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EbookLab Italia 2011Rimini, 04/03/2011

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Vorrei partire, in questa sessione dedicata al carattere tipografico digitale, dalla testimonianza che ci ha lasciato Bruno Munari, il quale - tra le altre cose - collaborò a lungo con la fonderia Nebiolo di Butti e Novarese.

Munari, nel 1972, scrive un libro dal titolo Artista e Designer.

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In questo libro, Munari distingue il ruolo di chi progetta oggetti per l’uso quotidiano, da chi si occupa di essi solo come esercizio di stile.

A noi questa distinzione interessa perché un romanzo può essere sì un’opera d’arte, ma il suo contenitore, il libro, prima di tutto, è frutto di una progettazione.E anche il carattere tipografico è un oggetto di design. Il carattere tipografico è un oggetto di design, perché deve risolvere (alla radice) il problema della conservazione e trasmissione dell’informazione scritta.

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E lo deve fare seguendo delle regole.Uno dei miti più in voga in Italia è che la soluzione a un problema progettuale, sia esso la creazione di un libro o la scelta di un carattere, risieda in un lampo di genio improvviso, a opera di un artista dallo spiccato gusto estetico.

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Niente di più falso.

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La soluzione di un problema avviene piuttosto come risultato di un percorso di analisi e conoscenza che prende in considerazione alcune variabili.

Quali sono, queste variabili?

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Iniziamo dalla tecnologia.

Ogni epoca ha la sua tecnologia. O per esser più precisi ha i suoi materiali e le sue tecnologie.

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Com’è noto, le specifiche per la produzione di ebook si basano sull’esperienza web e da essa pescano a piene mani. La cosa riguarda ugualmente gli ebook attualmente in circolazione, quelli previsti per il futuro e le app native che usano webkit come motore di rendering.

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La sostanza è comunque che, salvo soluzioni particolari, la visualizzazione del testo con un particolare carattere è vincolata a una vista web e all’uso della direttiva css @font-face.

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I formati di distribuzione dei caratteri hanno la loro importanza.TrueType e OpenType sono i formati con il supporto più esteso.Il carattere TrueType può contenere istruzioni di hinting per la visualizzazione a basse risoluzioni.OpenType supporta funzioni tipografiche avanzate.SVG è un formato vettoriale, di fatto obsoleto per questa funzione.WOFF è un nuovo formato, mutuato dal web, che verrà introdotto in futuro.

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Il campo di gioco non è più la carta, ma sono ovviamente i device, che sono molti, e che portano a loro volta tutta una serie di problematiche legate alla tecnologia di proiezione:e-ink, lcd, ledscala di grigi o colorerisoluzione bassa o alta definizioneIn ogni caso il problema della bassa risoluzione rispetto alla definizione della stampa cartacea resta centrale e condiziona tutt’ora la resa del carattere a schermo.

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Per risolvere questo problema Microsoft con ClearType, Apple con CoreText e Adobe con CoolType hanno sviluppato nel tempo soluzioni e tecniche differenti. A queste bisogna aggiungere anche lo sforzo della comunità Linux con FreeType.

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Per questa ragione lo stesso carattere può avere rese radicalmente differenti a seconda del device utilizzato.

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Come potete immaginare il problema maggiore imposto dalla tecnologia è quello legato alla leggibilità del testo. Gli anglosassoni hanno 2 termini distinti per definire la leggibilità. Semplificando molto:Legibility riguarda la capacità di riconoscere un determinato glifo rispetto agli altri di uno stesso alfabeto.Readability riguarda la capacità di comprendere il significato di una parola, intesa come gruppo discreto di glifi.

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Cosa rende un testo leggibile? L’argomento è tutt’ora frutto di controversia, ma le ultime ricerche in campo di psicologia cognitiva sembrano dare un peso rilevante al riconoscimento dei singoli glifi che compongono una parola. Vale la pena citare il lavoro svolto da Kevin Larson sulle difficoltà di lettura dei bambini dislessici e l’articolo The Science of Word Recognition, del 2004, in cui confuta alcuni miti imposti dalla tipografia tradizionale.

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Il suo lavoro trova un naturale seguito a una serie di test di usabilità svolti dal Laboratorio di Usabilità della Wichita State University. In particolare tre ricercatori (Fox, Chaparro e Merkle) hanno identificato alcune discriminanti tra caratteri leggibili e meno leggibili.

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Il risultato più evidente della loro ricerca è che il carattere di tipo garalde, quello maggiormente diffuso nella tipografia tradizionale, non è il più leggibile a schermo, dove sono avvantaggiate forme di diverso genere.

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Quali sono queste caratteristiche? Le vediamo in sintesi:x-height generosa, occhielli ampi, modulazione costante, fusto verticale, grazie - quando presenti - solide, larghe aperture.

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È questa la direzione che prenderà l’uso del carattere tipografico nella produzione editoriale.Dobbiamo mandare in pensione il Garamond di Simoncini?Non è detto. Per diversi motivi.

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Il primo è che si può progettare fin d’ora il libro anche per il futuro, o per condizioni particolari.In che modo?

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Su dispositivi basati su Adobe Digital Edition, utilizzando i fogli di stile XPGT per fornire caratteri differenti, possibilmente i migliori possibili, a seconda delle condizioni di lettura.XPGT consente di verificare alcuni dati “fisici” del reader e adattare il libro di conseguenza.Di solito viene usato per gestire informazioni di layout, ma lo stesso discorso può valere anche per il carattere.

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Stessa cosa vale anche per i dispositivi che fanno uso di Webkit, attraverso le media queries, con un supporto per ora più limitato, ma in prospettiva molto più flessibile, considerando anche lo sviluppo del modulo font di CSS3.

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Il modulo font è in corso di definizione e sviluppo, ma sembra promettente.Per esempio consente fin d’ora di abilitare alcune funzioni interessanti per il lavoro tipografico come le coppie di crenatura e le legature.

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La specifica font-smoothing (per ora specifica solo di webkit) consente di avere controllo sulla modalità di rendering del carattere, scegliendo tra resa senza interpolazione, antialiasing e subpixeling.

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Da tenere d’occhio anche alcune feature che attualmente sono implementate solo da motori di rendering non usati per gli ebook (ma che potrebbero essere implementate nel futuro).Gecko per esempio consente attraverso font-feature-settings di gestire le proprietà avanzate di OpenType.

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Passiamo ad analizzare la variabile legata i costi.Eh sì, perché di norma il carattere tipografico, specialmente quello di qualità, ha un costo, viene concesso in licenza e chi lo usa deve rispettare una serie di norme richieste dalle fonderie d’origine o dai distributori.

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E qui sorge una questione che ritengo essere centrale, non solo in questa discussione, ma in generale per quel che riguarda gli ebook.

Le fonderie, i type designers, non hanno la minima idea - tranne pochissimi isolati casi - del fatto che la tecnologia @font-face possa essere usata anche per gli ebook, che però prevedono un sistema di distribuzione radicalmente differente rispetto a quello web.È facile ormai trovare un font a pagamento usabile su web. Difficilmente la licenza di quello stesso font consente la distribuzione su ebook.In sostanza: gli ebook non sono, attualmente, nel radar di chi crea i caratteri tipografici.

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Chi vuole usare font a pagamento sui suoi ebook sa che è possibile “offuscare” il software font, legandolo però a DRM Adobe. Si tratta di una soluzione che però vincola l’editore a scelte commerciali e di distribuzione cui magari non tutti sono disponibili.Epub3 prevede, nelle sue specifiche, l’introduzione di un algoritmo di offuscamento molto simile, ma per vederlo all’opera bisognerà aspettare ancora un bel po’.Nel frattempo bisogna lavorare con quello che c’è.

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Cosa bisogna cercare?Nella marea di font disponibili alcuni criteri di valutazione utili sono:La possibilità di usare il carattere in ambito commerciale (a meno di non regalare i libri)La possibilità di redistribuire il software del carattere, nel caso non si voglia optare per la “obfuscation”.La varietà di stili, ovvero che il carattere sia disponibile oltre che nel tondo, anche in corsivo, grassetto e maiuscoletto, eccetera.L’estensione dei glifi, in modo che copra tutte le lettere degli alfabeti che si ha in programma di visualizzare.La possibilità di creare opere derivate, in caso un glifo non esista e si debba operare per estendere la mappa caratteri.

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Facciamo alcuni esempi.Adobe licenzia una vasta quantità di caratteri a pagamento.Questi caratteri possono essere utilizzati, previa “obfuscation”, in file epub.Qui vediamo due esempi: Il Sabon, un garalde, usato spesso nella tipografia tradizionale.Il Chaparral, le cui forme sono più simili a quelle suggerite dalle ricerche scientifiche.

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Tra le licenze gratuite, la più aperta è quella SIL OpenFonts che raccoglie un numero crescente di tipologie di caratteri.Qui vediamo il Gentium, che per inciso è stato adottato come carattere standard dalla casa editrice Quintadicopertina, e il DejaVu Serif, una riedizione del Bitstream Vera... si tratta di un carattere molto utilizzato e per certi versi un po’ inflazionato.

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Il Charis riprende le forme del Bitstream Charter, un carattere del 1987 destinato a stampare documenti a basse risoluzioni. Forse per questa ragione è stato adottato dalla Penguin per i suoi ebook.

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Anche sotto GNU Gpl si possono trovare caratteri adatti allo scopo.

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Terminiamo con la definizione del contesto.Il contesto d’uso del carattere - per molti versi - riassume e sintetizza quanto detto in precedenza.

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Qual è il contesto d’uso del carattere tipografico, nell’editoria elettronica?Tra le diverse figure coinvolte ne ho isolate 3 principali.

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La prima figura è quella dell’autore, ovvero di chi crea il testo. Non solo di chi ha creato nel passato, ma anche di chi scrive oggi e di chi scriverà in futuro.

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L’Autore chiede al carattere tipografico che rispettare il testo che visualizza.Non si può stampare I Promessi sposi in Comic Sans o in Party senza considerare le conseguenze in termini di tradimento delle premesse filologiche del testo.

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La seconda figura è quella dell’editore.

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L’editore è il soggetto chiamato a fare tutta una serie di scelte a monte e quindi a valutare, in buona sostanza le componenti tecnologiche e di costo. Alla fine, ciò che chiede al carattere tipografico è che questo sia elemento di identificazione del libro.Nella schermata vedete il Kindle di Amazon. Amazon non è un editore ma resta il fatto che Bezos abbia capito per primo il ruolo del carattere tipografico nell’identificazione di un marchio.

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Per ultimo, solo nell’ordine della lista, abbiamo il lettore.

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Il lettore chiede essenzialmente che il testo sia leggibile. O meglio, chiede che NON sia illeggibile. L’utente finale è sensibile al disagio, più che al comfort. Agisce di norma, cambiando carattere, solo se percepisce disagio.

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Ecco che il quadro si compone. Il carattere tipografico è il risultato delle tensioni e degli equilibri che si vanno a definire, di volta in volta, tra queste tre figure.

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O se si vuole, è sul gioco di pesi e contrappesi nel rispetto di queste tensioni che si va a intervenire nella scelta del carattere, per dare un’identità coerente al libro elettronico.

Autore e cura filologica.Lettore e leggibilità.Editore e identità.

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In conclusione: è sempre stato così, fin dai tempi di Gutenberg.Ricerca e progresso tecnologico, costi connessi, condizioni sociali e culturaliSono le variabili che regolano la definizione delle nuove forme di espressione.

Oggi stiamo lavorando, in buona parte, con caratteri non pensati per quest’uso. Se non abbiamo altre possibilità, cerchiamo di trarre il meglio da quello che abbiamo a disposizione.

Ma consideriamo anche che la direzione che prenderà la forma della scrittura domani, ancora una volta, dipenderà solo da noi, dalla nostra capacità d’interpretare di volta in volta il reale e di trasmetterne le richieste a chi dovrà disegnare i caratteri del futuro.

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