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INDICE

NATURA E SCOPI DELLA RICERCA pag. 2

INTRODUZIONE pag. 3

LA VITICOLTURA DELLA VALCAMONICA NEL BASSO MEDIOEVO pag. 6

IL CINQUECENTO pag.12

IL SEICENTO pag.16

IL SETTECENTO pag.18

pag.21L’ OTTOCENTO Sistema di conduzione delle aziende dell’ottocento:

La mezzadria pag.26

VITICOLTURA CAMUNA DALL’INIZIO DEL NOVECENTO AI GIORNI NOSTRI pag.29

Ipotesi di sviluppo della viticoltura effettuata negli anni novanta pag.45

CARATTERISTICHE TECNICHE DEGLI IMPIANTI DAGLI ANNISETTANTA AD OGGI pag.51

Varietà e portinnesti pag.52Forme d’allevamento pag.53

OPERAZIONI COLTURALI pag.58

IL RILANCIO DELLA VITICOLTURA IN VALLECAMONICA pag.61Proposta di riconoscimento della I.G.T dei vini Valcamonica pag.64

VINI PRODOTTI IN VALCAMONICA pag.69

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NATURA E SCOPI DELLA RICERCA.

La presente ricerca intende percorrere la storia della viticoltura camuna dal

basso medioevo ai giorni nostri, con l’obbiettivo di dimostrare come una

coltura da sempre considerata marginale, possa essere una valida alternativa

ai comparti agricoli “storici” rappresentati dalla selvicoltura, dai prati e dai

pascoli.

La viticoltura, nonostante sia una tradizione secolare in Valcamonica, ha

subito nel passato più recente profonde trasformazioni, con una riduzione

delle superfici vitate, un generale abbandono della pratica di coltivazione e

dei territori con il successivo ed inevitabile degrado ambientale.

Nel futuro il comparto vitivinicolo per sopravvivere dovrà specializzarsi il più

possibile, ciò richiederà investimenti considerevoli, i cui benefici andranno a

favore non solo degli agricoltori ma di tutta la comunità; non bisogna infatti

dimenticare che il ruolo fondamentale dell’agricoltura di montagna non è solo

quello produttivo ma anche di conservazione del suolo, del paesaggio e

dell’ambiente ecologico.

Lo sviluppo della viticoltura in questa valle permetterà: il recupero e il

mantenimento dei versanti con miglioramento dell’ambiente rurale e

prevenzione del dissesti idrogeologici e degli incendi.

La possibilità di un concreto ritorno all’agricoltura di nuovi addetti

provenienti da settori diversi (industria, terziario) che hanno abbandonato o

ridotto la coltivazione della vite negli ultimi decenni.

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La possibilità di abbinare ai prodotti agroalimentari un vino prodotto in

Valcamonica che riporterà sulle tavole il gusto inconfondibile di un prodotto

nato dalla terra degli antichi camuni.

INTRODUZIONE

Prima di esaminare la coltura della vite in valle, è doveroso soffermarsi

brevemente sulle caratteristiche della Valcamonica, per comprendere come la

coltivazione della vite abbia sempre rivestito un ruolo marginale

nell’economia dell’agricoltura valligiana.

Le cause di questa marginalità possono essere imputate in particolar modo al

clima, all’orografia ed al tipo di flora, come già riportato in uno scritto

dell’inizio del secolo XX.

“Chi attraversa il lago d’Iseo vede sullo sfondo, verso nord, tra Lovere e

Pisogne, un’ampia insenatura sbarrata da colli e da cupe foreste, dietro di cui

s’innalza una paurosa catena di montagne ardue e ghiacciate: quella è la

Valcamonica.”

La Valcamonica è racchiusa dalle due catene di monti che scendono dal

picco dei Tre Signori ed ha per confine: a nord-nord-ovest la Valtellina ed i

monti della Valle di Scalve (Bergamo); a nord-nord-est il Trentino; ad ovest

la Valle di Scalve; ad est il Trentino e le valli bresciane Sabbia e Trompia; a

sud il lago d’Iseo, con una lunghezza di circa 81 km ed una superficie di circa

1301 kmq.

La sua speciale configurazione orografica la divide in tre bacini: il primo va

da Pisogne a Cividate e comprende la parte più piana, fertile con clima mite;

il secondo va da Cividate a Edolo ed è più angusto, meno fertile, più aspro; il

terzo si estende da Edolo a Ponte di Legno ed è il più freddo, con coltivazione

ridotta a pochi cereali e dove è maggiormente sviluppata la pastorizia.

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Il territorio camuno comprende, tra il fondo della valle e le cime più alte,

quasi tutte le zone vegetative individuate dai botanici e cioè: la zona di

collina (da 100 a 600 m), zona montana (da 600 a 1500 m), zona subalpina

(da 1500 a 2500m) e zona alpina (da 2500 a 3500 m). Secondo le varie

stagioni, poi, entro tali zone, le piante sono raggruppate in varie

“associazioni” d’aspetto e composizione diversa. Infatti dove il terreno è

piano prevale la coltura dei cereali, come granoturco e frumento, mentre

nelle parti più elevate della valle troviamo segale, orzo, grano saraceno.

Viceversa lungo i pendii dei colli, resi più agibili alla coltura mediante

terrazzamenti stretti, sostenuti da muriccioli a secco, domina la coltivazione

della vite: ottime qualità di vini sono fornite soprattutto dalle vigne di

Erbanno, Malegno e Losine.

Il terreno agrario rispetto alla sua origine può essere classificato in:

Terreno di trasporto dai fiumi e torrenti: originato dall’azione dell’Oglio,

costituisce e presenta, per quanto riguarda la composizione fisica e

mineralogica, caratteri diversi secondo il punto del corso del fiume, e secondo

le rocce che principalmente contribuiscono a costituire il materiale trasportato.

Terreni di trasporto dei ghiacciai: presenti in gran parte sulle sponde della

Valle e nelle vallette laterali, si mostrano in tutti i meandri dove l’antica

forma della roccia ha trattenuto il materiale trasportato dal ghiacciaio.

Si riconoscono facilmente per la forma e per la natura mineralogica dei massi

che vi si trovano, spesso assolutamente diverse da quelle delle rocce che

costituiscono il bacino locale.

Terreni in posto: situati nelle parti più alte di tutte le montagne camune,

rappresentano quel tanto del prodotto di disfacimento della roccia sottostante

che la forza di gravità, l’acqua e il vento non trascinano in basso.

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Il clima è quello tipico semicontinentale che rappresenta la zona transitoria tra

il dominio dell’olivo (clima mediterraneo) e quello delle steppe e praterie

(clima continentale), tuttavia, a causa della particolare orografia della

Valcamonica, si verificano condizioni climatiche variabili da zona a zona.

Infatti, l’influenza mitigatrice del lago d’Iseo, anche se si fa sentire in tutta la

valle, è prevalente nella zona a sud di Breno mentre là dove si esaurisce il

benefico effetto del lago, il clima diventa sempre più di tipo montano fino ad

arrivare al tipo alpino alle quote più elevate. Le escursioni termiche, in

Valcamonica, sono normali però, in alcune zone, la presenza dei venti

dominanti può provocare sbalzi piuttosto elevati. Riguardo ai venti, occorre

precisare che esiste un vento dominante periodico che spira da NNE-SSO, di

mattino dal lago d’Iseo verso Edolo, e di pomeriggio in senso opposto. Altro

vento che si ha in valle è il Favonio, che scende dalla Alpi ed è tipico di tutte

le vallate alpine.

Secondo i dati pluviometrici forniti dalle quattro stazioni della Valcamonica

(Breno, Annunciata, Sacca ed Angolo Terme), le piogge raggiungono in

media i 1250 mm annui con le punte maggiori in primavera (400 mm) ed in

estate (350 mm).

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LA VITICOLTURA DELLA VALCAMONICA NEL BASSO MEDIOEVO

Da antiche pubblicazioni si ha notizia che in Lombardia la viticoltura era già

presente in età romanica ma è soprattutto nel periodo del basso medioevo che

s’iniziano a gettare le basi di quella che sarà la coltura moderna altamente

specializzata che noi oggi conosciamo.

Nel X e XI secolo la coltivazione della vite era prevalentemente attuata vicino

alle città, lungo il corso del Po, nelle basse pianure e nelle terre pesanti delle

aree paludose. Tutto questo sta ad indicare che la coltivazione della vite non

era specializzata ma che veniva effettuata un po’ in tutte le zone senza tenere

conto della loro vocazione. Infatti la vigna si piantava dove la richiesta era più

forte ed era più facile il trasporto e non dove le condizioni pedologiche erano

più favorevoli. Un’altra causa dell’inurbamento di questa coltura era dovuta

all’instabilità politica del tempo ed alla minaccia di distruzione delle colture

rappresentata dalle bande armate.

Anche nel caso di Bergamo e Brescia la presenza della vite era tipicamente

antropica e legata allo sviluppo urbano ma, a differenza del resto della

Lombardia, la vite si coltivava in aree pedologicamente favorevoli,

determinando, in tempi assai precoci, una produzione differenziata e d’alta

qualità. Nei secoli undicesimo e tredicesimo la ripresa della viticoltura è

coincisa con un notevole sviluppo economico.

Intorno al secolo undicesimo infatti, passato il pericolo delle invasioni

barbariche e in concomitanza con i moti comunali, anche intorno a si assiste

ad un nuovo fervore d’opere agricole e all’estendersi delle terre coltivate,

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poiché vengono concessi, sempre di più, terreni “ ad runcandum” e “ad

pastinandum” cioè da dissodare e piantare.

È probabilmente nell’epoca comunale che viene introdotto l’uso dei

terrazzamenti nella sistemazione dei terreni collinari, facendo assumere ad

essi l’aspetto che ancora oggi hanno. I dissodamenti, avviati lentamente fra il

X e l’XI secolo, che diventarono sistematici fra il XII e i primi decenni del

XIV secolo, erano finalizzati esclusivamente all’impianto di nuovi vigneti

specializzati nella forma caratteristica della clausura o della braida chiusa

artificialmente (porzioni di vigneto racchiuse da muri a secco o alte siepi).

E’ quindi in questo contesto che si sviluppa la viticoltura camuna come viene

indicato in alcuni scritti di quell’epoca. Documenti relativi a questo periodo,

infatti, ci indicano come già alcuni vigneti in Valcamonica rientravano nel

patrimonio di S.Pietro in Monte; inoltre notizie sulla presenza di vigneti ad

Artogne, Lozio e Berzo risalgono al giugno del 1041, mentre per Pisogne si

deve arrivare al settembre del 1045. Questi dati vengono confermati anche

dalle carte dei secoli seguenti relativi ai possedimenti della Mensa Vescovile

di Brescia la quale riscuoteva numerosi canoni in vino.

La conferma che la vite era presente in Valcamonica già nel 1100 viene dalla

notizia della distruzione a Borno di oltre quattordici torchi, bruciati in seguito

ad un’incursione degli abitanti della Val di Scalve. Questo evento starebbe

anche ad indicare che la vite cominciava ad assumere una certa importanza in

un’economia agricola precaria come quella della Valcamonica. Altra

testimonianza della presenza nel secolo X di terreni vitati in Valcamonica ci

viene da un privilegio di Papa Callisto del 1123, in cui venivano confermati

all’abate Pietro tutti i possedimenti del cenobio che comprendevano quattro

petias vinearum nel pievato di Cividate. Tuttavia, se nel XII secolo la

viticoltura in questa valle rimaneva una realtà marginale, la maggiore

ampiezza della valle, la migliore esposizione dei pendii all’ azione del sole, il

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clima temperato e la disponibilità di più ampie zone alluvionali pianeggianti

coltivabili, consentivano buone rese e discreti livelli qualitativi alle vigne

collocate nei siti più adatti.Principali zone viticole del territorio Bresciano

durante il XII secolo

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Nelle quattro corti di Edolo, Cemmo, Cividate e Pisogne la messa a coltura

della vite rispondeva essenzialmente ai bisogni alimentari del posto e le viti

venivano collocate vicino alla pieve, al castello o nelle clausure (vigne

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protette da siepi o muri a secco) realizzate ai margini del borgo in condizioni

privilegiate, tanto da consentire all’episcopato di riscuotere i canoni

direttamente in vino. Tali entrate venivano consegnate dai coltivatori presso la

cantina signorile posta all’interno della corte, dove i vini potevano essere

conservati e dove esistevano anche strutture per la vinificazione. Infatti nel

castello di Mu era presente la cantina in cui venivano sistemati i fitti del

vescovo. Facevano, inoltre, parte delle prerogative signorili della corte di

Edolo la raffia alla vendemmia, che consisteva nella raccolta dei tralci di

potatura e nella loro consegna alla curia, la riscossione della “decima vini” e

la consegna, da parte di qualunque abitante della corte che lavorava la vigna,

di una certa quantità di vino. Infatti in un inventario della curia di Cemmo si

trova una rubrica dedicata ai “fitti del vino” dove si apprende che nel 1299

erano stati riscossi dalla corte 40 cogi e mezzo di vino. La maggioranza dei

vigneti era posta in una località soleggiata denominata”via cava”, ma

frequenti erano anche le vigne sistemate accanto alle case, come è ad esempio

quella di Giacomo di Bonfato o quella di Belasetia Girioli che erano coltivate

nell’orto accanto alla loro casa .

Procedendo in direzione del lago d’Iseo, si trova inoltre la curia di Cividate,

caratterizzata dalla presenza di numerosi ronchi (terrazzamenti sostenuti da

muri a secco) in buona parte occupati da porzioni di vigneto. La pieve di

Cividate possedeva un brolo di cento tavole cui non mancavano filari di

pergole vitate e la stessa cosa si può dire per la breda dominicale, frazionata

in lotti contigui e data in fitto.

Per quanto riguarda le colture praticate nei terreni del vescovo nella corte di

Cividate, alcuni calcoli hanno portato a valori cosi riassumibili.

Tab. 1 COLTURE PRATICATE SUI TERRENI VESCOVILI DI CIVIDATE

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DESTINAZIONE

COLTURALE

SUPERFICE IN MQ %

Coltivo 285.222 87Vigneto 34.275 11Brolo 4.232 1Prato 3.450 1Totale 327.179 100

Le cifre devono essere intese come indicative, dal momento che, per alcuni

fondi, nel documento si dà una descrizione complessiva; perciò non è

possibile stabilire esattamente per questi casi quanta parte sia effettivamente

coltivata a vigneto e quanta lasciata a prato.

L’approssimazione è comunque contenuta in pochi punti percentuali.

La coltura viticola, come emerge dalla documentazione della Mensa nella

curia di Pisogne non sembra più diffusa che a Cividate, anche se le condizioni

climatiche più miti, dovute all’influenza del lago d’Iseo e confermate dalla

presenza dell’olivo, potrebbero far pensare ad una situazione più favorevole.

Accanto alla consueta vigna o pergolato domestico, più o meno ampio, la vite

si trovava associata ad alcune colture arboree (castagno), al prato oppure in

coltura pura nel “ Vinetum”, zona del posto particolarmente vocata per la

viticoltura.

Nel medio evo si seguivano due forme di allevamento: vigna coltivata bassa,

attuata prevalentemente in collina, nelle clausure, nei broli e negli orti e

vigna coltivata alta attuata soprattutto in pianura. La vite bassa era sostenuta

da tutori morti (pali, canne, rami), quella alta poteva appoggiarsi, oltre che su

sostegni secchi, su gli alberi verdi, da cui la denominazione di “alberata” o

“pianta”.

Le due tecniche di allevamento si distinguevano anche per il modo di

potatura,corta la prima e lunga la seconda, dalla quale dipendevano la

differente capacità vegetativa e produttiva della vite, come pure il livello

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qualitativo delle uve prodotte. Infatti dalla vigna alta si otteneva una maggiore

produzione ma le uve avevano un minore tasso zuccherino, per questo si

ottenevano vini poco persistenti. Le vigne basse, invece, erano meno

produttive ma più robuste e vigorose, con un maggior contenuto in zuccheri,

per cui si ricavavano vini di migliore fattura.

I documenti del duecento inoltrato indicano che il vigneto poteva essere

coltivato in coltura specializzata (vinea, terra vithata) o in coltura promiscua

con arativo, prato, bosco, olivo o castagni.

In questo secondo caso non sempre è, però, facile capire la reale disposizione

dei vitigni sul coltivo. Le viti potevano essere piantate nei seguenti modi: in

filari sparsi fra le colture o nel prato; raggruppate in qualche parte

dell’appezzamento; delimitanti i bordi dei prati; situate nei pressi della siepe

di cinta; appoggiate ad alberi d’olivo oppure a quelli di castagno che

lambivano l’inizio del bosco sullo spazio appena dissodato.

IL CINQUECENTO

Nonostante le scarse notizie in merito, si può dire che il Cinquecento,

rappresenta un’ importante tappa per l’agricoltura della Valcamonica, poiché

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in questo periodo si assiste ad una diminuzione delle attività manifatturiere e

mercantili, molto fiorenti nel secolo precedente, con il conseguente aumento

delle attività legate all’agricoltura.

Questo secolo è legato ad importanti dominazioni per la Valcamonica: quella

dei francesi che, se pur breve, ha portato un cambiamento soprattutto nel

campo della vinificazione, e quella, di più lunga durata, della Repubblica di

Venezia. Per la Serenissima,l a viticoltura era una fiorente fonte di guadagno

attraverso il pagamento delle tasse; da qui l’incremento di vigneti anche in

valle.

L’interessamento verso la viticoltura era dimostrato dall’emanazione di

disposizioni riguardanti gli osti, ai quali si imponeva di vendere solo vino e si

vietava di mescolare il vino vecchio con quello nuovo, imponendo severe

multe o la galera a chi si sottraeva a queste regole.

All’inizio del secolo ci fu un breve periodo in cui in molti territori della

provincia di Brescia, compresa la Valcamonica, subentrò al governo della

Serenissima quello dei francesi.

Essi, da buoni estimatori di vino e forti della loro antica pratica enologica,

introdussero delle importanti modificazioni nell’enologia del Bresciano,

portandola ad un nuovo ed insperato aumento. Infatti i francesi, abituati ai

loro vini più chiari e leggeri ottenuti con una bollitura di tre o quattro giorni,

non gradivano i vini locali, duri, con una colorazione molto intensa dovuta

alla più lunga maturazione, per cui introdussero i loro metodi, insegnando ai

bresciani a svinare il più presto possibile. Nacquero così anche in Italia vini

più accetti e adatti all’invecchiamento.

Tali metodi vennero introdotti anche in Valcamonica ma i locali, abituati al

loro vino, non gradirono le innovazioni cosicché i viticoltori non

abbandonarono le loro antiche consuetudini e tradizioni, staccandosi così

dalla viticoltura praticata in tutto il bresciano.

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Il ritorno della dominazione veneta dopo quella francese ha fatto sì che la

viticoltura della Valcamonica vivesse una nuova vita, tanto che sempre più

zone furono sottratte al bosco per essere coltivate a vite. Per quanto riguarda

le viti coltivate in valle, notizie interessanti, verso la metà del Cinquecento,

provengono da Agostino Gallo.

In questo secolo non si parlava ancora di vere e proprie schede

ampelografiche e le notizie che venivano fornite sulle singole varietà, si

limitavano a considerare alcuni aspetti ritenuti di maggior rilievo e, in modo

particolare, venivano elencate le caratteristiche dei vini ottenuti, come si può

notare dalle schede sulle uve nere e bianche allegate , scritte da Agostino

Gallo.

UVE NERE

Groppelle: le groppelle gentili sono più delicate da mangiare e fanno il

miglior vino, benché sia poco, ma sono più sensibili alle avversità e alla fersa

(una specie di ruggine sulle foglie, chiamata in gergo dialettale anche nèbbia).

Vernacce: vernacce nere mediamente buone, ma costanti nella produzione; è

meglio mescolarle con le trebbiane bianche o con le Groppelle.

Schiave nere: grosse di grano, molto produttive, ma danno un vino debole,

che migliora accompagnandolo con le Groppelle.

Marzemine: fanno graspi lunghi e grani grossi, sono molto produttive e danno

un vino gentile, tendente all’amabile, ma carico di colore.

Besgane e Rossore: buone, di media grandezza, di tenerezza e sapore danno

un vino debole e di poco colore; è consigliabile vinificarle con Groppelle o

Marzemine .

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Valtoline: producono molto vino apprezzato da tutti per la bontà e per il

colore; si possono vinificare da sole o con altre uve. Sono chiamate cosi

perché il vino si travasa più volte nell’anno, anche perché sembra guasto; ma,

dopo due giorni dall’operazione, ritorna normale e si mantiene in seguito più

a lungo di ogni altro vino.

Pignole: buone , perché non solo sono molto produttive, ma anche perché

danno un buon vino, sia vinificate da sole che con altre uve.

Correre e Corvarole: produttive, il vino è molto insipido e crudetto, perché

maturano troppo tardi.

UVE BIANCHE

Trebbiane: graspi grandi ed acini grossi, producono molto. Danno buon vino

potente; se impiantate in collina con buona esposizione danno un vino

delicato.

Il periodo di grande sviluppo della viticoltura, che interessò la prima metà del

Cinquecento, si arrestò bruscamente nel 1567, quando una gravissima crisi

colpì la vite camuna, provocandone la moria, descritta da Padre Gregorio di

Valcamonica, che, nei suoi testi, però non cita quali cause la provocarono;

molto probabilmente all’epoca non esistevano ancora gli strumenti e le

conoscenze per spiegare questo fenomeno.

Interessante è notare che questa moria si limitò solo al territorio della

Valcamonica e non si diffuse nelle vallate confinanti. In conseguenza di ciò la

superficie vitata e la produzione della zona diminuirono in modo sensibile,

spingendo i reggenti della valle , verso la fine del secolo, a chiedere il

permesso alla Repubblica di importare il vino dalla Valtellina.Il permesso fu

concesso, ma la decisione fu contrastata dai podestà di Tellio e di Tirano in

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Valtellina, che lasciarono così la zona Valcamonica posta al di sopra di

Cedegolo senza vino per un lungo periodo.

La situazione si aggravò a tal punto che il consiglio generale della valle,

anche su proposta degli abitanti della zona sopra Cedegolo, inviò a Coira il 29

dicembre del 1601, il dottor Francesco Bassanese per chiedere all’Assemblea

delle Tre Leghe che fosse rimosso l’impedimento. Finalmente il 5 gennaio

1602 il dottor Francesco Bassanese otteneva dall’assemblea delle Tre Leghe a

Coira la rimozione dell’impedimento di acquistare vino dalla Valtellina.

Non si è potuto analizzare questo secolo in modo più specifico ed

approfondito, perché le informazioni ritrovate si riducono solamente a quanto

sopra descritto.

La documentazione relativa alla Valcamonica, relativamente a quel periodo,

appare assai modesta, perché, al di là di Padre Gregorio di Vallecamonica e

Agostino Gallo, nessun altro descrisse la situazione viticola della zona .

IL SEICENTO

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Indicazioni relative a questo periodo si possono trovare nel Catastico di

Giovanni da Lezze, del 1610, il quale ci fornisce un quadro generale di della

viticoltura camuna . Il da Lezze riprendendo quanto già attuato nel medioevo,

suddivise la valle interessata alla viticoltura in tre zone principali:1) Alta

Valcamonica da Edolo a Ponte di Legno , dove si coltivavano in prevalenza

castagne, mele e pere assenti le vigne dell’uva. La mancanza della vite era

imputabile sia all’altitudine , tutta al di sopra dei 700 m, sia al clima

spiccatamente continentale ed ostile ad una coltura mediterranea come la vite;

2) Bassa Valcamonica, da Darfo a Pisogne, dove si trovavano i comuni di

Artogne, Gianico e Pisogne terreni vitati. La produzione di questa zona era

qualitativamente mediocre, in quanto si producevano prodotti di bassa

gradazione, aspri, acerbi e fumosi; 3) media Valcamonica, nella zona sulla

sponda destra del fiume Oglio, nei luoghi ben esposti al sole, si trovavano la

maggior parte dei terreni vitati della valle; ovviamente queste viti fornivano

un prodotto qualitativamente valido.

Il da Lezze fece anche una classificazione dei paesi che producevano vino, da

cui è emerso che i vini migliori erano prodotti nel comune d’Erbanno, che a

quei tempi comprendeva anche Angone. Seguiva poi, il comune di Gorzone,

con i vini meno forti ma più saporiti, più sani e poco fumosi. Buoni vini erano

prodotti nei territori di Malegno il cui vino era considerato buono, generoso

ed inebriante; in fine Borno, dove si producevano vini graditi al palato.

Vini di buona qualità poi si ottenevano anche a Cividate, Breno, Berzo

inferiore il quale era l’unico comune viticolo della media valle che si trovava

sulla sinistra del fiume Oglio.

Tuttavia, come si ritrova nel Catastico, la produzione di vini di buona qualità

era piuttosto limitata, tanto da non poter soddisfare le esigenze del mercato

locale per più di due mesi; per questo motivo s’importava molto dalle vicine

zone viticole della Franciacorta e della Valtellina.

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Che la zona più vocata per la viticoltura fosse quella della media

Valcamonica, posta sulla destra del fiume Oglio, viene confermato da uno

scritto del 1698 (Trattenimenti contenenti ragguagli sacri e profani dei popoli

camuni).

Infatti la Valcamonica è descritta come un territorio dove, nei luoghi esposti

al sole fino al paese d’Edolo, si produceva in abbondanza vino.Trovava

inoltre conferma il fatto che i terreni che producevano vino di maggior fama

erano sempre quelli indicati nel catastico; a Gorzone erano situati quelli che

producevano “i più delicati”, a Malegno quelli famosi per le uve moscatelle e

schiavate, seguiti da Berzo Inferiore e Losine.

In queste zone si producevano soprattutto vini rossi, ma non mancavano

quelli bianchi derivanti dal moscato. Questi vini erano caratterizzati da una

certa resistenza, per cui si conservavano in grotte per molti anni e

sopportavano lunghi trasporti senza alterare le loro caratteristiche.

I vini coltivati sulle pendici davano erano più “gagliardi e generosi “ di quelli

del piano, per questo motivo erano tra i migliori quelli coltivati a Gorzone,

Erbanno e sulla costa di Losine. Le vigne nelle zone in pendio venivano

coltivate su terrazzamenti creati artificialmente sostenuti da muri di pietra a

secco, creando quel paesaggio tipico ancora oggi riscontrabile in certi tratti

della valle. Le vigne nelle zone piane come nei terreni intorno a Cividate,

erano invece circondate da muri che delimitavano le proprietà, rimarcando il

concetto nato nel medioevo di clausura, oppure disposte a pergola intorno alle

case e sopra strade.

La viticoltura così come è stata tramandata dagli scritti di questo secolo,

continua ad incrementare il suo sviluppo, assumendo quelle caratteristiche

che sono arrivate fino ai giorni nostri.

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IL SETTECENTO

Dopo secoli di continua crescita della viticoltura, nel Settecento avviene un

gran rallentamento, dovuto soprattutto a fattori climatici e all’introduzione di

nuove coltivazioni ed allevamenti che hanno distolto l’attenzione degli

agricoltori dalla coltivazione della vite.

Il motivo principale di questo rallentamento fu l’abbassamento climatico che

nel 1705 colpì l’intera Europa, cancellando letteralmente dal vecchio

continente e dall’Italia settentrionale tale coltivazione.

In Valcamonica scomparirono tutti i vigneti che si trovavano a settentrione di

Edolo, e quelli a quote più elevate, mentre subirono numerosi danni i vigneti

situati nei comuni di Cemmo, Berzo Demo, Sonico e Cedegolo. Quelli invece

situati nelle zone più esposte al sole, caratterizzate da un clima più

mediterraneo, come quelli della bassa valle, si salvarono. I danni subiti dalle

viti nell’alta Valcamonica erano aggravati dal fatto che in questa zona gli

ettari coltivati a vite erano molto pochi e la produzione qualitativamente

molto scarsa, per cui con la scomparsa delle viti scomparì anche il vino locale

prodotto. Questo causò la necessità di comprare vino nelle vallate vicine, con

il conseguente notevole aumento del prezzo nell’anno successivo (cinque

volte).

L’aumento del prezzo del vino incoraggiò i reimpianti in molte zone e

vennero messi a dimora vitigni che erano stati scelti fra quelli più resistenti e

produttivi.

In pochi anni il volto della produzione viticola cambiò completamente, in

modo addirittura più profondo di quanto accadde tra la fine dell’Ottocento e

l’inizio del Novecento, a causa dell’invasione della fillossera.

Oltre alle cause climatiche, la crisi della viticoltura è legata all’introduzione

della coltivazione del gelso e l’allevamento del bacco da seta. La vite venne

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Page 20: INDICE - italiadelvino.com viticoltura camuna... · LA VITICOLTURA DELLA VALCAMONICA NEL BASSO MEDIOEVO Da antiche pubblicazioni si ha notizia che in Lombardia la viticoltura era

un po’ trascurata, soprattutto nei territori meridionali della Valcamonica

compresi fra i comuni di Pisogne e di Cividate.

Infatti in quel secolo la vendita dei bozzoli di seta era molto più redditizia di

quella del vino, per cui di solito tutta la famiglia era impiegata per quaranta

giorni nell’allevamento e nella cura dei bachi trascurando quei lavori che nei

vigneti erano importanti per una buona produzione.

Occorre ricordare che, per lungo tempo, la coltivazione della vite e la

fabbricazione del vino erano affidate ai contadini camuni, in prevalenza

mezzadri, perché la maggior parte dei possidenti non s’interessava

direttamente della coltivazione dei fondi. I camuni, in prevalenza agricoltori,

erano gran bevitori, essendo il vino considerato più che bevanda, sostanza

energetica soprattutto necessaria per i lavori pesanti.

Tale dato è confermato da un rapporto della Commissione preparatoria del

Sinodo del 1873, che denuncia frequenti problemi d’ordine pubblico per

eccesso d’ubriachezza nella nostra valle.

I principali vitigni coltivati nel settecento in Valcamonica sono stati segnalati

da Tomini Foresti e descritti di seguito.

UVE NERE

Balsamina: di grano mediocre e rado, le uve danno un vino dolce. Se ne

hanno due specie, delle quali una più produttiva perché ha grappoli più lunghi

e pesanti; il vino è molto carico di colore.

Pignola: è molto diffusa, si ha un vino che si conserva per lungo tempo ed è

anche molto carico di colore; produce abbondantemente. Ama i luoghi ben

esposti.

Vernazza rossa: si adatta bene ai luoghi ben esposti, fornisce un vino molto

delicato ma poco colorito. Se le uve vengono vinificate con quelle provenienti

dai due vitigni sopra citati forniscono un ottimo vino.

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Page 21: INDICE - italiadelvino.com viticoltura camuna... · LA VITICOLTURA DELLA VALCAMONICA NEL BASSO MEDIOEVO Da antiche pubblicazioni si ha notizia che in Lombardia la viticoltura era

Valtellina: il vino è carico di colore ed è buono.

Merera: dà uve di buone qualità.

Bresciana: il grano è più grosso della pignola, ma meno acuminato, fa un vino

delicato e durevole, ama il colle in cui dà vino più copioso e di dolcezza

particolare.

Schiava: è assai feconda in ogni terreno e produce un vino dolce e generoso,

ma di poco colore. Unita ad altre uve può servire per uso domestico a chi ama

un vino saporito e delicato.

UVE BIANCHE

Moscatello bianco: dà un vino bianco dolcissimo di qualità, pari a vini

forestieri più pregiati.

L’OTTOCENTO

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Da uno scritto del notaio Gian Antonio Guarneri, si apprende che la

Valcamonica, nella prima metà del secolo, era divisa in quattro zone (spartiti)

che si differenziano tra loro per il clima ed i prodotti.

La prima zona, che andava dal lago a Cividate, caratterizzata dal clima dolce,

produceva del vino squisito e molto ricercato, soprattutto nei terreni posti alla

destra del fiume e nelle costiere sovrapposte, ben esposte al sole, fino ad un

altezza massima di 700 metri. Invece nella zona a sinistra del fiume, con

l’eccezione del comune di Berzo Inferiore ed in parte nel comune di Bienno,

il vino era duro, leggero ed aspro.

Nella seconda zona o spartito, che andava da Cividate a Cedegolo, le

campagne erano discretamente feconde ed era presente la vite. Il vino

prodotto in questa zona era però duro ed aspro, ad eccezione del vino di

Breno, Losine, parte di Cemmo e Sellero.

Il terzo spartito, che andava da Cedegolo a Edolo, era poco vitato e il vino

prodotto era appena sopportabile a riserva delle viti di Demo, delle quali il

vino era passabile, e del vino di Edolo, che, nonostante la sua durezza, aveva

gran forza e colore; per cui, misto con vino molle bresciano, riusciva buono,

ed aveva molta diffusione nelle osterie.

Nel quarto spartito, che andava da Edolo a Pontedilegno le viti non

allegavano, a causa della quota e per il clima continentale sfavorevole a

questa coltura.

I vitigni più diffusi in questo secolo in Valcamonica erano per quanto

riguarda le varietà d’uva rossa la Bresciana, la Pagana, il Cropello, il

Balsamino e la Vernaccia moscata, dalle quali si otteneva un ottimo vino

saporito, resistente, di corpo e con un colorito maggiore di quello degli altri

vini ottenuti da uve gentili.

Le varietà d’uve bianche invece erano rappresentate dalla Moscatella e

dall’Alliana. Queste avevano il difetto d’essere poco feconde e presentavano

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Page 23: INDICE - italiadelvino.com viticoltura camuna... · LA VITICOLTURA DELLA VALCAMONICA NEL BASSO MEDIOEVO Da antiche pubblicazioni si ha notizia che in Lombardia la viticoltura era

difficoltà di maturazione.In conclusione i vini più famosi di quel periodo

erano quelli di Volpino, Rogno, Gorzone, Erbanno, Pian di borno, Malegno e

quelli della costa di Losine.

La seconda metà dell’Ottocento per la Valcamonica, come per tutta l’Europa,

fu uno dei secoli più difficili per la viticoltura, in quanto vide la comparsa di

malattie che segnarono profondamente il patrimonio viticolo.

Il primo a comparire fu il “mal bianco” causato dall’Oidio, la cui rilevazione

avvenne in Inghilterra nel 1845, mentre i primi danni in Valcamonica si

ebbero nel 1851. Nel giro di due anni la produzione andò distrutta.

L’Oidio, dall’inizio della sua comparsa e per molti anni a venire, fu indicato

come “la crittogama” o “mal bianco”; quest’ultima definizione resiste tuttora

presso i viticoltori. Dopo la sua comparsa in Inghilterra, gli studiosi trovarono

che lo zolfo era un mezzo efficace nella lotta contro il parassita.

È solo dal 1860 che lo zolfo fu impiegato in Valle, dopo la spedizione dei

Mille, e da quel momento la lotta antioidica si diffuse rapidamente tanto che

le produzioni ebbero un notevole aumento. Per parecchio tempo fu utilizzato

solo in polvere e nei nostri ambienti si consigliava di impiegarlo almeno per

quattro volte in un anno alla dose di circa 200 Kg di zolfo sublimato o 280 Kg

di zolfo macinato molto fine per ettaro. I primi trattamenti prevedevano la

distribuzione sulle viti mediante sacchetti di garza o tela, successivamente

furono impiegate le macchine solforatrici, dapprima i soffietti sorretti a mano,

poi le solforatrici a zaino. Con il procedere della sperimentazione si passò agli

zolfi bagnabili, poi a quelli colloidali e quindi a prodotti organici specifici.

In Valcamonica l’impiego dello zolfo ha incontrato notevoli ostacoli non solo

economici ma anche psicologici. Infatti, viticoltori ed allevatori dei bachi da

seta non vollero difendere le loro viti e cosi facendo persero la produzione di

seta e di vino e furono costretti a vendere i loro possedimenti.

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Dai risultati del Comizio Agrario Bresciano (1869) si apprende che la

coltivazione della vite si estendeva per 1841,81 ettari, di cui 1484,21 su

terreno arativo, 357,60 ettari su terreno a prato stabile.Fra i 52 comuni del

Circondario se ne contano 16 nei quali la vite non può essere coltivata.

Tab. 2 PRODUZIONI ALL’INTERNO DEL CIRCONDARIO NELL’ANNO 1869

TIPO DI COLTIVAZIONE ETTOLITRIGRANO TURCO 55.000SEGALE 22.500FRUMENTO 15.200CASTAGNE 32.000VINO 6.000

Questa tabella ci fa comprendere come la produzione di vino sia ancora una

volta poco rilevante in Val Camonica, dove i comparti principali sono

rappresentati dalla pastorizia e dalla silvicoltura, al punto che si doveva

importare come nei secoli precedenti il vino da zone più vocate, come la

Valtellina e la Franciacorta.

Nel 1881 arrivò dalla Francia un'altra malattia crittogama chiamata

Peronospora che, in gergo dialettale, prese il nome di “Mal negher”.

All’inizio la malattia si manifestò solo in autunno, colpendo esclusivamente le

foglie, successivamente i sintomi comparvero anche nelle altre stagioni

danneggiando tutti gli organi aerei della pianta. I danni furono gravissimi sino

a quando non vennero trovati adeguati mezzi di lotta non si poté contrastarla.

La prima sostanza che dimostrò una certa efficacia fu il latte di calce

impiegato a dosi molto elevate (3-4%), ma furono i sali di rame a contrastare

maggiormente il fungo.

Molti furono i fungicidi rameici utilizzati ma la più efficace è stata la

poltiglia bordolese (solfato di rame neutralizzato con idrato di calcio) studiata

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e formulata dallo scienziato francese Millardet nel 1885; nel 1887 fu

introdotto l’uso della poltiglia di borgogna (solfato di rame e carbonato di

sodio), successivamente dell’ossicloruro di rame, degli ossidali di rame e di

molti altri prodotti.

Quando ormai la viticoltura camuna andava risollevandosi dalla profonda

crisi causata dal “Mal Bianco” e dalla peronospora arrivò dall’America la

“Phillossera vastratix”. Quest’insetto provocò ingenti danni perché, a

differenza di quanto avveniva in America, cioè la presenza di generazioni che

colpivano l’apparato fogliare e quello radicale, in Europa l’attacco maggiore

e più virulento si aveva sulle radici con la completa distruzione della pianta.

Ciò provocò il timore che si potessero estinguere le viti autoctone; da qui il

via alle ricerche. La soluzione del problema fu trovata con uno stratagemma,

probabilmente il primo esempio di lotta biologica della storia dell’umanità,

vale a dire quello di utilizzare come porta innesto della vite europea la vite

americana, più resistente agli attacchi della fillossera, oppure di fare impianti

in terreni sabbiosi non idonei alla generazione radicale.

La figura riportata di seguito rappresenta il metodo sopra descritto:

Nel 1897 poi fu costituito il Consorzio Antifilosserico bresciano di cui faceva

parte anche la Valcamonica, con lo scopo di esercitare vigilanza contro la

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diffusione del parassita e far eseguire delle operazioni di difesa nell’area di

competenza. Compito di questo consorzio era anche l’esplorazione dei

vigneti, al fine di controllare l’eventuale infestazione, l’istituzione di vivai di

viti resistenti, per rimpiazzare i vigneti infestati, la diffusione mediante scritti,

conferenze ed esercitazioni, delle notizie riguardanti il nuovo tipo di vite.

Per la lotta contro la fillossera il Ministero dell’agricoltura nominò in ogni

zona persone delegate alla sorveglianza per la ricerca del parassita, che

dovevano dare direttive tecniche per le diverse operazioni in materia.

SISTEMA DI CONDUZIONE DELLE AZIENDE NELL’OTTOCENTO:

LA MEZZADRIA

Nelle zone viticole della Valcamonica, la forma prevalente di conduzione fu

la mezzadria, che cominciò a modificarsi sostanzialmente solo verso il 1950,

per poi scomparire completamente verso il 1970. I patti colonici, molto

diversi secondo le zone altimetriche, la natura dei terreni e la ripartizione

delle colture nelle aziende, sono illustrati dettagliatamente, comune per

comune, nelle premesse del Catasto Lombardo Veneto (1817-1853) e poi

nelle relazioni che i comizi agrari inviavano al ministero dell’Agricoltura,

Industria e Commercio.

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Di seguito vengono riportate le norme che regolavano la mezzadria nel

periodo1882-1890.

Costituzione – La costituzione della mezzadria avviene per scrittura privata,

ma è più generale farla verbalmente.

Durata-la durata di tali contratti è annuale, a partire dall’11 novembre

Obblighi del proprietario- Dove si lavora con l’aratro, il proprietario dà

gratuitamente al colono qualche ara di prato, o divide a metà il prodotto del

fieno, restando a carico del colono i relativi lavori. Il proprietario dà in affitto

un po’ di prato e un po’ di terra da coltivare a trifoglio, da consumarsi sul

fondo. I pesi del fondo sono a carico del proprietario, che non bonifica il

colono dei miglioramenti non avvenuti.

Obblighi del colono- Nelle località in cui si coltiva la vite, sono a carico del

proprietario tutte le spese per paleria all’impianto; le spese successive sono

sostenute per metà da ciascuna delle parti. Il proprietario preleva una porzione

dell’uva più scelta a titolo di regalia, e ciò per indennizzarsi in piccola parte di

quella consumata dal colono e dalla sua famiglia prima della vendemmia; nei

riguardi del vino il colono paga generalmente la decima. Nelle poche zone

della valle dove il prodotto dell’uva è principale, il contratto è modificato nel

senso che le spese per paleria, vimini ecc. invece di essere divise per metà tra

colono e padrone, sono a carico, in proporzione più o meno forte, del primo.

Per lo più sono addetti alle possessioni coltivate principalmente a viti, ai cedui

che forniscono la paleria per le viti; in questi i coloni possono tagliare i pali a

loro occorrenti senza compenso, o pagano un canone d’affitto per il bosco, o

pagano in parte i pali.

In queste zone i proprietari hanno introdotto l’uso di dividere l’uva prima che

sia fatto il vino, acquistando anche la parte del colono, e ciò per essere più

liberi nella trasformazione dell’uva.

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Pochi sono i contratti in cui non si accolli al colono l’affitto della casa da lui

abitata. Nei casi dove succede il tasso di tale affitto varia da luogo a luogo e

secondo i proprietari.

Le controversie tra proprietari e mezzadro sono generalmente risolte

privatamente, o per via d’arbitro (persona che ha fiducia da ambo le parti),

difficilmente per via giudiziaria.

Disdetta: le forme che regolano le disdette dipendono dalle condizioni

speciali della scrittura o dall’uso comune.

Si è parlato di mezzadria per comprendere meglio quanta influenza abbia

avuto questo sistema di conduzione, sul progresso della viticoltura e

dell’enologia camuna, che è stato lento soprattutto perché la conduzione delle

aziende era affidata per lo più a contadini, poco istruiti e capaci di agire solo

empiricamente e secondo la tradizione.

D’altra parte, è però merito di questi contadini , se i pendii sono stati condotti

a coltura e sono stati sistemati a terrazzi sostenuti da muri a secco o da

scarpate inerite.

Ciò ha impedito franamenti e smottamenti ed ha permesso di coltivare la

montagna anche in fortissimo pendio, creando un paesaggio naturale

veramente suggestivo.

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VITICOLTURA CAMUNA DALL’INIZIO DEL NOVECENTO AI GIORNI

NOSTRI.

All’inizio del Novecento la Valcamonica era, come il resto della provincia di

Brescia, alle prese con la lotta contro la fillossera, incominciata verso la

fine dell’Ottocento e coordinata dal consorzio antifillosserico istituito

appositamente per debellare in modo unitario la malattia infestante. Il

consorzio sopramenzionato inizio' una vera e propria campagna

antifillosserica su tutto il territorio proponendosi con:

• Conferenze

• Pubblicazioni popolari diffuse in migliaia di copie

• Analisi dei terreni

• Istituzione di squadre ambulanti d’innestatori

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• Studi di selezione su vite americane e relativo adattamento del terreno

• Pubblicazione dell’opuscolo “l’attuale questione fillosserica in Italia”

tradotto anche in francese, in cui si esponeva il programma di lotta

contro la fillossera intrapreso.

• Furono distribuite gratuitamente migliaia di talee di viti americane già

selezionate.

Infatti il metodo usato per la lotta si basava principalmente sul reimpianto

dei vigneti e sulla creazione di vivai per l’innesto delle pianticelle di vite

Europea su piede americano. Questa malattia portò inevitabilmente

all’abbandono dei terreni più marginali ma, nello stesso tempo, si operò

una selezione che migliorò il patrimonio viticolo locale. In quegli anni,

infatti, furono portati dalla Francia vitigni già innestati per sostituire quelli

malati; ecco spiegato il perché ancora oggi in Valcamonica si coltivano

vitigni come Cabernet e Merlot.

Grazie all’opera di reimpianto attuata nei primi anni del Novecento, la

superficie vitata diminuì solamente di un centinaio d’ettari rispetto al secolo

precedente, passò dai 1842,81 ettari del 1869 ai 1777 del 1929 come

evidenziano i rapporti del Catasto Agrario del 1929 dai quali si possono trarre

elementi ben precisi sull’entità della viticoltura camuna dell’epoca.

Tab 3 SITUAZIONE SUPERFICE VITATA COME RISULTA DAL CATASTICO

AGRARIO DEL 1929

VALLE CAMONICA DI EDOLO

COMUNE

COLTURA SPECIALIZZATAFORMA

ALLEVAMENTO

COLTURA PROMISCUA

Ha PIANTE/Ha

PRODUZIONE ql/Ha

PRODUZIONE TOT Ha ql/Ha TOT

Cedegolo 24 2800 45 1080 spalliera - - -

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Corteno - - - - - - - -Edolo 15 2800 36 540 spalliera - - -

Incudine - - - - - - - -Malonno - - - - - - - -

Paisco Loveno - - - - - - - -Temù - - - - - - - -

Val di Saviore - - - - - - - -Vaezza d'Oglio - - - - - - - -

Vione - - - - - - - -

TOTALI 39 5600 81 1620 _ 0 0 0

VALLE CAMONICA DI BRENO

COMUNE

COLTURA SPECIALIZZATAFORMA

ALLEVAMENTO

COLTURA PROMISCUA

Ha PIANTE/Ha

PRODUZIONE ql/Ha

PRODUZIONE TOT Ha ql/Ha TOT

Bienno 24 1.250 26,0 624 pergola 208 13,3 2766,4Borno 57 1.000 35,0 1.995 pergola - - -Breno 50 3.000 20,0 1.000 spalliera 213 16 3408

Capo di Ponte 17 2.600 35,0 595 pergola 84 6 504Ceto-Cerveno 25 2.700 30,0 750 pergola 172 10,4 1788,8

Cimbergo-Paspardo - - - - - - -Cividate-Malegno 76 2.600 35,0 2.660 guyot 99 5 495

Esine 11 2.500 35,0 385 spalliera 124 3,7 458,8Ossimo 24 1.200 24,0 576 pergola - - -

TOTALI 284 16850 240 8585 900 54 9421

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VALLE CAMONICA DI PISOGNE

COMUNE

COLTURA SPECIALIZZATAFORMA

ALLEVAMENTO

COLTURA PROMISCUA

Ha PIANTE/Ha

PRODUZIONE ql/Ha

PRODUZIONE TOT Ha ql/Ha TOT

Angolo 40 2.400 40 1.600 spalliera 70 15 1050Darfo 132 2.000 35 4.620 spalliera 56 20 1120

Gianico - - - - - 85 6 510Plan d'Artogne 1 2500 60 60 spalliera 141 10 1410

Pisogne 15 2000 40 600 spalliera 14 14 196

TOTALI 188 8900 175 6880 366 65 4286

TOTALIGENERALI 511 31350 496 17085 1266 119 13707

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La viticoltura della valle subì poi un incremento fra gli anni Trenta e gli anni

Cinquanta, con l’eccezione di un piccolo momento di stasi durante la seconda

guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. A partire dagli anni cinquanta

la locale Camera di Commercio si rese promotrice di diverse iniziative a

favore della viticoltura, attraverso molti bandi di concorso per una razionale

realizzazione degli impianti. Per questo motivo si passò dai 1777 ettari

documentati nel catasto agrario del 1929 ai 2608 dell’anno 1956, documentati

da Melotti e Tarsia nel loro libro riguardante la Valcamonica, e di seguito

riportati.

Tab 4 SUPERFICI VITATE ANNO 1952

REGIONI DEL

COMPRENSORIO

COLTURA PRIMARIA

Ha

COLTURA

SECONDARIA HaTOTALE Ha

VALLE CAMONICA DI

EDOLO156 10 166

VALLE CAMONICA DI

BRENO1571 282 1853

VALLE CAMONICA DI

PISOGNE428 161 589

TOTALI Ha 2155 453 2608

Negli anni Cinquanta comunque la viticoltura era gestita ancora secondo

criteri tradizionali e nei vigneti erano consociati vitigni diversi, ed i vini

prodotti cominciavano a non essere apprezzati dal consumatore. Per questo

motivo la Camera di Commercio tenne una riunione con lo scopo di studiare e

indicare i vitigni più adatti alle diverse zone del bresciano.

Nella relazione illustrativa di detta riunione si evidenziò il disagio della

viticoltura camuna dovuta a frequenti crisi di mercato, scarsi redditi unitari,

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produzioni spesso quantitativamente e qualitativamente scarse, in quanto gran

parte della produzione era rappresentata da vini rossi comuni da pasto,

eccessivamente tannici, acidi e carichi di colore, che non potevano soddisfare

i gusti del consumatore.

I vitigni coltivati erano troppi ed, accanto alle vecchie varietà già collaudate,

se ne trovavano alcune di recente introduzione, ma non sempre adatte al

clima, per cui la maturazione non era completa o si aveva scarsa produzione

come nel caso del Cabernet Franc e Sauvignon.

Lo scarso rendimento delle varietà pregiate, contribuì alla diffusione di vitigni

più rustici, ma produttori di uve spesso mediocri, la camera di commercio

così consigliò per i nuovi impianti vitigni come Merlot, Incrocio R. Terzi n. 1,

Marzemino gentile e Schiava grossa. Purtroppo questi consigli in

Valcamonica non furono accettati e gli agricoltori preferirono continuare con

le loro antiche tradizioni, lasciando la viticoltura camuna in un grado di

arretratezza che ancora oggi esiste.

Degli anni sessanta e sessanta vi sono delle informazioni molto più

dettagliate dovute alla creazione di un C.A.T.A (Centro di assistenza tecnico

agraria) che aveva sede a Breno presso la Comunità Montana di Valcamonica.

Il centro considerata la situazione di arretratezza ed abbandono della

viticoltura camuna ritenne opportuno, per rilanciare lo sviluppo, svolgere

delle ricerche riguardanti l’entità delle superfici vitate e le caratteristiche

fisico chimiche dei terreni nelle zone interessate dagli impianti.

Per effettuare l’indagine sulle superfici vitate il territorio della Valcamonica

venne suddiviso in sotto regioni, come di seguito riportate; da cui risultò che

le superfici erano diminuite ulteriormente arrivando a 2212 ettari totali

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Tab 5 SUPERFICI VITATE ANN0 1962

REGIONE N° SOTTOREGIONISUPERFICIE

VITATA (Ha)

VALLE CAMONICA DI EDOLOI EDOLO, SONICO, MALONNO

2,00

II BERZO DEMO, CEDEGOLO, SELLERO 127,00

VALLE CAMONICA DI BRENO

I

CAPO DI PONTE, ONO SAN PIETRO,

CETO, CERVENO, BRAONE, LOSINE,

NIARDO, BRENO 677,00

II OSSIMO, PIANCOGNO 135,00

IIIMALEGNO, CIVIDATE, BIENNO,

PRESTINE, BERZO INFERIORE, ESINE 594,00

VALLE CAMONICA DI

PISOGNE

I ANGOLO TERME 77,00

IIDARFO B.T., GIANICO, ARTOGNE,

PIANCAMUNO, PISOGNE

TOTALE PARZIALE 1.612,00 IBRIDI PRODUTTORI DIRETTI 600,00

TOTALE GENERALE (Ha) 2.212,00

Un altro dato importante relativo all’indagine sulle superfici vitate, fu quello

che evidenziò come in Valcamonica ci fosse ancora una notevole superficie

investita a vite “americana” con assoluta preminenza dell’ibrido produttore

diretto Isabella, la cui produzione era pressoché totalmente destinata ad uva

da tavola. Solo in alcune annate, quando a causa della grandine o per

eccezionali attacchi parassitari la produzione si presentava molto scadente,

sorgeva il problema del collocamento di tale uva, notoriamente inadatta alla

vinificazione.

L’area di estensione di tale coltura era posta in sinistra orografica, fra i

comuni di Darfo Boario Terme e Pisogne ed interessava un area di circa 600

ha.Si trattava di vigneti promiscui allevati e collocati alla distanza di 10-20

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metri, con piante poste a 4-8 m nella fila; la consociazione più frequentemente

adottata era prato stabile, patata e mais.

Anche per l’analisi chimico fisica dei terreni la Vallecamonica venne divisa in

tre zone caratteristiche:

Media Valcamonica- Destra orografica: terreni autoctoni o su detriti di

falda, formati da rocce sedimentarie calcaree, di tipo rendzina, con

abbondante scheletro, ricchi d’argilla, pH alcalino, calcare attivo molto

elevato, indicato come zona A.

Media Valcamonica- Sinistra orografica: terreni autoctoni o diluvionali,

formati da rocce porfiriche od arenarie, pH subalcalino, calcare regolare,

chiamata zona B.

Media- bassa Valcamonica- Fondovalle : terreni alluvionali, molto umidi

per difficile sgrondo delle acque, di tipo Ranger, scarsi di scheletro ed argilla,

pH subacido, calcare scarso od assente, chiamata zona C.

Il risultato delle analisi del terreno fu il seguente:

Composizione fisica meccanica

Dalle analisi è emerso che, mentre la zona A presentava terreni di medio

impasto, le zone B e C erano caratterizzate da un maggior contenuto in

sabbia.

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Tab. 6 RISULTATI DELL’ANALISI FISICO-MECCANICA

ZONE SABBIA

%

LIMO

%

ARGILLA

%

SCHELETRO

%A 52.4 24.6 23.0 59B 63.9 20.1 16.0 35C 70.6 17.1 12.3 15

Composizione chimica

Azoto: nel complesso i terreni analizzati erano ben forniti di N totale, che è

variato da un minimo di 1% ad un massimo del 5,59.

La zona B si è rivelata la più ricca, con 2.99 ,mentre la zona C la più povera

con 2.04.

Anidride fosforica assimilabile:il contenuto di fosforo nei terreni camuni è

piuttosto variabile, ma solo in pochi è presente in quantità insufficiente;

infatti il contenuto medio è di 174 ppm. Questo dato è da considerarsi molto

buono ed è superato da circa il 40% dei terreni, i rimanenti presentano una

dotazione di anidride fosforica assimilabile sufficiente.

Per questo elemento zona B era la più ricca con 230 ppm, la più carente era la

zona C.

Ossido di potassio assimilabile: anche per il potassio i terreni sottoposti ad

analisi hanno presentato una notevole variabilità; solo 3-4 hanno accusato

una dotazione insufficiente.Il contenuto minimo è stato 0.68 mg/100 gr di

terra fine, mentre il massimo è stato di 19.25 mg/ 100 gr di terra fine.

La zona A era la più dotata di questo elemento con 8.45 mg/100 gr di terra

fine.

37

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Ossido di magnesio: sostanzialmente quasi tutti i terreni della Valcamonica

sono sufficientemente dotati di ossido di magnesio; fanno eccezione quelli

compresi nella zona C, nei quali il tenore medio 8.60 è insufficiente.

Calcare attivo: si notano evidenti differenze nelle tre zone. Dato che la zona

A manifesta un contenuto del 8.19% e quindi è ricca, mentre le zone B e C

sono molto povere avendo rispettivamente l’1.05 e 0.19. La zona C quindi

risultava quasi totalmente sprovvista di calcare attivo.

Sostanza organica: nei terreni camuni è variata da un minimo dell’1.94% ad

un massimo del 9.93%. Le zone A e B sono le più fornite , la media generale

della valle è del 4.67%.La notevole presenza di sostanza organica in quasi

tutti i terreni della valle può essere giustificata dalle frequenti letamazioni che

si effettuano e dal clima che non favorisce la mineralizzazione.

Reazione o pH :le tre zone considerate presentano valori diversi tra loro.

Dalla zona A subalcalina con ph 7.6, si passa alla zona B con pH 7.4 neutra,

ed alla zona C subacida con pH subacido.Si sono riscontrati terreni con ph

massimo di 7.8 e terreni con pH minimo di 5.6, ma la grande maggioranza a

un pH neutro.

Fabbisogno di calcio :essendo legato alla concentrazione idrogenionica del

terreno, è stato determinato solo per i terreni con un pH inferiore a sette, quasi

tutti concentrati nella zona C. In questa zona la sostanza organica è più bassa

mentre il fabbisogno di CaO è risultato il più elevato, essendo minore il

potere tampone dell’humus.

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Tab 7 COMPOSIZIONE FISICO CHIMICA DEI TERRENI VITATI

REGIONI DEL

CO

MPR

ENS

ORI

O

pH

CA

RB

ON

AT

I TO

TA

LI %

CA

LC

AR

E A

TT

IVO

%

SOST

AN

ZA

OR

GA

NIC

A %

AZO

TO

TO

TA

LE

%

AN

IDR

IDE

FO

SFO

RIC

A %

AN

IDR

IDE

FO

SFO

RIC

A p

pm %

POT

ASS

IO A

SSIM

ILA

BIL

E m

g710

0 g

terr

,

MA

GN

ESI

O

CL

OR

UR

I

ZONA A 7.60 32.60 8.19 5.04 2.75 2.76 174.00 8.45 16.16 0.07

ZONA B 7.40 4.40 1.05 5.27 2.29 3.06 260.00 7.00 20.65 0.06

ZONA C 6.90 0.90 0.19 3.71 2.04 1.93 88.00 2.92 8.60 0.07

Il C.A.T.A arrivò alla conclusione che i terreni sottoposti all’analisi chimico

fisica fossero ricchi di scheletro e di sostanza organica, poco profondi e

poveri d’argilla, sufficientemente dotati degli elementi fondamentali della

fertilità per le vigne. Mentre le giaciture della destra orografica ed in alcune

zone della sinistra erano molto forti, ad eccezione dei conoidi di deiezione del

monte Concarena nei comuni di Losine, Cerveno, Ono S. Pietro e Capo di

ponte; il fondovalle presentava giaciture piane.

Generalmente l’esposizione era considerata buona in destra orografica ed in

Val Grigna, meno buona in sinistra orografica ed in fondovalle, ad eccezione

di Cividate Camuno.

Per cui si evidenziava come tutto il territorio della media e bassa valle era

adeguato alla coltivazione della vite.

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Il C.A.T.A oltre allo studio in precedenza citato descrisse anche le

caratteristiche delle aziende agricole presenti negli anni sessanta e settanta.

Le aziende agricole del comprensorio erano in quegli anni nella grande

maggioranza dirette coltivatrici, nella maggior parte dei casi affidate ad

affittuari.

I problemi di tali aziende erano costituiti dalle superfici molto limitate, dallo

spezzettamento delle aziende, dai fabbricati rurali insufficienti e dalla scarsa

preparazione degli addetti. Per gli affittuari i problemi erano aggravati dai

miglioramenti fondiari e dal riempianto di vigneti più vetusti quando, caso più

frequente, non si trovavano concordi con i proprietari del terreno.

Si trattava nelle generalità dei casi di aziende ad indirizzo produttivo misto

zoootecnico- viticolo, in cui nell’azienda d’inverno c’era il lavoro di stalla,

d’estate con la monticazione del bestiame, il lavoro consisteva nella

fienagione e nei trattamenti nel vigneto.

Di aziende ad economia diretta c’era solo un esempio a Piamborno;

quest’azienda occupava una zona molto ben esposta al sole nella destra

orografica, per un estensione complessiva di circa dieci ettari.Qui si preparava

un vino da bottiglia debitamente invecchiato, denominato “LANZATO”, la

cui produzione era di 300 ettolitri all’anno.

FIG. 4 ETICHETTA DELL’EPOCA

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I vigneti erano costituiti principalmente da Barbera, Bonarda, Marzemino ed

uva rara; allevati nella forma tradizionale ad “opoi” .Le cure colturali e le

concimazioni venivano seguite razionalmente con la consulenza del C.A.T.A.,

mentre le operazioni di vinificazione erano seguite da un enologo. Questo fu

l’unico esempio di azienda nel territorio della valle, che ha valorizzato in

modo adeguato e razionale la sua produzione, e che dovrà essere preso ad

esempio da coloro che vorranno intraprendere l’attività viticola in questa

zona. Questa azienda purtroppo oggi è scomparsa, così come tutte le aziende

a conduzione diretta di proprietari ed affittuari, mentre in tutto il

comprensorio sono rimasti i vigneti lavorati da agricoltori part-time,

rappresentati da pensionati od operai delle fabbriche locali. Queste superfici

vitate sono però le più soggette all’abbandono, poiché i giovani non amano

tale forma di attività e, nelle piccole aziende rimaste, il vino prodotto è

destinato soprattutto all’autoconsumo.

Queste aziende producono per la maggior parte vini rossi da pasto con acidità

elevata, colore intenso, sapore tannico e profumo caratteristico. La loro

gradazione alcolica in genere è scarsa e variabile da un anno all’altro in

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relazione all’andamento climatico, e dalla zona e può oscillare da un minimo

di 8,5° ad un massimo di 12°.

Nel decennio che va dal 1962 al 1972, nonostante la preziosa opera del centro

di assistenza tecnico agraria la viticoltura andò incontro ad un’ennesima crisi

che portò ad una riduzione delle superfici vitate di quasi 1000 ettari.

Numerosi terreni infatti furono sottratti all’agricoltura per la costruzione di

ferriere, con conseguente spostamento della manodopera dal settore agricolo

verso quello industriale.

L’agricoltore in quegli anni preferì il lavoro della fabbrica, dove lo stipendio

era più alto ed inoltre si svolgevano attività meno pesanti rispetto al lavoro

nei campi.

I dati relativi alle superfici vitate ricavati dal censimento generale

dell’agricoltura svolto nel 1970 dall’I.S.T.A.T. confermano la situazione

suddetta.Tab 8 DICHIARAZIONE SUPERFICI VITATE 1970

COMUNE N°AZIENDESUP.VITATA (Ha)

COLTURA PRIMARIA COLTURA SECONDARIA

ANGOLO 50 14,29 9,87ARTOGNE 1 0,49 11,13BERZO DEMO 93 14,51 BEZO INFERIORE 99 42,88 35,02BENNO 184 112,73 1,38BORNO 18 4,72 BRAONE 80 14,44 BRENO 127 26,66 CAPO DI PONTE 222 101,97 CEDEGOLO 97 11,91 CERVENO 135 61,28 CETO 177 37,54 CEVO 6 0,8 CIMBERGO 1 0,13 CIVIDATE 140 37,38 16,49DARFO B.T. 257 77,24 101,05ESINE 162 73,15 41,45GIANICO 29 29,48 77,6

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LOSINE 156 73,57 MALEGNO 139 34,81 0,3NIARDO 140 33,48 ONO S. PIETRO 128 54,77 OSSIMO 36 4,66 PIANCAMUNO 14 8,87 26,98PIANCOGNO 81 33,95 PISOGNE 35 22,66PRESTINE 37 10,26 0,4SELLERO 138 27,1 TOTALE 2782 943,07 344,33La crisi della viticoltura camuna continuò anche negli anni ottanta e novanta,

nonostante la chiusura di molti siti industriali della zona, la manodopera non

ritornò più in agricoltura, che ormai era diventata nella maggior parte dei casi

un attività part-time, ma incominciò a dare inizio a quello spostamento

giornaliero verso le zone industriali delle città che tutt’ora occupa un elevato

numero di addetti della Valcamonica.

Tutto questo è sempre da mettere in relazione ai bassi redditi del settore

agricolo che soprattutto nelle zone di montagna è fortemente penalizzante.

Oltre alla continua diminuzione di manodopera nel settore agricolo la seconda

motivazione che porto alla riduzione delle superfici vitate fu la speculazione

edilizia che favori l’espansione degli agglomerati urbani che occuparono i

vecchi terreni agricoli ormai diventati nella maggior parte dei casi “aree

fabbricabili”.

Questa situazione viene messa in evidenza nelle prossime due tabelle tratte

da fonti I.S.T.A.T. sulle superfici vitate negli anni 1982 e 1990, dove si nota

una riduzione di circa 200 ettari di terreno coltivato a vite nel decennio preso

in considerazione.

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Tab 9 SUPERFICE VITATA ANNO 1982

COMUNE N° AZIENDE SUP.VITATA(Ha) ANGOLO 31 10,13ARTOGNE 8 3,03BERZO INFERIORE 73 28,52BIENNO 105 24,9BORNO 10 1,39BRAONE 42 6,01BRENO 75 18,16CAPO DI PONTE 51 43,79CEDEGOLO 62 7,74CERVENO 41 9,57CETO 73 11,66CIVIDATE 102 12,01DARFO B.T. 144 41,65ESINE 74 27,58GIANICO 118 50,44LOSINE 110 37,82MALEGNO 44 14,96NIARDO 49 11,47ONO S.PIETRO 80 15,38OSSIMO 7 2,6PIANCAMUNO 15 4,46PIANCOGNO 58 19,85PISOGNE 17 2,78PRESTINE 1,43

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SELLERO 15,76 TOTALE 1389 423,09 (Ha)

Tab 10 SUPERFICI VITATE ANNO 1990

COMUNE N°AZIENDE SUP.VITATA (Ha)

ANGOLO 16 3,34ARTOGNE 19 1,66

BERZO INFERIORE 83 21,6BIENNO 50 12,45BORNO 8 1,12

BRAONE 17 2,8BRENO 53 15,06

CAPO DI PONTE 28 7,54CEDEGOLO 5 0,77CERVENO 47 7,39

CETO 63 8,13CIVIDATE 81 13,1

DARFO B.T. 49 19,02ESINE 58 14,89

GIANICO 69 21,67LOSINE 33 12,21

MALEGNO 33 8,15NIARDO 11 1,47

ONO S.PIETRO 17 4,41PIANCAMUNO 7 1,45PIANCOGNO 29 8,16

PISOGNE 18 2,7

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PRESTINE 3 0,96SELLERO 41 4,33

TOTALI 838 194,38 (Ha)

Ipotesi di sviluppo della viticoltura effettuata negli anni novanta

Per cercare di fermare questo continuo declino della viticoltura camuna, verso

la fine degli anni novanta furono individuate delle zone “vocate” per

composizione del terreno, esposizione, altitudine e giaciture, verso cui si

intendeva spostare l’attenzione di quegli enti e di quelle associazioni che

incominciavano a maturare l’idea di un rilancio di questi settore.

Si noto che le aree prese in considerazione erano le stesse individuate dal

C.A.T.A negli anni settanta; sostanzialmente la valle venne divisa in tre zone:

ZONA A: Comprende i terreni vitati posti nelle zone meno favorevoli per

esposizione ed altitudine, le cui limitate pendenze e la giacitura piana

rappresenterebbero però un fattore favorevole alla meccanizzazione della

coltura. Pertanto in tale zona vi sarebbero buone possibilità economiche per la

produzione di vino da pasto tuttavia, viste le limitate estensioni delle

superfici vitate, si può correre il rischio di non poter competere con i grandi

produttori di vino comune da pasto, per cui quest’idea, nata negli anni passati,

deve essere abbandonata, incominciando a pensare di produrre vino di qualità

anche in questi terreni. In questa zona sono compresi i terreni situati nei

comuni e nelle località di Cemmo, Ono S. Pietro, Cerveno, Losine (parte

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nord); quelli situati nelle zone pianeggianti di Cividate ed Esine, e quelli posti

nelle parti collinose di Darfo, Gianico, Artogne, Piancamuno.

ZONA B: comprende le zone migliori per esposizione ed altitudine, in cui le

forti pendenze del suolo determinano elevati costi di produzione e per

sopravvivere economicamente, la coltura della vite è possibile attuarla se

viene prodotto vino rosso di qualità, possibilmente a denominazione di

origine.

In questa zona sono compresi i territori situati nei comuni di Losine (parte

sud), Breno (destra orografica), Malegno, Cogno, Angone, Angolo, e nelle

zone collinari di Cividate, Bienno, Berzo inferiore, Esine.

Non importa se in questa zona le superfici sono limitate e con forti pendenze,

perché producendo del vino di qualità, i maggiori costi di produzione

verrebbero ripagati con la vendita di un prodotto caratteristico di nicchia, il

cui prezzo sarebbe superiore rispetto ai vini da pasto. In questo modo si

risponderebbe all’esigenza del consumatore, il quale è disposto a spendere

qualcosa in più, pur di gustare dei prodotti di qualità e rari come potrebbe

essere il vino qui prodotto.

ZONA C: comprende tutte le altre zone non delimitate, meno facili per

esposizione ed altitudine, dove la coltura della vite resterà come fatto di

autoconsumo con tendenza alla riduzione.

Nella cartina allegata sono state indicate le zone in cui è consigliata l’

estensione, o la riduzione, o la riconversione o l’abbandono della

coltivazione della vite in Valcamonica.

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CARTA N 1

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Nuovi dati sulle superfici vitate si trovano grazie al catasto viticolo del 2000,

nel quale si mette in evidenza come la diminuzione di questa coltura nella

nostra valle continua.

In questi anni però la sensibilità degli enti locali e degli agricoltori stessi è

cambiata perché si incomincia a credere alla viticoltura come un fattore di

possibile rilancio dell’agricoltura di montagna.

Il centro vitivinicolo bresciano ha dato molta importanza a questo catasto,

spiegando agli agricoltori come fondamentale fosse la denuncia di tutte le

superfici vitate realmente presenti, per poter avere, dopo l’approvazione

dell’I.G.T. VALCAMONICA, un buon numero di diritti di impianto e

riempianto senza aggravarsi dei loro costi.

Questa direttiva purtroppo non è stata ben recepita dai viticoltori in quanto sui

circa 143 ettari presenti solo 85.22 sono stati realmente dichiarati come si

vedrà nella tabella successiva.

Mentre negli anni novanta si era solo potuto fare un ipotesi sullo sviluppo

della viticoltura ora, grazie all’intervento degli enti preposti si incominciano a

vedere dei fatti reali.

Gli agricoltori su suggerimento dei tecnici hanno incominciato ad convertire

le vecchie forme di allevamento verso quelle più moderne come il guyot, i

nuovi impianti vengono effettuati con varietà che verranno messe nel

disciplinare di produzione, si cerca di specializzare il più possibile questa

coltura per poter dare in futuro degli alti redditi agricoltori in modo da poter

convogliare nuova manodopera verso il settore agricolo che nelle zone di

montagna è importante non solo per il suo ruolo produttivo ma anche per la

protezione dell’ambiente e del territorio.

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Tab. 11 DICHIARAZIONI SUPERFICI VITATE 2001

COMUNE SUP. Ha VITATA

SUP. Ha VITATA

% SUPERFICIE PEND. MEDIA

DICHIARATA REALE DICHIARATA VIGNETI

ANGOLO TERME 1,40 2,73 51,28 15-40% ARTOGNE 0,54 1,50 36,00 BERZO INFERIORE 5,93 9,03 65,60 10-30% BIENNO 5,75 8,10 70,98 12-35% BRAONE 0,38 1,40 27,14 6-20% BRENO 3,24 6,50 49,84 12-40% CAPO DI PONTE 3,68 5,50 66,90 6-15% CERVENO 8,72 12,70 68,60 6-20% CETO 5,26 5,50 95,63 8-20% CIVIDATE CAMUNO 5,85 7,71 75,87 DARFO BOARIO TERME 6,54 19,83 32,98 15-40% ESINE 3,14 11,41 27,51 0-30% GIANICO 3,94 6,50 60,61 LOSINE 12,10 12,90 93,80 6-15% MALEGNO 7,58 9,50 79,78 15-40% NIARDO 0,39 2,30 16,95 6-20% ONO SAN PIETRO 1,93 5,80 33,27 6-15% OSSIMO 0,20 0,20 100,00 0-20% PIANCOGNO 3,39 6,97 48,63 15-40% SELLERO 5,26 6,90 76,23 10-40%

TOTALE (Ha) 85,22 142,98

La successiva tabella ci dà un idea del trend di diminuzione delle superfici

vitate in Valcamonica dal 1869 al 2001 per tutta quella serie di fattori che

sono fin ora stati oggetti di questa relazione. Tuttavia anche se le superfici

sono rimaste solo circa ottantacinque ettari, visto l’andamento della

vitivinicoltura attuale in Italia che tende a favorire le produzioni di alta

qualità, il dato definitivo del censimento dell’anno scorso non ci deve

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scoraggiare perché è ancora possibile trarre redditività da questa coltura

anche con numeri così ridotti.

Redditività che potrà essere raggiunta solo producendo vini di alta qualità che

permetteranno di creare una nicchia di mercato nella quale sarà possibile

collocare un prodotto ad alto valore aggiunto.

Tab. 12 ANDAMENTO DELLE SUPERFICI VITATE DAL 1869 AL 2001

ANNO COLTURA COLTURA TOTALEPRIMARIA SECONDARIA HA

1869 357,60 1484,21 1841,811929 511,00 1266,00 1777,001956 453,00 2055,00 2508,001962 2212,00 2212,001970 934,07 344,33 1278,401982 423,09 423,091990 194,38 194,382001 85,22 85,22

GRAFICO DI RAFFRONTO

0,00

500,00

1000,00

1500,00

2000,00

2500,00

3000,00

1869

1929

1956

1962

1970

1982

1990

2001

ANNI

HA

51

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CARATTERISTICHE TECNICHE DEGLI IMPIANTI DAGLI ANNI SETTANTA

AD OGGI

Varietà e portinnesti: nel 1970 venivano utilizzati portainnesti diversi a

seconda dell’anno dell’impianto. Nei vecchi impianti erano utilizzati la

Rupestris du Lot, la Riparia e il Mourvedre x Rupestris 1202 (Couderc),

mentre negli impianti più moderni erano impiegati il Berlandieri x Riparia

420/A nelle zone più calcaree e ,per il resto, era utilizzato il Kober 5 BB.

Dagli anni novanta in poi nei terreni con mancanze minerali; è stato proposto

l’utilizzo del Berlandieri x Riparia SO4 Berlandieri x Rupestris 140 Ruggeri,

1103 Paulsen e Chasselas x Berlandieri 41B per i terreni della destra

orografica ricchi di calcare.

Per quanto riguarda i vitigni erano praticamente assenti quelli bianchi ad

eccezione del Moscato che dagli anni novanta ha destato un certo interesse,

mentre per i vini rossi esisteva una notevole confusione varietale.

Le varietà più diffuse negli anni settanta erano:

• L’Uva rara o Bonaria novarese, denominata localmente “Balsamina”

• ”Bressana” o “Valcamonec”;

• Il Marzemino gentile (Balsamì dal merz negher)

• La Schiava Lombarda (Sciass negher)

• Barbera d’asti

• Schiava grigia

A seguito dei risultati conseguiti in appositi vigneti d’orientamento varietale,

in quegli anni furono poi introdotti nuovi vitigni: Merlot e Ciliegiolo nel

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fondo valle, Incrocio Terzi (Barbera x Cabernet) e Schiava gentile nelle zone

più alte, con terreno calcareo ed asciutto.

Considerato che nella zona erano più diffusi vitigni tardivi, si è cercato allora

di introdurre varietà più precoci che fossero in grado però di giungere

regolarmente a maturazione. Il Barbera d’Asti, benché capace di dare buone

gradazioni zuccherine, dagli anni novanta in poi non è stato più impiantato

poiché ha dimostrato di produrre, specie nei terreni calcarei e poco argillosi,

vino troppo ricco d’acidità.

Alcuni vitigni locali, come il “Barbera” e la Schiava Lombarda, presentavano

alcuni difetti, e precisamente il primo è sensibile al freddo invernale, il

secondo è facilmente attaccato dalla muffa grigia; Questi vitigni, se oggetto di

un’opportuna selezione clonale, possono essere molto interessanti per

sviluppare in futuro produzioni di vini locali caratteristici.

Nel censimento I.S.T.A.T. del 1990 i vitigni presenti in Valcamonica sono:

• Marzemino

• Merlot

• Incrocio Terzi

• Ciliegiolo

• Cabernet

• Barbera

• Schiava Lombarda

• Moscato

• Valcamonec

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Nel 2002 nella proposta di riconoscimento della Indicazione Geografica

Tipica dei vini “VALCAMONICA” i vitigni presi in considerazione sono i

seguenti:

• Riesling Renano

• Incrocio Manzoni

• Muller Thurgau

Marzemino

• Merlot

Forme d’allevamento

Le forme d’allevamento presenti in Valcamonica sono principalmente

quattro: Spalliera e Tendone le più frequenti, Guyot e Pergola semplice

presenti in minima parte.

Oggi il Centro Vitivinicolo Bresciano consiglia il passaggio al guyot sulle

varietà utilizzate per la produzione del vino I.G.T per la migliore resa

qualitativa delle uve, anche se i quattro sistemi d’allevamento sopra citati

sono ancora tutti in uso ed in alcuni casi hanno subito localmente delle

modificazioni.

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FOTO 1 FORMA ALLEVAMENTO“OPOI”

La forma di allevamento più antica attuata nella valle, ed ancor oggi presente

in alcuni terreni era chiamata “opoi”. La particolare caratteristica di questa

forma di allevamento sono i pali di sostegno che sono fatti di un materiale

insolito: il granito; per il resto è molto simile all’attuale spalliera con una

distanza sulla fila delle piante di circa due metri

L’ ”opoi” presenta il vantaggio di resistere bene ai venti ed ai temporali

frequenti nella stagione estiva, per contro non è adatta ad alcune varietà quali

il Nebbiolo i cui tralci, se non sono assicurati ad un secondo filo, si staccano

facilmente dalla loro inserzione sul cordone permanente.

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FOTO 2 FORMA ALLEVAMENTO “TENDONE”

La forma di allevamento più diffusa è una specie di tendone. Esso consiste

nell’allevare nei terreni più poveri e siccitosi, piante singole o a coppie, con

un cordone verticale alto 180-220 cm alla sommità della quale si dipartono,

ortogonalmente tra loro, quattro capi a frutto appoggiati su altrettanti fili, in

modo da costituire un tetto orizzontale continuo. Il sesto d’impianto è in

quadrato con una distanza di 4 x 4 m. L’impalcatura è costituita da pali in

legno o cemento armato, la cui parte fuori terra deve superare i 2,20 m,

distinti in pali d’angolo, di maggiori dimensioni, pali di corona perimetrali e

pali rompitratta all’interno dell’impianto, posti accanto alle viti. I pali sono

collegati tra loro per lungo e per traverso da fili di ferro, cosi come la maglia

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interna.Questa forma di allevamento viene utilizza soprattutto nelle zone dei

comuni di Losine, Cerveno, Ono S. Pietro e Breno.FOTO 3 FORMA ALLEVAMENTO “ SPALLIERA”

La seconda forma di allevamento per diffusione è una spalliera con potatura a

Sylvoz modificato, con un sesto d’impianto di 2,5-3 m tra le file e 2-2,5 m

sulla fila. L’impalcatura è costituita da pali robusti, distanti 8 metri, in parte

interrati (circa 1 metro) collegati tra loro da quattro cinque fili di ferro. Di

questi quello più basso serve per legare il capo a frutto; il secondo, posto a

circa 50 cm dal precedente, serve per sostenere il cordone verticale, il terzo

posto a 40 cm ha la funzione di sorreggere la vegetazione dell’annata, ed

infine l’ultimo, che scorre alla sommità dei pali e presenta un calibro

maggiore, serve a collegare e sostenere l’intero filare.Questa forma di

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allevamento è adatta specie nel fondovalle per varietà molto vigorose ed

espanse come il Merlot ed il Ciliegiolo.

FOTO 4 FORMA ALLEVAMENTO “GUYOT”

Il Guyot è un sistema di allevamento che in questi ultimi anni viene utilizzato

sempre più di frequente. Con questo sistema la pianta in produzione è

costituita da un ceppo, alto circa un metro, portante all’estremità una branca

molto corta di due anni su cui sono inseriti in alto, un tralcio di 6-12 gemme

(capo a frutto) disposto orizzontalmente sul filo e, in basso, uno sperone di 2-

3 gemme.Il sesto d’impianto è di solito 1,2 x 1.I sostegni sono forniti da

robusti pali, distanziati di circa 10 m, parzialmente interrati, emergenti per

1,5-2 m, collegati tramite tre fili: il primo è posto alla sommità del ceppo, che

sostiene, e su di esso viene legato il tralcio produttivo; il secondo e il terzo

sono posti rispettivamente a m 0,40 e 0,90 dal primo ed hanno la funzione di

sorreggere i germogli fruttiferi.

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OPERAZIONI COLTURALI

Le operazioni colturali attuate in questa zona consistono nella potatura e

legatura invernale e primaverile, rara la potature verde. Le lavorazioni del

terreno riguardano: lo scasso, l’aratura, l’erpicatura e la rullatura per i nuovi

impianti ed erpicature e arature effettuate molto negli anni passati sulle file e

tra le file, mentre oggi per rientrare nella “misura F” sulla lotta integrata si

consiglia l’inerbimento totale.

Per quanto riguarda la concimazione, l’impiego del letame è ancora oggi assai

generalizzato per la presenza di molti allevamenti nella valle, la quantità da

distribuire varia da 100 a 300 quintali ad ettaro a seconda delle necessità il la

letamazione dovrebbe essere effettuata nel mese di dicembre.

L’uso di concimi chimici è andato aumentando con gli anni,si preferisce

utilizzare solfato di magnesio o di potassio nel mese di dicembre a causa della

loro lenta cessione e complessi ternari distribuiti alla dose di 2-3 quintali per

ettaro a febbraio. L’utilizzo dell’uera si consiglia sugli impianti novelli a

ripresa vegetativa e successivamente nel mese di giugno con una dose 1-3-

quintali ad ettaro. La concimazione fogliare con prodotti contenenti, oltre agli

elementi fondamentali della fertilità, alcuni dei principali oligoelementi quali

ferro, magnesio, boro ecc.., le cui carenze hanno determinato la comparsa di

numerose fisiopatie, diede soprattutto negli anni settanta ed ottanta risultati

apprezzabili, si consiglia anche oggi il suo utilizzo visto la facilità di

abbinamento con gli interventi fitosanitari.

Dal punto di vista delle avversità, nella zona sono frequenti attacchi di

peronospora, oidio e saltuariamente di botritis e disseccamento del rachide;

per quanto riguarda i parassiti animali la tignola è in genere ben controllata,

presente in maniera non significativa per il momento la cicalina della

flavescenza dorata. La lotta viene effettuata tramite l’utilizzo degli

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antiparassitari, di cui molte volte nel corso degli anni precedenti si è abusato,

creando numerosi problemi di resistenza. Ad esempio si ricorda che negli

anni settanta, a causa del persistente uso di anticrittogamici acuprici e di

insetticidi polivalenti, era diventato un grosso problema quello degli acari, in

particolare il ragnetto rosso; però con il ritorno all’uso del rame dopo

fioritura, con l’impiego di insetticidi specifici ed acaricidi, il fenomeno fu

ridimensionato.

Purtroppo rari in valle sono gli esempi di lotta biologica integrata, effettuata

solo nella coltivazione delle mele, più per moda che per convinzione, da parte

dei pochi coltivatori che la effettuano.

Nel campo dei trattamenti antiparassitari importante è stata l’attività

divulgativa promossa negli anni settanta dal C.A.T.A, che diffondeva con

scadenza di 10-15 giorni un manifesto murale in tutti i comuni e le frazioni

della zona viticola, nei quali erano riportati i prodotti e le relative dosi

consigliate per i trattamenti antiparassitari del momento. Attività che dopo la

scomparsa di questo centro non venne più ripresa, lasciando ancor oggi i

viticoltori della valle ad eseguire i trattamenti in modo certe volte casuale.

Un altro dato importante sta nel fatto che la meccanizzazione dei lavori nel

vigneto è molto limitata, per quanto riguarda la lavorazione del terreno, la

distribuzione dei concimi e la raccolta dell’uva. Si contano però numerosi

atomizzatori, sia a spalla sia trasportabili da trattori, per i trattamenti

antiparassitari.

Un altro miglioramento fondamentale per avere una coltura sempre più

specializzata è quello dell’irrigazione, che dovrà essere portata sulle pendici

della media montagna che sono soggette maggiormente alla siccità. Ad

esempio nei conoidi di deiezione sulla destra orografica, costituiti da terreni

poco profondi, calcarei, con sottosuoli ciottolosi. L’espansione

dell’irrigazione possibilmente polivalente, sarà favorita dall’abbondanza di

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acque che consentono impianti a caduta naturale con bassissimi costi

d’esercizio.

Non vanno scordate altre opere di costo minore ma altrettanto importanti

quali: spianamenti, spietramenti, regimazione dei torrenti e le moderne difese

antigrandine.

Da non dimenticare che tali miglioramenti inducono ad un aumento ingente

del valore fondiario tanto che, in certi casi è proprio questo aspetto a rendere

economici alcuni investimenti, come è successo nelle vallate vicine.

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IL RILANCIO DELLA VITIVINICOLTURA IN VALLECAMONICA

Preso coscienza del fatto che la ridotta estensione dei vigneti camuni non è un

fattore limitante in una viticoltura che ormai oggi punta sui vini di altissima

qualità, per la cui produzione basta un investimento di superfici limitato per

essere competitivi in un mercato di nicchia molto redditizio, e che comunque

questo comparto vanta di una certa tradizione ed in molte zone rappresenta

ancora oggi l’unica alternativa al bosco ceduo, alcune realtà camune private e

consociate hanno accettato di affrontare questa sfida che ha successivamente

portato, all’approvazione di un disciplinare di produzione per i vini camuni .

Tutto questo è stato possibile anche per l’interessamento degli enti locali che

hanno messo a disposizione tecnici esperti del settore una volta resosi conto

che il futuro viticolo della valle è legato alle decisioni della programmazione

poiché, in linea generale, si ritiene che i singoli produttori siano incapaci da

soli di risolvere i numerosi problemi tecnici ed economici inerenti e partendo

dal presupposto che questa coltura per sopravvivere economicamente, dovrà

essere più specializzata e quindi richiederà investimenti considerevoli, i cui

benefici andranno a favore non solo degli agricoltori, ma di tutta la comunità,

infatti non bisogna dimenticare che il ruolo fondamentale dell’agricoltura di

montagna non è solo produttivo, ma anche di conservazione del suolo, del

paesaggio e dell’ambiente ecologico.

Partendo da questi presupposti alcune realtà locali, private ed associate,

convinte della bontà dell’idea hanno deciso di intraprendere la strada della

Vitivinicoltura tra queste un elogio va dato all’A.P.A.V. Associazione

Produttori Agricoli di Vallecamonica e all’Azienda Agricola Sorelle Rebaioli

che nonostante le grandi difficoltà iniziali stanno tentando di fare del settore

viticolo camuno una realtà.

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L’associazione produttori Agricoli di Vallecamonica è nata nel 1996 da un

piccolo gruppo di agricoltori, oggi conta oltre 170 iscritti e nel 1999 ha dato

inizio ad una serie di attività legate al rilancio della vitivinicoltura in

Valcamonica.

Questo progetto è incominciato con la vendemmia del 2000 con la creazione

di una cantina nella quale sono stati conferiti da vari produttori circa 150

quintali di uva per una vinificazione associata, che potesse essere meglio

curata; il vino prodotto è stato poi ritirato dagli stessi conferitori dell’uva.

Questa iniziativa ha dato modo di individuare alcuni vitigni che, oltre ad

essere tradizionalmente presenti nella nostra valle, sono in grado di produrre

un vino dalle qualità molto interessanti.

Per l’anno 2001 visto il buon esito della precedente esperienza, effettuata in

un piccolo ambiente nel comune di Darfo B.T., si è deciso di attrezzare l’ex

caseificio comunale di Cerveno. Nella nuova cantina hanno conferito uva i

produttori di tutta la Valcamonica da Artogne a Capo di Ponte a Ossimo a

Bienno, per un quantitativo complessivo di circa 300 quintali.

I prodotti derivanti da questa vinificazione sono stati suddivisi in tre tipologie:

• Vino base prodotto con uve di diverse varietà e di minor pregio

• Vino in bottiglia non invecchiato, prodotto in prevalenza con uve

Merlot, Marzemino e in piccola parte con uve di diverse varietà.

• Vino in bottiglia da invecchiamento, prodotto in prevalenza con uve

Merlot e Marzemino, in parte lasciate appassire su graticci.

Per l’esecuzione di tali operazioni ci si è affidati alla consulenza di tecnici

agronomi ed enologi professionisti che hanno seguito la filiera produttiva in

tutte le sue fasi, dal vigneto in campo alla cantina.

Per la vendemmia del 2002 si è continuato nei miglioramenti sia in vigneto

che in cantina, lavorando secondo il disciplinare che sta alla base della

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domanda di riconoscimento della Vallecamonica come zona I.G.T. per la

produzione di vino.

Per gli anni futuri, proprio in vista di tale riconoscimento, si ritiene

indispensabile un evoluzione di tale attività con: l’aumento di nuovi impianti

realizzati secondo le moderne concezioni con conseguente incremento delle

produzioni di qualità che richiederà una struttura in grado di accogliere le

produzioni viticole di tutti coloro che vorranno conferire il prodotto.

Il secondo esempio Azienda Agricola Sorelle Rebaioli nasce da un iniziativa

imprenditoriale privata con l’intenzione di valorizzare una serie di prodotti

agroalimentari locali camuni tra cui il vino i quali vengono proposti ogni

giorno sulle tavole del loro ristorante, tutto questo per restare legati alle

tradizioni contadine camune.

Il vigneto di proprietà presente già da trent’anni si estende per una superficie

di circa 2,50 ettari tra un altezza che va dai 250 ai 300 m.l.m. , le varietà

coltivate sono: Barbera, Schiava, Merlot e Marzemino.

Il sistema di allevamento negli ultimi anni su consiglio dei tecnici del settore

è stato cambiato trasformando la vecchia Spalliera in Guyot, tutto questo per

migliorare le rese quali/ quantitative delle uve.

Dalla vinificazione delle uve in precedenza descritte si ottiene un vino da

tavola rosso chiamato Lambrù la cui produzione sfiora le dodicimila bottiglie.

Per la prossima vendemmia si è pensato di migliorare la qualità della

produzione vinificando a parte ogni singola varietà presente nel vigneto e

cercando di migliorare il prodotto qualitativamente con l’utilizzo di nuove

tecnologie in cantina e di barriques per l’affinamento dei vini.

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Proposta di riconoscimento della indicazione Geografica Tipica dei vini “VALCAMONICA”

Il 12 novembre del 2002 presso la Comunità Montana della Valcamonica è

stato fatto un passo importantissimo per il futuro della viticoltura di questa

zona attraverso la proposta di riconoscimento del disciplinare di produzione

dei vini ad Indicazione Geografica Tipica alle autorità competenti, con un

udienza aperta al pubblico. A sottolineare l’importanza di questo evento erano

presenti numerosi politici, i tecnici del Centro Vitivinicolo Bresciano e della

Comunità Montana di Vallecamonica, alcuni giornalisti, il presidente e alcuni

membri dell’ Associazione produttori agricoli di Vallecamonica e numerosi

agricoltori della zona.

Il disciplinare presentato è il seguente:

Articolo 1

L’Indicazione geografica tipica “Valcamonica” accompagnata da una delle

specificazioni previste dal presente disciplinare di produzione è riservata ai

mosti e ai vini che corrispondono alle condizioni e ai requisiti di seguito

indicati.

Articolo 2

L’Indicazione geografica tipica “Valcamonica”è riservata ai seguenti vini:

bianco, anche nella tipologia passito, rosso, Marzemino e Merlot.

I vini ad indicazione geografica tipica Valcamonica Bianco e nella versione

passito devono essere ottenuti da uve provenienti da vigneti composti,

nell’ambito aziendale, dai seguenti vitigni a bacca bianca:

Riesling Renano, Incrocio Manzoni e Muller Thurgau: minimo 60%

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Possono concorrere da sole o congiuntamente, alla produzione dei mosti e dei

vini sopra indicati, le uve da vitigni a bacca di colore analogo non aromatici,

idonei alla coltivazione per la provincia di Brescia, fino ad un massimo del

40%.

L’ indicazione geografica tipica Valcamonica Rosso è riservata ai vini

ottenuti da uve provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, dai

seguenti vitigni a bacca rossa:

Marzemino e Merlot: minimo 60%

Possono concorrere da sole o congiuntamente, alla produzione dei mosti o dei

vini sopra indicati, le uve di vitigni a bacca di analogo colore non aromatici,

idonei alla coltivazione per la provincia di Brescia, fino ad un massimo del

40%.

L’indicazione geografica tipica Valcamonica con la specificazione di uno dei

seguenti vitigni: Merlot, Marzemino, è riservata ai vini rossi ottenuti da uve

provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, per almeno l’85% dai

corrispondenti vitigni. Possono concorrere da sole o congiuntamente, alla

produzione dei mosti o dei vini sopra indicati, le uve di vitigni a bacca di

analogo colore, idonei alla coltivazione per la provincia di Brescia, fino ad un

massimo del 15%.

Articolo 3

La zona di produzione delle uve per l’ottenimento dei mosti e dei vini atti a

essere designati con l’indicazione geografica tipica Valcamonica comprende

l’intero territorio amministrativo dei comuni di:Berzo Demo, Cedegolo, Cevo,

Sellero, Capo di Ponte, Ono San Pietro, Cerveno, Losine, Niardo, Ceto,

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Barone, Breno, Malegno, Cividate Camuno, Bienno, Berzo Inferiore, Esine,

Piancogno, Darfo Boario Terme, Gianico, Artogne, Piancamuno, Ossimo,

Prestine e Angolo Terme tutti in provincia di Brescia.

Articolo 4

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei

vini di cui all’articolo 2 devono essere quelli tradizionali della zona .

Sono pertanto da considerarsi idonei ai fini dell’iscrizione all’elenco delle

Vigne

di cui all’art.15 comma 2 della Legge 10 Febbraio 1992 n° 164 unicamente i

vigneti situati in terreni con giacitura pede-collinare, collinare e pedemontana

di buona esposizione situati ad una altitudine non superiore ai 800 metri s.l.m.

con l’esclusione di terreni pianeggianti particolarmente umidi.

I nuovi impianti e reimpianti devono essere composti da un numero di ceppi

ad ettaro non inferiore a 4.000 calcolati sulla base del sesto d’impianto.

La produzione massima di uva per ettaro di vigneto in coltura specializzata,

nell’ambito aziendale, non deve essere superiore per i vini a indicazione

geografica tipica Valcamonica senza la specificazione del vitigno a tonnellate

11 per ettaro, qualora venga utilizzata la specificazione del vitigno la resa

massima deve essere di tonnellate 8 per ettaro.

Le uve destinate alla produzione dei vini a indicazione geografica tipica

Valcamonica devono assicurare ai vini il titolo alcolometrico volumico

naturale minimo di:

10,00 % per il bianco;

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11.00 % per il passito;

10,00 % per il rosso;

11.00 % per il Marzemino

11.00 % per il Merlot

Nel casi di annate particolarmente sfavorevoli detti valori possono essere

ridotti dello 0,5% vol.

Articolo 5

Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche atte a conferire ai vini

le proprie peculiari caratteristiche.

La resa massima dell’uva in vino finito, pronto per il consumo, non deve

essere superiore al 70%, per tutti i tipi di vino e al 50% per la tipologia

passito.

Articolo 6

I vini a indicazione geografica tipica Valcamonica, all’atto dell’immissione al

consumo, devono avere i seguenti titoli alcolometrici volumici totali minimi:

Valcamonica bianco 11,50 %

Valcamonica rosso 11,50 %

Valcamonica passito 14.00 %

Valcamonica Merlot 12,00 %

Valcamonica Marzemino 12.00 %

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Articolo 7

All’indicazione geografica tipica Valcamonica è vietata l’aggiunta di

qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste nel presente disciplinare di

produzione, ivi compresi gli aggettivi extra, fine, scelto, selezionato,

superiore e similari.

E’ tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi,

ragioni sociali e marchi privati purché non abbiano significato laudativo e non

siano tali da trarre in inganno il consumatore.

Nella designazione e presentazione del vino ad Indicazione geografica Tipica

“Valcamonica” passito, Marzemino e Merlot è obbligatorio riportare l’annata

di produzione.

Il disciplinare potrà in futuro essere ratificato nel caso in cui nuovi terreni si

dimostrino idonei alla coltivazione della vite, con l’inserimento di nuovi

comuni e quindi l’ampliamento della zona di produzione.

Si potranno anche introdurre nuove varietà se le prove di microvinificazione e

di adattamento ai terreni della zona daranno risultati positivi. Il traguardo a

cui in futuro si vuole arrivare è la produzione di un vino Di Origine

Controllata

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VINI PRODOTTI IN VALCAMONICA

Dal 2000 sono presenti sulle tavole dei ristoranti Camuni bottiglie di vino

locale la cui evoluzione qualitativa in questi ultimi due anni ha fatto

passi da gigante.

I produttori sono: A.P.A.V e le Sorelle Rebaioli

Di seguito verranno descritte la modalità di produzione e le analisi sensoriali

di ogni singolo vino fino ad oggi prodotto.

I vini da tavola rossi prodotti ed imbottigliati dall’ A.P.A.V. sono:BALDAMI’

Prodotto in prevalenza con uve Marzemino e in quantità minore Merlot,

Barbera e Incrocio Terzi provenienti dai vigneti meglio esposti della

Vallecamonica.

Il vino viene affinato in botti di acciaio inox ed imbottigliato dodici mesi

dopo la vendemmia a una gradazione alcolica del 12,5%

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Alla vista si presenta di colore rosso rubino di media intensità con sfumature

granata.

Al naso presenta sentori di frutta matura, di sottobosco e violetta tipici del

vitigno.

In bocca l’ingresso è deciso con tannini rotondi, una buona struttura e

persistenza, leggermente amarognolo il retrogusto.

CAMUNNORUM

Prodotto con uve Merlot, Marzemino, Cabernet Sauvignon, provenienti dai

vigneti meglio esposti della Vallecamonica.Le uve vengono raccolte e poi

lasciate ad appassire per circa due mesi in piccole cassette di legno e

vinificate con il sistema tradizionale.

Affina in barriques di rovere per circa tredici mesi, a una gradazione alcolica

del 14%

Alla vista presenta un colore rosso porpora intenso.

Al naso sprigiona profumi conferiti dall’appassimento con nette sensazioni di

ciliegia e frutti di bosco, sono presenti sfumature di spezie e vaniglia legate

all’invecchiamento.

In bocca si presenta con grande struttura, tannini molto fini e lunga

persistenza.

Il vino rosso prodotto ed imbottigliato dalle sorelle Rebaioli è stato chiamato:

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LAMBRU’

Ottenuto da uve Barbera 60%, Merlot 30% e Schiava 10% coltivate in zona

collinare ad un altezza di 230 m.l.m.,vendemmiate in epoca tardiva, dopo una

maturazione con clima temperato di giorno e freddo di notte.

La fermentazione avviene in vasche di cemento mentre l’affinamento in

vasche di vetroresina, il prodotto viene imbottigliato dopo un anno

d’invecchiamento con una gradazione alcolica del 12,5% .

Alla vista si presenta di un colore rosso rubino.

Al naso presenta profumi provenienti dalla maturazione in epoca tardiva con

prevalenza di profumi di frutta matura e sottobosco.

In bocca presenta una moderata struttura, dei tannini molto fini ma poco

persistenti.

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