La mia ISLANDA…La mia ISLANDA…
La notte prima della partenza l’ho trascorsa di turno in Croce Rossa a guidare la “mia”
ambulanzina… per fortuna la città si è già svuotata e la notte è stata tranquilla..
Colazione con un’amica, ultimi preparativi e via per la prima “breve” tappa, giusto per spezzare in 3 giorni il lungo trasferimento continentale..
Difficile spiegare le emozioni di un viaggio come questo. E infatti non ci provo più. Un viaggio ai
confini dell’Europa, in moto, in solitaria è una cosa non certa straordinaria, non è un’impresa epica,
ma sicuramente non è comune. Ho sempre avuto una visione romantica del viaggio in moto, della
figura del viaggiatore. Non mi sono mai definito un turista, termine che non sento mio. Il turista resta sempre un estraneo nel paese che visita. Io cerco di viverlo. Mi piace fare la spesa nei
supermercati insieme alla gente del posto, cercare i loro locali, i loro negozi. Più che agli uffici del
turismo chiedo indicazioni ai ragazzi per strada su ristoranti e cose da vedere…
Solito traffico nel nord della Germania, anche per loro è tempo di vacanze e al contrario di noi, da
una certa latitudine, per andare al mare loro dirigono a nord. I km scorrono veloci come i pensieri, i bimbi mi salutano dai finestrini delle auto, c’è aria di vacanza e in breve tempo archivio
preoccupazioni e amarezze lavorative.
Finalmente Hirstals, Danimarca. Da qui l’imbarco per i 2 giorni necessari ad arrivare in Islanda.
L’hotel è onesto, la signora molto disponibile mi segnala che lì vicino si trova una delle più famose spiagge del paese, un luogo particolare dove si arriva direttamente di fronte al mare con l’auto. E’
una spiaggia aperta, dall’aria vagamente hippy..
Incontro anche gli altri ragazzi con i quali mi ero scambiato consigli ed indicazioni via internet nei
mesi precedenti la partenza e ceniamo tutti insieme bevendo una bottiglia di vino che avevo
portato per l’occasione dall’Italia. Di notte sto male, ho la schiena bloccata e dormo 2 ore sdraiato nel bagno della camera cercando di farmi un’iniezione di Lixidol. Al mattino sono in condizioni di
arrivare all’imbarco, conoscere altri motociclisti, caricare e legare con le cinghie al ponte della
Norrona la moto. I 2 giorni sono lunghi, le cabine non sono accoglienti, la nave dimostra molto più
degli anni che ha… almeno si mangia bene e non soffro il mal di mare. Conosco una ragazza
polacca dell’equipaggio che sta studiando fisioterapia, mi fa un massaggio che mi da’ beneficio. Sono un po’ preoccupato, ma nei giorni successivi migliorerà. Blanca, la ragazza polacca, mi dice
che la Norrona non è una nave da crociera, serve solo per muoversi.. e infatti si muove. Anche con
il mare piatto come l’olio si muove verso l’Islanda, passando per le isole Faroe, si muove nel senso
del rollio, impenna di prua e poppa… misteri della fisica. Il 04/08 finalmente è Islanda.
Curiosi personaggi e veicoli quelli che scendono dalla Norrona… 8 sono i GS, qualche altra moto,
2 sidecar da fuoristrada ovviamente tedeschi, una quantità enorme di Defender e Land Cruise con
snorkel, verricelli, binde e pale sul tetto… Unimog camperizzati e i soliti fumosi camion ex militari DDR dei giovani berlinesi. La prima sterrata la imbocco in compagnia di Ale, Jafo e Luca, gli altri
ragazzi conosciuti sul forum; mettiamo timidamente le ruote sulla pista, non è nulla di impegnativo,
ma la distanza da casa, le moto cariche, l’adrenalina ci fanno essere molto più prudenti del
dovuto… in pratica guidiamo “sulle uova” per i primi Km…
Lentamente si prende confidenza e le manate sull’acceleratore diventano più sicure e frequenti…
ci separiamo quando io decido di provare la prima parte della F910 per l’Askja, una delle piste più
impegnative a causa dei suoi guadi. Non sono intenzionato a farla, ma voglio rendermi conto della difficoltà.. difficoltà che arrivano presto con la pista molto rovinata, è il primo giorno, e ci metto
poco a girare la moto.
Li incontro nuovamente in un piccolo ristoro, dove una cameriera finlandese di rara bellezza sta
servendo caffè e dolci islandesi. In breve tempo raggiungo i crateri di Kafla, la nuovissima centrale
geotermica e il lago Myvatn, una delle perle dell’isola. Il tempo è nuvoloso, la luce non offre gli spettacolari tramonti che ho visto nelle guide…ma c’è comunque la straordinaria profondità di
prospettiva del cielo di queste latitudini.
Il giorno successivo è ancora nuvoloso. Con un cielo plumbeo mi dirigo verso nord, Hùsavik da
dove partono le barche per il whalewatching e dove c’è un “museo fallologico”… Ritrovo gli altri
sulla divertente sterrata per le cascate Dettifoss, il salto d’acqua con la portata maggiore d’Europa.. ed in effetti sono impressionanti. Lo scenario ha qualcosa di primordiale: ci si sente piccoli piccoli…
Poi, con il passare dei Km, il cielo improvvisamente si apre…
…chiaro, no!?!?!?
Prendo anche più confidenza con la guida della mukka (il GS) su queste piste, ma devo aprire le
sospensioni e frenare l’idraulica. Lo farò domani, prima della pista F35. Ad Akureyri (seconda città
dell’Islanda, 17.500 abitanti!!) trascorro la prima notte in un Edda Hotel, le loro scuole che d’estate si trasformano in strutture ricettive. Alberghi a quasi tutti gli effetti, gestiti da ragazze islandesi di
22-25 anni. Notevole l’accoglienza e il colpo d’occhio appena entrato..
Arriva la F35, la pista per Kjolur, un deserto tra 2 ghiacciai. Gli americani si sono addestrati qui per
l’allunaggio dell’Apollo I; credo questo sia sufficiente a descrivere il luogo. Quasi 200 Km di nulla.
Un rifugio con una radio circa a metà. Solo nel nulla. E’ quello che volevo provare da tempo, la sensazione va oltre le aspettative, mi fermo spesso, scatto foto, scendo dalla moto giro su me stesso per far spaziare lo sguardo a 360° come una specie di ballerina con stivali da motociclista. Il
tempo è buono, la temperatura perfetta. Altri che sono passati nei giorni successivi, causa il vento
forte sono dovuti tornare indietro. Per me la giornata è perfetta. Fortuna. Era uno dei miei sogni
percorrere in moto piste e luoghi così. Sono felice e carico.
La F35, come tutte le altre strade “F” è aperta pochi mesi l’anno. Ora ci sono i bulldozer a renderla
più “confortevole”, ma in passato per le popolazioni che d’estate la utilizzavano come scorciatoia
tra il nord e il sud dell’isola, percorrerla non era un’impresa che compivano a cuor leggero. A questo si aggiungano le storie che narrano di fantasmi, di Trolls, di streghe, di eroici condottieri e di
amori perduti che da sempre hanno accompagnato il pellegrinaggio in questi luoghi. E’ la tradizione
della Saghe, cara agli islandesi. Più realistiche e documentate invece le vicende di banditi e
dissidenti che trovavano rifugio in queste inospitali highlands…
Ho incontrato pochi fuoristrada, nessuna moto, tante pecore. Sempre piantate in mezzo a guardarti
con aria perplessa. In certi tratti devo guidare a velocità sostenuta per passare sopra il tolue ondule
creato dai cingoli dei mezzi meccanici e dalle sospensioni scariche dei 4x4. 60,70, passo un paio di volte i 120 orari per rendere la guida meno stressante e far alleggerire l’avantreno sullo strato di
ghiaia di diversi cm che copre la pista in alcuni punti. Altre volte devo rallentare repentinamente per
aggirare e superare profonde buche o le pietre più grandi. Su questi terreni il GS si comporta
inaspettatamente bene, sembra che la rotazione del polso destro gli faccia superare qualsiasi
cosa, riprendere con decisione la traiettoria desiderata. Mi diverto sempre di più, man mano che passano i Km sotto i tasselli, euforia a mille e un sorriso permanente, un ghigno soddisfatto, dietro
la visiera del casco..
Tutto talmente perfetto che merita di essere rovinato con una cazzata delle mie… Proprio alla fine
della pista, vedo sulla cartina una deviazione che porta ai piedi di un ghiacciaio. Mi ci infilo senza
che nessun neurone possa intervenire a dire la sua. La pista è più impegnativa, ma fattibile…arrivo alla fine, trovo una specie di cottage chiuso, uno dei loro camion con 6 enormi ruote motrici
per portare i turisti sul ghiacciaio e niente altro. il punto elevato favorisce una fantastica visuale..
Mi fermo qualche minuto, soliti innumerevoli scatti e imbocco quella che credevo fosse la strada che girando intorno ad un promontorio prende la via del ritorno. Subito si stringe, al punto che la
moto non potrei più girarla, percepisco il pericolo. Pericolo che si concretizza quando mi trovo di
fronte ad una rampa piena di buche e grosse pietre. Mi fermo a riflettere, non ho altre vie. Chiudo
gli occhi, do una gran manata al gas e mi sposto indietro sulla sella, la moto salta, ma sembra
andare avanti. Qualche metro, poi improvvisamente si siede con la ruota posteriore in una profonda buca. Insisto con l’acceleratore e peggioro la situazione. Sono bloccato. Sono le 6 di
sera. Sono alla fine di una pista cieca.
Scavo davanti e dietro la ruota, insisto stupidamente nel farla girare a vuoto fino a quando l’aria è
pregna dell’odore di frizione bruciata. Non sono lucido, sono stanco e affamato e la
preoccupazione sale. Trovo un pezzo di plastica che cerco di usare come piastra, ma assolutamente nulla. La moto, completamente spanciata sul paramotore è immobile. Tolgo le
borse, tranne la sinistra che la sorregge appoggiata su un sasso, provo a scuoterla ma nulla. Mi
guardo in giro, mi rassegno già all’idea di cercare un luogo riparato dove stendere il sacco a pelo.
Inveisco contro me stesso. Dopo qualche ora e ulteriori sfiancanti tentativi sono madido di sudore
dentro la tuta da moto. Nel silenzio totale appare quasi senza rumore proveniente dal ghiacciaio uno di quei superfurgoni con le ruote grandissime.. lo fermo. E’ carico di scienziati giapponesi che
stanno studiando il ghiacciaio. L’enorme autista islandese mi chiede perché mai abbia messo la
moto lì, tengo da parte la mia solita ironia e non rispondo, mi aiutano ed in 20 minuti la moto è
libera. Li ringrazio e li invito tutti a cena in Italia dall’euforia… 2 giapponesi mi chiedono il numero di
telefono per venire quanto prima ad incassare il “meritato” riconoscimento… ovviamente i 2 che praticamente non sono scesi dal furgone.
Raggiungo Geyser dove avevo prenotato una specie di hytte in una struttura nuovissima. C’è la
piscina, mi ci fiondo dentro con le solite raccomandazioni tanto care agli islandesi prima di entrare
nelle loro vasche: “lavati bene”. Ma vaff…
Arrivo ad Husafell nel tardo pomeriggio, dopo una giornata tutta guidata. E’ quello che volevo.
F550 e il ghiacciaio Langjokull, nel parco nazionale Geitlandshaurn
L’indomani riparto subito alla volta della valle del Kaldidarum…
Rebecca e la Old Farm di Husafell
Sono arrivato alla vecchia fattoria di Husafell nell’Islanda centro occidentale, alla fine della F550 , una pista che passa sotto il ghiacciaio Langjokull. Non è stata troppo lunga e mediamente
impegnativa, solo il vento che alla fine si è alzato con vigore, costringendomi a guidare di traverso
su ghiaioni polverosi, ha reso faticoso l’ultimo tratto.
Chiedo indicazioni al cassiere dell’area di servizio e arrivo a destinazione. Avete presente la casa
nella prateria del telefilm con gli Ingols, Laura, Charles, i panni stesi, ecc….? Ecco ero proprio lì.
Il “fattore” mi mostra la casa, una vecchia costruzione in legno che emette rumori di vita passata da
ogni trave, da ogni scricchiolìo del legno sotto i passi. Il pavimento è storto. Davvero, il “fattore” si è
premurato di dirmi che la strana sensazione camminando era dovuto a questo.. ma storto tanto!
Mi invita subito a bere un caffè con biscotti al tavolo fuori e mi presenta gli altri ospiti presenti.
Natalie, una ragazza svizzero tedesca che sta accompagnando gli attempati genitori a visitare
l’Islanda, uno dei sogni della loro vita. Il padre in particolare è orgoglioso ed eccitato per l’avvento del nuovo ospite, e soprattutto orgoglioso della sua moto tedesca, per lui che è di Monaco.
Ci sono anche degli spagnoli, lì per la pesca di fiume, ma al momento sono in una battuta. E poi
c’è Rebecca. Inglese, 27 anni, artista. E’ ad Husafell per studiare le opere di uno scultore locale,
pare famoso (a me ovviamente sconosciuto, ma ho fintamente manifestato interesse..). Occhi
chiari, sorriso limpido, capelli corti, senza una precisa pettinatura, una naturale eleganza. Una di quelle ragazza sensuali e dotate di quel fascino genuino, che non lascia spazio ad una precisa
cura di sé, piuttosto tutte quei piccoli dettagli pratici del vestire, dei suoi oggetti e accessori
fornivano un insieme magnetico.
La Moleskine sul tavolo, la vecchia e malconcia borsa di pelle con un grosso taglio su una tasca
dalla quale prende il suo Mac ultimo modello. Stupende contraddizioni.Mi sono tolto la pesante giacca da moto, i muscoli delle braccia sono tesi per le ore di guida in
fuoristrada e li sento indolenziti dentro la maglia tecnica… in altre occasioni avrei sicuramente
evidenziato ulteriormente la cosa, a riempire il mio ego narcisista, ma quella sera ero un po’ a
disagio, non volevo si facesse un’idea sbagliata. Estraggo la mia Moleskine, intenzionalmente cercando un punto di contatto, una complicità… funziona. Mi sorride e iniziamo a parlare. Dopo
poco mi dice che deve chiudere alcune cose nel laboratorio dove sta lavorando, ma che se avessi
voluto, dopo cena sarebbe stata lì, a leggere e bere the. Doccia, cena alla stazione di servizio poco
lontana con hamburger e insalata. Una coca light. Faccio un giro più lungo per rientrare al fine di
guardare la zona circostante. Al mio ritorno è già lì. La schiena appoggiata al muro, le gambe distese sulla panca. Continuiamo subito a parlare, anche se non chiude il libro, lo tiene con un dito
sull’ultima pagina letta, come se dovesse riprendere a leggere da un momento all’altro. Questa
cosa mi da’ un certo disagio, mi lascia sospeso come se dovesse interrompere da un momento
all’altro quel momento. I suoi gesti sono lenti e misurati. Consapevoli e delicati.
La bellezza dei luoghi, i viaggi, gli strani percorsi della vita… Parliamo fino a notte fonda, complice la straordinaria luce e gli interminabili tramonti di quelle latitudini non ce ne accorgiamo.. Mi
avvicino, vorrei baciarla ma non lo faccio… però siamo vicini, percepisco il calore del suo corpo.
Indossa un maglione che le delinea il seno, è davvero sexy. Resto sempre sospeso nella mia
contraddizione tra intenzione e azione, ma non prendo l’iniziativa. Temo di poter perdere la magia
di quel dialogo, di quella notte… Non ci siamo baciati, ma certamente una parte intima e profondadentro di noi si è toccata. Ci salutiamo e ci ritiriamo nelle nostre stanze che è quasi mattino.
Decidiamo di fare colazione insieme l’indomani e scambiarci i contatti. Poi io avrei ripreso come da
programma il mio viaggio. Inutile dire che non ho dormito.. pensavo a cosa sarebbe potuto
succedere, pensavo al destino.. pensavo… pensavo non volevo che quell’incontro finisse in modo
banale, con il solito inutile cliché definito: mail, qualche sms e telefonata, magari ci saremmo rivisti, in fondo oggi con poche decine di euro si vola in qualsiasi capitale europea. All’inizio sarebbero
stati contatti frequenti, poi sempre più radi, fino probabilmente a non sentirci più. Non volevo finisse
così. Volevo decidere un epilogo diverso. E così è stato. Il mattino seguente sono uscito presto, le
ho messo dei fiori bianchi e un biglietto fuori dalla porta, ho spinto la moto fin sulla strada e me ne sono andato senza lasciarle nessun riferimento di me. Farewell Rebecca, grazie per quella notte.
La strada che si allontana da Husafell in direzione Borgarnes… perfetta scenografia alla
notte appena trascorsa.
“certi viaggi portano a destini, non soltanto a destinazioni…”
Trasferimento per Holmavik, prima tappa
per accedere alla remota regione dei fiordi
nord occidentali. Mi fermo presto, non appena la moto entra in temperatura
perché voglio controllare il livello dell’olio.
Non dovrebbe consumarne come il vecchio
modello, ma ne aggiungo comunque 250
cc. Seguo ingenuamente un’indicazione del Garmin e mi trovo subito su un dedalo di
sterrate, non indicate come F (la lettera che
contraddistingue in Islanda le piste
riservate ai veicoli 4x4), ma dal fondo molto
irregolare. Proseguo, ci sono delle fattorie e la cosa mi rassicura.
Vedo dove sono incrociando i dati del GPS e della cartina, la direzione è corretta ma il fondo
peggiora. L’ultimo tratto scollina su una piccola altura, la salita è molto impegnativa e tecnica in
considerazione della moto da 300 Kg carica con la quale la sto affrontando… devo prenderla a velocità adeguata per passare sopra i massi e le buche più profonde, prendo un paio di imbarcate,
mi spavento ma ormai non posso tornare indietro. Penso di essermi messo ancora nei guai, di
trovarmi di fronte a qualche guado troppo alto o chissà che altro. Finalmente dopo qualche km,
come un miraggio mi appare all’orizzonte la Ring Road (la strada 90% asfaltata che fa il giro
dell’isola), finalmente la pista si ricongiunge, bacio l’asfalto come Papa Woytila e proseguo spedito in favore dell’ottimo grip ritrovato…
L’allenamento funzionale nella valle di Baulusandur (strada 60) – atleti un po’ matti in viaggio
Prima di imboccare la pista del Kaldidalur faccio una deviazione di pochi km sulla strada 60 per
arrivare ad un punto panoramico su un altopiano poco distante. La visuale è grandiosa, ne
approfitto per mangiare un po’ di pane islandese (nero, tipo il nostro di segale, ma dolciastro), mi
rilasso godendomi panorama e temperatura, quando… mi viene voglia di ripassare alcune serie
dell’allenamento funzionale fatto durante l’inverno!!! Questi scatti sono dedicati agli amici della 5 Anelli! ☺
Confesso di essermi divertito
come un matto, soprattutto
quando è passato un pulmino
di turisti francesi!!
Il giorno successivo sono a Isafjordur, la capitale dei fiordi nord occidentali. E’ una città
rispetto le precedenti con negozi e ristoranti. I preziosi consigli della solita fanciulla alla
reception dell’Edda mi indirizzano persino a fare shopping in un negozio rivenditore Craft dove riesco a prendere dei pantaloncini da MTB a prezzo affare e faccio la mangiata di pesce del
secolo seduto allo stesso tavolo con i ragazzi del posto. Nei prossimi giorni sarò in zone
definite quasi disabitate, decido di far lavare dalla lavanderia della scuola maglie e intimo per
poche corone.
La remota e desolata regione dei fiordi occidentali è… remota e desolata! Km e Km di una bellezza
straordinaria, di baie, di spiagge d’acqua cristallina, di qualche fattoria ogni tanto… perdo un sacco
di tempo a fare foto. Ci sono relitti di mezzi agricoli e navali qua e là; mi hanno sempre affascinato gli oggetti meccanici vecchi e arrugginiti, monumenti a testimonianza di lavoro, fatica e tecnologia. Non resisto ed entro, visito, tocco il metallo ossidato.
- dove stai
andando?
- Non lo so.
- Allora sarà
impossibile
perdersi..
Arrivo a Latrabjarg, il punto più ad ovest dell’Europa, per capirci sono sotto la Groenlandia. La latitudine (siamo intorno al 66° parallelo) impedisce alla notte di essere buia, la luce dura 24 ore.
La tuta da moto e la GS sono coperte di terra sottile, non c’è asfalto per l’intera regione, la penisola più orientale è completamente disabitata e priva di strade o piste, solo pochi sentieri... Ceno e
raggiungo attraverso una spiaggia l’ultima scogliera, paradiso dell’Atlantic Puffin, la pulcinella di mare. Servizio fotografico e tramonto.
La serata diventa un po’ malinconica. Si, a tratti mi sentivo solo. La notte era bellissima, il
panorama spettacolare.. Magnifico. Ascolto un po’ di musica dallo shuffle, ma è peggio. Recupero
quella frase trascritta da un libro sulla Moleskine “non era solo perché non aveva amici, forse era da solo dentro (F.G)”, la sento molto mia in questo momento. Sia chiaro, sono consapevole sia
tutto sotto controllo. Anzi questo momento ne è la conferma. Più di 3 settimane in solitaria, oltre
7000 km per tutta Europa sono tanti, anche per un “animale” solitario come me. Sentirmi solo, in
fondo era la prova che stavo bene, che era normale, che sono normale!
L’indomani, per la prima volta dopo quasi una settimana che guido verso ovest, punto a sud. In un
paio di giorni raggiungerò la capitale Reykjavik.Appena raggiunto l’asfalto e la prima area di servizio faccio il pieno e passo un getto d’acqua sulla
moto, la polvere sta bloccando tutte le serrature delle valige. Mi accorgo di aver lasciato una carta
di credito alla fattoria a Latrbjarg. Chiamando la banca per bloccarla mi accordo anche di una vite
da 9 mm infilata nella gomma posteriore. Confesso di aver leggermente imprecato. Calma. Caffè.
Penso. Al posto di riparare subito con il kit decido di tornare indietro 8 km fino alla fattoria dove avevo visto una montagna di pneumatici accatastati e sicuramente avrei trovato il modo per
vulcanizzarla meglio. La gonfio a 3 atm e parto. Arrivato alla fattoria scopro che il “fattore”, in realtà
è principalmente un pescatore e gommista a tempo perso. Gli smonto la ruota e la ripara in pochi
minuti in mezzo a polli ed altri pennuti..
E’ un ragazzo giovane, mi spiega di aver ha raggiunto la quantità massima di pesce che poteva pescare (credo qualcosa simile alle nostre quote latte..), di essere uno dei pochi ad avere mucche
e vitelli, ma essendo estate sono fuori, quindi si dedica a piccoli lavori di manutenzione e
riparazione per lui e le altre fattorie della zona. Soddisfatto per il piacevole incontro, trovando in
esso una conseguenza positiva alla rottura di palle della foratura, riparto.
Latrabjarg. Nel senso che quello
è il paese. In Islanda si impara
presto che il nome della fattoria
è anche il nome del paese.
Perché la fattoria è il paese.
L’agreste riparazione funziona, ma ho guidato troppo con la ruota sgonfia e ho un piccolo taglio
sulla spalla del pneumatico. La faccenda è più seria, la moto inguidabile, Reykjavik, unico luogo
dove forse avrei trovato una gomma della misura giusta, ancora lontana. Mi fermo a gonfiare in una piccola stazione, dove due Islandesi intenti a riparare un tetto capiscono a gesti il problema
(non parlano inglese, cosa rara) e propongono di usare della colla da legno… sono molto
determinati nel loro intento e li lascio fare quasi divertito. Ovviamente si rivelerà inutile.. Devo
percorrere ancora un tratto di sterrato con un piccolo passo, gonfio a 3,5 atm e parto spedito
guidando in piedi per non caricare il posteriore. Il “breve tratto” si rivela un ripido percorso tra le montagne. A queste latitudini, la vegetazione a 500
metri è come da noi a 2500.. Per capirci, i mirtilli crescono praticamente al livello del mare, quindi il
paesaggio è da alta montagna. Stringo la moto con le gambe, fino ad avere dei lividi causati dagli
stivali. Vedo il rifugio d’emergenza (nonostante il tratto sia breve, credo giustificato dall’altitudine
che , specialmente in inverno, può rendere problematico il percorso..) e prendo in considerazione di passare la notte lì…
E’ ancora chiaro, il rifugio non è il massimo della pulizia (quelle sul pavimento
credo siano feci di topo…) decido quindi di proseguire mettendo un’altra mezza
capsula di CO2 (ne avevo molte, sono le stesse che uso per la MTB..).
Faccio gli ultimi km con la moto che sbanda ovunque (sempre i soliti 300 Kg) e
arrivo alla guesthouse; doccia, cena, e domani sarà un altro giorno… troppo stanco per prendere decisioni.
Il giorno dopo con il premuroso aiuto della signora della guesthouse vengo indirizzato da un gommista distante solo 20 Km da lì. Uso le ultime capsule di CO2
e raggiungo AMK SportTrucks a Boudaldlur.
Janni mi aspetta – informato dalla signora – con un enorme tazza di caffè e una
pipa in mano che lo rende subito simpatico in considerazione dei suoi circa 30
anni. Beviamo, parliamo un po’, mi mostra il funzionamento dei riduttori e delle
sospensioni pneumatiche dei superfurgoni, e poi finalmente ci mettiamo al lavoro.
Capiamo subito che la gomma è da buttare. Maledizione. Lui si attacca la telefono e ne trova una a Reykjavik. Decidiamo di provare a mettere una pezza all’interno
giusto per farmi arrivare nella capitale. Mi congeda con le seguenti parole “it could
works forever, but it could falls down at the 1st curve, my Italian friend”. Così
rassicurato, lo abbraccio e mi sparo gli ultimi 200 Km con la consapevolezza che
ogni curva potrebbe essere l’ultima… o_O
A Reykjavik, gli angeli di Biking Viking (forse gli unici a mettere le mani su moto BMW in tutta
l’Islanda) mi fanno trovare una Heidenau K60 Scout (la famosa gomma da vulcano) nuova e me la
montano in pochi minuti. Mi perdo in chiacchiere da officina con i ragazzi di BV e con gli altri bikersavventori.. le officine di moto intrise di olio e passione sono uguali in tutto il mondo, penso tra me e
me mentre un Islandese su Triumph Tiger e barba rossa, lunghissima e intrecciata (!) mi invita a
bere una birra la sera.. Cordialmente rifuito l’invito in considerazione dei modi ambigui del
caratteristico personaggio.
Trovata la guesthouse (di fronte ad una società di pompe funebri) e scaricata la moto mi perdo a girare a piedi per le vie di Reykjavik. La capitale è una cittadina poco più grande di Busto Arsizio
dove sono cresciuto (ha circa 120.000 abitanti), senza monumenti storici di rilievo, senza un centro
pedonale, senza un reale fascino che invece avevo trovato in altri centri minori. Non è che non mi
sia piaciuta, è che non mi ha trasmesso nessuna emozione. Forse la sua vita notturna, ma non
sono il tipo e non è quello che cerco.
Sto camminando senza una destinazione precisa, quando vengo colpito da un vecchio stabile
dipinto a tinte forti; mi infilo dentro al cortile che lo delimita incurante possa essere casa di
qualcuno… La solita curiosità è stata premiata. Trovo quello che considero uno degli angoli più belli di Reykjavik. Non era casa di qualcuno… era casa di tutti! Di tutti i biker (nel senso ciclistico
del termine). Una specie di comune, o di centro sociali per amanti delle 2 ruote, un luogo di
aggregazione per scambiarsi competenze in materia di bicicletta. Un luogo suggestivo e vivo.
In un secondo momento torno sul lungo mare a fare qualche altro (auto) scatto e vengo abbordato
ad un’abbondante fanciulla locale intenta a festeggiare il suo addio al nubilato.. Quando mi accorgo
che mi sta per vomitare sulla moto la scarico “elegantemente..”
Relax totale a Laguna Blu (il centro termale più noto dell’isola) e il sabato sera a Reykjavik al posto
di andare a vivere la famosa notte della capitale con le stupende ragazze (pare) disinibite e
svestite, resto sul divano della guesthouse con una classe di studenti adolescenti americani e i loro professori (tutti piuttosto strani, cantavano preghiere tipo gospel prima di ogni pasto) a guardare “Io
sono leggenda” in inglese…
Riparto in fretta ed esco dalla città ancora addormentata di domenica mattina. Visito la base
militare abbandonata di Keflavik, o meglio la vedo da fuori perché è tutto recintato, speravo di poter
entrare. Percorro veloce la strada che mi allontana dal caos della città e ritrovo la mia dimensione…
Arrivo in un posto straordinario, la congiunzione tra la placca tettonica americana e quella europea,
un piede da una parte e uno dall’altra! Si spostano di 2,5 cm all’anno e un grandissimo flusso di
lava è qui proprio sotto i miei piedi…
Proseguo veloce verso est, seguendo la costa meridionale. Ormai guido su questi sterrati con
grande sicurezza e qualche traverso di troppo. Mancano pochi giorni all’imbarco per il rientro, mi
continuo quindi a ripetere che non posso permettermi nessuno tipo di imprevisto. La Norrona parte con o senza di me, e ritorna dopo una settimana. Anche per questo quando mi trovo di fronte ad
una pista che si apre con un poco incoraggiante cartello “Can be impassable”, maledico la mia
ostinata volontà di non percorrere mai le strade principali… (e poi “impassable” a chi?!?! Non lo
sanno che sono “unstoppable”?!!?)
Fortunatamente la pista si
rivela facile, almeno con il
tempo buono e in assenza di piogge recenti.
Inizia anche a cambiare il
paesaggio e sempre più
spesso il verde brillante
dell’erba domina il nero del basalto. Mi perdo nelle
solite decine di scatti e
resto fermo ad ascoltare
la voce di questi spazi…
Alla mia destra una distesa di terra punteggiata di fazzoletti erbosi e poi il mare, a sinistra
delle alture grigio-nere, nello specchietto la riga di polvere che si alza al mio passaggio,
netta dalla ruota per stemperarsi spinta dal vento verso mare dissolvendosi lentamente. Confesso di sentirmi dentro un film, o quantomeno un documentario sui viaggi in moto…
Visito una serie di cascate avvicinandomi alla mia prossima meta, purtroppo non sempre il sole
favorisce i famosi arcobaleni, ma lo spettacolo è sempre grande. Incontro un gruppo di ragazze
italiane, una è della mia zona e abbiamo pure un’amicizia in comune.
La sorpresa del giorno la trovo nei pressi di Skogar, il vento si alza e guido con la moto inclinata
per molti km sulla costa, fino a rimanere bloccato insieme agli altri veicoli in quella che credevo
fosse una bufera di sabbia (il mare è a poche centinaia di metri dalla strada). Non si vede nulla, leauto che mi precedono si fermano, faccio lo stesso, ma non è semplice restare in piedi con la moto
per il vento davvero fortissimo… Fatico a respirare. Finalmente dopo qualche minuto si riparte e
arrivo all’Edda. Commento facendo la figura del cretino con la sempre carina fanciulla al desk che
non avevo letto nulla sulla Lonely Planet in merito alle tempeste di sabbia in Islanda. Lei mi guarda
stupita e mi risponde che non era sabbia, ma cenere vulcanica dell’ultima eruzione. Ecco lo sapevo, sono in mezzo ad un evento vulcanico e non me ne sono accorto, ho pensato subito di
avvisare mia mamma che stavo bene… Lei mi vede agitato e prontamente mi informa che è tutto
tranquillo, si riferisce all’eruzione di maggio (quella che si era portata via un pezzo di Ring Road).
Sono sollevato ed anche un po’ orgoglioso di essere finito dentro una bufera di cenere vulcanica!!
Lei continua a guardarmi e sicuramente sta pensando che sono un cretino. Il giorno successivo, ripulito me e la moto (chissà il filtro dell’aria...) dal grosso della cenere, prendo
un pista secondaria per andare a toccare il primo dei ghiacciai che lambiscono e poi si buttano più
ad est nell’oceano.. Purtroppo c’è ancora vento e quella foschia è proprio cenere vulcanica…
La pista
che sale a
Laki
E’ incredibile questa zona. Una delle più grandi calotte glaciali al mondo è qui sopra la mia testa,
ma soprattutto molti dei vulcani più attivi e potenti sono proprio sotto questi ghiacciai. Qui sono tutti
consapevoli che quando, non se succederà il prossimo evento di una certa importanza, alcune zone come la cittadina di Vik potrebbero essere spazzate via dall’inondazione che consegue
un’eruzione sotto un ghiacciaio. Sono già attive delle telecamere in vari punti per documentare
l’evento!!! Le persone qui ci convivono apparentemente senza alcuna preoccupazione. Mah…
Visito però una fattoria abbandonata durante un’eruzione pochi anni addietro, in questo caso i
proprietari credo si siano rotti le palle e hanno abbandonato tutto lì, auto e camion compresi.. confesso inquietante, non sono entrato, avevo la solita paura dei cani (che in Islanda non ho mai
incontrato, ma non si sa mai!!)…
Guido con il mare alla mia sinistra e scorgo dalla parte opposta le lingue più estreme del
Vatnajokull, la più grande calotta glaciale euorpea. E’ grande come la Valle d’Aosta. Ovviamente
non resisto e appena vedo una “strada” che muove in quella direzione la imbocco. Ormai l’ho imparato: la mia curiosità, forse un po’ di incoscienza, quando non mi fanno impiantare, mi
ripagano di grandi emozioni… Percorro una decina di Km verso nord, e mi trovo su un terrapieno
naturale dal quale si vede oltre un pianoro di ghiaia, il fronte dell’enorme ghiacciaio. Purtroppo
cenere e terra lo rendono nero come l’asfalto.. Tutto intorno a me ci sono dei fazzoletti di verde e
morbido muschio.. Curiosi tappeti in quell’ambiente lunare. Ovviamente non resisto…
Quel muschio verde
rame è soffice e
persino caldo!
Il Ferragosto lo trascorro mangiando pane morbido su una spiaggia di sabbia lavica, con l’oceano
che si infrange su scogli di basalto. Alle mie spalle verdi fattorie, dietro le quali imponenti ghiacciai,
sotto i quali minacciosi vulcani… non aggiungo altro! Incontro nuovamente dei signori israeliani conosciuti in guesthouse ad Holmavik, hanno vissuto a
Roma per qualche anno e ci perdiamo in chiacchiere mentre mi offrono una specie di the al
mirtillo..
Il penultimo giorno di viaggio mi emoziona e stupisce con i ghiacciai che frammentano iceberg nel
mare, o meglio in una laguna che si è formata solo 70 anni fa e che tramite un canale (ampliato
dall’uomo) si riversa nel mare… I blocchi di ghiaccio impiegano anche mesi per uscire dalla laguna. Purtroppo manca il sole a sfumare i vari toni di azzurro del ghiaccio e la cenere (e terra credo) ha
coperto il candore della neve. Lo spettacolo resta comunque da fermare il respiro..
Con gli occhi ancora bagnati da quello spettacolo riparto per andare a visitare una spiaggia di
cui mi aveva parlato un ragazzo alla stazione di servizio.
Si trova qualche Km ad a sud rispetto alla strada 1 e ci si arriva con una pista abbastanza segnata ma un po’ “molle” in alcuni tratti, mi dice.. Al solito i buoni propositi di non fare cazzate
2 giorni dalla partenza vengono disattesi e mi infilo con lo sguardo del bambino che sta facendo
una marachella in una specie di steppa coperta di un muschio ambrato…
Il primo tratto è divertente e mi fermo a fare un po’ di foto… le nuvole sono basse, ma i colori del
manto erboso che cresce su questi terreni lavici conferisce una luce particolare. Mi piace molto. Proseguo, qualche curva e alcuni dossi non mi consentono di vedere la direzione, controllo con il
GPS e comunque sto andando a sud, e poi si vedono le tracce… Appena dietro uno scollinamento
però il fondo cambia all’improvviso e diventa prima molle, poi sabbioso. Comprendo subito il
rischio, la parte razionale si attiva e con un ampio cerchio inverto la direzione guidando di traverso senza fermarmi. Riesco a fatica a riprendere la traccia di prima rallento in corrispondenza del
cambio di colore del terreno che all’improvviso diventa più scuro… mi accorgo che è un errore, è
sabbia fine. Cerco di dare gas lentamente, mi sposto indietro, mantengo la direzione, ma il
posteriore si abbassa sempre di più, perdo velocità nonostante stia accelerando, lentamente mi
fermo… Ed è la terza volta.Immediatamente spengo tutto, non insisto (e che cavolo l’esperienza della F35 insegna...),
appoggio la moto che fortunatamente non ha spanciato. Si riprende a scavare. Ho fatto più buchi io
in Islanda che un tarlo in una vecchia trave penso. Questa volta è sabbia e si asporta meglio della
terra e pietre. Inoltre la ruota è meno sprofondata; ho la sensazione di potercela fare da solo... Per
sicurezza scavo davanti e dietro, ma anche di lato, una buona mezz’ora mentre sudo dentro la tuta con l’imbottitura termica. Mi fermo, prendo fiato. Decido di non salire sulla moto, ma spingerla di
lato inserendo la marcia. La moto è sempre la stessa da 300 Kg delle puntate precedenti. Chiave,
check, pulsante d’accensione e prima. Faccio “pistonare” il boxer lentamente mentre con il cuore in
gola per lo sforzo e per la paura di non farcela spingo sul manubrio con tutte le mie forze…
Lentamente si muove, slitta, ma non sprofonda, mi sposto di qualche metro e guadagno la terra più compatta. E’ andata. Bravo Claudio. Ma adesso davvero basta.
Arrivo alla guesthouse che pioviggina, decido di uscire subito per cenare, poi torno in camera a
togliere un po’ di terra dalla tuta. La notte non dormo per il casino che fa’ una famiglia di olandesi
del vicino ostello, ci discuto, ma poi lascio stare e con un italianissimo “ma vai a cagare” mi congedo con il gestore della guesthouse il mattino successivo. Capita, doveroso segnalare che gli
islandesi sono sempre disponibili e molto cordiali una volta conosciuti. L’educazione e un sorriso
sono elementi costanti.
Parto alla volta di Eglisstadir dove trascorrerò l’ultima notte, è il 17 di agosto.Lungo la strada non resisto ed entro in un altro capanno abbandonato dove trovo vere e proprie
inconsapevoli opere d’arte…
Mi concedo una sontuosa cena
chiacchierando con la cameriera in un
ristorante semi deserto e l’indomani mi ricongiungo con gli altri ragazzi conosciuti
sulla Norrona all’andata. Mi aspettano 2
giorni di racconti, esperienze, confronti con
altri viaggiatori complici nella condivisione di
questa stupenda esperienza. Le storie si sprecano, ogni tanto forse si esagerano, ma
tutti con grande passione e quella genuina
disponibilità che solo i grandi viaggiatori
sanno manifestare.
Ceno per 2 giorni in mezzo all’Oceano Atlantico, la nave non balla troppo e cerco di godermi la
traversata, Ogni minuto. Ogni istante. La notte è fredda, ma offre una bellissima luna. Aggiorno la
Moleskine, chiacchiero con i ragazzi, compro cazzate al triste duty free della Norrona… Arriviamo in orario in Danimarca e mestamente mi avvio ai 1662 Km per casa. Il secondo giorno, alle 7 di
sera, anziché infilarmi nel tunnel del San Bernardino, ho ancora la voglia di fare il passo, guardare
il sole sparire dietro le cime delle montagne prima di riprendere la discesa…
Ore 22.45 del 22.08.2011. Arrivo a casa dopo una tirata da oltre 1300 Km. Ceno con
birra calda e una barretta al sesamo seduto sul pavimento del box guardando la moto,
parlandole, toccando la terra accumulata in tanti Km. Guardo i segni lasciati sul cerchio posteriore dalla F35, i tasselli rovinati da tanti Km e tante pietre.
Gesti incomprensibili. O forse no… Sempre sulla via di Shangri-La mi sento un viaggiatore di orizzonti perduti.
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