola perché si è nati
per volare, lei tempo addietro era stata un
bruco strisciante e peloso. Mi raccontò che
non basta saper volare per dimenticarsi la
morte, lei ben lo sapeva, infatti non fece in
tempo a posarsi su tutti i fiori del giardino
che, fissa sul tronco di un pino, stese al sole
il suo lenzuolo colorato e come un Cristo
sulla croce, in silenzio e triste, morì senza
sbattere le ali. Le formiche trovarono il suo
corpo e prima di farlo rinsecchire con gran-
de fatiche lo trasportarono sotto terra e di
lei si cibarono per lunghi inverni ma mai
dissero ai lori piccoli: “questa che mangiate
era una farfalla che con tanta fatica imparò
a volare splendidamente, ma la morte ben
presto la strappò al giardino”. Mai nessuno
raccontò la storia della farfalla, perché
chi non sapeva non poteva parlare e chi
sapeva non ne volle parlare. Io racconto a
voi quanto so della farfalla mentre le avide
formiche continuano il loro pasto ipocrita.
Non riesco più a parlare di colore, di po-
esia e le note s’incantano. Partecipo
al declino di tante vite. C’è chi vuole salvare
e cambiare il mondo. Bene si faccia avanti.
Ma non parlatemi dei giovani. Non inneg-
giate alle loro assurde ed inutili rivoluzioni.
Loro non vogliono cambiare il mondo ma
risolvere i propri problemi. Troveranno le
soluzioni ripetendo gli stessi errori, ricrean-
do nuove forme di sistema. Puntano sul si-
stema, diverso ma uguale a quello che c’era
prima. Con questa strategia si è uccisa ogni
comunità frantumandola e riducendola ad
opportunistica ideologia. Non parlatemi di
giovani che mai hanno trovato la forza di
negarsi all’errore, sono loro che dovrebbe-
ro conoscere amore e virtù e non lo fanno.
Non parlatemi di giovani che continuano
ad arruolarsi e destreggiare armi per tro-
vare un lavoro non precario. Non parlatemi
di giovani che sperano di sostituire i vecchi
per trasformare l’insana eredità ricevuta
in ulteriore vantaggio. Non parlatemi di
giovani che con ingenua meschinità e
inconsapevole ipocrisia affermano il pro-
prio ego cospargendosi il capo di alloro e
AnnoIV 06/2011
p.16 pierròt
La corrispondenza
Al Sindaco,Sig. Luigi PerroneCOMUNE DI CORATO
Dopo aver appreso dalla Sua comunicazione che non è possibile assicurare nessun contributo economico alla undicesima edizione della Rassegna di Teatro Studentesco “Città del Dolmen”, in assenza di approvazione del bilancio di previsione, e che, qualora ci fosse sarebbe comunque inferiore a quello dello scorso anno; La informo che la manifestazione non può essere svolta.
Ricordando quanto dichiarato da Lei durante la precedente edizione, in cui è stata espressa la volontà di portare avanti il progetto; conoscendo il program-ma degli interventi culturali dell’Amministrazione comunale che presentava come priorità la Rassegna; ritengo quanto accaduto poco serio e responsabile.
Ho chiesto più volte un appuntamento per confrontarmi con Lei e trovare insieme una soluzione ai problemi, cercando una complicità necessaria per poter organizzare l’undicesima edizione, ma ha preferito non incontrarmi e rispondere alle mie richieste con una comunicazione incomprensibile.
Il mio ruolo di direttore artistico che ha condotto con esasperata passione la Rassegna di per dieci anni nel rispetto delle esigenze e degli entusiasmi delle Scuole, legittima le considerazioni che di seguito esprimo spinto da una evidente delusione.
Sembra essere giunta all’epilogo una manifestazione così longeva e apprezzata sia dalle Scuole partecipanti che non hanno mai fatto mancare la loro pre-senza e con grande dedizione e professionalità si sono dimostrate sempre all’altezza delle attese, sia dal pubblico che educato e informato opportunamente negli anni, seguiva con attenzione le esibizioni.
La Rassegna di Teatro Studentesco ha creato i necessari presupposti per far proliferare i laboratori teatrali nelle Scuole del territorio e incentivare a far bene, infatti, le Scuole partecipanti alla Rassegnasi aggiudicano premi nei prestigiosi Festival nazionali e internazionali di settore in tutta Italia; grazie alla Rassegna è nata una Compagnia di teatro studentesco a Corato, e ancora, la Rassegna ha educato al teatro un sempre più vasto pubblico critico e attento.
Perché, sig. Sindaco, questo brutto epilogo?
Con semplicità sconcertante mi ha comunicato che mancano le risorse.
Posso crederci?Come può una Amministrazione non dedicare risorse così irrisorie per una manifestazione così importante? Non ci sono risorse per rendere protagonisti più di 250 studenti di buona volontà che si confrontano in modo sano e si mostrano con passione, evidenziando i loro sforzi e la loro preparazione? E’ possibile dimenticare il valore pedagogico ed educativo del Teatro? Come può una Amministrazione dedicare tanta attenzione al Teatro con iniziative importanti: ristrutturazione del teatro comunale, ristrutturazione dell’ex liceo e probabile destinazione ad uso servizi di scenotecnica e costumi teatrali, ristrutturazione delle due palazzine di fronte al teatro comunale per offrire servizi teatrali, ristrutturazione e acquisto del Palazzo Gioia per un centro culturale, concessione di un edificio pubblico (ex Imbriani) ad un ente di formazione professionale nel campo teatrale; e non riuscire a garantire le risorse necessarie per l’unica coinvolgente manifestazione teatrale esistente sul territorio cittadino?
Incredibile!
Sa bene che la manifestazione, per la tipologia dell’attività e la natura dei partecipanti, è stata sempre e interamente finanziata dall’Amministrazione comu-nale. Davvero non è riuscito a garantire un contributo per un progetto così unico e importante?
Credere è difficile.
Forse se fossi Sindaco avrei inviato la stessa comunicazione e mi sarei comportato come Lei.
E chi ci crede!
Non so se è mai riuscito effettivamente a comprendere quanto fatto in dieci anni, ma spero che prima o poi si esprima in modo chiaro e onesto, del resto da massima Istituzione nel settore della Cultura (possedendo la delega assessorile), è Suo dovere esprimere considerazioni su quanto si fa e non si fa nella nostra città per la Cultura.
Per dieci anni ho lavorato umilmente e con fatica, mettendomi al servizio di studenti, docenti, presidi, gente squisita. Sono sicuro che la comunità lo riconoscerà (gli uomini non dimenticano del tutto!), e sono altrettanto sicuro che un buon Sindaco sa apprezzare il lavoro onesto di un artista in favore della propria Città, spero trovi il modo e il tempo per farmi giungere i Suoi apprezzamenti, nel rammarico del non essere riuscito a garantire la fattibilità e continuità del mio lavoro per la Città e per le Scuole.
Continuando a credere che quanto di buono è stato fatto torni ad essere fatto, porgo cordiali saluti.
Maestro Francesco MartinelliDirettore artistico della Rassegna di Teatro Studentesco
Sentiamo doveroso pubblicare e condividere con i lettori la presente lettera scritta dal maestro Francesco Martinelli ed indirizzata al sindaco del comune di Corato in data 8 giugno 2011.
Il giorno 11 giugno il Sindaco ha convocato il maestro Martinelli nel Suo ufficio per trovare una soluzione adeguata per realizzare la Rassegna. Dopo aver riconosciuto la validità del lavoro fatto per dieci edizioni si è impegnato, in sede di approvazione di bi-lancio, a far deliberare dalla Giunta un contributo economico sufficiente per garantire lo svolgimento dell'undicesima edizione.La Rassegna di Teatro Studentesco "Città del Dolmen" sembra essere salva se pur spostata a Settembre!
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Link utili, corsi, spettacoli, concerti, mostre ed eventi di particolare interesse selezionati per voi.Articoli, recensioni, servizi fotografici, video e i numeri precedenti di “Pierròt “ da leggere direttamente sul vostro PC.
O.T. SCUOLA (Osservatorio Teatrale delle Scuole)
http://pierrotweb.wordpress.com il blog di Pierròt
PROGETTI DI EDUCAZIONE AMBIENTALEEsibizioni teatrali e attività rivolte alle Scuole Primarie e Secondarie di Secondo Grado, studiate dal Teatro delle Molliche per sensibilizzare i bambini e i ragazzi alle tematiche ambientali rappresentati presso il Parco Naturale Selva Reale di Ruvo di Puglia.Per informazioni e adesioni contattare 080.8971001
PROGETTI
LABORATORILaboratorio teatrale per bambini da 6 a 10 anni condotto da Mariangela Graziano presso la libreria Diderot di Andria.Per informazioni e adesioni contattare il 0883.550932
PROGETTO SCUOLA TEATRO
Diderot Via Lorenzo Bonomo, 27 - AndriaGuglielmi Via G. Bovio, 76 - AndriaOompa Loompa Via Cardinale Dell'Olio, 18 - BisceglieAmbarabacicicocò Via Monte Di Pietà, 55 - CoratoEdicolè Via Don Minzoni - Corato
Ritira la copia di Pierròt nelle seguenti librerie:
Il Ghigno Via Salepico, 47 - MolfettaL'Agorà Corso Cavour, 46 - Ruvo di PugliaLe città invisibili Largo La Ginestra, 14 - TerlizziLa Maria del Porto Via Statuti Marittimi, 42 - TraniMiranfù Via G.Bovio, 135 - Trani
Esibizioni finali degli allievi della Scuola delle Arti della Comunicazione del Tea-tro delle Molliche.
PROGRAMMA
22 maggio prima replica ore 19,00 / seconda replica ore 21,00NO PIGS – 2a lezionecon Graziana Bucci, Marilù Cavallo, Davide Labartino,Valeria Menduni, Dalila Morgese, Celeste Quercia,Federico Rutigliano
2 giugno ore 19,00Il principe Scontento - di Mariangela Grazianocon gli allievi della Teatroteca
4 giugno ore 19,00La pioggia e le foglie - di Alessandra Sciancaleporecon gli allievi del Corso Propedeutico di 1° livello
12 giugno ore 20,30Monologhi di Shakespearecon Monica Bisceglia, Benedetto Cassano,Domenico Dell’Olio, Lorenza Fabiano,Marianna Montingelli, Milena Napolitano,Noemi Quercia, Valeria Tamborra,Eleonora Tricarico
18 giugno ore 21,00Scene da Goldoni e Pirandellocon Giuseppe Cappelluti, Sara Fiore,Simonetta Guidotti, Irene Mintrone,Daniele Ventrella
19 giugno prima replica ore 18,30 / seconda replica ore 21,00Tartuffo di Molierecon Alessia Arcadite, Lavinia Capogna,Alessandro De Benedittis, Alessandro Maino,Stefan Victor Pirnus, Paolo Strippoli
Gli allievi dell’istituto Tecnico Commerciale “Tannoia” di Corato con l’esibizione “Il Teatro Comico” di Goldoni, partecipando al Festival di
Teatro Scolastico “Pulcinellamente” di Caserta si sono aggiudicati il Premio miglior attrice consegnato a Francesca Perrone e la Menzione
miglior spettacolo per partecipare al prestigioso Festival di Serra San Quirirco.
Alla Rasegna “Voce del Mediterraneo” di Bisceglie hanno ottenuto quattro nomination aggiudicandosi il Premio migliori costumi.
Gli allievi del Liceo delle Scienze Umane “T. Fiore” di Terlizzi hanno partecipato alla Rassegna Nazionale di Teatro Scolastico “Drama” di
Cassano Murge con lo spettacolo “Lisistrata” ottenendo il Premio miglior regia.
Teatro delle Molliche