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No all’o dioe alla violenza

L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 10-17 agosto 2017anno LXX, numero 32-33 (3.905)

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L’Osservatore Romanogiovedì 10-17 agosto 2017il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

GI O VA N N I MARIA VIAND irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

Redazionevia del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano

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«Itrafficanti di uomini stanno facendo la politicadella migrazione nel Mediterraneo» s’intitola-va un articolo apparso sul quotidiano francese«La Croix» del 30 maggio scorso. E i dati sul-la composizione dei flussi migratori resi pub-blici alcuni giorni fa lo confermano, quantifi-cando ciò che da qualche tempo stanno de-nunciando le religiose che si occupano di trat-ta. Cioè che è raddoppiato il numero di mino-ri — fra i quali prevalgono le donne — che arri-va sui barconi: minori che è difficile controlla-re, in assenza di documenti, e custodire neicentri di accoglienza, dai quali in grande mi-sura vengono fatti fuggire per inserirli in unarete di vergognoso sfruttamento. E questo nonvale solo per i minori: da tempo i missionariavvertono che i mercanti di uomini percorronoi villaggi africani della fascia subsahariana,stordendo con false promesse i giovani perspingerli a una migrazione che li porterà, do-po un calvario lunghissimo, a lavorare per ri-pagare i loro torturatori.

Questa situazione gravissima non riguardasoltanto la condizione in cui versano le vittimedel mercato di carne umana, perché i suoi ef-fetti si allargano al contesto internazionale. Dauna parte, l’immissione nei flussi migratori dimasse sempre crescenti di persone coinvolte

Migrazionie tratta

nella tratta penalizza, rendendo più costosi edifficili i viaggi, i veri migranti, cioè quelli chefuggono da situazioni disperate, di guerra,violenze endemiche, carestie. Dall’altra, creauna situazione di insicurezza e di ostilità neipaesi di arrivo, anche se questi ultimi sonocorresponsabili della tragedia accettando laprostituzione, anche minorile, e il lavoro nero.

In una situazione così complessa e difficileforse la risposta non deve essere solo quella,doverosa, di accogliere i migranti e di offrireloro un inserimento dignitoso nei paesi euro-pei, ma vi è anche l’obbligo morale di tenerepresente la piaga del mercato di esseri umaniche sta prosperando, purtroppo in modo cre-scente, attraverso le rotte mediterranee, e checostituisce una ricca fonte di guadagno illecitoper molti. Non è facile affrontare questo feno-meno, ma in primo luogo è necessaria una re-pressione efficace dello sfruttamento dei mi-granti nei paesi europei, senza esimersi da unserio controllo delle modalità di arrivo. Lemorti di tanti migranti nei naufragi, infatti,non si evitano solo con i salvataggi in mare,ma anche contrastando chi li fa partire in con-dizioni disumane e pericolose.

Quando si esce da affermazioni astratte, an-che sacrosante, per affrontare la realtà, tutto sicomplica, e occorre guardare alle situazionicon realismo. Quello per esempio dei corridoiumanitari, messi in atto in Italia e Francia daorganizzazioni cattoliche e protestanti, chepermettono di aiutare chi è in pericolo, salvan-dolo dalla tratta. Una via da percorrere conmaggiore frequenza e determinazione, comeha insegnato Papa Francesco portando con sé,al ritorno dall’isola di Lesbo, tre famiglie diprofughi. E la denuncia della tratta è uno deitemi ricorrenti del Pontefice, che proprioall’Angelus del 30 luglio ha denunciato ancorauna volta questa «piaga aberrante»: una «for-ma di schiavitù moderna» di moltissime don-ne, bambini e uomini «vittime innocenti dellosfruttamento lavorativo e sessuale e del trafficodi organi».

#editoriale

di LU C E T TA SCARAFFIA

Migranti africani tratti in salvonel Mediterraneo (Afp)

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di ANTONIOZANARDI LANDI

Sono trascorsi settantun anni dal Long Tele-gram con cui l’incaricato d’affari degli StatiUniti a Mosca, George Kennan, delineò le po-litiche del containment dell’Unione Sovieticache Washington applicò sino alla caduta delMuro. Il Long Telegram con le sue ottomilaparole (mentre il Dipartimento di stato racco-mandava di non superare le duecento) è forseil documento diplomatico più noto, studiato edibattuto al mondo, oltre che il miglior esem-pio di come un intelligente capo missioneall’estero possa influenzare in maniera deter-minante le politiche del proprio paese per unsignificativo numero di decenni.

Oggi gli Stati Uniti e un molto riluttanteTrump, che del miglioramento delle relazionicon Mosca aveva fatto un punto qualificantedella propria campagna elettorale, si trovanonuovamente davanti a forti tensioni con Mo-sca destinate probabilmente a protrarsi per an-ni. La globalizzazione e il proliferare di crisiregionali rendono oggi impensabile e inattua-bile ogni forma efficace di containment nei con-fronti della Federazione russa e il solo stru-mento di pressione a disposizione rimanequello delle sanzioni, a cui Washington fa ri-corso in maniera crescente. Questo inizia a su-scitare forti opposizioni anche da parte di al-leati europei sino a ieri perfettamente allineatisu posizioni molto critiche nei confronti diMosca.

L’inasprirsi del contrasto tra Bruxelles eBerlino da un lato e Washington dall’altro èstato causato dall’imposizione di ulteriori san-zioni americane, suscettibili di pregiudicare gliinteressi di molte società europee attive nelsettore del gas, nonché di ostacolare la realiz-zazione del North Stream destinato a traspor-tare in Germania grandi quantità di gas russo.Il ministro dell’economia tedesco Gabriel haapertamente accusato il governo statunitensedi voler limitare l’afflusso di gas dalla Federa-zione russa per agevolare la vendita di shalegas americano in Europa. Un attacco aperto

su un tema geostrategico senza precedentinell’ambito di paesi Nato.

Questa volta le sanzioni non sono solo ilmodo di arginare una Federazione russa, cheha molto esteso la sua presenza e la sua in-fluenza nel Mediterraneo e nel Vicino oriente,ma insieme all’allargamento della Nato eall’installazione della difesa antimissile in Po-lonia e nei paesi baltici rappresentano unaconcausa importante dell’innalzamento pro-

gressivo e in apparenza inarrestabile delle ten-sioni. L’espulsione di 750 cinquanta dipenden-ti dell’ambasciata americana a Mosca e degliuffici consolari, inaugurano ufficialmente unanuova guerra fredda, di cui le parate navali, lemanovre congiunte russo-cinesi e l’aumentodelle tensioni nella penisola coreana, nel marCinese meridionale e, domani, in Libia e nelGolfo sono i sempre prevedibili corollari.

In conclusione, si assiste oggi proprio a quelritorno russo nel Mediterraneo che, secondoKennan, era una delle aspirazioni di lungo pe-riodo della politica estera russa che andavano“contenute”. E si deve riconoscere che da par-te europea si è favorito questo ritorno con lacreazione di vuoti statuali in Iraq prima, in Li-bia e in Siria poi.

Un grande sforzo di realismo e di buonavolontà s’impone oggi ai leader europei, se sivuole evitare che il Mediterraneo generi «lamadre di tutte le crisi». Una soluzione potràvenir ricercata solo coinvolgendo Mosca, i cuiinteressi di lungo periodo non sono poi cosìdistanti, e Teheran, dove si è recata nei giorniscorsi l’Alto rappresentante per la politica este-ra dell’Unione in occasione dell’inizio del se-condo mandato di Rohani.

Pa r t i t adiplomatica

L’incontro a Teherantra il presidente iraniano Rohanie l’alto rappresentante dell’UeFederica Mogherini (Epa)

#ilpunto

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di ROBERTORIGHETTO

Per indicare ciò che è buono, la lingua cineseusa l’ideogramma hao, che dal punto di vistagrafico si compone del segno “donna” e delsegno “bambino”, mentre per designare la bel-lezza dell’essere umano o della natura si utiliz-za l’espressione hao-kan, che vuole dire “buo-no a vedersi”. Insomma, in cinese è chiara latendenza ad associare bellezza e bontà. Nonmolto diversamente dalla lingua greca anticache univa l’idea del bello (kalòs) e del buono(agathòs) nel termine kalokagathòs, a indicare laperfezione fisica e morale dell’uomo. L’acco-stamento è evidenziato dal poeta e filosofo ci-nese naturalizzato francese François Cheng nelvolume Cinque meditazioni sulla bellezza (BollatiBoringhieri, 2013), un insieme di riflessioni cheuniscono letteratura e religione, scienza e filo-sofia nel tentativo anche di riunire la tradizio-ne occidentale con quella orientale.

Ora il nome di Cheng torna alla ribalta ol-tralpe per l’uscita di un nuovo saggio, Del’âme, pubblicato da Albin Michel (pagine 156,euro 14), in cui lancia una sfida a quei neuro-scienziati che sono giunti ad affermare che ilcervello è pura materia. Ma il tono è tutt’a l t roche polemico o astioso: l’autore compie unexcursus sull’idea dell’anima proprio partendodal concetto e dall’esperienza della bellezza,filo rosso che attraversa tutto l’immaginariooccidentale da Platone ad Agostino fino aipoeti romantici e a Freud e Jung.

Tutti, secondo Cheng, si sono domandaticosa è l’anima ma ben pochi sono stati in gra-do di rispondere. Una difficoltà che permaneanche oggi: sia nel caso dei teologi e dei filo-sofi come degli psicologi e dei fisiologi, risaltaovunque quasi l’impossibilità a sondare l’in-sondabile, a definire ciò che è indefinibile. Ep-pure, dell’anima noi — a parte gli scientisti ra-dicali — non dubitiamo anche se non riuscia-mo a designare il suo posto preciso, o la suastessa sostanza. Una cosa è sicura, sostieneCheng: essa è legata indissolubilmente allabellezza e alla bontà. Quella bellezza che insant’Agostino scaturisce dall’incontro dell’inte-riorità di un essere e dello splendore del co-smo che per lui è il segno della gloria di Dio.

Il merito del nuovo libro di Cheng è anchedi rammentarci la distinzione biblica fra cor-po, spirito e anima elaborata da san Paolo e diripercorrere, attraverso la forma di lettere scrit-te a una giovane incontrata sulla metropolita-na, gli sforzi di pensatori e poeti alla ricercadell’anima, nella consapevolezza che se miliar-di di persone hanno creduto alla sua realtà ealla sua sopravvivenza dopo la morte è perchéessa corrisponde a un bisogno di eternità. Ilvero, il bello e il buono sono le categorie diPlatone fatte proprie da Tommaso d’Aquinoche Cheng rivisita aggiungendo la sua espe-rienza di poeta e la tradizione culturale asiati-ca in cui si sente ancora immerso nonostante

viva a Parigi dal 1949, scampato al comunismomaoista. Ma a suo parere, se pare evidente cheil vero (o la verità) sia fondamentale e che ilbene (o la bontà) sia necessario, lo stesso nonpossiamo dire della bellezza, che esiste senzache la sua necessità a prima vista appaia evi-dente. Eppure, senza la bellezza l’universo sa-rebbe fatto di automi, per buoni che possanoessere, e la vita ridotta alla categoria della pu-ra funzionalità.

Per questo per Cheng l’anima è il luogodella bellezza. Egli sa bene però — e qui emer-ge la vena cristiana del poeta cinese — che

l’anima può essere anche luogo della perdizio-ne e che la bellezza può anche rivelarsi falsa.Allo stesso modo Cheng, che quando ha presola nazionalità francese nel 1971 ha scelto il no-me di François in onore di san Francescod’Assisi, non conosce il declino dello spirito:«La mia vita è guidata dalla Provvidenza — hadetto in un’intervista a “La Croix” — e restosempre pieno di gratitudine ed emozione da-vanti allo spettacolo della bellezza».

Il luogodella bellezza

Un saggio dedicatoall’anima

#scaffale

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GIOVEDÌ 3«Non essere indifferenti al grido di dolore deicristiani del Medio oriente «che la violenzafratricida e il fanatismo religioso ha lasciatosenza una casa o costretto a fuggire dalle anti-che terre natali». È questo l’impegno centraleaffidato da Francesco ai Cavalieri di Colombo,riunitisi a Saint Louis, nel Missouri, per la 135ªconvention, dedicata al tema «Sicuri dell’amo-re e del potere di Dio». In un messaggio a fir-ma del cardinale segretario di Stato, il Pontefi-ce ha chiesto anche di difendere e promuoverela santità del matrimonio e la dignità e la bel-lezza della vita familiare».

SA B AT O 5«Nell’apprendere la notizia del decesso del

caro cardinale Dionigi Tettamanzi, desideroesprimere le mie condoglianze ai familiari e acodesta comunità diocesana, che lo annoveratra i suoi figli più illustri e tra i suoi pastoripiù amabili e amati». Lo ha scritto il Papa inun telegramma al cardinale Angelo Scola, am-ministratore apostolico di Milano, e a monsi-gnor Mario Delpini, arcivescovo eletto, in oc-casione della morte del cardinale Dionigi Tet-tamanzi, arcivescovo emerito. Il porporatoaveva 83 anni. «Ricordo con gratitudine — haproseguito il Pontefice — l’intensa opera cultu-rale e pastorale profusa da questo benemeritofratello che nella sua feconda esistenza ha te-stimoniato con gioia il Vangelo e servito docil-mente la Chiesa, dapprima come presbiteronell’Arcidiocesi di Milano, poi come Arcive-scovo ad Ancona-Osimo, Segretario dellaConferenza Episcopale Italiana, Arcivescovo diGenova, in seguito Arcivescovo della dilettaChiesa ambrosiana, infine amministratore apo-stolico di Vigevano. Sempre si distinse comepastore sollecito, totalmente dedito alle neces-

Tutte le religioni devono «pregare e lavorare insieme per la pace»cercando di ricostruire «l’armonia nelle molte parti del mondo

lacerate dalla guerra» e dal «terrorismo». È un appelloa promuovere «relazioni giuste» e «solidarietà fraterna»

quello lanciato da Francesco nella lettera ai buddisti tendairiuniti in Giappone per un incontro di preghiera sul monte Hiei

Nella mattina del 6 agosto, festadella Trasfigurazionedel Signore e trentanovesimoanniversario della mortedi Paolo VI, Papa Francescoè sceso nelle Grotte vaticaneper raccogliersi in preghieradavanti alla tombadel suo predecessore.In precedenza, la messain suffragio del Ponteficebresciano era stata presiedutada monsignor Marcello Semeraro,vescovo di Albanoe segretario del Consigliodei nove cardinali.

”Arte e natura

Riscoprire, in estate, labellezza dell’arte e dellanatura vivendo una vera epropria esperienza dipreghiera e di fede: ecco laproposta che Francesco havoluto suggerire con il videodell’intenzione per il mesedi agosto, diffusa sul sitointernetwww.popesprayer.net dallaRete mondiale di preghieradel Papa.

L’Angelus domenicale

sità e al bene dei sacerdoti e dei fedeli tutti, —ha concluso Francesco — con una peculiare at-tenzione ai temi della famiglia, del matrimonioe della bioetica, dei quali era particolarmenteesp erto».

DOMENICA 6Un’esortazione a ripercorrere le orme dei di-

scepoli che salirono con Gesù sul monte Tabore ne discesero «con occhi e cuore trasfiguratidall’incontro con il Signore» è stata rivolta dalPapa ai fedeli presenti in piazza San Pietroper l’Angelus della festa della Trasfigurazione.Commentando come di consueto il vangelodomenicale, Francesco ha descritto l’avveni-mento di cui furono testimoni gli apostoli Pie-tro, Giacomo e Giovanni, come «un messag-gio di speranza» che «invita a incontrare Ge-sù, per essere al servizio dei fratelli». In pro-posito ha invitato a “scendere dal monte” «p ertestimoniare la carità», specialmente verso chisoffre o si trova «nella solitudine e nell’abban-dono», gli ammalati e gli uomini e le donne«umiliati dall’ingiustizia, dalla prepotenza edalla violenza». Infine il Papa ha parlato dellevacanze estive, ricordando quanti non possonofarle «perché impediti dall’età, da motivi disalute o di lavoro, da ristrettezze economicheo da altri problemi».

Nello stesso giorno l’invito ad «ascoltarecon sempre maggiore attenzione la chiamatadel Signore» al fine di «rispondere con fede econ coraggio alla propria vocazione» è statorivolto dal Papa ai giovani riuniti a Yogyakarta(Indonesia) in occasione della VII Asian YouthDay. Nel messaggio — a firma del cardinale se-gretario di Stato — letto nel corso della messache ha concluso l’appuntamento, il Ponteficeha spronato i giovani, che si stanno preparan-do alla prossima giornata mondiale della gio-ventù, a ispirarsi a Maria nel loro voler esserediscepoli missionari, «a parlare con lei comefarebbero con una madre e ad affidarsi semprealla sua amorevole intercessione».

#7giorniconilpapa

Marc Chagall, «Il violinista blu»(1947, particolare)

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schierati davanti alla porta resteranno a difesadella casa, che Dio li aiuti!

Era così tranquilla la nostra città, ci si ri-spettava, ognuno al suo posto, i nobili coman-davano gli altri obbedivano, e si stava in pace.Ma poi i Mercanti, che sono del Maligno, en-trarono in rivolta cominciando a incendiare lecase dei signori, ad ammazzare, a sforzare, arubare. Per questo stiamo fuggendo, già trecarri ci precedono sulla via di Perugia, coipanni gli argenti i tappeti gli arazzi e gli arne-si. Là saremo salvi, i Perugini sono dalla no-stra parte. Fanno la guerra ad Assisi perchétutto torni come prima, e sapranno abbassarela cresta ai ribelli, io lo so, l’ho letto sullechiare d’uovo, gli assisani verranno trascinatiin catene e chiederanno pietà ma noi non neavremo, in molti moriranno.

Il nostro carro è pronto, con l’o rc i odell’acqua, provviste e trapunte per ilviaggio. Le grida della masnada siavvicinano, «Di corsa, di corsa!Sul carro!».

Quel codardo di Alduccio, il

«Chiara! Fermati! Chiaraaa!!!».«Senza di lei non vengo!».Messere la afferra per la veste ma lei sguscia

via, e con un tuffo agguanta la volpe — il pa-dre afferra entrambe, le porta via correndomentre il muro cade di schianto dietro di loro,rovinando sui tigli.

I servi fanno scudo alla nostra partenza e fi-nalmente via, a rompicollo giù per la discesadi Santa Maria degli Angeli. Due uomini discorta ci galoppano dietro armati di mazza edi spada, il vento ci gela la faccia.

Chiara stringe la suavolpe, il padre è adi-rato con lei. Perpoco non ci facevaammazzare tuttiquella stordita,

«P

fratello Francescosorella Chiaraun romanzo di BARBARA ALBERTI

Il lamento della balia

#feuilleton

resto, più presto! — gridava messerFavarone — stanno arrivando!».

...E ci tocca scappare come la-dri, di notte, nell’urlo del vento,le ruote fasciate di pelli per non

essere uditi — la nostra spia, un famiglioche ha amici fra i nemici, ha avvisato ilpadrone che il pericolo è grave, che lamarmaglia s’è mossa per assalirci, e giàdalla strada del monte s’intravede un

bagliore di torce in cammino... Quattro arcieri

chiunque al suo posto l’avrebbe battuta. Ementre frusta i cavalli le grida con rabbia chese la mangerà arrosto, la sua volpe. Ma Chiaraquasi sorride, sapendo che quell’omone impe-rioso l’ha troppo cara per darle un tal dispia-c e re .

L’ho tirata su io, quella bambina. Ha tuttele grazie del mondo, la natura l’ha fatta avve-nente, e mai Dio seppe meglio disegnare unnaso, una bocca, degli occhi.

Ma è tanto cocciuta, e se si mette in testauna cosa non gliela levi manco col martello.Strana da subito. Fino a quattro anni non dis-se parola, e la credemmo muta. Poi d’un trat-to, si mise a cantare il Te Deum che sentivasempre in chiesa. La religione la incantava. Lepiacevano le mie filastrocche sulla Gallina Paz-za, ma più le storie di angeli e santi che lenarrava sua madre.

Anch’io sono cristiana, e battezzata, ma leil’ha presa troppo sul serio quella storia, lei cre-de che Gesù ascolti ogni uomo nel mondo, eche ognuno di noi gli sia infinitamente caro.Invece io penso che Egli ascolti poco, e a ca-so, se no non sarebbe mai morto il mioAnnibale, dopo tutte le preghiere per salvarlo.Ma Chiara da piccola ci parlava, proprio, conGesù, come con uno dell’età sua. Non che luile rispondesse, ma lei gli raccontava tutto, ilbene e il male. Aveva sette anni la prima voltache divise il suo pasto in due, dicendo Questaè la parte di Gesù. E mi incaricò di portarla

paggio, ci salta per primo senza riguardi, Mes-sere aiuta a salire le donne e ci alza come fu-scelli una ad una, Ortolana sua moglie, ChiaraAgnese e Beatrice, le figlie, Bice la servettaleggera di corpo e di testa, e anche me, chepeso come uno staio di grano. Agnese piangedi pena nel lasciare la sua finestra sotto laquale passava un giovinetto, e alzava lo sguar-do. Ma Chiara non piange, il suo bene lo por-ta con sé: una volpetta del Subasio, che strin-ge fra le braccia e quella si divincola, «Buona,Ave, buona» — ma è sempre più inquieta, per-ché Bice, anche ora che trema di paura non ri-nuncia ai dispetti, e di nascosto le tira la coda,e Chiara a fatica riesce a trattenerla, «Buona,Ave, sta’ ferma»...

Poi tutto precipita, gli assalitori hanno pre-so la casa dal retro, a colpi d’ascia sfondano ilportale, entrano con turpi grida, incendianotutto, i servi resistono, chi afferra uno scudosenza corregge, chi una porta scardinata, chiun maglio un forcone o la frusta, un arciereviene abbattuto, gli altri saltano sul muro permirare dall’alto, il padrone sale a cassetta al-zando la frusta, finalmente, si parte!... ma inquella la volpe di Chiara sguilla via dalle suebraccia, non meno veloce Chiara salta a terra ela insegue, il padre le urla «Torna indietro!».

Ma lei rincorre la volpe che sfreccia verso lacorte ove infuria la lotta, il muro è già in fiam-me, messer Favarone salta giù furibondo, men-tre lei chiama «Ave, Ave!...».

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Francesco va alla guerra. Combatterà dalla par-te dei mercanti contro Perugia.

È innamorato del bel gesto, imprudente co-me Rolando, vanesio come Lancillotto. Loesalta lottare per la giustizia contro la prepo-tenza dei nobili, gli arroganti padroni dellacittà. È figlio di un mercante e di una grandama. Pietro Bernardone, suo padre, s’è fattoricco vendendo panni, di cui è raro intendito-re. Vent’anni prima, con una partita di brocca-ti, riportò dalla Francia anche una bella sposa.

Francesco ha imparato a leggere sui romanzicortesi, e lì ha trovato il disegno dell’uomoideale che vorrebbe essere, come lo descriveChrètien de Troyes. ...il conte è uomo siffatto chenon ascolta parola sciocca né scherzo villano. Ilconte ama la retta giustizia, la lealtà e la SantaChiesa. Aborre ogni vile azione, è generoso più diquanto si sappia.

Francesco va alla guerra come a una giostra.Non ha mai ucciso nessuno, quel che gl’im-porta è ben figurare. Nelle compagnie di beigiovani è lui il più allegro, il più cavalleresco,il più generoso e pronto allo scherzo. Ma an-che il più orgoglioso, sempre preoccupatod’essere il primo, e di non venire superato.

Stavolta nessuno gli starà alla pari: perscendere in campo s’è fatto copiare l’armaturadel Cavaliere Vermiglio, conquistata con valoreda Perceval il Gallese, che indossandola mainon fu vinto.

L’armatura è pronta, scintillante e marziale,fa paura solo a vederla. Nei romanzi il guerrie-ro vien sempre vestito dalla damigella più va-ga, ma le ragazze da taverna che frequenta luisarebbero poco adatte. Non avendo altra da-ma, prega la madre di attendere alla vestizio-ne, ciò che lei fa di buona voglia.

E tutto accade come nei romanzi.Madonna Pica gli infila il giaco a triplice ma-

glia forgiato da mani sapienti, gli allaccia i cal-zari di ferro con le corregge di cervo, gli pone sulcapo l’elmo dorato, gli cinge al fianco la spada eordina che gli sia condotto il cavallo, un saurocon la sella di porpora. Sull’avorio degli arcioniera intagliata la storia di Assisi, regina dellecolline (Chrétien de Troyes).

Fischio, il suo cavallo, per la guerra loha rinominato Gringalet come quello diGalvano, nipote di Artù — ma solo incuor suo, per evitare motteggi, ché èmolto sensibile al ridicolo, e mai se necoprì un Cavaliere della Tavola Ro-tonda. Gringalet è il compagno d’ar-me, l’amico, negli occhi di lui sispecchia l’anima sua.

E va, come fosse l’eroico Ivano, ol’Orgoglioso della Landa o Sagre-mor l’impetuoso, o tutti insieme.

Del suo valore non dubita, marimette a Dio le sorti della batta-glia. Di una cosa, però, è certo:fra tutti sarà il più elegante.

fratello Francescosorella Chiaraun romanzo di BARBARA ALBERTI

Francesco va alla guerra

agli affamati. Io le dissi ma come ti salta inmente? E lei, tranquilla «Me l’ha detto Gesù».

«Ti ha parlato?».«No, ma si fa capire lo stesso».Da allora, ogni giorno di nascosto si priva

del cibo per mandarlo ai poveri. I primi tempime lo mangiavo io, ma poi lei volle conoscerei mendicanti, e mi avrebbe scoperta. La padro-na lo sa e le tiene bordone, ma quella è un’al-tra che a lasciarla fare smucchierebbe in unamen la fortuna del marito, per le opere di be-ne... opere di male, dico io, soldi rubati alla fa-miglia. Ho fatto la spia a Messer Favarone,che s’è molto alterato e quasi stava per battereChiara, che certe volte le strappa dalle mani.Ma non la tocca, sa che gli costerebbe l’a m o redi sua moglie. Fa certi discorsi, col padre,quella ragazza! Chiunque altro le chiuderebbela bocca. Ieri c’era la neve, Chiara vide inchiesa una disgraziata che tremava di freddo, ele diede il suo manicotto di pelliccia. Lo riferiial padre, che uscì dai gangheri.

«Tu getti ai miserabili gli abiti di gran prez-zo che io ti regalo!».

«Caro padre, c’era un grande freddo. Ioavevo il manicotto di martora, quella fanciullano, e mi sembrò di averlo sottratto a lei. Cosìgliel’ho restituito».

«Restituito? Oh santo Iddio... ma quella èun’altra razza! I ricchi coi ricchi, i poveri coip overi».

«Dio creò l’uomo e la donna, non il ricco eil povero. Questa differenza l’hanno fatta gliuomini».

«Zitta, lingua lunga!».Il padre ha proibito a Chiara di parlare ai

mendicanti e di dare elemosine. Quando lascopre la punisce, ma lei continua. E se mimanda con vesti o danaro, mi prega d’essercortese nel porgerli, perché sono loro che fannoun favore a noi, ricordalo, balia. Sì, sta fresca!So ben io come trattarli quei fannulloni pen-dagli da forca, e faccio pagare loro con le mieingiurie ogni pezzo di pane. È strana in tuttola mia Chiara, si cura poco di vesti e monili, eanche ciò è disdicevole per una giovinetta delsuo rango. I genitori sono troppo indulgenti,ma ci penserà presto un marito a farne una ve-ra dama.

Viaggiammo per vie impervie, traversandopetraie e torrenti, nel timore di incontrare isoldati, e avemmo fortuna. Arrivammo in vistadi Perugia al tramonto. La città risplendeva diluce rossa in tutta la sua magnificenza, e ciparve di vedere le torri del paradiso. Eravamoin salvo.

#feuilleton

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fratello Francescosorella Chiaraun romanzo di BARBARA ALBERTI

Un marito per Chiara (Chiara loquitur)

vanti a sé chissà quali prati, e sogna. Lei soffre più della balia,ma non sa dirlo. Addio belle fughe per i giardini di Assisi. Quila teniamo prigioniera, nella città sconosciuta si perderebbe.Ave non è una bestia molto per bene, ha parecchi vizi che deri-vano dalla sua natura. Fosse libera correrebbe dietro alle galli-ne, ma qui, da captiva, è ghiotta di dolci, e questo la fa ladra.Ma quando sente la musica potrebbe passarle davanti il cibopiù eccelso, e nemmeno lo vedrebbe. Anche Beatrice, la picco-la, che sa appena parlare, il diletto della musica intende piena-mente.

Come quando eravamo ad Assisi, con Agnese giochiamo allaBibbia. Oggi le leggo il libro di Esther, di come la più poveradiventi regina, essendo la più accorta. Attente, soffrendo, se-guiamo la vicenda: come se il Libro dovesse per un capricciomalvagio contraddire se stesso, io e mia sorella temiamo per lasorte di Esther. Fremiamo agli intrighi contro di lei, finché nonregna assoluta sul cuore di re Assuero, e il suo nemico è punito:

allora gettiamo un grido di giubilo che fascodinzolare Ave (ama l’allegria).Ma ancor più ci piace mettere in scena le

storie del Vangelo, coi pupazzi di legno dagliarti snodati che vengono da Palermo, e si

muovono coi fili. Oggi rappresentiamo la Visi-tazione, una pagina tutta di festa. Io darò voce a

Maria, Agnese a Elisabetta. Vestiamo i pupazzi disete celesti, e faremo viaggiare la Santa Vergine,che ha già in sé Gesù, nel lungo cammino da Na-zareth ad Ain-Karim pieno di insidie, dai lupi ailadroni. Ma sempre un angelo la salva. FinchéMaria bussa alla porta di Elisabetta, che per graziadivina è anche lei fecondata, e Giovanni per lagioia le sussulta nel grembo. L’Angelo sopra di lo-ro le benedice, cantando il Magnificat. Ma noi sia-mo in due, ci vuole un terzo per l’Angelo.

«Io, io! — grida Beatrice, ma ètroppo piccola per reggere i pupi, echiamiamo Bice, la servetta, — Bice,fai l’angelo!». Lei accetta di malgar-bo, e mentre lo fa volare impiglia ifili, l’angelo cade, si rompe una ma-no.

«Bice, che hai? Non ti va di gio-care con noi? Perché sei semprescontenta?».

«Perché l’hai viziata! — esclama labalia — più le fai del bene più si ri-volta questa villana, questa in-grata!».

Ciò che pensa Bice, la servettaCosì dice la balia, che è gelosa di me per le attenzioni di

Chiara. Ma ha ragione. La bontà di Chiara, io, la disprezzo. Èfacile essere buoni, quando si è ricchi. E poi, mi confonde.Vuole che io abbia le stesse cose che ha lei, stessa mensa, stesseore di sonno. Ha preteso perfino d’insegnarmi a leggere e scri-

vere, che me ne faccio? E dice che siamo uguali. Ma non è ve-ro, lei ha tutto io niente, lei sposerà un conte e io, nemmenoAlduccio mi vuole. Mi prende a volte contro una porta, di fret-ta, ma ride di me se parlo di nozze onorate, Come osi? Io sonoun paggio! Non mi abbasso di rango. Se mi sposo voglio una più inalto di me, no una serva. Mi invita a giocare, Chiara. Che ne sadel mio inferno? Io so che la sua affezione è sincera: si prendeanche questo lusso. Ma il mio lusso sarebbe stare io al postosuo e lei al mio, e la tratterei male notte e giorno, se no che si èpadroni a fare? La odio perché non ho niente da darle in cam-bio. È facile, dare. Ma per prendere, bisogna essere santi. Comeesserle grata di benefici che non posso né ricambiare né rifiuta-re? Ella mi ama, e mi umilia. Vorrei che morisse.

Parla ChiaraIrrompe Alduccio, trafelato, che porta nuove della guerra, e

accorriamo a sentirle.Un manipolo di armati di Assisi s’è scontrato con venti sol-

dati di Perugia, e li ha uccisi tutti. Poco più di una scaramuc-cia, ma adesso si sono tutti imbaldanziti, e ne fanno il presagiodella grande battaglia che si combatterà presto a valle, a metàstrada fra Assisi e Perugia. Quella battaglia deciderà le sortidella guerra. Il padre e la madre si scambiano uno sguardo gra-ve, e si appartano in un’altra stanza.

«Non torneremo mai a casa!» geme la Balia, e a occhi chiusirivede le piazze di Assisi nei giorni di fiera, coi suonatori di pif-fero, i vasai, gli ortolani, i fabbri, i liutai, i venditori di donno-le, quando ognuno attendeva al proprio mestiere. E tutto rim-piange, tutto, perfino le greggi di pecore che tornavano al tra-monto, e il suono dei loro ciondoli si mischiava all’eco lontana deicampanelli dei lebbrosi fuori cinta, che non potevano entrare, pergrazia di Dio, se no ci impestavano a tutti. E piange, piange.

Passando davanti alla sala dove si sono ritirati i miei genitori,li sento parlare di me, e furtiva li ascolto. Dice il padre «È bel-la d’aspetto la nostra Chiara, e d’intelletto ancora più bella. Èora di darle marito».

E la madre «Ma gioca ancora coi pupi…».«Anche tu ci giocavi quando ti trassi in moglie, e per me li

lasciasti volentieri».«Vuoi che ci separiamo da lei?».«Ortolana, amica mia, se dovessi ascoltare il cuore la terrei

sempre con me! Quando ho vicina la mia figliola, per me ilmondo non vale una biglia. Ma ha già 12 anni, converrà prestoche cambi di stato. Se — Dio non voglia — Assisi vincerà laguerra dovremo restare in esilio, e se non ci imparentiamo conuna potente famiglia di Perugia, saremo visti come estranei.Chiara deve andare sposa a un nobile giovine di Perugia. La re-lazione più stretta l’abbiamo coi Michelotti. Il figlio è un giova-ne valente, anche se inclina un po’ troppo al suo paggio, mason cose da ragazzi, col matrimonio passano. Abbiamo però re-lazioni cordiali anche coi Brufani. Altiero, il primogenito, è unattaccabrighe da taverna, ma di solide risorse. E se non dovessi-mo accordarci con l’uno o con l’altro ci sono sempre gli Acerbi,i Boncambi, i Mezzasoma, tutti con eredi maschi».

Così, mi vogliono maritare. Il matrimonio è una così poveracosa. I padri giocano con noi a scacchi, muovono il cavallo el’alfiere. L’erede dei Brufani? Ben altro sposo voglio io! La miaambizione è così grande, che al confronto quella di mio padre èun gioco di bambini. Ma verrà il tempo. Per ora silenzio contutti, anche con Agnese, che è metà della mia anima. Dei lorodisegni non mi do pensiero. Il Vangelo ha una risposta perogni cosa: Non ti affannare per il domani, il domani si affanneràdi se stesso. E torno a giocare coi pupi di legno, che la sorellami aspetta.

I guerrieri a cavallo sfilano in solenne parata, per farsi ammi-rare. Francesco risplende con l’armatura vermiglia, che ai raggidel sole manda lampi. È il migliore, anche nella grazia di stareagilmente in sella, sotto quel peso. Guarda i compagni che sichiamano Cecco, Bernardo, Fiorentino e si ritrova nel libro: Perprimo, avanti tutti, dev’essere nominato Erec figlio di Lac. Secondo,Lancillotto del Lago. Terzo Gorneman di Gorhaut e quarto il BelCodardo. Quinto il Brutto Ardito, sesto Melian de Lis, settimoMauduit il Saggio, ottavo Dodinel il Selvaggio. Gandelius sia no-

minato decimo, perchéin lui erano molte vir-

tù. Undicesimo Ivanoil Bastardo, dodice-

simo Tristano chenon rise mai(Chrétien deTro y e s ) .

D all’altura i ca-valieri assisani ve-dono marciarel’esercito nemicoche copre mezzapianura, e avanzacon strepito battendole daghe sugli scudi.Poi uno squillo ditromba, e tutto tacequel mare di uomini, e

si ferma.Davanti alla moltitudi-

ne sfilano i cavalieri di Pe-rugia, levando il viso ardita-

mente verso quelli di Assisi. So-no così vicini che si vedono le ar-

mature, e Francesco le passa in rassegna, non vi sia mai un ap-parato più fastoso del suo! Cerca il nemico da eleggere, e final-mente lo vede: quello laggiù — il cavaliere arrogante e vanesioche va avanti e indietro come ci fosse solo lui al mondo, conl’elmo brunito guarnito di piume di pavone che ondeggiano alvento, lo scudo azzurro traversato da una banda d’oro — piùsmodato di lui nello sfarzo, come lui inquieto, come lui affama-to di gesta che gli diano la gloria, sì da finire in una canzone. Ècon lui che si deve misurare, gli manca solo il nome.

Francesco alza la visiera, e chiede a Bernardo «Chi è quelbuffone pennuto?».

«Un merlo al quale strapperemo le penne».Francesco continua a fissare il perugino, quel suo fare odioso

gli ricorda qualcuno. Ed ecco, al cavaliere-pavone si affianca unnano su un mulo albino, e insieme, come uomini di nessunacortesia, alzano le mani ferrate verso i nemici, e gli fanno le fi-che: è lui! Francesco in quel gesto lo riconosce è lui, propriolui! Altiero Brufani, il suo sconcio rivale, l’uomo che più vor-rebbe morto, il vile che non si degnò d’accettar la sua sfida, dalquale subì l’affronto più grave (l’unico, ché fin lì era stato soloapplaudito, dalla famiglia, dai compagni, dalle dame). Final-mente avrà la sua vendetta, ora sì che in lui prende fuoco ilguerriero, di Assisi e Perugia non gli importa più un’oncia, el’impresa diventa gagliarda. Scenderà in campo per gettare Al-tiero Brufani nella polvere. E anche Meleagant, il perfido nano,avrà la sua parte. Lo rivede come fosse ora il loro incontro,quella sera ad Assisi così fitta di stelle.

Francesco cadde come in un sogno, e rivide se stesso.

h Chiara, la nostra bella casa di pietra rosa che regnava sullavalle, la rivedremo mai più?».

«La casa siamo noi. Non piangere, balia. È bella anchequesta, e sta diventando lo specchio di quella che abbiamolasciato. Poco a poco tutto si ricrea, la sala da pranzo equella della musica. Di sera Agnese suona il flauto io laviella, la madre canta Amors de terra londhana, il fuocoarde chiaro davanti a noi, il padre si consola, e ancheAve ci ascolta con le sue orecchie a punta».

Ave è una volpe musicale, ascoltando guarda da-

Scegli il tuo nemico

Fra poco ci sarà la battaglia. L’Alta Valle del Tevere è tuttaverde e fiorita, chiama alla vita. Prati di viole aspettano icorpi degli uccisi. L’esercito di Assisi ha occupato la cimadi Collestrada, per la posizione è in vantaggio. Tutto èpronto. I Fanti con le lance di frassino, i Balestrieri colfalco in spalla che porta bene nel tiro, i Guastatori armatidi zappa e di scure, i Villani del Fuoco, con gli elmi dicuoio rosso e le fiaccole in pugno, Gli Arcieri dagli scudigrandi come porte dipinte dei colori di Assisi, il blu ilbianco e il rosso.

#feuilleton

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Fviella canta una ballata d’amore di sua inven-zione, e tutti tacciono, per la commozione del-le parole e della voce. Nelle case vicine la gen-te si sveglia, ma invece di protestare scende asentirlo. Francesco gareggia per una dama im-maginaria, che forse ascolta dietro una finestrachiusa, mentre l’amante dorme, e non sa cheper una canzone l’ha perduta. «Chi sarà lamia dama?» si chiede Francesco, e la disegnanella notte.

Leonetta ha occhi solo per lui, ma Egidionon è geloso, anch’egli è rapito dal canto. Or-mai è certo che Francesco sarà il primo, e nes-suno può contendergli il premio. Ma ecco, ungiovane vestito di velluto verde, bello come unolmo, con una viella in mano e l’a rc h e t t onell’altra si fa strada, chiedendo dientrare in gara. Viene riconosciuto,la folla con reverenza gli fa ala.È Guglielmo Divini, il più fa-moso dei trovatori, incorona-to re dei versi e della cetradall’imperatore Federico.Nessuno può stargli a pa-ri. Francesco è sdegnatoche costui venga a rubarglila scena, e lo sfida con pa-role pungenti, cui l’a l t rorisponde in rima.

Le regole della cortesiavogliono che all’intruso siapermesso di entrare in liz-za. Egli canta una ninnananna d’amore in linguasiciliana, e il pubblico sidivide: chi parteggia per l’uno chi per l’a l t ro ,alcuni gridano «Francesco!». Altri «Gugliel-mo!».

Ma quando tocca di nuovo a Francesco, taleè la sua maestria che il re dei versi viene di-menticato, e la folla acclama lui soltanto, gli siavvicina fremente, vuole toccarlo. Un alto gri-do di giubilo si leva quando Leonetta gli con-segna il premio, un astore rosso dal collared’argento, addestrato per la caccia. Francescose lo mette sulla spalla, e pregato comincia unaltro canto, la storia di un perduto amore, cosìmalinconico e bello, che alcuni piansero. Gu-glielmo Divini per la rabbia era diventato ver-de come la sua veste.

Per tutto il tempo un uomo a cavallo, na-scosto nell’ombra, aveva spiato Francesco, pie-no d’invidia. Della bella voce, della grandeeleganza, del vasto cerchio d’amore che avevaintorno. D’un tratto in quel luogo pieno dicortesia lo sconosciuto lanciò il suo cavallo algaloppo e irruppe gridando «Cos’è questochiasso?».

fratello Francescosorella Chiaraun romanzo di BARBARA ALBERTI

Assisi due anni prima

#feuilleton

rancesco e i suoi compagni devono eleg-gere il re dei trovatori. Per la tenzonehanno portato fuori tavoli e seggi, i servidi Francesco servono il vino e tengonoaccese le torce, mentre ognuno della bri-gata esegue la sua canzone. L’amante diEgidio, la bella Leonetta, giudicherà ilvincitore. Solo due sono rimasti in lizza,Francesco e Bernardo. Bernardo cantaBertrant de Born suonando la ribeca, eviene apprezzato. Francesco suonando la

sere un mercante, e troppo orgo-glioso... ma guarda che bei pannidi scarlatto e di seta... e il manto foderato di vaio, vale anche dipiù... Ma hai un bel vestirti daprincipe, resti sempre uno zo-tico!».

(Zotico, a me? Che sono più raf-finato di Artù, preveggente comeMerlino? Zotico al re dei trovatori?Te lo faccio vedere io, brutto mu-so!).

Francesco si lancia verso dilui, la mano va al pugnale, convoce maschia lo sfida a duello.Altiero Brufani lo guarda dall’al-to e ride, superbo.

«Io, duellare col figlio di unmercante?». «Vigliacco!».

Francesco cerca di disarcionar-lo, ma quello impenna il cavalloe grida «Non mi batto con chinon è cavaliere!».

Poi porge le terga e scappa colnano, che la piazza è tutta perFrancesco, rumoreggia, e avrebbe la peggio.

Quel rifiuto ha sempre bruciato a Francescoe ora, ecco, sia benedetta la guerra, è venuta laresa dei conti. Voglio vedere, adesso se ti batti.Siamo tutti cavalieri, in battaglia.

(1 continua)

Francesco, sdegnato, depose la viella. «Echi sei tu che m’interrompi, villano?».

«Altiero Brufani da Perugia, cavaliere e con-te. E ti ordino di piantarla con questi canti daubriaco».

I due elegantoni si misurano con lo sguar-do. Altiero è geloso perché l’altro è più ammi-rato di lui e meglio vestito, Francesco è gelosoche l’importuno sia più bello, anche se la suascortesia è tale, da far torto alla sua bellezza.Si trova davanti la scimmia di se stesso, e siinfuria.

«Ci vieni da Perugia a dare ordini? Vattene,s t r a n i e ro » .

Altiero ghignò. In quella, trottando su unmulo albino lo raggiunse il suo nano, più ar-rogante del padrone, e per scherno lanciò unamoneta a Francesco. Il padrone ne rise:«Benfatto, Meleagant!».

Meleagant? Come il nano in Erec edEnide di Chrétien de Troyes? Dal nomeche ha dato al nano, Francesco capisceche il bellimbusto ha letto i suoi stes-si romanzi, e anche di questo si of-fende. Intanto il cavaliere si acco-sta, e lo insolentisce.

«Sei troppo liberale per es-

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Abbiamo sentito la reazione dei commensali diSimone il fariseo: «Chi è costui che perdona an-che i peccati?» (Lc 7, 49). Gesù ha appena com-piuto un gesto scandaloso. Una donna dellacittà, conosciuta da tutti come una peccatrice,è entrata in casa di Simone, si è chinata ai pie-di di Gesù e ha versato sui suoi piedi olio pro-fumato. Tutti quelli che erano lì a tavola mor-morano: se Gesù è un profeta, non dovrebbeaccettare gesti del genere da una donna comequella. Quelle donne, poverette, che servivanosolo per essere incontrate di nascosto, anchedai capi, o per essere lapidate. Secondo lamentalità del tempo, tra il santo e il peccatore,tra il puro e l’impuro, la separazione dovevaessere netta.

Ma l’atteggiamento di Gesù è diverso. Findagli inizi del suo ministero di Galilea, Egliavvicina i lebbrosi, gli indemoniati, tutti i ma-lati e gli emarginati. Un comportamento delgenere non era per nulla abituale, tant’è veroche questa simpatia di Gesù per gli esclusi, gli“into ccabili”, sarà una delle cose che più scon-certeranno i suoi contemporanei. Laddove c’èuna persona che soffre, Gesù se ne fa carico, equella sofferenza diventa sua. Gesù non predi-ca che la condizione di pena dev’essere sop-portata con eroismo, alla maniera dei filosofistoici. Gesù condivide il dolore umano, equando lo incrocia, dal suo intimo prorompequell’atteggiamento che caratterizza il cristia-nesimo: la misericordia. Gesù, davanti al dolo-re umano sente misericordia; il cuore di Gesùè misericordioso. Gesù prova compassione.Letteralmente: Gesù sente fremere le sue visce-re. Quante volte nei vangeli incontriamo rea-zioni del genere. Il cuore di Cristo incarna erivela il cuore di Dio, che laddove c’è un uo-mo o una donna che soffre, vuole la sua guari-gione, la sua liberazione, la sua vita piena.

È per questo che Gesù spalanca le braccia aipeccatori. Quanta gente perdura anche oggi inuna vita sbagliata perché non trova nessunodisponibile a guardarlo o guardarla in mododiverso, con gli occhi, meglio, con il cuore diDio, cioè guardarli con speranza. Gesù invecevede una possibilità di risurrezione anche inchi ha accumulato tante scelte sbagliate. Gesùsempre è lì, con il cuore aperto; spalanca quel-la misericordia che ha nel cuore; perdona, ab-braccia, capisce, si avvicina: così è Gesù!

A volte dimentichiamo che per Gesù non siè trattato di un amore facile, a poco prezzo. I

vangeli registrano le prime reazioni negativenei confronti di Gesù proprio quando lui per-donò i peccati di un uomo (cfr. Mc 2, 1-12).Era un uomo che soffriva doppiamente: per-ché non poteva camminare e perché si sentiva“sbagliato”. E Gesù capisce che il secondo do-lore è più grande del primo, tanto che lo acco-glie subito con un annuncio di liberazione:«Figlio, ti sono perdonati i peccati!» (v. 5). Li-bera quel senso di oppressione di sentirsi sba-gliato. È allora che alcuni scribi — quelli che sicredono perfetti: io penso a tanti cattolici chesi credono perfetti e disprezzano gli altri... ètriste, questo... — alcuni scribi lì presenti sonoscandalizzati da quelle parole di Gesù, chesuonano come una bestemmia, perché soloDio può perdonare i peccati.

Noi che siamo abituati a sperimentare ilperdono dei peccati, forse troppo “a buonm e rc a t o ”, dovremmo qualche volta ricordarcidi quanto siamo costati all’amore di Dio.Ognuno di noi è costato abbastanza: la vita diGesù! Lui l’avrebbe data anche solo per unodi noi. Gesù non va in croce perché sana i ma-lati, perché predica la carità, perché proclamale beatitudini. Il Figlio di Dio va in croce so-prattutto perché perdona i peccati, perché

vuole la liberazione totale, definitiva del cuoredell’uomo. Perché non accetta che l’e s s e reumano consumi tutta la sua esistenza con que-sto “tatuaggio” incancellabile, con il pensierodi non poter essere accolto dal cuore miseri-cordioso di Dio. E con questi sentimenti Gesùva incontro ai peccatori, quali tutti noi siamo.

Così i peccatori sono perdonati. Non sola-mente vengono rasserenati a livello psicologi-co, perché liberati dal senso di colpa. Gesù fa

La Chiesa è fattadi peccatori

Al l ’udienzag e n e ra l e

il Papa parladel perdono

Andrea Marie Brueck«Il giardino del perdono di Dio»(2010)

#catechesi

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Auspicando «che cessi ogni forma di odio e diviolenza» il Papa ha riportato al centro della scenainternazionale gli attacchi alle comunità cristiane inNigeria e nella Repubblica Centrafricana. Altermine dell’udienza generale il Pontefice halanciato un nuovo accorato appello per «i nostrifratelli e sorelle» dei due paesi dell’Africa esortandoi pellegrini presenti nell’Aula Paolo VI a pregare perloro. «Sono rimasto profondamente addolorato —ha confidato — dalla strage avvenuta domenicascorsa in Nigeria, all’interno di una chiesa, dovesono state uccise persone innocenti». Da quil’auspicio che «non si ripetano più crimini cosìvergognosi, perpetrati nei luoghi di culto, dove ifedeli si radunano per pregare». E purtroppo — haaggiunto al testo preparato — stamattina è giuntanotizia di violenze omicide nella RepubblicaCentrafricana».E saranno venticinque studenti universitari diAbuja, presenti nell’aula Paolo VI, i primi atestimoniare al popolo della Nigeria il dolore di

Avemaria africana

molto di più: offre alle persone che hannosbagliato la speranza di una vita nuova. “Ma,Signore, io sono uno straccio” — “G u a rd aavanti e ti faccio un cuore nuovo”. Questa è lasperanza che ci dà Gesù. Una vita segnatadall’amore. Matteo il pubblicano diventa apo-stolo di Cristo: Matteo, che è un traditore del-la patria, uno sfruttatore della gente. Zaccheo,ricco corrotto — questo sicuramente aveva unalaurea in tangenti — di Gerico, si trasforma inun benefattore dei poveri. La donna di Sama-ria, che ha avuto cinque mariti e ora convivecon un altro, si sente promettere un’“acqua vi-va” che potrà sgorgare per sempre dentro dilei (cfr. Gv 4, 14). Così Gesù cambia il cuore;fa così con tutti noi.

Ci fa bene pensare che Dio non ha sceltocome primo impasto per formare la sua Chiesa

le persone che non sbagliavano mai. La Chie-sa è un popolo di peccatori che sperimentanola misericordia e il perdono di Dio. Pietro hacapito più verità di sé stesso al canto del gallo,piuttosto che dai suoi slanci di generosità, chegli gonfiavano il petto, facendolo sentire supe-riore agli altri.

Fratelli e sorelle, siamo tutti poveri peccato-ri, bisognosi della misericordia di Dio che hala forza di trasformarci e ridarci speranza, equesto ogni giorno. E lo fa! E alla gente cheha capito questa verità basilare, Dio regala lamissione più bella del mondo, vale a direl’amore per i fratelli e le sorelle, e l’annunciodi una misericordia che Lui non nega a nessu-no. E questa è la nostra speranza. Andiamoavanti con questa fiducia nel perdono,nell’amore misericordioso di Gesù.

Papa Francesco per la strage di Ozubulu.Profondamente commossi dall’appello del Pontefice,ora rilanceranno le sue parole di speranza perché«cessi ogni forma di odio e di violenza e non siripetano più crimini così vergognosi»accompagnandole, come ha fatto Francesco, con leparole dell’Avemaria. «I nostri studi vanno proprioin direzione opposta a ogni violenza — spiegano igiovani dell’università cattolica Veritas — p erchécercano di applicare i valori cristiani alla vitasociale, ed economica della nostra Nigeria».A parlare a Francesco del loro impegno «in primalinea» nei punti caldi del mondo, hanno preso parteall’udienza le quaranta missionarie clarettiane aRoma per il capitolo generale. Guidate dallasuperiora suor María Soledad Galerón Gutierréz, lereligiose non dimenticano di essere parte di unacongregazione fondata a Cuba «per l’educazionedei giovani»: oggi continuano a dar vita a unapostolato senza timore di affrontare con il dialogole questioni più complesse.

#catechesi

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di GUA LT I E R OBASSETTI

Sullo stato della famiglia in Italia, dopo moltianni di dibattito e di rinvii, si registra una no-tizia positiva: il 28 e 29 settembre si svolgeràla terza Conferenza nazionale a essa dedicata.Vi si parlerà dell’introduzione del “fattore fa-miglia” nel sistema fiscale italiano — di cui sidiscute da molto, troppo tempo — e che po-trebbe dare effetti favorevoli non solo sul red-dito dei nuclei familiari ma anche su un temamolto più delicato e complesso: quello dellanatalità.

La notizia rappresenta un fatto positivo per-ché permette di affrontare la realtà con qual-che speranza in più e soprattutto perché aiutaad avere uno sguardo proteso verso il futuro.Questa conferenza, infatti, al di là dei suoi esi-ti, rappresenta solo un primo passo verso unariflessione di più ampia portata all’interno diquella nuova questione sociale che sta caratte-rizzando da anni tutta la società occidentale.Una questione che trova, per l’appunto, nelrapporto tra famiglia e lavoro uno snodo dieccezionale importanza, perché si riferisce, inprimo luogo, al rapporto tra uomo e donna e,poi, a quello tra donna e maternità. Il bino-mio famiglia lavoro, infatti, non è certo sinte-tizzabile in una questione meramente econo-mica ma ha riflessi antropologici di portataimmensa.

Un tema del genere, come si capisce, nonpuò più essere eluso come se fosse solamenteun argomento caro ai cattolici e quindi unaquestione ancillare dell’agenda pubblica delpaese. No, il rapporto tra famiglia e lavoro èun tema centrale — pastorale, culturale e poli-tico — per l’Italia di oggi e per quella di do-mani.

Da tempo alcuni dati interrogano profonda-mente. Ne cito solo uno, su cui forse poco si èriflettuto: secondo le statistiche dell’O cse,l’Italia è al settimo posto al mondo come «orelavorate in un anno per lavoratore». Questosignifica, per citare il titolo di un’inchiestagiornalistica del «Corriere della Sera», che il

paese è «diviso in due»: tra chi lavora troppoe chi è disoccupato. Da una parte ci sono i co-siddetti «nomadi produttivi» costretti a ritmilavorativi impressionanti e a vivere sostanzial-mente lontano dalle famiglie e dall’altra i pre-cari che senza un lavoro certo non riescono afornire una speranza al proprio nucleo familia-re. Attenzione, questo è uno snodo fondamen-tale. Non certo per ripescare vecchi e inutilislogan sul «lavorare meno per lavorare tutti»

ma, all’opposto, perché forse è giunto il mo-mento di ripensare tutta l’organizzazione dellavoro e di ricostruirla su misura per la fami-glia. Un’organizzazione del lavoro efficienteper l’economia e che soprattutto riesca a forni-re il bene più prezioso per le famiglie di oggi:il tempo. Tempo che i genitori possono dedi-care ai figli, agli anziani, allo svago, al volon-tariato, alla preghiera. Tempo necessario percostruire e alimentare quelle relazioni interper-sonali senza le quali la società s’inaridisce om u o re .

Bilanciare in maniera ottimale le ore di lavo-ro con quelle per la famiglia significa, pertan-to, non solo rendere più efficiente il lavoro,ma significa soprattutto mettere al primo po-sto la persona umana per ribadire un sacrosan-to principio evangelico: il lavoro è al serviziodell’uomo e non il contrario. Una società che,invece, valuta la dignità di una persona sola-mente in base allo status sociale dell’attivitàlavorativa — e quindi in relazione allo stipen-dio e al benessere che ne consegue — è di fattouna società infelice e sostanzialmente più po-vera.

Ciò che serve urgentemente all’Italia, quin-di, non sono solo politiche per la famiglia, maun radicale cambio di prospettiva. In definiti-va, una vera e propria rivoluzione culturale:una rivoluzione incentrata sulla famiglia.

Fa t t o refamiglia

Frederic Bonin Pissarro«Family love»

#dialoghi

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di ENZOBIANCHI

ADonna, grandeè la tua fede!

20 agostoXX domenica

del tempoo rd i n a r i o

Matteo 15, 21-28

Jean e Pol de Limbourg«Matteo 15, 22»miniatura del XV secolo

ncora una volta Gesù «si ritira uscendo» (exel-thòn... a n e c h ó re s e n ). Lascia il luogo in cui sitrova e si dirige verso i territori di Tiro e Sido-ne, fuori dai confini della terra santa d’Israele.Perché? Molte sono le cause di questo prende-re le distanze dalle folle che lo seguivano, dailuoghi nei quali avvenivano controversie confarisei e sadducei. È un’ora di svolta nella vitadi Gesù, che ha iniziato a soffrire i malintesicreatisi con la folla, la quale mostra di attende-re da lui ciò che egli non può darle. Gesù ve-de inoltre crescere sempre più il rifiuto dellasua persona, e la prospettiva di un rigetto, fi-no alla persecuzione violenta, si fa sempre piùvicina. Solitudine, silenzio e preghiera sonodunque per Gesù dimensioni essenziali per ilsuo ascolto del Padre e per il discernimentodella sua vocazione alla luce delle sante Scrit-ture, al fine di inoltrarsi in quel cammino chelo conduce verso un esodo pasquale (cfr. Luca9, 31), ma al caro prezzo della croce. Accadecosì anche al discepolo, lo voglia o meno; ac-cade a ciascuno di noi, tutti attesi da ore diprova, di tentazione e di sofferenza.

E proprio su questo tragitto di presa di di-stanza dalla terra di Israele e dai suoi abitanti,i figli di Israele, ecco che Gesù viene chiamatoa intervenire da una donna residente in queiterritori impuri, ritenuti dagli ebrei luoghi diperdizione e di tenebra, perché abitati da ido-latri che non conoscevano il Dio vivente, ilDio di Israele. Egli riceve una chiamata chediviene un incontro con una donna anonima,della quale è messa in evidenza la qualità distraniera e dunque di pagana, di non figlia diIsraele, in quanto cananea. I vangeli testimo-niano che Gesù ha incontrato anche gli stra-nieri, i gojim, i pagani (cfr. Ma rc o 5, 1-20 e pa-ralleli; 7, 31 - 8, 10), e tra essi anche questadonna. È noto che nella cultura religiosa deltempo era ritenuto sconveniente per un rabbil’incontro con una donna, ma ancor di più conuna straniera. Nel caso specifico, Marco sicompiace di aggiungere che questa donna nonsolo è greca, ma anche di origine etnica paga-na, in quanto proveniente dalla Siria e dallaFenicia (cfr. 7, 26): assomma in sé le etnie pa-gane circostanti Israele, non è figlia di Israelené per provenienza né per cultura. Ella noncrede nel Dio di Israele, per gli ebrei è un’ido-

latra. Eppure, avendo sentito parlare di Gesù,anche fuori di Israele, ha un moto di fiduciaverso di lui: è un uomo affidabile!

Gesù si è appena ritirato in quei territori diTiro e Sidone, fuori della terra santa, dove haavuto una controversia con scribi e farisei ve-nuti da Gerusalemme (cfr. Ma t t e o 15, 1-9), maproprio qui riceve una preghiera. Ha scelto direstare in incognito, ma neppure in terra stra-niera ciò è possibile per lui: ormai è troppo fa-moso. Ed ecco, questa donna che ha una fi-glioletta con uno spirito impuro viene a inter-rompere il suo ritiro. Costei grida, urla in mo-do ossessivo, come un cane, ma Gesù non lasente, non le presta ascolto e non le risponde,perché non sopporta di essere letto semplice-mente come un guaritore, uno che fa miracoli.Allora i discepoli, infastiditi da quelle grida,gli chiedono di esaudirla, come unico mezzoper farla tacere. Quelle grida esprimono forseuna fede, visto che la donna straniera chiamaGesù «Signore (Kýrios), figlio di David», assu-mendo la devozione giudaica nei confronti delMessia? Comunque, quella donna si getta aisuoi piedi, in posizione di supplica e di rico-noscimento della grandezza di Gesù, e lo pre-ga di scacciare il demonio presente in sua fi-glia. È una richiesta che esprime la sofferenzae l’impotenza di questa madre di fronte allavita della figlioletta così minacciata dall’azionedel demonio, che si manifesta anche attraversola malattia psichica.

Gesù ha lasciato la folla per non predicarené curare, ha preso le distanze dal suo com-portamento abituale per poter pensare e pre-gare, ma è inaspettatamente sollecitato a inter-venire. Chi lo prega è una donna, una stranie-

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L’Osservatore Romanogiovedì 10-17 agosto 2017il Settimanale

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ra, e Gesù le risponde manifestandole la suaobbedienza al piano del Padre che lo ha invia-to. C’è “prima” (p ró t o n in Ma rc o 7, 27) un ser-vizio da compiere presso i giudei, presso il po-polo di Dio a cui è stato inviato (espresso daMatteo addirittura in termini esclusivi: «Nonsono stato mandato se non alle pecore perdutedella casa di Israele»), e solo successivamenteci sarà un tempo in cui potranno essere desti-natari del suo ministero anche i pagani. Gesùlo esprime ricorrendo a un’immagine che spie-

fa apparire il Vangelo, la buona notizia cheGesù porta con sé, perché è proprio lui labuona notizia per eccellenza, il Vangelo (cfr.Ma rc o 8, 35; 10, 29). Questa donna pagana sadi aver diritto, come ogni essere umano, allamisericordia di Dio eccedente la Legge; perquesto invoca Gesù affinché egli renda eviden-te l’infinita misericordia del Padre, che va oltrequella degli scribi e dei farisei (cfr. Ma t t e o 5,20), che non può essere esclusiva, cioè limitataa Israele e negata alle genti, all’umanità. Ma

ga il suo rifiuto: si devono saziare prima i fi-gli, cioè i figli di Israele, poi i cagnolini, cioè ipagani (“cani” era un termine dispregiativocon cui gli ebrei indicavano le genti: cfr. Ma t -teo 7, 6; Filippesi 3, 2; Ap o c a l i s s e 22, 15).

Di fronte al rifiuto di Gesù, la donna si sen-te delusa, ma resiste, non si scoraggia e, ribal-tando l’immagine dei cagnolini a suo vantag-gio, replica: «Signore, anche i cagnolini man-giano le briciole che cadono dalla tavola deiloro padroni». È una donna libera, che pensa,e con le sue parole fa cambiare l’atteggiamentodi Gesù! Non è risentita per il rifiuto scorag-giante oppostole in prima battuta da Gesù,che resta per lei un uomo affidabile, ma loporta — per così dire — a “r a g i o n a re ”. Potrem-mo dire che riesce a “c o n v e r t i re ” Gesù, il qua-le, volendo restare nei confini fissati alla suamissione dall’economia di salvezza, non avreb-be voluto né predicare ai pagani né portare lo-ro cura e guarigione. Gesù è dunque convintoda questa donna, si piega di fronte a questavolontà femminile e a questa insistenza, ritor-na sulle sue parole, cambia il suo proposito eanticipa quello che accadrà dopo la resurrezio-ne. In qualche misura, vi è qui un paralleloall’episodio di Cana nel quarto vangelo, dovela madre di Gesù, dopo un suo rifiuto, con lapropria fede ottiene un’anticipazione dell’oranuziale del Messia Gesù (cfr. Giovanni 2, 1-11).Qui Gesù si sente vinto e, possiamo immagi-nare non senza soddisfazione e gioia interiore,la esaudisce: «Donna, avvenga per te comedesideri». Ovvero: «Per questa tua parola det-ta con intelligenza e parrhesía, con la libertà dichi sente di poter dire il vero, il demonio èstato vinto e tua figlia è liberata dal male».Ma questa parola della donna significa anchemolto di più, perché è rivelazione per Gesùdella sua missione (cfr. Ma t t e o 11, 25). E Gesùmostra di saper accogliere la rivelazionedell’opera di Dio anche da parte di unadonna, per di più non appartenente al popolodi Dio.

In questo racconto la protagonista è e restala donna straniera, è lei che con la sua parola

nella redazione di Matteo vi è un ulterioreparticolare decisivo nelle parole di Gesù, chefa precedere l’esaudimento dalla constatazione:«Donna, grande è la tua fede!». È la fede del-la donna che ha fatto cambiare atteggiamentoa Gesù, il quale si è sentito in dovere di esau-dirla e di attestarle: «La tua volontà sia fat-ta!». Le parole di questa donna, inoltre, con-cludono il precedente insegnamento di Gesùsul puro e sull’impuro (cfr. Ma t t e o 15, 10-20) epreparano la moltiplicazione dei pani in terrastraniera narrata subito dopo (cfr. Ma t t e o 15,32-39), quando il pane sarà per tutti, condivisotra giudei e pagani, e la tavola della comunio-ne sarà aperta a tutti. Gesù ha riconosciuto lafede in un atto di fiducia e ha fatto cadere ilmuro di separazione tra le genti e Israele (cfr.Efesini 2, 14)!

Sì, qui è una donna, peraltro una pagana,che rende evento il Vangelo! Detto altrimenti,attraverso l’immagine dei cagnolini — o megliodei cani domestici — la donna spezza il confi-ne ideologico e indica una possibile realtà dasalvare. Ciò che qui avviene è «il miracolodell’incontro. A causa di questo incontro deci-sivo Gesù inaugura una nuova fase: questa pa-gana mette “al mondo” Gesù, gli fa scoprirel’universalità della sua missione» (Élian Cuvil-lier). Non possiamo non mettere in evidenzacome per Gesù l’incontro con un’altra personaè vero nella misura in cui non solo egli cambiachi incontra, ma subisce anche un cambiamen-to in se stesso proprio a causa dell’i n c o n t ro .Gesù si sente un ebreo, un figlio di Israele,appartenente al popolo delle promesse e dellebenedizioni, al quale è destinata in primo luo-go la sua missione. E tuttavia sa anche che lastoria della salvezza riguarda tutta l’umanità eche l’ascolto della sofferenza dell’altro, unascolto mai escludente, fa parte della sua iden-tità di Servo del Signore che si addossa fragili-tà e malattie delle moltitudini (ra b b i m ; cfr.Ma t t e o 8, 17 e Isaia 53, 4). Ecco la non chiusu-ra di Gesù, la non rigidità della sua missione,l’atteggiamento di apertura verso l’a l t ro ,chiunque sia.

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Angel Botello«El encuentro»( p a r t i c o l a re )

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La Santa Sede esprime nuovamente profondapreoccupazione per la radicalizzazione

e l’aggravamento della crisi nella RepubblicaBolivariana del Venezuela, con l’aumento

dei morti, dei feriti e dei detenuti. Il SantoPadre, direttamente e tramite la Segreteriadi Stato, segue da vicino tale situazione e

i suoi risvolti umanitari, sociali, politicieconomici e anche spirituali e assicura

la sua costante preghiera per il Paese e tuttii venezuelani, mentre invita i fedeli di tuttoil mondo a pregare intensamente per questa

intenzione

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