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Il concetto di documento dal museo di capolavori alle raccolte digitali

“…If everything is information, then being information is nothing special…,

M, Buckland, 1991

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• Per tutti noi, qui ed ora, questa è una delle immagini-simbolo del recente terremoto che ha devastato la mia regione, l’Emilia. Ancora, sappiamo che si tratta di un monumento di epoca medievale (Torre dei Modenesi 1213) ridotto ad un rudere.

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• Ma per qualcuno - qualcosa, che venisse da un luogo, un tempo, dove non vi fosse la minima conoscenza di architetture, potrebbe essere qualsiasi cosa: potrebbe pensare, il qualcuno-qualcosa, che sia un oggetto ideato e costruito in tal modo, e chiedersi quale ne sia lo scopo, facendo infinite ipotesi…

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• Forse si verificherebbe quanto raccontato da Leo Szilard in Report on Grand Central Terminal, dove per i due esploratori dello spazio un bagno a pagamento, dopo lunghe elucubrazioni, risulta essere un tempio votivo.

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Occorre che l’alieno ignorante si impadronisca dei paradigmi concettuali necessari per attribuire alla Torre lo stesso insieme di significati, stratificati nel tempo, che ha per noi.

Entrare in un museo senza essersi chiesti che cosa sia, come nasca, perché, in base a quali criteri, se questi mutino nel tempo, è un po’ uno sbarco da una navicella…..

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• Per cercare delle risposte a queste domande a suo tempo mi sembrò più efficace analizzare i musei archeologici. Perché?

• I musei d’arte, almeno prima degli orinatoi, dei cavatappi e delle scatole di zuppa, che complicarono il tutto, sembrava non ponessero grandi problemi definitori: luoghi preposti alla conservazione ed esaltazione di opere meritevoli di culto e/o memoria.

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• I musei antropologici, minerari, etnografici (che discendevano dalle Wunderkammern) , nati nel XIX secolo, erano corredo didattico delle cattedre equivalenti, laboratori funzionali all’approfondimento delle discipline. ..

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• E i musei archeologici? • Questi, come iniziarono a delinearsi nel XIX secolo,

potevano definirsi ibridi: accoglievano sia ciò che Ridi definisce documenti umani intenzionali e Gnoli nativi, sia ciò che può essere assimilato alla consueta antilope di Briet, che solo attraverso un processo di trasformazione epistemologica diviene documento.

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• Ancora, gli oggetti che, nelle raccolte private dei nobili e degli umanisti, erano solo opera d’arte, esempio di espressione delle categorie del Bello, modello per gli artisti, iniziano a divenire anche documenti, contaminandosi con gli altri reperti con cui devono relazionarsi.

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• Quindi?

• Questo tipo di museo si allestisce come galleria progressiva di capolavori, oppure come organizzazione strutturata di fonti storiche?

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• Questo il fulcro del vivacissimo dibattito ottocentesco.

• Discussione ancora ben viva, come ai tempi di Adriano Milani, Luigi Pigorini, Carlo Strozzi, Pasquale Villari…

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• Riccardo Ridi, in una delle tante mail precedenti a questo congresso, ci ha scritto:

• …Francamente mi pare che non ci siamo mossi un granché dalla suddivisione kantiana tra noumeni e fenomeni. ……. come scrive Gomez Davila "i veri problemi non hanno soluzione, ma storia“

• Quindi, andiamo avanti con questa storia.

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• Troppe le questioni da affrontare, di seguito solo una traccia.

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• Questione tempo: Nelson Goodman ci disse che la domanda su che cosa definisce tale un'opera d'arte, non sia tanto

• che cosa, [ma] quando è opera d'arte : […] un'opera d'arte [è tale] in certi momenti e non in altri [...]. Una pietra non è normalmente un'opera d'arte fin che sta in quel viale, ma lo può essere quando è messa in bella vista in un museo“ .

• Nelson Goodman, Vedere e costruire il mondo, Milano, Bompiani, 1988, p. 67 e 79.

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• Questione luogo: nel mio articolo uscito su Bibliotime nel 2009 usavo il concetto di potenza costitutiva dei luoghi, preso a prestito da Luciano Nanni, per indicare qualsiasi forma di contestualizzazione significante, che sostituisca la frase: questo è…: un’opera d’arte, un reperto archeologico, un documento…

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• Definizione di documento, su questo problema fiumi di inchiostro analogico e digitale, cito solo Latham, (Museum object as document, p. 59):

• …The very fact that an object has been entered in a collection, makes it a document…. Additionaly, the consensus of a museum object’s meaning changes over time and space….”

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• Ricordiamo ancora Briet che ci dice che l’antilope catalogata è un documento primario (initial document), mentre gli altri documenti (disegni, acquerelli, foto..) sono secondari o derivati (secondary or derived); in ogni caso l’antilope libera nella savana non è un documento.

• Dunque per l’antilope è il contesto che sostituisce la frase : questo è un documento , e che lo rende tale.

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• Gnoli dice, là dove non abbiamo documenti nativi è accettabile la potenza costitutiva del luogo (Rescigno) che compie la “trasmutazione epistemologica” (Ridi).

• Ma, se ci troviamo di fronte a documenti umani intenzionali (Ridi) è colpa nostra (l’alieno ignorante) non capirne l’essenza documentaria, ed il contesto, il luogo, possono intensificare tale portato ontologico, ma non sono necessari né definitori.

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• Il potere costitutivo del luogo-museo o del luogo-archivio, quando accolga ciò che non nasce come documento intenzionale, sembra superiore (Ridi), o diverso (Gnoli), a quello del luogo-museo d’arte, del luogo-archivio di documenti nativi, della biblioteca.

• Perché è ontologicamente evidente che libri, films, fotografie, quadri, siano documenti.

• Il non riconoscerlo, ci dice Gnoli, è problema che pertiene all’osservatore che ignora, non all’oggetto, che è.

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• Nel 1952 un pubblico pagante si recò ad ascoltare 4’ 33’’ di silenzio, non-composizione di John Cage, amico del pittore Rauschenberg che, negli stessi anni, produceva (e vendeva) quadri bianchi. Altri vendevano scatole di zuppe, prima ancora qualcuno orinatoi e parti di biciclette, infine altri osò esporre, e vendere, i propri escrementi.

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• Tutto questo con un enorme successo di critica e pubblico. Chi non vorrebbe in casa una Zuppa Campbell’s di Warhol o un Readymade di Duchamp per garantirsi una serena vecchiaia?

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• Eppure, ancora funzionano le gags dove si ritraggono visitatori in estasi di fronte alla scopa dimenticata dalla donna delle pulizie in una sala di museo, o Alberto Sordi e la moglie stralunati fra le sale della Biennale del ’78: se simili equivoci generano il riso, ci dice Pirandello, deve funzionare l’avvertimento del contrario, sovvertimento del noto e del condiviso.

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• Ancora, vere o leggende urbane che siano , escono notizie come:

• Una dipendente dell'impresa di pulizie del museo d'arte di Dortmund ha distrutto parte di un'installazione artistica dello scultore tedesco Martin Kippenberger. L'inserviente, scrupolosa nel lavoro ma evidentemente a digiuno d'arte, ha fatto sparire il contenuto in gesso di una bacinella di gomma nera.................Al momento i periti stanno valutando i danni…. (Repubblica)

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• Esiste una spaccatura tra gli introdotti al linguaggio dell’arte, in grado di capire che l’orinatoio di Duchamp è arte, e chi, lasciato fuori dal paradigma concettuale, pensa: “ci avessi pensato io a fare ‘sta c…a oggi sarei ricco!!” Ovviamente, esiste chi, pur perfettamente informato, dissente…

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• Per saper vedere un’opera d’arte (come diceva Marangoni) , bisogna stringere un patto consensuale tra artista e fruitore.

• Non solo devi sapere che stai andando ad un concerto, ma a quale tipo di concerto…

• Era così anche quando i senesi portavano in trionfo la Maestà di Duccio, solo che il patto era implicito e scontato, per i più.

• Poi, però, sono arrivate le ruote di biciclette, i cavatappi……Tutto si è complicato .

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• Torniamo ai musei archeologici e alle scelte dei loro curatori.

• Questo tipo di istituto, possiamo dire, scopre la trama e l’ordito del patto consensuale messo a nudo dall’arte concettuale in poi.

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• Ma perché preoccuparsi così tanto di che cosa , e come, entra in un Museo?

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• Il museo è un luogo di trasmissione di cultura e produzione di consenso, con un grande potere evocativo, simbolico e politico.

• Al capillare piano di riassetto e riqualificazione museale del dopo Unità, quindi, non parteciparono solo gli addetti al mestiere, ma tutta l’intellighenzia italiana: era una questione di massima importanza, bisognava fare l’Italia….

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• Nel 2009 su Bibliotime scrivevo :

……nel momento stesso in cui qualcosa entra nel museo diventa, grazie a questo solo ingresso, oggetto di memoria. Il museo è luogo della fruizione presente che già preconizza quella futura, contesto significante in grado di attribuire a quanto in esso contenuto uno status di riconosciuta e condivisa autorevolezza, un'aura tipica di ciò che in sé racchiude fin dal suo apparire un messaggio ai posteri.

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• E c’era da fare L’Italia (e gli taliani…)

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• Due furono le direttrici: • - Musei destinati alle collezioni artistiche come

monumenti di patrie memorie• Musei scientifici con destinazione didattica

prevalente• Nel primo caso prevaleva l’ordinamento progressivo

per capolavori, nel secondo l’ordinamento topografico per documenti.

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• Paradigmatiche le vicende costitutive del Bargello: • Marco Guastalla propose di farne un museo dedicato

anche alla produzione quotidiana medievale, mentre gli altri ordinatori, Passerini, Strozzi, Gamurrini, vollero farne un museo di capolavori. Non solo fu bocciato il museo di storia e cultura materiali, ma persino la pubblicazione di una guida del Museo, poiché il percorso del genio italico non aveva alcun bisogno di spiegazioni.

• (in P. Rescigno,Tra culto della memoria e scienza.. , pp. 98-99)

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• In questa temperie culturale i musei archeologici si staccarono dall’esposizione cronologica dei capolavori in senso progressivo, in quanto prodotti di una disciplina a metà tra arte e scienza.

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• A Firenze fu determinante l’insegnamento di Achille Gennarelli (Istituto di Studi Superiori) , che indirizzò gli alunni verso qualsiasi reperto in quanto documento.

• Da qui, anche, una differente pratica di ordinamento dei musei: diventava essenziale non scindere il nesso con il contesto d’origine.

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• Venivano gettate ora le basi della nuova museologia (Pinna), del museo diffuso, dell’Ecomuseo…

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• …….Some informative objects, such as people and historic buildings, simply do not lend themselves to being collected, stored and retrieved. But physical relocation into a collection is not always necessary for continued access. Reference to objects in their existing location creates, in effect a “virtual collection……””

• (M. Buckland, Information as Thing, pp. 354 e 356.)

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• Da tutti questi stimoli culturali nascono i musei archeologici contemporanei, che, se possibile, vengono istituiti in situ, costruendo il museo attorno al sito archeologico, non più prelevando il singolo oggetto e portandolo verso la capitale, il palazzo reale, il museo centrale….

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• In occasione del Museo Topografico dell’Etruria, inaugurato nel 1898 , Milani scrisse: “ fui a lungo incerto se doveva distribuire i monumenti per serie, attenendomi al sistema di Gamurrini, oppure seguire il sistema topografico del Gennarelli…”

• Prevalse il Gamurrini “siccome quello che contemperava le esigenze della scienza col senso del pubblico…” (in P. Rescigno, cit., p. 127)

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• Questa la temperie culturale che rese possibile la nascita di un museo autonomo in un piccolo centro come Fiesole, che non solo non cedette nulla dei suoi reperti alla vicinissima Firenze, ma istituì, nel 1873, una tassa per i visitatori degli scavi per provvedere con i proventi ai restauri, episodio preceduto solo dal biglietto dei musei napoletani e fiorentini diretti da Fiorelli (cfr. P. Rescigno, cit., p. 143)

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• Non mi soffermo sulle discussioni sorte attorno al piccolo museo fiesolano: qui si misero insieme oggetti etruschi, romani, medievali, senza cernita selettiva per qualità, ma con l’attenzione posta, invece, alla ricostruzione storica del territorio.

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• In verità i criteri di ordinamento continuarono ad oscillare fra museo di capolavori in senso progressivo e museo topografico, i tempi erano ancora molto acerbi.

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Pietro Stefanelli, curatore, nel 1878 si dichiarò orgoglioso che la maggior parte degli aumenti della collezione “si riferiscono a quella parte di Museo che deve starci maggiormente a cuore, cioè alla sezione degli oggetti tratti dal suolo fiesolano”

(in P. Rescigno, cit., p. 154)

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• La vicenda di questo piccolo museo si concluse con un episodio che, a suo tempo, definii: Il Marchese Albites e la fine dell’antiquaria.

• Il suddetto marchese, membro della Commissione Archeologica di Fiesole dal 1885, acquistò diversi oggetti sul mercato, per farne un museo a lui stesso intitolato .

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• In un primo tempo il Comune gli accordò il permesso di usare le sale del Palazzo Comunale per farvi il Museo Albites, tanto più che Milani aveva affermato (1913) che, poiché i pezzi del Marchese non avevano nulla a che fare con Fiesole, non dovessero inquinare il Museo Archeologico cittadino (ora in un nuovo edificio appositamente costruito da Ezio Cerpi ).

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• Nel 1915, invece, lo stesso Milani decise di integrare i pezzi acquistati dall’Albites nel museo del Cerpi: troppo scarsi e frammentari i documenti da me ritrovati negli archivi di Fiesole per spiegare tale voltafaccia, del resto, consueto in un tempo ancora tanto indeciso tra sistemi e metodi.

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• Estremamente illuminanti, però, le parole di protesta del Marchese:

• “…Si permisero…io tentennante, di svaligiarmi degli oggetti che avevo…con tanta pazienza riuniti, per confonderli senza alcun ordine fra i calcinacci dell’Antico Teatro Romano!...[Milani ha fatto] del nuovo Museo un ripostiglio di avanzi dell’Antico Teatro Romano, e così rendendolo un cumulo di scarico poco o nulla interessante per i visitatori….” (in P. Rescigno, cit, p. 179)

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• Iniziava il nuovo secolo, finiva l’antiquaria, si andava verso la nuova museologia.

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• L’ordinamento del museo è una chiave di lettura di cui, spesso, i visitatori non hanno neppure la percezione. In genere si accettano accostamenti, esclusioni, riferimenti, come fossero naturali ed intrinseci agli oggetti stessi, non proiezioni di valutazioni fatte da persone, anche se ogni scelta, ogni inclusione ed esclusione denunciano una poetica, una intenzionalità più o meno cosciente, una epistemologia. ….

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• Sarebbe molto più interessante la visita della Specola di Firenze se si sapesse di avere di fronte tra i più antichi esempi di tassidermia del mondo, e si potesse notare come la fisionomia dell’ippopotamo, come del leone medicei, malgrado si tratti di bestie vissute per anni in città (nel XVII secolo, vedi Il Museo di storia naturale dell’Università degli

studi di Firenze, p. 204 ), risenta ancora dei bestiari medievali, secondo il principio di permanenza dell’iconografia segnalatoci da Panofski.

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• Altrettanto non si esplicitano i criteri sottesi ai cataloghi. Eppure, come ricordammo a suo tempo con Ridi, il catalogo del museo, spesso, sostituisce la visita, oppure segue la visita, quasi mai è contemporaneo alla visita.

• Eppure, ogni accostamento, ogni inclusione, od esclusione, determinano una poetica, danno vita ad interpretazioni, ne smontano altre….

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• Allestire una sala di lettura, costruire un repertorio, un catalogo di una biblioteca, ogni nostra scelta, o non scelta, ha un peso sui nostri utenti che, spesso, non considerano affatto che dietro agli scaffali, reali o virtuali, ci siamo noi.

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• E più la biblioteca sarà digitale, più essa coinciderà, di fatto, con il catalogo che ne faremo, sarà il catalogo, esisterà solo nel catalogo. E quegli incontri inaspettati, che chiamiamo esperienze di serendipity, saranno possibili, quando passeggeremo virtualmente tra i files dei nostri OPAC?

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• Quando la biblioteca dovesse essere solo, o in larga parte, il suo OPAC, saremo così bravi da costruire degli hardware e dei software sufficientemente flessibili da consentire agli utenti esperti, magari un po’ ribelli, gli innovatori insomma, di crearsi percorsi altri, tentare strade, fare passi verso qualcosa che noi non abbiamo saputo prevedere, ma abbiamo lasciato possibile che accadesse???

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Waiting for the aliens……

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• Grazie

• Paola Rescigno, settembre 2012.

[email protected]